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Geografia e Antropocene. Uomo, ambiente, educazione. C. Giorda., Dispense di Geografia

Riassunto preciso e accurato dell'intero libro, utile per studiare senza acquistare il manuale.

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 06/01/2022

doda
doda 🇮🇹

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Scarica Geografia e Antropocene. Uomo, ambiente, educazione. C. Giorda. e più Dispense in PDF di Geografia solo su Docsity! Geografia e Antropocene Uomo, ambiente, educazione A cura di Cristiano Giorda Prefazione (Gianluca Cuozzo) Parlare di antropocene dal punto di vista della geografia può avere significato a livello disciplinare e nello scambio con altri modi d'indagine. La valutazione dell'impronta degli effetti delle nostre attività sul pianeta non può prescindere dalle discipline che misurano e quantificano gli effetti delle nostre attività sul pianeta, ponendo al centro delle loro ricerche le interazioni tra natura e cultura. Il concetto di “disponibilità-mondo” è una meta-raffigurazione che intende il mondo come una istituzione magica, capace di elargire beni di consumo a getto continuo. Bloch scriveva che in un mondo dove tutto è sempre disponibile sembra sufficiente allungare le mani sulle vetrine per possedere ogni bene e accedere al paradiso in terra. Il pane terreno è sempre alla portata di chi ha una carta di credito. Lo sguardo disciplinato del geografo ci mette nella condizione di intendere l'entità di ciò che oscura il paesaggio offerto dal mondo in cui viviamo, operiamo e costruiamo i nostri modelli di interpretazione del reale. Occorre confrontarsi costantemente con dati, rilievi e misurazioni. Lo sguardo della geografia deve essere il banco di prova scientifico per parlare con plausibilità e senso critico di global warming, innalzamento dei mari, destino del genere umano e cambiamenti globali e inarrestabili. Senza un'alleanza tra discipline umanistiche, scienze dure e tecnologia ciò che chiamiamo crisi ecologica sarebbe rimasta un concetto sfuggente e inefficace sui nostri comportamenti. Geografia e Antropocene: un'introduzione (di Cristiano Giorda e Michele Bandiera) 1. La ricerca e gli obiettivi di questa ricerca Due definizioni di Antropocene: — il segno dell'impronta umana sull'ambiente globale; — la prova del sigillo della natura sulla cultura delle società umane. Questo libro nasce con due obiettivi: e Indagare 1’ Antropocene, un concetto il cui successo è in crescita in molti approcci disciplinari e transdisciplinari, dal punto di vista della geografia, sperimentando il suo inserimento negli studi geografici e riflettendo sul contributo della geografia al suo sviluppo. e Capire se il concetto di Antropocene possa in qualche modo cambiare la visione della geografia, interrogandola su come considera e rappresenta il sistema Terra con le relazioni uomo-ambiente e le grandi questioni ecologiche, economiche, sociali e politiche che i suoi studi affrontano. 2. Genesi dell'Antropocene: l'uomo come forza geologica Il concetto di antropocene è stato proposto per la prima volta negli anni Ottanta del Novecento dal biologo Eugene Stoermer. Ebbe poco successo fino agli anni 2000, quando fu impugnato durante un accesa discussione nel corso di una conferenza in Messico, dal premio Nobel Paul Crutzen per marcare l’intensità e la pervasività che l’attività umana aveva nei confronti dei processi biologici terrestri. Da questo momento il termine ha guadagnato progressivo consenso e interesse. Ciò che Crutzen voleva affermare è che la pervasività dell'attività umana nei processi biologici che avvengono sulla Terra e che caratterizzano il pianeta come essere vivente è tale per cui abbiamo bisogno di marcare l'ingresso in una nuova era geologica, caratterizzata dall'attività geo-cronica geo-genetica dell'umanità. La proposta si è dovuta confrontare con la necessità di addurre prove che la rendessero credibile di fronte alla comunità scientifica, considerando che l'accettazione dell'Antropocene come era geologica successiva all'Olofene ne farebbe la più breve era della storia della Terra. Il processo che ufficializza l'entrata in una nuova era geologica richiede il vaglio di varie istituzioni scientifiche della geografia: 1) una raccomandazione formale dell'Anthropocene Working Group; 2) una votazione in maggioranza della Commissione internazionale sulla stratigrafia; 3) una ratificazione dell'Unione internazionale di scienze geografiche. La datazione di questa muova era geologica porta i ricercatori ad esprimere un0interpretazione situata dell'interazione tra specie umana, ambiente globale e modo di produzione capitalistico: e Crutzen e Stoemer identificano le rivoluzioni industriali del 700 e 800 come fondamentali per la possibilità da parte dell’uomo di connaturare la vita della terra, individuando come momento fondamentale l’invenzione della macchina a vapore di Watt nel 1784; è l'esordio dell’agricoltura e dell’allevamento, a dare le basi primordiali di questa modalità di interazione tra vita dell’uomo e vita della terra; e l'incipit di processi di lungo periodo, come l'esordio dell'agricoltura e dell'allevamento, ha dato le basi a questa modalità di interazione tra vita dell'uomo e vita della Terra (Morton), e Antropocene Working Group: fa risalire le origini di questa era alla prima esplosione di una bomba atomica, avvenuta in New Messico nel 1945; e Lewis e Maslin: individuano nel 1610 l’anno in cui una serie di trasformazioni (scoperta dell’ America, rivoluzioni scientifiche, botaniche, cartografiche, agronomiche e chimiche) arrivano a un punto di svolta. L'Antropocene genera un'occasione di incontro tra scienze della natura e umane: — geografia: studio della relazione tra natura e cultura; — antropologia: ha iniziato una diversa considerazione verso il non-umano; — sociologia e studi scientifici/tecnologici: studio della produzione di conoscenza scientifica e sul suo impatto sulle società; — studi sulla globalizzazione e sui cambiamenti climatici si sono ritrovati a leggere i lavori reciproci. L'Antropocene parla dell'umanità come forza geologica. Bisogna fare due considerazioni: 1) Il mondo della natura è quello conoscibile e prevedibile attraverso il metodo delle scienze moderne. I suoi oggetti e soggetti appaiono con contorni ben definiti, che lasciano uno spazio preciso all'indeterminatezza. Il mondo della cultura è caratterizzato da soggetti poco definiti, che sfuggono e cambiano a seconda della contingenza storica e da oggetti malleabili, permeabili mutevoli. Ma se l’umanità produce natura, anche la natura produrrà umanità. In questo contesto la legittimità politica della conoscenza scientifica subisce una forte riconsiderazione. 2) Concettualizzazione dell'umano come specie. I paesi occidentali sono quelli che più hanno contribuito ad alzare il livello di anidride carbonica nell'atmosfera e più ne dovranno pagare il conto. Aspetto geografico della questione: diversi modi regionali di intendere il rapporto tra ambiente e le sue risorse hanno creato diversità e disuguaglianze a scala mondiale. Jason Moore: discorso storico e politico emerso dallo sguardo critico nei confronti dei processi di globalizzazione, che cerca di comprendere dove si generino alcuni processi del presente. Donna Haraway, tra le prime ad aver parlato di capitalocene, considera 1’ Antropocene come una definizione “troppo umana” per indicare un’era geologica caratterizzata da biologie multi specie del “divenire con”. Haraway ha introdotto altre definizioni di questa era geologica: Plantationocene, paradigmatica degli schemi logici a cui sono costretti gli umani e non umani nel mondo; o Chthulucene, per ritornare a considerare la Terra come ctonia, con le sue entità cosmiche composte di assemblaggi multispecie passati, presenti e futuri. Latour riporta l'attenzione sull'agency nell'Antropocene: come cambiano il registro politico e la definizione dell'azione politica quando si presenta una nuova scala di azione dell'umano, oltre alla quotidianità e alla governamentalità e nello stato di diritto. Chakrabary: l'umano è prodotto nella sua forma onto-esistenziale e in quella normativa politica, entrambe categorie di cui ha esperienza. Gli interrogativi sulla sopravvivenza della specie a scala globale inseriscono una categoria dell'umano in quanto forza geofisica di cui nessun umano può avere esperienza. La forza geofisica non ha soggetto né oggetto; una forza è la capacità di muovere le cose, è azione non ontologica. Se Parte Prima. Antropocene, geografia, educazione geografica Capitolo 1. Piccolo lessico per una scrittura geografica dell'antropocene (di Cristiano Giorda) 1.1 Se una notte d'inverno un geografo nell'Antropocene Il campo di studi dell'Anthropocene è vasto, multidisciplinare e transdisciplinare, scientifico, teorico e operativo. Spesso però si suddivide in varie posizioni, interpretazioni e discussioni, nessuna capace di soddisfare le diverse domande che si pongono. Vengono qui definiti i concetti legati all'Antropocene che possono essere introdotti e ripensati dal punto di vista geografico. 1.2 Addomesticazione (domesticazione) Il rapporto tra uomo e Terra passa per il concetto di addomesticazione. Il geografo percepisce i luoghi e le popolazioni che li abitano. Il senso del luogo è fatto di vissuti, di sogni, di sentimenti e di persone. Il paesaggio è uno spazio geografico che include l'uomo come attore, spettatore, fruitore e trasformatore. L'uomo ha addomesticato gran parte della natura ed ora ha paura di perderla, di non saperla proteggere, di metterla in pericolo. L’Antropocene ci invita a trovare nuovi modelli per parlare del rapporto tra l’uomo e la Terra, e probabilmente avremo bisogno di capire se nel processo di addomesticazione abbiamo sbagliato qualcosa, perché siamo stati così deboli nell’avere cura di qualcosa che nel frattempo era divenuta parte di noi, e ci aveva a sua volta addomesticati. 1.3 Cambiamento Change è un termine che si usa molto quando si parla di Antropocene: global change, a changing planet, drivers of change, responding to change, ecc. L’Antropocene è il racconto di un impatto che coinvolge luoghi e territori, risorse e politica, clima ed economia, ambienti e società che stanno cambiando. Ogni descrizione geografica attuale può solo riguardare processi, movimenti e interazioni. Due parole sono importanti: crisi, challenge (sfida) e velocità: 1 Antropocene si basa anche sull’idea di una grande accelerazione, dimostrata attraverso grafici che registrano l’impennata nella crescita della concentrazione di anidride carbonica, della crescita della popolazione mondiale e dell'uso delle risorse naturali. Per la geografia l'implicazione di queste parole riguarda i cambiamenti a scale intermedie e locali, come le regioni, i sistemi territoriali e i singoli luoghi. Il cambiamento globale è frammentato in mosaici regionali che pochi conoscono davvero. 1.4 Capitalocene Un'idea di Jason W. Moore sostiene che gran parte della crisi ambientale sia il risultato dei modelli di produzione e consumo basati sul capitale. Il concetto è neomarxista, neomalthusiano, radical e risente delle posizioni di David Harvey su globalizzazione e accumulazione di capitale. Moore fa il tentativo di pensare la crisi ecologica e dare maggiore risalto alla dialettica fra natura e società piuttosto che a quella tra natura e uomo. Un modo per spostare l'attenzione dalla geologia alla politica. 1.5 Clima La storia dell’umanità è stata influenzata dal clima, con il quale le comunità umane hanno dovuto fare i conti sviluppando adattamenti culturali e tecnologie in grado di migliorare la propria esistenza. L'Antropocene, fondandosi sulla cronologia geologica, ha ricordato a tutti che a connotare l'Olocene è stato soprattutto il clima, grazie ad una fase interglaciale tale da sviluppare condizioni favorevoli alla specie umana. L'Olocene inizia 11 700 anni fa e contiene la fase di domesticazione di piante e animali, l'invenzione delle città, l'esplosione demografica e lo sfruttamento dei combustibili fossili per l'energia. La teoria dell’ Antropocene riporta i geografi a confrontarsi con le relazioni clima-comunità umane, a ripensare a come interpretare prima l’adattamento, poi l’interazione, infine la reciproca trasformazione. Il clima si sta rivelando uno dei fattori geografici più mutevoli, ma anche uno dei più impattanti sui processi di territorializzazione. Inoltre, sembra possa essere considerato sempre più come un elemento legato agli esiti delle azioni umane. 1.6 Conflitti Gli studi sull'Antropocene, anche quando parlano di politica, trascurano la geopolitica e la geografia politica (tra le poche eccezioni troviamo Dalby), confrontandosi sugli aspetti biopolitici. Eppure sembra un buon campo per i geografi, se i conflitti e le relazioni geopolitiche saranno sempre più legate al cambiamento ambientale, al controllo delle risorse naturali, dei movimenti di popolazione e delle stesse nel caso in cui diano inizio a rivolte e rivoluzioni causate dai processi centrali nell'Antropocene. 1.7 Controllo L'Antropocene tocca i temi del controllo, del potere e del limite. Dal punto di vista ecologico sembra dire che l'uomo ha perso il controllo della natura, o meglio ha perso la credenza di poter controllare i suoi processi a proprio vantaggio. Allo stesso tempo immagina che le azioni umane possano essere capaci (col progresso) di porre rimedio ai guai generati, tornando alla fiducia nella possibilità di controllare la natura, attraverso la sua umanizzazione. 1.8 Educazione L'educazione geografica guarda allo sviluppo sostenibile, alla diversità culturale e ai temi della disuguaglianza e inclusione. Pensare geograficamente l'Antropocene passa dalla capacità di territorializzarlo, con riferimenti spaziali, a scale regionali a luoghi, sistemi territoriali, popoli e culture. L’Antropocene va oltre la globalizzazione, anche se i due fenomeni hanno molti punti di contatto e l’educazione geografica: — ci può mostrare cosa accade nelle diverse regioni e come tutto questo genera flussi, reti e interazioni; — orienta al futuro inteso come progetto per abitare il pianeta; — stimola azioni di cittadinanza attiva e si rivolge alle nuove generazioni lasciando la porta aperta alla speranza. 1.9 Energia Per la geografia l’energia è stata la fonte da ottenere in abbondanza e a buon mercato per sviluppare l’industria e le attività umane. Il problema dell’accaparramento delle fonti energetiche si collegava a problemi geopolitici, commerciali e di possibile esaurimento delle risorse. L'Antropocene ci stimola a rivedere il ruolo dell'energia nella storia della Terra e nel rapporto uomo-ambiente: da questa interazione capiamo ciò che accade al clima come risultato dei processi geologici e antropici. Tutta la vita sul pianeta è legata ai processi di trasformazione dell'energia. I combustibili fossili sono energia solare trasformata con la fotosintesi in materia organica e imprigionata nel sottosuolo sotto forma di gas, carbone e petrolio. I processi di territorializzazione e popolamento del pianeta degli ultimi due secoli si basano in modo sempre crescente su carbone e petrolio. Oggi, la liberazione di energia liberata dai combustibili fossili è la causa del cambiamento del clima; questo processo genera impatti nell'ambiente, nella società, nell'economia, politica e cultura. Se il cambiamento climatico modella il territorio e le società umane, dovremo fare attenzione al ruolo dell'energia in tutto questo. Anche se dovessimo riuscire a imparare a ottenere direttamente dal sole e dal vento la gran parte dell’energia, sarà ancora una questione legata alla trasformazione dell’energia ad aver rivoluzionato l’organizzazione dei territori e il rapporto fra società umane e ambiente terrestre. 1.10 Estinzione di massa/biodiversità L’Antropocene è anche una questione ecologica che raccoglie tutte le emergenze che nascono dall’impatto sulla biodiversità causato non solo dall’azione umana ma anche dalle sue conseguenze, tra cui il cambiamento climatico. Oggi ci troviamo di fronte ad un'estinzione senza precedenti negli ultimi 65 milioni di anni; questa è correlata alla globalizzazione, alla crescita demografica, all'urbanizzazione e allo sfruttamento delle risorse naturali, alle decisioni politiche per la conservazione degli habitat, ai modelli culturali con cui ci rapportiamo all'ambiente. Il tema dell'estinzione delle specie viventi diventa centrale nel rapporto uomo-ambiente. La scomparsa delle specie ci interroga sulla genesi, sul ruolo e sull'importanza della diversità umana nello spazio geografico come espressione di processi locali e globali di interazione e trasformazione tra specie umana e ambiente terrestre. La distinzione tra geografia fisica e umana appare ora superata. Elaborare il cambiamento causato dall'estinzione delle specie viventi può avere un ruolo centrale anche nella geografia umana e culturale quando si cercherà di ragionare di diversità e disuguaglianze, economia e risorse, paesaggio e percezione, senso del luogo e qualità della vita. 1.11 Foreste G. P. Marsh, scrittore di “Man and nature” (pietra miliare dell'ambientalismo), dedica la sua opera alla superficie terrestre modificata per opera dell'uomo. Esso è stato il primo a comprendere l'estensione dei cambiamenti indotti dall'azione dell'uomo nelle trasformazioni fisiche del globo, mostrando i rischi generati dalla trasformazione dell'ambiente senza un'adeguata conoscenza dei suoi processi e suggerendo che l'azione futura dell'uomo sia più sostenibile. I disboscamenti cambiano il clima e la meteorologia locale, alternando il comportamento delle altre specie, anche quelle coltivate; l'autore si dilunga sul ruolo ecologico delle foreste d'inverno nella regolazione dei cicli idrogeologici. Se la distruzione dei boschi fu la prima conquista geografica dell’uomo, la loro distruzione definitiva ci appare ora come quella che potrebbe anche essere l’ultima di queste conquiste. Pensare il rapporto con le foreste passa per il concetto di ibrido, che ci spiega che le foreste non siano altro che uno dei modi con cui l'interazione dell'uomo con l'ambiente ha prodotto la superficie della Terra com'è ora. Goudie, in “The Human Impact on the Natural Environment: Past, Present and Future”, sviluppa la trattazione intorno all'Antropocene e dedica all'impatto umano sulla vegetazione il secondo capitolo. Goudie spiega il ruolo umano nella creazione e mantenimento della savana, un ambiente che nei manuali scolastici viene descritto come interamente naturale. L'ambiente non può più essere visto come una “cosa” che circonda un soggetto, ma il risultato di interazioni con l'uomo e i cambiamenti che stanno diventando sempre più evidenti. L’Antropocene rappresenta scientificamente, il punto di intersezione fra la storia della terra (della natura) e la storia dell’uomo, cambiando non solo la narrazione delle scienze, ma le basi stesse della loro costituzione moderna 1.12 Ibrido Ibridazione tra natura e cultura. F. Raes identifica gli ibridi come le cose che intrecciano natura e uomo in modo inestricabile; non possono essere divise tra fatti antropici e fatti naturali, altrimenti non sarebbero più visibili. 1.13 Irreversibilità L’irreversibilità è la condizione dei processi ambientali trasformati dall’azione dell’uomo. Cambiano irreversibilmente: — Icicli geochimici; — Ilclima, — Disponibilità delle risorse; — Composizione atmosferica; — Spazio geografico. L'idea di irreversibilità è una presa d'atto: ogni tentativo di rinaturalizzazione non è mai il ripristino di situazioni precedenti, ma una nuova impronta del territorio. 1.14 Luoghi d'origine e tempi Nessun fenomeno è mai completamente globale, almeno non dal suo inizio. Dovremmo dare importanza ai luoghi in cui l'Antropocene ha iniziato ad espandersi. Possiamo identificare l’inizio dell’ Antropocene con la capacità di trasformare in modo irreversibile il paesaggio rendendo impossibile distinguere ciò che è opera umana e ciò che non lo è. Continuando a indagare dal punto di vista spaziale, molti luoghi potrebbero essere i più antichi; la questione dell’origine potrebbe quindi diventare essenzialmente un problema da archeologi. 1.15 Luoghi Per un geografo il racconto dell'Antropocene dovrebbe basarsi sui cambiamenti dei luoghi. L'abbondanza di segni e relazioni è uno dei tratti che rendono i luoghi unici e fondamentali per lo spazio terrestre. Venezia: legame di una comunità umana con un ambiente fragile e unico, quello della laguna, fatto L'equivalente paesaggistico è l'Urlandshaft: paesaggio terrestre primordiale, preumano, non modificato dall’uomo, incontaminato ed omogeneo: ad esempio nelle foreste boreali del Canada, nelle savane del Botswana o nelle aree interne dell’ Australia. Se vogliamo capire qualcosa del rapporto che lega paesaggio e antropocene dobbiamo tenere conto del fatto che: e Rispetto agli ecosistemi naturali non umani, i biomi antropogenici prodotti dall’interazione umana con la biosfera hanno un’estensione planetaria decisamente maggiore; eI biomi antropogenici danno vita a sistemi misti composti da insediamenti umani ed ecosistemi naturali, foreste, campi. Il paesaggio ha la funzione di indicatore visivo di trasformazioni epocali che hanno luogo su scala globale: all'interno delle sue combinazioni di varietà differenti che si svolgono le interazioni tra esseri umani ed ecosistemi terrestri. Pensare all'Antropocene come una nuova era geologica che ha ricadute sul paesaggio permette di evitare due estreme posizioni: e L’idea che fa dell’ Antropocene qualcosa che è sempre stato, un tratto che caratterizza la storia umana fin dai primi passi dell'uomo sulla Terra; e L’idea che 1’ Antropocene consista nella rottura di un equilibrio che per secoli avrebbe conservato intatti gli ecosistemi terrestri. Entrambe le visioni negano il carattere storico, socialmente costruito, del paesaggio, dunque la sua natura dinamica in continuo divenire e la differenza che intercorre tra schemi metabolici e non metabolici di organizzazione e governo del territorio. La maggior parte della biosfera terrestre è stata rimodellata storicamente in maniera permanente dalle interazioni dirette tra gli esseri umani e l'ecosistema. E' un fenomeno che nasce con il Neolitico. Il passaggio successivo consiste nel vagliare natura e qualità di queste interazioni. Bisogna ricordare le due modalità con cui le società esercitano la facoltà di ricordare, cioè l'incorporazione e la sovrascrittura. La sua applicazione al paesaggio permette di parlare di paesaggio incorporato, basato sulla copresenza e interazione metabolica di biomi geogenici e antropogenici e di un paesaggio sovrascritto, in cui la continuità col passato è interrotta e la varietà di usi differenti del suolo viene meno. 2.2 Appunti per un repertorio essenziale di paesaggi antropogenici Chiedere al paesaggio di dare testimonianza dell'Antropocene vuol dire dare forma, visibilità e concretezza alle trasformazioni innescate sugli ecosistemi terrestri dall'attuale modo di produzione del mondo. Il paesaggio diviene un indice capace di tradurre una serie di processi ad alta complessità in un'icona riconoscibile. Il dispositivo paesaggistico è che è capace come pochi altri di mettere letteralmente “sotto gli occhi” i cambiamenti intervenuti sui processi biogeofisici. La traduzione in termini paesaggistici dell'Antropocene non può esaurire la problematizzazione e varie immagini più o meno efficaci non riescono a chiudere il discorso. Per Humboldt il paesaggio costituisce il primo momento della conoscenza scientifica, fondamentale per catturare la nostra attenzione e aprire un orizzonte di ricerca. Ci sono diversi modelli o tipologie paesaggistiche-territoriali con specifici processi di modellamento e produzione dello spazio terrestre che possono essere considerati tipicamente antropocenici. Eccone degli esempi: Gruppo 1: paesaggi a carattere urbano-industriale con megalopoli, metropoli e altre strutture insediative. Il Cairo, Egitto: è la città più inquinata al mondo. Rio da Janeiro, Brasile: nelle favelas vivono più di undici milioni di persone; il territorio è sotto il controllo di bande delinquenti dedite al traffico di droga. Gruppo 2: paesaggi di monoculture biotiche adibite al trattamento della materia vivente, con funzioni di approvvigionamento alimentare. Andalusia, Spagna: vi è la più grande concentrazione di serre del mondo. Studi hanno rivelato la scarsa sostenibilità sociale di questa struttura: molti lavoratori sono immigrati che vengono assunti senza contratto e senza garanzie e alloggiati in baracche senza acqua e servizi igienici. Bakersfield, California: Gli USA sono i primi produttori mondiali di carne bovina. ’USDA ha calcolato che per ogni consumatore medio americano servono 222,2 kg annui tra carne bovina e pollame. Ciò comporta un consumo eccessivo di energia e sfruttamento massiccio di suolo. Gruppo 3: paesaggi di monoculture abiotiche, adibite al trattamento di materia inanimata. Alberta, Canada: per estrarre le sabbie bituminose la terra è stata scavata per oltre 60 metri di profondità. Rispetto agli idrocarburi convenzionali questo processo richiede un maggior apporto di energia e di acqua. L'impatto ambientale è molto forte, con alti tassi di malattie tra gli abitanti del luogo. Konin, Polonia: le centrali elettriche a carbone polacche e tedesche occupano i primi sei posti nella classifica di quelle più inquinanti e sono responsabili del 30% delle emissioni di mercurio in Europa. Il carbone è il combustibile più inquinante e dannoso per la salute, è la prima fonte di emissioni di anidride carbonica che riscaldano l’atmosfera. 2.3 Paesaggi antropocenici e paesaggi metabolici: quale storia, quale futuro? L’Antropocene trova le sue fondamenta spaziali nelle megalopoli e nelle monoculture. La colonizzazione della biosfera da parte della tecnosfera è avvenuta, almeno dalla Rivoluzione Industriale, con modalità agonistiche e antagonistiche, che si sono ripercorse sul paesaggio. Sono stati prodotti sistemi di utilizzo dell'ambiente globale con conseguenze che si manifestano in concomitanza col riconoscimento dei caratteri antropocenici del mondo attuale. Oggi tutto accade come se ci fossero due tendenze antitetiche e mutualmente esclusive: 1) prosecuzione della tecnificazione del paesaggio alimentata dalle esigenze di crescita economica e tecnologica; 2) emerge una logica di vitalizzazione, cioè la ricerca di un agire sociale che miri a soddisfare i bisogni degli esseri umani, preservando i sistemi naturali che lo sostengono. In cosa può consistere un agire territoriale lungimirante? Occorre soffermarsi sulla diversità che caratterizza le località in cui i residenti manifestano slanci verso il recupero di territori viventi sotto molti profili. Confrontarsi con le diverse configurazioni dell'Antropocene vuol dire tenere conto delle crisi globali collegate alla deterritorializzazione o dissoluzione dei luoghi, con il concorso di altri elementi problematici. Capitolo 3. Educare (geograficamente) all'Antropocene. Una proposta di agenda a partire dalla Carta Internazionale sull'Educazione Geografica (Matteo Puttilli) 3.1 Come abitare il mondo oggi? La sfida educativa dell'Antropocene Il concetto di Antropocene non è più una novità, ma esiste ormai un universo di progetti e iniziative artistiche e culturali che alimenta e afferma il dibattito sul tema. Discutere di Antropocene oggi significa confrontarsi con un universo di opinioni e di riflessioni di natura multidisciplinare che hanno già esplorato ampiamente i principali limiti e potenzialità. Il concetto di Antropocene è per lo più un termine-ombrello o parola chiave, in cui si ritrovano diverse letture del complesso rapporto uomo-ambiente. La sfida posta dal concetto di Antropocene si definisce nei termini di una provocazione culturale che riporta al centro dell'attenzione la domanda su cosa voglia dire abitare un mondo in cui l'uomo partecipa alle trasformazioni del pianeta, con implicazioni etiche, politiche, sociali, economiche e ambientali. La geografia offre un contributo nell’educare all’ Antropocene, vale a dire per formare soggetti consapevoli delle ripercussioni globali e trasversali delle azioni umane e per responsabilizzarli nei confronti del pianeta. 3.2 L'Antropocene nella Carta Internazionale sull'Educazione Geografica La Carta Internazionale sull’ Educazione Geografica (2016) è un documento internazionale promosso dalla Commissione Geografica dell’Unione Geografica Internazionale (UGI). La carta è un documento d’indirizzo sui temi, sui problemi e sule sfide legate all’educazione geografica nel mondo e rappresenta, pertanto, un fondamentale riferimento anche per una riflessione sull’educazione geografica all’ Antropocene. Per declinare il tema in una prospettiva geografica, troviamo ampi richiami nel paragrafo “IZ contributo della geografia all'educazione”. In queste righe troviamo quattro passaggi chiave che hanno un forte rapporto con l'Antropocene: e Riconoscimento dell'unitarietà di società e ambiente, che operano congiuntamente nella trasformazione della Terra (condizione preliminare e fondativa dell'approccio geografico); e L'azione trasformativa dell’uomo sulla terra non è omogenea né univoca. Si applica in tanti modi diversi quanti sono i luoghi che l'uomo ha contribuito a costruire e trasformare; e Le forme e i modi in cui i luoghi e i paesaggi della terra sono abitati non dipendono soltanto del rapporto con l’ambiente fisico, ma anche dalle relazioni reciproche tra le diverse società e le diverse culture; e Comprendere, capire e apprezzare i modi in cui la terra è abitata e trasformata costituisce la principale missione educativa della geografia, specialmente per la consapevolezza delle conseguenze delle azioni e decisioni umane. La geografia contribuisce al dibattito mettendo in luce come sotto lo stesso termine ricadano problemi di natura diversi e che operano a scala geografica differente. La Carta enfatizza il contributo educativo della geografia nel formare soggetti consapevoli e responsabili, capaci di riflettere sulle conseguenze delle proprie decisioni e in grado di migliorare i propri contesti di vita. Le questioni sollevate dal tema sono talmente vari che non è pensabile che una sola disciplina possa farsene carico in modo esclusivo, ma grazie alla propria flessibilità e trasversalità, la geografia può assumere una collocazione centrale nell’ambito dell’educazione in tal senso. 3.3 Un'Agenda geografica per educare all'Antropocene E' possibile tracciare un'agenda geografica per educare all’ Antropocene, che si articola in quattro principi educativi fondamentali: e Territorializzare 1° Antropocene; ® Personalizzare l’ Antropocene; e Educare al futuro dell’ Antropocene; e Costruire azioni di cittadinanza antropocenica. 3.3.1 Territorializzare l'Antropocene Il discorso sull'Antropocene rischia di essere inefficace se inteso solo in una prospettiva globale e priva di riferimenti spaziali e contestuali che siano in grado di esemplificare tutte le declinazioni possibili del concetto. Il primo compito di un'agenda geografica è quindi la territorializzazione, cioè agganciare il tema a situazioni e casi territorialmente definiti, che facciano vedere ed evidenziare i diversi ordini di problemi posti dal modo in cui il pianeta è abitato e trasformato dall'uomo. L'idea alla base è l'educazione al territorio, cioè la convinzione che nel riferimento al territorio trovino spazio e naturale convergenza le diverse sfide educative della geografia, tra cui l'Antropocene. Fare educazione all’ Antropocene attraverso l’educazione al territorio significa trasmettere la consapevolezza che ogni problema di ordine sociale, ambientale, economico, così come ogni possibile soluzione, ha anche una imprescindibile dimensione geografica e spaziale, di cui tenere conto. Pensare spazialmente significa interrogarsi su dove i fenomeni accadano e su cosa possiamo apprendere da ciò che accade nei diversi contesti territoriali. 3.3.2 Personalizzare l'Antropocene Un rischio legato alla rappresentazione corrente dell’ Antropocene è che i processi e i fenomeni sano percepiti come astratti, freddi e lontani dall’esperienza quotidiana di ognuno di noi o che dipendano da scelte politiche su cui è difficile incidere. Educare geograficamente all’ Antropocene significa anche rendere possibile un’appropriazione dei problemi “antropocenici” su un piano personale e prima di tutto affettivo, emozionale e motivazionale. Con questa personalizzazione è possibile costruire la consapevolezza e la responsabilità verso il pianeta che è uno dei principali obiettivi dell'educazione geografica all'Antropocene. La riflessione sulla “geografia delle emozioni” ha dimostrato che non può esserci conoscenza del mondo senza coinvolgimento emozionale e come le emozioni forniscano un senso al nostro stare al mondo, incluse le relazioni con noi stessi e col mondo. Come sostiene Ann Bartos, per prendersi cura di qualcosa, bisogna occuparsene, interessarsene, averla a cuore. Se non si percepisce un problema come proprio non è possibile farsene carico. E' sufficiente aver preso parte ad un “Fridays for Future” (dal 2018) per rendersi conto della passione e creatività con cui i manifestanti per l'uomo. I risultati dell'indagine possono essere estrapolati per interpretare gli effetti regionali del cambiamento, definito con precisione su area vasta anche grazie all'analisi di serie storiche di dati. Gli inventari e le sintesi regionali possono confluire nelle infrastrutture di dati usate per la modellizzazione dei processi globali e per la ricostruzione di scenari evolutivi a vario termine. La geomorfologia svolge un importante ruolo nella scienza del sistema Terra in quanto fornisce le basi per comprendere la natura delle diverse forme che condizionano l'ambiente superficiale in cui si sviluppa la biosfera e per interpretare a dinamica dei processi superficiali con cui l'uomo vorrebbe interagire in modo sostenibile. 4.2 Cronologia dell'uomo e della natura Per descrivere in modo univoco la storia della Terra, gli scienziati si servono della scala dei tempi geologici prodotta dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia: è uno strumento in continuo aggiornamento, suddiviso in unità geocronologiche che descrivono lo scorrere del tempo in modo coerente per tutto il pianeta. Queste suddivisioni sono materializzate in particolari corpi rocciosi definiti unità cronostratigrafiche, riconoscibili per il loro contenuto e la discontinuità che le delimitano, rendendole correlabili alla scala locale e globale. Osservando le unità della scala dei tempi geologici risulta evidente che la scansione cronologica aumenta progressivamente di dettaglio avvicinandosi al presente. Noi oggi viviamo nell'Olocene, nel Quaternario, nel Cenozoico. Per convenzione, i tempi geologici sono misurati in milioni di anni e la scala inizia dal “tempo presente”: ciò pone alcuni problemi di sincronizzazione e di sintonia con la misurazione dei tempi della storia umana: — Il tempo presente cambia: bisogna scegliere un valore standard di riferimento per l'inizio del conteggio dei milioni di anni; — Problema geocronologico: la data di inizio della scala di età è stata posta al 1° gennaio 1950. Dopo questa data è difficile ottenere datazioni al radiocarbonio, a causa dei test nucleari in atmosfera. 4.3 Antropocene: tempo di cambiamento e luogo d'incontro Il riconoscimento dell'Antropocene è subordinato all'individuazione nelle successioni stratigrafiche di un limite riconoscibile a scala globale che testimoni il passaggio tra due momenti della storia della Terra ben diversi tra loro. Gli studiosi si sono quindi messi a cercare i segnali antropici più facilmente riconoscibili a scala planetaria, in particolare su due aspetti: e Aspetti evolutivi: quali processi antropici possono produrre un record stratigrafico? Si può individuare un limite geologico? Quando si colloca? e Aspetti funzionali: come si modificano le dinamiche dei processi terrestri per effetto dell’uomo? Che rischi ne derivano? Le ricerche hanno confermato la necessità di una sintesi tra i risultati delle due direttrici, per una definizione e collocazione condivisa dell'Antropocene: è necessario interpretare i segnali registrati nelle componenti delle sfere terrestri in funzione dei relativi processi naturali e antropici, per comprendere quali siano in grado di provocare cambiamenti. L'Antropocene diventa anche luogo di incontro tra le scienze: tutte le ipotesi hanno comportato una profonda analisi comparata degli aspetti evolutivi e funzionali del cambiamento globale. Gli aspetti relativi alle tre ipotesi più accreditate: 1) L'ipotesi di un antropocene precoce: il suo inizio, posto circa 5.000 anni dal presente, è registrato in una carota di ghiaccio della Groenlandia sotto forma di drastico aumento del metano e di anomalie di CO: atmosferica. Questi segnali indicherebbero i primi impatti globali dell’agricoltura estensiva, in particolare la coltura del riso. 2) L'ipotesi culturale dell’ Antropocene: il suo inizio nel 1610 è registrato nella carota del ghiaccio antartico della Law Dome, sotto forma di calo della CO2 atmosferica e di anomalie della temperatura globale rispetto alla media nel periodo 1961-90. Questi effetti sarebbero la testimonianza dell’abbandono delle terre coltivate, del declino di grandi centri abitati e dell’espansione della copertura forestale nel continente americano, conseguenze dell’incontro/scontro fra i popoli del vecchio e del nuovo mondo; 3) L'ipotesi bomba nucleare: l’inizio intorno al 1964. Gli effetti degli esperimenti in atmosfera del relativo fall-out atomico globale sono registrati in diversi marker ambientali: picco del radiocarbonio atmosferico negli anelli degli alberi e altre anomalie radiometriche nei sedimenti marini e terrestri. Tra le conseguenze ci sono anche il rapido aumento della CO2 atmosferica. La geografia svolgerà un ruolo fondamentale per il suo carattere interdisciplinare. Dall'incontro tra geografia fisica e umana si ricavano elementi indispensabili per descrivere ed interpretare l'impatto dell'uomo sulla natura. Capitolo 5. Cambiamento climatico e Antropocene: verso una riconferma o una nuova fase? (Marco Bagliani, Antonella Pietta) 5.1 Antropocene e cambiamento climatico Il cambiamento climatico è un argomento centrale nella riflessione sull'Antropocene di questi ultimi anni. Con un articolo su “Nature” (2002), Crutzen sistematizzava la riflessione sul ruolo degli esseri umani nel modellare il pianeta, come altre forze geologiche. Egli proponeva una nuova era, l'Antropocene, in concomitanza con la Rivoluzione Industriale, causa di numerose modificazioni ambientali a scala planetaria; quella più significativa è il riscaldamento globale, causato dalle emissioni di gas serra. Diverse analisi hanno dato voce ad un intenso dibattito, soprattutto rispetto alla determinazione dell'inizio dell'Antropocene. Ruddiman “Early Anthropogenic Hypotesis” focalizza l'attenzione sulle variazioni della concentrazione atmosferica dei due più importanti gas serra (metano e biossido di carbonio) nel periodo dalla rivoluzione agricola a quella industriale. L'autore nota uno scostamento tra le previsioni sulle dinamiche prettamente naturali a quelle effettivamente misurate; le attività umane hanno quindi influenzato la presenza di gas serra già prima della rivoluzione industriale. Già 8.000-9.000 anni fa, già la pratica di tagliare e bruciare foreste per ottenere appezzamenti coltivabili aveva portato ad un alto aumento di biossido di carbonio. Qualche secolo dopo anche l'utilizzo dell'irrigazione per la risicoltura aumentava i livelli di questo gas. Un gruppo di ricercatori, tra cui Crutzen, propone un'analisi degli impatti antropici sul pianeta Terra, proponendo una nuova periodizzazione divisa in 3 momenti distinti: I. L’Antropocene propriamente detto, con una massiccia influenza antropica sull'ambiente, che viene fatto iniziare con la Rivoluzione industriale o comunque dal 1850 in poi; II. Il Paleantropocene va dalla comparsa dei primi ominidi e, soprattutto, dalla Rivoluzione agricola, fino a quella industriale, con l'azione umana precedente alla rivoluzione industriale; III. Una fase ancora precedente in cui non si riscontra un’influenza umana. Il cambiamento climatico è uno degli impatti dell'azione umana che alcuni studiosi collocano già dalla rivoluzione agricola, mentre altri dalla rivoluzione industriale. Questo fenomeno è anche particolarmente esteso, intrinsecamente globale, perché le dinamiche alla base del clima terrestre dipendono dalla scala globale, planetaria. Ogni azione locale che ha effetti sugli equilibri climatici, influenza le dinamiche climatiche a scala globale. Alla base del riscaldamento globale vi sono molti comportamenti quotidiani differenti, che vanno dal produrre e consumare energia elettrica allo spostarsi in automobile, dal coltivare riso e mangiare came, dal riscaldarsi, smaltire i rifiuti e molto altro. 5.2 Il cambiamento climatico L'Intergovernmental Panel of Climate Change (IPCC) ha il compito di valutare le informazioni scientifiche rilevanti rispetto ai cambiamenti climatici indotti dall'uomo e raccoglie e sintetizza in rapporti periodici le ricerche pubblicate in questo campo. Il quinto rapporto dell’IPCC afferma che il cambiamento climatico è inequivocabile, sin dalla fine del XIX secolo, e può essere provocato sia da cause naturali che antropiche. Le cause naturali possono essere: cambiamenti della quantità di energia emessa dal Sole; piccole variazioni dell'orbita terrestre;caduta di meteoriti, eruzioni vulcaniche, ecc. Gli esperti però sostengono non siano i maggiori responsabili dell'attuale innalzamento delle temperature. Essi però riconoscono che i fattori di origine umana siano le cause dominanti del riscaldamento climatico oggi in atto, osservando che le attività umane dal 1951 al 2010 hanno causato più della metà dell'aumento della temperatura superficiale media globale. Cause antropiche: — emissioni di gas serra (trattengono le radiazioni infrarosse in uscita dalla Terra, agendo come ‘una serra che trattiene il calore all'interno); — aerosole polveri; — cambiamenti di destinazione d'uso dei suoli; I maggiori gas serra sono il biossido di carbonio (CO:), metano (CH)protossido di azoto (N20) e altri in percentuali minori. Dal quinto rapporto dell’IPCC emerge il contributo dei diversi settori economici all'emissione di gas serra al 2010: il settore energetico che emette soprattutto CO:, mentre circa ‘4 è causato dal settore agricolo e forestale. Le lavorazioni industriali, i trasporti e gli edifici sono responsabili in misura minore. Esiste un grande divario tra Stati a medio e basso reddito: gli ultimi mostrano quasi solo emissioni dai settori agricolo e forestale, con un trend il leggera crescita. Quelli più ricchi vedono una riduzione del settore agricolo e un aumento delle emissioni da parte del settore dell'energia e dei trasporti. 5.3 Le politiche per il cambiamento climatico Per riflettere sulle relazioni tra cambiamento climatico e Antropocene bisogna considerare le politiche a contrasto del riscaldamento globale. In generale di distingue fra politiche di mitigazione e di adattamento. Le prime mirano a eliminare le cause del riscaldamento globale mentre le seconde puntano a limitare gli effetti. Le politiche di mitigazione offrono spunti per analisi interessanti per la riflessione sul concetto di Antropocene inrelazione al cambiamento climatico. Ripercorrendo le tappe dello sviluppo delle politiche di mitigazione si possono distinguere cinque periodi: 1) Fine anni '80, inizi '90. Nel 1992 viene adottata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, che ha come obiettivo di lungo periodo la stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera a un livello tale da escludere qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico. I 189 Paesi si riuniscono annualmente per organizzare e programmare il percorso di mitigazione. Un principio fondamentale è quello di equità, legato alle responsabilità comuni e alla capacità di intervento di ogni Paese. 2) Laratifica e l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto nel 1997. Grazie al principio di responsabilità comune ma differenziata, gli obiettivi diventano vincolanti per i paesi sviluppati. Il Protocollo impone limitazioni alle emissioni ai paesi industrializzati, per quelli in via id sviluppo non ci sono obblighi. Le nazioni sviluppate si impegnano quindi a riportare le emissioni ai livelli del 1990 e a mantenerli costanti dal 2008 al 2012. 3) Fase del post-Kyoto, un periodo caratterizzato da un forte rallentamento dell’azione sul fronte della mitigazione. C'è una disillusione verso un secondo trattato che avrebbe dovuto portare tutti i paesi verso un percorso di riduzione globale delle emissioni. Gli sforzi politici e diplomatici si spostano verso un approccio basato su impegni su base volontaria dei singoli Stati e sulla necessità di coinvolgere la società civile. 4) Accordo di Parigi, che ha l’obiettivo dichiarato di mantenere il riscaldamento planetario entro il limite massimo dei 2°C, ma chiedendo ai governi di impegnarsi per puntare a limitarlo a 1,5°C. I paesi sviluppati dovranno implementare i propri sforzi e passare dalla stabilizzazione delle emissioni alla loro riduzione; anche i paesi in via di sviluppo dovranno ridwre o limitare le loro emissioni. Non ci sono più target o obblighi di riduzione delle emissioni; l'Accordo prevede inoltre revisioni periodiche in cui gli Stati dovranno dimostrare il raggiungimento degli impegni presi. 5) La quinta fase riguarda le possibili implementazioni future delle azioni di mitigazione. Accanto alle politiche di mitigazione si stanno sviluppando adattamenti al cambiamento climatico dettati in primo luogo dal fatto che le concentrazioni atmosferiche di gas climalteranti sono così Capitolo 6. Le migrazioni e l'Antropocene (Fabio Amato) 6.1 La centralità delle migrazioni internazionali Dal 2015 il tema delle migrazioni internazionali è diventato centrale nelle agende politiche degli Stati europei, ma anche negli Stati Uniti. Questo fenomeno è articolato e spazialmente diffuso e non può essere circoscritto. Negli ultimi decenni le politiche migratorie si sono trasformate a causa di molteplici fattori: la crisi economica nata negli USA nel 2008 e diffusa in tutti i paesi OCSE, gli effetti delle primavere arabe che hanno interessato Medio Oriente e il Nord Aftrica, la crisi ucraina. Nello scacchiere internazionale emergono nuove aree di potenziale emigrazione: Iraq, Afghanistan, Siria, Somalia, Sudan, Yemen, Libia. Viste le condizioni di fragilità sociale ed economica dei paesi del Sud del mondo si capisce l'incremento dei migranti, passati da 173 milioni nel 2000 a 258 milioni nel 2018, aumentando del 18% negli ultimi 18 anni. Il continente asiatico e quello europeo ne ospitano quasi il 60%, seguiti dalle Americhe e dall'Africa. Per Braudel il ruolo delle migrazioni è sempre stato rilevante nella storia della presenza umana sulla terra. La progressiva occupazione del pianeta è dovuta alla capacità di riprodursi e accrescersi e la capacità di muoversi e migrare. Senza migrazioni non avremmo avuto la civilizzazione, e il conseguente impatto sulla superficie terrestre sempre più rilevante. Le migrazioni nel 19° secolo hanno accelerato il numero degli spostamenti, grazie al miglioramento della tecnologia e alle interconnessioni. Gli ultimi decenni sono ricordati come quelli maggiormente interessati dal processo migratorio, ma è tra il 1850 e il 1920 che si è assistito al più grande movimento di popolazione in proporzione al numero di abitanti della Terra: a cavallo del Novecento si è mosso il 5% della popolazione mondiale, oggi intorno al 3,3%. La maggior parte delle migrazioni dai paesi del Sud è guidata dalla mancanza di sicurezza umana, espressa in impoverimento, ineguaglianza, violenza, negazione dei diritti umani e strutture statali deboli. 6.2 Disastri ambientali e migrazioni Se osserviamo le ripercussioni dell'azione dell'uomo sulle migrazioni, un elemento indiscutibile è il ruolo svolto dalla tecnologia, anche se non è quello al centro della riflessione sull'Antropocene. La connessione a cui si guarda è tra cambiamento climatico e migrazione. Oggi, molte questioni ambientali possono responsabili dello sfollamento e delle migrazioni e di solito sono raggruppate secondo la dinamica temporale della catastrofe (evento imprevedibile e non controllabile) che le ha generate. Esistono casi di insorgenza lenta (desertificazione, degrado del suolo, ecc) e insorgenza rapida (cicloni tropicali, forti piogge, ecc). Un filone di studi ritiene che i principali fattori ambientali che possono causare spostamenti e diventeranno più significativi a causa del cambiamento climatico antropogenico sono la maggiore potenza e frequenza di tempeste e inondazioni, siccità e desertificazione e innalzamento del livello del mare. Questo filone ha avuto molto seguito producendo un incremento della letteratura accademica, letteratura grigia e report da parte di istituzioni internazionali e ONG. Secondo Crutzen e Stoermer stiamo vivendo in un'epoca geologica in cui i modelli di produzione e consumo determinano equilibri e squilibri ambientali: le attività umane alterano le forze della natura e hanno ripercussioni sulla mobilità delle persone. Siccità, desertificazione, progetti urbani possono essere imputati di una discreta mobilità che non è ben definita terminologicamente né giuridicamente: i punti critici riguardano l'estensione del fenomeno, le aree coinvolte, le cause, ecc. Spesso si parla di migranti ambientali, profughi ambientali o profughi climatici, anche se la Convenzione di Ginevra riconosce lo status di rifugiato a chi è perseguitato per razza, religione, cittadinanza, appartenenza sociale o per opinioni politiche. Sul tema si sono distinti due gruppi di studiosi della mobilità ambientale che possono dividersi in allarmisti e scettici. AI centro dell'attenzione c'è il Sud globale e la sua vulnerabilità: i territori dell'Africa subsahariana, il subcontinente indiano e l'area del Pacifico sono ricorsivi per gli allarmisti. Per il filone di studio minimalista il tema delle migrazioni dovrebbe essere letto come un fenomeno sociale, economico, geopolitico non esclusivamente legato alla dimensione ecologica o della protezione umanitaria. L'Africa subsahariana è al centro di riflessioni che riguardano la prospettiva di un'Europa invecchiata e spopolata che diventerà terra di invasione di un'Africa giovane, che porta ad ipotizzare che nel 2050 l'Europa sarà popolata da 150/200 milioni di afroeuropei. 6.3 La naturalizzazione della categoria di Antropocene Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre, nel 2018 si sono registrati ben 28 milioni di follati in correlazione con conflitti e disastri climatici. Le aree maggiormente colpite sono l'Asia orientale e il Pacifico e l'Asia meridionale. Dal 2008 al 2014, oltre 150 milioni di persone sono state costretti a spostarsi per eventi meteorologici estremi. Le cause degli sfollamenti per motivi ambientali sono all'85%. E' uno dei più recenti scenari su cui si fonda la letteratura massimalista sulle migrazioni. Dietro questi rapporti si celano ipotesi di scenari futuri in considerazione dell'aumento della temperatura. La Nansen Intitiative on Disasters, Climate Change and Cross-Border Displacement ha promosso a Ginevra un incontro di consultazione globale con l'UNHCR e l'OIM per discutere di cambiamento climatico e delle risposte politiche da fornire, tratteggiando spaventosi futuri per l'Occidente. Nel Quinto Rapporto del 2014, il gruppo di lavoro IPCC II ha sottolineato la pluricausalità e la natura complessa della migrazione ambientale. Fattori socioeconomici, misure di adattamento e scenari di cambiamento climatico hanno un ruolo fondamentale. L'IPCC prevede un aumento dello sfollamento di persone e definisce le regioni del mondo più colpite dai cambiamenti climatici: L'Artico, l'Africa, le piccole isole, i mega delta asiatici e africani. Il cambiamento climatico e i disastri in generale fanno riferimento a mobilità forzate interne ad alcuni paesi; ciò lascia presupporre che i flussi migratori internazionali siano solo un'ipotesi. Due considerazioni: >» La prima scelta delle persone non è allontanarsi dal proprio paese; > chiinvece paga il vero prezzo è colui il quale, in condizioni di estrema fragilità, non riesce a muoversi. Dietro le mobilità internazionali esistono progetti di consapevolezza che impediscono alla povertà assoluta di muoversi. Il Sud globale è sempre più il luogo della preoccupazione morale occidentale, citando il geografo Dennis Cosgrove per cui bisogna farsi carico dei drammi di persone incapaci di agire. Inoltre, sempre più spesso, le migrazioni sono considerate una minaccia o un problema e si sottolinea poco che i disastri ambientali colpiscono anche il Nord del mondo (1,2 milioni di sfollati non oggetto di scenari catastrofici). La pluralità delle cause di migrazioni del 21° secolo ci pone domande su temi sociali, economici, ambientali, sollecitando le relazioni tra Nord e Sud del mondo e le categorie di giustizia legate alla vulnerabilità e accessibilità delle risorse. In alcuni contesti scientifici questi effetti ambientali sono dettati dagli esiti del sistema economico imperante. La tematica dell'impronta ecologica e la possibilità per una parte della popolazione mondiale di proseguire lo sfruttamento delle risorse per salvaguardare certi livelli di consumo si correlano con un forte deficit ecologico che impatta maggiormente nelle aree più svantaggiate del mondo in termini socioeconomici (Capitalocene). 6.4 E allora sono tutti migranti ambientali? Le migrazioni hanno assunto aspetti e connotazioni più articolate dal 19° secolo in poi e che negli ultimi quarant'anni ha avuto un'accelerazione tale da essere definita era delle migrazioni. La crisi ambientale produce esiti drammatici in più contesti la cui soluzione richiede tempo e un'inversione di rotta della logica di produzione. Il dibattito su cambiamenti climatici e migrazione è iniziato negli anni 80 ed è costituito da interessi diversi e prospettive eterogenee: divisione Nord/Sud, giustizia ambientale e solidarietà globale. Il problema è non solo quello di valorizzare la dimensione politica della distribuzione delle ricchezze che possano sottolineare i nessi tra le diverse scale di governo del territorio, ma anche quello di rendersi conto che proprio l'osservazione del fenomeno Antropocene tramite la chiave della mobilità può essere utile per comprendere quanto in realtà ci si trovi al cospetto del Capitalocene. Questo mette in rilievo ancor più gli aspetti degenerativi della struttura capitalistica contemporanea che in modo sempre più “classista” polarizza le vulnerabilità non solo intergenerazionali ma soprattutto inter e infra-comunmitarie. Capitolo 7. Immaginari geografici e paesaggi letterari dell'antropocene (Davide Papotti) Gli immaginari geografici della società trovano nella produzione letteraria un ambito di creazione, scambio, circolazione. Diventa importante indagare il rapporto della letteratura con l'immaginario geografico sotteso al concetto di Antropocene nella società contemporanea, caratterizzata da — presa di coscienza dell'impatto provocato dalle attività umane sul pianeta; — profonda riflessione sulle nuove caratteristiche e compiti a cui la letteratura è chiamata grazie ai nuovi media. Verranno riportati alcuni testi narrativi francesi contemporanei che forniscono un indizio di letteratura dell'Antropocene, con una riflessione legata al ruolo assunto dalla specie umana nel delineare le proprie condizioni di vita e nel condizionare quella delle altre specie viventi. La letteratura mostra le modalità con cui l'impatto delle attività umane sull'ambiente viene pensato, percepito e descritto socialmente. 7.1 Antropocene, geografia, letteratura L. Lewis e Mark A. Maslin sostengono che l'Antropocene (uomo/recente) sia iniziato quando l'Homo Sapiens divenne una superpotenza geologica, facendo fare alla Terra un nuovo sviluppo. L'Antropocene è una svolta nella storia dell'umanità, nella storia della vita e in quella della Terra stessa. Una nuova era per la Terra porta nuove opportunità di narrazioni in grado di descrivere questo cambiamento; nuovi accadimenti hanno bisogno di nuovi linguaggi su cui riflettere e indagare. L'approccio geografico all'Antropocene, che è interdisciplinare per sua stessa costituzione, contribuisce con efficacia al dibattito sull'Antropocene e sulle sue applicazioni. Poiché sulla definizione di antropocene risultano interessanti le sfide morali, culturali e politiche che l'Antropocene sta amplificando è urgente riflettere sulle modalità narrative con cui si alimenta il dibattito sull'Antropocene. 7.2 Le due opere prese in considerazione Le due opere sono: — Variazioni selvagge, Helen Grimaud (2006) Esordio narrativo della pianista classica francesce, paladina della difesa del lupo, che ha fondato (col fotografo Henry Fair) il Wolf Conservation Center a South Salem (stato di New York). — Nelle foreste siberiane, Sylvain Tesson (2012). Scrittore e giornalista francese che ha vissuto 5 mesi in una baita sul lago Bajkal (Siberia). 7.3 Spunti e riflessioni sull'Antropocene a partire dalla fonte letteraria La letteratura è utile per comprendere il concetto di Antropocene e per esemplificare le implicazioni sociali, politiche, culturali, psicologiche della muova era; essa illumina - attraverso riflessioni, metafore, similitudini e figure retoriche — la complessità del concetto di Antropocene. Per concepire l'Antropocene bisogna avere un indirizzo di pensiero rivolto in avanti, come la Grimaud nell'incipit della sua opera: “Nessuna nostalgia dell'infanzia [...] ma un paradiso da trovare”. La dimensione temporale si coniuga con quella geografica, in una sfida chiave per immaginare il futuro. Se sono i luoghi a costruire le premesse per una realizzazione personale, allora la loro conoscenza e protezione è un elemento di primaria importanza. La centralità di un pensiero e di una memoria procedono con un principio di organizzazione e ispirazione geografico è un indizio confessato anche da Tesson: “Ho una memoria geografica [...], ricordo l'atmosfera e il carattere dei luoghi”. Il pensiero autobiografico, che si sviluppa intorno ad una riflessione sul significato dello scorrere del tempo, è utile per analizzare la prospettiva dell'Antropocene, concetto che nasce da un confronto tra passato e presente e un'immaginazione del futuro. Il paese si trova, in entrambi i testi, ad incarnare il ruolo di catalizzatore dei pensieri sull'altrove: è interessante notare che nell'immaginario geografico dei due autori torna ad essere centrale in una dimensione di irriducibilità spaziale fondata sulla profondità fisica della distanza, incarnata dalla Russia. La Russia è una terra immensa, sterminata, estesa fino all'Estremo Oriente asiatico e offre uno Il concetto di Plantationocene impone di porre l'attenzione sulla coltivazione di cibo e sulla piantagione come sistema di lavori forzati multispecie. La piantagione prepara il campo per la proliferazione di alcuni e l'eliminazione di altri e riorganizza la vita delle specie nel mondo. La piantagione richiede un genocidio o una rimozione, o qualche forma di cattività, e il rimpiazzo della forza lavoro locale con altre venute da fuori in modo violento (vincoli contrattuali, contratti ineguali o schiavitù assoluta). A partire dal '700 alcuni personaggi illustri si interessano alle malattie dell'olivo e alle tecniche per incrementare la produzione combattendo la misera condizione dei braccianti. Negli stessi decenni, Carlo III di Borbone promosse l'intensificazione della coltivazione di olivo in Puglia con le defiscalizzazioni ed una riforma fondiaria. La richiesta di olio per lubrificare le macchine per la filatura del cotone dell'industria tessile nordeuropea incentiva gli impianti di nuovi olivi. L'olivicoltura si inserisce in un sistema sociale polarizzato che poteva contare sulla manodopera bracciantile come lavoro a bassissimo costo e in mano inglese. Ad oggi la Puglia presenta un paesaggio di tipo pezzato: coltivazioni biologiche di olio di oliva di altissima qualità si alternano a coltivazioni ancora orientate alla vendita do olio per altri fini oltre a quello alimentare, fino ad arrivare a campi abbandonati. L'olio è presente in molti diversi prodotti e può assumere diverse ed eterogenee forme. A differenza di ciò che si può pensare, la produzione di olio è lontana dall'essere completamente dedicata all'olio extravergine d'oliva. Nel '700 l'olio era usato come lubrificante per le macchine tessili, con l'invenzione della pressa idraulica si iniziò ad implementare la produzione di olio fino, alimentare. L'olio è stato usato come componente per fare il sapone e per l'illuminazione. Oggi, l'olivo in Puglia identifica una forma di resistenza alla ragione moderna (gasdotti o olivicoltura intensiva). Nel 2013 ricercatori hanno riscontrato la presenza del batterio Xy/ella fastidiosa al quale viene attribuito il carattere patogenico relativo ai disseccamenti. 8.2 Ibridi sulle rovine del capitale Uno degli elementi che introducono l'antropocene è la distruzione dei rifugi in cui possono conservarsi gruppi di specie diverse: emergono forme di vita nomadi, che si adattano a condizioni diverse e si insinuano in ciò che rimane dei gruppi di specie, stravolgendoli. Il batterio Xy/ella fastidiosa è indicato nella Direttiva dell'Unione Europea 29/2000 come un organismo nei cui confronti si attiva un iter legislativo comunitario per limitare la proliferazione. Il nome di questo batterio deriva dalla sua presenza nello xilema come corredo batterico della pianta e dalle difficoltà incontrate per isolare e coltivare il batterio. La Xylella ha dimostrato un rapido e veloce adattamento alle condizioni che cambiano, passando attraverso climi diverse ibridandosi geneticamente a seconda delle relazioni ecologiche in cui si inserisce, tra piante e insetti vettore. Due aspetti interessanti: (1) un elemento decisivo alla proliferazione della Xylella è la piantagione monocolturale. Il batterio viene trovato in monocolture (vigna, agrumi, olivi) all'interno di una riorganizzazione spaziale moderna che fa convivere a stretta distanza lo stesso tipo di piante, moltiplicate per milioni. E' la forma colturale ad aver predisposto le possibilità per lo sviluppo di questo batterio. In un contesto in cui natura e cultura si mischiano il risultato è un ibrido (campo di studi detto /ybrid geographies). (2) Gli ibridi sono locali e globali e ciò ci porta a pensare alla fine della Natura e all'esistenza di sistemi multinaturali, coevolutivi: nella fine della Natura c'è una nuova condizione dell'uomo nella civiltà dei moderni, generatrice di interazioni nuove e ambienti sconosciuti. Se nell'antropocene l'umanità ha più potere, ha anche meno controllo; insieme agli umani e ai loro prodotti si muovono anche batteri ed entità che nella gran parte dei casi non attirano la nostra attenzione. In questo contesto le attività territoriali vivono una crisi di significato e ragione: — l'olivicoltura viene messa in ginocchio da un agente patogeno in quarantena e l'unica soluzione sembra il reimpianto di specie più resistenti in ottica di una produzione superintensiva; — l'attività industriale si rivela un impianto di morte. La crisi delle attività territoriali genera forme che si iscrivono nel paesaggio e nel corpo (cancro e neoplasie). 8.3 Disumani camaleontici — not (only) human anymore Se uniamo la storia dell'olivo a quella dell'uomo troviamo un antesignano già nell'Odissea. Il rapporto tra l'olivo e l'Ulisse uomo moderno viene citato anche da Farinelli, che attribuisce ad Ulisse alcuni caratteri costitutivi della modernità: Ulisse sceglie un tronco d'ulivo, l'albero più contorto da trasformare in una linea retta, per evidenziare il contrasto tra la forma originaria e quella derivata, per sottolineare il carattere della metamorfosi. Atena ha come simbolo l'olivo e come caratteristiche l'astuzia, la capacità di adattarsi e fingersi, caratteristiche in comune con Ulisse. Potremmo considerare il disincanto moderno nei confronti della natura come un disincanto che si manifesta nelle forme portate al limite dell'artificiale. Ogni forma è sorretta da relazioni ecologiche. — Ilruolo simbolico dell'olivo nell'escatologia cristiana (monte degli olivi, ascensione di Cristo, Battesimo, Comunione, unzione degli infermi, ecc); — Dimensione materiale del rapporto con l'olivo e i suoi frutti. Fin dai greci l'olio aveva valore come unguento, alimento, energia per l'illuminazione ed era persino premio per i vincitori dell'Olimpiade. Per i romani l'olio era alla base dell'alimentazione. La storia dell’ulivo e dl uomo è fatta di eroi, miti e lussi, ma anche di riscatto, resistenza e, in alcuni casi, di abbandono. Questo rapporto ricorda l'episodio della vespa e dell'orchidea raccontata da Deleuze e Guattari: “L'orchidea si deterritorializza formando un'immagine, un calco di vespa. La vespa si deterritorializza diventando un pezzo nell'apparato di riproduzione dell'orchidea. Allo stesso tempo riterritorializza l'orchidea, trasportandone il polline. La vespa e l'orchidea fanno rizoma quanto sono eterogenee. L'orchidea imita la vespa in maniera significante, ne cattura il codice”. La relazione estetica, erotica, sessuale tra vespa e orchidea permette la riproduzione della vita. Suscitano quindi sempre maggiore interesse spazialità reticolari fluide e rizomatiche che risultano da comportamenti e mobilità umani e non: relazioni di prossimità con gli animali, ontologie microbiche e biochimiche di interdipendenza, cambiamento ambientale globale e i suoi processi scalari, i suoi attori e il ruolo dell'umanità. 8.4 Conclusioni La presenza del batterio Xy/eZla ci ha permesso di fare considerazioni sull'organizzazione delle attività sul territorio e il paesaggio pugliese. La malattia ha messo i riflettori sulle politiche della vita e su quelle della morte in relazione alle pratiche che interessano questo territorio. Il processo di riparazione dei danni di questo batterio sarà un'altra tappa nella produzione della natura di questo spazio. Rispetto alla piantagione la chiave interpretativa è quella della promiscuità culturale che legava l'olivicoltura alla tradizione bracciantile. Tra un olivo e l'altro venivano piantati ortaggi e legumi o razzolavano capre e pecore. Nuovi gruppi di specie, oggetti e possibili alleanze possono nascere da questi incontri. Inoltre, una seconda chiave interpretativa coinvolge il movimento delle piante intorno al mondo, con una regolamentazione sulla circolazione o confinamento di alcune forme di vita. Capitolo 9. Gli uomini e le foreste nell'Antropocene (Giacomo Zanolin) Nell'introduzione di Wild4wood: A Journey Through Trees, Roger Deakin afferma che gli esseri umani dipendono dagli alberi, fiumi e mari e con loro abbiamo un'intima relazione culturale, spirituale e fisica: scambio di ossigeno e anidride carbonica. E' una relazione basata su fattori biologici e antropici; lo studio delle regioni boschive è quindi un ambito di indagine privilegiato nelle ricerche sull'Antropocene. I boschi e le foreste possono essere considerati come spazi risultanti da un'interazione tra esigenze dei gruppi umani e la capacità dei vegetali di adattarsi ai cambiamenti delle condizioni ambientali. Gli esseri umani hanno interagito con i boschi in vari modi, sfruttandone le risorse o strappando ad essi spazi funzionali ad altre attività economiche. In alcuni periodi storici sono stati emarginati per privilegiare lo sviluppo di spazi agricoli o aree urbane, mentre in altri sono stati al centro di attività agro-silvo-pastorali. Anche quando il loro peso economico è diminuito, hanno mantenuto significati connessi con la necessità antropica di comprendere il proprio ruolo nella natura. La storia del rapporto tra uomini e boschi è fatta di fasi alterne di forestazione, deforestazione e riforestazione, che possono essere analizzate come declinazioni del processo di territorializzazione, deterritorializzazione e riterritorializzazione. I boschi sono quindi strumenti per ricerche incentrate sull'ambiente come configurazione della territorialità, cioè come forma territoriale della natura ed elemento base nel processo umano di costruzione sociale e rafforzamento della consapevolezza di sé da parte degli individui e delle comunità. 9.1 Cenni teorici sull'Antropocene Zalasiewicz e i suoi collaboratori offrono gli strumenti essenziali necessari per definire l'Antropocene come epoca geologica successiva all'Olocene. Emerge il problema della datazione dell'Antropocene: chi parla di un'accelerazione dei processi a metà del 20° secolo e chi di PaleoAntropocene, cercando nella preistoria i segni della capacità trasformativa dell'uomo. E' interessante la posizione di chi parla di Early Anthropogenic Hypotesis, pensando che l'Antropocene sia iniziato con la Rivoluzione agricola neolitica. Essi sostengono che, attraverso evidenze scientifiche derivate da concentrazioni di gas serra in atmosfera, l'avvio delle attività agricole abbia modificato le concentrazioni segnando nel tardo Olocene un impatto antropico sulle dinamiche chimiche terrestri. E' una posizione interessante che permette di approcciare lo studio del rapporto tra uomo e bosco, che interagiscono biologicamente e culturalmente. Le conseguenze epistemologiche di questo approccio rischiano però di svuotare di senso il concetto stesso di Antropocene, facendolo coincidere con l'Olocene e e tutti i processi di interazione tra uomo e Terra. 9.2 Le foreste e l'Antropocene Diecimila anni fa le Terra era con tutta probabilità in gran parte ricoperta da una fitta foresta naturale. A partire almeno dalla Rivoluzione neolitica l’uomo ha avviato un processo di graduale frammentazione delle superfici forestali, che oggi si presentano con una grande distribuzione irregolare sul pianeta. È un fenomeno correlato con il graduale processo di perdita di biodiversità che ha caratterizzato l’Olocene. Potremmo considerare la deforestazione del pianeta come uno dei più evidenti segni del fatto che da lungo tempo ci troviamo nell’ Antropocene. Smil ha stimato che attraverso l'agricoltura , la pastorizia, la deforestazione e le bonifiche negli ultimi duemila anni hanno ridotto del 45% la massa vegetale globale. Negli ultimi 250 anni il processo ha subito un'accelerazione e Richards ha calcolato che a partire dal 18° secolo circa il 19% di foreste e boschi è stato eliminato. La superficie convertita all'agricoltura è aumentata di quattro volte e mezza. A partire dalla Rivoluzione Industriale l'uomo ha aumentato la propria necessità di spazi per attività economiche e abitative, in linea con l'aumento della popolazione e l'allargamento delle attività economiche. La deforestazione non ha avuto la stessa intensità in tutto il pianeta: dalla preistoria ad oggi si stima che le perdite maggiori abbiano riguardato le foreste delle fasce temperate, seguite da quelle sub- tropicali. Attualmente si nota un rallentamento nel tasso di riduzione, dovuto a processi di riforestazione in alcune regioni, intensi nel periodo 1990-2010. Tra il 1960 e il 1990 si è registrato un aumento della deforestazione nelle regioni tropicali in Aftica, America Latina e Asia. Ciò ha portato ad una perdita di foreste primarie senza precedenti: 30% in Indonesia, 9,7% in Brasile. La deforestazione non è inevitabile e irreversibile: in molti Paesi dell'Asia orientale, dell'Europa mediterranea e del Nord America si registra un trend positivo, definito forest transition, ed è collegato all'abbandono di pratiche culturali tradizionali per ragioni economiche e all'avvio di flussi migratori da aree rurali ad aree urbane. La rinascita delle foreste ha molte cause, che trovano diverse declinazioni nei vari contesti regionali in relazione a fattori politici, economici, sociali e culturali: e Messa a dimora di nuovo legname perché le vecchie foreste erano state rimosse; e Gli incendi boschivi sono stati maggiormente controllati; e I terreni agricoli sono stati abbandonati e riportati alla foresta; e La domanda di legname è diminuita. ruolo dell'uomo nella creazione di ecosistemi vitali e ricchi di biodiversità. 2) Riserva integrale di San Fratino, tra Toscana e Romagna. E' uno dei boschi meglio conservati, riconosciuto dall'UNESCO come Patrimonio dell'umanità. Può essere definita una foresta vetusta, in quanto sfruttata in modo molto più contenuto delle zone limitrofe. Le elevate pendenze e la difficile accessibilità hanno preservato questo sito fino al suo riconoscimento come prima riserva integrale d'Italia. Oggi si presenta con un aspetto molto simile a quello di una foresta vergine. La foresta si estende tra i 900 e 1500m di quota, presentando una faggeta pura che gradualmente lascia spazio a forme miste e quindi ad un aumento della diversità delle specie arboree alle quote più basse. L’istituzione di una riserva integrale implica un progetto territoriale molto particolare in quanto all’interno di essa l’uomo si impegna volontariamente a non intervenire per avere un territorio nel quale studiare i meccanismi che regolano gli ecosistemi forestali, raccogliendo informazioni potenzialmente utili per sviluppare strategie di gestione in altri ambiti più deboli da punto di vista ecosistemico. 3) Il Parco Nazionale Peneda-Gerés, con un paesaggio tipicamente alpino. Attraverso la creazione di un bosco e del suo riconoscimento come parco nazionale, il governo portoghese ha promosso un processo di identificazione nazionale e di proiezione della stessa su scala europea. Nel corso del 20° secolo si è costruito un mito nazionale, diventando un simbolo patriottico, nonostante sia artificiale e non rispecchi assolutamente il paesaggio naturale (senza l'intervento dell'uomo). Parco Naturale Baixa Limia-Serra do Xures nato negli anni '90 per volontà del governo gallego, che voleva affermare la propria autorità creando un'area protetta che replicasse quella portoghese. Sui due lati del confine le due aree protette si fronteggiano con narrazioni basate su valori naturalistici per affermare principi identitari. Nel 2009 nasce la Riserva della Biosfera Transfrontaliera Geres-Xures, per affermare un principio di unità tra i popoli al di là dei confini. In realtà alcune analisi condotte mostrano che tale idea timane principalmente sulla carta, in quanto l'assenza di fondi per la gestione transfrontaliera, e quindi di progetti concreti di scambio e coesione territoriale, ne svuotano il significato. La narrazione risulta debole e potrebbe al massimo essere strumento di valorizzazione turistica. Il confine resta una linea di demarcazione forte, che rende inefficaci molte potenzialità insite nel progetto dell'UNESCO del 2009. I valori naturalistici connessi ai boschi e alle foreste sono utilizzati come strumenti narrativi per promuovere progetti politici o territoriali, al di là del loro valore e significato. 9.5 Conclusioni L'Antropocene si presenta oggi come oggetto di studio e strumento per analizzare e comprendere i fenomeni contemporanei considerando vari punti di vista, che riguardano l'uomo, la natura e la loro relazione. Si configura quindi come un problema connesso alla condizione postmoderna che prevede la contemporaneità e la supera. L’Antropocene si configura come una teoria efficace nell’ambito di ricerche collocate nel tempo della complessità e volte a comprendere alcuni aspetti fondamentali del senso dell’abitare nel mondo contemporaneo. Infine, implica anche una serie di valori etici legati alla definitiva assunzione di una consapevolezza relativa al ruolo dell’uomo all’interno della natura ibrida, che proprio in virtù di questa sua caratteristica merita di essere tutelata. Attraverso l'Antropocene può essere superato l'atteggiamento coloniale nei confronti della natura su cui si fonda la distinzione tra uomo e natura. L'interazione tra uomo e ambiente ha dato vita ad ecosistemi forti e resistenti ai cambiamenti ambientali. La prospettiva antropocenica ci insegna che oggi più che mai possediamo le conoscenze e i mezzi tecnici per interagire in senso costruttivo con la natura, senza atteggiamenti predatori che generano squilibri negli ecosistemi forestali. Non possiamo pensare di continuare a sfruttare le risorse del pianeta senza ritegno, perché rischiamo di non averne in futuro. Un comportamento etico implica maggiore responsabilità e la consapevolezza della natura ibrida delle cose e delle criticità dovute ad un crescente potere distruttivo. Dobbiamo interagire in senso costruttivo con la natura, con un atteggiamento che implica la necessità di nuovi comportamenti in campo economico, politico, sociale e culturale. Costruiremo nuovi progetti territoriali fondati sull'idea della transizione verso una dimensione costruttiva, per fondare un nuovo senso dell'abitare il pianeta consapevole della sua complessità e della sua natura ibrida. Capitolo 10. L'uomo sta mangiando la terra? Sistemi del cibo nell'Antropocene (Giacomo Pettenati) Fin dalle prime teorizzazioni dell'Antropocene viene evidenziato il ruolo ella produzione di cibo nel modificare i processi naturali che regolano gli equilibri terrestri nelle diverse scale. Le prime descrizioni dei fattori che potrebbero portare all'Antropocene: ® crescita delle terre coltivate; e incremento della popolazione di animali d’allevamento; e riduzione degli shock ittici; e impatto dei fertilizzanti sui cicli biogeochimici. La Rivoluzione industriale viene identificata da molti come il punto di svolta per la fine dell'Olocene. Altri invece identificano l'inizio di questo nuovo fenomeno geologico con la trasformazione di sistemi ambientali e paesaggi dovuta alla scoperta dell'agricoltura, la domesticazione di piante e animali e la sedentarizzazione delle comunità umane. L'evoluzione storica dei sistemi del cibo è connessa all'impatto dell'uomo sugli equilibri planetari, che ha portato alla nascita del concetto di Antropocene. 10.1 La produzione di cibo verso e nell'Antropocene Nel saggio “Il dilemma dell'onnivoro”, Michael Pollon descrive la trasformazione delle grandi pianure dell'Iowa in seguito all'insediamento dei coloni provenienti da Est, verso la metà del 19° secolo e dopo la diffusione dell'agroindustria cerealicola, a partire dagli anni 50 del secolo successivo. Nel giro di pochi decenni la temperata prateria ad alto fusto ha lasciato il posto ad un paesaggio radicalmente diverso, espressione di nuovi equilibri tra le diverse componenti ambientali. Lo spessore dello strato di humus si è dimezzato e ha cambiato parte della sua composizione chimica; nelle acque del fiume Des Moines i nitrati, provenienti dai fertilizzanti a base di azoto, hanno superato il livello di pericolo per la salute umana e l'equilibrio degli ecosistemi. I suci effetti sono arrivati fino al Golfo del Messico (attraverso il Mississipi) dove, a causa dei nitrati, si è creata una zona eutrofizzata, caratterizzata dall'eccesso di materiale organico vegetale e riduzione dell'ossigeno per le altre specie, definita anche zona morta per la scarsa presenza di pesci. La biodiversità vegetale delle pianure dell’Iowa si è ridotta enormemente e le centinaia di specie erbacee della prateria sono state sostituite in gran parte del territorio dal mais, la cui monocoltura è alla base delle rappresentazioni simboliche dell'area (Corn Belt). La produzione di cibo ha portato trasformazioni radicali: — nellalitosfera, con la degradazione dei suoli; — nell'idrosfera, con con l'aumento dei nitrati; — nella biosfera, vegetale e animale, a causa della sostituzione delle specie originarie con la monocoltura di mais. Le conseguenze nell’atmosfera sono globali: l’agroindustria cerealicola e l'allevamento intensivo che sostiene, fondano la propria efficienza sul consumo di combustibili fossili e rappresentano una delle principali fonti di gas serra. Gli impatti ambientali sono notevoli e incidono su tutte le componenti dell'ambiente (suolo, acqua, aria, esseri viventi)e sono multi-localizzati (influiscono anche su luoghi molto lontani). Molti studiosi di scienze della Terra hanno identificato alcuni ambiti in cui l'impatto dell'uomo sugli equilibri ambientali lascia ipotizzare l'ingresso in una nuova era geologica. Essi coincidono spesso con gli ambiti in cui i food studies identificano i principali impatti ambientali della produzione di cibo agroindustriale e globalizzata: e la trasformazione dello strato di sedimenti (suolo) che ricopre le terre coltivabili, ridotto in estensione e spessore dall’erosione e fortemente degradato da pratiche di coltivazione e allevamento che non rispettano i cicli naturali di rigenerazione; 1) La trasformazione dello strato di sedimenti che ricopre le terre coltivabili, accelerata da un'agricoltura intensiva industriale e degradato da pratiche di coltivazione e allevamento che non rispettano i cicli naturali di rigenerazione. L'agricoltura intensiva, che usa fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti di sintesi, ha alterato i cicli biogeochimici naturali di alcune sostanze presenti nel suolo, rompendo gli equilibri preesistenti. 2) Gli effetti sulla qualità e quantità delle risorse idriche a scala locale e globale. Si calcola che la produzione agricola sia responsabile del 70% dei prelievi idrici globali e questo dato è destinato ad aumentare senza contromisure adeguate. In Italia sono stati rilevati pesticidi nel 63% delle acque superficiali italiane e nel 31,7% di quelle sotterranee. 3) Gli impatti dell'agricoltura intensiva sull'atmosfera con la diffusione di agenti inquinanti e l’emissione di gas serra. Secondo uno studio del 2005, l'agricoltura sarebbe responsabile del 12% delle emissioni antropogeniche di gas climalteranti su scala globale. A questi bisogna aggiungere le emissioni derivanti dal trasporto di materie prime e prodotti finiti, che spesso copre distanze anche intercontinentali. 4) I sistemi del cibo contemporanei sono causa di importanti impatti sulla biosfera. L'agricoltura intensiva (ma anche l'urbanizzazione) ha portato alla trasformazione di molti ecosistemi naturali (biomi) in “antromi”, cioè pattern ecologici che hanno origine dall’interazione diretta dell’uomo con l’ambiente naturale e gli ecosistemi preesistenti, determinando una forte riduzione delle specie naturali nei territori più produttivi dal punto di vista agro-industriale. I mercati globali di prodotti agricoli sono dominati da poche varietà, quelle più efficienti dal punto di vista produttivo e più apprezzate dai consumatori. Questa riduzione di biodiversità produttive rende fragili le aree di produzione e i mercati di arrivo. Una delle specie animali simbolo dell'impatto dei sistemi del cibo umano è il pollo, allevato come fonte principale di proteine per gran parte degli abitanti della Terra. Oggi, la popolazione di polli è superiore a quella di tutte le altre specie di volatili; si stima che in Europa i polli di allevamento siano più di quella del totale delle specie degli esemplari di uccelli selvatici più diffuse. L’impatto del sistema alimentare globale sulla biosfera si è spinto tanto in profondità da modificare la stessa struttura costitutiva di alcune specie animali e vegetali, ovvero il loro DNA. In Europa la comunità scientifica è divisa sull'uso degli OGM; le filiere agroindustriali globali e i mercati nordamericani sono ampiamente occupati da prodotti geneticamente modificati. Oggi il 75% dei cibi industriali consumati dagli statunitensi contiene almeno un ingrediente geneticamente modificato. 10.2 Cibo, capitalismo e Antropocene: una lettura critica I sistemi del cibo hanno avuto un ruolo rilevante nel trasformare la Terra fino alle soglie di questa possibile nuova era geologica, soprattutto attraverso agricoltura e allevamento. Alcuni ritengono che l'avvio dell'Antropocene coincida con la scoperta dell'agricoltura e la diffusione di insediamenti ‘umani stanziali. L'umanità ha prodotto cibo senza che si manifestasse il rischio globale di superare i limiti planetari della sostenibilità, spingendo il pianeta verso un futuro di incertezza. Gli equilibri si sono modificati a partire dall'uso dei combustibili fossili connesso alla Rivoluzione industriale e con l'incremento della forza e intensità degli impatti antropici sull'ambiente, a partire dal secondo dopoguerra (Grande Accelerazione). Un gruppo di ricercatori ha analizzato i dati relativi ad un insieme di variabili legate a diversi ambiti dell'azione umana (popolazione, numero di veicoli a motore, uso di acqua, consumo di fertilizzanti, consumo di carta, ecc) osservando che dagli anni '50 del 20° secolo tutte aumentino a ritmi prima sconosciuti. Nel 2015 queste variabili sono state messe in relazione con variabili ambientali (concentrazione di biossido di carbonio e metano, temperatura della superficie terrestre, acidificazione degli oceani, concentrazione di nitrogeni nelle acque, ecc), mostrando una correlazione tra la diffusione del sistema industriale e la trasformazione antropogenica degli equilibri ambientali. Un'accelerazione è avvenuta anche nei sistemi di produzione e distribuzione di cibo, a partire dal secondo dopoguerra.
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