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Geografia e antropocene riassunto, Sintesi del corso di Geografia

Vendo riassunto fatto bene di tutti i capitoli del libro "Geografia e antropocene"

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 02/08/2022

NoemiFranchetti24
NoemiFranchetti24 🇮🇹

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Scarica Geografia e antropocene riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Geografia solo su Docsity! ANTROPOCENE Prefazione di Gianluca Cuozzo L’antropocene in geografia è importante non solo per la disciplina stessa ma anche per il nesso con altre soprattutto da quelle che misurano la nostra attività sul pianeta incentrandosi sul rapporto tra natura e cultura che ha dato origine alla “disponibilità mondo” (una distorsione che vede il pianeta come fonte sempre disponibile di bene per chi può permetterselo). La geografia tenta di correggere questa distorsione essendo il banco di prova scientifico di ogni filosofia che si voglia misurare con i cambiamenti del globo. 1. Geografia e antropocene. Un’introduzione di Cristiano Giorda e Michele Bandiera La ricerca e gli obiettivi della pubblicazione: l’antropocene viene studiato in quanto è il segno dell’impronta umana e la geografia vuole ridefinire la dualità uomo-ambiente. Obiettivi: - L’antropocene va indagato come concetto polisemico in grado di cambiare la visione geografica, mentre la pluralità di interpretazioni su cause e origine è alla base del discorso critico. - Capire se il concetto di Antropocene possa cambiare la stessa visione della geografia, interrogandola su come considera e rappresenta il sistema terra con la relazione uomo- ambiente e le grandi questioni ecologiche Genesi dell’antropocene, l’uomo come forza geologica: il concetto è dato per la prima volta negli anni 80’ con Stoermer e iniziò ad avere successo nel 2000 con Crutzen per indicare la pervasività umana sui processi biologici terrestri che segna l’inizio di una nuova era geologica successiva all’Olocene. Bisogna però trovare prove e indicatori del passaggio tra ere anché si apra il processo di ucializzazione tramite l’Anthropocene Working Group, ICS e IUGS. Problematica è già la prima datazione con quattro ipotesi: 1. Crutzen e Stoermer guardano alla rivoluzione industriale e alla macchina a vapore; 2. Morton indietreggia all’inizio dell’agricoltura; 3. Anthropocene Working Group pensa all’esplosione della bomba atomica nel 1945; 4. Lewis e Malsin nel 1610 con una serie di trasformazioni come l’America, la scienza, la chimica. Il termine si è poi allargato a molte discipline che si interrogano sui processi di uomo/ambiente e ha avuto successo perché si oppone alla distinzione della scienza tra natura e cultura e perché concettualizza l’umano come specie con responsabilità comuni ma dierenziate (Moore critica l’antropocene dandone la responsabilità al regime 1 ecologico capitalista; poi Haraway parlerà di capitalocene mentre Chakrabarty vede la sopravvivenza come data dall’azione non ontologica). I geografi, l’antropocene e l’educazione geografica: il concetto di antropocene arriva anche in geografia perché ciò che osserviamo su scala globale ha anche una dimensione locale, è una sfida teorico-metodologica che riguarda anche il futuro nella sua dimensione educativa. Lorimer vede l’antropocene come morte pubblica dell’idea moderna di separazione tra uomo e società come già da prima la geografia sosteneva e cita Castree che indaga l’antropocene sia per la rilevanza pratica sia per gli eventi futuri (vede l’era come una scena e i geografi come scenografi). Nel 2015 il tema è stato scelto per la conferenza annuale della Royal Geographical Society che si è interrogata sui limiti e le prospettive del rapporto specie umana/risorse del pianeta. Pawson reputa necessario con l’educazione raccontare e spiegare i cambiamenti terrestri con il coinvolgimento di tecnologie spaziali, le diversità locali e i totalitarismi, allarmismi e negazionismi Dewey dà alla geografia il ruolo di indagare le connessioni tra fatti naturali e avvenimenti sociali. Nella carta internazionale dell’educazione geografica del 1992 l’antropocene è il riavvicinamento delle discipline scientifiche e umane. Geografi nell’antropocene, i contributi del libro: Questo libro è il frutto della riflessione collettiva di molti geografi italiani. Il climatologo Raes ha sviluppato l’idea di un museo delle tecnologie dell’antropocene perché se riporta a prima della modernità allora come nel 1500 siamo sbalorditi di fronte a novità che non riusciamo ancora bene a comprendere. Amato parla dell’antropocene in merito alle migrazioni che vi sono alla base e parte da esempi contemporanei nati da disuguaglianze sociali (riprende il capitalocene di Moore). Bagliani e Pietta parlano del cambiamento climatico: una trasformazione che si verifica per cause umane e altera una serie di equilibri sui quali si regge il rapporto tra uomo e natura. Giardino parla del riavvicinamento della geografia fisica alla geografia umana parlando di una terra di mezzo tra i due domini utile per trovare prove sulla datazione dell’era. Papotti usa la letteratura come specchio d’indagine dell’antropocene parlando del nuovo capitolo della terra legandosi poi alla visione scientifica. Si parla poi di sicurezza alimentare e della produzione di cibo soprattutto se capitalistica. Puttilli parla dell’educazione geografica riprendendo Pawson per l’importanza di territorializzare i discorsi in merito a un discorso globale come l’antropocene guardando al futuro. Tanca e Parascandolo ragionano sul paesaggio riprendendo Crutzen e Stoermer nelle implicazioni simboliche ed ecologiche (binomi antropogenici con esempi reali). Zanolin parla delle foreste che non sono più ambienti completamente naturali quindi introduce il concetto di ibridazione. Direzioni, come rappresentare e narrare l’antropocene: l’antropocene riguarda temi connotati da una dimensione territoriale soprattutto in merito all’irreversibilità delle trasformazioni attuate dall’uomo e dalla globalizzazione. Si tenta di ribaltare la rappresentazione corrente. 2 distruzione dei boschi è stata la prima conquista geografica dell’uomo e potrebbe diventare anche l’ultima. Goudie parla del ruolo umano nel mantenimento della savana che non è naturale. Ibrido: Raes lo identifica come ciò che intreccia natura e uomo in modo inestricabile (per esempio per Bandiera gli olivi pugliesi minati dagli insetti o per Zanolin le foreste) e non solo come qualcosa di antropico, tema sul quale la geografia si è sempre interrogata parlando di uomo-natura Irreversibilità: è la condizione dei processi ambientali trasformati dall’azione dell’uomo (cicli geochimici, clima, disponibilità delle risorse, composizione dell’atmosfera, spazio geografico). Luoghi di origine e tempi: dato che nessun fenomeno è completamente globale oltre che sui tempi di nascita dell’antropocene dovremmo interrogarci anche sui luoghi (tracce di attività mineraria romana sono state trovate al polo); se identifichiamo come periodo di nascita dell’antropocene la capacità umana di trasformare in modo irreversibile il paesaggio Las Medulas (miniere romane d’oro) può essere il luogo più antica, ma ci sono miniere di una civiltà egiziana di 200 mila anni fa. Luoghi: per un geografo la datazione dovrebbe iniziare con il cambiamento dei luoghi, per esempio Venezia è il legame di una comunità con il fragile luogo della laguna minacciato dal credere del livello del mare, oppure Chernobyl dove c’è un’elevata presenza di azione umana e radiazioni ma al contempo avviene per l’assenza di abitanti una rinaturalizzazione diventando laboratorio della natura post atomica e dell’adattamento dei viventi, oppure Agbogbloshie dove si trova la più grande discarica di rifiuti tecnologici dove gli uomini si sono adattati a vivere, lavorare, oppure Dubai sorta dalla ricchezza prodotta dal petrolio e consuma risorse enormi per mantenere la vita nel deserto, è un laboratorio del futuro. Si può arrivare anche a inserire la nostra specie tra quelle in via di estinzione se non si adatterà ai cambiamenti da lei causati. Narrazioni/idee: l’antropocene inizia prima in geografia che in geologia e dovrebbe riferirsi a quando parte del pianeta è stato modificato come conseguenza della territorializzazione umana. Secondo questa visione si può far iniziare l’era con la scoperta dell’America che ha portato allo spostamento di popoli, animali, risorse, malattie. Osservatore: dalla fisica deriva l’idea che non è possibile osservare un fenomeno senza influenzarlo e la geografia è in parte una scienza di misurazioni e si interroga sul contatto con il mondo che lo modifica perché non è come si pensa una scienza delle invarianze. L’antropocene fa fare un ulteriore passo avanti all’osservazione perché sposta l’attenzione dall’eterno all’umano. Nel 2007 la dichiarazione di Lucerna include l’antroposfera nel sistema terra non più immutabile e conferma che questo cambiamento non è più indipendente dall’azione 5 umana, l’osservatore diventa parte attiva modificando anche il ruolo della carta che è solo una nostra visione del reale. Realtà/fiction: per alcuni l’antropocene è un dato di fatto che emerge dallo studio delle alterazioni causate dall’uomo e si deve puntare a tentare di garantire la sopravvivenza umana; per altri è una fiction che unisce fatti reali e fantasia umana. Tra i due troviamo l’ecocriticismo, una narrazione. È apparsa una visione politica dell’antropocene, il capitalocene, dovuto alla globalizzazione. Per non cadere in errore tutte le prospettive devono parlare di grandi realtà, dall’osservazione diretta devo passare ai vari sistemi tra i quali quelli scientifici. Territorio/territorializzazione: problemi diversi legano l’uomo a una scala diversa sul pianeta che la geografia vede come luogo e come sistema territoriale (’ibridazione del mondo non è omogenea) L’antropocene ha una dimensione globale ma si diversifica in migliaia di contesti locali e diventa ancor più importante l’adattamento per la velocità con la quale i paesaggi stanno cambiando. Bisogna osservare come le cose avvengono, per esempio l’uso che si fa delle risorse che impatta su tutti i nodi centrali dell’antropocene, per tentare di migliorare partendo dal modificare la società. Uomo-ambiente: non possiamo più spiegare natura e società da sole come se fossero in autonomia come era indicato dal binomio naturalia/artificialia già nel 1500; l’antropocene spinge a ribaltare tutto il sistema di studi basato sul rapporto mondo/uomo perché non comprende il cambiamento. 2. Il paesaggio geografico nell’Antropocene di Parascandolo e Tanca Paesaggi geogenici e paesaggi antropogenici: occupandosi dell’antropocene si riconosce che il paesaggio sia un indicatore attendibile delle trasformazioni degli ambienti terrestri dovute all’uomo e al capitalismo. Tra le modificazioni lasciate dall’umanità ve ne sono anche nel paesaggio che ha proprietà inedite nella storia naturale o umana. Per capire il rapporto tra paesaggio e Antropocene dobbiamo considerare che i biomi antropogenici prodotti dall'interazione umana (colturale e sociale) hanno un’estensione planetaria maggiore di quelli naturali e danno vita a sistemi misti composti da insediamenti umani ed ecosistemi naturali, "mosaici eterogenei". E proprio questi mosaici sono un indicatore visivo. L'Antropocene come una nuova era geologica con impatti fortissimi può portare a pensare o che l'Antropocene ci sia sempre stato o che l'Antropocene sia un punto di rottura di un equilibrio che per secoli avrebbe mantenuto integri gli ecosistemi terrestri. Entrambe negano la natura dinamica del paesaggio, inoltre dati empirici dimostrano che le prime trasformazioni della biosfera terrestre sono retrodatabili alla comparsa delle società agrarie del Neolitico (12000-10000 a.C.). 6 Le modalità delle interazioni tra umani e ecosistemi sono l’incorporazione (che porta a un mosaico di eterogeneità basato sulla compresenza di biomi geogenici e antropogenici) e la sovrascrittura (che porta a un paesaggio in cui viene meno la continuità con il passato). Teoricamente può essere considerato un paesaggio dell'Antropocene solo quello totalmente sovrascritto. Appunti per un repertorio essenziale di paesaggi antropocenici: il paesaggio testimonianza dell’Antropocene costituisce un'icona riconoscibile dei cambiamenti intervenuti sui processi biogeofisici ed è un punto di partenza per la ricerca. Esempi di paesaggi antropocenici possono essere i paesaggi a carattere urbano ambientale (una favela a Rio de Janeiro, Brasile, la più grande del Brasile, composta da comunità isolate e complexos più grandi, è costituita da un numero totale di 1.019 favelas con una popolazione di 60.000 abitanti dei quali un terzo vive sotto la soglia di povertà e con bande delinquenziali) oppure i paesaggi di monoculture biotiche adibite al trattamento della materia vivente con funzioni di approvvigionamento alimentare (Feedlots in America per soddisfare l'enorme richiesta di carne si produce in modo non sostenibile e che risulta essere una delle cause del cambiamento climatico per l'eccessivo consumo di energia da fonti fossili, di acqua, di sostanze di sintesi e mangimi a base di cereali) oppure i paesaggi di monocolture abiotiche adibite al trattamento di materia inanimata (la centrale elettrica a carbone a Rogowiec, Polonia, causa del 30% delle emissioni di mercurio in Europa e di carbone). Serie di immagini Paesaggi antropogenici e paesi metabolici, quale storia quale futuro?: pilastri dell’antropocene sono sia le megalopoli che le monocolture che colonizzano la biosfera tramite la tecnosfera a partire dalla rivoluzione industriale (non si è considerato il prezzo da pagare). L’obiettivo dello studio non è demolire le attività industriali ma renderle compatibili con i sistemi viventi. Attualmente da una parte avviene una tecnificazione del paesaggio, dall’altra una vitalizzazione. Piuttosto di uno sviluppo regionale sarebbe bene eettuare una rifondazione dei luoghi come beni comuni ma attualmente stiamo assistendo al deterioramento del progetto moderno di ripristino. 3. Educare (geograficamente) all’Antropocene. Una proposta di agenda a partire dalla Carta internazionale sull’educazione geografica di Puttilli Come abitare il mondo oggi? La sfida educativa dell’antropocene: come notato da Pawson il concetto di antropocene si è diuso ovunque e in ogni ambito oltre alla geografia, ma questo lo rende un “termine ombrello” indefinito che riporta l’attenzione su cosa significhi abitare un mondo nel quale l’uomo attua trasformazioni. È un risveglio della coscienza. L’antropocene nella carta internazionale sull’educazione geografica: 7 1. L’antropocene con massiccia influenza antropica iniziato con la rivoluzione industriale 2. Il paleoantropocene dalla rivoluzione agricola alla rivoluzione industriale 3. Una fase precedente senza influenza umana Anche dal punto di vista spaziale il fenomeno è particolarmente esteso perché ogni emissione di gas locale va nel bilancio energetico globale ed è causato da numerosi fattori. Il cambiamento climatico: la retorica negazionista aumenta ma l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), che ha il compito di valutare le informazioni scientifiche rilevanti sui cambiamenti climatici, nell’ultimo rapporto aerma che il riscaldamento della terra è inequivocabile. Il riscaldamento climatico (lo spostamento del sistema climatico dall’equilibrio iniziale a uno con temperatura dierente) può verificarsi per cause naturali (cambiamenti di energia solare, variazioni dell’orbita, meteoriti) o antropiche (con maggior incidenza e sono soprattutto emissioni di gas e cambiamenti dell’uso del suolo). I gas serra sono in grado di trattenere la radiazione infrarossa in uscita dalla Terra, trattenendo il calore all’interno, come il biossido di carbonio (aumentato del 49% dalla rivoluzione industriale a causa dei combustibili fossili), metano (aumentato del 158% dalle aree umide degradate), protossido di azoto (aumentato del 23% dai terreni ricoperti di vegetazione dalla lavorazione agricola dei campi). Esiste un grande divario emissivo tra gli Stati: quelli a più basso reddito mostrano emissioni dai settori agricolo e forestale, gli altri hanno emissioni elevate per la produzione di energia e trasporti. Le politiche per il cambiamento climatico: vi sono due tipi di politiche, di mitigazione (eliminare le cause del riscaldamento globale) e di adattamento (limitarne gli eetti), in cinque periodi chiave: 1. Nel 1988 viene istituito l’IPCC e nel 1992 viene adottata la UNFCCC per stabilizzare le concentrazioni dei gas serra nell'atmosfera ed escludere qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico. Viene introdotto un principio di equità legato alle responsabilità, che sono comuni, ma dierenziate e alle capacità di intervento dei singoli paesi. 2. Nel 1997 si giunge al Protocollo di Kyoto con limitazioni per i paesi industrializzati, non per quelli in via di sviluppo, che devono impegnarsi a riportare le proprie emissioni a livelli del 1990 e a mantenerle tali per il quinquennio 2008-2012. 3. Post-Kyoto, si ha una fase di crisi e transizione diventando meno vincolanti con impegni a base volontaria da parte dei singoli Stati, aumentando il peso degli attori subnazionali. 4. L’accordo di Parigi nel 2015 per mantenere il riscaldamento planetario entro il limite massimo dei 2 C°(o 1.5 C°) sostiene che i paesi sviluppati dovranno dalla stabilizzazione alla riduzione delle emissioni, e i paesi in via di sviluppo dovranno 10 cercare di ridurre le proprie emissioni. L'accordo prevede che ogni paese autodefinisca i propri target di riduzione, con un meccanismo di obiettivi crescenti. Prevede inoltre una serie di revisioni con cadenza periodica. 5. Implementazioni future, viste successivamente. L’adattamento al cambiamento appare nella UNFCCC ed è inteso come processo dinamico per rispondere ai cambiamenti dovuti al clima, alle tecnologie, all’economia. Le molte risposte dipendono dalla molteplicità degli enti coinvolti e hanno importanza sia quelli governativi che non Le future azioni di mitigazione, come fermare il riscaldamento globale?: l’IPCC sostiene che gli impegni volontari dei paesi siano insucienti per mantenere l’innalzamento della temperatura ma al contempo sa che servirebbero trasformazioni senza precedenti per restare a 1.5 gradi. Ci sono due strade per porre un freno: con politiche di mitigazione tradizionali (ridurre le emissioni, senza eetti collaterali per l’ambiente ma con danni in altri settori) o modificare alcuni aspetti del funzionamento climatico (carbon dioxide removal: tecniche che limitano il riscaldamento tramite la sottrazione di CO2 dall’atmosfera; oppure solar radiation modification). La prima (carbon dioxide removal) usa “emissioni negative” come la riforestazione, il sequestro di carbonio dal suolo, l’ampliamento dei processi naturali di acquisizione di anidride, l’aggiungere nutrienti all’oceano, l’immagazzinare anidride nel sottosuolo; ma sono prototipi poco sviluppati e molto dispendiosi. La seconda vuole ridurre la luce solare che arriva alla terra con iniezione nella stratosfera di anidride solforosa (può danneggiare le precipitazioni), rendere più riflettenti le nuvole marine, ridurre la capacità delle nubi alte di produrre eetto serra; ritenute fattibili solo in teoria. Conclusioni, verso una nuova fase dell’antropocene o verso una sua riconferma?: ci sono tre possibili evoluzioni umane: si può prendere in considerazione il cambiamento e agire in modo poco ecace e lento; si può agire drasticamente dando inizio a una nuova sotto-era geologica di consapevolezza umana; si possono sperimentare le vie alternative dando inizio a un’altra sotto-era. 6. Le migrazioni e l’Antropocene di Amato Centralità delle migrazioni internazionali: dopo la crisi dei rifugiati nel 2015 le migrazioni internazionali hanno assunto centralità sui media soprattutto nei paesi occidentali. Dal 2010 le politiche migratorie sono mutate per cause economiche (le primavere arabe) diventando un fenomeno prevalentemente intercontinentale distribuito dierentemente sul globo. Va ricordato che alla base della specie umana (data dalla capacità di riprodursi e di muoversi/emigrare) e della civilizzazione risiede la migrazione, ma dal 1800 grazie a nuove tecnologie sono aumentate (a inizio 1900 il 5% della popolazione si è mosso: tra 1850 e il 11 1920 c’è stato il più grande movimento di popolazione della storia). Un tema centrale delle migrazioni è la sicurezza degli stati destinatari e soprattutto dei viaggiatori (espressa in impoverimento, violenza, ineguaglianze, negazione dei diritti umani). Disastri ambientali e migrazioni: un ruolo importante è riservato all’accelerazione della mobilità e della tecnologia che influiscono anche sul cambiamento climatico. Ci sono cambiamenti ambientali a insorgenza lenta o rapida ed entrambi possono causare flussi migratori (è poi nata da questi una letteratura catastrofica con scenari distopici) che sono prevalentemente interni. Molte questioni ambientali sono quindi responsabili dello sfollamento e della mobilità. Tra le migrazioni forzate non è semplice riscontrare quelle per cause “naturali” sia per estensione sia per cause e non compaiono nel diritto internazionale della convenzione di Ginevra del 1951 (“rifugiato= chi è perseguitato per razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche”) come rifugiati e alcuni temono che inserendolo venga meno la parte politica/economica/sociale. Secondo un filone minimalista il tema delle migrazioni internazionali dovrebbe essere letto come un fenomeno sociale, economico e geopolitico. Non correla le migrazioni ambientali all’attività antropica; il tema è così complesso che si può leggere anche in demografia per sfuggire alle responsabilità oggettive del degrado ambientale. La naturalizzazione della categoria di antropocene: l’international displacement monitoring centre ha registrato nel 2018 28 milioni di sfollati per conflitti e disastri ambientali (alluvioni, terremoti) soprattutto in Asia orientale e meridionale e si ipotizza un futuro peggioramento (anche al nord). Nel 2014 l’IPCC II ha evidenziato la complessa natura della migrazione ambientale per vari fattori (socioeconomici, di adattamento, cambiamenti climatici) soprattutto interne ai paesi e non tanto internazionali, ma una gran parte non ha la possibilità di muoversi (troppo poveri); la causa è economica e nel capitalocene (il nostro sfruttamento di risorse causa deficit ecologico nelle aree svantaggiate). E allora sono tutti migranti ambientali?: dal 1980 si parla di migrazioni ambientali unendo criticità diverse in una visione deterministica che correla uomo e natura; spesso si guarda alla mobilità internazionale e in modo preoccupato in termini di sicurezza del nord non al degrado del sud benché le migrazioni siano quasi del tutto interne e che l’antropocene sia legato al capitalocene. 7. Immaginari geografici e paesaggi letterari dell’Antropocene di Papotti Gli immaginari geografici nella produzione letteraria trovano un ambito di creazione e da sempre intrattengono un rapporto inserendo il concetto di antropocene nella società contemporanea sia con la presa di coscienza dell’impatto delle attività umane sia sui nuovi compiti della letteratura. Antropocene, geografia, letteratura: 12 Natura e l’inizio dell’era dell’uomo in cui ha più potere ma meno controllo (muovendo uomini e prodotti si muovono anche batteri e virus). L’unica soluzione al disseccamento potrebbe essere una produzione super intensiva di piante resistenti. La produzione di valori, beni o mali, è legata alle nuove condizioni, ai nuovi movimenti e alle nuove attività sulle rovine. Disumani camaleontici, not (only) human anymore: l’ulivo ha fin dall’antichità classica un grande valore (saperlo lavorare è una delle doti di Ulisse nel poema omerico - Penelope aveva proposto ad Ulisse di spostare il letto per la prima notte, solo Ulisse sapeva che era costruito sopra un vecchio ulivo - ed era l’unguento per gli atleti nelle olimpiadi, fonte essenziale della dieta grassa romana) oppure nella cristianità ha un forte valore simbolico, mentre attualmente si dionde un disincanto e un’inconsapevolezza nei confronti della natura. La territorializzazione estetica dell’ulivo ricorda l’episodio della vespa e dell’orchidea sulla vespa fatta da Deleuze e Guattari. Pongono attenzione al concetto di mimesi, che non si può controllare. La vespa vede nelle orchidee una vespa femmina e questa dimensione inconsapevole dà la vita. Ulisse non sa cosa diventerà quando cambia forma, si traveste. Queste porzioni di cultura mediterranea sono legate all’olivo come una forma di deterritorializzazione dell’umano e la forma attuale degli olivi come forma di deterritorializzazione dell’olivo. Conclusioni: la formazione del paesaggio in considerazione si intreccia con meccanismi storici e globalizzati (per esempio l’introduzione del nuovo batterio). Il tentativo di riparazione dei danni provocati mette in luce altre pratiche moderne che apparentemente sembrano scollegate (possono essere connesse dalla promiscuità ovvero dall’avvicinare gli ulivi a piantagioni di ortaggi con braccianti; oppure dal movimento di piante intorno al mondo che non sempre è sicura). 9. Gli uomini e le foreste nell’Antropocene di Zanolin Sul wildwood: a journey through trees Roger Deaking mette in luce una relazione sia biologica che antropica tra uomo e natura evidente soprattutto nelle foreste: per far fronte a esigenze di sostentamento gli esseri umani le hanno sfruttate o li hanno emarginati per costituire aree agricole e urbane. Hanno comunque continuato ad avere un ruolo culturale anche se è diminuito il loro peso economico perché sono connessi all’attività antropica tramite territorializzazione, deterritorializzazione, riterritorializizazione. Cenni teorici sull’antropocene: il termine antropocene è stato proposto da Crutzen e Stoermer nel 2000 ma ha poi più volte cambiato accezione (come anche datazione), soprattutto con gli studi di Zalasiewicz che lo 15 definiscono come l’epoca geologica successiva all’Olocene dando una visione sistematica dei processi prendendo in considerazione soprattutto le foreste. Molti propongono la early anthropogenic hypotesis ovvero che l’antropocene sia iniziato con la rivoluzione a agricola neolitica (ha modificato i gas serra in atmosfera). Le foreste e l’antropocene: con la rivoluzione neolitica l’uomo ha alterato la copertura forestale che 10000 anni fa copriva l’intero globo iniziando il processo di perdita di biodiversità. Smil stima che in 2000 anni l’uomo ha ridotto del 45% la massa vegetale (19% solo negli ultimi 250 anni in corrispondenza all’aumento della superficie agricola anche se non in maniera uniforme). La deforestazione non è però inevitabile e irreversibile come mostrano l’Asia orientale, l’Europa mediterranea e il Nord America (le cause della rinascita delle foreste la troviamo per esempio nel bisogno di nuovo legname), ma gli ecosistemi interni impiegheranno molto tempo per stabilizzarsi (in realtà per molto tempo mondo rurale e boschi hanno convissuto rendendo ora quest’ultimi dipendenti dall’attività antropica anche se devono arontare molte sfide causate dall’uomo). Le foreste pluviali di latifoglie tropicali e subtropicali, l’amazzonia e l’antropocene: secondo il concetto di wilderness, come strumento per sminuire il ruolo svolto dall’uomo nella regione amazzonica fin da tempi assai remoti, l’Amazzonia è stata a lungo descritta come paradiso incontaminato nonostante il persistente interesse per le sue risorse. In realtà geologicamente è dimostrato che la zona ha subito modifiche già nella preistoria ma senza esserne distrutta, quindi è stata definita come una foresta culturale. In realtà è l’insieme di molte foreste che presentano numerose dierenziazioni regionali, unite da alcune piante “oligarchiche” presenti ovunque e che hanno beneficiato della presenza di comunità indigene (risorsa durabile dovuta all’uomo). È stato poi il dominio coloniale a causare la fine dell’equilibrio e la perdita di ecosistemi che nell’ultimo secolo sta aumentando (per esempio il parco nazionale Yasuni in Ecuador). Le foreste di latifoglie e le foreste miste temperate, i boschi europei nell’antropocene: le foreste temperate sono regioni che nell’olocene hanno subito deforestazione ma che attualmente sono in una fase di ri-forestazione. In Europa l’economia è sempre stata molto legata ai boschi rendendo le foreste vergini (solo più in zone boreali e tropicali) molto poche (non vanno confuse con quelle naturali che invece in passato hanno subito attività antropiche). Le foreste vergini sono ecosistemi forestali sviluppati in condizioni naturali, senza l’influenza di attività antropiche (pascolo, raccolta funghi, caccia,..). In Italia no foreste vergini. 1. Ibridazioni, il bosco come elemento del territorio: gli ambienti forestali europei sono quasi del tutto ibridi, ovvero nati dall'interazione tra uomo e natura. Nasce quindi per comprenderli “l’ecologia del paesaggio”. In geografia il legame è implicito nel concetto di ambiente ma bisogna anche notare che il processo di ri-forestazione non 16 è totalmente positivo per la biodiversità. I boschi europei sono considerati come antromi (ovvero biomi che si basano sul rapporto uomo-natura) 2. Narrazioni, il bosco e la rappresentazione del territorio: nella contemporaneità i boschi hanno un valore narrativo. Da sempre hanno un valore culturale, in particolare partendo dal tema della wilderness american di abbandono, e si cerca di estrapolarne la presenza umana (creando una riserva integrale non per nascondere lo sfruttamento ma per evidenziare il valore scientifico). La costituzione di una riserva integrale implica l’impiego concreto dell’uomo nel non intervenire per studiare i meccanismi che regolano i sistemi forestali, per esempio il parco naturale Peneda-Geres sul confine francese e spagnolo, che però risente della linea di forte demarcazione (però dimostra l’invenzione di un valore naturale a scopo politico: creazione di un bosco alpino legato a un processo di identificazione nzionale; si è costruito un simbolo patriottico su cui si è fondato il sentimento nazionale durante la dittatura di Antonio de Oliveira Salazar). Conclusioni: l’antropocene è un problema epistemologico e ontologico ampliandosi rispetto all’iniziale definizione perché consente di comprendere i fenomeni contemporanei. L’antropocene è quindi un problema connesso alla condizione postmoderna attuale ma al contempo la supera riassumendo molte forme di pensiero coniugate con valori etici. 10. L’uomo sta mangiando la terra? Sistemi del cibo nell’Antropocene di Pettenati La produzione di cibo può modificare i processi naturali che regolano gli equilibri biofisici terrestri. Tra i fattori determinanti del cambiamento di epoca ci sono: - crescita delle terre coltivate, - incremento di allevamenti, - stock ittici della pesca, - fertilizzanti. Molti identificano l’inizio dell’era già nell’uso di combustibili fossili durante la rivoluzione industriale, altri ancora con il passaggio all’agricoltura e all’addomesticazione delle piante. Il dibattito attuale si concentra sulla sostenibilità planetaria e sulle relazioni tra società e ambiente. La produzione di cibo verso e nell’antropocene: Pollan nel saggio “Il dilemma dell’onnivoro” parla delle trasformazioni delle grandi pianure dell’ Iowa dopo la diusione della produzione di cereali dal 1950 che ha causato la perdita della prateria come conseguenza della riduzione dello strato di humus. L’agricoltura intensiva in quell'area ha prodotto una trasformazione radicale delle tre componenti della Terra: - litosfera, con la degradazione dei suoli; 17
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