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Geografia fisica, umana, Unione Europea e cartografia, Appunti di Geografia

Caratteristiche fisiche della superficie terrestre, fenomeni naturali, caratteristiche della cartografia, geografia umana e Unione Europea.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 21/04/2023

Deborah_Medici
Deborah_Medici 🇮🇹

4.8

(17)

9 documenti

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Scarica Geografia fisica, umana, Unione Europea e cartografia e più Appunti in PDF di Geografia solo su Docsity! GEOGRAFIA DEBORAH MEDICI 1 SOMMARIO Modulo 1 – Geografia Fisica 5 Le caratteristiche generali della Terra 5 L’osservazione geografica 5 Geografia fisica 6 I tempi della natura 6 Tempo Geologico 6 Tempo Storico 7 Teorie 7 Struttura del pianeta 9 Geosfera & biosfera 10 Caratteristiche della terra 10 Il clima 12 Fattori astronomici 12 Fattori terresti 13 Elementi climatici 13 Classificazione dei climi 14 Uomo e clima 15 L’idrosfera 16 Le caratteristiche fisiche 16 Il ciclo delle acque 18 Le acque continentali 19 Il modellamento del suolo 22 Le rocce 22 Modellamenti endogeni 23 Orogenesi 23 Sismicità 23 DEBORAH MEDICI 4 Proiezioni 77 Storia della cartografia 82 Cartografia preistorica 82 Cartografia del medio oriente 82 Cartografia greca 82 Cartografia romana 83 Cartografia ellenica 83 Cartografia medievale 84 Cartografia moderna 88 Cartografia contemporanea 89 Modulo 4 – Geografia Europea 90 Etimologia 90 Geografia fisica dell’Europa 91 Confini 91 Acque oceaniche 92 Acque continentali 94 Morfografia e morfogenesi 95 Clima e bioma 95 Demografia 98 Immigrazione 98 Popolazione 100 Città 100 L’Unione Europea 102 La grande crisi europea 103 DEBORAH MEDICI 5 MODULO 1 – GEOGRAFIA FISICA LE CARATTERISTICHE GENERALI DELLA TERRA L’OSSERVAZIONE GEOGRAFICA La geografia è una disciplina che studia i fenomeni territoriali e la loro distribuzione sulla superficie terrestre, e lo fa attraverso una metodologia particolare, che la differenzia dalle altre scienze della terra e che prevede delle tappe analitiche quali l’acquisizione, l’elaborazione, il coordinamento e la presentazione dei dati. Questa analisi parte da un’osservazione preliminare dei rapporti di causa ed effetto che si instaurano tra i vari fenomeni territoriali osservati e può essere di tre tipi: ● Diretta: si compie su un luogo attraverso il coinvolgimento di tutti i sensi, in particolare quello della vista. È un’operazione mentale perché l’oggetto va osservato nelle sue caratteristiche e vanno rilevati tutti gli elementi che fanno parte dell’oggetto/fenomeno territoriale considerato fino a che non si riconoscono tutte le caratteristiche e i rapporti di grandezza che questo oggetto/fenomeno ha rispetto al contesto. ● Strumentale: si compie attraverso l’utilizzo di strumenti che ci servono per avere dei dati quantitativi sui quali basare l’analisi, ad esempio il correntometro per la misura della corrente delle acque o l’igrometro per la misura dell’umidità. Questi dati quantitativi aiutano ad avere una comprensione più esaustiva del fenomeno geografico. ● Indiretta: si compie attraverso delle inchieste svolte da singole persone o mediante uffici privati e/o pubblici. Queste inchieste prevedono l’assunzione di informazioni derivanti da persone che sono pratiche dei luoghi, indipendentemente dal loro grado d’istruzione. Ciò che conta è che abbiano una conoscenza empirica del luogo, come succede per pastori e agricoltori. L’importante è che le domande che vengono poste non cerchino di pilotare le risposte e che queste vengano poi vagliate in modo critico per ottenere il massimo delle informazioni. L’osservazione geografica ha come scopo quello di rilevare la posizione dei fenomeni fisici e antropici, le variazioni spaziali e l’identificazione del carattere delle manifestazioni spaziali. Sulla base di questa osservazione, l’analisi geografica definisce: ● La magnitudo geografica: grandezza geografica delle superfici considerate nell’osservazione. I territori presi in esame possono avere una grandezza diversa; quindi, hanno differenti ordini di grandezza o, per l’appunto, di magnitudo. ● Livelli d’analisi della descrizione: è la capacità di una descrizione di essere più o meno dettagliata. Tanto più il territorio è esteso, tanto meno è analitica la descrizione. DEBORAH MEDICI 6 ● La scala: il livello di analisi della descrizione è collegata alla scala cartografica, cioè il rapporto tra la distanza misurata sulla carta e la corrispondente distanza misurata sul terreno. Da questo deriva che tanto più l’estensione è elevata tanto più lo studio è sintetico e tanto più la scala è piccola. ● Il quadro di riferimento: ci dice che bisogna di tener conto del territorio centrale nella nostra osservazione geografica rispetto a un contesto che può essere più o meno ampio. Ad esempio, se volessimo analizzare Roma in un contesto nazionale parleremo di un primo livello del quadro di riferimento, se la volessimo analizzare in un contesto europeo si parlerebbe di secondo livello, se il contesto fosse mondiale si parlerebbe di terzo livello. Nota: più aumenta la magnitudo, meno la descrizione è analitica, più è piccola la scala e più è grande il quadro di riferimento. In base a ciò possiamo dire che l’analisi geografica è un’analisi che mette in relazione il fenomeno territoriale osservato con un certo contesto con il quale intrattiene delle relazioni. Fino a pochi decenni fa il fenomeno osservato veniva sempre messo in relazione con un certo contesto ecumenico, cioè una porzione di territorio abitata e occupata dall’uomo. Si parlava inoltre di contesti sub-ecumenici (luoghi abitati temporaneamente) e anecumenici (abitati per motivi di ricerca, come per esempio l’Antartide). Ad oggi questi concetti sono stati superati e l’analisi geografica non mette più in relazione il fenomeno col solo ecumene, ma con tutta la biosfera. GEOGRAFIA FISICA La geografia fisica studia gli elementi e i fenomeni che caratterizzano la biosfera con i quali ogni azione antropica deve misurarsi. Ad esempio, la conoscenza geologica ci permette di individuare giacimenti minerari che negli ultimi 50 anni sono alla base dell’economia mondiale, oppure per poter organizzare e pianificare il territorio. Può rispondere a domande importanti come quali e quante risorse l’ambiente può ancora offrire, quali rischi di eventi catastrofici ci sono, fino a individuare quali sono gli ecosistemi esistenti sulla superficie terrestre e come possono essere salvati. Nonostante ad oggi ancora non siano in atto delle vere e proprie opere sistematiche che trattino la geografia fisica in funzione della geografia umana, è opinione comune dei geografi che l’ambiente naturale è il sito e/o il supporto fisico dell’insediamento antropico. Dal momento che l’ambiente è il supporto fisico dell’esistenza antropica, conoscerlo ci porta ad avere una relazione cosciente con esso. I TEMPI DELLA NATURA Possiamo distinguere due tipologie di tempi della natura: il tempo geologico e il tempo storico. TEMPO GEOLOGICO DEBORAH MEDICI 9 o Oceano-Continente: si verifica lo stesso fenomeno di subduzione e la placca che sprofonda è quella oceanica in quanto più fluida. Sul fondo oceanico si forma una fossa oceanica, nella placca continentale una catena vulcanica costiera. o Continente-Continente: avvengono fenomeni di orogenesi, cioè si avvia il processo di corrugamento per il quale le placche non sprofondano, ma finiscono le uno contro le altre generando dei rilievi. o Infine, ci sono delle placche che non si scontrano, ma si sfiorano e vengono chiamate faglie trasformi. Le zone di frizione delle placche possono accumulare delle forti pressioni che possono portare al limite massimo l’energia immagazzinata facendole superare il limite di resistenza delle rocce. In questo caso l’energia si libera dando luogo a terremoti. Un esempio di faglia è quella di Sant’Andrea in California che nasce dallo sfregamento della placca pacifica con quella nordamericana. ● Divergenza: si ha quando dalle dorsali, lungo un fossato sale una gran quantità di magma basico a causa di correnti ascensionali, che si riversa sui due lati spingendo le placche adiacenti le une lontane dalle altre, allargando il fondo oceanico. Il magma fuoriesce dando via a fenomeni vulcanici sotto il livello del mare e quando si condensa dà vita a vere e proprie montagne sui fondali marini. I punti caldi della terra, cioè quelli in cui sono più diffusi fenomeni sismici e vulcanici, sono solitamente i margini caldi e attivi delle zone crostali, cioè: ● Cintura di fuoco: idealmente circonda l’oceano Pacifico ed è pieno di isole di origine vulcanica ● Le dorsali medio-oceaniche: i fenomeni di solito avvengono sul fondo oceanico, ma alcune vette sono visibile anche fuori, un esempio è l’Islanda e l’isola di Sant’Elena. ● Catene estese in senso trasversale dal bacino mediterraneo all’Iran attraverso la penisola anatolica ● La fascia in direzione nord-sud dell’Africa orientale (sud dell’Arabia) dove nel fondo delle fosse tettoniche ci sono dei reef dove si sono andati a formare grandi laghi. STRUTTURA DEL PIANETA Il pianeta Terra è un corpo complesso di forma quasi sferica, costituito da una successione di strati concentrici che a partire dall’esterno sono: ● Atmosfera: involucro gassose di 1000 Km senza un limite ben definito, rarefatto verso lo spazio cosmico. ● Idrosfera: involucro irregolare non continuo formato dall’insieme delle acque (mari, fiumi, ghiacciai) ● Litosfera: è la parte solida costituita dalle rocce che ha uno spessore che va dai 5 ai 60 km e a cui appartiene la crosta terrestre. ● Astenosfera: è un mare di magma che divide la litosfera dal mantello. ● Mantello: è formato da rocce pesanti e non tutte allo stato solido che si estende al di sotto della litosfera fino a 2900 Km rispetto al livello del mare. ● Nucleo: si trova a 6370 Km sotto il livello del mare ed è di costituzione metallica, quindi molto pesante. DEBORAH MEDICI 10 Ognuno di questi strati agisce a modo suo su una determinata area del sistema terra: ● Sistema clima: il sistema clima è risultato delle relazioni (intese come scambi di massa e/o energia) tra Atmosfera, Idrosfera e Litosfera. Dal sistema clima dipende la Biosfera, cioè l’insieme degli organismi viventi che abitano parte di queste tre aree. ● Sistema della tettonica delle placche: la Litosfera sprofonda poi dell’Astenosfera e raggiunge il mantello profondo, per poi risalire seguendo le correnti convettive e dando vita al sistema della tettonica a placche. ● Sistema geodinamo: parte interna ed esterna del nucleo interagisco nel sistema geodinamo e questa interazione è responsabile del campo magnetico terrestre. GEOSFERA & BIOSFERA Con geosfera si intente quella porzione del pianeta formato dalla parte inferiore dell’Atmosfera, della l’Idrosfera e dalla parte superiore della Litosfera che va a formare quasi una pellicola. Viene suddiviso in: ● Ambiente biotico: è la biosfera, cioè l’ambiente in cui si colloca l’uomo, ambiente con cui entra in contatto attraverso un complesso sistema di feedback. ● Ambiente abiotico o inanimato: diviso in parti solide (Litosfera), parti gassose (Atmosfera) e parti liquide (Idrosfera). Nota: la geografia non studia tutto il pianeta, ma solo la superficie terrestre in cui si manifestano degli eventi che influenzano l’esistenza dell’uomo. CARATTERISTICHE DELLA TERRA La superficie terreste ha quattro caratteristiche generali: 1. Distribuzione mari e terre emerse: i primi formano una distesa continua, mentre le terre sono divise in cinque continenti: Americhe, Africa, Eurasia, Oceania, Antartide. L’Antartide a differenza dell’Artico è un vero e proprio continente perché sotto la coltre di ghiaccio c’è la terra. 2. Prevalenza per estensione delle acque rispetto alle terre emerse: occupano i ¾ delle aree totali, con un rapporto 5:2. 3. Raggruppamento di grande parte delle terre emerse attorno a un punto situato nell’Europa centro occidentale: assumendo questo punto come polo di un emisfero possiamo dividere la terra in un emisfero continentale (89% delle terre emerse) e uno oceanico. Ma consideriamo che nell’emisfero continentale c’è comunque una prevalenza di mare (51%). 4. Superficie della litosfera: è formata sia dalle terre emerse (piattaforma continentale) che dalla parte sottomarina (parte sottomarina). I fondali marini sono più o meno uniformi, mentre la parte emersa è collinare DEBORAH MEDICI 11 e montuosa. Nei fondali marini ci sono grandi profondità (3mila-5mila metri) mentre i rilievi non sono così alti (500 metri) e appaiono prolungarsi in una fascia costiera chiamata scarpata continentale. DEBORAH MEDICI 14 La temperatura rappresenta il grado termico di una frazione di aria in un momento e luogo preciso. Ricordiamo che i raggi del sole, emessi a onde corte, attraversano l’atmosfera e vengono assorbiti dalla Terra che li riceve e converte in calore, emesso a onde lunghe. Si definisce escursione termica la differenza tra la temperatura massima e minima di un luogo che può essere diurna, se considero giorno/notte, o annua, se considera l’anno misurando il mese più caldo e più freddo. La pressione viene esercitata dal peso dell’aria sulla superficie terrestre, anche se normalmente non l’avvertiamo, e si misura col barometro. La pressione è in stretta relazione con l’altitudine, infatti più si sale, più il peso dell’aria diminuisce, ma anche con la temperatura in quanto l’aria calda e umida, più leggera, tende a salire, mentre quella più fredda a scendere. La differenza tra aree di bassa pressione (cicloniche) e alta pressione (anticicloniche) generano spostamenti d’aria che formano i venti. L’intensità di un vento è quindi proporzionale a questa differenza di pressione. La direzione del vento si misura con l’anemoscopio, la sua velocità con l’anemometro mentre la sua forza si misura in base agli spostamenti delle acque, i famosi nodi. L’umidità e le precipitazioni derivano infine dal ciclo dell’acqua. L’evaporazione per insolazione delle superfici liquide porta nell’aria una certa quantità di vapore acqueo. L’aria, tuttavia, può contenere solo una certa quantità di vapore acqueo, dopo di cui satura. Oltre questo limite, avviene la condensazione del vapore se si passa dallo stato gassoso allo stato liquido oppure la sublimazione del vapore se si passa direttamente allo stato solido. Quando le goccioline di vapore iniziano ad aggregarsi, si formano le nubi (se l’aggregazione avviene ad altitudini elevate) oppure la nebbia se la condensazione è al livello del suolo. Se la temperatura si abbassa notevolmente, le goccioline si aggregano attorno a nuclei di condensazione e cadono sottoforma di precipitazione atmosferica: pioggia, grandine, neve. Ricordiamo che si parla di umidità assoluta quando si considera il peso (in grammi) del vapore acque in un certo volume d’aria (in metri cubi), mentre si parla di umidità relativa quando si descrive il rapporto tra la quantità di vapore presente in un dato volume d’aria e il limite che massimo che potrebbe esserci alla stessa temperatura. Quest’ultima si misura con l’igrometro. La ripartizione nel corso dell’anno delle precipitazioni viene definito regime delle piogge. Nelle zone equatoriali sono abbondanti in ogni mese, in quelle tropicali c’è una stagione asciutta e una piovosa, in quelle continentali estati molto secche e calde (notare che questa è un’eccezione, di solito le zone calde sono piovose). CLASSIFICAZIONE DEI CLIMI Wladimir Kopper propose una classificazione dei climi nel 1930 che prevede l’identificazione di 11 tipologie climatiche raggruppate in 5 gruppi. ● Climi caldo-umidi: clima caldo sempre umido, clima caldo con piogge estive DEBORAH MEDICI 15 ● Climi aridi: arido caldo, arido con inverno freddo ● Climi temperati-caldi (mesotermici): temperato caldo con piogge estive, temperato caldo con siccità estiva, temperato senza stagione secca ● Climi temperati continentali (microtermici): temperato continentale, estremamente continentale ● Climi freddi o nivali: seminivale, del gelo perenne La classificazione dei climi proposta dal geografo e climatologo Wladimir Kopper nel 1918 e perfezionata nel 1936, riscosse un notevole successo. Un’altra classificazione molto usata è quella per fasce climatiche: ● Dall’equatore ai tropici possiamo individuare due tipologie di clima: uno equatoriale con stagione unica e pioggia abbondante caratterizzato dal bioma equatoriale e della foresta pluviale, e un clima sub-equatoriale con due stagioni (secca e piovosa) con bioma della savana, monsonico, predesertico (steppa) desertico freddo (Deserto dei Gobi) o caldo (Deserto del Sahara). ● Superati i tropici, il clima diventa molto variabile. Abbiamo un clima mediterraneo, atlantico e continentale con alternanza delle quattro stagioni. I biomi, di conseguenza, variano molto, troviamo la macchia mediterranea, la prateria, la foresta di latifoglie (taiga) e la brughiera. ● Ad alte latitudini c’è la fascia polare. Troviamo un clima sub-polare e polare con due stagioni e prevalenza di bioma della tundra e del gelo perenne. Notare che i climi di alta montagna hanno un tipo climatico nivale. UOMO E CLIMA Il clima è sempre stato un fattore di vitale importanza per l’uomo in quanto è dal clima che dipende se un territorio è più o meno fertile di un altro, caratteristica fondamentale per la crescita e la prosperità di una comunità. DEBORAH MEDICI 16 L’IDROSFERA L’acqua che copre la superficie terrestre è presente in tre stati diversi: ● Come vapore acqueo nell’atmosfera e nelle emanazioni vulcaniche ● Come stato solido in neve e ghiaccio ● Come stato liquido nei mari e negli oceani che occupano il 70% della superficie terrestre Più del 97% dell’acqua è salata ed è rappresentata dai mari e dagli oceani, mentre solo il 3% è acqua dolce e si trova nelle acque continentali, nell’atmosfera, nei ghiacciai e nelle calotte polari. LE CARATTERISTICHE FISICHE Le maggiori distese tra un continente e l’altro sono gli oceani: atlantico, pacifico e indiano. Alcuni definiscono oceano anche il Mar Glaciale Artico. Sono detti invece mari certe parti periferiche di essi o tratti più o meno ben delineati tra le terre emerse. Oceani e mari occupano i 2/3 della superficie terrestre e, se consideriamo i due emisferi, le acque occupano l’80% del meridionale e il 70% del settentrionale. Le acque oceaniche si sono probabilmente prodotte nelle prime fasi evolutive della terra per condensazione e per la precipitazione di immensi volumi di vapore acqueo che erano presenti nell’atmosfera. Più incerta è l’origine dei sali minerali disciolti nei mari. Gran parte di questi deriverebbero dal dilavamento operato dalle acque continentali, mentre una piccola parte deriverebbe dall’attività vulcanica che interessa la crosta oceanica lungo i margini attivi delle placche. Va detto anche che, oltre ai sali, nell’acqua sono contenuti anche dei gas in forma disciolta come l’ossigeno che è fondamentale per la vita. La prima caratteristica dell’acqua è quindi quella di essere una soluzione ricca di salsedine. La salsedine è il peso dei sali minerali contenuti in forma disciolta in un Kg di soluzione e si esprime in millesimi. In particolare, la percentuale dei sali presenti nell’acqua marina corrisponde al 3.5%, quindi in un Kg di acqua marina ci sono 35g di sale. La salsedine può variare lievemente tra un mare e l’altro e questa differenza può dipendere da diversi fattori: ● L’intensità dell’evaporazione, che tende ad accrescere la salsedine ● Le piogge, le acque dolci fluviali, il congelamento e il disgelo che la diminuiscono La salsedine, quindi, è maggiore nei mari tropicali e sub-tropicali (caldi e scarsi di pioggia) ed è inferiore nei mari freddi. Differenze più forti si riscontrano nei mari quasi chiusi come il Mediterraneo che, avendo una ristretta comunicazione con gli oceani e una forte evaporazione, raggiunge nella parte orientale il 3.9% di salsedine, mentre l’Adriatico settentrionale è un po’ meno salato grazie all’apporto del Po’ e di altri fiumi. Altra forte salinità si trova nel Mar Rosso in cui c’è caldo, scarsità di piogge e assenza di fiumi e si arriva al 4% nella parte più interna. Al contrario, nel Mar Nero DEBORAH MEDICI 19 L’apporto di umidità all’atmosfera avviene maggiormente grazie all’evaporazione di oceani e acque continentali causata dal riscaldamento solare, ma una piccola parte si deve anche all’evaporazione del suolo umido, della traspirazione delle piante e della decomposizione dei corpi degli organismi viventi. L’evaporazione genera vapore acqueo che finisce nell’atmosfera e viene trasportato dai venti tramite nuvole. Quando le condizioni di temperatura e pressione lo permettono, il vapore acqueo precipita al suolo sottoforma di pioggia, grandine o neve. Quindi o precipita direttamente nel mare oppure nei fiumi che comunque prima o poi riversano nei mari. Si attua così un grande ciclo definito ciclo idrologico. Per quanto riguarda il deflusso delle acque, questo avviene attraverso le foci dei fiumi nelle regioni esoreiche, in laghi chiusi per i territori endoreici oppure non avviene proprio perché l’acqua evapora immediatamente come nelle zone areiche, cioè per esempio le aree desertiche prive di idrografia superficiale. LE ACQUE CONTINENTALI Le acque continentali sono di diversi tipi: acque correnti, acque lacustri, ghiacciai. Bisogna fare una piccola premessa: una frazione dell’acqua della pioggia evapora non appena raggiunge il terreno, mentre della restante, una parte penetra nel suolo e nel sottosuolo e una parte continua a scorrere sulla superficie. La quantità di acqua che si infiltra nel sottosuolo può variare a seconda della natura e della disposizione delle rocce che hanno differenti permeabilità. Se l’acqua penetra all’interno di una roccia permeabile e con dei fori e si scontra poi con una roccia impermeabile allora forma una falda d’acqua che, per effetto della gravità, inizia a scorrere fino a quando ricomparirà esternamente alla periferia della massa rocciosa permeabile formando le sorgenti. Con acque correnti si intende torrenti, ruscelli e fiumi. Come detto, l’acqua scorre sempre da un luogo alto a uno basso grazie alla gravità, formando un corso d’acqua che, se incontra una controtendenza può accumularsi dando vita a laghi, stagni e paludi. Non sempre è facile determinare l’origine di un fiume, le origini più palesi sono quelle in prossimità dei ghiacciai e delle sorgenti. Quando l’acqua sgorga dalla sua origine, scende verso il basso quasi come un velo, dando vita ai ruscelli, che poi si riuniscono alla base del pendio formando un solco che crea un torrente, il quale poi diventa un fiume. Dall’unione di più corsi si forma una corrente più forte e i fiumi che ci finiscono dentro vengono detti affluenti o tributari. Il solco di scorrimento è detto letto o alveo e se ne può distinguere uno di piena e uno di magra quando questo non è bagnato dalla stessa quantità di acque durante l’anno. La terminazione di un fiume è detta foce e può essere: in mare e lago, in altri fiumi nei casi di tributari, oppure addirittura può non essere una foce vera e propria. Si tratta ad esempio nel caso delle regioni aride in cui i corsi d’acqua cessano di esistere perché si inaridiscono in un punto non sempre fisso. Tutta la superficie che convoglia le acque piovane in un determinato fiume è detta bacino idrografico che viene delimitato da spartiacque; queste sono visibili in montagna grazie ai crinali o alle vette, mentre in pianura sono rappresentati da tratti più o meno palustri. Per quanto riguarda le caratteristiche delle acque correnti abbiamo che: DEBORAH MEDICI 20 ● La lunghezza di un fiume è la distanza tra sorgente e foce ● La pendenza è il rapporto tra il dislivello sorgente-foce e la sua lunghezza. Da notare che quando il letto di un fiume presenta dei tratti verticali con forte pendenza si verifica il fenomeno delle cascate, se il letto è semplicemente irregolare si dà vita alle rapide, se invece il letto presenta dei piccoli gradini abbiamo le cataratte. ● La velocità, determinata dalla forza di gravità, dipende in gran parte dalla pendenza e varia con essa. Influiscono però sulla velocità anche la profondità e la rugosità del letto, dipendente a sua volta dalla natura delle rocce. ● La portata è la quantità d’acqua che passa attraverso una sezione trasversale del fiume nell’unità di tempo ed è espressa in metri cubi al secondo. La portata dipende dall’ampiezza delle sezioni trasversali dei fiumi, dalla quantità e intensità delle precipitazioni e può variare sensibilmente nel corso dell’anno e nei diversi luoghi. Inoltre, poiché i corsi d’acqua trasportano anche materiale solido, cioè detriti, è utile conoscere anche la portata solida di un corso d’acqua. ● La variazione di portata stagionale/mensile/etc. è definita regime. Quando l’acqua incontra delle controtendenze ristagna e si accumula dando origine alle acque lacustri che possono essere stagni, laghi o paludi. L’estensione di uno spazio lacustre può essere molto variabile, ad esempio il Mar Caspio è il lago più grande del mondo e il suo nome non si deve né alla vastità né alla salinità, è un’usanza del passato. Insieme al lago d’Aral si tratta di un residuo dell’antico Mare Sarmatico. ● Un lago può essere alimentato sia dalle precipitazioni che da altri fiumi detti immissari. L’acqua che si aggiunge viene in parte smaltita per evaporazione e in parte scaricata per mezzo di fiumi di uscita detti emissari. Si definisce così un equilibrio che mantiene il livello del lago stabile e se c’è un innalzamento causato da piogge abbondanti concentrate in un breve periodo, questo è temporaneo. Ci sono anche laghi chiusi e sono quei laghi sprovvisti di emissario. Hanno solitamente acque salate al contrario di quelli aperti perché i sali portati dagli immissari non vengono più portati via e l’acqua subisce solo evaporazione (Mar Morto). Per quanto riguarda l’origine dei laghi, questa può essere dovuta a forze endogene o esogene. Le forze endogene sono quei moti che avvengono all’interno della crosta terrestre e danno vita a laghi vulcanici e tettonici (di solito i più grandi al mondo). Le forse esogene sono manifestazioni dinamiche tipiche dell’aria e dell’acqua che vanno ad erodere o accumulare materiale tanto da creare delle conche dove l’acqua si va a depositare creando dei laghi. Questi laghi possono essere di origine glaciale, costiera, oppure laghi di sbarramento delle valli che si creano a causa di alluvioni (detriti deposti), frane (di vita breve), morena (connessi al ghiacciaio e ai detriti che esso porta nella sua discesa), artificiali. I laghi hanno un’esistenza più o meno lunga, alcuni durano pochi anni come quelli di sbarramento, mentre l’estensione può avvenire per interrimento, cioè per accumulo dei detriti portati dalle acque, oppure per erosione con lo sprofondamento del letto dell’emissario fino al livello di fondo. ● Gli stagni sono specchi d’acqua piccoli caratterizzati da una forte vegetazione ● Le paludi hanno uno specchio d’acqua melmoso con piante che lo invadono quasi del tutto DEBORAH MEDICI 21 Sulla terra è presente la criosfera, cioè l’insieme dell’acqua allo stato solido, ovvero sottoforma di ghiaccio marino o continentale, e di coltre nevosa. Con l’aumentare dell’altitudine, la temperatura diminuisce e le precipitazioni cominciano ad avere perlopiù carattere nevoso. Si arriva pian piano a un limite chiamato limite delle nevi persistenti oltre il quale la neve permane anche nelle stagioni più calde. Strato dopo strato iniziano a verificarsi dei processi di trasformazione che prendono il nome di metamorfismo che portano alla formazione di ghiaccio cristallino. Quando questo ghiaccio raggiunge uno spessore particolarmente consistente si comporta come se fosse costituito da materiale plastico ed è soggetto a un lento scorrimento espandendosi su una zona orizzontale oppure scivolando verso il basso per forza di gravità. Si formano così i ghiacciai che possono essere divisi in due categorie: di montagna, di solito lunghi e stretti, che occupano valli preesistenti, o continentali che si estendono su superfici ampie e sono sommersi da coltri molto spesse. Se il fondo roccioso è irregolare si generano tensioni che producono fratture sulla superficie del ghiaccio, i crepacci e quando quelli trasversali e longitudinali si incrociano si formano i seracchi, cioè blocchi e pinnacoli isolati. La parte più alta, al di sopra del limite delle nevi, è la zona di accumulo o di alimentazione. Qui si trova il bacino collettore del ghiacciaio. Nei ghiacciai di montagna la parte superiore è costituita dal circo glaciale, mentre quella inferiore, chiamata lingua del ghiacciaio, è lunga e ristretta e si può spingere al di sotto del limite delle nevi. Al di sotto del limite delle nevi avviene l’ablazione, con il cui termine si intende sia la fusione del ghiaccio che si trasforma in acqua, sia l’evaporazione. Nei ghiacciai polari dove questi processi di ablazione non si attivano a causa delle basse temperature costanti, la perdita di ghiaccio avviene per il distacco di blocchi (iceberg) dalla parte terminale (calving). I ghiacciai possono assumere diversa forma dipendenti dalla loro estensione, dalla configurazione del suolo su cui si trovano. Si distinguono cinque tipi di ghiacciai: ● Alpini di primo ordine: è proprio delle montagne sezionate da valli profonde. Hanno bacini collettori molto ampi, contenuti in uno o più circhi (incavi della montagna sottostanti la cresta) e può avere una lingua che spesso può unirsi a quella di altri ghiacciai formandone uno più grande, in questo caso la varietà di ghiaccio è detta Himalaiano. ● Alpini di secondo ordine: sono ghiacciai più piccoli e le loro forme sono molto varie a seconda della configurazione del suolo. Si trovano in tutte le catene montuose che hanno dei ghiacciai. ● Scandinavo: è tipico della Norvegia, Islanda e Montagne Rocciose ed è caratterizzato da un altopiano situato sulla sommità su cui è presente una calotta di neve e ghiaccio dalle quali scendono delle lingue. ● Alaskiano: si può trovare nelle regioni sub-polari ed è costituito da più lingue che discendono dalla montagna e si uniscono a formare una vasta distesa di ghiaccio chiamata pedemontana. ● Polare o Inlandis: è proprio delle terre artiche (Groenlandia, Antartide) dove i grandi ghiacciai sono simili a quelli norvegesi, ma più grandi. È formato da un’immensa coltre ghiacciata che solo perifericamente si smaglia in varie lingue che, incanalate nelle valli, giungono fino al mare. DEBORAH MEDICI 24 Nel fenomeno sismico bisogna considerare sei aspetti: ● Per quanto riguarda le cause, queste risiedono nell’istantanea liberazione di energia che, attivando onde sismiche dall’ipocentro, raggiungono l’epicentro sulla superficie terrestre, propagandosi in ogni direzione come increspature su uno specchio d’acqua. Le onde sismiche si diffondono poi a differenti velocità, a seconda della natura delle rocce che attraversano, diminuendo la loro energia man mano che si allontanano dall’epicentro. Queste cause non sono dovute solo ai movimenti tettonici, ma anche a variazioni all’interno dei sistemi vulcanici come un cambio di temperatura o pressione. ● Per quanto riguarda la misurazione, la forza dei terremoti viene misurata solitamente con la Scala Mercalli che classifica il terremoto secondo 12 gradi di intensità basati sugli effetti prodotti nel territorio a danno di persone e cose. Un’altra misurazione è quella che prende in considerazione la magnitudo, cioè l’energia meccanica prodotta e registrata dai sismografi secondo una scala chiamata Richter, dal suo ideatore, che si basa sull’ampiezza del segnale registrato su un sismografo standard con una determinata amplificazione. ● Per quanto riguarda gli effetti di un terremoto, questi dipendono dalla potenza e dalla durata delle onde sismiche nonché dalla natura del terreno e la struttura degli edifici che subiscono i danni. Negli edifici realizzati secondo norme antisismiche provocano danni ridotto, cosa che non si può dire per costruzioni vecchie o in cattivo stato di conservazione, oppure nuove in cui non sono state rispettate le norme antisismiche. Inoltre, nel conteggio finale dei danni, ha un certo peso anche il grado di addestramento delle persone del luogo. ● Per quanto riguarda la distribuzione geografica, questa segue la dinamica della crosta terrestre, in particolare le dorsali oceaniche, le fosse abissali e le catene montuose di recente formazione. In generale lungo i margini caldi della crosta terrestre in cui le forze che tendono a comprimere e distendere porzioni della crosta terrestre accumulano energia finché non viene liberata per ristabilire un equilibrio tra i blocchi. ● Per quanto riguarda la previsione, questa ad oggi non è possibile. Ciò che è possibile fare però è incrociare dati statistici ed evidenziare quali sono le zone a maggior rischio sismico. L’Italia, ad esempio, presenta un rischio sismico medio-alto ad eccezione della Sardegna e di poche altre aree. ● Infine, per la prevenzione, è interessante la politica del governo giapponese che ha evidenziato sei punti focali per la prevenzione e l’organizzazione contro i terremoti che prevendono innanzitutto la realizzazione di edifici antisismici e l’educazione della popolazione tramite materiale informativo, cartellonista per percorsi di sicurezza, piani di evacuazione post-sisma, kit di sopravvivenza in uffici e case, esercitazioni cicliche antisismiche. I brandismi sono un esempio particolare di sismi. Si tratta di terremoti che hanno un ipocentro sotto un fondo oceanico che può venire sollevato o abbassato dal movimento locale della crosta. Non ha effetto solo nel mare, ma ovviamente sulle coste è più evidente il fenomeno perché abbiamo il livello del mare come riferimento. Ovviamente questo fenomeno può avere un effetto poco evidente, oppure posso causare delle onde che crescono fino a diventare dei veri e propri tsunami. Questi anche possono essere causati da varie cose: moti tettonici, fenomeni vulcanici, frane, esplosioni o caduta di meteoriti in mare. DEBORAH MEDICI 25 VULCANISMO Il vulcanismo consiste essenzialmente nella fuoriuscita di materiali rocciosi allo stato fluido ricchi di gas (magmi) che possono accumularsi in serbatoi superficiali (camere magmatiche) oppure giungere direttamente in superficie dando luogo a eruzioni nell’atmosfera o nell’idrosfera. La generazione e la fuoriuscita del magma sono legati all’ambiente geodinamico (zone di subduzione, espansione, punti caldi) e sono controllate da fattori quali la viscosità, il volume, la profondità del punto di origine dei magmi, la temperatura e la tipologia delle rocce attraversate. Con il termine vulcano si intende un’apertura della crosta terrestre che trova corrispondenza in un rilievo formatosi dal raffreddamento del materiale emesso durante le eruzioni. Possono essere di tre tipi: ● Attivi: vulcani con eruzioni frequenti alternati a periodi di riposo, come l’Etna ● Quiescenti: vulcani che per molto tempo hanno avuto manifestazioni minori, come il Vesuvio ● Spenti: vulcani che non hanno più manifestazioni Per quanto riguarda la forma del vulcano, se ne distinguono due: ● Vulcani a scudo: hanno una forma appiattita a causa della grande fluidità della lava e della scarsa attività esplosiva. ● Vulcani-strato: hanno una forma conica a causa della sovrapposizione di colate laviche molto viscose e prodotti di attività esplosiva. I magmi risalgono comunque fino al cratere lungo delle fratture, creando dei condotti o camini vulcanici. Arrivato in superficie può assumere un comportamento: ● Effusivo: quando il magma risalendo perde i gas contenuti; quindi, fuoriesce in maniera tranquilla sottoforma di lava, che scorre lentamente sul pendio perché tipicamente di natura vischiosa. È tipico delle aperture a cratere (vulcani centrali) e delle profonde spaccature all’interno della Terra (vulcani lineari). ● Esplosivo: si verifica quando nella sua risalita il magma conserva al suo interno il gas e giunge in superficie con una forte pressione che provoca la frammentazione e l’esplosione del liquido. A seconda della dimensione dei frammenti è possibile distinguere blocchi, lapilli e ceneri. In questo caso, alcuni dei materiali emessi sono sostanze fini che vengono trasportate dal vento e si depositano a lunghe distanze (tufi vulcanici) oppure rimangono sospese nell’atmosfera per settimane (ceneri). Se in aria vengono lanciati pezzi di magma allo stato fluido, questo può prendere una forma affusolata (bombe vulcaniche). ● Nube ardente: durante le eruzioni esplosive si forma sopra al vulcano una colonna di gas formata da ceneri e pomici che può salire nell’atmosfera oppure, se non riesce, può collassare al suolo dando luogo allo scorrimento lungo i fianchi di miscele ad alta temperatura di gas, ceneri e pomici che viaggiano a velocità altissima e producono effetti devastanti. DEBORAH MEDICI 26 ● Colata di fango: se perdipiù i detriti vengono imbevuti d’acqua a causa di nubifragi o tifoni, si incanalano lungo i fianchi ancora più velocemente e portano con loro tutto ciò che trovano. È possibile classificare i vulcani in base al tipo di eruzione: ● Hawaiane effusive: eruzioni con lave fluide povere di gas e relativamente veloci per lo standard, ma non così tanto da essere letali. Sono tipiche di Hawaii e Islanda. ● Stromboliane: lava più viscosa, si alternano piccole esplosioni, colate di lava ed esplosioni di maggiore volenza. Sono tipiche del vulcano Stromboli, nelle isole Eolie e Lipari. ● Vulcaniane: sono generalmente esplosive a causa dell’interazione fra l’acqua di falda e il magma. Tipico del vulcano Vulcano, nelle isole Lipari. ● Pliniane o Vesuviane: ha un’intensa attività esplosiva e genera grandi quantità di ceneri e pomici con conseguente generazione di flussi piroclastici. Durante queste eruzioni il cratere può collassare formando una depressione detta caldera nella quale può generarsi un nuovo cono. ● Peléeano: ha un magma molto vischioso che tende a creare un tappo lungo il camino, ostruendolo. Si ha quindi un’esplosione con materiali semisolidi, ingenti emissioni di gas e vapori densi ad altissima temperatura che scorrono sui fianchi del vulcano. Per quanto riguarda la disposizione, la maggior parte dei vulcani sulle terre emerse e lungo i fondali oceanici seguono una distribuzione in allineamenti, mentre solo una piccola parte si trovano sparsi. Troviamo quindi: ● Allineamenti lungo le dorsali oceaniche: i fenomeni vulcanici sono qui più frequenti e contribuiscono in modo rilevante alla creazione di nuova crosta terrestre. ● Allineamenti lungo i margini continentali, fosse abissali o catene di isole: qui troviamo grandi vulcani che sono quasi tutti lungo i margini dell’Oceano Pacifico a costituire la cosiddetta cintura di fuoco. ● Vulcanismo in aree isolate Del vulcanismo possiamo però individuare delle opportunità per l’uomo. Nelle aree vulcaniche si verificano infatti degli eventi derivanti da queste attività, quali: ● Fumarole e solfatare: sorgenti di acqua calda e vapore misti a gas ricchi di zolfo ● Soffioni: sorgenti di vapore acqueo caldissimo e a fortissima pressione ● Geyser: emissioni di acqua calda zampillante a intermittenza ● Acque idrotermali ● Risorse: ricavabili dalle estrazioni dei minerali come tufi, pozzolane, porfidi, etc. Anche i rischi sono molti, ma per fortuna al contrario dei terremoti i vulcani sono localizzati e permettono di fare degli studi analitici caso per caso e di predisporre piani di evacuazione delle popolazioni in caso di necessità. DEBORAH MEDICI 29 Esempi di questa erosione sono: ● Calanchi: sono tipiche forme cave presenti in terreni di natura argillosa. Si possono notare dei sistemi di solchi di erosione e vallecole dai versanti ripidi divisi da creste acute, prodotti dalle acque (Umbria, Toscana, Emilia- Romagna). ● Piramidi di terra (o camini delle fate): sono delle guglie o torri di varia altezza le quali, protette da blocchi di roccia più compatta e resistente, s’innalzano rispetto a zone scoperte, maggiormente soggette ai processi di erosione (Trento e Bolzano). EROSIONE FLUVIALE Nei versanti, in cui i piani non sono inclinati perfettamente, le acque si raccolgono lungo linee di massima pendenza e si passa dal modellamento areale (cioè il dilavamento) al ruscellamento. Infatti, se la roccia pone scarsa resistenza, in breve si vanno a formare dei solchi più o meno profondi e ravvicinati che vanno a formare una linea di impluvio che poi può trasformarsi in un alveo e quindi a un vero e proprio fiume. Il letto di questo fiume subisce poi una continua erosione sul fondo fino a quando la pendenza è tale da averlo fatto diventare un ramo di iperbole e quindi si ferma. Il modellamento della superficie terrestre modellato dai corsi d’acqua si deve ai processi di erosione (rimozione di materiale dal fondo e dalle sponde), trasporto (movimento di materiali per trascinamento, sospensione e soluzione) e deposito (accumulo di materiale). Procedendo da monte a valle la pendenza del fiume diminuisce progressivamente. Più rallenta, più non è in grado di trasportare il materiale solido trascinato fino a quel momento che viene quindi gradualmente abbandonato. Si formano in questo modo dei depositi alluvionali o delle vere e proprie pianure alluvionali. Quando un corso d’acqua sbocca in modo brusco in un tratto piano, l’accumulo immediato di materiale dà origine a un conoide di deiezione, di forma triangolare, con l’apice verso il monte e la base a ventaglio. Di solito in queste zone è facile trovare ampie zone coltivate. In questi tratti di pianura, si formano inoltre dei meandri. Si tratta di deviazioni di un fiume che va a formare delle anse con angolature abbastanza brusche che si accentuano con il passare del tempo a causa dell’erosione lungo le sponde esterne e accumulo invece in quelle interne. Quando poi lo spazio tra un’ansa e l’altra, detta collo del meandro, diventa DEBORAH MEDICI 30 troppo stretta, il fiume straborda, causando una piena, e va a tagliare fuori il meandro ricongiungendosi direttamente al ramo principale del fiume. In questo modo si ha un ramo morto, cioè una specie di vicolo ceco del fiume che è all’inizio un lago, poi un meandro fossile quando si asciuga. Esistono anche meandri incassati in profondi canyon o gole, dette anche valli a V, costituite da due aste inclinate che si riuniscono nell’alveo, come ad esempio il Gran Canyon dovuto all’erosione del fiume Colorado, in Arizona. Nota: dilavamento e ruscellamento sono azioni erosive che vanno a modificare nel corso del tempo anche i versanti. Quelli formati da rocce dure si fanno più ripidi, quelli formati da rocce morbide si fanno più dolci. EROSIONE GLACIALE L’azione di modellamento che i ghiacciai compiono sulla superficie terrestre si basa, come altri agenti esogeni, su tre punti: erosione (che in questo caso viene distinta in esarazione ed estrazione), trasporto e deposito. L’esarazione è l’erosione meccanica che il fondo del ghiacciano opera sulle rocce su cui scivola. Può avvenire in maniera indiretta, quando si ha lo sfregamento ad opera dei detriti inglobati nel ghiaccio sulle pareti e sul letto roccioso, oppure in maniera diretta c’è uno sradicamento di materiale sul fondo, che viene cavato, frantumato e rimosso (in questo caso più che di esarazione si parla di estrazione). Le due principali forme create dall’azione erosiva dei ghiacciai sono il circo e la valle glaciale. I circhi sono delle cavità semicircolari più o meno ampie. Hanno di solito una forma a ferro di cavallo oppure assomigliano a delle poltrone con braccioli, sovrastate su tre lati da pareti rocciosi piuttosto ripide. Più circhi possono entrare in contatto formando circhi composti e sul fondo possono ospitare dei piccoli laghi. La valle glaciale è invece un lungo incavo, con un fondo ampio e piatto e pareti laterali assai ripide (hanno la forma di una lettera U maiuscola), prodotto dal movimento verso il basso della lingua glaciale. Un’altra forma tipica sono i mammelloni o rocce montonate, che sono delle rocce che hanno la sembianza di groppe di gregge dentro le quali possono crearsi delle concavità in cui si deposita l’acqua e vanno a formarsi piccoli laghi. L’erosione glaciale, a differenza di quella fluviale, non è riferita un livello di base, può quindi scendere sotto il livello del mare. In questo caso si parla di cripto depressione. Il materiale detritico trascinato dal ghiacciaio, proveniente dai versanti e dal fondo, prende il nome di morena. Queste possono essere di vario tipo: di fondo, interne o di superficie. Le morene di superficie si sviluppano ai lati del ghiacciaio (morene laterali) e quando si vanno a unire in una morena mediana. Nella parte terminale del ghiacciaio si deposita un cordone morenico frontale che ha una forma arcuata. Quando sopra a questo se ne depositano altre, si va a creare un anfiteatro morenico. PERIGLACIALI Si trovano in una zona più periferica dei ghiacciai e danno vita a particolari forme. DEBORAH MEDICI 31 Le due forme più caratteristiche sono i cuscinetti d’erba specialmente sui pendii e i suoli poligonali su terreno pianeggiante. Questi fenomeni si riscontrano anche in montagna ad elevazioni prossime al limite delle nevi e sono riscontrabili sia nelle Alpi che negli Appennini. CICLO DI EROSIONE DI DAVIS William Morris Davis è uno geografo americano considerato il padre della geografia americana. Si è occupato in modo particolare delle forme che prendono vita dal ciclo di erosione delle acque correnti. Nel 1884 formulò una teoria di erosione che identifica diversi stadi di evoluzione delle erosioni e viene definita ciclica in quanto lo stadio iniziale e quello finale coincidono. Il fattore di innesco del ciclo è individuato in un innalzamento tettonico regionale, cui segue l’azione di smantellamento erosivo operato dagli agenti esogeni in condizioni di assenza di attività tettonica, fino a tornare ad uno stadio dominato da una morfologia pianeggiante. Dopo l’innesco, possiamo individuare tre stadi: ● Stadio di giovinezza: la regione presa in analisi si trova al massimo del sollevamento tettonico. Qui l’erosione delle acque comincia a scavare le nuove valli che risultano strette e profonde. ● Stadio di maturità: le acque hanno creato un complesso reticolato e l’approfondimento delle valli è giunto al massimo. ● Stadio di vecchiaia: in questo stadio troviamo rilievi bassi e valli larghe, con fianchi poco inclinati e caratterizzate da lente forme di degradazione. L’erosione inizia a spianare le superfici fino a ritornare a una situazione pianeggiante (penepiano). La condizione di assenza di attività tettonica equivale a considerare costante nel tempo il livello di base, e ciò rappresenta il limite più forte dell’intera teoria (inoltre dà per scontato l’esistenza di un piano inclinato e un clima umido, altre cose che limitano questa teoria). MORFOGRAFIA Vediamo una serie di definizioni. ● Differenza tra monte (rilievo di circa 100m), montagna (oltre 600m) e collina (minore di 600m). ● Catena montuosa: descrive un rilievo montuoso collineare allungato oppure un complesso di catene. ● Massiccio: un complesso di monti accentrati attorno a un nucleo. Il suo sinonimo è gruppo. ● Valli: forme cave allungate racchiuse tra due pendii di monti/colline. I fianchi delle valli vengono chiamati versanti (che diventa parete se la pendenza è oltre 45° e il terreno è roccioso) mentre il suo fondo è detto fondovalle. Qui si concentrano le acque con l’impluvio. DEBORAH MEDICI 34 e valore alla superficie terrestre. Attribuire il nome a un luogo permette al luogo stesso di smettere di essere una realtà esterna al soggetto e di diventare parte della sfera intellettuale dell’individuo. Il controllo intellettuale ha cominciato ad essere espresso con la scrittura nel III millennio a.C. e nel corso del tempo si è evoluto sempre di più fino a giungere a strumenti contemporanei, quali quelli a base virtuale. Questo controllo si è sempre basato su processi di simbolizzazione, cioè attribuire segni ai singoli luoghi dandogli un senso culturale. ● Controllo materiale che consiste nell’abitare la terra, nello sfruttare le risorse dando vita a processi in cui l’uomo plasma la terra e non più solo con la forza del suo pensiero, ma con l’abilità della mano. Alla simbolizzazione segue dunque la reificazione, cioè la trasformazione della realtà materiale. In questo modo il processo iniziato nella sfera semiotica, quindi attraverso la denominazione, si trasferisce in quella ontologica dando luogo all’intervento fisico. ● Controllo strutturale si esercita attraverso la suddivisione del territorio in porzioni, ognuna delle quali ha un profilo funzionale, è caratterizzata cioè da determinate forme di utilizzo della superficie terrestre e delle sue risorse. Queste porzioni sono soggette a un determinato regime normativo e all’autorità di determinati soggetti decisionali. Quindi funzioni, confini, diritto e apparato decisionale costituiscono un complesso di fattori e condizioni attraverso i quali la superficie terrestre è coinvolta in strategie, da quelle più puntuali e previste dai piani urbanistici delle singole parti di una città a quelle di più ampio respiro determinate dalla politica infrastrutturale di un determinato paese. DEBORAH MEDICI 35 TERRITORIO E PAESAGGIO Dalle differenti modalità di territorializzazione derivano diverse manifestazioni territoriali e paesaggi. Si definisce territorio l’insieme dei fenomeni materiali e immateriali (si pensi al controllo intellettuale) di natura dinamica (la struttura territoriale si evolve nel corso del tempo rispetto a determinati obiettivi sociali che vanno a cambiare) nati dall’azione sociale sull’ambiente. Ogni territorio ha un particolare paesaggio, inteso come i diversi “volti” che il territorio assume nel tempo e che rispecchiano i fini culturali ed economici che una comunità si è prefissata di volta in volta di raggiungere per soddisfare le proprie necessità sociali. Quindi il paesaggio è una totalità di volti tangibile e percettiva della sedimentazione di eventi del passato e di quelli generati nel presente. La struttura territoriale, quindi il territorio e il suo paesaggio, è stata studiata nella storia del pensiero geografico rispetto a due diverse impostazioni: ● Razionalista: guarda al territorio e studia il territorio come un campo funzionale, connettivo e sistemico in virtù della capacità relazionale dei suoi elementi interni che, se ben organizzati, danno vita a una struttura spaziale autonoma in grado di misurarsi con l’intorno globale. ● Umanistica: si sviluppa negli anni 70 del ‘900 e studia il territorio come un insieme di luoghi ai quali un gruppo umano attribuisce un determinato valore esistenziale. Una delle differenze principali tra le due grammatiche è il modo in cui guardano alla territorializzazione. Quella umanistica è sensibile al senso che acquistano i luoghi nella sfera intellettuale e spirituale del soggetto, mentre quella razionalista guarda alla territorializzazione come frutto di procedimenti razionali dell’individuo; quindi, considera la realtà come un oggetto indagabile e scomponibile. DEBORAH MEDICI 36 CORRENTI DI PENSIERO Il compito della geografia, così come di tutte le scienze, era quella di produrre delle leggi generalizzanti che andassero a spiegare i meccanismi causalistici che sembravano determinare la meccanica naturale attraverso un’indagine che era indirizzata dai principi cartesiani. Secondo Cartesio (1596-1650), questi precetti erano: ● Precetto di evidenza: ogni oggetto è vero soltanto se appare evidente come tale. Del territorio vengono studiati solo elementi materiali, visibili, che appaiono in chiara evidenza e che possono essere oggetto di conoscenza oggettiva. ● Precetto di riduzionismo: le difficoltà vanno scomposte in tante parti, affinché si raggiunga più facilmente la soluzione del problema. Il territorio è scomposto nelle sue parti (geomorfologia, idrografia, insediamenti, etc.) e ogni parte è rappresentata in sé avendo cura di non omettere niente. ● Precetto di causalismo: la conoscenza deve partire dagli oggetti più semplici e risalire a quelli più complicati supponendo che vi sia un ordine logico anche tra quelli che non si dispongono in sequenze naturali. Di conseguenza anche la descrizione geografica parte da componenti elementari per arrivare alle più estese. Gli elementi devono essere disposti in modo che sia chiaro il rapporto di causalità che li lega. La descrizione diventa quindi un processo analitico. ● Precetto di esaustività: bisogna fare censimenti così completi e rassegne così generali da essere sicuri di non aver tralasciato niente. Devono essere fatti dei riepiloghi in cui gli elementi considerati nelle singole descrizioni sono incorporati in una descrizione d’insieme. Da questo si capisce e si deduce quanto i precetti cartesiani siano importanti per quella che in geografia viene definita grammatica razionalista, chiamata grammatica perché attraverso questa prospettiva si ha una lettura del territorio e una sua rappresentazione prodotte da un impianto logico in cui la realtà territoriale è costituita da elementi legati da relazioni causali che creano una tessitura e quindi delle strutture costituita dagli elementi e dalle relazioni da cui sono connessi. Le correnti di pensiero che saranno fortemente influenzate da questa grammatica razionalista sono il determinismo, il possibilismo, il funzionalismo e la geografia sistemica. DETERMINISMO La geografia umana inizia il suo cammino alla fine del ‘700 quando i geografi si resero conto che lo sviluppo della cartografia aveva risposto alla domanda che da sempre si ponevano, cioè “dove” fossero i luoghi. Iniziarono quindi a porsi una nuova domanda, il “perché” una determinata comunità si stanziasse in un certo punto della superficie terrestre e perché quello stanziamento prendesse delle caratteristiche così particolari da essere differente da un altro tipo di stanziamento. Nei primi decenni dell’800, mentre i paesi europei più avanzati si preparavano ai cambiamenti socioeconomici derivati dalla prima rivoluzione industriale, Carl Ritter (geografo) sottolineò l’inadeguatezza del considerare il fine ultimo della DEBORAH MEDICI 39 ● L’uomo può scegliere quindi rispetto alle caratteristiche dell’ambiente fisico, il modello di stanziamento adatto alla sua particolare cultura e al grado tecnologico raggiunto. ● La comunità va ad agire sul substrato fisico trasformandolo in quella che viene definita regione umanizzata (o organizzata) originale tanto nell’aspetto quanto nell’organizzazione per mezzo di un’azione culturale capace di dar vita a un particolare genere di vita a ad un unicum paesaggistico irripetibile. Un altro dei massimi esponenti del possibilismo, capace di continuare ad alimentare la riflessione su queste tematiche anche in un tempo in cui il rapporto uomo-ambiente era stato messo da parte dall’indagine geografica di tipo funzionalista, fu Max Sorre che nel 1961 dedicò uno studio ai tre elementi che costituivano la base concettuale del possibilismo, esponendo nella sua opera “L’uomo sulla terra” un modello valido ancora oggi in cui evidenziava: ● Ambiente: generatore di opportunità e vincoli ● Comunità umana: che esprime culture e tecnologie ● Territorio organizzato: formato dalle prime due e che contiene quindi il territorio insediato (aree in cui troviamo le residenze, manifatture, servizi), utilizzato (formato dall’insediato, più le aree di sfruttamento delle risorse ambientali) e relazionale (aree attraversate da flussi di persone, beni, energie, informazioni e in cui la comunità instaura relazioni con l’esterno) Per quanto riguarda le criticità del possibilismo, si noti che: ● Il possibilismo, come corrente di pensiero geografico, non riuscì mai pienamente a produrre un’analisi territoriale capace di approfondire il rapporto esistente tra comportamento umano e ambiente come, del resto, l’applicazione pratica dei suoi presupposti non furono, se non in rari casi, confacenti alla reale potenzialità che l’ottica di indagine possibilista portava in sé. ● Le monografie regionali prodotte dall’indagine possibilista, furono per lo più descrizione di luoghi nelle quali il concetto di evoluzione era ridotto al proponimento di una cronaca storica, e l’analisi del rapporto uomo- ambiente era relegata al puro descrittivismo insediativo, da qui la denominazione di “scienza dei luoghi”, in quanto si privilegiava un’indagine su territori circoscritti. In realtà il primo a usare quel nome fu de la Blanche e non in modo negativo. Voleva sottolineare che, anche se questa corrente di pensiero fondava la sua analisi su come il comportamento umano andasse a modificare l’ambiente, in realtà non voleva essere una scienza storica, ma una scienza dei luoghi, quindi geografica. ● Questa circostanza impedì di addentrarsi nel rapporto uomo-ambiente finalizzando l’indagine sui reali effetti che il comportamento umana stava provocando ad aree sempre più estese della superficie terrestre ● Atteggiamento analitico di stampo cartesiano questo, che riproponeva l’esigenza riduzionista di scomporre la realtà oggettiva, per giungere poi ad una conoscenza esaustiva che però non permise l’approfondimento del rapporto uomo-ambiente e dei danni che il comportamento dell’uomo stava già da allora creando sull’ambiente. DEBORAH MEDICI 40 I concetti importanti a cui diede forma il possibilismo furono quelli di paesaggio e di regione umanizzata che rappresentano i concetti cardini dell’analisi geografica. ● Determinismo: il concetto di paesaggio venne introdotto da Ritter con l’identificazione degli “individui geografici” con cui si differenziavano le varie aree terrestri rispetto ai diversi caratteri naturali e fisici. In seguito, continuò a essere identificato come paesaggio naturale caratterizzato da una geomorfologia sezionata per elementi omogenei. Quindi era una concezione oggettivista e fisicalista che guardava al paesaggio nella sua struttura naturale (pensiero spinto anche dal fatto che l’Ottocento vide lo sviluppo di scienze come la geomorfologia e la geologia). ● Possibilismo: afferma che esiste un paesaggio naturale, ma lì dove l’uomo si va a stanziare il paesaggio non è più naturale, è antropizzato, ed è il risultato del rapporto tra substrato fisico, comportamento antropico e modalità di sfruttamento delle risorse naturali. Dalla congiunzione di queste cose nasce la particolarità del paesaggio, perché particolare è il processo di territorializzazione. Altro concetto è quello di regione umanizzata, cioè la porzione di superficie terrestre occupata da un certo insediamento che viene modificata in base alla cultura della comunità che lo abita. Questo gli dà un’originalità culturale che si rispecchia in una specificità organizzativa dello spazio regionale capace di costituirne una particolare somaticità. Volendo giungere a una conclusione, l’ambiente secondo la concezione possibilista viene plasmato da un genere di vita che dà forma alla regione. L’espressione più alta dell’ecologismo umanista è la regione, un territorio con una propria identità geografica e una propria personalità che lo rendono unico e irripetibile. Questa proprietà della regione diventerà un punto focale di indagine per la scienza della differenziazione spaziale che pose le basi del funzionalismo geografico, una delle correnti della storia del pensiero geografico, anche se con valenze nuove e fino allora insondate. FUNZIONALISMO Negli anni ‘30 grazie agli insegnamenti del possibilismo, si aprì una nuova prospettiva di indagine che prende il nome di scienza della differenziazione spaziale che parte dal presupposto dell’originalità del territorio per andare a sondare la differenza dell’organizzazione territoriale. Punto centrale dell’indagine di stampo razionalista e di conseguenza del funzionalismo è la città. È necessario quindi capire come il corpo urbano e le sue funzioni e struttura sono cambiate nel corso del tempo dalla prima rivoluzione industriale alla seconda. LA PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE La città industriale era una manifestazione territoriale già visibile sia durante il determinismo che durante il possibilismo, ma il limite di queste correnti di pensiero è stato quello di non sondare l’effetto che il comportamento umano stava apportando all’ambiente fisico, soprattutto in quelle grandi concentrazioni che si stavano sviluppando nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti d’America. Il XIX secolo segna di fatto l’inizio epocale di una rivoluzione, quella della DEBORAH MEDICI 41 meccanizzazione tecnologica, avviata da una nuova spinta borghese che, sorta dalle macerie del potere assolutistico dell’antico regime, proclamava l’era del liberismo. Il libero mercato fu promosso da una rinnovata capacità imprenditoriale che mosse, creò, investì capitale, alimentando la logica capitalistica basata sul consumo materiale e immateriale delle risorse. La tecnologia industriale, a questa logica correlata, ridisegnò la città che, sconvolta nella forma, si farà spazio, sgomitando l’intorno a difesa e aggressione dei confini di un’urbanità fino a quel momento ancora cristallina nella configurazione. La città inizia quindi a fagocitare forza lavoro dalle campagne divenendo magnete d’attrazione capace di modificare i disegni territoriale e la vita di chi li abitava. Dalla prima rivoluzione industriale la popolazione mondiale aumentò raggiungendo agli inizi dell’Ottocento la soglia di un miliardo con ritmi e quantità in percentuale diversa da paese a paese. Agli inizi dell’Ottocento nelle aree urbane vivevano 5 milioni di abitanti pari al 5% della popolazione mondiale. Il fenomeno dell’urbanizzazione dei centri urbani si presenterà al mondo moderno nelle sue condizioni di estrema emarginazione al limite della sopravvivenza delle classi povere ed è caratterizzato da un elevato flusso di persone che incentivate dai processi di sviluppo industriali si andranno a concentrare all’interno delle maggiori realtà urbane trasformandone la fisionomia territoriale. Le città inglesi più interessate allo sviluppo industriale subirono di conseguenza un accelerato processo di crescita demografica. Ne sono un esempio Manchester che nel 1750 era un borgo agricolo, dopo l’invenzione della macchina a vapore nel 1769, la sua applicazione nell’industria tessile e l’apertura di numerosi stabilimenti per la filatura, passò da 40mila abitanti nel 1780 a 70.000 nel 1800 e nel 1831 considerando tutta la conurbazione sia arrivo a 322.000 abitanti. Altra città è Birmingham che a fine Settecento aveva 74.000 abitanti, nel 1831 circa 376.000 e nel 1851 322.000. Londra invece passò da 864.000 abitanti circa nel 1801 a circa 1.870.000 nel 1841. La struttura urbana che si va a delineare non è diversa solo a livello di dimensione, ma anche per la qualità. Attorno al centro della città (core) si andò a delineare la prima periferia urbana. Ovunque l’industria si posiziona, nei dintorni cresceva la popolazione, la produttività, il lavoro, ma anche la miseria. Infatti, nella periferia si andavano a stanziare i ceti meno abbienti, come il proletariato, mentre i ceti più ricchi vivevano nelle zone meglio conservate e servite. Gli insediamenti borghesi seguivano un impianto urbanistico a scacchiera regolare intersecata da strade e viali dove le costruzioni imitavano i modelli della villa e dei palazzi nobiliari. Inizialmente la periferia era aderente alla linearità delle arterie ferroviarie che la collegavano ai nuclei produttivi e dove, con il passare del tempo, si andarono a costituire dei veri e propri quartieri che allargarono l’anello (ring) urbano. Inizialmente le periferie nacquero e si svilupparono in modo disordinato, dando vita ad un’ambiente urbano insalubre che necessitava di riforme radicali per fornire una migliore vivibilità ai cittadini. Il fenomeno dell’espansione suburbana ha una storia che risale al XIX secolo con manifestazioni sia nella vecchia Europa che nel nuovo continente. All’inizio l’estensione territoriale dei sobborghi e la loro dimensione demografica avevano risentito dei condizionamenti imposti dalle caratteristiche dei mezzi di trasporti, così i sobborghi legati alla ferrovia erano distanziati tra loro sorgendo in corrispondenza delle stazioni ferroviarie. La localizzazione delle fabbriche avveniva nella maggior parte dei casi vicino ai luoghi di estrazione delle materie prime. Da allora il fenomeno della conurbazione non ha mai smesso di verificarsi. DEBORAH MEDICI 44 Anche in questo caso, come per la teoria di Von Thunen, l’analisi si basa sui costi di trasporto delle materie prime e dei prodotti finiti in una fabbrica. CHRISTALLER – GERARCHIE DI CITTÀ Sia la teoria di Weber che quella di Von Thunen ci fanno capire che la città industriale andava ad assumere rispetto all’intorno e allo scambio vicendevole che legava le diverse aree, delle nuove funzioni. La città interpretava sempre di più un magnete attraente caratterizzata da forze centripete e centrifughe. L’importanza che la città industriale andava ad assumere rispetto l’intorno e lo scambio vicendevole che legava le diverse aree, fu tematica affrontata da molti studiosi sin dai primi decenni dell’Ottocento e diverranno in seguito centrali nell’indagine geografica di stampo funzionalista. Dagli anni ‘30 del Novecento appare sempre più evidente come la città stesse trasformandosi in un centro raccolta di persone e di attività di diversa tipologia, in un magnete prepotente che per il suo naturale sostentamento aveva bisogno di risorse dall'intorno, al quale offriva in cambio beni e servizi. Anche se la Geografia funzionalista approfondì queste tematiche soprattutto negli anni '50 e '60 del secolo scorso, la sua tipologia d’analisi fu anticipata negli anni '30, quando per la prima volta si parlò di “funzioni banali” per indicare quei beni e servizi offerti alla popolazione urbana, e di “funzioni specifiche e basilari” per quelli capaci di attirare popolazione anche extraurbana allargando, così, l’ambito gravitazionale e d’influenza della città sull’intorno. Ovviamente, queste ultime formavano l'apparato industriale e terziario che, assieme, costituivano la base economica urbana. Un'analisi schematica, quasi astratta che riduce la città a struttura dotata di funzioni che, evolvendosi, intrattiene relazioni con l'intorno. DEBORAH MEDICI 45 La città veniva concepita come un polo generatore di movimenti centrifughi e centripeti e attorno ad esso si estende l’intorno cioè il territorio gravitante sulla città governato dalle funzioni urbane. Al di là dell’intorno si estende invece l’ambiente esterno. I beni e le prestazioni prodotte nella città e dirette a soddisfare i bisogni della popolazione costituiscono le funzioni banali, quelli dirette alle popolazioni dell’intorno e dell’ambiente esterno sono le funzioni basilari. Tanto più sono estesi gli intorni e l’ambiente esterno e quanto più è consistente la mole di beni e servizi che la città invia loro, tanto piu è elevato il livello funzionale della città. Ovviamente le funzioni specifiche e basilari formano l’apparato industriale terziario che assieme costituiscono la base economica urbana. Inoltre, la distinzione tra funzioni banali e basilari permetteva di mettere a confronto diversi gruppi di città, anche di un solo paese e stilarne una gerarchia riferita alla base economica, ma anche alla capacità di gestire le relazioni inter-intra spazio urbano, per cui i beni e servizi prodotti dalla città possono essere ripartiti in tre gruppi in base al loro destinatario: popolazione urbana (centro città), popolazione dell’intorno o ambiente esterno. In sostanza si potrebbe immaginare un nucleo dove vive la popolazione urbana e due corone, intorno e spazi esterni. Il peso di una città non è tanto espresso da ciò che essa produce per i propri abitanti, ma dall’offerta di beni e servizi che rivolge all’esterno; infatti, è da questa offerta che traggono alimento le relazioni tra la città e l’esterno. Tanto più l’offerta è alta, tanto più le relazioni sono ampie, tanto maggiore è l’incidenza che la città esercita sulla vita della regione a cui appartiene e sulle relazioni intra-regionali. Questa distinzione tra funzioni era già presente negli anni ’30 e il modello di riferimento è senz’altro quello della teoria di Walter Christaller del 1933. Il termine località centrale esemplifica perfettamente la città e il ruolo funzionale centrale svolto in un dato spazio, ambito gravitazionale a livello regionale. La centralità data da Christaller alla città è attribuita ai beni centrali (es. trattori, macchinari vari) e ai servizi centrali (es. strutture ospedalieri specializzati). Christaller fu il primo a costruire un modello interpretativo delle funzioni terziarie capace di spiegare l’organizzazione delle reti di città rispetto ai servizi da esse prodotte. La centralità di un centro urbano è data, quindi, dal rapporto tra i servizi offerti da un dato luogo (per i residenti e per gli abitanti delle regioni complementari) e i servizi di cui, comunque, i residenti hanno bisogno. Le città dotate di elevata centralità sono in grado di fornire un alto numero di servizi al residente, mentre, viceversa, quelle caratterizzate da una bassa centralità sono in grado di offrire un basso numero di servizi alla loro popolazione interna. Christaller individua cinque ordini di regione classificate in base al rango dei servizi offerti e tanto più è estesa l’area, tanto è più è estesa l’area di gravitazione. Secondo questa teoria la località centrale è il punto focale rispetto a una determinata gerarchia delle funzioni che vi sono insediate. Possiamo dire di un agglomerato urbano che non coincide perfettamente con la città la sua grandezza non coincide con il valore demografico. La distribuzione delle aree di mercato o regioni complementari corrisponde a una struttura a nido d’ape con il centro corrispondente al centro di un esagono. Per ogni centro di ordine superiore esiste in cascata una pluralità di centri di ordine inferiore fino al livello più basso corrispondente al villaggio di cui esiste DEBORAH MEDICI 46 un numero più elevato e in cui si producono beni di più limitata portata, cioè la distanza massima che una popolazione è disposta a percorrere per acquistare un determinato bene. In questa teoria acquistano grande importanza le regioni complementari, quelle aree servite da una località centrale per cui quelle relative ai centri superiori sono estese e si sovrappongono a quelle complementari connesse ai centri di grado inferiore. La città viene quindi descritta, modellizzata e concettualizzata e diventa un’astrazione dello spazio geografico, diventa una superficie uniforme e omogenea. In base alle funzioni urbane è possibile erigere una piramide gerarchica, avente alla base quelle banali e al vertice quelle basilari. FUNZIONALISMO Un geografo che è stato capace di sintetizzare tra il funzionalismo geografico il possibilismo, è stato Edward Ullman che nel 1954 in una sua opera affermò che il contribuito intellettuale che la geografia umana può offrire è sintetizzabile nei concetti di sito e situazione. Il sito è la condizione concreta di un luogo e di una certa area; quindi, c’è un focus sulle relazioni uomo-ambiente e si studiano le relazioni verticali (possibilismo). La situazione è costituita da ciò che un’area e i suoi fenomeni producono su un’altra area e si guardano quindi le relazioni tra aree, si parla quindi di scienza delle relazioni spaziali (funzionalismo). Nella geografia delle relazioni tra aree il rapporto uomo-ambiente viene accantonato e al concetto di territorio quale entità concreta viene sostituito quello di spazio quale entità estratta. Nasce quindi negli anni ’50 il funzionalismo e si diffuse per tutti gli anni ’60 e’70 quando cominciò ad essere fortemente criticato. Il suo studio si concentra sulla struttura territoriale e sulla relazione con altre aree. DEBORAH MEDICI 49 Santiago del Cile del 1972 che mobilitarono l’interesse mondiale nei confronti di queste problematiche e sulla necessità di un intervento che salvaguardasse l’ambiente e che porterà, alla fine degli anni ’80, a parlare del concetto di sviluppo sostenibile. PRIMA FASE DELLA GEOGRAFIA SISTEMICA In questo contesto socioeconomico e politico, presero vita tante diverse branche della geografia, a partire dagli anni ’70, a seconda delle motivazioni alla base: ● Motivazioni sociali: da queste presero vita la geografia marxista e radicale. La disciplina collegata è la sociologia. ● Motivazioni esistenziali: davano maggior importanza al soggetto più che all’oggetto e diedero vita alla geografia della percezione e umanistica. La disciplina collegata è la psicologia sociale. ● Motivazioni ecologiste: diedero vita alla geografia ecologista. La disciplina collegata è l’ecologia. ● Motivazioni logiche: si opponevano ai principi del passato e diedero vita alla geografia sistemica. Ebbe connessioni con la teoria del sistema generale che nacque e fu teorizzata nell’ambito della biologia. Tutte queste prospettive si trovano unite nel contrastare la metodologia e i principi su cui si era fondato il funzionalismo e l’analisi spaziale. Andarono infatti contro l’emarginazione del rapporto uomo-ambiente e al modo in cui il funzionalismo aveva tolto la concretezza dello studio del territorio per studiare il territorio come spazio, una dimensione puramente concettuale. Si opponevano alla conoscenza esaustiva dello spazio geografico e alla volontà non di descrivere le manifestazioni territoriali ma di volerle spiegare (comportamento analitico antipodico). L’analisi secondo il funzionalismo è fatta solo su fatti evidenti e solo in quanto aiutano ad approdare a spiegazioni generali dei fenomeni. Si tratta quindi di una scienza nomotetica perché si propone di approdare a leggi e principi generali. La Geografia Sistemica, basata sulla General System Theory, la quale considera il sistema una cellula infinitesimale della realtà grazie alla quale giungere allo studio delle relazioni con il contesto ambientale, si oppose al modo in cui il razionalismo si era occupato dello studio del territorio, spiegandone le manifestazioni territoriali senza però approfondire il rapporto con l’ambiente esterno. Nella prima fase della geografia sistemica viene ripreso il concetto di struttura territoriale che però viene messa in relazione con l’ambiente esterno. Questa struttura è capace di trasformarsi in base agli input che riceve dall’ambiente e in base agli obiettivi prefissi che possono variare nel corso del tempo. Vennero quindi messi in discussione i principi cartesiani e sostituiti con dei nuovi: Principio di evidenza sostituito da quello di pertinenza: la realtà non è più oggettiva e distante dall’uomo, è quella dell’osservatore. Principio di riduzionismo sostituito da quello olistico: l’oggetto viene preso nella sua totalità e non più scomposto DEBORAH MEDICI 50 Principio di causalità sostituito da quello di aggregatività: non solo risponde a principi di causa ed effetto, ma è anche il risultato di una serie di interdipendenze che portano a trasformazioni diacroniche. Principio di esaustività sostituito da quello di teleologia: è sufficiente dare attenzione ad alcuni elementi non potendo compiere un’analisi totalmente esaustiva però siano pertinenti al momento evolutivo e che interessi una determinata analisi Da questa nuova consapevolezza prende le mosse, proprio negli anni '70 del secolo scorso, la prima fase della Geografia sistemica derivata dalla General System Theory. Del funzionalismo viene conservato il concetto di struttura territoriale come un insieme di elementi interconnessi capaci di evolversi nel tempo grazie alle loro funzioni, ma approfondisce le nozioni di struttura territoriale in rapporto a un ambiente esterno e capace di trasformarsi rispetto a degli input provenienti da un’ambiente esterno e per determinate teleologie (obiettivi) che andavano a cambiare nel corso del tempo. La General System Theory considera il sistema una cellula infinitesimale della realtà grazie alla quale giungere allo studio delle relazioni con il contesto ambientale. L’indagine geografica riprende questo concetto e sviscera la nozione di sistema territoriale composto da due nuclei, società, substrato fisico legati da una serie di elementi relazionati che concorrono alla formazione di un sistema territoriale avente una strutturazione interna attraverso cui, da una parte riorganizzare gli input elargiti dall’ambiente esterno, dall’altra perseguire specifici obiettivi temporali per il soddisfacimento dei quali è pronto all'occorrenza a ridefinire e trasformare la sua organizzazione, volgendo anche alla morfogenesi della struttura stessa. SFIDA A CARTESIO Mettiamo ora a paragone le due logiche: quella cartesiana e quella sistemica. La teoria sistemica fornì una nuova visione conoscitiva che muoveva proprio dalla consapevolezza della relatività della conoscenza oggettiva della realtà. Ai principi cartesiani di evidenza, riduzionismo, esaustività e causalismo, la teoria sistemica risponde con i principi: di pertinenza, di aggregatività, olistico, teleologico. La realtà terrestre non è indagabile come un oggetto inanimato, fermo e scomponibile, ma è vista come un holon, un organismo vivente la cui essenza non rimane inalterata nel tempo. E come essere vivente la sua evoluzione nel tempo non risponde a leggi di causalità e linearità, ma ad una complessità di interdipendenze che portano a trasformazioni diacroniche rispetto a teleologie o fini evolutivi. Dovendo modellizzare questa concezione, la geografia applica la teoria sistemica utilizzando ancora l'idea di “struttura” territoriale, ma intesa sistemicamente, che composta da elementi, si organizza in gruppi interconnessi da relazioni interne ed esterne rispetto alle quali trasformare la struttura stessa secondo determinati fini e nuove teleologie. Proprio in virtù dell’opposizione al principio cartesiano di esaustività, per valutare i comportamenti della struttura territoriale sistemica, non potendo compiere un’analisi esaustiva e ridotta su tutte le interconnessioni relazionali tra gli DEBORAH MEDICI 51 elementi, è sufficiente dare attenzione all’insieme di aggregati, pertinenti all’evoluzione e trasformazione che la struttura compie in uno specifico lasso temporale per il raggiungimento di specifici obiettivi per cui: il sistema è una struttura colta nella sua parabola temporale. La realtà può essere indagata solo nella natura di alcune relazioni che la compongono e la trasformano, e mai nella sua totalità. L’analisi scientifica può decidere di concentrarsi su una serie di aggregati, di elementi, rispetto a un particolare obiettivo analitico. DEBORAH MEDICI 54 La prima cosa da fare è mettere a confronto le due grammatiche: razionalista e umanistica. Adalberto Vallega parla di grammatica per mettere in evidenza che si tratta di due modi nettamente differenziati con cui costruire il discorso geografico. Alla fine dell’Ottocento, Ratzel pose le basi epistemologiche della geografia umana su pensiero positivista. L’indirizzo che ne emerse è stato qualificato determinista in quanto era permeato sulla visione del territorio in cui la natura esercita una forza influenza sulla comunità umana. Da quel momento ha inizio il razionalismo geografico che si manifestò attraverso una serie di indirizzi quali determinismo, possibilismo, funzionalismo, geografia sistemica. Per quanto riguarda il filone della grammatica umanistica si divide in diversi indirizzi, così descritti da A. Vallega: ● Umanistico: è un filone che considera la territorializzazione come la partecipazione dei luoghi alla sfera esistenziale del soggetto. Il geografo indaga quindi l’aspetto culturale, le condizioni sociali, gli stili di vita, con l’obiettivo di rappresentare il modo in cui i luoghi sono percepiti e rientrano nella visione e nell’immaginazione sociale. ● Post-modernista: guarda alla territorializzazione attuale come il frutto della dialettica tra la modernità, dove lo spazio geografico è organizzato secondo canoni razionalisti e in base alla narrazione dello sviluppo, e post- modernità in cui lo spazio è occupato e vissuto in rapporto allo spirito degli individui. ● Semiotico: guarda alla territorializzazione come un processo che ha radici nella simbolizzazione dei luoghi. Il geografo indaga la cultura della comunità e la storia dei luoghi che poi diventa la materializzazione del valore simbolico che al territorio la comunità ha dato nel corso del tempo. ● Spiritualista: guarda alla territorializzazione come il frutto dell’incontro tra natura e spirito umano che si esprime attraverso l’insorgere di emozioni dalle quali scaturiscono immaginazione e idealità. Una delle differenze principali tra le due grammatiche è il modo in cui guardano alla territorializzazione. Quella umanistica è sensibile al senso che acquistano i luoghi nella sfera intellettuale e spirituale del soggetto, mentre quella razionalista guarda alla territorializzazione come frutto di procedimenti razionali dell’individuo; quindi, considera la realtà come un oggetto indagabile e scomponibile. STORIA La prospettiva umanistica ha radici in alcuni geografi tedeschi dell’Ottocento, che hanno risentito delle influenze e delle suggestioni del romanticismo e dello spiritualismo. Poi, nella prima metà del Novecento, il geografo statunitense Carl Sauer diede un grande contributo grazie ai suoi studi sulla geografia culturale, in particolare studiò il peso dell’azione umana soprattutto culturale nella modificazione della superficie terrestre e la costruzione di nuovi paesaggi. Altro contributo venne dal pensiero post-strutturalista francese in opposizione allo strutturalismo (movimento sviluppatosi a partire dagli anni ’60). Nella seconda metà del Novecento ci fu il contributo dell’indirizzo spiritualista di Herbert Lehmann, in particolare per le sue impostazioni relative allo studio del paesaggio. In questo indirizzo ricadono anche gli studi della geofilosofia che considerano il territorio come un’area che produce sollecitazione sulla sfera individuale DEBORAH MEDICI 55 dell’individuo e della comunità. Ma è dalla fine anni ’70 del Novecento che questa prospettiva inizia a manifestare una precisa linea analitica con Yi-Fu Tuan, che indagò su come la territorializzazione condizioni la sfera esistenziale e intellettuale del soggetto, coinvolto in un rapporto simbiotico con il territorio. Nel concetto di topofilia (amore per i luoghi) l’uomo esprime il sentimento emotivo del soggetto coinvolto in un rapporto simbiotico con il territorio. Un oggetto geometricamente vicino può essere considerato emotivamente lontano, quindi non bisogna prendere in esame la sola localizzazione, ma anche il valore emotivo e i significati che gli vengono attribuiti dall’uomo. Questo per arrivare a dire che, per Yi-Fu Tuan, i luoghi, come le persone, acquistano caratteristiche uniche nel corso del tempo. DIFFERENZE La prima connotazione mediante la quale l’indirizzo umanistico si contrappone a quello razionalistico è l’inversione del soggetto con l’oggetto. Nel pensiero razionalista non viene considerato il soggetto, oppure viene considerato (teoria della complessità), ma solo in relazione a come egli interagisce con l’oggetto dando vita a un sistema soggetto-oggetto legati da influenze reciproche. Il pensiero umanistico è caratterizzato da un’inversione radicale della cosa, infatti il soggetto balza in primo piano, diventa il protagonista della rappresentazione del territorio che è considerando solo se entra nella dimensione esistenziale dell’individuo. Seconda differenza, è come viene visto il legame tra spazio geografico e soggetto. Secondo l’indirizzo razionalista è costituito dalla ragione, il soggetto viene a contatto diretto e indiretto con lo spazio e ne produce una rappresentazione razionale. In quello umanistico il luogo si sostituisce allo spazio e diventa la fonte di emozioni del soggetto ed è l’emozione e non più la ragione ad essere la fonte di rappresentazione. Queste argomentazioni ci conducono a due fatti: ● Il geografo nella sua analisi deve partire dal soggetto e considerare la superficie terrestre soltanto in rapporto al soggetto stesso e chiedersi come si dispongono i luoghi nella sua sfera esistenziale. ● La rappresentazione si esprime attraverso una simbolizzazione intesa come attribuzione di simboli a oggetti (luoghi e spazi) ognuno dei quali conduce a significati culturalmente significanti, diventandone così metafore. Da notare che anche i razionalisti fanno uso dei simboli, ad esempio nelle carte geografiche degli atlanti, ma la natura di quei simboli è quella di essere spiegazione dell’oggetto, quindi solo uno strumento che tende a individuare nella realtà relazioni di causa-effetto. Nella visione umanistica invece il simbolo è legato alla comprensione dell’oggetto e denota la tendenza del soggetto a considerare l’oggetto nel suo insieme, a inglobarlo nella sua sfera esistenziale. Infine, l’ultima differenza, è quella che riguarda l’utilizzo dei segni nelle due grammatiche, considerando che in generale il segno ha sempre una natura simbolica, ma in termini differenti a seconda della corrente di pensiero. Nella visione razionalista i segni sono astratti e arbitrari, si pensi a quelli delle carte geografiche negli atlanti, o hanno ben poca relazione con la natura dell’oggetto, rimandando a significati predeterminati e a una relazione univoca tra DEBORAH MEDICI 56 segno e significato. Al contrario, nella visione umanistica i segni sono costituiti da simboli che riflettono le condizioni emotive con connotazioni mitologiche dei luoghi, elementi culturali intangibili, sono quindi meno astratti e assolutamente arbitrari e conducono verso significati variabili dipendenti dalla cultura. Non di rado l’impulso emozionale è prodotto da segni che tendono a riprodurre l’oggetto, caratteristica della cartografia premoderna, in questi casi il simbolo acquisisce connotazioni che lo avvicinano di piu all’icona perché delineato seguendo il principio di somiglianza. LA CITTÀ Una delle tematiche centrali del filone razionalista è stata la città. Eppure, anche nel filone umanistico la città diventa punto focale d’indagine secondo un’ottica d’analisi diversa, ma non come centro delle funzioni, ma per le sue valenze simboliche. Negli anni ’70 del Novecento, proprio nel momento di massima produzione dell’analisi funzionalista, compaiono alcuni studi di geografi che guardano alla città come un insieme di segni che nella storia avevano modificato il loro senso culturale. Sono i primi bagliori di quella che sarà la visione umanistica. Dennis Cosgrove alla fine degli anni ’90 del secolo scorso pubblicò un lavoro sui monumenti a Roma che aprì le strade a nuove ottiche distanti dalle indagini geografiche strutturaliste. La città diventa il luogo privilegiato dell’indagine umanistica per le sue valenze simboliche emanate dal disegno planimetrico attraverso il quale si entra nella cultura della città stessa. Mentre, infatti, il disegno planimetrico può aiutare a cogliere la fisionomia generale culturale della città, lo studio specifico dei suoi segni fissati nei luoghi fa penetrare nel senso di una cultura, fatto da tante pluralità di significato. Ad esempio, se consideriamo la struttura di una città romana, questa aveva forma quadrata rappresentava l’articolazione dell’universo a partire dal centro situato all’incontro di due strade principali (cardo maximus e decumanus maximus) il cui orientamento era determinato su base astronomica. Allo sbocco delle due strade si situavano le quattro porte di entrata/uscita della città. Dalla visione planimetrica aerea della città, l’indagine umanistica, grazie ai contributi di Michel Foucault, si inoltrò nel dedalo dei suoi meandri, cioè nei tanti luoghi che la formano e i cui significati cambiano rispetto ai tempi. La città in ottica umanistica viene studiata nella pluralità dei significati dei luoghi che la compongono assumendo le sembianze di un manto di segni capace di testimoniare l’identità i valori sociali che nel corso della storia si sono succeduti. Per capire i simboli e i valori dei singoli luoghi urbani e la loro valenza segnica Michel Foucault, già dalla fine degli anni ’60 del Novecento, teorizzò il concetto di eterotopie, luoghi che posseggono connotazione anomale rispetto alla regola culturale della normalità. Le eterotopie sono luoghi “altri” che, pur appartenendo al corpo urbano, ne vengono isolati con appropriati sistemi di chiusura e apertura. Esempi di eterotopie del tempo possono essere musei e biblioteche, dove il tempo si accumula e si raccoglie, mentre esempi di eterotopie croniche possono essere fiere e villaggi turistici dove il tempo non è eternizzato, ma reso nella sua futilità, alla sua precarietà. DEBORAH MEDICI 59 MEGALOPOLI La megalopoli è un fenomeno che si sviluppa in conseguenza di una grande implosione urbana provocata da innesti continui di nuove funzioni e dall’irrefrenabile esplosione demografica costituita dalla crescita della popolazione urbana con la conseguente espansione degli insediamenti nel territorio circostante. La letteratura geografica ha analizzato questo fenomeno due punti di vista: da un lato in base alle forme che le città assumono espandendosi, dall’altra in base alle relazioni che si vanno a instaurare tra la dimensione della città e il corredo delle sue funzioni. Inizialmente, quindi in fase preindustriale, la città era di forma compatta. Alla fine dell’Ottocento invece, si forma la città industriale composta da città satelliti che gravitano attorno alla città principale. In seguito, lo spazio tra la metropoli e le città satelliti inizia a essere occupato da centri minori dando forma a un’agglomerazione urbana fino a diventare una conurbazione policentrica, cioè arriva ad avere una copertura urbana composta da metropoli aventi ognuna una propria area urbana a livello amministrativo e funzionale (si parla in questo caso di megalopoli). La conurbazione è la forma urbana che segna il passaggio dalla città industriale a quelle grandi espansioni urbane che prenderanno l’aspetto di megalopoli. Quindi, se la metropoli è in genere una città molto grande, con più di un milione di abitanti - e spesso di grande importanza economica o culturale - la megalopoli è una vasta regione, un’unica estensione urbana formatasi dall’incontro di più città (pur se non visibile in Italia, pensiamo alla megalopoli giapponese con più di 30 mila abitanti che vivono tra Tokyo, Yokohama e Kawasaki o alla BosWash che comprende Boston, New York e Washington con più di 40 milioni di abitanti). Sono proposte alcune pagine de “La città invincibile” di Gottmann pubblicato del 1961. Si rifà al nome dato da un gruppo di antiche genti che aveva progettato nel Peloponneso una città stato alla quale volevano il nome di megalopoli perché sognavano per questa città un grande futuro. Compare ancora nelle mappe, ma è una piccola cittadina annidata in un bacino fluviale. È stata ripresa dallo scrittore per rappresentare questo coagulo cittadino dell’era contemporanea. RANK-SIZE RULE Molti geografi ritengono ci sia una correlazione tra l’implosione urbana e l’esplosione demografica e che esista una relazione che può essere rappresentata da una formula chiamata rank-size rule. È una regola che afferma che la popolazione di una città (Pr) è uguale alla popolazione della città più grande dell’insieme (Pi) diviso l’ordine funzionale attribuito alla città (r) nell’insieme delle città considerate. Seconda questa formula quindi, la città di secondo rango di un paese ha la metà della popolazione della città più grande, la terza città in ordine di rango è un terzo della più grande, e così via. Esiste quindi una relazione tra lo sviluppo urbano, basato sul rango delle funzioni, e crescita della popolazione, ma bisogna dire che la regola in questione ha una meccanica troppo rigida che dà luogo a interpretazioni troppo meccaniciste e per questo è stata oggetto nel tempo di modifiche e perfezionamenti vari. DEBORAH MEDICI 60 Su un’area si va a sviluppare una rete urbana stratificata dove si posizionano come nodi le località centrali aventi le funzioni di rango elevato. Prende, così, vita uno sviluppo locale basato su una rete urbana tale da rendere l’area stessa concorrenziale a livello economico rispetto alla ben più ampia rete del sistema globale. Lo sviluppo di un sistema locale, che permette alle metropoli con funzioni di rango superiore di connettersi come nodi alla rete economica del globale, può agevolare uno sviluppo economico tale da attrarre popolazione e generare un processo di fusione spaziale tra diverse cellule urbane, fino anche a formare una megalopoli, cioè agglomerazione urbana assemblata e coesa da implosione funzionale ed esplosione demografica. Questo, ovviamente, lì dove esistano le circostanze e, quindi, una concomitanza di fattori favorevoli di sviluppo continuativo a livello spaziale e di rapporti tra aree contigue. Le caratteristiche delle diverse strutture urbane che vanno a fermare la megalopoli sono: ● Si poggia su una rete di città che negli ultimi anni sono soggette a una rifunzionalizzazione degli spazi urbani talmente immediata e continua da creare una forte complessità nella concettualizzazione e analisi, ma anche una serie di problemi pratici come l’accesso fisico alle aree. ● Alta tecnologizzazione che ha liberato il centro metropolitano dai mercati e dai luoghi deputati all’attività industriale a vantaggio delle attività terziarie di alto livello (dette anche attività quaternarie). Il centro è occupato dalle banche, dai centri amministrativi, di ricerca, istruzione, servizi medici, legali, assicurativi, tutti servizi speciali (white collars). L’architettura tipica di questo centro di controllo è lo skyline, quindi il grattacielo che impera sulle città occidentali ● All’espansione privata e pubblica dei sobborghi si accosta il fenomeno della diffusione urbana o rururbanizzazione, cioè un’urbanizzazione degli spazi vergini che stavano intorno alla città preindustriale. Alcune grandi città stanno cercando una soluzione a questa continua cementazione degli spazi verdi e Londra, per esempio, ha adottato un sistema di aree verdi che limita il processo di suburbanizzazione e rururbanizzazione. CITTÀ MULTIETNICHE Alla crescita massiccia del corpo metropolitano corrisponde anche una maggiore complessità della struttura socioculturale, in particolar modo ci si riferisce alla città multietnica. Prenderemo in considerazione il Regno Unito, la Germania, la Francia e gli USA. Londra fino a 70 anni fa era il centro di un vasto impero coloniale che aveva aperto la porta agli abitanti delle sue ex colonie dandogli la possibilità di immigrare in Inghilterra in condizioni di favore (permessi di residenza se non cittadinanza). Con la progressiva decolonizzazione questo fenomeno si è accentuato e si sono andate a concentrare diverse etnie (cinesi, indiani, pakistani), tanto da creare interi quartieri mono-etnici. Il problema dell’integrazione nel Regno Unito è quindi di vecchia data ed è avvenuto in diversi settori; infatti, molti di questi immigrati lavorano per esempio nelle forze di polizia. DEBORAH MEDICI 61 Anche la Germania ha favorito nel secondo dopoguerra l’entrata degli immigrati come manodopera, sia per la ricostruzione del paese che per far decollare il sistema industriale. Italiani, spagnoli, portoghesi raggiunsero la Germania dopo la Seconda guerra mondiale e, dagli anni ’70, anche i turchi. Oggi Berlino è una delle città con più alto numero di minoranza etnica turca, tant’è che ci sono quartieri interamente turchi, con ristoranti, sede di partiti e insegne stradali direttamente in lingua turca. Anche a Parigi si sono andati a formare nel corso del tempo diversi quartieri etnici dove la popolazione delle ex colonie asiatiche ad africane si sono andate a stabilire, come vietnamiti, algerini, marocchini, tunisini e portoghesi. L’industria francese è sempre stata abituata ad assumere lavoratori stranieri soprattutto provenienti dalle ex-colonie e si dice che negli stabilimenti della Renault si parlano 23 lingue. La multietnicità caratterizza non solo l’Europa, ma anche le anche metropoli/megalopoli degli Stati Uniti d’America. Negli USA sono stati concettualizzati due modelli particolari: ● Melting Pot: consiste nel guidare etnie diverse, ognuna con una propria cultura e tradizione, in un processo di integrazione che le porte a mescolarsi e fondersi tra loro. ● Salad Bowl: in questo caso le etnie mantengono ognuna la propria specificità sfociando per esempio della creazione di quartieri mono-etnici (china town, little italy, etc). CONTRO-URBANIZZAZIONE Dagli anni ‘70 la relazione implosione funzionale ed esplosione funzionale entra in una nuova fase: si assiste a una controtendenza, una ridistribuzione della popolazione negli ambiti locali e regionali frammentata e discontinua, che contrasta con quella areale tipica dei processi di concentrazione e di diffusione, per cui il core della città si spopola. Questo è un fenomeno analizzato in buona parte dalla letteratura geografica degli ultimi decenni, e definito con il termine di contro-urbanizzazione, soprattutto per sottolineare diffusi fenomeni di decentramento insediativo rispetto ai centri urbani. VAN DE BERG – CICLO DI VITA DELLA CITTÀ La ricerca di maggiori regolarità spaziali - destinate non solo a fornire ulteriori evidenze analitiche ai nuovi fenomeni insediativi, ma anche il supporto ad interventi pubblici di carattere urbanistico e edilizio - conduce Leo van den Berg e altri (1982) a identificare un modello di evoluzione demografica delle realtà urbane più noto come ciclo di vita della città in cui il concetto di urbanizzazione risulta contrapposto a quello di disurbanizzazione. Si tratta di un modello descrittivo composto da quattro successivi stadi di sviluppo urbano individuati esaminando i diversi sistemi urbani, definiti come Regioni Funzionali Urbane (FUR). La FUR è un’agglomerazione costituita da una città centrale o core, con più di 200.000 abitanti e da una corona circostante, o ring, che comprende tutte le municipalità DEBORAH MEDICI 64 PRESSIONE UMANA Nel corso del XIX e XX secolo a crescere in maniera sorprendente, soprattutto in seguito alle due rivoluzioni industriali, non è stato solo il corpo urbano, ma anche la popolazione mondiale. Le problematiche legate alla pressione umana sulle risorse ambientali sono state centrali a partire dagli anni ‘70 del Novecento anche per la geografia e possono essere capire pienamente solo analizzando e parlando della crescita della popolazione mondiale nel secolo scorso. STORIA DELL’ANDAMENTO DEMOGRAFICO L’andamento demografico nel corso della storia è stato estremamente dinamico, ma anche incostante. Questo ha reso difficile fare una stima esatta dell’andamento del popolamento sul pianeta. Più facile il calcolo delle stime sulla popolazione, invece, a partire dal 1700 da quando, cioè, furono effettuati un crescente numero di censimenti nazionali tra i quali non può non essere menzionato quello effettuato negli Stati Uniti d’America nel 1790, pietra miliare nella storia demografica visto che sino ad allora solo la Svezia aveva raccolto dati precisi su scala così vasta (la prima documentazione relativa alla sua popolazione risale al 1750), mentre la maggior parte dei paesi doveva attendere ancora parecchi decenni. Da quel tempo lontanissimo nei quali si ritrovano gli albori della Storia, non è realisticamente possibile presupporre un incremento continuo della popolazione, anzi sembra più giusto supporre che le popolazioni primitive siano state invece sottoposte ad un andamento fluttuante. Gli studi archeologici suggeriscono che agli inizi dell’era agricola, circa nel 10.000 a.C. la popolazione mondiale non superasse i 10 milioni, all’inizio dell’era cristiana tra i 200 e i 250 milioni, e solo nel 1650 si è raddoppiata per raggiungere i 500 milioni. Un ingente incremento demografico si ebbe negli anni ’20 e ’30 dell’Ottocento, quando la prima rivoluzione industriale si era consolidata nel Regno Unito e si stava diffondendo in altri paesi. In questo periodo la popolazione mondiale raggiunge il miliardo. Agli inizi degli anni ’20 del Novecento vivevano 4 miliardi e mezzo di persone e alla fine de secolo si era giunti a 6 miliardi, per poi raggiungere i 7 nel 2011. MODELLO DELLA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA L’andamento fluttuante della crescita popolazione fino alla prima rivoluzione industriale è una constatazione che sta alla base del modello della transizione demografica. Negli ultimi due secoli, industrializzazione e urbanizzazione di tipo industriale hanno provocato un mutamento della modalità di incremento della popolazione che viene denominata transizione demografica. Transizione inteso proprio come passaggio da un incremento naturale della popolazione basso a causa dell’alta natalità e dell’alta mortalità, a un incremento sempre basso, ma per cause diverse (bassa natalità e bassa mortalità). DEBORAH MEDICI 65 Questo modello è diviso in quattro stadi: ● Stadio I (alto stazionario): l’incremento è molto basso, dovuto a un alto tasso di natalità che viene annullato da un alto tasso di mortalità (guerra, carestie, malattie, etc). Grazie alla tecnologia medica e alle migliori qualità igienico sanitarie della vita, nessun paese attualmente si trova più in questo stadio, mentre l’Europa ci si trovò nella fase preindustriale. ● Stadio II (prima espansione): è la prima fase di transizione demografica. C’è un alto tasso di natalità e un abbassamento di quello di mortalità dovuto al miglioramento delle condizioni di vita e dell’igiene. Questo ha provocato un incremento naturale della popolazione. Nell’ambito di questo stadio ricadono la maggior parte dei paesi definiti in “via di sviluppo” (America Latina, Africa e Asia meridionale), per cui è osservabile un incremento rapido della popolazione, in alcuni casi con un sostanziale abbassamento del tasso di natalità che sta conducendoli nella fase di tarda espansione, legato ai miglioramenti apportati alla vita proprio dalla tecnologia medica e dalle trasformazioni socioeconomiche. L’Europa ci si trovò alla fine dell’Ottocento. ● Stadio III (tarda espansione): è la seconda fase di transizione demografica. L’abbassamento della mortalità è stazionario, ma c’è un abbassamento della natalità che causa un incremento naturale della popolazione. L’Europa ci si è trovato nella metà del Novecento in cui le condizioni di vita sono migliorate, ma la natalità scende perché socialmente entrano nuovi valori dettati dalla logica capitalistica e consumistica. Si pensi al cambiamento del ruolo della donna, che fa meno figli in quanto entra nel mondo sociale e lavorativo, e quindi ha la necessità di pianificare meglio la vita famigliare. ● Stadio IV (basso stazionario): ci indica come questo abbassamento di natalità inizi a stabilizzarsi. Abbiamo quindi un abbassamento dell’incremento naturale della popolazione. L’Europa occidentale si trova in questa fase (insieme a USA, Canada e Australia), che viene chiamata anche crescita zero. Ad oggi i contributi di aumento della popolazione mondiale vengono soprattutto dai paesi del sud del mondo, mentre l’Europa contribuisce in negativo. DINAMICA DELL’INCREMENTO DELLA POPOLAZIONE Capire le cause che stanno alla base dell’incremento della specie umana sulla Terra è una delle aspettative care alla geografia. Per capire questo bisogna individuare le modalità con cui misurare l’andamento demografico e le circostanze che agiscono sul suo incremento. Gli elementi da tenere in considerazione sono quattro: nascite e decessi, la cui differenza va a costituire il saldo naturale, e immigrazione ed emigrazione, la cui differenza costituisce il saldo migratorio. La dinamica totale della popolazione può essere spiegata solo chiamando in causa i due movimenti che vengono chiamati saldo demografico. I vari tassi che vengono espressi anche quando si tratta di demografia, in geografia sono utili se rapportati al substrato fisico e alle relazioni con esso, nonché agli eventi da esso scaturiti. DEBORAH MEDICI 66 Il tasso di natalità è il rapporto tra i nati vivi e la popolazione media in un determinato periodo di tempo (numero medio di nascite in mille abitanti). Il tasso di mortalità è il rapporto tra i decessi e la popolazione media in un determinato periodo di tempo (numero medio di decessi in mille abitanti). Se i tassi sono riferiti al periodo infantile, vengono contati solo quello che si trovano sotto una certa età. Questi tassi insieme possono essere usati per calcola il tasso d’incremento naturale, calcolato come la differenza di tasso di natalità e mortalità, in rapporto alla popolazione media. Quando i tassi non prendono in considerazione nessuna informazione aggiuntiva, come età, sesso, professione, si parla di tassi grezzi, altrimenti di tassi specifici. Una modalità utile a descrivere la struttura di una popolazione è quella della piramide della popolazione, grafico a sviluppo verticale che visualizza la percentuale di individui nelle varie classi d'età: il numero dei maschi viene riportato a destra e quello delle femmine a sinistra. Anche questa dipenderà nel disegno dalle diverse condizioni economiche, o situazioni di calamità naturale e no, fino a giungere a distribuzioni della popolazione per età e sesso anche molto asimmetriche. L'EQUAZIONE MALTHUSIANA E LA SINDROME DEL COLLASSO |——=—RRIR=<—+——4À<ÀÙÀ2U{H.Tr...—rer—__rrrrrrrrrrrerrei DEBORAH MEDICI 69 DEBORAH MEDICI 70 MODULO 3 – CARTOGRAFIA LA CARTOGRAFIA La cartografia è una tecnica cognitiva attraverso cui l’uomo localizza la sua posizione fisica e culturale rispetto all’intorno ambientale. La cartografia è l'insieme di conoscenze scientifiche, tecniche e artistiche finalizzate alla rappresentazione, simbolica, ma veritiera, su supporti piani (carte geografiche) o sferici (globi), di informazioni geografiche, statistiche, demografiche, economiche, politiche, culturali, relative allo spazio geografico rappresentato. Si tratta di una scienza di sintesi attraverso la quale sono divulgate informazioni specifiche legate alla descrizione di un determinato fenomeno, alla localizzazione fisica di un punto sulla superficie terrestre, ma anche derivata da una particolare semiosi che tanto svela di concettualizzazione spaziale raggiunta da una determinata comunità e società. Quindi la carta va letta sia come rappresentazione spaziale che come rappresentazione del senso culturale che l’ha prodotta. La cartografia nasce dall’interazione di: ● Topografia: si occupa di determinare la posizione delle cose sulla superficie terrestre e rappresentarle sulla carta. Le superfici considerate sono solitamente limitate, per cui la curvatura terrestre viene trascurata ● Geodesia: studia la forma della Terra e i modelli matematici per rappresentarla ● Fotogrammetria: localizza le entità sulla superficie terrestre facendo riferimento alla posizione rilevata dalle immagini aereo-fotografiche DEBORAH MEDICI 71 STORIA DELLA FORMA DELLA TERRA La terra è approssimativamente una sfera ma ci vollero secoli per dimostrarlo, e la prova definitiva arrivò all’inizio dell’epoca moderna, nel ‘600, con i grandi viaggi oceanici che portarono alla circumnavigazione del globo. Tuttavia, già nell’antichità ci fu chi suppose che la terra fosse sferica avvalendosi di motivazioni filosofiche e tentò di valutarne la dimensione con procedimenti geometrici e astronomici. Il primo a calcolare la circonferenza della Terra con una precisione sorprendentemente precisa fu Eratostene di Cirene nel III secolo a.C. L’uomo prese in considerazione due città d’Egitto, Alessandria e Siene. Eratostene sapeva che Siene si trovava esattamente sul Tropico del Cancro; quindi, a mezzogiorno del solstizio d’estate il sole doveva trovarsi esattamente allo Zenit, con i raggi che cadevano sulla città perfettamente verticali. Tenendo presente ciò, misurò nello stesso giorno dell’anno e nella stessa ora, l’angolo dell’ombra su Alessandria, distante da Siene circa 5000 stadi. Notò quindi che l’angolo del sole di mezzogiorno del solstizio d’estate su Alessandria era di 7°, quindi 1/50 di angolo giro. Per calcolare tutta la lunghezza dell’angolo giro (cioè il diametro della terra) moltiplicò gli stadi di distanza per 50. Considerando che uno stadio è pari a circa 157,5 metri, il risultato venne 39,375 Km (contro i 40,075 reali). Pochi progressi si ebbero nei secoli successivo, si verificò una perdita di interessa per i concetti elaborati dai greci e anche le teorie riguardanti la terra. Con il rinascimento e l’ondata dei viaggi oltre oceano si ridestò l’interesse per la forma del nostro pianeta e vennero effettuate ulteriori misurazioni all’inizio del ‘600 quando ebbe origine un dibattito molto accesso. Le notevoli diversità dei valori delle stime della circonferenza indicavano che la terra non poteva essere semplicemente una sfera regolare, quindi l’opinione accademica si divise. Da una parte c’era chi sosteneva che la terra era appiattita verso i poli, mentre chi diceva che era allungata come una palla da rugby. Nel 1730 furono raccolti nuovi dati grazie alle spedizioni geodediche e risultarono in maniera preponderante a favore della prima ipotesi. Fin dal ‘700 una serie di misurazioni accurate aveva dimostrato che il diametro della terra ai poli è minore a quello dell’equatore e che la circonferenza polare è minore di quella equatoriale. Inoltre, l’equatore non è il punto di massimo rigonfiamento della terra, ma il massimo si ha in un punto leggermente a sud dell’equatore. Il fatto che la terra sia un ellissoide con un rigonfiamento simile ad una pera e i poli leggermente schiacciati e non una sfera perfetta ha complicato in molti casi la progettazione delle carte geografiche. Volendo ridurla a una forma geografica si può dire che la terra è un ellissoide con un indice di eccentricità di 1/300, un indice molto basso se confrontato con Giove e Saturno, ma che comunque crea un rigonfiamento equatoriale di cui si deve tener conto nella rappresentazione cartografica. In realtà la terra non è un ellissoide di rotazione a causa delle asperità della superficie e dell’irregolarità dei materiali che la formano la cui massa può variare, a livello locale, l’intensità e la direzione della forza di gravità. Quindi senza considerare la rugosità della superficie terrestre la terra può essere considerata un geoide oppure come dicono gli DEBORAH MEDICI 74 CARATTERISTICHE DELLA CARTA GEOGRAFICA La carta geografica è la rappresentazione grafica della superficie terrestre su un piano bidimensionale. Le caratteristiche fondamentali della carta geografica sono: ● La rappresentazione è ridotta: non è possibile descrivere la superficie terrestre nella sua dimensione reale, ma solo ricorrendo a un rimpicciolimento delle stesse secondo un rapporto determinato detto scala che consente di disegnare l’intera superficie di una regione, stato o continente, in un foglio. ● La rappresentazione è simbolica: tutti gli elementi fisici presenti sulla superficie terrestre sia naturali (montagne, vegetazione) che di origine antropica (città, strada) sono descritti da segni imitativi o convenzionali che non ripropongono l’esatta forma in scala e sono espressi attraverso la legenda. Nella carta dei secoli scorsi prevaleva la rappresentazione imitativa con la riproduzione di case, montagne etc nelle loro forme reali per agevolare l’interpretazione della simbologia che però non erano compatibili con la rigorosità della cartografia. ● La rappresentazione è approssimata: la superficie sferica della Terra non sarà mai riproducibile su un piano senza dare luogo a delle deformazioni. Se cerchiamo di fare una sfera utilizzando un foglio è impossibile non accartocciarlo e in piu punti risulterà sovrapposto. Quindi, allo stesso modo, è impossibile distendere su un piano la buccia di un’arancia senza tagliarla, stirarla o lacerarla. Scopo dei numerosi modelli matematici creati per realizzare le proiezioni cartografiche è quello di ridurre al minimo le approssimazioni e le imprecisioni mantenendo le proporzioni tra superfici e distanze e l’invariabilità degli angoli. SCALA Anche in cartografia c’è la necessità di adottare un criterio classificatore in grado di dare ordine a questa materia variegata, per definire le diverse categorie di carte e gli oggetti del loro studio. Le carte si distinguono principalmente in base alla scala utilizzata e in base all’argomento (uno o più di uno) che viene analizzato nella rappresentazione. La scala è il rapporto tra due lunghezze, ed è espressa da un numero “puro” che non deve, quindi, essere preceduto da unità di misura. Sulla carta possono essere presenti due tipi di scala, alcune volte anche contemporaneamente: numerica e grafica. La scala numerica è una frazione indicante il rapporto di riduzione, dove il numeratore è sempre l’unità mentre il denominatore è un numero che indica di quanto deve essere moltiplicata la distanza grafica, ossia misurata sulla carta, per ottenere il valore della distanza reale sul terreno. La scala grafica è rappresentata per mezzo di segmenti rettilinei suddivisi in parti uguali indicanti il valore della corrispondente distanza reale sul terreno. Una scala 1:1000 significa che un centimetro sulla carta è pari a 1.000 centimetri nella realtà. Tanto più il denominatore è grande, tanto più la scala è piccola e più la scala è piccola più è ridotta la rappresentazione dei particolari del terreno, a cominciare dalle distanze. DEBORAH MEDICI 75 Le grandi scale sono consigliate quando si necessita una lettura di dettaglio, una rappresentazione di grande nitidezza e risoluzione dei particolari. La scala piccola, invece, consente una rappresentazione di superfici maggiori e fornisce una visione d’insieme di grandi regioni. Sono in commercio diverse carte destinate a diverse esigenze di consultazione. Un primo modo per classificare le carte è quello che prende in considerazione la scala e che determina una certa nomenclatura da utilizzare correttamente per disegnare una carta evitando di chiamarle tutte “carte geografiche”. Possiamo distingue le rappresentazioni cartografiche in: ● Mappe catastali (da 1:10.000 a 1:1.000). Rappresentano una parte molto limitata del territorio e si prestano a descrivere con precisione i confini poderali, inclusa la posizione e l’orientamento degli edifici. Vengono pertanto usati per fini fiscali e nel censimento delle unità immobiliari. ● Piante (a volte maggiore di 1:1.000). Descrivono invece la posizione degli edifici nei centri abitati e i lori interni. ● Carte topografiche (da 1:200.000 a 1:10.000). Sono ricche di particolari e indicate per scopi escursionistici e militari. Mostrano in dettaglio caratteristiche orografiche, idrografiche, viabilità minore, costruzioni situate all’esterno dei centri abitati. L’approssimazione con cui è rappresentato un punto sul terreno è inferiore ai 100 metri. ● Carte corografiche (da 1:1.000.000 a 1:200.000). rappresentano parti molto estese di uno stato o di una regione. Maggior numero di centri abitati, quasi tutta la rete stradale percorribile con mezzi ordinari. ● Carte generali (da 1:5.000.000 a 1:1.000.000). Rappresentano un continente o parti di esso, un intero stato di grandi dimensioni o un gruppo di stati. Sono visibili particolari fisici (orografia, idrografia, etc), ma anche le grandi vie di comunicazione, le città grandi e medie con simbologie che danno idee del numero di abitanti. ● Planisferi (da 1:100.000.000 a 1:5.000.000). Rappresentano la superficie terrestre e sono utili perlopiù per fini didattici. Danno una buona idea dell’ordine di grandezza delle distanze tra i continenti e della posizione che hanno reciprocamente l’un con l’altro. Vengono riportate le caratteristiche fisiche più importanti e spesso anche le maggiori città mondiali. ● Mappamondi: vengono spesso confusi con i planisferi, ma non sono la stessa cosa in quanto i mappamondi hanno la medesima scala, ma sono delle rappresentazioni su superficie sferica. I globi danno il loro ingombro, per questo sono adatti quasi esclusivamente alla didattica, ma hanno il pregio di fornire una rappresentazione priva di errori di approssimazione in quanto la superficie ridotta resta sferica e non ci sono i problemi di adattamento alla superficie piana. Le carte possono essere di due tipi: ● Topografiche: danno delle informazioni geometriche dello spazio, dei suoi elementi fondamentali; quindi, la sua rappresentazione è simbolica e in scala DEBORAH MEDICI 76 ● Tematiche: hanno lo scopo di mettere in evidenza specifici fenomeni e la loro distribuzione spaziale dipendenti dalla finalità dello studio. Per questo motivo le informazioni della cartografia di base sono elementari. Queste carte possono essere classificate, in base alla loro funzione, in: o Fisiche: evidenziano le caratteristiche fisiche come rilievi, altitudini, idrografia, tralasciando i dettagli antropici o Idrografiche, marine e nautiche: evidenziano le profondità dei fondali, le caratteristiche idrologiche, l’andamento costiero, le strutture per la navigazione o Geologiche: evidenziano la natura geologica del terreno come i tipi di roccia e l’età della formazione o Geomorfologiche: studiano la conformazione attuale della superficie terrestre e i fenomeni dinamici responsabili del suo continuo modellamento o Climatiche: individuano le regioni più o meno ampie che hanno le stesse caratteristiche climatiche o Meteorologiche: evidenziano la localizzazione dello sviluppo del tempo dei piu generali elementi e fenomeni metereologici come la derivazione dei venti, le aree di alta e bassa pressione o Antropiche: nell’accezione più generale analizzano i fenomeni legati alla presenza dell’uomo e alla sua attività come la densità di popolazione, il reddito, il tipo di attività economica, etc. Tra queste c i sono le carte storiche che si dividono in generali o tematiche e che rappresentano un territorio in un determinato momento storico, e le carte ferroviarie e stradali che si specializzano nella rappresentazione delle vie di comunicazione terrestre. o Industriali e minerarie: individuano i siti di produzione industriale e di estrazione mineraria con particolare riferimento la natura della produzione e dei minerali estratti. LEGENDA Una volta ultimata la costruzione del reticolo geografico e la rappresentazione in piano del territorio, ha inizio il lavoro del topografo che determina la posizione degli elementi naturali o antropici presenti sul terreno. Questi elementi non possono essere rappresentati nella loro forma reale, se pur ridotta, secondo il rapporto di scala né possono essere espressi nella loro totalità; per questo motivo si utilizzano dei simboli convenzionali a cui è associato un preciso significato con un alto grado di intelligibilità, in quanto deve essere facilmente leggibile da tutti. Questi simboli passano attraverso un processo di selezione dal quale emergono solo quelli più significativi e idonei a favorire l’orientamento di chi percorre il territorio rappresentato. Il compito di gestire l’aggiornamento delle carte di base del territorio italiano è in carico all’IMG dalla fine dell’Ottocento. L’IMG fu fondato come corpo militare a Torino nel 1861, nel 1865 fu spostato a Firenze con il trasferimento della capitale, nel 1872 prese il nome di Istituto Topografico Militare e nel 1882 prese la denominazione attuale di Istituto Geografico Italiano. La cartografia topografica nazionale dell’IGM è stata realizzata su scala 1:100.000 e divide l’Italia in 271 fogli regionali ognuno dei quali è diviso a sua volta in quadrati (o sezioni). Le prime carte dell’IGM erano in bianco e nero, poi sono stati introdotti l’azzurro per acqua, il marrone chiaro (bistro) per i rilievi e il nero per il resto. Nel 1959 DEBORAH MEDICI 79 anelli. Anche in questo caso la distorsione aumenta con l’aumento della latitudine e sono proiezioni utili a rappresentare zone a media latitudine. o Proiezioni vere prospettiche: derivano da quelle zenitali e quindi conservano gli angoli reali. Queste proiezioni vengono ottenute mediante un piano tangente alla sfera in un punto qualunque della stessa a partire da un centro di proiezione scelto in un punto prefissato. Sono molto adatte per le proiezioni delle zone polari in quanto i paralleli sono rappresentati come dei cerchi concentrici e i meridiani come diametri della circonferenza. Rispetto al centro di proiezione possono essere: ▪ Centrografiche (gnomonica): il centro di proiezione parte dal centro del globo. Rappresentano con una buona approssimazione la superficie del globo vicino al punto di tangenza, ma a mano a mano che ci si allontana su produce una dilatazione progressiva delle distanze e deformazione delle figure, per questo non sono proiezioni né equivalenti, né conformi e difficilmente vengono usate negli atlanti. Sono più utili per le carte nautiche e aeronautiche quando si ha a che fare con rotte brevi. ▪ Stereografiche: il punto d’osservazione è diametralmente opposto a quello di tangenza, per cui l’errore della precedente proiezione è in parte corretto, ma comunque resta una dilatazione delle aree periferiche rispetto a quelle poste al centro della carta. Sono quindi proiezioni conformi, ma non equivalenti. ▪ Ortografiche: in queste proiezioni i raggi di proiezione sono paralleli e proveniente dall’infinito. Producono un effetto erroneo a mano a mano che ci si allontana dal centro di tangenza che porta alla contrazione delle distanze. Queste proiezioni sono dette azimutali perché, rispetto al punto di tangenza del piano di proiezione, le varie direzioni conservano l’azimut reali. ● Proiezioni modificate o convenzionali: sono create sulle prime, ma vengono in più applicate correzioni basate sull’applicazione di formule matematiche così da diminuire le deformazioni. Per questo vengono dette rappresentazioni. Vediamo dei casi particolari di questa proiezione: o Proiezione cilindrica modificata di Mercatore (1512-94): i meridiani rimangono equidistanti mentre i paralleli spostandosi dall’Equatore verso i poli si allontanano reciprocamente in proporzione di quanto la distanza dei meridiani è maggiorata sulla carta rispetto alla realtà. La Groenlandia in questa carta sembra essere estesa quanto Africa, l’America del Sud e l’Oceania mentre in realtà non è così, l’Africa è 14 volte più grande, l’America Latina 9 e l’Australia 3.5. DEBORAH MEDICI 80 o Proiezione di Peters (1973): si tratta di una proiezione di Mercatore modificata in modo da restituire le effettive proporzioni ai vari continenti. Ne deriva una rappresentazione con forte connotazioni ideologiche in quanto mette in risalto come le superfici emerse delle alte latitudini siano molto più estese di quanto appaiono normalmente negli atlanti. Quindi America latina e Africa sono molto più vaste di come in realtà possono essere percepite. o Proiezione modificata interrotta di Goode: è un modo per ridurre al mino le distorsioni facendo sì che vadano a cadere sulle zone della carta di minore interesse (gli oceani) per evitare il più possibile le distorsioni sulle zone di interesse maggiore (continenti). Quindi la carta presenza degli spazi vuoti in corrispondenza degli oceani che ricordiamo, in una proiezione normale occupano la maggior parte degli spazi. DEBORAH MEDICI 81 o Proiezione poliedrica di Samson-Flamsteed (1875): in questa proiezione, usata soprattutto per carte topografiche, quindi a grande scala, i paralleli sono rettilinei ed equidistanti mentre i meridiani sono sinusoidi, eccetto quello centrale che è rettilineo. È una proiezione equivalente che rappresenta bene la zona equatoriale mentre è deformante a medie e alte latitudini. o Proiezione cilindrica trasversa di Gauss (o trasversa di Mercatore o UTM) (1820): il cilindro è tangente al globo lungo un meridiano detto centrale. Solo il meridiano di tangenza e l’Equatore sono ortogonali. In questa proiezione, la Terra viene divisa in 60 spicchi (o fusi) di 6° di longitudine ciascuno; ogni fuso è individuato da un numero crescente a partire dall’antimeridiano di Greenwich in direzione est. Inoltre, la Terra è divisa in 20 fasce di ampiezza di 8° di latitudine e ogni fascia è individuata da una lettera crescente a partire da sud e si inizia dalla C. Dall’intersezione dei 60 fusi e le 20 fasce si generano 1200 zone del sistema UTM ognuna individuata in modo univoco da un numero e da una lettera. Si tratta di proiezioni equivalenti e conformi. DEBORAH MEDICI 84 Marino di Tiro misurò per primo la latitudine e la longitudine in gradi d’arco sessagesimali eliminando così l’incertezza nelle misure dovute all’unità di misura considerata. Fu sempre lui a definire la prima proiezione cartografica, quella cilindrica equidistante. Tolomeo, geografo e famoso astronomo, opera ad Alessandria d’Egitto nel II secolo d.C. Nonostante fu conosciuto più come astronomo che come geografo, per quanto riguarda la geografia si propose di integrare e correggere le carte di Marino di Tiro. Nella sua opera “Introduzione alla geografia”, incluse un mappamondo in proiezione conica semplice, con indicazioni dei valori della longitudine e latitudine e carte di singole regioni in proiezione piana rettangolare. L’opera non è una descrizione del mondo, ma tratta in modo diverso la descrizione del mondo, interpreta la geografia come delineazione grafica del mondo. Anche se le carte di Tolomeo confermano i progressi fatti riguardo alla conoscenza del mondo di allora e dei procedimenti geometrici per rappresentarla, la sua opera si basava su una sbagliata valutazione per gran parte delle località per quanto riguarda la lunghezza del grado di meridiano e quindi delle coordinate geografiche. Utilizzo imprecise misure di distanze che gli fecero attribuire al mediterraneo e all’ecumene un’estensione in longitudine molto maggiore a quella reale. Con Tolomeo si arrestano i progressi della cartografia antica, anzi ci fu una netta regressione rispetto alla cartografia greca e romana in epoca medievale. CARTOGRAFIA MEDIEVALE Nella cattedrale di Padova è presente un affresco dove viene raffigurata la creazione del mondo in una prospettiva geocentrica con segni e simboli che rimandano alla cultura medievale. Il maggior numero delle carte medievali anteriore al Trecento è stato realizzato dai monaci esse sono anche contenute nelle opere di scrittori latini (classici o tardi) e in scritti teologici o religiosi. Nei secoli dopo Cristo le rappresentazioni cartografiche e le idee cosmografiche, perlopiù desunte dalla Bibbia e da alcuni scrittori cristiani, sono caratterizzate dal posizionamento preminente di Gerusalemme rispetto al mondo abitato e all’orientamento a est. Sono carte in cui l’Ecumene si riduce e si popola di personaggi fantastici (Adamo ed Eva). Gran parte delle figurazioni cartografiche di età compresa tra gli ultimi secoli dell’Impero romano e il XIV secolo sono mappamondi perlopiù schematici e in cui le raffigurazioni sono spesso così deformate da far pensare che il nome “carta” non sia idoneo. Tre sono i mappamondi medioevali tipici: ● Mappamondi a T: le terre si trovano in una circonferenza, hanno un anello periferico di acque a rappresentare l’oceano che circonda le terre emerse. Questa circonferenza è tripartita da due fasce di acque, una verticale da nord a sud e una orizzontale da ovest a est che però taglia la circonferenza solo a metà, in modo da richiamare la figura a T. La carta è orientata con l’Oriente in alto rispetto all’osservatore; quindi, a nord c’è l’Asia con estensione doppia rispetto a Europa e Africa divise dal semidiametro rappresentate il Mediterraneo. La fascia diametrale da sinistra a destra figura l’allineamento ritenuto sullo stesso meridiano del fiume Don, del Mar DEBORAH MEDICI 85 Nero, dell’Egeo e del Nilo. Quasi al centro è situata Gerusalemme ed è un’indicazione degli intenti religiosi e mistici dei compilatori dei mappamondi in parecchi dei quali compare a oriente il paradiso terrestre. ● Mappamondi a zone climatiche nei quali dentro un cerchio compare la suddivisione in zone climatiche, elaborata dagli antichi, a volte accompagnata dall’indicazione delle terre abitabili nell’emisfero boreale e terre inabitabili nell’emisfero australe; ● Commistione tra le due tipologie precedenti: a questa tipologia appartengono i cosiddetti mappamondi del Beato, questi ultimi derivati da un prototipo dell’VIII secolo (quello del Beato di Liebana dell’VIII secolo). Il loro contorno può essere circolare o ovale, il disegno e i particolari possono variare e si accrescono negli esemplari più tardi. Altri mappamondi che prendono il nome dai luoghi in cui sono stati rinvenuti e di cui non si può non fare cenno sono: DEBORAH MEDICI 86 ● Mappamondo di Ebstorf del 1230-1250: fu trovato vicino ad Hannover ed è l’apice dei mappamondi a T. Purtroppo come molta cartografia dell’antichità è andata distrutto nel 1943, aveva un diametro di 3 metri e mezzo ed era una ricchissima miniatura con abbondanza di vignette di varia provenienza e ispirazione. Molto probabilmente serviva di decorazione ad un altare. Gli intenti e la destinazione di uso appaiono manifesti e peculiari del clima etico e culturale della produzione cartografica e delle concezioni geografiche del Medioevo, laddove l’Est figura in alto simboleggiato dalla testa del Cristo Pantocratore che fisicamente domina e abbraccia il Mondo intero. La ricca iconografia trova le sue fonti nella Bibbia, nella storia dell’Antichità e nella storia leggendaria. ● Mappa di Hereford del 1270-1290: è ancora conservata nella cattedrale della cittadina da cui prende nome, nell’Inghilterra meridionale. Ha un diametro di un metro e mezzo. Anche qui è evidente l’ispirazione mistico- religiose ed ha importanza notevole la Palestina e quindi Gerusalemme. DEBORAH MEDICI 89 una migliore lettura del paesaggio. Le informazioni ricavate dalla fotografia vengono poi riportate sulla carta: utilizzando i simboli cartografici opportuni, si arriva alla rappresentazione grafica del territorio. CARTOGRAFIA CONTEMPORANEA Gli straordinari progressi tecnologici e scientifici registrati nel corso del Novecento, infatti, hanno portato ad un avanzamento della conoscenza della superficie terrestre e della sua cartografia. Dopo il 1950, alla classica triangolazione permessa dagli strumenti classici, si è affiancata la trilaterazione permessa dal radar, con la quale è possibile misurare i lati di una rete di rilevamento nell’ordine di centinaia di chilometri. Solo di recente è stato reso possibile il telerilevamento, ossia un rilevamento dallo spazio con risultati straordinariamente precisi e minuziosi che si attua attraverso una triangolazione tra satellite e stazione a terra. Oggi è possibile una distribuzione e fruizione dei dati cartografici ampia e di facile accesso per via etere. Grazie a questi progressi si è sviluppata la cartografia elettronica. Pensiamo, ancora, ai navigatori satellitari posizionati nelle autovetture o alla produzione cartografica a grande e grandissima scala usata per il governo del territorio e piani urbanistici. Attraverso il sistema di carte e archivi dati georeferenziati rappresentati dai GIS (Geographical Information System) i tecnici, ma non solo, possono avere con facilità le informazioni ed elaborarle per un corretto intervento sul territorio. DEBORAH MEDICI 90 MODULO 4 – GEOGRAFIA EUROPEA ETIMOLOGIA L’origine del nome Europa risale all’antica Mesopotamia, quando era utilizzato per indicare la parte di terre a occidente, dove il sole tramontava, in contrapposizione all’Asia, dove il sole sorgeva, quindi ad oriente. Nella mitologia greca invece, Europa era la figlia di Agenore, re di Tiro, un’antica città fenicia, ed era la donna di cui Zeus si innamorò. Fu poi Erodoto, nel V secolo a.C. a indicare con il nome Europa una specifica parte della Grecia continentale, a nord del Peloponneso, che nel corso del tempo andò a inglobare sempre più territori fino ad arrivare al confine orientale con l’Asia. La cosa interessante è che con questo termine i greci non indicavano soltanto il territorio fisico, ma una vera e propria cultura, un modo di vivere e quindi un’organizzazione sociale ben determinata, cioè la democrazia. Questo territorio era in netta contrapposizione con l’Asia, che per i greci era l’emblema della tirannide persiana. DEBORAH MEDICI 91 GEOGRAFIA FISICA DELL’EUROPA Gli elementi che andremo ad analizzare sono: confini, acque oceaniche, acque continentali, climi e biomi. CONFINI Guardando una carta geografica è osservabile che l’Europa e l’Asia non sono nettamente separate, anzi da un punto di vista fisico l’Europa può essere considerata una penisola del continente euroasiatico o Eurasia, di cui l’Europa occupa 1/5. Il confine dell’Europa è comunemente stabilito lungo una linea che segue la catena dei monti Urali e costeggia il Mar Caspio e il Mar Nero, mentre i mari che la bagnano sono: l’Oceano Atlantico, il Mar Glaciale Artico, il Mar di Norvegia, il Mar Baltico, il Mare del Nord, il Mar Mediterraneo e il Mar Nero. Questo confine non è accettato da tutti, infatti bisogna tenere conto che la distinzione come continente è legata più che alla geografia fisica, alla storia e alla cultura diversa tra Europa e Asia. Ci sono infatti alcuni territori che fisicamente non dovrebbero essere compresi nel continente, ma che lo sono in quanto legati da affinità storico-sociale-linguistiche come, ad esempio, l’Islanda e i territori delle Azzorre di Madeira (Portogallo). DEBORAH MEDICI 94 afflusso di acque a Venezia che viene colpita da una marea eccezionale che può arrivare a circa 140cm. Per fortuna si verifica di solito una volta ogni tre anni circa. Per quanto riguarda le correnti invece, è di fondamentale importanza la Corrente del Golfo del Messico che va a determinare il clima mite di alcuni paesi posti ad alte latitudini. Si tratta di un’importante corrente calda che, come dice il nome, nasce nel Golfo del Messico e attraversa diagonalmente l’Oceano Atlantico andando a toccare le coste della penisola iberica, della Francia, delle isole britanniche e della Scandinavia dando loro una temperatura media annua maggiore di quella di regioni dell’America del Nord poste sulla stessa latitudine. Negli ultimi anni c’è una preoccupazione generale perché si teme che il riscaldamento globale e quindi l’incremento della piovosità e lo scioglimento della calotta polare nelle zone artiche possano introdurre nei mari settentrionale una grande quantità di acque dolce fredda capace di indebolire la corrente calda del Golfo, oppure di fermarla o farle cambiare direzione. ACQUE CONTINENTALI I fiumi europei possono essere raggruppati in tre versanti in base a dove sfociano: ● Versante atlantico: è il più grande del continente europeo e ci confluiscono i fiumi che scorrono in direzione nord-ovest. Si tratta di fiumi ricchi d’acqua per tutto l’anno grazie alle frequenti piogge del clima continentale e sono caratterizzati da una debole pendenza e di conseguenza uno scarso trasporto di sedimenti. Molti di questi fiumi sono navigabili, tra cui il Reno, che rappresenta una delle vie d’acque interne più trafficate del pianeta, e poi troviamo il Tamigi in Inghilterra, il Tago nella penisola iberica, la Senna e la Loira in Francia, l’Elba in Germania e il Vistola in Polonia. ● Versante caspico: comprende i fiumi che si gettano nel Mar Caspio, tra cui il Volga, che è il fiume più lungo d’Europa e per grandi tratti navigabile. Oltre a questo, c’è l’Ural che tradizionalmente segna il confine tra Europa e Asia. ● Versante mediterraneo: comprende fiumi che scorrono verso sud per gettarsi nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Nascono in genere da monti vicini al mare, quindi sono brevi, ma con una forte pendenza che permette il trasporto dei detriti. Si alternano periodi di piena, soprattutto in Primavera e in Autunno in cui sono più frequenti le precipitazioni, a periodi di magra, di solito in estate. La loro foce spesso si allarga a delta a causa dei sedimenti che vanno a trasportare. Tra i fiumi più importanti abbiamo l’Ebro in Spagna, il Rodano in Francia e il Po’. Il Mar Nero invece raccoglie i corsi d’acqua più lunghi che attraversano le grandi pianure e sono spesse gelati in inverno ed entrano in piena in primavera/estate durante il disgelo. Tra i principali c’è il Don, il Danubio (secondo fiume europeo per lunghezza, tocca nove stati). I laghi europei più importanti sono perlopiù di origine glaciale, quindi scavati dai ghiacciai, e possono essere piccoli e tondi di circo; quindi, scavati nella zona iniziale del ghiacciaio, oppure di forma allungata, in quanto occupano i solchi scavati dai ghiacciai nella loro discesa. I laghi glaciali più grandi d’Europa sono Ladoga e Onega, in Russia. Ovviamente ci sono anche laghi di origine tettonica e qui in Europa troviamo proprio quello più grande al mondo, il Mar Caspio. DEBORAH MEDICI 95 In passato, ci sono stati momenti in cui i ghiacciai coprivano gran parte dell’Europa, cosa che ha segnato molto il paesaggio, tant’è che ne troviamo ancora traccia (morene, laghi glaciali). Ad oggi, i ghiacciai sono concentrati in Islanda, dove c’è il più grande d’Europa, nelle Alpi Scandinave e nelle Alpi. MORFOGRAFIA E MORFOGENESI Per quanto riguarda i rilievi, la morfogenesi d’Europa può essere divisa in quattro fasce (in linea generale nel nord Europa ci sono i rilievi più antichi, mentre nel sud quelli più recenti): ● Montagne giovani (100 milioni di anni fa): si sono formate a causa dello scontro tra la placca euroasiatica e quella africana (in atto ancora oggi) e sono: Alpi, Appennini, Pirenei, Balcani, Carpazi, Caucaso. ● Montagne intermedie (300-400 milioni di anni fa): sono montagne su cui l’erosione ha effettuato un’azione di “arrotondamento”, quindi sono meno aguzze. Si tratta di: Massiccio Centrale, Urali e alcune montagne della Sardegna e della Spagna. ● Montagne antiche (500 milioni di anni fa): si sono create a causa dello scontro tra le placche tettoniche che oggi formano l’Europa e l’America. Qui l’erosione ha agito ancora di più, spianando le montagne. ● Montagne antichissime (500+ milioni di anni fa): queste montagne sono ormai delle enormi pianure, in quanto completamente erose nel tempo. Si trovano nel nord-est europeo e rappresentano le zone più geologicamente stabile d’Europa. CLIMA E BIOMA L’Europa si trova nella fascia climatica temperata ma esistono una grande varietà di climi a causa (o per merito) di fattori climatici terrestri, quali la vicinanza al mare e la presenza di rilievi, e di elementi climatici, come la direzione dei venti. Abbiamo quindi una grande varietà di climi e paesaggi, e, di conseguenza, diversi biomi che col clima si vanno a creare. Un bioma è una porzione di biosfera estesa su un ampio spazio caratterizzato da condizioni simili e da specifiche comunità animali e vegetali. ● Clima freddo della tundra (bioma della tundra): si trova ad alte latitudini, nei paesi del circolo polare artico, quindi nord della penisola scandinava e nord dell’Islanda. Si trova un clima freddo tutto l’anno, con una temperatura media sempre inferiore ai 10°C. Le precipitazioni sono scarse e perlopiù nevose. Il suolo presenta sempre acqua ghiacciata che solo nei periodi più caldi dell’anno si scioglie e crea degli acquitrini. La flora tipica è composta da muschi e licheni, alberi del tutto assenti. La fauna presenta come animali DEBORAH MEDICI 96 caratteristici lupi, ghiottoni, alci e renne. ● Clima boreale (bioma della taiga): a livello geografico si trova subito sotto la fascia trattata in precedenza, ma non sono incluse le cose dove c’è un altro tipo di clima. Il clima della taiga è un clima continentale assenza di stagione arida, con inverno molto freddo ed estate breve e fresca (solo per circa quattro mesi si hanno più di 10°C). La flora tipica è composta da abeti, pini, piante perenne sempreverdi resistenti al gelo che credono per 3-5 mesi all’anno. La fauna tipica è composta da orso bruno, alce, renna, castoro, lince, ghiottone, gallo cedrone e per gli uccelli roncolino e civette. ● Clima temperato fresco continentale: si tratta di un clima simile a quello della taiga ma meno freddo; infatti, per più di 4 mesi abbiamo più di 10°C. La flora è composta da piante sempreverdi e caducifoglie. Geograficamente è localizzato delle zone interne dell’Europa. ● Clima secco della steppa: ha precipitazioni scarse e temperature basse (media annuale inferiore ai 18°C). La flora tipica è la steppa.
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