Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Geografia economica e politica, Sintesi del corso di Geografia Economica

Riassunti di Geografia Economica, Sergio Conti

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 08/02/2016

orianafusco
orianafusco 🇮🇹

4.6

(29)

20 documenti

1 / 19

Toggle sidebar

Anteprima parziale del testo

Scarica Geografia economica e politica e più Sintesi del corso in PDF di Geografia Economica solo su Docsity! GEOGRAFIA ECONOMICA E POLITICA Introduzione – I territori della geografia Capitolo 1 – Le logiche della globalizzazione Introduzione Avvento della globalizzazione. Compressione spazio-temporale tratto distintivo della ‘condizione post-moderna’, e flessibilità come paradigma emergente del capitalismo contemporaneo; conseguenze della globalizzazione sulle relazioni economiche internazionali. Movimenti no-global sul finire degli anni ’90 e gli attacchi terroristici avevano sottratto la scena al movimento di critica della globalizzazione. Recessione globale 2007-2008,che mette in luce la criticità della globalizzazione, rappresentando la prima grande crisi economica di dimensioni globali. La crisi economica era dovuta alle condotte speculative degli istituti finanziari ed al deficit di regolamentazione da parte di organismi nazionali e internazionali. L’interpretazione della globalizzazione evidenzia sia la necessità di ‘storicizzare’ categorie politiche ed economiche, sia quella di osservare i fenomeni socio-economici nella loro dimensione discorsiva. 1.2 Alle origini della globalizzazione – un mondo senza confini è da individuare tra il 1989 e i primi anni Novanta, quando la globalizzazione si mette in relazione allo sviluppo capitalistico e scompaiono le ideologie socialisti. 3 importanti trasformazioni sono da individuare: crisi economica degli anni Settanta, la ‘crisi dello sviluppo’ nei paesi del Sud del mondo e la crisi del keynesismo, con l’affermazione del neoliberalismo come dottrina e pratica dominante. 1.2.1 Il superamento dell’ordine economico postbellico – fine seconda Guerra Mondiale-anni ’70 -> ‘trent’anni gloriosi’ del capitalismo (capitalismo maturo). Sistema fordista-keynesiano alla base del capitalismo post-bellico, in cui furono riorganizzati gli assetti dell’impresa, con una standardizzazione del lavoro operaio, economie di scala e ruolo dello Stato nella regolazione dello sviluppo. Si iniziano a sviluppare welfare state, sistema universalistico di protezione sociale (dalla culla alla tomba) contribuendo alla costruzione di una cittadinanza ‘sostanziale’. Le politiche keynesiane divengono strumentali al fordismo Disfacimento dell’ordine postbellico a partire dagli anni 70: 1971 – Stati Uniti sospendono la convertibilità oro-dollaro, mettendo fine al rolo del dollaro come valuta di riserva internazionale; instabilità monetaria e crisi energetica mondiale nel ’73 producono una ‘grande inflazione’ con associata stagnazione produttiva (stag-flazione), deindustrializzazione nei paesi occidentali. Le diverse crisi degli anni Settanta crearono le condizioni per l’affermarsi della ‘globalizzazione’ -> i paesi della Comunità Economica Europea fissarono una banda di oscillazione per le monete circolanti in area CEE [1979 – creazione del Sistema Monetario Internazionale] / 1992 creazione di un’area monetaria omogenea, l’Unione Europea, tra i cui obiettivi c’è quello di una moneta unica. Crisi dell’egemonia degli Stati Uniti avviene a causa dell’autonomia europea rispetto al dollaro ed a causa dell’area monetaria in Asia orientale gravitante attorno allo yen giapponese. Il keynesismo fu il ritenuto il principale responsabile della depressione economica poiché la stag-flazione fu generata dall’aumento della domanda aggregata. Crisi fiscale dello Stato ha accompagnato la stagnazione economica, proprio a causa della crescita smisurata della spesa pubblica, comprendente le spese militari e le spese del welfare state -> eccesso di pressione fiscale sui cittadini. Questa situazione giocò a favore di una svolta politica conservatrice negli USA, con l’elezione di Reagan, e in Gran Bretagna, con la Thatcher, le cui visioni andavano somigliandosi. Dunque si entra nell’era neoliberale: la crisi della grande impresa fordista, dovuto alla depressione dei consumi, aprì la strada all’industria automobilistica giapponese (Toyota), la cui gestione della produzione è alternativo a quello della Ford, poiché offriva un modello in grado di garantire flessibilità dei moduli organizzativi e la tempestività nel rapporto con i mercati. Il post- fordismo proponeva quindi modelli imprenditoriali accomunati dalla ricerca della flessibilità (adattamento alle oscillazioni di mercato): vale la pena ricordare i distretti industriali di piccola e media impresa nella Terza Italia e nel Baden-Wurttemberg, i clusters di imprese innovative nella Sun Belt statunitense e il i servizi di terziario avanzato che rianimavano le economie. Ogni modello era associato ad un sistema localizzato di relazioni economiche, sociali, culturali e istituzionali; la globalizzazione, così, è da intendere come logica sistemica di indirizzo e governo di percorsi diversificati di produzione capitalistica. 1.2.2 Crisi e trasformazioni nel Sud del mondo – crisi del debito/programmi di aggiustamento strutturale/Washington consensus / il nuovo discorso sullo sviluppo / economie emergenti / post-sviluppo/ sviluppo sostenibile/ governance dello sviluppo La crisi degli anni Settanta ebbe grandi conseguenze nel Sud del mondo: l’area latino-americana fu investita da una grave crisi del debito, a causa dell’aumento del costo delle materie prime. All’inizio degli anni Ottanta la contrazione del commercio internazionale provocò svalutazioni delle monete, generando inflazione (defaul da parte del governo del Messico). Insieme al Messico furono il Cile, il Brasile, l’Argentina che videro un fenomeno di stag-flazione simile a quello dei paesi occidentali. Crisi energetica, instabilità monetaria e contrazione del commercio internazionale si abbattè, negli anni Ottanta, anche sulle fragili economie africane -> la recessione e la crisi del debito del Terzo mondo sollecitarono l’intervento del FMI e della Banca Mondiale, i quali offrirono prestiti a condizione che i governi adottassero ‘programmi di aggiustamento strutturale’; l’approccio neoliberale predicava la deregolamentazione delle economie nazionali ed il rafforzamento dell’export. WASHINGTON CONSENSUS -> svalutazione della moneta nazionale per favorire le esportazione, la privatizzazione di aziende, rigore in bilancio, liberalizzazione del commercio e riduzione dell’assistenza sociale. Con la caduta del blocco sovietico, le strategie di FMI e BM posero fine all’idea stessa di Terzo mondo, che, unitamente alle strategie del Washington Consensus posero le basi per un nuovo discorso sullo sviluppo dei paesi poveri: il Terzo Mondo era ora ‘SUD GLOBALE’, per sancire il passaggio dalla guerra fredda e bipolarismo, a quella della GLOBALIZZAZIONE -> il nuovo discorso sullo sviluppo, persegue l’idea secondo ci la globalizzazione può costituire un’opportunità per i paesi poveri, con l’internazionalizzazione delle economie tramite l’aumento delle esportazioni. Sono da individuare in questo contesto, ‘paesi modello’ del Sud Globale, che hanno registrato prestazioni di crescita: BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e next eleven (Bangladesh, Egitto, Indonesia, Iran, Messico, Nigeria, Pakistan, Filippine, Turchia, Corea del Sud e Vietnam) che sono potenzialmente in crescita. La globalizzazione può offrire opportunità di sviluppo ‘dal basso’, socialmente inclusivo ed ecologicamente sostenibile. Le tesi sul post-sviluppo degli anni Ottanta, critica le teorie economiche sullo sviluppo di matrice neoclassica e di ispirazione neomarxista: queste offrivano una lettura economicista che trascurava le componenti culturali, sociali e ambientali dello sviluppo. Le critiche imponevano una maggiore sensibilità intorno ai temi di SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE e della dimensione socio-culturale dello sviluppo economico. Le Nazioni Unite ha svolto un ruolo fondamentale nell’istituzionalizzazione del discorso sul post-sviluppo, formulando la dottrina dello SVILUPPO SOSTENIBILE -> Sostenibilità come percorso di sviluppo che va incontro ai bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni. Un tipo di sviluppo auto-incentrato, attento ai bisogni delle popolazioni locali - > 1990, le Nazioni Unite misero a punto l’Indice per lo Sviluppo Umano, che considerava fattori di benessere sociale differenti dagli indicatori convenzionali / 1991, Banca Mondiale sottolinea la rilevanza della dimensione istituzionale (governance, associata all’esigenza di trasparenza nelle decisioni e alla responsabilizzazione delle istituzioni di governo rispetto ad obiettivi prefissati) e di come lo scarso successo dei programmi di aggiustamento strutturale sia derivato dal cattivo funzionamento degli apparati di governo. Si sosteneva l’idea di ‘governance democratica’ per coinvolgere anche i gruppi sociali più deboli nei progetti di sviluppo. Il tema della governance dello sviluppo si insinua negli spazi lasciati vuoti dallo Stato nella gestione dei processi di sviluppo. 1.3 L’evoluzione della globalizzazione – ascesa e arresto della globalizzazione Due fasi nel processo di ascesa e affermazione della globalizzazione: 1) fase di ‘gestazione’, crisi economica USA negli anni Settanta, cui segue la svolta conservatrice per affrontare recessione e riorganizzazione 2) dalla caduta del Muro di Berlino 1989 e dalla caduta dell’Unione Sovietica 1991 (Patto di Varsavia) si ha un’ascesa della globalizzazione, fino al crac, nel 2008, di uno dei più antichi e prestigiosi istituti finanziari degli Stati Uniti. Durante i suoi vent’anni di ascesa, la globalizzazione ha attraversato crisi di diversa entità e portata: i primi dieci anni (1991-2001) ha visto crisi essenzialmente di rilievo regionale, mentre dal 2001 in poi, le crisi si sono manifestate di dimensione globale. 1.3.1 Le crisi regionali (1991-2001) – minacce all’ordine mondiale / nuove centralità e periferie / fragilità dell’economia globale Sono 5 gli episodi di crisi più significativi che hanno caratterizzato il periodo di ascesa della globalizzazione: 1992 – tempesta valutaria in Europa, che costrinse Italia e Gran Bretagna a svalutare le monete e ad abbandonare il Sistema Monetario Europeo. 1997 – crisi in Asia Orientale costringe paesi alla bancarotta. 1998 – la crisi dell’Asia Orientale coinvolge anche la Russia, con depressione economica e speculazione finanziaria. 1999-2001 – Argentina in crisi a causa della rigida parità nel rapporto di cambio tra moneta nazionale e dollaro 2000-2001 – negli Stati Uniti esplode la bolla delle imprese dot-com presenti nella rete Internet. Le cinque crisi dell’economia globalizzata ebbero luogo in cinque aree diverse del pianeta: aree e paesi emergenti dell’economia (Sud-est asiatico e Russa) ed anche aree già affermate (Stati Uniti ed Europa occidentale), come chi si trovava in posizioni periferiche, vedi Argentina. Si deve porre quindi attenzione al ruolo della ‘posizionalità, intesa come rapporto di potere politico- economico tra aree egemoni e aree subalterne. Queste crisi sono state una minaccia alla stabilità dell’economia globale, portando alla luce problemi e distorsioni strutturali nell’economia mondiale. La crisi sistemica del 2007-2008, preceduta da altri eventi critici di carattere extra-economico, ha logica sovrannazionale -> si è cercato, dunque, di indagare la diversificazione del regime neoliberale di governo del capitalismo: ‘capitalismo variegato’, diverse modalità attraverso le quali il capitalismo come modo di produzione si relaziona con la società. Il capitalismo è una realtà intrinsecamente plurale e contraddittoria: diverse sono le forme di accumulazione capitalistica che emrgono: 2.3.2 I diversi modi di accumulazione capitalistica Esistono diverse relazioni tra capitalismo e società, che determinano diverse modalità di accumulazione capitalistica; ne possiamo individuare tre: 1) fondata sul RADICAMENTO dell’economia nel territorio 2) INCORPORAZIONE delle varie intelligenze presenti nell’economia 3) ESPROPRIAZIONE dei beni collettivi . Quest’analisi delle varietà del capitalismo tenta di fuggire dal rischio di determinismo geografico-istituzionale: all’interno dello stesso ambito territoriale possono coesiste diverse forme di accumulazione capitalistica. radicamento(embeddedness) – capitalismo molecolare della Terza Italia / il capitalismo imprenditoriale cinese Radicamento socio-territoriale della produzione, piccole e medie imprese si immergono nel territorio a causa della riterritorializzazione del modo di produzione capitalistico post-fordista; CENTRO E NORD-EST ITALIANO / REGIONE DI ZHEIJAN, REGIONE COSTIERA A SUD DI SHANGAI. incorporazione – economie dell’invenzione / contraddizioni sociali dell’economia creativa Seconda modalità di accumulazione e creazione di valore attraverso la realtà dell’economia della conoscenza. Concetto di ‘sussunzione reale’ formulato da MARX, si riferisce alla capacità del capitalismo contemporaneo di incorporare le conoscenza e le capacità relazionali diffuse nella macchina produttiva e nella più ampia società -> il capitalismo si appropria dell’intelligenza collettiva all’interno delle ‘economie dell’invenzione’: ECONOMIE CREATIVE, concentrate in grandi città e aree metropolitane dei paesi più ricchi, che sono riuscite ad intraprendere un processo di sviluppo economico alternativo. Questi processi non sono privi di contraddizioni: i processi di gentrification hanno escluso altri quartieri, creando malcontento ed inoltre i lavoratori creativi si polarizzano tra quelli che hanno un reddito elevatissimo e quelli che sono precari. Le città divengono luoghi cruciali di sviluppo del capitalismo avanzato, il quale si alimenta mediante meccanismi di appropriazione e sussunzione delle intelligenze sociali diffuse. espropriazione – nuovo colonialismo / recinzioni dei beni comuni Questa è la modalità più escludente di accumulazione capitalistica; HARVEY ha sostenuto l’idea che i meccanismi dell’accumulazione originaria, individuati da MARX, abbiano trovato nova vita nell’era della GLOBALIZZAZIONE NEOLIBERALE. Questo processo di dispossession non è avvento in assenza di conflitto; questo concetto è stato associato inoltre alla gentrification ed allo sfruttamento delle rendite immobiliari -> insieme alla finanziarizzazione del mercato immobiliare, la privatizzazione dei servizi pubblici e di risorse naturali è stata definita ‘accumulazione tramite predazione’, proprio come nel caso della rivoluzione agricola in Inghilterra nel 1600; la fase neoliberale del capitalismo ha fatto registrare un’accelerazione nei processi di ‘recinzione’, generando lotte sociali e movimenti di protesta in opposizione a grandi progetti infrastrutturali. 2.4 Conclusioni Abbiamo ricostruito le contrastanti geografie del capitalismo globale: sono contrastanti le forze di omogeneizzazione e di diversificazione dei sistemi economici e sociali della globalizzazione. Controversi sono anche i processi di espansione del capitalismo nelle economie emergenti: da un lato vi sono gruppi che soffrono le conseguenze dei processi di accumulazione capitalistica. Il capitalismo esprime alcune forme di contraddizione: capacità di plasmare l’esperienza sociale complessiva, come forza omologante o di versificatrice; può generare disuguaglianze sociali e produrre disparità regionali e territoriali -> geografie ineguali del capitalismo globale. Capitolo 3 – Rescaling, neoregionalismo e crisi dello Stato-nazione Introduzione – ristrutturazione dello Stato come istituzione / rapporto tra Stato-nazione e globalizzazione / verso uno Stato post-nazionale Negli ultimi anni si è sviluppato un filone di studi sulla ristrutturazione dello Stato-nazione, come istituzione politica e contenitore spaziale e riferimento culturale. Lo Stato-nazione era prosperato nell’Ottocento insieme con l’ascesa delle classi borghesi e del modello capitalistico. Dopo la seconda guerra mondiale, in Europa convivono modelli istituzionali differenti, con la presenza di stati unitari più o meno centralizzati e compagini federali. Alla fine degli anni 70, con la caduta del modello fordista, lo Stato come istituzione compatta viene messo in questione; tre tendenze globali ne determinano la metamorfosi: 1) libera circolazione di capitali e merci ed espandersi delle tecnologie 2) riemergere delle città e delle regioni come centri economici e culturali 3) consolidamento di istituzioni sovranazionali e transnazionali. BRENNER – due interpretazioni del rapporto tra Stato-nazione e globalizzazione: Stato-nazione in declino irreversibile, ‘trasformazione qualitativa’ dello Stato, con nuove forme di statualità. Processo di hollowing-out, ossia di svuotamento dello Stato-nazione; anche se comunque l’evidenza empirica non certifica l’uscita di scena degli stati: c’è chi pensa che la globalizzazione possa dettare l’agenda interna delle politiche statali, altri pensano che non abbia portato nessun effettivo cambiamento della situazione. L’adattabilità o resilienza degli stati-nazione hanno agito in modo profondo nell’ultima parte di 900, in modo da permette di parlare di stati post-nazionali, che condividono la responsabilità dell’azione pubblica con livelli di potere superiore, ‘denazionalizzando’ la propria natura. Il potere è dinamico e la sua capacità di resilienza passa attraverso: denazionalizzazione dello Stato, de statalizzazione del potere politico, internazionalizzazione dei regimi politici -> stati-nazione dovrebbero essere intesi come una classe fra diversi tipi di poteri e non come UNICI centri di potere. Queste riflessioni potrebbero rendere i territori regionali e urbani elementi passivi, per evitarlo, è necessario stabilire una prospettiva ‘regionalista’, osservando i territori infranazionali come entità attive nei processi di rimodellamento delle gerarchie spaziali e degli assetti scalari. 3.2 Stati, regioni, sistemi locali: il rescaling dell’organizzazione territoriale nei paesi a capitalismo maturo – ruolo rafforzato dell’attore regionale / ordinamenti istituzionali a indirizzo regionalista All’interno della rottura dell’ordine fordista, il nuovo regionalismo conosce uno sviluppo di rilievo: esso ha raggruppato una pluralità di prospettive che riflettono una varietà di modelli di lettura e meccanismi operativi -> ritorno dell’attore regionale sulla scena delle politiche di sviluppo regionale Il NUOVO REGIONALISMO è divisibile in due filoni 1) lettura economica della formazione di aggregati territoriali con specificità istituzionali e capacità adeguate alla competizione globale (Neoistituzionalismo e capitalismo cognitivo); negli ultimi vent’anni l’asse d’azione si sposta dallo Stato alle regioni 2) filone anglosassone; distinzione tra federalismo e regionalismo, i cui processi si sono spesso intersecati, producendo forme inedite di ricomposizione territoriale all’interno degli stati. 3.3 Il nuovo regionalismo Ha molteplici punti di vista: istituzionale, economico e politico. Si può parlare di ‘regionalismi’ diversi, ma si possono evidenziare tratti generali 3.3.1 Il cambiamento istituzionale su scala regionale – regione come potere politico-amministrativo autonomo / ruolo dell’Europa comunitaria / riforma costituzionale italiana Dal punto di vista istituzionale, le organizzazioni sovranazionali hanno scelto le regioni come interlocutori per le politiche di sviluppo e coesione, promuovendo forme di governance multilivello. La tensione tra le forze e istituzioni sovranazionali e gli stati-nazione hanno determinato meccanismi propizi alla rinascita delle regioni. Parliamo di ‘rinascita regionale’ perché con l’avvento degli Stati-nazione, c’era stato un ridimensionamento degli spazi di manovra delle istituzioni regionali e locali, passando per il nation and state building, fino ad arrivare ad una ‘crisi’ degli edifici statuali. In Europa, l’aumento di importanza delle regioni è dovuto all’Unione Europea, che le ha coinvolte nella progettazione di politiche di coesione -> svolta neoregionalista -> 2001, Italia, riforma costituzionale, le risposte differenziate delle regioni all’europeizzazione delle politiche pubbliche hanno modificato il ruolo e la struttura degli spazi regionali./ dalla metà degli anni Novanta, Italia, riforma quasi-federale/ Riforma titolo V, 2001 – Stato e regioni legiferano insieme su materie concorrenti. 3.3.2 Il nuovo ruolo economico delle regioni – nuove forme di sviluppo capitalistico / Terza italia / luci ed ombre delle esperienze di sviluppo all’insegna del neoregionalismo / nuovo regionalismo come nuova ortodossia Il NEOREGIONALISMO può anche essere letto in chiave economica, focalizzandoci sul dinamismo e protagonismo di alcune regioni; crisi dell’interventismo statale (anni 80), crisi del fordismo -> scoperta di nuove forme di sviluppo capitalistico che non dipendono dalle grandi imprese. In questo ambito le regioni assumono grande rilievo (Terza Italia, Triangolo Industriale del Nord-ovest) -> analisi di casi regionali in cui vi sono forme di sviluppo in cui il CAPITALE SOCIALE, ossia i beni relazionali frutto di interdipendenza non di mercato, e le istituzioni locali favoriscono insieme lo sviluppo industriale; ritorno all’analisi economica istituzionalista, in cui lo sviluppo economico è tracciato da forze collettive che agiscono nella società. Gli esempi europei di distretti industriali sono stati anche soggetto di critiche: più che l’influenza delle politiche industriali, c’è stata l’influenza dell’ordine spontaneo, instauratosi attraverso meccanismi di auto-organizzazione e della nascita di istituzioni ‘informali’. NEOREGIONALISMO come NUOVA ORTODOSSIA, quando i concetti di maggior successo, furono utilizzati dagli attori neoliberisti – i temi di coesione sociale e territoriale sono tornati in auge dopo la cultura della competizione economica e la crisi economico-finanziaria del 2007-08 3.3.3 Il protagonismo politico regionale – approccio tradizionale alle politiche regionali / approccio istituzionalista alle politiche regionali / regioni come attori della politica Sotto questo profilo dobbiamo distinguere due fenomeni differenti: regioni ‘attori delle politiche’ e regioni ‘attori della politica’ -> il primo aspetto riguarda le politiche dello sviluppo in cui è centrale l’esperienza della programmazione regionale europea, decisa a coinvolgere le regioni. Europeizzazione e emergere di territorialità ‘post-nazionali’, tenendo conto della svolta istituzionalista. L’approccio tradizionale appare caratterizzato da: focalizzazione sull’impresa, standardizzazione, regime di incentivi, mano pubblica -> motore della crescita è l’impresa fordista autosufficiente; il sostegno economico alle regioni non bada alle specificità e lo Stato è l’attore dominante. Ma questo approccio ha dato risultati scarsi, favorendo la riscoperta dell’ECONOMIA ISTITUZIONALISTA, secondo cui l’economia è plasmata da forze collettive, quali le istituzioni formali ed informali. L’approccio ISTITUZIONALISTA si concentra sul rafforzamento delle reti associative, slla promozione della negoziazione tra attori; inoltre la governance deve fondarsi su una pluralità di organizzazioni, garantendo la tenuta sociale dello sviluppo economico. Regioni come ‘attori della politica’, invece, significa che le regioni tornano ad avere un ruolo attivo all’interno della politica nazionale – ridefinizione del concetto della ‘casa comune’ nazionale, con conseguente risentimento dei confronti dei governi pubblicitario, bancario, legale). Alpha, beta, gamma le tre categorie che considerava 122 città, a cui se ne aggiungevano 67, in cui si ravvisava una ‘evidenza di formazioni di città-mondo’. 2012 – novità in ascesa: BRIC , Brasile – Russia – India – Cina I legami e i rapporti che intercorrono tra le diverse città-mondo sono il collante dell’economia globale, dunque è necessaria un’analisi del funzionamento delle città-mondo in una prospettiva trans-statuale e meta geografica. Una grande novità è l’introduzione delle città-mondo nelle rispettive aree geografiche di riferimento, spazio nordamericano, Asia orientale e Europa occidentale. 4.2.5 Le grandi città-regioni – urbanizzazione planetaria Emergere delle grandi città-regioni in fase di avanzata globalizzazione. Questo processo, insieme con l’affermarsi di nuove potenze, ha portato ad un miglioramento delle infrastrutture e flussi di inurbamento che ha fatto riemergere le città -> Urbanizzazione planetaria. In Europa occidentale le città regioni sono di due tipi: città centrali / città policentriche – combinazione di economie di agglomerazione e di varietà che le grandi concentrazioni metropolitane consentono -> concentrazione di attività e presenza di intelligenze collettive. 4.3 Città e globalizzazione: una prospettiva relazionale 4.3.1 Globalizzazione come processo di circolazione – geografie ibride / tecnologia neoliberale di governo Concentriamoci ora sulla dimensione intellettuale e culturale in cui si manifesta la globalizzazione come spazio di circolazione di idee e conoscenze -> conseguenti effetti di ‘ibridazione’ e ‘varietà’tra modelli globali di sviluppo economico, strutture organizzative e forme di agire sociale. Traffico di idee e politiche gestito da istituzioni. Ora è necessario concentrarsi sul significato delle identità cui aspirano le città in un ambiente competitivo quale quello della globalizzazione, analizzando come i processi politici ed economici variano nello spazio e nel tempo -> la globalizzazione influenza l’esperienza urbana in modo omogeneo su scala planetaria sebbene le condizioni contestuali svolgano un ruolo essenziale. Il neoliberalismo è una tecnologia mobile di governo, che è associata alla globalizzazione. 4.3.2 La mobilità delle politiche di sviluppo urbano – intermediari istituzionali Il neoliberalismo ha avuto successo grazie alla sua capacità di riprodursi e adattarsi ai diversi contesti del globo. Grande lavoro di intermediazione è stato svolto da attori e istituzioni pubbliche e private -> policy transfer, ossia mobilità delle politiche, mediante la quale le città competono ed al tempo stesso si pongono in relazione tra loro 4.3.3 Rappresentazioni urbane – GEOGRAPHICAL POLITICAL ECONOMY Secondo la cultural political economy le rappresentazioni delle città e la produzione di immagini e discorsi sono strumentali al perseguimento di strategie di accumulazione capitalistica. Sono quattro i modelli di sviluppo urbano : la città postindustriale : reinvezione urbana: Torino e Barcellona / governance urbana Anni Ottanta - le città dovevano ridefinire la propria specializzazione produttiva, ripensando all’identità urbana e riorganizzando l’assetto degli spazi produttivi e residenziali -> pianificazione strategica, in cui gli obiettivi di governo vanno di pari passo con quelli di sviluppo economico locale. Il metodo della governance è mutuato dal sistema delle imprese. la città postmoderna : città portuali in transizione: Genova e Baltimora E’ stato necessario sviluppare modalità alternative di generazione della ricchezza -> enfasi sulla cultura, nelle città occidentali, come fattore di rigenerazione urbana ed intesa come complessa economia di eventi e istituzioni in continuo divenire -> svolta culturale e imprenditorializzazione del governo urbano stesso. La socializzazione del processo decisionale è strumentale alla partecipazione da parte delle città alle competizioni interurbane -> Genova e Baltimora, urbanistica postmoderna con musei, attrazioni. la città sostenibile : città e cambiamento climatico / modello Curitiba Cultura ecologista degli anni Settanta che sottolineava l’insostenibilità del modello dominante di sviluppo economico -> necessità di ‘sostenibilità’ collegata alle tematiche del cambiamento climatico globale. Dal lato ambientale, le città sono generatori di condizioni di vita insalubri, dall’altro lato le città sono gli spazi di sperimentazione delle strategie sostenibili di governance territoriale. Città brasiliana di Coritiba – green economy, modello di sostenibilità urbana. Neoliberalismo ambientale è il fenomeno che vede associata l’introduzione di meccanismi di mercato in ambito ambientale; inoltre, le grandi imprese vedono nella sostenibilità un ambito di autopromozione e legittimazione, oltre che si sperimentazione tecnologica. le città creative e smart : diversità socio-culturale / successo delle idee di città creativa e smart Stati Uniti – emergono nelle città, classi di creativi attivi in diversi settori professionali, che utilizzano la creatività nel processo lavorativo -> la ‘classe creativa’ è da collegarsi alla transizione verso le economie postfordiste basate sulla conoscenza e sulla creatività. Uno dei fattori decisivi alla nascita di questa classe è la propensione di alcuni ambienti urbani ad accogliere elementi di diversità sociale e culturale. Il discorso sulla città creativa è il miglior esempio di teoria urbana orientata alla produzione di politiche di sviluppo urbano. Negli ultimi anni la smart city sta sostituendo la città creativa, per offrire soluzioni al problema dell’espansione incontrollata degli insediamenti urbani -> smart growth, ossia crescita intelligente. 4.4 Conclusioni Rapporto tra globalizzazione e città da una prospettiva territoriale (concentrazione) o relazionale (circolazione), utili e complementari. Dopo la Grande Recessione 2007/2008 il mondo non è più lo stesso. Economie emergenti più resilienti alle maggiori economie - > quadro di incertezza economica e valutazioni sull’egemonia euro-americana nella globalizzazione; Città come spazi con il più forte potenziale di innovazione tecnologica ed organizzativa, che presenza grandi contraddizioni. Capitolo 5 – Economie esterne e agglomerazione Introduzione – Scelta localizzativa delle imprese è elemento di connessione tra spazio terrestre e agire economico dell’uomo; per quanto riguarda la localizzazione sono due i punti di vista: quello della singola impresa e quello delle imprese nel loro complesso -> AGGLOMERAZIONI PRODUTTIVE, concentrazioni spaziali di attività economiche che scelgono di localizzarsi in prossimità reciproca. 5.2 Economie esterne e agglomerazione: l’eredità marshalliana – mercato del lavoro / fornitori specializzati / spillover tecnologici Le scelte localizzative si fondano su diversi fattori, considerando una relazionalità tra le imprese e tra le imprese e le risorse di ogni città/regione; le attività economiche sono spesso colocalizzate con altra, esercitando importanti conseguenze sugli squilibri regionali e sullo sviluppo ineguale. Il fenomeno delle agglomerazioni affonda le proprie radici nella riflessione marshalliana sulle economie esterne. La spiegazione principale dei processi agglomerativi fa riferimento alla nozione di economie esterne, dette anche esternalità positive; le tipiche economie interne sono quelle ‘di scala’, alla cui base c’è l’idea che l’aumento di esportazioni, facendo diminuire i costi fissi per unità di prodotto, faccia diminuire i costi complessivi sostenuti dall’impresa. Le economie esterne si producono localmente grazie all’interazione di soggetti colocalizzati, sono indipendenti dalla singola impresa ma danno vantaggi a tutte le imprese colocalizzate -> prima grande teorizzazione delle economie esterne, ALFRED MARSHALL, Principles of Economics testo fondatore dell’economia politica moderna: le economie esterne sono legate allo sviluppo di un settore industriale in una determinata area -> tre caratteristiche dell’agglomerazione che offrono vantaggi: mercato del lavoro diversificato e/o specializzato, presenza di fornitori specializzati, spillover tecnologici, i quali permettono alle conoscenze di diffondersi nell’ambiente esterno alla singola impresa. Vi è un superamento, quindi, dei confini della singola impresa come unità economica fondamentale. 5.3 Agglomerazione e territorio: origine, forma e durata E’ necessario chiarire le modalità in cui le agglomerazioni nascano e a quali condizioni possano riprodursi nel tempo e quali conformazioni possano assumere. L’economia dovrà essere assunta come radicata in un insieme di relazioni economiche, sociali, culturali e politiche -> svolta relazionale o culturale, anni Novanta – STORPER, interdipendenze non mercantili, approccio che avvia alla comprensione più completa della totalità dei legami tra le imprese. Dovremmo ora affrontare origine e morfologia dell’agglomerazione e la sua durata e sostenibilità. 5.3.1 Origine dell’agglomerazione – processi storici / politiche pubbliche Le agglomerazioni contengono le esternalità o le esternalità producono le agglomerazioni? Due spiegazioni: la prima si concentra si processi endogeni, di natura storica, che produrrebbero le esternalità necessarie all’avvio di dinamiche agglomerative (MADE IN ITALY); la seconda, invece, si riferisce alla messa in atto di politiche ad hoc che facilitano la riorganizzazione spaziale del tessuto produttivo locale e/o regionale (POLITECNOLOGICI) -> l’innovazione viene concepita come il prodotto di un’interazione tra portatori di interessi con mandati diversi. Questi due modi di considerare l’origine dei processi agglomerativi danno luogo a conformazioni spaziali differenti. 5.3.2 Morfologia dell’agglomerazione - agglomerazione pura / complesso industriale / social network / state centered All’interno dell’ordine ‘agglomerazione’ esistono diverse famiglie di ‘agglomerazioni’, che possono essere distinte l’una dall’altra. GORDON e MCCANN ci offrono una tassonomia, di volta in volta integrata con punti di vista differenti. Pura agglomerazione Complesso industriale Social network • Indotto • piattaforma satellitare • State-centered • Distretto industriale marshalliano (con variante italiana) • Milieu innovateur • Cluster • Learning region L’agglomerazione pure risulta dalla colocalizzazione di una pluralità atomizzata di imprese, tra cui esistono relazioni solo sporadiche e dove le esternalità sono generiche e pre-marshalliane. Il complesso industriale vede la presenza di una o più grandi imprese che stabiliscono relazioni consolidate e strutture di fornitura con altre imprese colocalizzate; abbiamo tre tipi: indotto, piattaforma satellite e state-centered. 1) l’indotto è l’agglomerazione prodotta dalla crescita di un’impresa locale che assume una posizione dominante e de verticalizza la propria struttura produttiva attraverso una rete di fornitori locali e sovra locali. 2) la piattaforma satellite è un’organizzazione spaziale prodotta dalla scelte di imprese multi- e transnazionali di localizzare il proprio impianto di produzione in una certa regione funzionale in un altro paese. Le relazioni sono localmente quasi inesistenti, ma vi sono flussi di merci, persone, ordini ed informazioni. 3) State-centered, ove il ruolo egemone è attribuito allo stato, attraverso la colocalizzazione di imprese pubbliche, agenzie governative, università, istituti di ricerca, catalizzatori per lo sviluppo di iniziative economiche private. L’agglomerazione del social-network corrisponde al distretto industriale marshalliano, o cluster, la cui principale caratteristica è la presenza di relazioni di fiducia e interdipendenza che si sviluppano attorno ai più comuni rapporti di fornitura e che legano imprese di diverse dimensioni -> relazioni che attingono a un substrato di valori, abitudini, routine. L’accesso ai vantaggi dell’agglomerazione richiedono un minimo di radicamento e riconoscimento, necessitando di una forma di identità che possa stabilire l’appartenenza al distretto (DISTRETTO ITALIANO – cooperazione tra concorrenti per ridurre i rischi, lavoratori dediti a design e innovazione, associazioni di categoria, governo locale forte) 5.4 Apprendimento e conoscenza: il motore delle agglomerazioni – economia e conoscenza / conoscenza tacita e codificata / apprendimento e territorio Il tema degli spillover tecnologici assume rilievo all’interno delle scienze regionali, poiché enfatizza sul ruolo di informazione e conoscenza nel processo di emersione di specifiche forme di agglomerazione. LUNDVALL ha definito due assunti fondamentali: il primo è la centralità della conoscenza nei processi economici, ormai divenuta patrimonio condiviso ed anche oggetto di mercato:la reperibilità di conoscenze diventa un elemento imprescindibile per comprendere l’evoluzione delle economie esterne – mercati della creatività. L’acquisto e il possesso di un oggetto riflettono e rispecchiano le relazioni culturali e sociali in cui ciascuno di noi è radicato. E’ necessario distinguere tra due tipi di conoscenza: codificata e tacita: la prima può divenire informazione, la seconda, invece, sfugge alle regole della codificazione. POLANYI però sostiene che conoscenza tacita e codificata non siano in contrapposizione: non sarebbe possibile la produzione di conoscenza codificata senza una dimensione tacita -> learning organizations, le imprese possiedono capacità di azione ed esse stesse sono in grado di apprendere, contaminando conoscenza codificata e tacita, per produrre innovazione. E’ possibile applicare il pensiero di POLANYI al territorio: nel processo di riproduzione della conoscenza lo spazio gioca un ruolo fondamentale, la localizzazione della produzione di conoscenza è importantissima, dunque le agglomerazioni sono il luogo migliore dove la conoscenza tacita viene mescolata con quella codificata per produrre innovazione. Ma è vero anche il contrario: le produzioni di conoscenza sono ancorate ai luoghi ed al tessuto di relazione locali; è altrettanto importante la capacità del territorio di sostenere questi processi di interazione tra conoscenze. 5.4.1 Dal locale al globale Le agglomerazioni si connettono all’economia globale, anche tramite prodotti intermedi e strumentali, sottolineando l’importanza di fornitori locali specializzati all’interno delle economie esterne. Forti relazioni input-output con l’esterno e, nel contesto di globalizzazione, catene globali di merci o global commodity chains -> c’è il rischio di aumentare i rapporti con l’esterno e allentare i legami interni al cluster o distretto. Le agglomerazioni si interconnettono anche con l’ambiente sovralocale -> circolazione di informazioni e conoscenze; duplice processo di conversione tra conoscenza tacita e codificata: la tacita non può prescindere da un legame con i processi innovativi ed i processi innovativi sono incarnazione di conoscenza tacita e codificata. La conoscenza tacita può essere ‘globalizzata’ attraverso il posizionamento di imprese transnazionali all’interno di un cluster o distretto. 5.5 Le agglomerazioni tra successo e crisi – diseconomie di aggregazione / PAUL KRUGMAN / resilienza L’esistenza di economie esterne non basta a garantire la riproduzione dell’agglomerazione. E’ necessario comprendere quali condizioni economiche permettono a un’agglomerazione di continuare a trarre profitto dalle economie esterne. Esistono le diseconomie di agglomerazione: al crescere dell’agglomerazione vi sono aumenti di costo che possono innescare processi di delocalizzazione o di diffusione spaziale. investimenti, rendendo la base locale più completa e diversificata, migliorando la gamma di esternalità disponibili; vi sono, tuttavia, differenza tra le due forme di competitività: quella diretta si occupa del processo di sviluppo regionale e nazionale, quella indiretta è orientata alla comprensione del comportamento delle imprese e di come le caratteristiche del territorio incidono su di esso / diverso atteggiamento nei confronti della teoria della localizzazione: competitività diretta è un problema di localizzazione, visto che questo è il tema più rilevante, mentre la competitività indiretta si concentra sul rapporto tra imprese e territori, considerando aspetti fondamentali nel processo di localizzazione. 6.2.3 La primazialità della competitività territoriale indiretta – competitività ed investimenti esteri diretti La competitività territoriale diretta, fondata sul rapporto tra capitale territoriale e competitività delle imprese, possiede la primazialità rispetto a quella diretta, dimostrandosi il fondamento più solido per i processi di sviluppo e crescita economica dei territori. COMPETITIVITA’ INDIRETTA: concorrenza per risorse scarse / INDIRETTA: cos viluppo tra territori e imprese, per la creazione di valore aggiunto territoriale -> questa propende per un maggior realismo nelle scelte strategiche, concentrandosi sulle specializzazioni già presenti sul territorio. Invece, le politiche di attrazione di investimenti esteri diretti non tengono in considerazione le ‘vocazioni territoriali’, divenendo un problema in territori con diverse basi economiche. Questo tipo di politiche, invece di creare un benessere condiviso, rischia di favorire soggetti privilegiati, invece che l’intera comunità; è necessario un approccio indiretto, stabilendo una relazione virtuosa tra competitività e agglomerazione. 6.3 Quali politiche per la competitività territoriale? economie come sistemi di relazioni / politiche territoriali nel ‘capitalismo associativo Il territorio è fattore causale dei processi di creazione del valore all’interno dell’economia contemporanea; tre aspetti distinti, ma convergenti: 1) ruolo delle risorse territoriali decisivo; per lo sviluppo è necessario analizzare indicatori non solo economici, ma anche sociali e culturali -> geografia neoistituzionalista, centralità dei fattori relazionale e del rapporto tra economia ed istituzioni 2)ruolo importante di fattori derivanti dalle reti di interdipendenza non mercantile tra agenti economici, che si articolano in modalità differenti, sulla base di modelli di azione collettiva ‘territorializzata’ 3) competizione econoica tra aggregati territoriali in cui le imprese sono elementi costitutivi; vantaggio assoluto, che rende fondamentale il supporto di politiche territoriali. ECONOMIA come SISTEMA DI RELAZIONI, per catturare l’essenza e le sfumature del processo di sviluppo economico -> 1) processo economico come scambio di informazioni e coordinamento tra soggetti 2) protagonisti dotati di intenzioni progettuali, interessi e preferenze 3) accumulazione economica costituita anche da beni relazionali Le politiche territoriali sono forme di azione collettiva che riguardano il territorio e le relazioni tra componenti del sistema locale e soggetti economici – insieme di relazioni comunicative che permettono la circolazione di informazioni e di sapere tecnico non codificabile. 6.3.1 Politiche per la competitività diretta: il marketing territoriale – dal managerialismo all’imprenditorialismo urbano/ marketing territoriale e neoliberalismo / marketing territoriale e competitività dell’offerta territoriale/ quattro campi di azione del marketing territoriale Territori come attori collettivi in competizione -> cambiamento nello stile di governance a causa del passaggio a logiche d’azione pubblica di tipo ‘manageriale’ a logiche di tipo ‘imprenditoriale, che ricorrono al mercato ed alla competizione per ottenere nuove risorse. HARVEY sottolinea 4 opzioni di competizione tra città: 1) le città utilizzano vantaggi in termini di risorse naturali per aumentare i prodotti da collocare sul mercato internazionale; 2) le città competono per aggiudicarsi quote maggiori di consumi attraverso poli di attrazione commerciale, turismo culturale e intrattenimento; 3) le città possono competere anche per poteri finanziari e politici; 4) possono competere, inoltre, per aggiudicarsi le risorse distribuite dai governi nazionali e da organismi sovranazionali Questo schema di sviluppo interurbano diventa più complesso se si affrontano le politiche concretamente. Una delle pratiche più diffuse per promuovere il vantaggio competitivo territoriale è stata l’applicazione del MARKETING STRATEGICO, ridottosi a slogan di copertura di politiche neoliberiste, che ha suscitato diffidenze del mondo accademico per un insieme di ragioni: 1) il marketing territoriale spinge verso una cultura aziendalista, che vede il territorio come ‘prodotto’ da porre sul mercato 2) l’omogeneizzazione delle caratteristiche dei sistemi territoriali, non tiene conto delle specificità contestuali Sotto la voce di marketing territoriale poniamo politiche ed azioni molto diverse tra loro: dunque la sua definizione teorica è eccessivamente astratta; il termine marketing è un’iperbole. Marketing territoriale – insieme di tecniche e strumenti utilizzabili nell’ambito delle politiche territoriali, per valorizzare la competitività dell’offerta territoriale. PAOLI ha individuato quattro principali campi di azione del marketing territoriale: 1) attrazione di nuovi investimenti esterni 2) mantenimento del tessuto economico e produttivo 3) eutanasia delle imprese in crisi irreversibile 4) promozione dell’immagine dell’area come ideale sede di investimento – campi d’azione possono presentarsi anche in combinazione tra loro. 6.3.2 Politiche territoriali per la competitività indiretta: rafforzamento del capitale territoriale – il vantaggio competitivo locale secondo Porter/ capacità localizzate/ componenti del vantaggio competitivo locale/ politiche territoriali per la competitività indiretta/ ruolo cruciale delle istituzioni Il territorio si sviluppa attraverso la conoscenza congiunta alla capacità di agire sul capitale territoriale e di interagire con altri sistemi locali e con livelli ‘superiori’; le politiche territoriali sono orientate a consolidare il vantaggio competitivo locale, che è di tipo assoluto, non potendo contare su misure di aggiustamento macroeconomico (svalutazione della moneta/riduzioni salariali). Risorse di mileu e capacità localizzative fondamentali per la coesione interna dei soggetti locali. PORTER – elementi essenziali per il vantaggio competitivo locale, riferibile a contesti nazionali o regionali, frutto dell’interazione tra strategie e strutture delle imprese, condizioni dei fattori e della domanda, industrie correlate. Specializzazione dei mercati del lavoro locali, efficienza infrastrutturale, efficienza dei sistemi di governance flessibilità dei mercati immobiliari locali, qualità degli standard ambientali e di vita. Le imprese interagisco in u costruzioni sociali radicate in istituzioni ‘territorialmente specifiche -> mercati sono asset territoriale non mercantile, una ‘capacità localizzata’ , precondizione necessaria per la competitività -> le capacità localizzate sono elementi costituitisi nella lunga durata storica: dotazione istituzionale, ambiente costruito, risorse naturali, conoscenze e competenze. E’ possibile sintetizzare le componenti del vantaggio competitivo locale introducendo due famiglie distinte di elementi: 1) COMPONENTI DEL SISTEMA ECONOMICO LOCALE – mercato del lavoro specializzato, mercato immobiliare efficiente, presenza di capitale di rischio, infrastrutture di livello adeguato, struttura prodttiva integrata all’interno ed all’esterno del sistema, qualità ambientale elevata, capacità innovativa 2) COMPONENTI DEL SISTEMA DECISIONALE LOCALE – efficienza tecnica del governo territoriale, flessibilità e creatività della pubblica amministrazione nei processi decisionali, capacità innovativa e di apprendimento del sistema decisionale, istituzioni intermedie per incanalare la domanda Possiamo riferirci alle politiche per la competitività territoriale indiretta come forme di azione collettiva che si pongono il problema del sostegno alla competitività locale, intesa come condizione per lo sviluppo nel lungo periodo – ruolo cruciale delle istituzioni, che giocano un triplice ruolo: interpreti e garanti delle ‘regole del gioco’, promuovono e guidano attività gestionali complesse, ‘mediatori della domanda esterna’, capaci di incanalare i flussi di investimenti. L’elaborazione delle politiche passa per meccanismi di azioni di coalizioni, che condividono interessi e strategie e sono legate alla dimensione territoriale -> reti locali stabili assicurano l’esistenza di un sistema locale territoriale, ma politiche territoriali efficaci sono garantite solo da reti locali efficienti 6.4 Conclusioni Rilevanza di una dimensione collettiva dell’agire economico. La geografia del capitalismo contemporaneo è un paesaggio dominato dalle agglomerazioni, con un rapporto diretto tra economia e spazio, tra produzione e territorio. Le agglomerazioni si affermano come livello intermedio di coordinamento tra la singola impresa e l’economia regionale e nazionale nel suo insieme. Per non rischiare di semplificare la complessità territoriale, è necessario andare oltre la dimensione politica e conflittuale (territori e imprese sono intesi come soggetti che competono), tenendo conto dei molteplici interessi e prospettive che alimentano il dialogo, il dibattito ed il conflitto tra i diversi attori territoriali. Capitolo 7 – Politiche territoriali e governance multilivello: uno sguardo all’Europa e all’Italia 7.1 Il territorio nelle politiche – politiche regionali tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta (Politica di industrializzazione del Mezzogiorno)/ politiche regionali secondo la prospettiva istituzionalista Tra gli anni Cinquanta e Ottanta, in Italia, le politiche regionali erano una ‘derivata’ dell’azione dei governi centrali e le regioni erano articolazioni decentrate del potere statuale. Le politiche si traducevano in azioni di sostegno all’impresa autosufficiente e razionalmente perfetta. Il sostegno alle economie regionali avveniva senza tenere conto delle specificità regionale e operando su un duplice binario: 1) politiche redistributive per stimolare la domanda locale 2) offerta di incentivi pubblici La modestia dei risultati di queste politiche ha mosso critiche nei confronti di questo approccio -> si riscopre l’idea che l’economia sia plasmata da forze collettive stabili, le istituzioni formali e non. Lo stimolo allo sviluppo economici, di conseguenza, è stato visto con una prospettiva nuova: 1) rafforzamento delle reti associative 2) promozione della negoziazione per far emergere razionalità negli attori 3) governance di tipo pluralista 4) l’insieme di attori crea un reticolo istituzionale che garantisce la tenuto sociale dello sviluppo economico 5)politiche forgiate sulla base delle specificità contestuali Politiche regionali Keynesismo regionale Neoistituzionalismo regionale Caratteri dominanti Beneficiari Impresa o settore Cluster ed economie locali d’associazione Progettazione Standardizzazione Adattatività Strumenti Regime di aiuti (incentivi diretti e indiretti) Valorizzazione delle risorse di milieu e dell’apprendimento Attori Settore pubblico Pilotaggio pubblico e partenariato pubblico-privato (governance) territorio come ambito dinamico delle politiche regionali/ esperienza dei patti territoriali in Italia/ territorializzazione dell’azione collettiva Dagli anni Novanta, il territorio assume la funzione di ambito dinamico e attivo, la cui possibilità di agire deriva dall’azione comune degli agenti in esso operante -> La legge del 1996 per l’Intervento Straordinario a favore del Sud italiano, istituzionalizza tale metodo di intervento – ‘programmazione negoziata’, che pone in primo piano le aggregazioni di comuni come entità intermedia di gestione delle politiche locali I PATTI TERRITORIALI sono la strategia di maggiore interesse – essa è specifica poiché tiene conto di un’entità collettiva intesa come comunità di interessi e valori condivisi ed identifica un’idea forza che polarizza le energie del processo di concentrazione locale -> dai primi anni del Duemila, ‘territorializzazione’ dell’azione collettiva attraverso: decentramento delle competenze e dei poteri statali, partenariato e cooperazione, pianificazione strategica; fondamentali gli enti di livello inferiore che organizzano i rapporti tra poteri pubblici e società civile. PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’ Le partizioni amministrative tradizionali sono assunte come riferimento territoriale dell’azione, per cui vengono attribuite a giurisdizioni territoriali date le capacità di rispondere al meglio alla domanda di efficacia dell’intervento pubblico. Emergere e consolidarsi di distretti industriali, ossia formazioni socio-territoriali in cui il successo economico è dato dalle relazioni verticali tra reti sociali e milieu locale -> focus su concentrazioni di piccole e medie imprese, in cui la dimensione territoriale diventa l’elemento integratore; necessarie sono le capacità di apprendimento per mantenere nel tempo il potenziale innovativo. Un’analisi va condotta anche sui cluster, ossia insiemi di industrie connesse da legami orizzontali e verticali di vario tipo, geograficamente localizzate. Essi sono visti come coaguli funzionali che guidano lo sviluppo economico, grazie all’azione congiunta di economie esterne e di rendimenti crescenti. Le finalità delle politiche territoriali sono lo sviluppo locale e la coesione sociale, ma quale è la domanda che stimola la nascita di nuove politiche territoriali? 7.2 La nuova domanda di politiche pubbliche territoriali – contenuti della nuova domanda di politiche pubbliche territoriali/ assi portanti delle nuove politiche territoriali L’affermazione di una nuova divisione internazionale del lavoro ha prodotto un tessuto di beni pubblici riferibili alle economie esterne territoriali; queste producono nuova domanda di politiche pubbliche territoriali, i cui contenuti sono assai diversi tra loro : necessità di infrastrutture, sostegno allo sviluppo locale, marketing urbano e territoriale, sostegno dei processi di riconversione della base produttiva, formazione continua della forza lavoro, miglioramento della qualità ambientale, intercettazione dei finanziamenti comunitari. Sono necessari, per questi fini, nuovi modi di gestire i problemi pubblici e le forme di governo. Attori sperimentano possibili cooperative, per liberare risorse economiche e culturali e permettere allo sviluppo di innescare strategie di più attori, capaci di condividere e coordinare progettualità -> è l’inclusione a permette l’autonomia , superamento
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved