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Geografia e antropocene: uomo, ambiente, educazione, Dispense di Geografia

Riassunto completo e dettagliato del Volume "Geografia e antropocene: uomo, ambiente, educazione" di Cristiano Giorda (2019)

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 30/06/2022

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Scarica Geografia e antropocene: uomo, ambiente, educazione e più Dispense in PDF di Geografia solo su Docsity! PARTE PRIMA: ANTROPOCENE, GEOGRAFIA, EDUCAZIONE GEOGRAFICA Piccolo lessico per una scrittura geografica dell’Antropocene Il campo di studi dell’Antropocene è vastissimo, multidisciplinare. Il concetto di Antropocene non si può incasellare negli schemi e fornisce un punto di vista diverso nel tentativo di generare un sistema di rappresentazioni del mondo che superino la logica cartografica e le dicotomie fra uomo e natura. Il dibattito internazionale rispecchia spesso questa pluralità di visioni. L’Antropocene è guidato da teorie che per altri versi sono del tutto nuove: l’idea dell’uomo come agente geologico, la fine della separazione moderna fra uomo e natura, la conseguente necessità di ragionare in modo ibrido. Alcuni concetti centrali nello studio dell’Antropocene sono: 1) Addomesticazione. La relazione fra l’uomo e la terra passa per il concetto di addomesticazione. La specie umana ha addomesticato gran parte della natura. Ha imparato a controllare il fuoco, a coltivare le piante, ad allevare gli animali, ad ammirare la bellezza della natura o ad avere paura di perderla. L’Antropocene ci invita a trovare nuovi modelli per parlare del rapporto tra l’uomo e la Terra. 2) Cambiamento. Il termine change, cambiamento, è tra quelli che si ripresentano più frequentemente quando si parla di Antropocene. L’Antropocene è il racconto di un impatto che coinvolge luoghi e territori, risorse e politica, spazi e corpi, clima ed economia, ambienti e società. Ogni descrizione geografica, per essere attuale, può solo riguardare dei processi, dei movimenti, delle interazioni. L’Antropocene si basa anche sull’idea di una grande accelerazione: l’impennata nella crescita della concentrazione di anidride carbonica, della crescita della popolazione mondiale e dell’uso di risorse naturali. 3) Capitalocene. Jason Moore sostiene che gran parte della crisi ambientale dell’Antropocene sia il risultato dei modelli di produzione e consumo basato sul capitale. Quindi si sposta l’attenzione dalla geologia alla politica. 4) Clima. La storia dell’umanità è stata influenzata dal clima, con il quale le comunità umane hanno dovuto fare i conti sviluppando adattamenti culturali. La teoria dell’Antropocene riporta i geografi a confrontarsi con le relazioni clima-comunità umane, a ripensare a come interpretare prima l’adattamento, poi l’interazione, infine la reciproca trasformazione. Il clima si sta rivelando uno dei fattori geografici più mutevoli ma anche uno dei più importanti sui processi di territorializzazione. Inoltre, da fattore naturale, sembra possa essere considerato sempre più come un elemento legato agli esiti delle azioni umane. 5) Conflitti. L’Antropocene ci porta a domandarci se i conflitti e le relazioni geopolitiche saranno legate più che nel passato al cambiamento ambientale, al controllo delle risorse naturali, dei movimenti di popolazione, etc. 6) Controllo. L’Antropocene tocca in tanti modi il tema del controllo, del potere e quindi del limite. Da un punto di vista ecologico, sembra affermare che l’uomo ha perso il controllo della natura. Allo stesso tempo però, immagina che le azioni umane possano essere capaci, attraverso il progresso tecnologico e il cambiamento delle coscienze, di porre rimedio ai guai generati. 7) Educazione. L’educazione geografica guarda da tempo con attenzione allo sviluppo sostenibile, alla diversità culturale e ai temi della disuguaglianza e dell’inclusione. L’educazione geografica ci può mostrare cosa accade nelle diverse regioni e come tutto questo genera flussi, reti e interazioni. 8) Energia. L’Antropocene ci stimola a rivedere il ruolo dell’energia nella storia della Terra e del rapporto uomo- ambiente, perché è da questa interazione che possiamo capire cosa sta accadendo oggi al clima come risultato di processi geologici e antropici. 9) Estinzione di massa/biodiversità. L’Antropocene è anche una questione ecologica che raccoglie tutte le emergenze che nascono dall’impatto sulla biodiversità causato dall’azione umana ma anche dalle sue conseguenze. La pressione antropica sugli ambienti terresti spinge i ricercatori ad annunciare che siamo in una fase di grande estinzione di massa di specie viventi. Il processo coevolutivo fra esseri umani e ambiente terrestre ha un impatto sulla biosfera. Elaborare il cambiamento causato dall’estinzione delle specie viventi non può che diventare tema centrale anche nella geografia umana e culturale. 10) Foreste. Se la distribuzione dei boschi fu la prima conquista geografica dell’uomo, la loro distribuzione definitiva ci appare ora come quella che potrebbe anche essere l’ultima di queste conquiste. Ora la geografia deve spiegare gli ambienti e l’ambiente non è più una cosa naturale ma il risultato di interazioni con l’uomo e di cambiamenti che stanno diventando ogni giorno più evidenti. 11) Ibrido. Frank Raes, identifica gli ibridi in quelle cose che intrecciano natura e uomo in modo inestricabile. Se proviamo a raccontarle dividendole di nuovo tra fatti antropici e fatti naturali esse scompaiono, non le vediamo più. 12) Irreversibilità. È la condizione dei processi ambientali trasformati dall’azione dell’uomo. Ogni tentativo di “ritorno”, ad esempio di rinaturalizzazione, non è mai un ripristino di condizioni precedenti, ma il progetto di un’impronta nuova da dare a un territorio. 13) Luoghi di origine e tempi. 14) Luoghi. Quali luoghi del pianeta simboleggiano oggi l’Antropocene? Il primo luogo è Venezia che ci racconta il legame di una comunità umana con un ambiente fragile, quello di una laguna, nel quale il difficilissimo equilibrio viene minacciato: dall’innalzamento delle acque dei mari, l’impatto dei turisti. Il secondo luogo è Cernobyl dove l’impatto è dovuto dalla presenza dei radionuclidi nel terreno e nelle falde. Il terzo è in Ghana dove si trova la più grande discarica di rifiuti tecnologici del mondo: in questi luoghi estremi finiscono quasi esclusivamente rifiuti prodotti nelle regioni più ricche del mondo spesso smaltiti illegalmente. Il quarto luogo è Dubai, l’insostenibile prodotto della facile ricchezza generata dal petrolio, la risorsa naturale diventata simbolo dell’Antropocene. 15) Narrazioni/date. In geografia l’Antropocene è iniziato prima e fa riferimento alle modifiche dell’ambiente e quindi all’uomo agente modificatore e strutturatore del territorio. 16) Osservatore. L’osservatore interferisce con il mondo e contribuisce alla sua trasformazione. Il contributo consiste nel cercare le tracce dell’Antropocene non solo nelle alterazioni antropogeniche dei cicli geologici ma anche nel cambiamento del mondo con cui osserviamo e rappresentiamo la Terra. Il concetto di Antropocene ci chiede di cambiare il modo in cui consideriamo la nostra posizione di osservatori. La natura è dinamica, in perenne cambiamento, questo cambiamento non è più completamente separabile dall’azione umana. La carta geografica non è mai reale: è piuttosto il disvelamento di un immaginario inconscio con cui pensiamo il mondo e lo trasformiamo. 17) Realtà e fiction. Per alcuni l’Antropocene è un dato di fatto: il sistema terra è oggi completamente alterato dell’azione umana. Per altri l’Antropocene è una fiction, uno storytelling. Per altri, infine, appresenta una conseguenza del capitalismo e della globalizzazione (visione politica). Tutte e tre queste visioni prese singolarmente presentano limiti e pericoli. 18) Territorio/territorializzazione. Problemi diversi legano uomini e ambienti a scale differenti su tutto il pianeta. Il pianeta non è affatto omogeneo e l’ibridazione uomo-ambiente cambia da un posto all’altro. Le parole per delimitare queste diversità sono geografiche: luoghi (termine generico) e territori/sistemi territoriali (termine che focalizza l’attenzione sulla relazione materiale fra uomo e Terra). L’Antropocene ha una dimensione globale ma si differenzia in migliaia di diversi contesti locali: Alaska bruciano le foreste, Alpi si piantano ulivi. Se non possiamo più distinguere completamente l’ambiente dall’uomo, allora non possiamo cambiare il mondo se non agendo all’interno delle strutture con cui le società umane lo hanno modificato e cercano di controllarlo attraverso economia, politica, società e cultura: i territori. 19) Uomo-ambiente. Distinguere ciò che è naturale da ciò che è artificiale è sempre più difficile, in qualche caso impossibile. Se non è possibile distinguere, questa è la fine della natura e anche la fine dell’uomo così come li abbiamo concepiti. Il cambiamento è il prodotto ibrido di un ambiente che comprende l’uomo e di un uomo che agisce in base alla sua conoscenza dell’ambiente. Il paesaggio geografico nell’Antropocene Occuparsi del rapporto tra paesaggio e Antropocene significa accettare come vero il presupposto che individua nel paesaggio un indicatore attendibile delle trasformazioni innescate dalle pratiche di produzione tipiche del capitalismo. Il “paesaggio dell’Antropocene” allude alla nascita ex novo di specifici paesaggi che recherebbero in se i segni della capacità dell’umanità nel plasmare la biosfera terrestre e i suoi processi. Tra le conseguenze osservabili dell’Antropocene vi sono ricadute di tipo paesaggistico. Nel caso in questione ciò che i geografi chiedono al paesaggio è di dare una testimonianza vivamente esemplare di un cambiamento storico epocale. È evidente che una prova di questo tipo può essere fatta solo parzialmente dal paesaggio naturale, ossia attraverso la costruzione di tipi descrittivi basati su fattori di carattere fisico (clima, vegetazione, etc..). è tuttavia soprattutto ai paesaggi antropogenici in quanto mosaici metabolici di biomi di origine geogenica e di biomi di origine antropogenica che dobbiamo guardare se vogliamo assegnare al paesaggio il valore di indicatore visivo di trasformazioni epocali che hanno luogo alla scala globale. Per descrivere in modo univoco la storia della terra, gli scienziati si servono della scala dei tempi geologici che è uno strumento in continuo aggiornamento per effetto dei progressi nella ricerca geologica e la formalizzazione di nuovi nomi e intervalli cronologici. Osservando le unità della scala dei tempi geologici risulta alquanto evidente che la scansione cronologica aumenta progressivamente di dettaglio avvicinandosi al tempo presente. Dal punto di vista geologico noi oggi viviamo nell’Olocene, all’interno del Quaternario, nel Cenozoico. Per convenzione i tempi geologici sono misurati in milioni di anni e la scala inizia dal tempo presente: questo pone problemi di sincronizzazione con la storia umana. Se le suddivisioni della scala dei tempi geologici individuano delle differenze nel funzionamento del sistema terrestre e dei cambiamenti concomitanti nelle forme di vita residenti, vi è un particolare momento della storia in cui il nostro pianeta registra un cambiamento globale per effetto dell’azione umana? Come per ogni suddivisione geocronologica, il riconoscimento dell’Antropocene è subordinato all’individuazione di un limite riconoscibile a scala globale che testimoni il passaggio fra due momenti della storia della terra ben diversi tra loro. Gli studiosi si sono quindi messi a cercare dei segni antropici e la ricerca si è canalizzata in due direttrici: • aspetti evolutivi • aspetti funzionali. Le ricerche hanno confermato la necessità di una sintesi tra le due direttrici per giungere ad una definizione condivisa dell’Antropocene. Da ciò la conseguente convergenza di tutte le discipline delle scienze del sistema terra su un obiettivo comune. Ci sono diverse ipotesi per interpretare il momento e la ragione dell’inizio dell’Antropocene: a) Antropocene precoce: inizia circa 5000 anni fa, con un aumento del metano e della CO2 dovuti alle colture estensive soprattutto di riso; b) Cultura dell’ Antropocene: inizia circa nel 1610 con un calo della CO2 e sbalzi della temperatura; c) Bomba nucleare con un Antropocene che inizia nel 1964 con picchi di radiocarbonio atmosferico. Dal momento che il dualismo tra uomo e natura è presente, un riavvicinamento di geografia fisica e umana è indispensabile per descrivere e interpretate l’impatto dell’uomo sulla natura. Cambiamento climatico e Antropocene: verso una riconferma o una nuova fase? In funzione di come le nostre società reagiranno al cambiamento climatico nei prossimi anni sarà possibile capire se l’umanità stia entrando in una nuova, più positiva fase dell’Antropocene o se si riconfermi esclusivamente come forza distruttrice. Nel 2002 Crutzen rifletteva sul ruolo degli esseri umani nel modellare il pianeta terra. Nella sua analisi proponeva di definire una nuova era geologica chiamata Antropocene e ne fissava l’inizio con la Rivoluzione Industriale considerata causa di numerose modifiche ambientali a scala planetaria. Tra di esse quella di gran lunga più significativa è il riscaldamento globale causato soprattutto da emissioni di gas serra dovute all’utilizzo di combustibili fossili. A questo primo studio sono seguite numerose altre analisi che hanno assunto posizioni diverse circa la determinazione dell’inizio dell’Antropocene. Tra queste proposte c’è quella di Ruddiman che focalizza la propria attenzione sulle variazioni di concentrazione atmosferica dei due più importanti gas serra, metano e biossido di carbonio, nel periodo che va dalla Rivoluzione agricola a quella Industriale. Ne deduce che le attività umane hanno avuto la capacità di influenzare la presenza dei gas serra molto prima della Rivoluzione Industriali, ma già con l’inizio dell’agricoltura e quindi tagliando e bruciando le foreste. Di recente le due ipotesi hanno cercato di conciliarsi proponendo una nuova periodizzazione articolata in tre momenti distinti: I. l’Antropocene viene fatto iniziare con la Rivoluzione Industriale, dal 1850 circa in poi; II. il Paleoantropocene (dalla comparsa dei primi ominidi alla Rivoluzione Industriale) tiene in considerazione le modifiche dei valori di gas serra atmosferici; III. una fase precedente in cui non si riscontra influenza umana. Anche dal punto di vista spaziale il fenomeno si presenta molto esteso: ogni emissione locale di gas climalterante oltre a indurre variazioni a scala regionale influenza il bilancio energetico a scala globale. La comunità scientifica afferma che il riscaldamento del pianta sia inequivocabile. In generale, il cambiamento climatico può essere provocato sia da cause naturali, sia da cause antropiche. Le prime includono cambiamenti della quantità di energia emessa dal Sole, eruzioni vulcaniche etc. ma si è d’accordo sul fatto che queste influenze siano minime e non sono quindi i principali responsabili dell’attuale innalzamento delle temperature. Al contrario, i fattori di origine umana sono le cause dominanti. Tra le più rilevanti ci sono le emissioni di gas serra, le emissioni di aerosol e polveri, i cambiamenti di destinazione d’uso dei suoli. Il ruolo principale è giocato dai gas serra che trattengono i raggi infrarossi del sole in uscita dalla terra trattenendo il calore. Le politiche a contrasto del riscaldamento globale si distinguono in:  politiche di mitigazione = mirano ad eliminare le cause del riscaldamento  politiche di adattamento = mirano a limitare gli effetti delle cause I primi passi sono stati mossi tra la fine degli anni ’80 quando viene istituito l’IPCC e viene adottata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici avente come obiettivo di lungo periodo la stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera. La seconda tappa è quella del Protocollo di Kyoto che riprende il concetto di responsabilità comune ma differenziata (alcuni stati di più altri di meno) e impone limitazioni alle emissioni solo ai paesi industrializzati. La terza fase è quella post-Kyoto caratterizzata da un forte rallentamento dell’azione sul fronte della mitigazione. In questa fase di crisi emergono alcuni importanti limiti del protocollo di Kyoto e gli sforzi politici e diplomatici si spostano verso un approccio meno vincolante, su base volontaria. La quarta fase è quella dell’Accordo di Parigi che ha l’obiettivo dichiarato di mantenere il riscaldamento planetario entro il limite massimo dei 2°C. Non vi sono però più obblighi di riduzione delle emissioni ne target prefissati. I paesi autodefiniscono in modo volontario i propri target di riduzione delle emissioni. La quinta fase riguarda le possibili implementazioni future. Accanto alle politiche di mitigazione si stanno sviluppando anche quelle di adattamento al cambiamento. Adattamento inteso come un processo dinamico in cui le società rispondono continuamente a cambiamenti di varia natura. Diversi studi scientifici sostengono che gli impegni di tipo volontario presi dai singoli paesi in base all’Accordo di Parigi non sono sufficienti a mantenere la temperatura al di sotto dei 2°C. Si aprono quindi due possibili strade per riuscire a fronteggiare il riscaldamento globale prima che sia troppo tardi: ✓ politiche di mitigazione tradizionali che devono però mettere in campo azioni realmente efficaci; ✓ soluzioni ad alto contenuto tecnologico che si dividono in due categorie: − carbon dioxide removal → puntano al sequestro del biossido di carbonio presente nell’atmosfera − solar radiation modification → punta a modificare le radiazioni in entrata e uscita dalla terra. Entrambe queste categorie sono molto pericolose. Ci sono tre diverse possibilità di evoluzione del cambiamento climatico: 1. riduzione di emissioni progressive lente o quasi nulle (business as usual) che portano a un intervallo di stime di riscaldamento superiori ai 2°C. Si tratta di livelli così elevati da provocare impatti sui sistemi fisici, ecologici e socioeconomici difficilmente immaginabili a partire dalle condizioni odierne 2. l’umanità opta per una forte e immediata accelerazione delle attuali politiche di mitigazione che portano ad una veloce diminuzione delle emissioni di gas serra 3. un massiccio ricorso alle metodologie di geoingegneria precedentemente illustrate. In questa prospettiva, lo scenario del business as usual può essere visto come una riconferma delle dinamiche che hanno portato alla definizione dell’Antropocene in cui il ruolo giocato agli esseri umani è quello di una forza geologica in grado di indurre cambiamenti drammatici. La seconda ipotesi è portatrice di speranza. L’ultimo scenario pone grandi interrogativi di interpretazione. I prossimi decenni diranno se gli esseri umani saranno in grado di arricchire la propria storia entrando in una nuova fase geologica o se al contrario ripeteranno con maggiore potenza e velocità gli stessi errori. Le migrazioni e l’Antropocene L’ultimo decennio ha visto la trasformazione significativa delle dinamiche migratorie a causa di molteplici fattori: es. crisi economica del 2008, Primavere arabe, etc. La scacchiera dei conflitti si alimenta sempre e non è da dimenticare la fragilità sociale ed economica dei paesi del Sud. Il ruolo delle migrazioni è sempre stato rilevante nella storia della presenza umana sulla superficie terrestre. Senza migrazioni non avremmo avuto la civilizzazione e il conseguente impatto sulla superficie terrestre sempre più rilevante. La connessione cui si guarda è tra il cambiamento climatico e le migrazioni. Un filone di studi molto accreditato ritiene che i principali fattori ambientali che possono causare spostamenti e diventeranno più significativi nei prossimi anni a causa del cambiamento climatico sono la maggiore potenza e frequenza di tempeste e inondazioni, siccità e desertificazione e innalzamento del livello del mare. Non è tuttavia compito agevole individuare, misurare e classificare le migrazioni per cause naturali aggiungendosi alle altre macrocategorie di migrazioni forzate correlate a guerre, conflitti, disastri e calamità naturali. Spesso si parla delle vittime di questi eventi come di profughi ambientali. Le criticità ambientali non sono in discussione e i rischi del riscaldamento globale sono suffragati da riflessioni scientifiche, l’attenzione e i distinguo sono piuttosto puntati sugli effetti e sulla localizzazione degli eventi. Milioni di persone sono state costrette a spostarsi per eventi metereologici estremi. Tra le cause che costringono famiglie e comunità ad abbandonare le proprie abitazioni vi sono soprattutto tempeste e alluvioni. Inoltre, l’IPCC prevede un aumento dello sfollamento di persone e definisce le regioni del mondo più colpite dai cambiamenti climatici: l’Artico, l’Africa a causa dei forti effetti previsti dal cambiamento climatico. La pluralità di cause delle migrazioni del XXI secolo ci pone dunque domande sui temi sociali ed economici oltre che ambientali, sollecitando le relazioni tra Nord e Sud del mondo. Il dibattito sul rapporto tra cambiamenti climatici e migrazioni è iniziato già negli anni Ottanta del secolo scorso benché le sue radici risalgano a molto prima. Generalmente si guarda alle migrazioni come ad un problema e ai migranti e richiedenti asilo come una minaccia. Immaginari geografici e paesaggi letterari dell’Antropocene La letteratura dell’Antropocene è una produzione letteraria che incorpora una riflessione legata al ruolo assunto dalla specie umana non soltanto nel delineare le proprie condizioni di vita sul pianeta, ma anche nel condizionare la presenza di altre forme viventi, sia animali sia vegetali. La letteratura è infatti in grado di illuminare le modalità con le quali l’impatto delle attività umane sull’ambiente viene percepito, pensato e descritto nella produzione sociale. La fonte letteraria può risultare assai utile per la comprensione del concetto di Antropocene e per esemplificare la complessità delle implicazioni sociali, politiche e culturali. L’utilizzo congiunto di pagine narrative e di testi saggistici sembra dunque costituire un promettente strumento di comunicazione riguardo alla complessità delle questioni in gioco nella discussione su queste tematiche. Attraverso il coinvolgimento di testi letterari, si crede sia possibile fornire un ampliato repertorio di immagini, informazioni e contesti ma anche proporre uno sguardo critico in grado di leggere con attenzione i processi in corso, di decodificarli, di analizzarli, in una crescita di consapevolezza che appare eticamente doverosa. PARTE SECONDA: CASI E LUOGHI DELLA GEOGRAFIA DELL’Antropocene Analizziamo la proliferazione del batterio Xylella fastidiosa in Puglia come manifestazione di alcuni caratteri fondamentali del dibattito attorno all’Antropocene. Essendo l’Antropocene un concetto inevitabilmente molto generale e generalizzante. L’esercizio è quello di confrontare i caratteri dell’Antropocene con il caso pugliese. Le figure dell’Antropocene da considerare sono tre: 1) piantagione 2) ibrido 3) politiche del non umano PIANTAGIONE → In Puglia l’olivo caratterizza l’economia, l’identità le tradizioni e permea moltissime altre forme di vita sociale e della storia. La piantagione ci porta nell’intersezione tra il disciplinamento delle persone e quello delle piante. Il sistema di piantagione accelera il tempo di una generazione. Semplifica e prepara il campo per la vasta proliferazione di alcuni e l’eliminazione di altri. Dipende veramente da intense forme di schiavitù lavorative includendo il lavoro schiavizzato delle macchine, delle persone e dei non umani (batteri, piante, animali). La domanda è: dobbiamo considerare le distese di olivi in Puglia come piantagioni? A partire dal ‘700 riscontriamo l’interesse da parte di alcuni personaggi illustri nei confronti delle malattie dell’olivo e delle tecniche per incrementare la produzione (defiscalizzazione e riforma fondiaria). L’olivicoltura si inserisce in un sistema sociale che poteva contare sulla manodopera bracciantile come lavoro a bassissimo costo. Da questo punto di vista sembra effettivamente che in questo periodo storico si possa parlare di piantagione. Ma a distanza di quasi tre secoli, la realtà che osserviamo manifesta un carattere spezzato: ‐ coltivazioni biologiche di olio di oliva di altissima qualità ‐ coltivazioni orientate alla vendita di olio per altri fini ‐ campi abbandonati
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