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Geografia umana riassunto del libro, Schemi e mappe concettuali di Geografia

Riassunto del libro di geografia umana, ottima sintesi per chi non ha tempo di farsi tutto il libro

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 18/05/2023

Natasha.10
Natasha.10 🇮🇹

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Scarica Geografia umana riassunto del libro e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Geografia solo su Docsity! 1 CAPITOLO 1: SPAZIO GEOGRAFICO E SPAZIO ECONOMICO Le relazioni geografico-spaziali e l’organizzazione del territorio. La geografia si occupa non tanto di singoli oggetti (fiumi, città, prodotti), quanto delle relazioni che legano tra di loro tali oggetti sulla superficie della Terra, ovvero lo . Se dallo Spazio Spazio geografico geografico isoliamo le relazioni che riguardano l’economia otteniamo lo Spazio Economico. Esistono due tipi di relazioni: Le relazioni orizzontali o interazioni spaziali riguardano le relazioni di scambio e di circolazione (di merci, denaro, servizi, informazioni) tra i diversi luoghi della Terra. La loro funzione consiste dunque nella comunicazione e lo scambio. Le relazioni verticali o ecologiche consistono in tutte quelle operazioni che servono per produrre e comprendono tutte le operazioni che vanno dal rapporto diretto con la natura al prodotto finito. Si tratta quindi di connessioni tra i soggetti economici e le caratteristiche ambientali dei vari luoghi. Si tratta ovviamente di due tipi di relazioni che sono sempre contemporaneamente presenti: la produzione infatti richiede comunicazione e la comunicazione ha la sua prima ragion d’essere nella produzione. L’insieme delle relazioni verticali e orizzontali e degli oggetti e soggetti che tali relazioni legano tra loro e al suolo prende il nome di ( territorio struttura territoriale). Diverse strutture territoriali legate tra loro da relazioni orizzontali formano un’organizzazione territoriale. (Ad esempio la tecnopoli fornisce robot all’industria costiera, l’industria costiera fornisce leghe per la costruzione dei robot alla tecnopoli ecc.) Poiché l’economia di un territorio dipende dall’ordine spaziale della produzione e degli scambi, le strutture territoriali e la loro organizzazione sono quindi l’oggetto principale della geografia economica. Nell’analizzarle vengono considerati tre ordini di fatti: • Le differenti condizioni naturali dei vari luoghi; • Le condizioni ereditate dal passato siano esse materiali (rete delle città, vie di comunicazione..) che sociali, culturali ed economiche; • L’organizzazione attuale: sociale politica e amministrativa. I primi due fattori sono oggettivi mentre il terzo deriva dall'azione dei soggetti. Secondo la teoria del determinismo geografico ci si può limitare ai primi due fattori per determinare l'organizzazione di un territorio. A questa teoria ha fatto seguito quella del : un territorio fornisce possibilismo geografico una serie di possibilità di sviluppo e di organizzazione territoriale che i soggetti hanno la facoltà di sfruttare. Si arrivò in seguito a un secondo cui il cammino di sviluppo di ogni determinismo storico territorio sarebbe condizionato dalle caratteristiche assunte nelle precedenti fasi storiche. Il valore economico del territorio. Nelle società pre-mercantili e pre-industriali il valore del territorio dipendeva dalla sua attitudine a soddisfare i consumi locali come i bisogni primari. Quando tali bisogni erano soddisfatti non aveva importanza se il terreno poteva produrre di più o di meno o con maggiore o minore impiego di lavoro. Non aveva un valore economico e non era considerato come un bene che si potesse vendere o 7 0 2 acquistare. Questa possibilità spinse chi poteva coltivare un terreno adatto a produrre più del necessario per accumulare denaro all’acquisto di nuovi terreni al fine di produrre altra merce da vendere e ottenere altro denaro e così via. Solo con l’inizio della società capitalistica, e con la possibilità di vendere prodotti e accumulare capitale, il terreno cominciò ad avere un valore di scambio, che a sua volta dipendeva dalla posizione rispetto al mercato di sbocco dei prodotti. Anche la coltivazione è legata al valore commerciale del suolo. Per questi motivi, un’azienda agricola situata nei pressi di una grande città può avere convenienza a produrre in modo intensivo delle merci che devono essere vendute rapidamente sul mercato urbano. I limiti vennero superati quando questo metodo venne applicato all’industria. La concentrazione spaziale del lavoro si spiega con la necessità di accrescere la produttività dei fattori impiegati. Poiché in un’economia di mercato, l’imprenditore capitalista acquista alla fonte una certa quantità di fattori produttivi pagandola secondo prezzi stabiliti dal mercato, e deve produrre merci il cui prezzo è di nuovo stabilito dal mercato, la sua possibilità di ottenere profitti dipende dunque da come egli impiega i fattori produttivi. I costi infatti decrescono se il lavoro viene diviso in tante operazioni ripetitive affidate a lavoratori diversi. Concentrando quindi lavoro e macchine in grandi stabilimenti si ottengono vantaggi, detti . economie di scala Chi invece necessita di molta manodopera anche non qualificata potrà localizzare la sua produzione là dove il costo del lavoro è più basso: è ciò che avviene con la delocalizzazione di molte lavorazioni nei Paesi del sud del mondo. Economie esterne e infrastrutture. I vantaggi che l’imprenditore ottiene con la localizzazione delle sue attività economiche nel luogo in cui si trova l’impresa, se sono favorevoli vengono definite in economie esterne o esternalità positive quanto effetti utili che la singola impresa può ricevere dall’esterno mentre al contrario si chiamano diseconomie esterne esternalità negative o . Fu Marshall nel 1890 a coniare il termine di economie esterne. Effetto collaterale del mercato sono le economie di agglomerazione, cioè incrementi di produttività che le imprese realizzano concentrandosi in certe aree, generando quindi e risparmi di economie di scala costi e creando vantaggi ovvero esternalità positive , così il meccanismo agglomerativo si autoalimenta (Azienda FIAT). Nei fatti le economie di agglomerazione sono solo una componente della più vasta famiglia di economie esterne dette di urbanizzazione, le quali derivano principalmente da: • opere di urbanizzazione primaria, strade, fognature, acqua che consentono l’insediamento delle imprese • facilità di scambi (di merci di informazioni e servizi) • formazione con una maggiore differenziazione della forza lavoro utile per l’impresa • presenza di servizi pubblici necessari per la formazione e riproduzione della forza lavoro (case popolari, scuola, sanità) • sviluppo parallelo dei servizi privati per le famiglie e di servizi per le imprese Definizione di e tipologie infrastruttura Si intendono tutte le condizioni generali della produzione e dello scambio, realizzate sul territorio mediante spesa pubblica. Si possono dividere in: 1) Infrastrutture materiali o tecniche, impianti ferroviari, stradali, porti, elettrodotti, telecomunicazione 2) Infrastrutture sociali, servizi sociali quali quelli scolastici e sanitari 7 0 5 Lo sviluppo locale è anche globale. Nella fase odierna della globalizzazione, la competizione tra i luoghi indotta da questa tende a frammentare i vari territori, regioni e città, che per reagire a questa frammentazione devono creare al loro interno una rete di relazioni cooperative più forti di quelle che spingono i loro soggetti a collegarsi con l’esterno. Le reti globali hanno bisogno dei sistemi locali. I soggetti locali possono svolgere una funzione di intermediazione attiva tra il milieu locale e le reti globali, in particolare ciò avviene quando si comportano come attore collettivo e formano una rete locale (es i distretti industriali in cui una rete di imprenditori, operai, artigiani, ecc è sostenuta da adeguate infrastrutture fisiche e organizzative). Si parla quindi di sviluppo locale in quanto l’imprenditore o l’investitore riesce a creare nuove esternalità. 7 0 6 CAPITOLO 2: IL SISTEMA MONDO Globalizzazione. Con globalizzazione si intendono una serie di processi che hanno determinato e determinano profondi mutamenti nelle relazioni umane e geografiche che si espandono e interconnettono luoghi un tempo separati da enormi distanze; si è sempre più interconnessi in reti e sistemi di portata globale. Dal punto di vista geografico, è un cambiamento di scala nell’organizzazione di molti fenomeni: i problemi ambientali, economici o geopolitici appaiono sempre meno come fatti ; infatti, la locali globalizzazione, tende a ridurre la distanza in quanto fatti che prendono forma dall’altra parte del pianeta si possono ripercuotere sulla nostra quotidianità. Si intende oggi la globalizzazione come ampliamento, intensificazione, accelerazione delle relazioni fra soggetti localizzati in differenti aree del mondo. Non in tutti i paesi la globalizzazione avviene alla stessa velocità e dà la stessa risposta positiva o negativa; i divari nel mondo ne sono un risultato. Poiché è un processo in costruzione, è possibile formulare ipotesi sulla sua evoluzione e immaginare futuri alternativi: fenomeni come il neoliberismo, la privatizzazione dei servizi pubblici, sono il risultato di scelte politiche ed economiche. Il neoliberismo è una corrente politica e socio-economica che si basa sull’idea che le forze del mercato siano da sole in grado di generare crescita economica e sviluppo sociale equo, attraverso la deregolamentazione del mercato, la privatizzazione dei servizi pubblici, la riduzione delle tasse, in modo da limitare l’ingerenza dello Stato negli affari privati. Ciò ha spesso determinato situazioni di esclusione sociale e povertà, tuttavia ha permesso a soggetti stranieri di espandere i propri interessi economici in altre aree del mondo. La globalizzazione ha effetti su tutte le attività umane. Dati evidenti sono dati dalla: -Globalizzazione del sapere scientifico-tecnologico: dipendenza dalle innovazioni tecnologiche che non posso essere gestite da un solo paese ma sono frutto di una cooperazione internazionale; si forma un sapere tecnologico-scientifico globale a cui ogni impresa attingerà per realizzare quei prodotti e quei processi innovativi che la renderanno più competitiva. -Globalizzazione ambientale: nota anche come global change (cap.3). La sua manifestazione più macroscopica è “l’effetto serra” che porta a vari squilibri climatici; -Globalizzazione culturale: in cui si assiste a fenomeni di omologazione dovuti da una parte alla mondializzazione dei media e dall’altro alla scomparsa dei modi di vita e di produzione locali, che porta alla perdita di tradizioni, lingua, dialetti ecc. -Globalizzazione geopolitica: che consiste nel crescente e immediato controllo degli avvenimenti politici e nella capacità delle grandi potenze di intervenire militarmente in qualunque momento in ogni parte del pianeta; si assiste però al moltiplicarsi di conflitti locali e alla proliferazione di armamenti soprattutto nucleari che rende problematico un effettivo controllo del sistema mondiale. Il processo di globalizzazione è molto avanzato in certi settori e carente in altri (mercato del lavoro). 7 0 7 L’idea di un sistema-mondo e la vecchia divisione internazionale del lavoro. Sebbene il dibattito sulla globalizzazione sia antico, la formulazione scientifica di modelli e dibattiti critici è avvenuta tardi. Dagli anni ’60 si diffuse l’idea di divisione internazionale del lavoro relativa alla distribuzione delle attività economiche e produttive nello spazio mondiale. Secondo la vecchia divisione internazionale del lavoro, i singoli paesi erano specializzati in specifici ambiti dell'economia. In particolare i paesi del Nord comprendevano la maggioranza delle industrie mondiali, mentre quelli del Sud erano esportatori di materie prime. Wallerstein utilizza una metafora cara all’analisi marxista e distingue tre spazialità che può assumere il capitalismo a livello mondiale (nel sistema-mondo):  un centro dell'economia mondiale (i Paesi dominanti);  una periferia marginalizzata e subordinata al centro;  una semiperiferia posta a livello intermedio con le aree industrializzate più recentemente. Questa linea di pensiero sposta la responsabilità del sottosviluppo dai singoli Paesi al sistema economico. La nuova divisione internazionale del lavoro. Intorno agli anni '80 ha preso piede una divisione internazionale del lavoro, grazie alla nuova segmentazione dei processi produttivi, che ha permesso di trasferire singoli fasi di tali processi dai paesi del Nord a quelli del Sud del mondo. Ciò è stato possibile in virtù di 3 fattori: • la presenza di un bacino di lavoratori industriali di livello globale. Ciò grazie alla rivoluzione verde che ha permesso a molte persone del Sud del mondo di lasciare una vita di pura sussistenza per diventare fattore-lavoro; • la possibilità di frammentare i processi produttivi grazie all’introduzione di nuove tecnologie; • l'esistenza di reti di comunicazione efficienti. Un ruolo importante è giocato dalle multinazionali, che operano esse stesse una divisione del lavoro in virtù delle opportunità di localizzare un'attività in un luogo piuttosto che in un'altra. Anche le (termine che si riferisce alle varie fasi e attività industriali o di servizio che filiere produttive comprendono la produzione e commercializzazione di un bene) diventano transnazionali, così ogni prodotto è il risultato di fasi industriali localizzate in molti luoghi. Flussi e reti. Le dinamiche della globalizzazione hanno mutato flussi e strutture dell’economia, a partire dalla specializzazione nell’esportazione di beni primari da parte di Paesi del sud del mondo, che si è spostata dai tradizionali beni (materie prime, prodotti agricoli e minerari) verso i prodotti manifatturieri. Per quanto riguarda la distribuzione dei maggiori flussi commerciali, le esportazioni sono destinate soprattutto all’UE e agli USA; le importazioni provengono dall’UE e un po’ meno dagli USA. Dal confronto fra importazioni ed esportazioni emerge come da un lato vi sia un mercato dei consumi sempre più globale mentre le esportazioni testimoniano ruoli differenziati nella partecipazione ai circuiti economici globali. La struttura del commercio mondiale inoltre si caratterizza per la quasi totale mancanza di relazioni fra i Paesi del Sud del mondo e all’interno delle regioni latino-americana, africana e mediorientale. 7 0 10 L’effetto serra e il global warming. E’ chiamato quel fenomeno naturale per cui i gas dell’atmosfera faeffetto serra nno salire la temperatura media della Terra intorno al valore di 15°C. Ma un aumento eccessivo di tali gas (85% è CO2) può far aumentare l’effetto serra e far salire la temperatura terrestre, modificando il clima. Le conseguenze dell'effetto serra sono state studiate dall'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) che ha elaborato alcuni scenari catastrofici futuri, come la deviazione delle correnti marine, l'aumento dei fenomeni estremi e la fusione dei ghiacci polari. Tuttavia alcuni studiosi contestano all'IPCC di aver preso in considerazione un periodo di tempo troppo breve, in quanto fenomeni di surriscaldamento terrestre si sono verificati anche in assenza dell'uomo. Altri invece affermano che non sono stati presi in considerazione alcuni fenomeni che incidono sul global warming nel breve termine, come le variazioni cicliche delle correnti marine. L’economia e il problema ambientale. Il problema principale è legato alle risorse rinnovabili ma anche le risorse rinnovabili sono in pericolo, per colpa dell’aumento dei consumi, degli sprechi e degli inquinamenti. Sono coinvolti non solo i Paesi ricchi ma l’intero geosistema. Il problema nasce dalla diversa scala temporale degli eventi legati ai tempi economici e di quelli legati ai tempi geologici. In un sistema economico, infatti, i risultati dipendono dalla produttività dei fattori, cioè dal rapporto tra quantità dei beni e servizi prodotti e quantità dei fattori impiegati: . Poiché il terra, lavoro, capitale capitale si forma anch’esso nel processo produttivo, i fattori originari sono la terra e il lavoro. Per fattore terra si intendono l’insieme delle risorse e delle condizioni naturali, tutto ciò che il sistema economico riceve dal geosistema, eccetto il lavoro umano. Quest’ultimo è considerato un fattore particolare, a sé stante, in quanto erogato dagli stessi soggetti a vantaggio dei quali si svolge tutto il processo produttivo. Ciò che sfugge è il fatto che gli uomini, accrescendo la produttività del loro lavoro, hanno ridotto anche la produttività del fattore terra, soprattutto dopo la rivoluzione industriale e ad oggi il sistema economico non è in grado di riequilibrare questa progressiva perdita. L’impronta ecologica. Il consumo di risorse è molto diseguale tra i vari paesi a livello mondiale. Il maggior consumo è imputabile ai paesi più industrializzati e più ricchi. Le differenze sono messe in evidenza da un indicatore denominato “ ” cioè viene calcolata l’area del fattore terra ovvero di terra impronta ecologica produttiva e di mare necessaria per produrre tutte le risorse che consuma ciascun paese e per assorbirne i rifiuti che produce; si aggiungono le importazioni e si sottraggono le esportazioni. Il risultato, diviso per il numero di abitanti del paese fornisce l’impronta ecologica media di quella popolazione. 7 0 11 Lo sviluppo sostenibile. Per “ ” (termine utilizzato in forma ufficiale dal rapporto Brundtland ‘92) si intende Sviluppo sostenibile uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Si basa su due principi: la soddisfazione dei bisogni mondiale e le responsabilità verso i posteri. Sono 3 i principi: che consiste nel mantenere integrità dell’ecosistema il geosistema e gli ecosistemi integri evitando le alterazioni irreversibili; efficienza economica garantendo il massimo della produzione e di consumi compatibili con gli equilibri ecologici; equità sociale intra-generazionale che va riferita a due scale temporali, quella (all’interno di ogni comunità umana in un determinato momento storico) e inter-generazionale (riferito alle generazioni future): nella prima consiste nella possibilità di accedere alle risorse come equa distruzione dei redditi, come diritto di ogni persona alla propria cultura, religione ecc; nella seconda consiste nell’operare senza precludere alla generazioni future la fruizione dell’ecosistema e delle sue risorse nei modi in cui ne fruiscono le generazioni di oggi. Vi sono vari aspetti di sostenibilità: quella ovvero la difesa ambientale dell’ambiente da inquinamenti, desertificazioni, riducendo rifiuti, sprechi ecc; quella economica dando particolare attenzione alla gestione delle risorse non rinnovabili ecc.; quella demografica mantenendo una qualità di vita accettabile; quella sociale per quanto riguarda l’aspetto della valorizzazione delle risorse umane e della regolazione dei conflitti; quella geografica evitando squilibri nella distribuzione della popolazione, di insediamenti umani e di attività economiche ecc.; e quella culturale nella quale le particolarità locali vanno preservate in quanto luoghi di identità e serbatoi di “diversità”. Gli interventi a livello globale. Tra gli interventi a livello globale ricordiamo: • La conferenza di Stoccolma (1972): vide la contrapposizione tra paesi poveri e ricchi nella trattazione del problema dell’inquinamento e si risolse con la prevalenza del concetto della riparazione, piuttosto che della prevenzione; • La conferenza di Rio de Janeiro (1992): i paesi più ricchi si impegnarono a finanziare quelli più poveri a patto che questi intraprendessero delle misure per la sostenibilità ambientale. Venne stilata l'agenda 21 che comprendeva i problemi riguardanti l’ambiente sui quali bisognava agire e le possibili soluzioni. • La conferenza della Convenzione sul Clima a Kyoto (1997): prevedeva la riduzione delle emissioni di CO2 del 5,2% entro il 2012; • La conferenza di Bali (2007): si discussero i risultati di Kyoto mettendo in evidenza che molti Paesi faticavano a raggiungere gli obiettivi programmati; • La conferenza di Copenaghen (2009): si concluse con un documento generico che non prevedeva nessun impegno preciso per i Paesi; si pianificava il contenimento dell'aumento della temperatura entro i 2 gradi entro il 2050. 7 0 12 La green economy. I problemi ambientali, in quanto implicano la sopravvivenza dell’organizzazione economica, sociale e politica del pianeta, richiedono alle economie più ricche ed avanzate di modificare il proprio modello di sviluppo. A questa esigenza risponde il modello di sviluppo basato sulla “ ”, l’economia Green economy verde, che propone un nuovo tipo di rapporto tra le attività economiche e l’ecosistema naturale. Non si tratta soltanto di ridurre i consumi, ma di sviluppare un modo di produzione diverso. L’economia verde infatti prende in considerazione tutto l’impatto sull’ambiente della filiera produttiva e propone misure economiche, legislative, tecnologiche che riducano lo sfruttamento delle risorse naturali a livello mondiale, favorendo lo sviluppo delle risorse locali. Significa anche adottare uno stile di vita per noi stessi:evitare gli sprechi, usare meno l’automobile, acquistare prodotti locali ecc. La green economy è in grado di creare un’impresa più competitiva, prodotti più appetibili e maggiore occupazione. 7 0 15 Caratteristiche sociali della popolazione. Dal punto di vista della produttività del capitale umano, due caratteristiche della popolazione che hanno notevo le importanza sono la sanità e l’istruzione. Per quanto riguarda la esistono forti differenze tra paesi ricchi e paesi poveri; questo divario sanità nella metà del 20°secolo si è notevolmente ridotto; i tassi di mortalità infantile e neonatale si sono dimezzati. Ciò non toglie che esistano ampie zone, soprattutto nel continente africano, dove la situazione sanitaria è ancora precaria. Per quanto riguarda l’istruzione, invece, in una società moderna è richiesta a tutti per partecipare alla vita civile e politica, accedere ai servizi, inserirsi nel mondo del lavoro; perciò in tutti gli Stati esiste un livello di istruzione di base garantito dalla scuola pubblica. Non sempre l’accesso a questo servizio è possibile per l’intera popolazione soprattutto nel Sud del mondo dove il tasso di analfabetismo raggiunge anche l’80%. Poiché il progresso economico si basa sull’innovazione tecnologica e sull’aumento della produttività, legati al grado di istruzione, i paesi con fenomeni di analfabetismo soffrono di carenza di innovazione. Povertà e problema alimentare. La distribuzione geografica della povertà, secondo la FAO (Food & Agriculture Organization), interessa il 16% della popolazione mondiale e mette in evidenza forti squilibri tra i paesi ricchi dell’Europa e dell’America Settentrionale e quelli dell’Africa e dell’Asia meridionale. I paesi più poveri sono quelli in cui permangono le maggiori diversità di reddito, per cui accanto a pochi privilegiati con redditi alti, esiste una classe media generalmente poco numerosa e infine una massa di persone che vivono ai limiti della sussistenza. Una delle più gravi conseguenze dello squilibrio dei redditi tra i paesi del mondo, sono la fame e la malnutrizione. Benché dagli anni 70 la disponibilità degli alimenti sia aumentata, grazie al miglioramento delle tecniche agricole e alla varietà di cereali ad alte rese introdotte dalla rivoluzione verde, in alcuni paesi, soprattutto africani, la situazione di sottoalimentazione è peggiorata. Nei paesi del sud del mondo, la disponibilità di alimenti non è scarsa; tuttavia fame e malnutrizione sono presenti perché: • In ambiente rurale molti contadini vivono di agricoltura di sussistenza; vi sono troppe persone povere per acquistare gli alimenti; 30 milioni di persone soffrono di fame e carestie a causa di guerre. Il problema della fame è studiato dalla FAO attraverso il Programma Millenium Development, che si prefigge alcuni obiettivi da raggiungere entro il 2015: eliminare la povertà e la fame, garantire a tutti i bambini l’istruzione di base, promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne, ridurre la mortalità infantile, combattere l’AIDS, garantire la sostenibilità ambientale. 7 0 16 L’indice di sviluppo umano. L’ISU= indice di sviluppo umano (Human Development Index HDI) misura la qualità della vita nei singoli Paesi e viene calcolato annualmente dall’ONU; ha valori che vanno da 0 (min) 1(max) ed è il risultato della combinazione di 3 fattori: la speranza di vita alla nascita, l’alfabetizzazione degli adulti e il PIL pro capite cioè per abitante. è calcolato in funzione dello scarto tra il minimo e il massimo mondiale. Le regioni culturali. Una caratteristica per differenziare la popolazione è data dal tipo di cultura, cioè l’insieme di conoscenze, credenze religiose, abitudini, stili di vita di ogni popolazione. Storicamente queste culture si sono differenziate su base geografica e corrispondono a regioni culturali ovvero l’Europa, l’America anglosassone, l’America latina, l’area dell’Islam, l’Asia meridionale e orientale, l’Africa nera e l’Australia con l’Oceania. • Europa: caratterizzata da governi democratici, industrializzazione, medio-alto livello di vita; negli ultimi decenni luogo di forte immigrazione; • America anglosassone: colonizzata dagli inglesi, successivamente ha accolto altre popolazioni; • America latina con una condizione generale di marginalità economica; • L'area dell'Islam: caratterizzata da rivalità economiche e politiche; • Asia meridionale ed orientale: comprende poche aree industrializzate e molte ancora agricole; • Africa nera formata da Stati privi di unità etnica e sociale soggetti a contrasti interni e tribali; • Australia e Oceania dove convivono elementi di cultura del Paese colonizzatore (UK) e stili di vita e abitudini locali. 7 0 17 CAPITOLO 5: GLI SPAZI AGRICOLI. L’attività agricola. L’agricoltura, attualmente l’attività più diffusa sulla Terra, comprende le coltivazioni agricole, l’allevamento, l’economia forestale e la pesca. È un’attività di primaria importanza in quanto produce gli alimenti, indispensabili per la sopravvivenza degli uomini. Tuttavia la distribuzione delle coltivazioni nel mondo è irregolare: l’11,3% delle terre emerse è coltivato; il 24,3% è utilizzabile per il pascolo. Lo spazio coltivabile pro capite negli ultimi decenni si è ridotto a causa della diminuzione del suolo coltivabile e dell’aumento della popolazione mondiale. E’ comunque aumentata la produzione di tutti i beni agricoli ma vi sono alcune contraddizioni: innanzitutto le competizioni per l’uso dei prodotti e del suolo, in quanto una parte dei terreni agricoli inizia ad essere utilizzata non per scopi alimentari ma per produrre biocarburanti, inoltre le scelte di utilizzo del suolo variano tra produzioni biologiche o transgeniche oppure tra produzione di piantagione o di sussistenza. La necessità di ampliare la superficie coltivabile ha anche spinto vari Stati a ridurre le foreste, polmoni della Terra. Le condizioni ecologico-ambientali. L’agricoltura è legata a fattori fisici dell’ambiente, dunque le condizioni ecologico-ambientali naturali significative per l’agricoltura sono tre: clima, rilievo e qualità del terreno. Il clima e le acque: il periodo vegetativo medio mensile richiede 10°C e sono necessari almeno 250 mm di pioggia l’anno. Il suolo o terreno agrario se ricco di humus (sostanze organiche) è il più adatto alle coltivazioni. Il rilievo condiziona l’agricoltura per l’altitudine e la pendenza, favorevoli le zone pianeggianti o collinari o a terrazze. I diversi tipi di suolo insieme ai vari climi individuano grandi tipi di : regioni agricole naturali - equatoriali: clima caldo-umido, vegetazione utilizzata per il legname; - della savana: temperature elevate, alternanza di stagione secca e piovosa, monocoltura; - desertiche: aride, solo le oasi consentono l’agricoltura intensiva; - monsoniche: temperature elevate e forti precipitazioni, agricoltura intensiva e specializzata; - mediterranee: clima mite, produzioni che non necessitano di molta acqua; - temperate: clima temperato, agricoltura sia intensiva che estensiva; - della taiga e del freddo: zone di grandi boschi e poche coltivazioni in serre. 7 0 20 La rivoluzione verde. Realizzata sotto gli auspici della FAO, la rivoluzione verde consiste in un complesso di misure tese a intensificare la produzione agricola nei Paesi del Sud del mondo, attraverso la diffusione di nuove tecnologie, l’uso di concimi chimici, programmi di irrigazione e introduzione di nuove varietà di cereali ad alta resa produttiva, oltre all’uso di ormoni sintetici per uniformare le dimensioni dei vegetali e alla diffusione di fertilizzanti e pesticidi. Dal punto di vista sociale essa non ha portato vantaggi ai contadini ma piuttosto ai grandi e medi agricoltori in grado di adottare le innovazioni tecniche e di acquistare macchinari, fertilizzanti, si sono così intensificate la denutrizione e la migrazione dai campi verso le città. I risultati più significativi si sono avuti nella pianura indo-gangetica per l’introduzione del grano americano che ha ridotto il livello di sottoalimentazione. La rivoluzione verde ha applicato anche la motorizzazione all’irrigazione ma con effetti contradditori favorendo l’inaridimento delle falde superficiali. L’agricoltura di piantagione nei paesi del Sud del mondo. E’ praticata nelle regioni con clima tropicale umido come America centrale e Caraibica, Sud-Est Brasile, Asia sud orientale. E’ votata all’esportazione di prodotti coltivati in regioni monoculturali: - cacao: Africa; - caffè: America Latina; - caffè, zucchero, cacao: Brasile; - tè: Sri Lanka; - caucciù e palma da olio: Malaysia; - caca o: Costa d’Avorio. Impiega manodopera a basso costo e pochi macchinari, per cui è organizzata in modo intensivo e tradizionale. Il ruolo delle grandi imprese, fondamentale nella fornitura di nuovi strumenti produttivi e tecnologie nell’ambito della rivoluzione verde che ha interessato questi Paesi, ha avuto come conseguenza migrazioni su vasta scala e l’instaurazione di strette relazioni con i mercati di destinazione dei prodotti. L’agricoltura capitalistica dei grandi spazi. L’agricoltura capitalistica è: - caratterizzata dalla distanza tra luoghi di produzione e centri di consumo; - localizzata in ( Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda); regioni a clima temperato - ha carattere estensivo ed è scarsa la quantità di manodopera impiegata. Negli USA è entrata in uso la tecnica “ ”: tecnica di irrigazione dove si cerca di trattenere dry farming sui terreni la maggiore quantità di umidità e di acqua piovana, conquistando così vaste distese di terreni aridi. 7 0 21 L’impresa agroindustriale. Si è diffusa sia nell’agricoltura di piantagione del Sud del mondo che nelle regioni a sviluppo agricolo più moderne sempre del Sud. Essa prevede: - la stretta interazione fra agricoltura, industria e commercio alimentare, in quanto le imprese del settore controllano un ciclo produttivo completo, quindi tutta la filiera produttiva; - il dominio crescente dell’industria sull’agricoltura; - le realizzazione delle diverse fasi produttive all’interno di un’unica grande impresa. L’agricoltura commerciale contadina. E’ presente soprattutto nei Paesi ricchi e popolati, è un tipo di agricoltura intensiva condotta di solito a livello familiare. I prodotti sono destinati a mercati urbani, regionali o nazionali vicini ai luoghi di produzione. E’ anche caratterizzata dall’alto prezzo dei terreni e ciò si ripercuote in costi elevati del prodotto. 7 0 22 CAPITOLO 6: LA PRODUZIONE MINERARIA ED ENERGETICA Le materie prime minerarie. Le materie prime minerarie metallici, non metallici ed possono essere classificate in minerali energetici. I primi sono molto utilizzati nell'industria (ferro, zinco, piombo...); i secondi sono adoperati nell'industria, nell'edilizia e nell'agricoltura mentre i terzi sono il gas, il petrolio, il carbone e l'uranio. La loro distribuzione non è uniforme, così come esistono minerali estremamente comuni e minerali estremamente rari. Per si intende la quantità di minerali scoperti, di natura metallica e non, il cui volume risorse minerarie è stato stimato e il cui sfruttamento è economicamente e tecnologicamente possibile. Un materiale entra a far parte delle risorse soltanto quando acquista un’utilità economica e sociale. Le riserve comprendono invece solo quella parte delle risorse effettivamente disponibili, per le quali esistono cioè le condizioni tecnologiche, economiche e politiche per il loro immediato sfruttamento. Le riserve sono quindi una parte delle risorse. Il 40% dei giacimenti di materie prime si trova nei Paesi a economia avanzata, il 25% in Russia e Cina e il resto nei Paesi del Sud del mondo. Anche i consumi non sono uniformi. La maggior parte delle materie prime viene consumata dai paesi ricchi. La geografia mineraria può essere suddivisa in quattro grandi situazioni regionali di produzione e di consumo minerario: 1) L’Europa occidentale e il Giappone, regioni altamente consumatrici ma scarsamente dotate di materie prime, le cui principali aree di approvvigionamento sono rispettivamente l’Africa e l’area del Pacifico. 2) L’America settentrionale è un’area sia altamente consumatrice che esportatrice di taluni materiali. L’America meridionale rappresenta il maggior fornitore 3) Sino ad epoca recente la Russia e l’Est europeo costituivano un’area chiusa per gli scambi. Adesso le esportazioni russe sono rappresentate per il 70% da materie prime. 4) I paesi sottosviluppati, visti come esportatori, devono essere suddivisi al loro interno, poiché gran parte delle riserve è concentrata in un numero limitato di paesi fortemente dipendenti nei confronti dei paesi importatori. Il settore minerario. Lo sfruttamento di un giacimento dipende dal costo dell'estrazione, dalla quantità di materiale estratto, nonché dalla profondità e dalla presenza di linee di comunicazione efficienti. Dal dopoguerra i trasporti sono migliorati sia dal punto di vista tecnologico che delle quantità trasportate. Si assiste negli anni '60 allo sfruttamento di giacimenti nei paesi del Sud, dove le società di estrazione iniziano ad investire massicciamente. Si crea una corrente di scambi che collega i paesi produttori ai centri industriali statunitensi, europei ed in parte cinesi. L'effetto è stato quello di un ampliamento della superficie di estrazione ed un aumento della resa dei giacimenti. In una scala più ristretta queste attività influiscono notevolmente sull'organizzazione economico-sociale della regione interessata. 7 0 25 CAPITOLO 7: LE FILIERE INDUSTRIALI Le relazioni industriali. L’industria si riferisce al settore secondario, cioè l’insieme delle attività manifatturiere di trasformazione di prodotti primari (dell’agricoltura, minerari, forestali, dell’allevamento) in beni destinati al consumo. L’attività manifatturiera comprende 3 fasi: l’approvvigionamento,di svariate materie prime che vengono riunite in un determinato luogo e si procede alla loro trasformazione; la produzione ovvero la trasformazione delle materie prime in prodotto finito. Più lunga è questa fase, maggiore è la differenza tra materia prima e prodotto finito; questa differenza è chiamata valore aggiunto e comprende i salari corrisposti ai lavoratori, i macchinari acquistati, i costi generali di funzionamento; del bene prodotto sul mercato. la distribuzione Si hanno poi 3 diversi tipi di rapporti tecnico-funzionali nelle relazioni tra imprese all’interno di un ciclo produttivo: • verticali: quando più processi in successione contribuiscono in modo graduale alla creazione del prodotto finito; se i processi avvengono all'interno di un'unica impresa si parla di integrazione verticale, altrimenti di disintegrazione verticale; • laterali: quando più imprese producono in modo separato e parallelo dei componenti che poi convergono verso un'unica impresa finale di assemblaggio; • di servizio: quando le imprese utilizzano un processo o un servizio comune fornito in una determinata area. L'insieme di queste relazioni forma la , cioè una catena produttiva che genera valore. filiera L'attività industriale nello spazio geografico. I primi addensamenti industriali formatisi nel XVIII sec. si localizzarono vicino alle fonti di energia e di materie prime. Successivamente si svilupparono in prossimità di aree densamente popolate per sfruttare la forza lavoro. Nell'ultimo secolo lo sviluppo industriale si è diffuso anche in altre regioni, ma quelle di vecchia industrializzazione hanno mantenuto una struttura forte, grazie ad un meccanismo di inerzia: queste aree industriali hanno continuato ad attirare altre imprese per via delle infrastrutture e dei vantaggi che possono derivare dalla creazione di rapporti con quell'ambiente esterno. Si deve distinguere tra . Le prime ricercano ad economie all'interno e all'esterno dell'impresa esempio la riduzione dei costi tramite l'aumento della dimensione degli impianti e dei volumi di produzione; le seconde si dividono in economie di agglomerazione e di urbanizzazione. Di agglomerazione quando l'intensificarsi di relazioni tra imprese porta dei vantaggi collettivi, come: • l'instaurarsi di relazioni di scambi tra queste imprese; • la possibilità di usare un unico sistema di servizi e di infrastrutture; • la reputazione acquisita da prodotti che provengono da una determinata zona può accrescere la domanda per questi beni. Nelle rientrano quei vantaggi derivanti dalla prossimità ad un centro economie di urbanizzazione cittadino, come la disponibilità di forza lavoro differenziata, l'accesso a servizi di livello superiore, un ampio mercato di sbocco per i prodotti e la disponibilità di servizi per la produzione di attività collaterali, come centri di ricerca. 7 0 26 Il fordismo. L’organizzazione produttiva fordista (XX sec.) è stata caratterizzata dalla grande dimensione degli impianti e dalla produzione di beni standardizzati, che ha permesso di applicare la teoria taylorista della parcellizzazione del lavoro (catena di montaggio). L’abbattimento dei costi di produzione permise alle imprese di offrire salari relativamente elevati, trasformando i propri operai nei loro primi clienti e gettando le basi dei consumi di massa. In Italia fenomeno analogo è stato quello della Fiat, con identiche conseguenze di crescita industriale e demografica legata all’espansione metropolitana. Nel tempo la comparsa di nuove tecnologie elettroniche e informatiche hanno aperto la strada a filiere globali più complesse. La dispersione dell’industria nello spazio geografico: decentramento e processi diffusivi. I processi di concentrazione delle strutture industriali, di unità produttive e di popolazione, servizi e infrastrutture, possono tradursi in una serie di costi che annullano i vantaggi iniziali. Spesso l’elevata concentrazione porta a congestione del traffico, inquinamento, perdita di efficienza dei servizi. Inoltre, la competizione fra le imprese per accaparrarsi i siti migliori fa crescere il prezzo del suolo. L’insieme di questi fenomeni può far sì che i vantaggi derivanti dalla concentrazione si traducano in diseconomie. Queste danno origine, a loro volta, a processi di deglomerazione, per cui certe imprese sono spinte a ricercare altre canalizzazioni esterne ai centri urbani ormai troppo congestionati. Questi processi possono assumere 3 forme diverse: 1. Rilocalizzazione o decentramento territoriale: quando, in virtù dell'aumento dei costi dell'area urbana, l'impresa sposta la propria sede produttiva. Si parla di suburbanizzazione quando insedia gli stabilimenti in zone limitrofe al centro urbano per beneficiare dei vantaggi derivanti dalla prossimità ad esso e per avere minori costi di insediamento. Rilocalizzazione ad ampio raggio o delocalizzazione quando sposta gli stabilimenti in altre aree, in particolare nei paesi del Sud. 2. Decentramento produttivo: quando si suddivide il ciclo produttivo in più segmenti che vengono assegnati ad imprese di più ridotte dimensioni che poi inviano i componenti all'impresa principale per l’assemblaggio. Porta alla creazione di imprese di piccole dimensioni che forniscono maggiore flessibilità rispetto alla grande impresa. 3. Formazione di sistemi industriali periferici: l'esempio è quello dell'Italia centrale e nord- orientale in cui si è creato un sistema di distretti industriali basati su piccole e medie imprese che hanno saputo rispondere a domande di mercato specifiche accrescendo i propri livelli produttivi a costi contenuti. 7 0 27 Le dimensioni delle imprese e le strutture reticolari. È l’impresa il soggetto che decide quali beni produrre e immettere sul mercato, quali processi produttivi adottare e dove localizzare le proprie attività manifatturiere. Ne consegue che le decisioni delle imprese influenzano direttamente lo sviluppo di una regione o di un paese, i livelli di occupazione, le relazioni che si instaurano fra paesi e regioni diverse. E’ necessario distinguere fra grandi e piccole imprese. Secondo l’OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), le imprese vengono distinte in base al numero degli occupati. Grandi imprese, 500 addetti, medie imprese tra i 50 e i 500 addetti, piccole imprese meno di 50 occupati. Le imprese piccole, possedendo modeste potenzialità tecnologiche e finanziarie, esprimono una limitata capacità di azione strategica nei confronti del mercato e di altri soggetti operanti nel sistema economico. Qui le decisioni sono assunte da un unico soggetto, il proprietario imprenditore. Nella grande impresa, le decisioni vengono assunte da un gruppo di individui preposti all’attività esecutiva (la tecnostruttura). Essa assume una forma reticolare; infatti coordina stabilimenti in diverse regioni, paesi e continenti, realizzando una divisione spaziale del lavoro, dove funzioni diverse sono demandate a regioni differenti: • le funzioni di ricerca, decisione e pianificazione strategica sono localizzate in alcuni centri metropolitani; • la produzione di prodotti che richiedono un lavoro qualificato è localizzata in zone con infrastrutture specifiche e con una base industriale consolidata; • la produzione di beni standardizzati richiede solo manodopera abbondante, scarsamente qualificata ed a basso costo. Le imprese industriali multinazionali. Per impresa industriale multinazionale si intende un'organizzazione economica capace di coordinare o controllare le operazioni di produzione situate in più parti del mondo. Ha tre caratteristiche: il coordinamento e il controllo di varie fasi della catena di produzione in diversi paesi; la capacità di trarre vantaggio dalle differenze geografiche nella distribuzione dei fattori di produzione; la flessibilità. Questo fenomeno ha inizio intorno agli anni '60 con l'internazionalizzazione delle imprese statunitensi ed è stato favorito da innovazioni tecnologiche e dalla rivoluzione verde che ha liberato una gran quantità di manodopera a basso costo e altamente produttiva. Si è verificato così un processo di segmentazione del ciclo produttivo che ha portato al decentramento di funzioni industriali verso i paesi del Sud del mondo, dotati di questo tipo di manodopera. Intorno agli anni '80 però, l'aumento della concorrenza e l'accorciamento della vita dei prodotti ha portato lo spostamento dalla standardizzazione alla differenziazione dei prodotti. Ad oggi abbiamo grandi multinazionali globali altamente frammentate, che cercano accordi ed alleanze con altre imprese. 7 0 30 Le innovazioni tecnico-organizzative e la scelta del mezzo di trasporto. Le imprese e gli individui hanno a disposizione vari modi di trasporto. Da alcuni decenni i singoli nodi hanno dato vita a sistemi di trasporto integrati costruiti grazie all’intermodalità e alla logistica: Trasporto intermodale, ovvero utilizzazione dei carichi, ovvero imballaggi standardizzati come il container, che permette l’integrazione tra i mezzi di trasporto, poiché trasferibile su più mezzi con tempi di carico e scarico alquanto ridotti e impiego minore di manodopera. L’intermodalità ha prodotto una concentrazione del traffico nei luoghi in cui sono presenti gli impianti di sollevamento per lo spostamento dei container da un mezzo all’altro e una serie di servizi di supporto. Trasporto combinato, il più noto è il roll-on/roll-off, trasferimento di un mezzo di trasporto, con o senza motrice (ad es. tutto l’autoarticolato), su un altro per poi scaricarlo a destinazione. Plurimodalità: privilegia un numero limitato di assi di trasporto, detti corridoi plurimodali (asse Parigi- Lione-Marsiglia in Francia). Nodi di questa rete sono le piattaforme logistiche intermodali, (le hub sono quelle aeroportuali o i distretti logistici) aree in grado di ricevere, immagazzinare, eseguire alcune lavorazioni e smistare merci di tutti i tipi. In pratica la piattaforma logistica tratta le merci, creando valore aggiunto e occupazione mentre i nodi di traffico smistano solo i container. La riduzione dei costi e del tempo di viaggio ha favorito gli scambi tra più aree, ma ha anche portato ad una differenziazione economica tra le regioni, in quanto alcuni assi acquistano importanza, valorizzando certe aree, mentre altri diventano marginali. La logistica e l’organizzazione territoriale hub&spoke. Questi progressi, volti ad accrescere la fluidità del trasporto, hanno reso necessario lo sviluppo del settore logistico, sia nelle imprese sia nella rete dei trasporti. La logistica è un’attività di controllo e gestione della circolazione delle merci durante il processo produttivo e distributivo. Gli addetti alla logistica non si limitano al solo trasporto, ma realizzano anche assemblaggio e confezionamento, con lo scopo di rendere disponibili i materiali in tempi brevi, in modo efficiente e al minor costo. La logistica permette la riduzione dei costi di produzione e anche il funzionamento dell'impresa-rete. Inoltre risponde alla crescente domanda di produzioni just in time, in cui la riduzione delle scorte ha portato ad un disinvestimento in depositi e capannoni, ma anche alla necessità di un approvvigionamento elastico e tempestivo. L'esigenza di logistica ha prodotto il sistema hub&spoke, in cui i nodi centrali sono le piattaforme di interconnessione, chiamate hub dalle quali si possono raggiungere i punti periferici detti spoke. Le piattaforme di interconnessione presentano terminal aerei, stradali e ferroviari e consentono rapido spostamento da un mezzo all’altro. I gateway portuali. I sono gateway, punto di entrata e uscita, di regioni più o meno vaste. Spesso hanno il ruolo di porti nodo organizzatore di intere regioni. Questi sono adibiti al traffico di svariati tipi di Porti polifunzionali merce, per ognuna delle quali hanno banchine specifiche. Sono stati creati così con sistemi portuali l’integrazione cioè tra più porti di una stessa fascia litoranea; invece gli altri porti si sono specializzati, 7 0 31 poiché concentrati in uno o pochi prodotti, ad es. i porti di trasbordo che smistano i container dalle grandi navi interoceaniche a navi più piccole su rotte regionali. I porti dei Paesi del Sud del mondo sono specializzati nell’imbarco di uno solo o pochi tipi di merce. I trasporti nel mondo. Le principali direttrici del traffico mondiale sono quelle che intercorrono tra i paesi sviluppati. Il flusso di traffico principale si svolge tra Europa occidentale e America settentrionale. Grande importanza hanno assunto anche la direttrice di traffico che collega i paesi asiatici che si affacciano sul Pacifico all’America settentrionale, e quella che dall’Europa occidentale, attraverso il Medio Oriente e l’Asia meridionale, arriva in Giappone. Una quarta direttrice dal Giappone, attraverso la Russia e l’Europa orientale, arriva in Europa occidentale. Su queste direttrici si trovano nodi a elevata interconnessione. Nei paesi del Sud del mondo i trasporti più sviluppati si trovano spesso nelle aree costiere, che hanno avuto un effetto polarizzante per lo sviluppo del paese. Le telecomunicazioni nell’economia globale. Le società moderne sono caratterizzate non solo dalla circolazione delle merci, ma ancor più dalla circolazione di informazioni da cui dipendono oggi le attività economiche, la cultura, la politica, la vita quotidiana delle persone ecc. Attualmente intorno alle telecomunicazioni si sta formando una filiera produttiva che crea il 10% del PIL mondiale ed è formata da soggetti economici, come i costruttori di reti e apparecchi per telecomunicazioni, imprese che offrono servizi per l’utilizzo di questi ecc., che tendono a creare tra loro alleanze strategiche per penetrare in un mercato globale in forte espansione. Hanno un ruolo strategico anche gli ovvero i providers come in Italia Telecom Italia, ISP Vodafone ecc. che formano i nodi della nella rete informatica che costituisce Internet. E’ in orbita poi il GPS Global Position System, sistema USA di localizzazione satellitare ed entro il 2014 dovrebbe diventare pienamente operativo il corrispondente sistema europeo Galileo. L’evoluzione delle telecomunicazioni. Le comunicazioni a distanza si sono servite, nelle varie epoche storiche, di diversi mezzi. Nei tempi più antichi avvenivano attraverso messaggi, posta, o segnali, come i segnali di fumo; successivamente emerse l’esigenza di una trasmissione rapida e al tempo stesso ricca di contenuto e si rese così indispensabile la messa a punto di un codice complesso. Ciò si verificò inizialmente con le bandiere da segnalazione, utilizzate sulle navi a partire dal XVII secolo, fina ad arrivare alla rivoluzione delle tecniche della comunicazione a distanza. Questa rivoluzione è iniziata con l’invenzione del telegrafo 1837, del telefono 1871, e con la scoperta delle radiocomunicazioni 1887, che si diffonderanno nella prima parte del Novecento. L’accelerazione della rivoluzione delle telecomunicazioni è della seconda metà del Novecento, con l’utilizzo della televisione, l’uso dei satelliti artificiali, la nascita dell’elettronica, databile nel 1948 con la scoperta del transistor. Nell’ultimo ventennio, si è sviluppato il trasporto delle informazioni numeriche sotto forma luminosa, grazie all’uso delle fibre ottiche. L’informazione può essere trasferita sotto forma verbale, numerica, di immagini, di suoni. Il trasferimento avviene in 3 modi principali:  Via cavo; (cavi tradizionali o fibre ottiche) 7 0 32  Via onde radio; (per trasmissioni radiotv, telefonia mobile e Internet senza fili)  Via onde radio attraverso satellite. La rivoluzione dell’e-commerce. Un altro aspetto importante è dato dal fenomeno dell’e-commerce, il commercio elettronico, che da la possibilità di poter acquistare comodamente prodotti e servizi attraverso internet non solo per i singoli ma anche e soprattutto per le imprese. Le ragioni del successo riguardano la possibilità di risparmiare e la varietà dell’offerta, i problemi riguardano la sicurezza delle transazioni e la possibilità di verificare anticipatamente la qualità del prodotto. Telecomunicazioni e territorio: il digital divide. Il digital divide si riferisce alle diseguaglianze nella possibilità di accesso alle tecnologie dell'informazione e delle telecomunicazioni per famiglie, persone e imprese in diverse aree del mondo. Tiene conto di 3 indicatori: • computer: si basa su fonti statistiche o, in mancanza di esse, sui volumi di vendite ed importazioni; • rapporto tra numero di abbonamenti telefonici e numero di abitanti; • il terzo indicatore mostra come la metà della popolazione dei paesi ricchi utilizzi internet, mentre questa quota diminuisce notevolmente nei paesi poveri. È in atto un grande processo di infrastrutturazione del territorio che permette nuovi collegamenti e nuove relazioni, ma porta anche a squilibri e marginalizzazioni per quelle zone in cui i collegamenti sono difficoltosi. 7 0 35 Turismo sostenibile e viaggiatori responsabili. I danni ambientali provocati dal turismo hanno sensibilizzato cittadini e politici, verso un turismo definito sostenibile. L’Unione europea ha predisposto la Carta del turismo sostenibile che è una dichiarazione di principi e linee-guida per un turismo che rispetti e preservi l’ambiente. Le iniziative di turismo sostenibile o “ ” si stanno diffondendo anche su scala mondiale; vi sono però alcuni ecoturismo casi di utilizzo speculativo dell’idea di turismo sostenibile quando utilizzando il marchio ecoturistico si costruiscono complessi turistici poco ecologici e scollegati dalle comunità locali. Il turismo sostenibile è un fattore positivo di sviluppo se attuato secondo i principi di giustizia sociale ed economica e nel rispetto dell’ambiente e delle comunità locali. Anche dal punto di vista del visitatore vi possono essere atteggiamenti assai diversi nei confronti delle regioni visitate. In questo senso si può distinguere il tradizionale turista di massa dal viaggiatore responsabile. Quest'ultimo infatti, organizza il viaggio, informandosi sul luogo che andrà a visitare e sulla cultura del posto, è rispettoso di essa e dell'ambiente e cerca il contatto con le persone, portando così ad un reciproco arricchimento culturale. 7 0 36 CAPITOLO 10: LE CITTÀ, CENTRI DELL’ECONOMIA Le città: spazi fisici e attori economici. La geografia economica considera le città sia come luoghi di forma e dimensioni particolari, sia come società locali, cioè come attori collettivi che hanno un ruolo importante nei processi di concezione, produzione e distribuzione del valore. Per quanto riguarda forma e dimensione, la città ha subito negli ultimi due secoli delle trasformazioni che ne hanno reso i confini sempre meno netti. In Europa, dopo la demolizione delle mura, la città ha iniziato ad espandersi verso la campagna circostante. Nel periodo industriale si sono creati vari agglomerati più o meno continui che si sono poi fusi tra loro dando vita alle . Con l'invenzione dell'auto e con la riduzione delle distanze si conurbazioni è assistito al fenomeno della , in cui si vengono a creare vari agglomerati intorno al suburbanizzazione centro principale, e, più di recente, la , in cui le popolazioni, le attività economiche periurbanizzazione e di servizio si insediano lungo una strada principale ed attorno alle città minore. Per governare queste città estese si ricorre o alla cooperazione tra i comuni oppure tramite l'istituzione delle aree metropolitane, cioè regioni funzionali urbane connesse da intense relazioni orizzontali. Ci sono poi le megalopoli, che sono territori altamente sviluppati che comprendono più aree metropolitane e città minori molto connesse ed integrate tra loro. La città è il nodo di una gran quantità di reti, è il centro di comando delle imprese e delle istituzioni ed ha delle funzioni urbane che le permettono di svolgere le sue azioni caratteristiche, come lo sviluppo di nuove idee, nuove mode ecc... Inoltre le città hanno il compito di valorizzare le risorse di un territorio e di unificare i circuiti regionali e nazionali e di collegarli con quelli internazionali. Le funzioni della città: tipi e portata. Le funzioni della città possono essere classificate in base a due criteri: il e la tipo di attività portata. Riguardo al di attività si distinguono alcune grandi classi con delle sottoclassi a cui corrispondono tipo istituzioni, impianti, edifici, infrastrutture. Dal punto di vista economico le funzioni principali sono quella direzionale, di servizio ed industriale che comprendono la funzione culturale, distributiva, per la cura, il benessere e l’ambiente, ricettiva e turistica. Per quanto riguarda la , ossia il raggio d'azione di portata queste funzioni, essa dipende dall'influenza della città sul territorio circostante. Si individuano 4 ambiti di scala geografica: • microregionale: va dal quartiere al sistema territoriale locale; • mesoregionale: corrisponde all'incirca ad una regione italiana; • macroregionale: ambito corrispondente ad uno stato o ad un insieme regionale di stati; • globale: ambito in cui si esercita l’azione delle città metropoli globali. Ci sono poi città specializzate in singole funzioni, che possono avere una portata maggiore del loro normale ambito di influenza. Esempi sono Torino per l'automobile e Firenze per il turismo. 7 0 37 Le città come centri di servizi e di comando. La funzione di servizio si divide in 3 categorie: 1. servizi per le famiglie. Dipendono dalla ricchezza delle famiglie e dal loro reddito spendibile e quindi dalla domanda. Di conseguenza tali servizi saranno più diffusi nelle grandi città estese piuttosto che in quelle minori, e, spesso, si concentrano nei punti più accessibili della città stessa, quindi vicino a svincoli autostradali, arterie di accesso alla città, aeroporti. 2. servizi per la collettività. Interessando tutta la popolazione vengono forniti ad un prezzo inferiore al loro costo e sono diffusi anche nei centri minori, proprio perché, per principio, devono servire tutta la popolazione. Sono servizi scolastici, assistenziali, culturali, sportivi. 3. servizi per le imprese. Sono distribuiti in modo gerarchico, quindi i più comuni sono presenti anche nelle città più piccole mentre i più specializzati e rari sono tipici delle metropoli. Servono da base per lo sviluppo di economie di agglomerazione e di urbanizzazione in quanto permettono di attrarre nuove imprese e di produrre nuova domanda. Un settore tipico delle città globali e metropoli è quello quaternario che consiste in un insieme di attività di controllo e di comando che permettono di dirigere e orientare la vita materiale, sociale ed economica delle popolazioni. Al centro di queste attività troviamo il potere politico, economico e culturale. La città creativa e l’industria culturale. In un contesto in cui la conoscenza e l’innovazione si combina con le idee di certi contesti culturali, possiamo dire che la città raccoglie, condensa ed elabora conoscenza e funge da nodi di interfaccia e di scambio tra il proprio contesto e ciò che circola nelle reti globali. La creatività urbana è sempre stata alla base dell’innovazione economica, grazie alla quantità e qualità delle relazioni col resto del mondo e a istituzioni capaci di creare atmosfere favorevoli alla produzione di conoscenza e innovazione. Pertanto, il milieu creativo urbano è un ambiente stimolante libero, aperto, non troppo regolato, che spesso non è né tranquillo né sempre confortevole, ma che permette la circolazione di idee. È tipico delle grandi metropoli, le quali devono offrire degli spazi adeguati per l'università, la ricerca e le imprese innovative. La cultura non rappresenta solo un'infrastruttura che attrae nella città nuove imprese e genera esternalità positive, ma è anche la materia prima dell'industria culturale, che permette lo sviluppo del relativo turismo. La crescita delle città: il moltiplicatore urbano. Consideriamo la seguente equazione: Ot = Ob + Oc dove: • Ot è l’occupazione totale della città; • Ob è l’occupazione nelle attività di base; • Oc è l’occupazione nelle attività locali. Ogni nuovo posto di lavoro produrrà un incremento di m abitanti, dove m comprende l'addetto al nuovo posto di lavoro ed il suo nucleo familiare. Avremo che: Pt (Popolazione urbana) = m Ot 7 0 40 La nascita della è stata più recente: a Bretton Woods nacque solo un accordo, il (General WTO GATT Agreement on Tariffs and Trade), il cui obiettivo era l’eliminazione, tra i Paesi membri, di ogni accordo commerciale che favorisse un paese a scapito di un altro. Nel settembre ’86 iniziò un lungo processo di negoziazione chiamato Uruguay Round il cui risultato fu la nascita nel ’95 del WTO, preposto alla regolazione del commercio globale e alla ratifica di 3 accordi: GATT (sulle tariffe doganali e il commercio), GATS (General Agreement on Trade in Service) (sul commercio dei servizi), TRIPS (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights) (sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale). Le differenze tra GATT e WTO non sono solo formali: il secondo non è un semplice accordo ma un organismo riconosciuto, dotato di poteri nella risoluzione delle controversie internazionali con la possibilità di infliggere sanzioni. Regola inoltre gli scambi di beni industriali, di prodotti agricoli e di servizi, interviene in difesa della proprietà intellettuale (brevetti e copyright). Anche nel caso del WTO le critiche sono numerose e rivolte, alle questioni ambientali, ai diritti dei lavoratori, all’opposizione all’ideologia liberale, a posizioni sulla qualità dei prodotti, al tema della democrazia, in quanto le decisioni più importanti sono prese all’ombra di lobby economiche e gruppi di interesse. Le politiche di sviluppo regionale europee e loro evoluzione. Le politiche regionali sono fondamentali per la riduzione dei divari tra le varie zone della comunità. Si pongono 3 obiettivi: • convergenza: ridurre le differenze tra regioni; • competitività ed occupazione; • cooperazione territoriale. La politica europea è un esempio di come le politiche di sviluppo debbano essere pensate in una prospettiva esplicitamente territoriale. L’organismo che coordina le politiche di mezzo miliardo di abitanti distribuiti in 27 paesi è l’ UE, in grado di controbilanciare il potere economico e militare degli USA. Le politiche comunitarie si distinguono in: • azioni di natura settoriale: hanno come finalità l'intervento in specifici ambiti dell'organizzazione economica e sociale (politica agricola comune, quella dei trasporti e infrastrutture, per la ricerca e lo sviluppo tecnologico); • azioni di natura orizzontale: producono effetti in una pluralità di aspetti economici e sociali (politiche di coesione e politica ambientale) Gli strumenti della politica regionale europea sono: - il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR): finanzia le imprese a supporto di incrementi occupazionali o sviluppo tecnologico, fornisce strumenti finanziari per lo sviluppo economico e regionale, provvede a misure di assistenza tecnica; - il Fondo sociale europeo (FSE): si riferisce agli obiettivi della competizione, occupazione e cooperazione territoriale attraverso il miglioramento qualitativo del capitale umano (formazione), accesso all’impiego delle categorie deboli, miglioramento dei sistemi educativi; - il Fondo di coesione: destinato ai Paesi più poveri per stabilizzare le loro economie. 7 0 41 Politiche di sviluppo a scala nazionale. Con la globalizzazione hanno perso di importanza i confini e con essi il ruolo degli stati nazionali, che comunque sono ancora fondamentali per la regolazione dei fenomeni interni al loro territorio e per mettere in campo politiche di concerto con organismi internazionali. È il caso del quadro strategico nazionale per la politica di sviluppo 2007-2013 che l'UE ha chiesto a tutti i suoi membri. Nel caso dell'Italia il piano prevede l'azione a più livelli (nazionale, regionale, locale) per il raggiungimento di alcuni obiettivi, i principali dei quali sono: • valorizzazione delle risorse umane; • promozione della ricerca; • energia e ambiente; • apertura internazionale. Politiche di sviluppo locale. Prende sempre più piede il convincimento che le politiche di sviluppo locale debbano partire dal basso, basandosi sulle esigenze primarie manifestate dalla popolazione, che deve anche essere coinvolta in questo processo. Un simile approccio partecipativo ha preso forma in due direzioni. La prima considera la prospettiva dei bisogni compatibile con le idee tradizionali di sviluppo: si richiede di concentrarsi maggiormente sulla riduzione della povertà e sull'istruzione. È da questo orientamento che deriva la nascita delle ONG, organizzazioni non governative che possono operare più a contatto con le società locali fornendo servizi più appropriati di quanto non potrebbe fare dall’alto un governo nazionale. La seconda direzione si riferisce al fatto che la modernizzazione deve partire dalla caratteristiche endogene di un territorio affinché i soggetti locali diventino attori del loro sviluppo. Questa prospettiva è limitata dal fatto che spesso la finanza globale investe solo in quei progetti che garantiscono un adeguato ritorno, senza interessarsi dei benefici per il territorio. Inoltre spesso le società locali assumono un atteggiamento difensivo, di chiusura nei confronti del nuovo. Le politiche di sviluppo locale devono quindi dotate le società locali di capacità tecnico-organizzative, di mezzi finanziari e di strumenti istituzionali per decidere il miglior uso delle proprie risorse territoriali. Lo sviluppo dal basso è una questione che non riguarda solo i paesi più poveri, ma anche quello del Nord del mondo. 7 0
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