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Geografia fisica, umana ed economica, Appunti di Geografia

I valori e le finalità dell’educazione geografica nella scuola dell'infanzia e scuola primaria, le nozioni di base di Geografia generale (rocce, fenomeni endogeni, processi esogeni, modellamento superficiale, clima, ...), Geografia fisica, umana ed economica (dinamiche demografiche, movimenti migratori, sviluppo sostenibile, risorse, paesaggio, regione, spazi urbani, ...) e la Terra e la sua rappresentazione (carte geografiche, cartogrammi, diagrammi, ...).

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 17/12/2022

Martina.Laplace
Martina.Laplace 🇮🇹

4.6

(40)

47 documenti

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Scarica Geografia fisica, umana ed economica e più Appunti in PDF di Geografia solo su Docsity! 27/9/2022 PROGRAMMA DI MASSIMA ✓ I valori e le finalità dell’educazione geografica. ✓ La Geografia nel curricolo della scuola dell’infanzia e della scuola primaria. ✓ Le nozioni di base di Geografia generale: • Geografia fisica o la struttura e la dinamica della Terra; o le rocce ignee, sedimentarie, metamorfiche; o le rocce per le opere umane; o i fenomeni endogeni: attività sismica e vulcanica; o i processi esogeni e il modellamento superficiale; o la storia della Terra e della vita e l’Antropocene; o il clima e l’emergenza climatica. • Geografia umana ed economica o le dinamiche demografiche; o i movimenti migratori; o il paesaggio; o la regione; o gli spazi urbani; o le risorse (con particolare riferimento a quelle alimentari); o la complessa questione dello sviluppo (crescita, decrescita, sostenibilità). Questi due pilastri servono soprattutto a strutturare un discorso sul concetto di paesaggio. • La Terra e la sua rappresentazione o le carte geografiche; o i cartogrammi; o i diagrammi. Laboratorio: ✓ la carta topografica d’Italia; ✓ l’introduzione alla lettura e l’interpretazione delle carte topografiche e di altri strumenti quali atlanti, carte tematiche, dati statistici. I VALORI E LE FINALITÀ DELL’EDUCAZIONE GEOGRAFICA I VALORI DELL’EDUCAZIONE GEOGRAFICA L’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (AIIG) è un ente qualificato per la formazione del personale della scuola e accreditato presso il MIUR (D. M. 27/02/2003); una società di cultura del territorio, membro dell’European Standing Conference of Geography Teachers-Associazione di Protezione Ambientale (https://www.aiig.it/). John Spilsbury (cartografo e incisore) inventò il 1° puzzle (una carta fatta a pezzi, cioè una carta geografica) nel 1766 a Londra. Poiché i bambini studiavano la geografia attraverso le mappe, il cartografo pensò di dipingerle direttamente su delle tavole di legno e di intagliare le tavole stesse in tasselli che poi i bambini avrebbero ricomposto. In questo modo, l’apprendimento era facilitato dal gioco e dalla soddisfazione di individuare la giusta combinazione dei pezzi. Spilsbury comprese poi che, oltre ad essere un metodo di insegnamento, si trattava di un possibile business e così trasformò in puzzle tante mappe di molte regioni del mondo, diffondendo questo gioco educativo con il nome di Dissected maps. quantità di tegoli prodotti da una determinata città, il tonnellaggio del naviglio di un’altra, i confini di una regione, la capitale di uno Stato». Si ribadisce, quindi, che le informazioni di tipo nozionistico sono inutili se sono frammentarie e disorganizzate; se, invece, si attinge all’informazione per poi ragionarci sopra in un’ottica relazionale tra essere umano e ambiente, allora vengono fuori cose importanti. Le tre tappe evolutive della Geografia, degli ultimi 150 anni (perché la Geografia nasce, appunto, nella seconda metà dell’800) sono le seguenti: ➢ Geografia descrittiva (ormai diventata appannaggio dei media, di Internet, anche se non la si può abbandonare del tutto poiché altrimenti non si riesce nei passaggi successivi; che cosa? come? dove?); ➢ Geografia interpretativa (perché?); ➢ Geografia applicativa (come sarà? come dovrebbe essere?). La Geografia ha una valenza formativa elevata che, però, paradossalmente si è tradotta in un indebolimento della stessa (penalizzata dalla scuola), a scelta di altro (forse anche proprio per colpa dei geografi stessi), dal momento che la prassi didattica è stata piuttosto riduttiva (cioè, basata troppo sul nozionismo). Ad esempio, nella scelta dei libri di testo si dovrebbe fare attenzione, nei contenuti, a un adeguato bilanciamento fra nozionismo e spunti interpretativi; come anche la carta geografica tradizionale in aula, che non dovrebbe mai mancare perché essa diverrà, da sé, uno strumento di lavoro (e non un oggetto di arredo). A tal proposito, J. J. Rousseau, nell’Emilio (1762), scriveva: «Volete insegnare la Geografia a questo fanciullo e andate a cercargli dei globi, delle sfere, delle carte: che macchinosità […]. Perché non cominciare col mostrargli l’oggetto stesso affinché sappia almeno di cosa gli parlate […]. I suoi due punti di partenza in Geografia saranno la città dove dimora e la casa di campagna di suo padre […]. Che faccia lui stesso la carta di tutto ciò […]. Vedete qui la differenza che corre tra il sapere dei vostri allievi e del mio, essi conoscono le carte e lui le fa». Lo spazio geografico, dunque, è il frutto di una trama complessa di relazioni (non un contenitore di oggetti da elencare). Per concludere, possiamo dunque dire che l’obiettivo principale della Geografia è quello di sviluppare l’intelligenza spaziale perché tale disciplina studia il presente per guardare al futuro (l’insegnamento della Geografia, perciò, non è una trasmissione di contenuti enciclopedici). Con i bambini è necessario partire dalle geografie soggettive (quindi, non da quelle oggettive), dal quotidiano, da quello che essi conoscono bene perché lo sperimentano ogni giorno. La Geografia deve essere attenta alle percezioni del bambino relativamente al mondo che lo circonda. La realtà locale è dunque importante in questo senso: il bambino non è ancora in grado di utilizzare il pensiero astratto, perciò è inutile mostrargli luoghi lontani da lui; dalla realtà locale, invece, si trae spunto per immaginare come siano le altre realtà del mondo. Conoscere la realtà locale è la base per capire come funzionano realtà lontane. 29/9/2022 LA GEOGRAFIA NEL CURRICOLO DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E DELLA SCUOLA PRIMARIA LE LINEE DI TENDENZA NEL RINNOVAMENTO DELL’INSEGNAMENTO DELLA GEOGRAFIA G. Lombardo Radice afferma (1917) che la Geografia è un’integrazione della Storia; un’illustrazione del reciproco rapporto delle varie regioni della Terra, dei fenomeni fisici e biologici tra di loro e del mondo naturale con il mondo umano (quindi, non una pura nomenclatura geografica). J. Dewey sostiene (1938), invece, che l’ambiente fisico e naturale e l’ambiente sociale sono realtà complementari da integrare nell’analisi (non certo da separare); pertanto, il rapporto tra Geografia e Storia dev’essere in funzione dinamica e positiva (non certo con subalternità di una disciplina rispetto all’altra). Nei programmi per la scuola elementare si leggeva (1955) che l’insegnamento geografico doveva soprattutto giovare a far conoscere e amare la Patria e a far nascere sentimenti di fraternità tra i popoli che costituiscono la grande famiglia umana e avviare il fanciullo alla contemplazione della bellezza della natura, coronando così anche ai fini spirituali ed estetici lo studio dell’ambiente; una visione, dunque, un po’ ottocentesca della Geografia, che privilegia le descrizioni di tipo naturalistico, e che finirà poi con il protrarsi nei decenni seguenti, anche se si notano tre linee di tendenza: a) nuove inflessioni pedagogiche circa il significato dello studio d’ambiente (tutto ciò che è fisico ma anche umano); b) elaborazione, all’interno della scuola, di significative esperienze di ricerca intorno all’area storico- geografico-scientifica individuando rapporti tra l’essere umano e l’ambiente; c) tendenze innovative della normativa, in particolare culminate nel DM 9 febbraio 1979 dettante i programmi della Scuola Media, i quali pongono come finalità della Geografia, pensata all’interno di un quadro di riferimento che persegue l’unità dell’educazione e del sapere attraverso l’interdisciplinarietà, il compito di «indagare fenomeni e sistemi antropofisici in una visione dinamica di tutti gli elementi variabili, naturali e umani che concorrono a configurare l’assetto del territorio» (visione ambiziosa integrata del rapporto essere umano-ambiente, capace di sollecitare l’osservazione, sviluppare le capacità descrittive, arricchire il patrimonio culturale e promuovere lo spirito critico). INDICAZIONI NAZIONALI PER IL CURRICOLO DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E DEL PRIMO CICLO D’ISTRUZIONE (2012) – ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE (MIUR) «Il primo ciclo d’istruzione comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado». «La valorizzazione delle discipline avviene pienamente quando si evitano due rischi: sul piano culturale, quello della frammentazione dei saperi; sul piano didattico, quello dell’impostazione trasmissiva. Le discipline non vanno presentate come territori da proteggere definendo confini rigidi, ma come chiavi interpretative disponibili ad ogni possibile utilizzazione. I problemi complessi richiedono, per essere esplorati, che i diversi punti di vista disciplinari dialoghino e che si presti attenzione alle zone di confine e di cerniera fra discipline». «La Geografia studia i rapporti delle società umane tra loro e con il pianeta che le ospita. È disciplina «di cerniera» per eccellenza poiché consente di mettere in relazione temi economici, giuridici, antropologici, scientifici e ambientali di rilevante importanza per ciascuno di noi. In un tempo caratterizzato dalla presenza a scuola di alunni di ogni parte del mondo, la geografia consente il confronto sulle grandi questioni comuni a partire dalla conoscenza dei differenti luoghi di nascita o di origine famigliare. La conoscenza geografica riguarda anche i processi di trasformazione progressiva dell’ambiente ad opera dell’uomo o per cause naturali di diverso tipo. […] La geografia è attenta al presente, che studia nelle varie articolazioni spaziali e nei suoi aspetti demografici, socio-culturali e politico-economici. L’apertura al mondo attuale è necessaria anche per sviluppare competenze relative alla cittadinanza attiva, come la consapevolezza di far parte di una comunità territoriale organizzata. Tuttavia, poiché lo spazio non è statico, la geografia non può prescindere dalla dimensione temporale, da cui trae molte possibilità di leggere e interpretare i fatti che proprio nel territorio hanno lasciato testimonianza, nella consapevolezza che ciascuna azione implica ripercussioni nel futuro. Altra irrinunciabile opportunità formativa offerta dalla geografia è quella di abituare a osservare la realtà da punti di vista diversi, che consentono di considerare e rispettare visioni plurime, in un approccio interculturale dal vicino al lontano. La conoscenza e la valorizzazione del patrimonio culturale ereditato dal passato, con i suoi «segni» leggibili sul territorio, si affianca allo studio del paesaggio, contenitore di tutte le memorie materiali e immateriali, anche nella loro proiezione futura. […] Riciclaggio e smaltimento dei rifiuti, lotta all’inquinamento, sviluppo delle tecniche di produzione delle energie rinnovabili, tutela della biodiversità, adattamento al cambiamento climatico: sono temi di forte rilevanza geografica, in cui è essenziale il raccordo con le discipline scientifiche e tecniche. Il punto di convergenza sfocia nell’educazione al territorio, intesa come esercizio della cittadinanza attiva, e nell’educazione all’ambiente e allo sviluppo. La presenza della geografia nel curricolo contribuisce a fornire gli strumenti per formare persone autonome e critiche, che siano in grado di assumere decisioni responsabili nella gestione del territorio e nella tutela dell’ambiente, con un consapevole sguardo al futuro. Il primo incontro con la disciplina avviene attraverso un approccio attivo all’ambiente circostante, attraverso un’esplorazione diretta; in questa fase la geografia opera insieme alle scienze motorie, per consolidare il rapporto del corpo con lo spazio. Costruendo le proprie geografie, anche attraverso le testimonianze di adulti come referenti culturali, gli allievi possono avvicinarsi alla dimensione sistematica della disciplina. Alla geografia, infatti, spetta il delicato compito di costruire il senso dello spazio, accanto a quello del tempo, con il quale va costantemente correlato (ma oggi bambini e ragazzi vivono schiacciati sulla dimensione orizzontale, cioè il tempo, per loro, è una coordinata vaga e ciò dipende anche dal fatto che il contenitore di informazioni non è più il libro, ma la rete – web –, il che implica un’altra logica rispetto a quella della modernità). Gli allievi devono attrezzarsi di coordinate spaziali per orientarsi nel territorio, abituandosi ad analizzare ogni elemento nel suo contesto spaziale e in modo multiscalare, da quello locale fino ai contesti mondiali. Il raffronto della propria realtà (spazio vissuto) con quella globale, e viceversa, è agevolato dalla continua comparazione di rappresentazioni spaziali, lette e interpretate a scale diverse, servendosi anche di carte geografiche, di fotografie e immagini da satellite, del globo terrestre, di materiali prodotti dalle nuove tecnologie legate ai Sistemi Informativi Geografici (GIS).». Gli obiettivi di apprendimento esplicano, nel concreto, cosa bisogna fare. Quindi, al termine della classe terza della scuola primaria: « Orientamento − Muoversi consapevolmente nello spazio circostante, orientandosi attraverso punti di riferimento, utilizzando gli indicatori topologici (avanti, dietro, sinistra, destra, ecc.) e le mappe di spazi noti che si formano nella mente (carte mentali). INDICAZIONI NAZIONALI E NUOVI SCENARI (2018) «Questo documento pone al centro il tema della cittadinanza, vero sfondo integratore e punto di riferimento di tutte le discipline che concorrono a definire il curricolo. La cittadinanza riguarda tutte le grandi aree del sapere, sia per il contributo offerto dai singoli ambiti disciplinari sia, e ancora di più, per le molteplici connessioni che le discipline hanno tra di loro. […] Non si tratta di ‘aggiungere’ nuovi insegnamenti, semmai di ricalibrare quelli esistenti. Per questa ragione appare propedeutico ed opportuno procedere gradualmente, dialogando sia con la comunità scientifica, gli esperti di diversi ambiti e le associazioni professionali, sia con le scuole, al fine di condividere e interpretare le sollecitazioni di questo testo che propongono una rilettura mirata ed approfondita delle Indicazioni 2012 nella prospettiva dello sviluppo di competenze per la cittadinanza attiva e la sostenibilità.». Quindi, l’educazione alla cittadinanza equivale alla responsabilità e all’attivismo. Non è un caso se poi nella scuola è stata reintrodotta l’educazione civica dal 2019 e a partire dal 2020, con un’operazione, però, ancora molto debole perché è ancora da valutare la reale efficacia della frammentazione di un discorso così importante in una pluralità di questo tipo, rischiando di indebolire la parte educativa invece di rafforzarla. ______________________________________________________________________ 4/10/2022 LA GEOGRAFIA E LE ALTRE DISCIPLINE J. Dewey diceva: «L’unità di tutte le scienze si trova nella Geografia». Insegnando Geografia, in effetti, si toccano aspetti di italiano, matematica, lingua straniera, scienze storia, religione, arte e immagine, musica, scienze motorie, tecnologia e informatica. Attraverso questo dialogo fra discipline, dunque, la Geografia disegna e rielabora la conoscenza del mondo. Una serie di indicazioni bibliografiche per suggerire delle letture a scuola: • Una Geografia… da favola. Miti e fiabe per l’apprendimento – Daniela Pasquinelli D’Allegra (Carocci, 2010) È un libro per la scuola dell’infanzia e per la scuola primaria in cui i racconti fantastici assumono una funzione organizzatrice nell’esplorazione dello spazio vissuto e nella prima scoperta del mondo accendendo la curiosità e l’attenzione. Ad esempio, nel testo Il lupo e l’agnello (rielaborato da Esopo e Fedro): «Un giorno un lupo, affamato ma anche molto assetato, andando in cerca di acqua limpida da bere, salì su una montagna e arrivò vicino alla sorgente di un fiume. Contemporaneamente un agnello, pure lui molto assetato, si avvicinò alle rive dello stesso fiume, che proseguiva il suo corso in pianura, ai piedi della montagna. Così il lupo si trovava sopra, sul monte, mentre l’agnello si trovava sotto, nella valle. Allora il lupo, che, come abbiamo detto, era anche affamato, cercò di far nascere l’occasione per una lite: “Perché” – disse – “rendevi torbida l’acqua che stavo bevendo?» • Appunti di Geofantastica – Gianluca Caporaso e S. Olivotti (Lavieri, 2015) È un libro che racchiude gli appunti di un viaggiatore capace di carpire le storie più intime e segrete delle città che attraversa (Cosenza, Metaponto, Corleone, Ischia, Corsano…) e di ricostruire, con esse, una geografia fantastica ma plausibile (utilizzare anche la strategia della fantasia, infatti, per ricordare il nome delle città, ad esempio, può essere un modo più o meno valido di studiare la geografia senza per forza ricorrere all’etimologia). • Cantalamappa. Atlante bizzarro di luoghi e storie curiose (ElectaKids, 2015) e Il ritorno dei Cantalamappa (ElectaJunior, 2016) – Wu Ming Si tratta di due libri che hanno avuto molto successo poiché, essendo strutturati sottoforma di diari di viaggio, i due giramondo Guido e Adele Cantalamappa sembrano vivere delle avventure fantastiche (raccolte attraverso mappe, fotografie, ritagli di giornale e ricordi nel Librone dei Viaggi), ma che, in realtà, hanno uno sfondo concreto; storie che arrivano dal passato ma parlano del presente (come, ad esempio, l’Arbez Hotel, Toc e Patoc, Eldorado, Rapa Nui, etc.). • Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro (Aboca, 2021) – Telmo Pievani e Mauro Varotto È un libro più adatto per una classe 4a o 5a di scuola primaria, in cui si ragiona sul fatto che «La realtà geografica che identifichiamo con l’Italia è stata nei millenni estremamente mutevole per ragioni tettoniche, morfogenetiche, climatiche, ma in ultimo anche antropiche… L’Homo sapiens sta contribuendo a cambiare il clima e pertanto anche la conformazione della superficie terrestre: non era mai accaduto in tempi così rapidi e con conseguenze così vaste. Come muterà l’aspetto del mondo nel futuro prossimo?». Per far riflettere sui rischi concreti a cui si può andare incontro, il filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani e il geografo Mauro Varotto hanno immaginato come si trasformerà l’Italia proiettandosi, in maniera distopica, nell’anno 2786. Quindi, esattamente 1000 anni dopo l’inizio del viaggio in Italia di Goethe, comincia il tour di Milordo, a bordo del battello Palmanova, attraverso la geografia visionaria del futuro. La Pianura padana sarà quasi completamente allagata; i milanesi potranno andare al mare ai Lidi di Lodi; Padova e tantissime altre città saranno interamente sommerse; altre ancora si convertiranno in un sistema di palafitte urbane; le coste di Marche, Abruzzo e Molise assumeranno l’aspetto dei fiordi; Roma sarà una metropoli tropicale; la Sicilia un deserto roccioso del tutto simile a quello libico e tunisino e via così. I contenuti geografici, dunque, sono sullo sfondo di una letteratura vastissima e questi sono solo alcuni esempi: si pensi anche a I promessi sposi di Alessandro Manzoni; a Emilio Salgari, che ha scritto di tutti i paesi del mondo; all’isola misteriosa di Jules Verne nel Viaggio al centro della Terra; oppure alle metafore di Joseph Conrad. A proposito di quest’ultimo, in Cuore di tenebra (1899) troviamo degli spunti interessanti di Geografia fisica: Il Tamigi è un fiume, con foce fluviale a estuario (quindi, con minore forza rispetto al mare su cui sfocia), che sfocia nel mare del Nord (quindi, un mare aperto, a differenza del Mediterraneo che, invece, è un mare chiuso, collegato per mezzo di uno stretto con il mare Atlantico). L’innalzamento delle acque nei mari aperti è molto maggiore rispetto all’innalzamento delle acque nei mari chiusi e ciò implica che le acque dei mari aperti penetrino nel corso dei fiumi (che, a questo punto, hanno un’acqua salata, a differenza dei fiumi che sfociano nei mari chiusi) anche per decine di chilometri. Di conseguenza, in questo caso, con un innalzamento notevole della marea, la forza del fiume Tamigi e la forza del mare del Nord fanno sì che le imbarcazioni che si trovano alla fine del tratto finale stiano ferme (a meno che non ci sia il vento necessario a far terminare il percorso di discesa del fiume) ad aspettare la bassa marea, ossia il momento in cui prevale la forza del fiume. Questa differente escursione di marea tra i mari chiusi e i mari aperti ha delle profonde ripercussioni sulle foci fluviali dei fiumi: Esempi di fiumi con foce a delta (che, quindi, hanno maggiore forza sul mare, anche se non è detto che ci siano sempre quelle ramificazioni) sono il Tevere, il Nilo e il Mississippi (che sfocia nel mare chiuso del Messico). Esempi di fiumi con foce a estuario (che, quindi, hanno minore forza sul mare) sono il Tamigi, il Rio delle Amazzoni (Brasile) e il Rio de la Plata (Buenosaires). Gli strumenti della Geografia sono molteplici, tra cui: • la carta geografica; • l’osservazione diretta attraverso l’uscita sul terreno; • i materiali iconografici (le immagini); • le informazioni quantitative (i dati statistici); • i libri di testo e l’atlante; • le opere letterarie, i resoconti di viaggio, il cinema, la carta stampata; • Internet. ______________________________________________________________________ 5/10/2022 A proposito di programmazione, la Geografia nella scuola dell’infanzia e nei primi due anni di scuola primaria riguarda soprattutto due indicatori di massima, ossia: − sviluppare nel bambino l’intelligenza spaziale (quindi, saper localizzare e collocare se stessi, oggetti e persone in situazioni spaziali, eseguire percorsi o organizzare spazi, guidare il percorso di altri, etc.) guidandolo nell’esplorazione del mondo attraverso luoghi e situazioni; − sviluppare nel bambino le capacità di osservazione geografica di un luogo, di un ambiente, di un paesaggio. HOWARD GARDNER E LA TEORIA DELLE INTELLIGENZE MULTIPLE (FRAMES OF MID, 1983) La complessità del mondo contemporaneo e i variegati bisogni educativi degli alunni richiedono alla scuola l’elaborazione di nuove strategie e modalità di intervento nella personalizzazione delle proposte. Questa nuova visione consente di rivolgere l’attenzione alle differenze nei processi di apprendimento e di considerare le diversità come risorse. La teoria delle intelligenze multiple si pone come strumento potente ed efficace per riconoscere le potenzialità degli studenti, diversificare l’azione formativa e garantire a tutti opportunità di successo. Per Gardner, dunque, non esiste una facoltà comune di intelligenza, bensì diverse forme di essa (ben 9), ognuna indipendente dalle altre. Ad esempio, l’intelligenza visuospaziale consiste nel saper pensare con immagini visive e nel saper fare elaborazioni su di esse; è propria di chi predilige le arti visive, le attività come puzzle, giochi di costruzione e di composizione, di chi ha un buon senso dell’orientamento e di chi non ha difficoltà nella realizzazione di mappe, diagrammi, carte geografiche e modellini che richiedono la capacità di visualizzare oggetti da angoli e prospettive diverse. Pensare con l’intelligenza spaziale significa pensare per immagini e disegni, avere quella che spesso viene definita una memoria visiva (si ricorda un testo o una parola per la sua collocazione nella pagina del libro). L’INTELLIGENZA SPAZIALE E LA DIDATTICA DELLA GEOGRAFIA La Geografia valorizza la relazione essere umano-spazio e privilegia l’utilizzo di rappresentazioni (come carte, mappe, foto, etc.). I geografi, infatti, hanno da tempo messo in evidenza la relazione essere umano-spazio (ad esempio, tramite la Geografia della percezione) e su queste basi si è sviluppato, in questa disciplina, un interesse per gli aspetti cognitivi che concorrono all’agire nello spazio. D’altra parte, si è studiata anche la formazione della cartografia cognitiva (cioè, di come, immagazzinando immagini, si riescono a costruire delle mappe mentali che sono di supporto negli spostamenti e hanno anche una funzione previsionale). La Geografia, quindi, è la disciplina per eccellenza che si occupa della relazione essere umano-spazio e che può contribuire allo sviluppo di capacità spaziali. Tuttavia, per rendere concreto lo sviluppo, è necessario un altro fattore, ovvero: la didattica. La relazione essere umano-spazio si avvantaggia della mediazione didattica perché essa diventa filtro del processo di conoscenza, d’interiorizzazione, di rappresentazione e di comunicazione proprio dello spazio. In modo specifico, l’educazione geografica diventa il fattore chiave per programmare attività che considerino centrale la conoscenza della realtà circostante e i linguaggi di rappresentazione. L’impostazione didattica deve però essere laboratoriale e attiva. LA COSTRUZIONE DELL’INTELLIGENZA SPAZIALE: SPUNTI PER LA DIDATTICA L’intelligenza spaziale consente un 1° riconoscimento della realtà circostante, mentre gli interventi didattici mirati e continuativi nel tempo garantiscono la lettura del sistema territoriale e il possesso di una pluralità di strumenti per rappresentarlo con sempre maggiore consapevolezza. Nella scuola dell’infanzia, l’intelligenza spaziale riconduce a due macro-competenze, ovvero: • l’orientamento, inteso come interazione motoria, fruizione degli spazi e interrelazione con la trama territoriale; • la rappresentazione, considerata come esplicitazione della cartografia cognitiva. Inizialmente, e attraverso un questionario informativo somministrato agli allievi sotto forma di dialogo con i docenti, si devono indagare: • le esperienze già vissute dai bambini; • i landmarks (cioè, i punti di riferimento); • il rapporto con il territorio d’appartenenza. Alcune domande di aiuto per osservare i requisiti fondamentali per l’apprendimento geografico: o Dove vivi? o È un piccolo centro abitato o una città? o Cosa conosci del tuo quartiere? (la chiesa/il bar/i negozi/il parco-giochi/la farmacia/la scuola/altro) o Dove si trova la scuola? (nel centro/in periferia/nello stesso quartiere/in un altro quartiere) o Com’è la tua casa? (grandezza, disposizione, posizione rispetto alla scuola) o Fai qualche breve percorso da solo? La mediazione didattica può potenziare queste due competenze spaziali basilari: l’allievo, partecipando a esperienze spazio-ambientali, arricchisce la sua cartografia cognitiva e, per il tramite del disegno, è in grado di rappresentarla. Inoltre, si devono programmare attività progettuali che sviluppino e rafforzino le capacità d’interazione con lo spazio. Nella scuola dell’infanzia, la Geografia assume una veste pre-disciplinare con l’obiettivo di costruire efficaci prerequisiti per i successivi apprendimenti. Pertanto: − muove dall’esplorazione senso-percettiva del vicino; − favorisce l’acquisizione dello schema corporeo (in collegamento con la psicomotricità) e l’orientamento dell’Io nello spazio e in relazione a oggetti e persone; − l’approccio ai concetti e agli indicatori topologici (sopra/sotto, dentro/fuori, sinistra/destra …) avviene attraverso il gioco, ma anche con la drammatizzazione di fiabe e favole (ad esempio, la fiaba di Pollicino, oppure la favola Il lupo e l’agnello). Una preliminare indagine, che si può avviare con i quesiti sopra elencati, consente di conoscere le esperienze dei bambini e di programmare itinerari didattici adeguati al loro livello, con l’intento di sviluppare l’intelligenza spaziale. Questa impostazione è valida anche per le prime classi della scuola primaria dove la mediazione didattica, organizzando percorsi mirati di esplorazione-osservazione e di rappresentazione grafica, può favorire uno sviluppo integrato dei due fattori e complessivamente dell’intelligenza spaziale. Infatti, un’adeguata e accurata osservazione facilita la descrizione degli spazi, per cui il docente può programmare attività grafiche dopo ogni osservazione di uno spazio/ambiente; così l’allievo proverà a disegnare anche guidato ciò che ha visto. A sua volta, la rappresentazione grafica rafforza la concettualizzazione delle esperienze spaziali, che predispone a partecipare attivamente ad altre. Di seguito vengono presentate tre proposte di itinerari che avviano al piacere della scoperta di un ambiente considerato come un sistema coerente di elementi e oggetti (l’attenzione posta nell’esplorazione ne faciliterà la rappresentazione): 6/10/2022 LA CARTA INTERNAZIONALE SULL’EDUCAZIONE GEOGRAFICA (2016) Approvata nel 2016, a Pechino, nell’ambito del Congresso dell’Unione Geografica Internazionale (UGI), la Carta sull’Educazione Geografica (https://www.aiig.it/carta-internazionale-sulleducazione-geografica/) suggerisce ai decisori politici i requisiti minimi indispensabili per l’alfabetizzazione geografica e la formazione del cittadino. «Gli insegnanti di geografia dovrebbero essere qualificati sia nel campo della geografia fisica sia in quello della geografia umana, per poter integrare entrambi gli aspetti della disciplina in modo appropriato ai diversi gradi di scuola». LA GEOGRAFIA FISICA LA STRUTTURA INTERNA DELLA TERRA La struttura della Terra può essere paragonata a quella di una pesca perché la pesca ha una buccia sottile, una polpa carnosa e un nòcciolo duro contenente il seme. Lo studio delle onde sismiche ha fatto ipotizzare agli scienziati che la Terra sia formata da tre strati principali, ossia: • la crosta terrestre; • il mantello; • il nucleo. Il nucleo è lo strato più interno, probabilmente formato da metalli pesanti (come ferro e nichel), e distinto in: o nucleo esterno (fuso, con una temperatura di 3000 °C); o nucleo interno (solido, con una temperatura di 5400 °C). La questione delle temperature è più che altro un fatto di pressione. Il mantello è lo strato formato da rocce più dense, in uno stato fisico intermedio tra il solido e il liquido, che giunge fino alla profondità di 2900 km. o Il mantello inferiore è la parte più vicina al nucleo. o Il mantello superiore è formato dalla litosfera e dall’astenosfera. La litosfera è lo strato di mantello strettamente in contatto con la crosta. L’astenosfera è lo strato di mantello sottostante alla litosfera. La crosta è lo strato più sottile e superficiale, costituito da rocce solide, e viene classificata (sulla base dei minerali prevalenti) in: o crosta continentale (SIAL), meno densa (e, quindi, più “leggera”, con un valore di densità media di 2,7 g/cm3), che costituisce i continenti e ha uno spessore variabile fino a circa 70 km; o crosta oceanica (SIMA), più densa (e, quindi, più “pesante” a causa delle maggiori quantità di ferro e magnesio, con un valore di densità media di 3,3 g/cm3 circa), che si trova nei fondali oceanici e ha uno spessore di circa 7 km. La densità aumenta con la profondità. L’isostasia è la tendenza della crosta a raggiungere una posizione di equilibrio attraverso il fenomeno di galleggiamento paragonabile al principio di Archimede («ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido (liquido o gas) riceve una spinta verticale dal basso verso l'alto, uguale per intensità al peso del fluido spostato»; si pensi, ad esempio, agli icebergs). LA DERIVA DEI CONTINENTI Nel 1912 il meteorologo tedesco Alfred Wegener (1880-1930), nel corso di una conferenza a Francoforte (a cui seguirono due brevi pubblicazioni e un libro), espose la sua teoria sullo spostamento dei continenti (in inglese “Continental drift”; in italiano “Deriva dei Continenti”). Nell’esaminare la carta geografica dei due emisferi, Wegener fu colpito dalla straordinaria coincidenza delle linee di costa su entrambi i lati dell’Oceano Atlantico. Egli immaginò, dunque, i continenti come le tessere di un enorme puzzle. Secondo la teoria, circa 200 milioni di anni fa (quindi, durante l’Era Mesozoica o Secondaria) tutti i continenti erano riuniti in un’unica massa continentale, che Wegener chiamò Pangèa (tutta terra), circondata da un unico grande Oceano, la Panthàlassa (tutto mare). Oggi si può dire chiaramente che quella di Wegener fu un’intuizione straordinaria e geniale, ma occorre fare una precisazione, ovvero: non sono i continenti che si spostano, bensì le placche (cioè, delle porzioni di terra emersa e terra non emersa). LA TETTONICA A PLACCHE Il tempo e i nuovi mezzi a disposizione della scienza permisero in seguito di rivalutare l’opera di Wegener. Negli anni ‘30 del secolo scorso, infatti, si scoprì sui fondali dell’Atlantico una serie di rilievi sottomarini: la dorsale medio-atlantica. Qualche decina di anni dopo, con l’aiuto dell’ecoscandaglio, si scoprì che tali strutture erano presenti sui fondali di tutti gli oceani. Si scoprì, inoltre, che le dorsali sono interessate da intensi fenomeni sismici e vulcanici (perché sono enormi spaccature della crosta terrestre che creano rilievi grazie alla fuoriuscita di magma che poi si solidifica). Successivamente, si scoprì che la crosta vicino alla dorsale era più giovane della crosta prossima alle coste. Questo perché sono presenti delle ininterrotte sequenze di vulcani, che nascono da una pressocché ininterrotta frattura della crosta terrestre, dalla quale fuoriesce il magma (cioè lava e gas). Quindi, i detriti che si generano dalla dorsale oceanica si allontanano progressivamente dalla collina abissale alla fossa, spostandosi dunque verso la roccia. Tutte queste osservazioni portarono gli scienziati a formulare la teoria della tettonica a placche (Tuzo Wilson, 1963; Morgan, McKenzie e Parker, 1967). Secondo questa teoria la crosta terrestre sarebbe divisa in una ventina di placche o zolle (cioè, frammenti rigidi e di diverse dimensioni) sempre in movimento. Le placche sono giustapposte come le tessere di un mosaico e “galleggiano” sulla sottostante astenosfera spostandosi orizzontalmente e trasportando con loro continenti e oceani. Esse possono allontanarsi, scontrarsi o scorrere le une rispetto alle altre. ______________________________________________________________________ 11/10/2022 I MOVIMENTI DELLE PLACCHE • Margini divergenti (costruttivi) Sono i margini di due placche che si allontanano l’uno dall’altro causando una lacerazione della crosta ma anche una produzione della nuova litosfera. Il magma basaltico profondo emesso, infatti, risale lungo le grandi fratturazioni, dando origine a un’intensa attività vulcanica e a dei pillows (cioè, delle rocce-pietroni a forma di cuscino) di varia dimensione (fino a 1 m). La dorsale è la lunga linea di vulcani che è caratteristica di questa struttura. Le dorsali oceaniche compongono un sistema di rilievi sommersi che supera i 60.000 km di lunghezza. La più estesa è la dorsale medio-atlantica, che ha un andamento approssimativamente da nord a sud ed emerge dall’Oceano Atlantico in corrispondenza dell’Islanda (chiamata “l’isola del ghiaccio e del fuoco” per l’intensa attività vulcanica e sismica che la caratterizza e che tende a farla allargare) e delle Azzorre. • Margini convergenti (distruttivi) Sono i margini di due placche che si avvicinano, ma gli effetti che ne derivano dipendono dalla natura delle due placche: • nel caso dello scontro della crosta oceanica con la crosta oceanica, una delle due placche sprofonda sotto l’altra con un fenomeno di subduzione (il piano di Benjoff individua gli ipocentri sismici tra 15° e 75°, che sono via via più profondi procedendo verso il continente); • nel caso dello scontro della crosta oceanica con la crosta continentale, la placca oceanica (più densa) va in subduzione e la placca continentale risponde alle spinte dell’altra deformandosi, ripiegandosi e “accartocciandosi” (si verifica, anche in questo caso, il fenomeno dell’orogenesi, ossia la nascita di una catena montuosa che vede catene di rilievi allineate lungo le coste); sono sempre presenti fenomeni vulcanici e, come nel caso precedente, si creano delle fosse oceaniche; La California potrebbe dunque diventare un’isola del Pacifico! Nelle fasi iniziali di apertura di un oceano le faglie interessano direttamente il continente. In questo caso, il margine continentale trasforme è caratterizzato da ripide scarpate tra continente e oceano. Esempi di margini continentali trasformi si trovano sulla costa africana tra la Liberia e il Camerun (cioè, il lato settentrionale del Golfo di Guinea) e sulla costa brasiliana tra la Recife e la Guyana. Secondo una teoria che incontra il favore di molti scienziati, anche se è soggetta ad alcune riserve, il movimento delle placche sarebbe provocato dai moti convettivi circolari che avvengono nel mantello. Il riscaldamento del magma del mantello avverrebbe per contatto con il nucleo terrestre, in cui si raggiungono temperature elevate; il magma riscaldato risale verso la litosfera, generando tensioni (moti convettivi circolari) che ne provocano la rottura in placche e la formazione di faglie/spaccature (dorsali oceaniche e rift continentali), da cui il magma stesso fuoriesce. In geologia, per «rift» (termine che, tradotto in italiano, significa «frattura», «spaccatura») si intende una regione in cui la crosta terrestre e la litosfera si trovano in condizioni tettoniche distensive e vengono separate per l’azione di forze di trazione generate dai movimenti convettivi del mantello terrestre sottostante (dunque, in altre parole, una faglia che si origina a causa di un movimento tettonico). Le caratteristiche tipiche di un rift sono la presenza di sistemi di faglie distensive, con andamenti lineari, che suddividono strutturalmente la regione in graben (cioè, blocchi relativamente abbassati) interposti fra gli horst (cioè, blocchi relativamente rialzati), delineando una rift valley caratterizzata da fagliamento normale parallelo ai fianchi sollevati su ciascun lato. Quindi, si può dire che alla compressione che origina la montagna segue la distensione che origina la pianura (fase compressiva e fase distensiva o movimenti tettonici compressivi e distensivi). Inoltre, prima di cominciare la sua discesa di nuovo verso il nucleo, il magma si sposterebbe orizzontalmente, provocando lo spostamento delle placche che galleggiano su di esso e che possono così allontanarsi o scontrarsi. Questo «motore», perciò, sarebbe il meccanismo che avrebbe provocato la fratturazione della Pangèa, i cui frammenti, spostati dalle correnti convettive sottostanti, vanno alla deriva e tendono a convergere e a scontrarsi dove le correnti convettive ridiscendono verso il basso. La convezione nel mantello, però, non riesce a spiegare del tutto il movimento delle placche e, soprattutto, la localizzazione dei fenomeni vulcanici. Perciò, nel globo sono stati censiti, per esempio, 122 punti caldi (hot spots) situati sia in prossimità di margini di placca (come l’Islanda e le Azzorre), sia lontani da essi (come le Hawaii). L’ultimo arcipelago è, in effetti, ben lontano dai margini di placca perché si tratta di isole di varia età (le più antiche delle quali sono situate a ovest). L’ULTIMO STADIO: LA PANGEA NUOVA https://www.youtube.com/watch?v=cW6rMzSOmvU ______________________________________________________________________ 12/10/2022 I FENOMENI ENDOGENI: SISMICITÀ E VULCANESIMO Un terremoto (o sisma) è una qualunque rapida vibrazione della crosta terrestre causata, indipendentemente dagli effetti che provoca, da fratture che si producono nelle rocce a seguito di un accumulo di energia di deformazione prodotto da movimenti tettonici a grande scala. Tale energia viene in parte liberata sotto forma di calore prodotto dall’attrito e in parte convertita in energia cinetica e propagata a distanza sotto forma di onde sismiche. I terremoti possono avere principalmente di due origini: • un’origine tettonica; • un’origine vulcanica. I terremoti vulcanici: − hanno origine dal vulcanismo e dall’attività vulcanica del magma nel sottosuolo o nel camino vulcanico; − hanno un’origine superficiale e un raggio dall’epicentro molto limitato − sono meno frequenti e di potenza inferiore rispetto ai terremoti tettonici. Le onde di Love sono le principali onde di superficie; quelle che più si avvertono durante un terremoto perché fanno vibrare il terreno sul piano orizzontale, si propagano in superficie e sono responsabili dei danni più rilevanti. Esistono due approcci diversi nella misura di un terremoto: • un 1° approccio, che può essere definito storico, è quello basato sugli effetti, cioè a seguito dell’evento sismico si valutano i danni provocati sull’uomo, sulle costruzioni e sull’ambiente; ha dato vita, nel mondo, a circa una cinquantina di scale d’intensità; • un 2° approccio è quello basato sul rilevamento, attraverso opportune strumentazioni, di grandezze oggettive (quali l’energia sprigionata dal terremoto, l’accelerazione delle onde sismiche, etc.); ha improntato, ad esempio, la scala delle magnitudo, formulata da Richter e Gutenberg alla fine degli anni Trenta del XX secolo. Le scale di intensità macrosistemica classificano in modo empirico la severità di un evento sismico secondo una scala ordinale (espressa in gradi) degli effetti prodotti prevalentemente sulle strutture civili (danni alle costruzioni) e, in misura minore, sull’assetto geomorfologico e geotecnico (danno geologico). La scala Mercalli è la più nota di queste scale ed è stata formulata tra la fine del XIX secolo e gli inizi del ‘900. Tale classificazione è stata successivamente perfezionata e sono derivate: • la scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS) del 1930 (tuttora usata in diversi Paesi europei, fra cui l’Italia, per ragioni di continuità storica, ma che ovviamente non può essere utilizzata dove non ci sono costruzioni – come, ad esempio, in mare aperto o in zone desertiche); • la scala Mercalli modificata (MM) a partire dal 1931. Perciò, dopo un terremoto, si procede alla rilevazione dei danni e si costruisce una carta delle isosisme (cioè, delle linee che congiungono i punti con la stessa intensità sismica; naturalmente, le linee non formano delle perfette circonferenze concentriche perché la struttura del terreno non è omogenea ed, inoltre, allontanandosi dall’epicentro l’intensità diminuisce). L’immagine raffigurata accanto rappresenta le isosisme del terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980. Con l’attribuzione di un valore sulla scala Richter o magnitudo locale si esprime una misura della magnitudo (cioè, una stima dell’energia sprigionata da un terremoto nell’ipocentro). A differenza della scala Mercalli, che valuta l’intensità del sisma basandosi sui danni generati dal terremoto e su valutazioni soggettive, la magnitudo Richter tende a quantificare l’energia sprigionata dal fenomeno sismico su base puramente strumentale. La magnitudo Richter è stata definita per non dipendere dalle tecniche costruttive in uso nella regione colpita. Due esempi di corrispondenze tra le due scale Richter e Mercalli: • il sisma con epicentro in Umbria-Marche del 1997 misurava una magnitudo pari a 6,1 Richter (che corrisponde ad un’intensità massima del IX grado Mercalli) e ha provocato 11 vittime; • il sisma con epicentro in Centro Italia del 2016-2017 misurava una magnitudo pari a 6,5 Richter (che corrisponde ad un’intensità massima del X grado Mercalli) e ha provocato 299 vittime. L’Italia è sede di frequenti terremoti perché è geologicamente giovane, quindi ancora soggetta a movimenti e assestamenti della crosta terrestre. Sono poche le zone del nostro Paese a non essere interessate da terremoti. Alcune indicazioni operative: → osservatorio sismico “Andrea Bina” (Perugia, Abbazia Benedettina di San Pietro; http://www.binapg.it/), in cui vengono svolte delle attività didattiche in rapporto di collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale e con la Regione Umbria (l’osservatorio mette a disposizione il proprio personale qualificato per effettuare visite guidate alle scolaresche che ne fanno richiesta); → “Civilino e il terremoto” (progetto didattico del Servizio di Protezione civile della Regione Umbria; www.civilino.it/). ______________________________________________________________________ 13/10/2022 Un vulcano è una qualsiasi spaccatura della crosta terrestre attraverso la quale il materiale fuso presente all’interno della Terra esce in superficie. Il magma è un miscuglio di rocce fuse e sostanze gassose perché man mano che risale all’interno del vulcano perde i gas che contiene formando la lava: una massa fluida “degassata” che trabocca dal vulcano. Oltre alla lava, escono gas e vari prodotti solidi chiamati, a seconda delle dimensioni: • ceneri (< 2mm); • lapilli (diametro compreso tra 2 e 64 mm); • bombe (> 64 mm). I vulcani attivi sono i vulcani che hanno dato eruzioni almeno una volta negli ultimi 10.000 anni. Sul territorio italiano esistono una decina di vulcani attivi, ma solo Stromboli ed Etna sono in attività persistente (cioè, danno eruzioni continue o separate da brevi periodi di riposo, dell’ordine di mesi o di pochissimi anni). I vulcani sottomarini: L’origine del Tirreno si inquadra in un ampio processo geologico che ha interessato tutta l’area mediterranea, legato alla convergenza tra la placca tettonica eurasiatica e quella africana. Il processo, iniziato 10 milioni di anni fa e responsabile della rotazione antioraria della catena appenninica, è contraddistinto da vulcanismo. L’isola Ferdinandea è attualmente una vasta piattaforma rocciosa situata a circa 6 metri dalla superficie marina nel Canale di Sicilia, tra Sciacca e Pantelleria, che costituisce i resti di un apparato vulcanico, il quale emerse nel 1831 a seguito di eruzione sottomarina e si innalzò dall’acqua formando un’isola che crebbe fino ad una superficie di 4 km² e 65 m di altezza. Essendo composta prevalentemente da materiale roccioso eruttivo facilmente erodibile dall’azione delle onde, l’isola Ferdinandea non ebbe vita lunga. Dopo un rapido smantellamento erosivo, infatti, l’isola scomparve definitivamente sotto le onde nel gennaio del 1832, ponendo fine alle dispute internazionali sorte circa la sua sovranità. I vulcani estinti sono vulcani la cui ultima eruzione risale a oltre 10mila anni fa. Tra questi, in Italia ci sono: Salina, Amiata, Vulsini, Cimini, Vico, Sabatini, Isole Pontine, Roccamonfina (CE) e Vulture (PZ). I vulcani attivi ma quiescenti sono vulcani che hanno dato eruzioni negli ultimi 10mila anni ma che attualmente si trovano in una fase di riposo. Tra questi, in Italia ci sono: Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Lipari, Vulcano, Panarea, Isola Ferdinandea e Pantelleria. Questa distinzione, data dalla soglia dei 10mila anni, serve per rendere sicure le zone intorno a questi vulcani che, anche se quiescenti, possono ancora ritenersi attivi. L'area mediterranea è caratterizzata dalla collisione tra due grandi zolle litosferiche, quella africana e quella eurasiatica, responsabili dell'attività vulcanica e sismica dell'intera regione, che può essere di- stinta in due parti: l’area dell’Egeo e quella dell’Italia. La regione dell’Egeo (fig. A) è sede attualmente di un'attività vulcani- ca modesta, mentre l’attività sismica è più intensa. Nel passato vi fu un’imponente eruzione nell’isola di Santorino (1623 a.C.), che formò una grossa caldera (fig. B); poiché intorno a quella data si colloca an- che la scomparsa della civiltà minoica a Creta, si è avanzata l'ipotesi che i due fatti siano tra loro connessi (nei pozzi dei palazzi minoici sono state infatti trovate pomici provenienti probabilmente dal vulca- no di Santorino), Qualcuno ha anche ipotizzato che l'eruzione, vio- lenta ed esplosiva, sia stata la causa della scomparsa della mitica terra di Atlantide. Nell’area italiana si possono individuare tre tipi di vulca- nismo : * il vulcanismo esplosivo delle isole Eolie, di recente manifestazio- ne, che ha originato le isole di Alicudi, Filicudi, Panarea, Salina, Lipari, Vulcano e Stromboli; * il vulcanismo effusivo della Sicilia orientale (Etna), di Linosa e Pantelleria, caratterizzato dall'emissione di magma basaltico; * il vulcanismo della costa tirrenica meridionale (dalla Toscana alla Campania) che interessa il Vesuvio, i Campi Flegrei e l'isola di Ischia; l’attività dei Campi Flegrei ha prodorto un tufo grigio det- to ignimbrite campana (35.000 anni fa) e in seguito il tufo giallo che compone il basamento roccioso della città di Napoli (11.000 anni fa); l’attività di Ischia ha invece prodotto un tufo verde. iter dà sislaa sdun A Posizione dell'isola di Santorino nel mar — Egeo. d3881 B Santorino è il nome veneziano dell'isola dî Thera, sconvolta da un'eruzione esplosiva nel 1623 a.C. Nel disegno, l'isola prima e dopo l'eruzione. Le eruzioni vulcaniche possono essere classificate, in base alla forma della fessura della crosta terrestre da cui fuoriesce il magma, anche in: Eruzioni lineari Eruzioni centrali Si verificano quando la fessura della crosta si presenta con una forma lunga e stretta. Spesso questa tipologia di eruzione avviene in fondo al mare (tipica delle dorsali oceaniche). Si verificano quando la frattura della crosta si presenta con una forma quasi circolare (cratere). Questa tipologia di eruzione avviene in superficie ed è la più comune. Le differenti forme degli edifici vulcanici dipendono dal tipo di attività vulcanica e dalla viscosità del magma (più è elevato il contenuto in silice, più la lava è acida e, dunque, meno fluida). • I vulcani a scudo Hanno la lava poco viscosa e con pochi gas che scorre velocemente, senza difficoltà, dal cratere formando un edificio conico molto svasato. Un esempio di vulcano a scudo è il vulcano hawaiano Mauna Loa (4169 m): • I vulcani a strati Si formano quando l’attività effusiva si alterna con quella esplosiva, perciò l’edificio risulta dalla sovrapposizione di lava solidificata e di strati di lapilli e ceneri emessi nella fase successiva; la sua forma è quella conica classica. L’Etna (3326 m), come anche il Vesuvio e lo Stromboli, è un esempio di edificio di base a scudo, che si è poi evoluto in uno strato-vulcano. • La caldera È un ampio cratere che si viene a formare quando, nei vulcani a strati, l’esplosione è così violenta da far crollare parte dell’edificio. In qualche caso la caldera si forma per lo sprofondamento della sommità del cratere nella camera magmatica vuota. Il Vesuvio o, più propriamente, il Somma-Vesuvio, è uno strato-vulcano di medie dimensioni, che raggiunge un’altezza massima di 1.281 m s.l.m. Esso è costituito dal più vecchio vulcano del Monte Somma, la cui parte sommitale sprofondò circa 18.000 anni fa generando una caldera, e dal più recente vulcano del Vesuvio, cresciuto all’interno della stessa. L’immagine sottostante mostra la ricostruzione qualitativa del profilo originario dell’antico vulcano del Somma. L’attuale Monte Somma è ciò che rimane del fianco settentrionale del vecchio edificio. Per quanto riguarda il vulcanesimo secondario: • I geyser Sono getti intermittenti di acqua bollente e vapore che escono da aperture in tutto simili a crateri. Si trovano in Islanda (dove vengono sfruttati per il riscaldamento domestico), in Nuova Zelanda e negli USA (Parco di Yellowstone). Alcune indicazioni operative: → Parco e Museo Vulcanologico del comune di San Venanzo L’area si è sviluppata intorno a 3 piccoli vulcani (con un diametro di circa 500 m e un’altezza massima di 30 m), attivi da circa 265.000 anni e denominati: Mar di San Venanzo (dove oggi sorge l’omonima località di San Venanzo), Anello di tufo di Pian di Celle (posto a circa 800 metri a sud) e Anello di lapilli di Celle (posto a circa 500 metri a est di Pian di Celle). Il Parco Vulcanologico di San Venanzo, oltre alla visione di coni, crateri e colate laviche, offre la possibilità di ammirare alcune rocce e minerali rari; la più famosa di queste è la Venanzite (cioè, una roccia vulcanica ignea frutto di un’eruzione lavica; pietra lavica), che ha diffuso il nome della località di San Venanzo nel mondo. Il Parco Vulcanologico è diventato negli anni un importante centro per il turismo ambientale e per il turismo didattico ed è stato riconosciuto come area protetta dalla provincia di Terni, andando ad arricchire il numero di emergenze naturalistiche presenti all’interno del Sistema Territoriale di Interesse Naturalistico Ambientale (S.T.I.N.A.). Per valorizzare e illustrare in maniera divulgativa la singolarità e le caratteristiche geologiche della zona, nel 1999 è nato il Museo Vulcanologico, a cui si è aggiunto nel 2004 un sentiero didattico che si sviluppa all’interno dell’ex cava di Venanzite. Nel museo sono presenti diverse collezioni di rocce e minerali, oltre ad allestimenti museografici che guidano il visitatore lungo percorsi tematici. La struttura è oggi un punto di riferimento per le scuole che desiderino approfondire lo studio delle rocce ignee, del metamorfismo e delle forme del vulcanismo, con l’apporto di guide specializzate; è ospitata all’interno di un antico edificio nel centro storico di San Venanzo, a poca distanza dall’ampio parco della Villa Comunale. Ricostruzione paleogeografica dell’area di San Venanzo e Pian di Celle pochi anni dopo le eruzioni: 18/10/2022 LE ROCCE Una 1a distinzione: Minerale Roccia È un composto chimico che: − si trova in natura; − ha una determinata composizione e una struttura cristallina ben definita (un cristallo è un corpo solido a facce piane riconducibile a una figura geometrica); − è esprimibile con una formula chimica. Ad oggi sono noti circa 5000 tipi di minerali, ma ogni anno se ne scoprono molti nuovi grazie al progresso tecnologico (anche il ghiaccio, per esempio, è un minerale). È un aggregato naturale di diversi minerali; un miscuglio di una o, più spesso, diverse specie minerali e altre sostanze non cristalline in diverse proporzioni; pertanto, diversamente da un minerale, non sempre la composizione di una roccia è esprimibile con una formula chimica. Si distinguono: • le rocce omogenee (cioè, le rocce costituite da un solo tipo di minerale, come, ad esempio, la roccia gessosa, la roccia calcarea, il salgemma, etc.); • le rocce eterogenee (cioè, le rocce costituite da più specie di minerali, come, ad esempio, il granito). Le rocce si possono distinguere, in funzione del loro processo di formazione, in: • Rocce magmatiche (o ignee) Derivano dalla solidificazione del magma: una massa costituita da sostanze allo stato fuso e ricca di gas, che si forma nella crosta terrestre. Si suddividono in due gruppi fondamentali: Rocce intrusive (o plutoniche) Rocce effusive (o vulcaniche) Derivano dalla solidificazione del magma rimasto in profondità e, quindi, sottoposto a condizioni quali: • il lento raffreddamento; • la forte pressione (delle rocce sovrastanti il magma); • la presenza di gas. Tali condizioni favoriscono la cristallizzazione (in profondità) con granuli visibili ad occhio nudo. Ad esempio, il granito, la roccia intrusiva più diffusa, è formato da cristalli di quarzo (di colore trasparente-biancastro), feldspati (minerali di alluminio di colore bianco o rosa) e miche nere (minerali di ferro e magnesio). Derivano dalla solidificazione del magma venuto in superficie, a contatto con l’atmosfera, attraverso un’eruzione e, quindi, sottoposto a condizioni quali: • il raffreddamento lento quando il magma risale e poi rapido a contatto con l’aria; • la brusca diminuzione di pressione; • la liberazione di gas. Tali condizioni sfavoriscono la cristallizzazione e le rocce hanno, dunque, una struttura porfirica (pasta di fondo amorfa e grossi cristalli sparsi). Ad esempio, il basalto, la roccia effusiva più diffusa, presenta un colore scuro, fino a nero, una struttura porfirica in cui si riconoscono pochi cristalli immersi in un pasta di fondo microcristallina. Le masse fuse, inoltre, consolidano lentamente (milioni di anni), dando origine ai batoliti (cioè, ammassi di rocce durissime). Alcuni esempi: o batolite nel Parco di Yosemite (California) o batolite sardo (Capo d’Orso) o Capo Pecora (Sardegna sud-ovest), spiaggia delle uova di dinosauro Alcuni esempi: o basalto adoperato per la pavimentazione stradale o sampietrini (o sanpietrini; la leucite è una roccia eruttiva effusiva a struttura ordinariamente porfirica) o parete di basalto in Islanda o pillow lava nell’oceano Atlantico Il travertino è una roccia comune; per esempio: Fontana di Trevi (RM) Colosseo (RM) Cascata delle Marmore (TR) Il fiume Velino percorre gran parte dell’altopiano che circonda Rieti ma più a valle si trova naturalmente intralciato dall’assenza di un adeguato letto dove scorrere e questa particolare configurazione geologica ha portato, nel corso delle ere, alla formazione, in quel tratto, di una palude stagnante nociva per la salubrità dei luoghi. Nel 271 a.C., il console romano Manio Curio Dentato ordina la costruzione di un canale (Cavo Curiano) nella vasta barriera di travertino deposta dal Velino, per far defluire le acque stagnanti in direzione del salto naturale di Marmore e far precipitare direttamente il Velino nel Nera. La Cascata delle Marmore è a flusso controllato, tra le più alte d’Europa, potendo contare su un dislivello complessivo di 165 m, suddiviso in tre salti. Le acque della Cascata sono sfruttate intensamente per la produzione di energia elettrica, nella centrale di Galleto. Questo fa sì che la cascata vera e propria non sia continuamente funzionante, ma per la maggior parte del tempo si riduce alle dimensioni di un torrente. Il bacino del lago di Piediluco funge da serbatoio idrico per la centrale, costruita nel 1929, capace di produrre energia elettrica con una potenza di circa 530 MW. Per consentirne la fruizione turistica (https://www.cascatadellemarmore.info/), in orari e periodi definiti la Cascata viene fatta funzionare alla massima portata: un segnale acustico avvisa dell’apertura delle paratoie di regolazione e in pochi minuti la portata aumenta fino al valore massimo. Normalmente, la cascata funziona un paio di ore al giorno, con orari di funzionamento prolungati in occasione di giorni festivi. Si accede ai punti di osservazione migliori previo pagamento di un biglietto d’ingresso. Grotta di Nettuno, Sardegna. Stalattiti e stalagmiti si formano a seguito dei continui e prolungati depositi di minerali trasportati dalle acque percolanti nella grotta, in particolare bicarbonato di calcio, che poi precipita in carbonato di calcio depositandosi. Grotte di Frasassi (Genga, AN) Tempio del Valadier (Genga, 1828) Il carsismo è l’attività chimica esercitata dall’acqua, soprattutto sulle rocce calcaree, che crea la presenza di grotte e doline permettendo la trasformazione, per opera dell’acido carbonico, del carbonato di calcio in bicarbonato (ossia un sale solubile in acqua). L’acqua e l’acido carbonico “sciolgono”, dunque, parte della roccia. La reazione è reversibile: CO2 + H2O + CaCO3 → Ca (HCO3)2 Ca (HCO3)2 → CO2 + H2O + CaCO3 Dolomiti (Alpi orientali, ma a sud della catena principale alpina) Dolomite (Déodat de Dolomieu): CaMg(CO3)2 • organogene, che sono generate dall’attività di organismi costruttori (come le alghe, i coralli, etc.) o dalla deposizione e compattazione di conchiglie (come i molluschi); per esempio: Calcari con fossili ______________________________________________________________________ 25/10/2022 • Rocce metamorfiche Derivano da trasformazioni (composizione mineralogica e/o struttura) di rocce preesistenti sottoposte a pressioni e temperature elevate. Il metamorfismo può essere di tre tipi: • di carico, quando è dovuto alla pressione, alla temperatura e al peso delle rocce sovrastanti; • regionale, quando il fenomeno si manifesta su scala regionale perché connesso, per esempio, alla formazione delle montagne; • di contatto, quando una massa fusa viene a contatto con rocce preesistenti e le trasforma soprattutto per opera del calore; per esempio, il marmo deriva da processi di ricristallizzazione di una roccia carbonatica (quindi, marmo = calcare metamorfosato). Cava di marmo, Carrara Blocchi di marmo estratti da una cava Altri esempi di metamorfismo da contatto sono l’ardesia e le filladi, che derivano entrambe da metamorfismo di rocce argillose: Ardesia Fillade Con l’aumento della profondità, e quindi della temperatura e della pressione, si formano dei minerali dall’aspetto granulare, le rocce sono più massicce e si perde la scistosità (ossia la proprietà di alcune rocce di sfaldarsi secondo piani paralleli). Un esempio è lo GNEISS, che deriva dal metamorfismo di rocce argillose (si tratta di metamorfismo di alto grado): I processi sedimentari e quelli metamorfici suggeriscono la possibilità che esista un ciclo delle rocce attraverso il quale, per esempio, una roccia ignea può essere alterata e disgregata dagli agenti atmosferici e dalle acque continentali, ricompattata attraverso la diagenesi (qualsiasi cambiamento chimico e fisico subìto da un sedimento dopo la sua deposizione iniziale e durante e dopo la sua trasformazione in roccia coerente) e, quindi, metamorfosata per azione del calore e della pressione. LA STORIA DELLA VITA SULLA TERRA Secondo la geologia storica, dunque, la Terra ha circa 4,6 miliardi di anni, ma le prime forme di vita di una certa complessità, in grado di dare luogo a fossili (cioè, resti più o meno modificati di organismi vissuti milioni di anni prima – conclusione a cui gli scienziati giungono solo all’inizio del XIX secolo) evidenti, compaiono intorno a 560 milioni di anni fa. Per stabilire l’età della Terra e ricostruirne la storia, gli scienziati si sono perciò avvalsi di speciali documenti, ossia: le rocce e i fossili. Studiando tali documenti si è potuta stabilire la sequenza degli eventi che hanno caratterizzato fin qui la storia del pianeta. Già Aristotele (384-322 a.C.) si occupò dei resti fossili tentando di fornire una spiegazione della loro esistenza. Assieme al suo allievo Teofrasto (368-284 a.C.) ipotizzò una sorta di generazione spontanea che immaginava i fossili come prodotti da “esalazioni secche” che nascevano dalla terra stessa. Le idee aristoteliche trovarono numerosi seguaci fino a tutto il Medioevo. Nel Rinascimento permangono ancora interpretazioni sull’origine inorganica dei fossili, talora legate a effetti astrali, talora a forze interne come la vis plastica o il succus lapidescens; in seguito, fiorirono numerose altre teorie, figlie delle concezioni aristoteliche, quali: lusus naturae, materia pinguis, aura seminalis, spiritus lapidificus. Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), nella Naturalis Historia, fornisce un critico e accurato quadro delle congetture, anche le più fantasiose, che nel mondo antico si avevano sui fossili. La paleontologia è la branca della geologia che si occupa dello studio delle antiche forme di vita e si basa sull’esame dei fossili. Un fossile può essere costituito dai resti conservati dell’organismo stesso, dalle sue impronte (o calchi esterni) sul sedimento o dalle tracce lasciate quando era in vita (tracce fossili, che possono inoltre dare informazioni su come si muovevano gli animali, se erano quadrupedi o bipedi, fornire indicazioni sul loro habitat e i loro comportamenti, aiutare a determinarne peso e dimensioni). Quando gli studiosi si resero conto che a particolari periodi della storia della Terra corrispondevano particolari fossili, questi diventarono il mezzo migliore per correlare rocce della stessa età, ma presenti in regioni diverse. Sono quindi stati individuati dei fossili guida, cioè i fossili degli organismi che ebbero una distribuzione geografica ampia e contemporanea e una durata molto limitata nel tempo. Perciò, la presenza di questi fossili in rocce diverse indica che esse hanno la stessa età. Uno degli aspetti più importanti messi in luce dallo studio dei fossili è che nelle passate ere geologiche sono vissuti animali e piante diversi da quelli attualmente viventi e che più volte, passando da uno strato a un altro, la fauna e flora antica è mutata radicalmente (con estinzioni e comparsa di specie). Quindi, i fossili rivelano che in nessun momento tutte le specie vissute sulla Terra sono coesistite e che gli organismi antichi erano in vario grado diversi dalle forme attuali. Inoltre, le piante e gli animali appaiono in successione cronologica nelle testimonianze fossili, indicando che le linee si sono irradiate attraverso il tempo. Dai diversi strati rocciosi, i paleontologi hanno potuto dimostrare anche che gruppi diversi di organismi hanno antenati comuni, con caratteristiche intermedie. Tuttavia, solo una piccolissima parte degli organismi vissuti nel passato si è conservata allo stato fossile perché, normalmente, i resti di un animale o di una pianta si decompongono completamente nel giro di pochi anni, non lasciando alcuna traccia della loro breve esistenza. La sedimentazione è iniziata con la storia della Terra (quindi, circa 4,6 miliardi di anni), eppure i sedimenti depositatisi da allora costituiscono la parte più superficiale della crosta terrestre e formano successioni di strati più o meno spessi e profondi (in questi strati è racchiusa la storia della Terra). Dunque, grazie ai fossili guida ad ampia distribuzione geografica si è giunti, nel corso di oltre un secolo e mezzo di studi, ad una datazione soddisfacente delle diverse serie rocciose terrestri. In genere, le spoglie vengono preservate da un rapido seppellimento, che le sottrae all’ossidazione e putrefazione aerobica. Ciò avviene meglio nel fango o in acqua (mare, laghi, paludi, etc.), dove la sedimentazione è più veloce della decomposizione, ma le spoglie possono essere sottratte all’aria anche in altri modi, come, ad esempio, per inglobamento nella resina (che poi si trasforma in ambra fossile) o per rivestimento con le ceneri derivanti dalle eruzioni vulcaniche. Le componenti dure (denti, ossa, gusci, etc.) hanno maggiori probabilità di superare l’intervallo di tempo critico tra la morte e l’inclusione nel sedimento rispetto alle componenti molli. I principali tipi di fossilizzazione sono i seguenti: • L’incrostazione È un processo di fossilizzazione per cui le acque ricche di carbonato di calcio, scorrendo sui resti organici, li coprono con una sottile pellicola di minerale. Il travertino è un esempio di roccia molto conosciuta che conserva in grande abbondanza resti di vegetali formatisi con questo processo. • La mineralizzazione È il processo principale che porta alla fossilizzazione, durante il quale la composizione chimica dell’organismo viene modificata per azione delle soluzioni che circolano tra i sedimenti. Il caso più frequente è quello degli organismi che restano sepolti sul fondo di un lago o di un mare: poco alla volta, per le reazioni chimiche tra le parti dure dell’organismo e le soluzioni circolanti, i minerali presenti in soluzione vanno a sostituire quelli presenti nell’organismo. • La carbonificazione È un processo molto diffuso di fossilizzazione riguardante soprattutto i vegetali, che ha portato alla formazione dei grandi giacimenti di carbone fossile del periodo carbonifero, risalenti ad almeno 340 milioni di anni fa. Durante questo periodo, infatti, grandi aree della Terra erano coperte di vasti acquitrini circondati da foreste lussureggianti la cui crescita era favorita da un clima caldo-umido di tipo tropicale; i resti di queste antiche foreste costituiscono la base degli accumuli di carbone fossile. Questo è dovuto all’azione di particolari batteri anaerobici che, attaccando i resti vegetali, eliminano l’ossigeno e l’azoto e li arricchiscono così, indirettamente, di carbonio. • L’inglobamento nell’ambra fossile È un processo molto conosciuto e singolare di conservazione in cui i resti dei piccoli animali (insetti e aracnidi) e i resti vegetali vengono inglobati nell’ambra fossile (un tipo di resina che cola lungo i tronchi delle conifere e che, una volta indurita, diventa trasparente e consente perciò di vedere, spesso anche a occhio nudo, gli organismi conservati al suo interno) e rinvenuti in uno stato di conservazione pressoché perfetto. • La mummificazione È un processo di conservazione totale di parti molto delicate che ha luogo in determinate condizioni favorevoli, ossia: il clima caldo, secco e ventilato; il seppellimento in terreni asciutti e capaci di assorbire i liquidi in grande quantità; la presenza di muffe in grado di disidratare i corpi. Due esemplari di dinosauri del Cretaceo furono trovati completi della pelle raggrinzita, compressa sulle ossa dello scheletro come se tali animali avessero subito una forte disidratazione dopo la morte. • Il congelamento o la crioconservazione È un processo di fossilizzazione che interessa i resti dei periodi glaciali del Quaternario (dunque, di età recente; per esempio, i mammut) ed è fenomeno relativamente frequente nel permafrost della tundra siberiana. Ljuba: un cucciolo di mammut risalente a 10mila anni fa, crioconservatosi nel permafrost siberiano e rinvenuto da un pastore di renne nel 2007. La Mummia del Similaun (Ötzi) è un reperto antropologico ritrovato il 19 settembre 1991 sulle Alpi Venoste (al confine fra l’Italia e l’Austria). Si tratta del corpo di un essere umano di sesso maschile, risalente a un’epoca compresa tra il 3300 e il 3100 a.C. (età del rame), crioconservatosi all’interno del ghiacciaio. L’esame delle ossa ha collocato l’età della morte fra i 40 e i 50 anni. Recenti analisi hanno evidenziato la presenza di una punta di freccia in selce all’interno della spalla sinistra (penetrata a fondo in direzione del cuore) e alcune ferite e abrasioni che lasciano supporre una morte violenta piuttosto che per cause naturali, come era stato ipotizzato in un primo momento. Tra i vertebrati che ebbero uno sviluppo notevole ci sono i rettili, soprattutto quelli di grandi dimensioni noti come dinosauri, che conquistarono le terre emerse, le acque e l’aria, tanto che il Mesozoico è anche comunemente indicato come l’era dei rettili o l’era dei dinosauri. Tyrannosaurus Rex Accanto a questo gruppo dominante apparvero anche i più piccoli mammiferi e gli uccelli. Archaeopteryx (il più antico uccello noto) Tra le piante comparvero le prime angiosperme, con gli ovuli (cioè, i semi) racchiusi nell’ovario (o frutto; in contrapposizione alle gimnosperme, che hanno gli ovuli allo scoperto): lo stadio più elevato nell’evoluzione delle piante. L’interesse naturalistico di Gubbio si concentra soprattutto nei calcari di età cretacico-terziaria della Gola del Bottaccione e nell’adiacente Valle della Contessa. Uscendo da Gubbio, dalla Porta Metauro si percorre la strada statale 298 che, attraverso la Gola del Bottaccione, con un percorso di 12 km, raggiunge Scheggia. Questa profonda gola attraversa in direzione SE-NW la Catena dei Monti Eugubini nell’Appennino Umbro- Marchigiano. Le rocce che affiorano sulle pareti sono calcari ben stratificati, che furono deposti come sedimenti pelagici (di mare aperto), come testimoniano i numerosi resti fossili di piccoli organismi planctonici marini i cui gusci hanno contribuito alla costruzione di queste rocce (i foraminiferi, di dimensioni comprese tra pochi centesimi di mm e 1 mm con guscio di carbonato di calcio e microscopiche alghe, di dimensione di qualche micron). In località il Bottaccio si può osservare uno strato argilloso rosso noto, a livello internazionale, come “livello K/T ad iridio” perché, appunto, all’interno della formazione calcarea affiora questo strato argilloso rosso ricco di iridio. L’iridio è un metallo tipico delle comuni meteoriti rocciose molto raro, in generale, nella crosta terrestre, e molto abbondante, in particolare, nella Gola del Bottaccione (che, infatti, è chiamata anche “Valle dell’iridio”). Nel 1980, un gruppo di ricercatori guidati da Walter Alvarez propose l’ipotesi secondo cui l’iridio avrebbe una provenienza extraterrestre e sarebbe la testimonianza dell’impatto di un asteroide o di una cometa che si schiantò sulla Terra provocando enormi mutamenti climatici che poi portarono all’estinzione delle specie dei dinosauri e di numerosi organismi marini (tra cui foraminiferi e ammoniti), diffusissimi fino ad allora. Solo così, secondo Alvarez, si riesce a spiegare il “picco” del contenuto in iridio dello strato di argilla e, ad oggi, l’ipotesi di Alvarez, inizialmente controversa, sembra essere la più accreditata per spiegare l’estinzione di gran parte dei gruppi viventi, animali e vegetali, che si verificò 65 milioni di anni fa. La distribuzione mondiale dell’evento (sono ormai noti centinaia di siti sia sui continenti che nei sedimenti oceanici), poi, la rafforza ancora di più. Anche il cratere d’impatto, con un diametro di circa 150 km, sarebbe stato localizzato presso le coste dello Yucatan. La straordinarietà del fenomeno ha fatto sì che in corrispondenza di questo preciso evento geologico si situi il confine tra il Cretacico (fine dell’era Mesozoica) e l’inizio del Terziario (K/T), databile a 65 milioni di anni fa. ➢ Cenozoico (era terziaria; da 65 milioni di anni fa circa) I mammiferi, timidamente apparsi nell’era precedente, presentano ora uno straordinario impulso evolutivo, arrivando ad affermarsi definitivamente anche grazie alla notevole evoluzione delle piante: le gimnosperme (ossia le piante con gli ovuli non racchiusi in ovario), infatti, subiscono una progressiva riduzione, mentre le angiosperme (ossia le piante con gli ovuli racchiusi) si diffondono. Quindi, nel Cenozoico lo sviluppo della fauna e della flora, la distribuzione dei mari e dei continenti e la differenziazione dei climi andarono assumendo i lineamenti e le caratteristiche attuali. ➢ Neozoico (o era quaternaria; da 2 milioni di anni fa a oggi) È il 5° ed ultimo periodo che compone la storia evolutiva della Terra e comprende: ➢ l’epoca del Pleistocene; ➢ l’epoca dell’Olocene (ossia quella attuale, iniziata circa 12.000 anni fa). Questa fase è caratterizzata dalle modificazioni climatiche e dalle connesse e alterne fasi di espansione e ritiro dei ghiacci che ha subìto il pianeta. Almeno 5 fasi glaciali (Donau, Günz, Mindel, Riss e Würm), alternate a fasi interglaciali, infatti, ebbero importanti conseguenze sulla fauna (in particolar modo) e sulla flora (da circa 1,7 milioni di anni fa a 10mila anni fa): ad ogni avanzata dei ghiacci, grandi estensioni continentali si spopolavano completamente e le piante e gli animali si ritiravano verso sud mano a mano che il fronte ghiacciato progrediva. Durante una di queste glaciazioni si verificò l’estinzione dei grandi mammiferi: in tutti i continenti scomparvero gli animali dal peso superiore a una tonnellata, ad eccezione che in Africa e Asia meridionale. Durante tale periodo, inoltre, si è andata delineando la linea evolutiva che ha portato allo sviluppo dell’uomo moderno. Il processo di ominazione porta dall’Homo abilis dell’inizio del periodo, all’Homo neanderthalensis (un ominide, tra l’altro, strettamente affine all’Homo sapiens che scomparve durante una delle varie glaciazioni) di 200.000-30.000 anni fa, all’Homo erectus di un milione di anni fa e, infine, all’Homo sapiens di 100.000 anni fa. Le culture, espresse dalle diverse tecniche di lavorazione della pietra e, più tardi, dalla pratica dell’inumazione e dalle manifestazioni artistiche (pitture delle caverne), fanno distinguere: ➢ l’età del paleolitico; ➢ l’età del mesolitico; ➢ l’età del neolitico (che inizia 10.000 anni fa, con la rivoluzione agricola). 27/10/2022 I PROCESSI ESOGENI E IL MODELLAMENTO DELLA SUPERFICIE TERRESTRE Forze endogene Forze esogene Sono gli agenti morfogenetici che agiscono in modo combinato. Provocano: • il sollevamento delle catene montuose; • l’innalzamento o l’abbassamento del fondale marino; • il vulcanesimo; • i terremoti. Si identificano con i seguenti agenti di modellamento della superficie terrestre: • gli agenti atmosferici; • le acque correnti; • i ghiacciai; • i mari. L’azione geomorfica degli agenti atmosferici riguarda: • La degradazione meteoritica È l’insieme dei fenomeni atmosferici che portano al disfacimento in posto delle rocce e che, quindi, producono (col tempo) mutamenti nelle forme del rilievo terrestre. Si distinguono due processi che si svolgono congiuntamente: Disgregazione Alterazione È dovuta ad una degradazione fisica delle rocce e comprende: o il termoclastismo (causato dalle forti oscillazioni termiche giornaliere che provocano continue dilatazioni e contrazioni e che, con il passare del tempo, portano alla frantumazione delle masse rocciose); o il crioclastismo (tipico di regioni dove le oscillazioni termiche sono intorno agli 0°C e l’acqua che penetra nelle fessure delle rocce congela di notte, esercitando notevoli pressioni sulle pareti delle cavità che possono portare alla frantumazione della roccia). Altre possibili degradazioni, non dovute però alle forze esogene, sono le disgregazioni causate dalle radici delle piante che, insinuandosi nelle fessure delle rocce, possono allargarle sempre più, frantumandole. È dovuta ad una degradazione chimica delle rocce e può avvenire per azione, semplice o combinata, di fenomeni di ossidazione, carbonatazione, idratazione, soluzione e idrolisi. Per esempio, la carbonatazione è dovuta all’azione combinata dell’acqua e dell’anidride carbonica su alcune basi che si formano a seguito dei processi di alterazione idrolitica; essa, inoltre, porta alla formazione di carbonati solubili, permettendo quindi, indirettamente, il proseguimento di tale alterazione. Altre possibili degradazioni, non dovute però alle forze esogene, sono: o l’alterazione dovuta alle secrezioni di alcuni organismi che attaccano chimicamente i minerali (come, per esempio, i litòdomi – molluschi bivalvi che creano fori nelle rocce – e i licheni – che penetrano con le loro propaggini nella roccia); o l’alterazione prodotta dalla decomposizione degli organismi (dopo la loro morte, infatti, la decomposizione produce sostanze – come acidi umici, anidride carbonica, ammoniaca – che reagiscono con i minerali della roccia alterandoli). Fori di litòdomi nel Macellum di Pozzuoli (più noto come Serapeo, I-II d.C.), che sono state sommerse dall’acqua per un periodo di tempo durante il quale i molluschi hanno causato la loro alterazione chimica e hanno perciò rappresentato per secoli un prezioso indice per misurare il fenomeno del bradisismo (ovvero l’innalzamento e l’abbassamento della superficie terrestre probabilmente causato dalla presenza di gas). • Il trasporto e l’accumulo dei prodotti della degradazione Si devono considerare due diverse situazioni in cui prodotti della degradazione possono finire su: Superfici rocciose orizzontali Superfici inclinate (versanti) I prodotti della degradazione rimangono sul posto e coprono la roccia madre sottostante con un mantello detritico sul quale può attecchire la vegetazione, che porta ad una trasformazione chimico-biologica dei detriti. Dopodiché, avviene il processo di pedogenesi (nascita del suolo): il materiale organico in decomposizione andrà a costituire l’humus e si formerà il suolo (cioè, un terreno costituito da una parte minerale e una parte organica). La gravità e gli agenti esogeni allontanano i prodotti della degradazione generando varie forme di accumulo come: o le falde di detrito (ossia gli ammassi detritici ai piedi dei versanti); o i conoidi alluvionali (ossia i detriti che si accumulano dove i torrenti di montagna incontrano la pianura – la brusca riduzione della pendenza fa diminuire la velocità del corso d’acqua, che così deposita i detriti più grossi, i quali visti dall’alto hanno la forma di un ventaglio); o le frane (che si formano nel caso in cui delle grosse masse di materiale roccioso si distaccano dal versante in modo veloce). Il vento è un importante agente del modellamento della superficie terrestre, soprattutto nelle regioni aride e prive di vegetazione. Qui, infatti, il vento denuda i rilievi, sollevando in alto per diversi metri e trasportando altrove i detriti più fini (come argilla e silt). Le particelle sabbiose più grandi si muovono prevalentemente mediante salti (saltazione) e, in piccola parte, per trascinamento e rotolamento sul terreno. Tale azione eolica di trasporto viene detta deflazione. I deserti rocciosi e pietrosi (ossia i Reg, cioè le enormi distese costituite da rocce nude dalle quali la deflazione trasporta continuamente gli elementi detritici formatisi per effetto delle accentuate escursioni termiche) sono residui tipici di tale fenomeno. La corrasione è l’azione erosiva del vento sulle rocce, che si esercita vicino al suolo, prodotta dalle particelle (per lo più di sabbia) trasportate. Le rocce così modellate sembrano delle sculture che spesso presentano striature e fori. Quando il vento perde velocità, lascia cadere il materiale trasportato originando così dei depositi eolici; esempi di questo tipo sono: • il löss (loess, un tipico deposito continentale a granulometria finissima – delle dimensioni del limo); • le dune (tipiche forme di deposito nei deserti sabbiosi – Erg); • le barcane (particolari perché originate dalla sabbia spinta dal lato sopravvento – posteriore – al lato sottovento; il lato rivolto verso la direzione da cui spira il vento è riconoscibile perché meno inclinato). Per quanto riguarda, invece, l’azione geomorfica delle acque correnti superficiali, si distinguono due tipi erosione: Erosione areale Erosione lineare È provocata dall’azione delle acque dilavanti o selvagge che scorrono secondo le linee di massima pendenza (quindi, non vengono incanalate in un alveo, o letto, di un corso d’acqua), agendo su superfici inclinate in caso di piogge abbondanti. Le piramidi di terra sono un esempio dell’opera demolitrice delle acque dilavanti: si tratta, infatti, di ciottoli e blocchi di roccia che proteggono le È provocata dall’azione delle acque incanalate (cioè, dei corsi d’acqua) che asportano i materiali per via meccanica e per via chimica, scavando nel terreno solchi vallivi (cioè, solchi più o meno lunghi e profondi). L’erosione si attua anche mediante l’abrasione dovuta ai frammenti solidi trasportati e trascinati che agiscono come una raspa. L’erosione regressiva è responsabile anche delle catture fluviali. Essa si verifica quando un corso d’acqua ha una capacità erosiva superiore a quella di un corso d’acqua vicino che scorre a quota superiore: l’affluente del 1° corso arretra la propria testata fino ad intaccare lo spartiacque che lo separa dal 2°; quest’ultimo viene così “catturato” e le sue acque defluiranno verso il corso d’acqua “predatore”. La parte della valle non più alimentata si trasforma in una valle morta. L’erosione da parte di un corso d’acqua, quindi, avviene non solo sul fondo dell’alveo, ma anche sui suoi lati, permettendo così la formazione della valle fluviale. La valle fluviale è il risultato dell’azione combinata dell’erosione lineare e dell’erosione laterale ed è per questo motivo che la sua sezione assume una forma a “V”. Il fiume, infatti, scalzando la base dei versanti montuosi tra cui scorre, provoca cedimenti delle parti sovrastanti e, quindi, l’allargamento della valle. I tracciati fluviali possono essere di tre tipi diversi: Corso a treccia Corso rettilineo Corso a meandri È costituito da numerosi canali che si dividono e si ricongiungono più a valle. Questo tracciato è provocato dalla presenza di sedimento che si accumula al centro del canale, costringendo il corso d’acqua a suddividersi. È raro e si trova in zone particolari segnate da faglie. Un esempio è fornito dal fiume Reno, che scorre lungo la faglia compresa tra i Vosgi e la Selva Nera. I meandri sono anse che si presentano spesso lungo il corso del fiume e si spostano lateralmente (quindi, non sono fissi), anche se le cause della loro formazione non sono ancora del tutto note. Vi sono meandri incastrati (cioè, incisi nella roccia compatta) e meandri liberi (cioè, che non hanno nessuna costrizione laterale). La riva esterna, concava, dove la velocità della corrente è maggiore, subisce un’erosione continua, mentre sulla riva convessa invece, dove la velocità è inferiore, si verifica la deposizione dei sedimenti. Questo porta, col tempo, ad un’accentuazione dell’ansa fluviale e alla formazione di un lobo di meandro, il cui collo si restringe sempre più. In alcuni casi, una piena può portare al taglio del meandro. Si forma così il meandro abbandonato (o lanca), dalla forma a semiluna. Tevere, meandro abbandonato (da Google maps). Un altro aspetto dell’azione geomorfica delle acque correnti è la sedimentazione: quando la velocità delle acque di torrenti e fiumi diminuisce, infatti, questi depositano i detriti. Ciò avviene già nel corso superiore perché nel momento in cui il fiume giunge in pianura, forma i conoidi alluvionali (o conodi di deiezione). Esempi di conoidi alluvionali: Una maggiore sedimentazione si ha, però, nelle zone depresse di un bacino idrografico e in vicinanza del livello di base dove si formano le pianure alluvionali (per esempio, la Pianura Padana), costituite da ampie distese pianeggianti di detriti molto eterogenei sia nelle dimensioni che sotto il profilo litologico. Allo sbocco in mare, la corrente fluviale perde ulteriormente velocità e sedimenta il materiale trasportato. Tale accumulo fa risultare più alto il letto del fiume (fiume pensile) rispetto alle pianure adiacenti. In caso di piena in queste zone, il corso principale rompe gli argini e trova una nuova via verso il mare. Un delta con numerosi rami fluviali che si irradiano verso il mare è dovuto a questo processo di rottura degli argini, quando esso si ripete più volte. Dove, invece, le maree sono molto forti, tali da riuscire ad impedire l’interramento fluviale, i corsi d’acqua presentano foci larghe, a imbuto e libere da detriti che prendono il nome di estuari. Brasile, foce estuario del Rio delle Amazzoni: Romania, foce delta del Danubio Il polje di Castelluccio di Norcia con l’inghiottitoio Colfiorito, Molinaccio Molinaccio, l’inghiottitoio Il carsismo si evolve attraversando tre stadi principali, ovvero: ➢ uno stadio giovanile, in cui il paesaggio carsico presenta doline (di 50-60 m di diametro) a forma di imbuto e con inghiottitoio e in cui i corsi d’acqua sono sempre più poveri per la crescente infiltrazione; ➢ uno stadio della maturità, in cui le doline sono più ampie e a forma di ciotola il cui fondo è rivestito da terra rossa (argilla) insolubile in acqua; successivamente si formano le uvala e l’idrografia superficiale scompare del tutto mentre si andrà a formare un reticolo idrografico sotterraneo; ➢ uno stadio di vecchiaia, in cui le depressioni sprofondate mettono allo scoperto le cavità sotterranee, il rilievo è demolito fino quasi al livello della falda idrica sotterranea, la superficie è concava e può ristabilirsi una idrografia superficiale. Per quanto riguarda, invece, l’azione geomorfica dei ghiacciai (ovvero gli agenti più importanti del modellamento superficiale nelle regioni a clima freddo) si distinguono tre processi principali: Erosione Estrazione Esarazione Il ghiacciaio si muove sul pendio, sotto la spinta del suo peso, con una velocità variabile da punto a punto. Con questo movimento i ghiacciai erodono mediante estrazione ed esarazione. Tra le forme di erosione ci sono: • i circhi (ossia depressioni semicircolari con pareti ripide prodotte dalle forti pressioni esercitate dalle masse glaciali e dall’azione del gelo); • le valli glaciali (che hanno la sezione trasversale a forma di U poiché il ghiaccio erode per tutta la sua ampiezza la depressione nella quale scorre). Ad esempio, il massiccio del Monte Bove (Monti Sibillini) ha al suo interno il circo glaciale dove una volta era presente il ghiacciaio; scendendo, questo ha costituito la cosiddetta “lingua glaciale”, che modella le valli glaciali secondo un profilo trasversale diverso da quello dei fiumi: Consiste nella fratturazione e frantumazione delle rocce. L’acqua, derivata dal parziale scioglimento del ghiaccio, entra nelle fessure delle rocce che si trovano sul fondo e ai margini del ghiacciaio. Quando la temperatura scende sotto 0 °C, l’acqua gela, aumenta di volume e tende, quindi, a fratturare le rocce. La frantumazione delle rocce è spesso dovuta all’azione divaricatrice del ghiaccio che si insinua plasticamente nelle fenditure e le allarga. Consiste nell’erosione meccanica vera e propria della corrente glaciale e delle acque di fusione che scorrono sotto il ghiacciaio. Tale erosione è resa possibile dall’intensa azione abrasiva dei materiali duri trasportati che producono scanalature sulle pareti laterali e strie sul fondo. Lago di Pilato, 1941 m s.l.m. (Monti Sibillini): Laghi prealpini d’Italia (di origine glaciale perché costituiti dalle lingue glaciali): Durante le glaciazioni, essendo il livello marino più basso di quello attuale, molte valli glaciali furono scavate sotto il livello del mare di oggi. Con lo scioglimento dei ghiacci e il relativo innalzamento del livello del mare, le valli glaciali che si trovano in prossimità della costa sono state invase dal mare stesso costituendo i fiordi. Se l’abrasione continua nel tempo, i cedimenti di parete si susseguono e la falesia progressivamente subisce un fenomeno di arretramento che porta alla formazione della piattaforma di abrasione marina (una spianata marginale leggermente inclinata verso il mare che frena il moto ondoso e rallenta il processo di demolizione della falesia). In alcuni casi la falesia non viene più raggiunta dal moto ondoso per cui il processo di arretramento si ferma e si parla di falesia morta. White Cliffs of Dover, calcari organogeni (fossili di organismi marini): Puglia, laghi di Lesina e Varano: Laguna di Venezia: Il Mose è costituito dalle barriere che sono collocate alle bocche di porto di Lido (divisa in due barriere di 21 e 20 paratoie), Malamocco (19 paratoie) e Chioggia (18 paratoie) ed è una struttura in grado di proteggere Venezia e la laguna da maree alte fino a 3 metri e da un innalzamento del livello del mare fino a 60 centimetri. Taranto, il Mar Piccolo (dove sussistono le condizioni idrobiologiche ideali per la coltivazione dei mitili, meglio conosciute come «cozze»): Estate 2018: 500 tonnellate di rifiuti vengono recuperate dal fondo del Mar Piccolo a Taranto; ci sono decine di autovetture, motocicli, pneumatici, batterie, materiale da pesca, parti di imbarcazioni… ______________________________________________________________________ 2/11/2022 IL CLIMA E L’EMERGENZA CLIMATICA Il clima è lo stato medio del tempo atmosferico a varie scale spaziali (locale, regionale, nazionale, continentale e globale) rilevato nell’arco di almeno 30 anni. Il termine «clima» deriva dal greco klima (-tos) che vuol dire «inclinazione»: il clima, infatti, è in massima parte una funzione dell’inclinazione dei raggi solari sulla superficie della Terra al variare della latitudine. Esso determina molte caratteristiche ambientali (come la flora e la fauna) e influenza fortemente le attività economiche e la cultura delle popolazioni. La caratteristica principale del clima rispetto al comune “tempo meteorologico”, oltre all’intervallo temporale di osservazione, è l’avere un andamento che tende a mantenersi stabile nel corso degli anni pur con una variabilità interannuale dovuta alle stagioni. L’attenzione scientifica negli ultimi decenni si è spostata sempre più sulla comprensione o ricerca approfondita dei meccanismi che regolano il clima terrestre, specie in rapporto ai temuti cambiamenti climatici di cui molto si discute. La Climatologia è la disciplina che studia tutti questi aspetti. Come abbiamo appena detto, il clima plasma fortemente il paesaggio, influendo sull’ambiente naturale, nonché sulla vita e sulle attività economiche delle popolazioni. Lo storico Fernand Braudel afferma che il clima «entra» nella storia: nel trattare del mondo mediterraneo, egli afferma sì che questa parte del mondo rappresenta soprattutto un’unità culturale, ma riconosce anche l’importanza della realtà fisica sottostante, che è per buona parte unità climatica. Gli elementi del clima sono le grandezze fisiche la cui misurazione viene effettuata per mezzo di opportuna strumentazione da parte delle stazioni meteorologiche: • temperatura; • pressione; • umidità; • precipitazioni; • venti. Si tratta degli stessi elementi che caratterizzano il tempo atmosferico ma, coerentemente con la definizione di clima, di essi sono rilevanti solo i valori medi assunti su un lungo periodo di tempo. I fattori del clima, invece, sono le condizioni geografiche tipiche del luogo: • la latitudine, ossia la distanza di un punto della Terra dall’equatore che influisce sul riscaldamento della superficie terrestre provocato dai raggi solari, i quali, in prossimità dell’equatore, sono pressoché perpendicolari durante tutto l’arco dell’anno (essi, perciò, compiono un cammino minore attraverso l’atmosfera e subiscono minore dispersione, mentre alle latitudini superiori, invece, è irraggiata una superficie maggiore e il riscaldamento per unità di superficie risulta minore); non trascurabile è anche la durata del periodo di riscaldamento, che all’equatore è sempre di 12 ore, mentre a nord e a sud dei tropici il dì ha durata variabile; • l’esposizione ai raggi solari, con particolare rilevanza nelle zone montuose (è facilmente visibile come la neve permanga per più tempo e a quote più basse sui versanti esposti a nord – bacìo – che non su quelli esposti a sud – solatìo); • l’altitudine, che determina la diversità climatica anche a parità di latitudine (la temperatura dell’aria decresce con regolarità allontanandosi dal suolo – -0,6 °C ogni 100 m – perché l’atmosfera è riscaldata dal calore riflesso dal suolo più che dal calore diretto del sole; un esempio di zonazione altitudinale si ha nelle Alpi); • la presenza di acque (marine o di bacino), che fa aumentare l’umidità dell’aria (a causa dell’evaporazione), determinando un incremento delle precipitazioni (maggiori piogge sulle zone costiere piuttosto che su quelle continentali) e mitigando la temperatura (l’acqua, in effetti, si riscalda più lentamente, ma si raffredda anche più lentamente); • le correnti marine, che influiscono anch’esse sul clima riscaldando o raffreddando le coste che lambiscono (è ben conosciuto, a tal proposito, l’effetto della calda Corrente del Golfo che, dopo aver attraversato l’Atlantico, esercita il proprio benefico influsso fin sulle coste inglesi e scandinave); • la presenza di vegetazione (soprattutto gli alberi trattengono i raggi solari ed emettono vapore acqueo dando luogo a un abbassamento della temperatura e a un aumento dell’umidità). A ciascuna fascia climatica si associano spesso i biomi, ossia: gli ambienti simili per morfologia, clima, vegetazione, popolamento animale e umano, etc. (come foreste pluviali, deserti, foreste temperate, steppe, taiga, tundra e banchisa polare) che si ripetono su tutto il globo. La foresta tropicale è il bioma terrestre più ricco di specie viventi e, proprio per questa sua complessità, ha un equilibrio ecologico molto delicato. Ogni giorno vengono diboscate migliaia di foreste tropicali e si stima che di questo passo in pochi decenni tali foreste possano scomparire del tutto. Dal 1995 al 2003 la deforestazione dell’Amazzonia ha superato i 25.000 km² all’anno, facendo sparire il 3,6% di foresta. Durante la presidenza Lula (2003-2010) è scesa a poco più di 5.000 km²/anno, con una perdita della foresta di meno della metà. Dal 1970 al 2017 sono stati tagliati almeno 780.000 km² di foresta, un’area quasi pari a quella di Spagna e Italia messe insieme, circa il 19% del totale originario. In base allo schema della distribuzione generale dei climi, la penisola italiana rientra completamente nell’area del clima mediterraneo (temperato caldo con estate secca, secondo la classificazione di Köppen). In realtà, però, a causa di numerosi fattori (come l’ubicazione del territorio rispetto ai mari e al continente europeo, la struttura orografica e l’influenza della latitudine), accanto al tipico clima mediterraneo vi sono aree con altri climi. Quindi, nelle regioni costiere si trova il clima temperato sud tropicale (colore rosso); nelle aree interne si trova il clima temperato fresco (colore azzurro); nelle regioni alpine si trova il clima freddo (colore blu); nella regione Padana si trova il clima temperato continentale (colore verde). Questa carta pluviotermica dell’Umbria (scala 1:900000) è stata costruita in base alle temperature e alle precipitazioni medie annue. Le linee isoterme (in figura, le linee rosse) congiungono tutti i punti con la stessa temperatura media annua. Le linee isoiete (in figura, i colori), invece, indicano le zone che hanno segnato la stessa quantità di precipitazioni annue. Da queste linee emerge che le precipitazioni si concentrano maggiormente nella fascia appenninica; a mano a mano che ci si allontana dalla fascia appenninica le precipitazioni annue diminuiscono. Questa regione, in cui non è presente il mare, è “protetta” dalle piogge grazie agli Appennini, che fungono da barriera. L’effetto serra è la capacità della Terra di trattenere nella propria atmosfera parte dell’energia proveniente dal Sole, capacità che rende possibile lo sviluppo della vita sulla Terra (dal momento che grazie ad esso vengono evitati gli eccessivi squilibri termici caratteristici dei corpi celesti privi di atmosfera). L’effetto serra fa parte dei complessi meccanismi di regolazione dell’equilibrio termico di un pianeta e agisce grazie alla presenza nell’atmosfera dei gas serra (vapore acqueo H2O – responsabile dell’effetto serra per il 70% –, l’anidride carbonica CO2 – meno del 20% – e il protossido di azoto N2O e il metano CH4 – 8%), di origine sia naturale che antropica. I raggi ultravioletti penetrano facilmente nell’atmosfera raggiungendo in buona parte la superficie del pianeta, dove vengono in parte riflessi e in parte assorbiti dalla superficie e poi convertiti in calore. Il calore viene dissipato verso lo spazio sotto forma di raggi infrarossi. L’effetto serra, dunque, è fondamentale perché indica quel fenomeno naturale che assicura il riscaldamento della Terra (senza di esso la temperatura del pianeta potrebbe essere di 30 °C più fredda). In questi ultimi anni, però, le attività dell’uomo hanno aumentato eccessivamente i gas serra, provocando un surriscaldamento del pianeta. Il buco nell’ozono (O3) è un problema ambientale differente rispetto all’effetto serra, anche se si ritiene prodotto da cambiamenti nell’atmosfera causati dall’attività dell’essere umano. La Terra è protetta, a circa 40 km dalla sua superficie, da uno strato di ozono che assorbe le radiazioni ultraviolette ad alta energia, pericolose per la salute degli organismi viventi. Alcuni composti chimici industriali (quali i clorofluorocarburi CFC), liberati da frigoriferi, bombolette spray e impianti industriali, hanno intaccato questo strato protettivo. Oltre ai gas serra atmosferici principali, esiste un’ampia gamma di gas serra rilasciati in atmosfera di origine esclusivamente antropica (come gli alocarburi, tra i quali i più conosciuti sono i clorofluorocarburi CFC) e molte altre molecole contenenti cloro e fluoro le cui emissioni sono regolamentate dal Protocollo di Montreal (ossia un trattato internazionale mirato a ridurre la produzione e l’uso delle sostanze che minacciano lo strato di ozono; 1987). I combustibili fossili sono la fonte principale di anidride carbonica e vengono usati per: • il trasporto; • la produzione di energia elettrica; • il riscaldamento delle abitazioni. Le piante sono in grado di rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera attraverso la fotosintesi. Di conseguenza, se gli alberi vengono tagliati, si riduce la quantità di anidride carbonica rimossa dall’atmosfera.
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