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Gestione aziendale nelle industrie culturali e creative, Appunti di Economia e Gestione Delle Imprese

Una panoramica della gestione organizzativa, della gestione dei progetti e del marketing nelle imprese culturali e creative.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 16/01/2024

Sabrina_Carrara
Sabrina_Carrara 🇮🇹

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Scarica Gestione aziendale nelle industrie culturali e creative e più Appunti in PDF di Economia e Gestione Delle Imprese solo su Docsity! GESTIONE AZIENDALE NELLE IMPRESE CULTURALI E CREATIVE DATE ESAMI 16/01 alle 14:30 30/01 alle 14:30 12/04 10/06 24/06 05/07 INTRODUZIONE: Industrie culturali e creative = musei (come il MoMA); artisti di strada; concerti; video games; influencers; canali televisivi oppure Netflix; la Bang & Olfussen, un’azienda famosa che produce oggetti (es. una televisione e uno speaker), si basa molto sul design e quindi viene spontaneo dire che ha degli elementi di contiguità con il mondo della cultura e della creatività. Ciò però complica un po’ le cose perché il confine delle aziende culturali e creative è un confine difficilmente tracciabile in modo netto. Questa azienda, ad esempio, produce degli oggetti e il motivo per cui rientra nella categoria di imprese culturali e creative, non è l’oggetto, ma è perché è un prodotto che ha un alto contenuto di design.  hanno tutte una parte creativa. L’UNESCO definisce imprese culturali e creative le attività che hanno come principale obiettivo la produzione o riproduzione, la promozione, distribuzione o commercializzazione di beni, servizi, attività di natura culturale, artistica o legata al patrimonio. Industria = è a scopo di lucro  chi le crea ha un obiettivo di lucrare (concetto negativo della parola lucrare in quanto si pensa al lucro come un debito che non si dovrebbe avere, è un fattore culturale legato ai credi religiosi; nella religione cattolica ci sono dei passaggi che dicono che prestare chiedendo in cambio un guadagno non è una buona azione ma un’azione opportunistica, e sta anche nella religione musulmana), ergo avere un guadagno; chi mette a disposizione il capitale per far funzionare l’associazione, in cambio ha il diritto di tenere per sé gli utili che quella realtà imprenditoriale crea. Le imprese sono delle realtà organizzate, generano i ricavi consumando risorse (= costi), la differenza è il guadagno/utile lordo, e il residuo è di proprietà dei soci o degli azionisti. Associazione = non è per forza a scopo di lucro quindi non nascono con la finalità di creare una remunerazione per i soci che hanno messo dei capitali; non hanno un utile ma un avanzo, che dovrà impiegare nelle finalità dell’associazione-azienda. Lo scopo è quello di fare un’attività di vita pubblica quindi quell’avanzo la società lo dovrà comunque impiegarlo nelle finalità della società, non si genera utile ma si può accumulare anche se non sarà mai un guadagno per i membri perché nel momento che un’associazione dovesse chiudere, il ricavato restante non andrebbe ai membri ma destinati a quelle attività  per statuto la fondazione deve dichiarare come i soldi andavano alle finalità nel caso di una chiusura. Quando parliamo di aziende culturali e creative, parliamo di una componente creativa, che sfrutta le conoscenze culturali. Per aiutarci definiamo la “mission”, ossia gli obiettivi e la visione di ciò che fanno queste aziende e come contribuiscono al mercato. Seguendo l’esempio precedente, il Moma organizza mostre, ma il cuore della missione di un museo è quello di fornirci un’esperienza attraverso opere d’arte. Quindi la mostra è il mezzo con cui realizzo la missione, e questo è importante perché quando analizzo le possibili evoluzioni di un’impresa, posso cambiare mezzo ai fini della mission. Identificata la missione, poi identifico il mezzo o i mezzi con cui può essere ottenuta. Questo spiega perché aziende con la stessa finalità sono diverse tra loro. I limiti di questo settore sono difficili da marcare in modo unico. Un oggetto di design ha un pensiero creativo, funzionale, progettuale, preponderante cioè nelle scelte di acquisto di questo oggetto pesa particolarmente il fatto che abbia quella forma che si vuole dare/realizzare e ciò lo rende un oggetto di design. Un oggetto di design può essere qualsiasi cosa  oggetti che ci portiamo con noi che in qualche modo usiamo come rappresentazione del nostro modo di essere e del nostro status sociale, più facilmente si presentano ad essere oggetti di design. L’impresa studia le caratteristiche affinché sia riconosciuto del valore da parte del cliente e una parte dei clienti li riconosce, quindi è il mercato l’incrocio dello sforzo che fa il produttore e a qualcuno che riconosca valore in quello sforzo e crea un oggetto di design Fashion design = per chi lo acquista la parte creativa era un elemento fondamentale nella decisone di acquisto Modelli di classificazione Un altro modo per provare a mettere un po’ di ordine, è individuare dei criteri di inclusione. Qui ci sono quattro possibili modelli:  UK DCMS model - elenco  è un elenco di settori stilato dal dipartimento inglese delle aziende culturali e creative. Il ministero delle attività culturali e creative ha identificato i sotto-settori appartenenti al mondo culturale e creativo. Sono: pubblicità, architettura, arte e prodotti di antiquariato, design e fashion, arte, tv, film, computer, videogames, software.  Symbolic texts model - elemento cc  le aziende culturali e creative possono essere separate in diversi sottogruppi. Il primo gruppo è chiamato “core cultural industries”, cioè il cuore delle industrie culturali e creative, che secondo questo modello comprendono le industrie che hanno come elementi centrali gli elementi ricreativi. Include pubblicità, film, musica, televisione e radio, videogames e computer. Tutta la parte delle “creative arts” (musei, biblioteche ecc) viene messa in quelle che chiama “Peripheral cultural industries”. È una classificazione che dà idea della diffusione e dell’importanza di questi settori, anche del loro peso economico. Abbiamo infatti il mondo cinematografico e della musica, il mondo che usa la trasmissione con strumenti tecnologici moderni come elemento centrale; poi abbiamo il mondo tradizionale della creazione dell’arte. E poi un terzo blocco chiamato “Borderline” che contiene i prodotti elettronici di consumo, quelli fisici che passano i servizi delle industrie core, le aziende fashion (moda e abbigliamento in particolare della fascia più alta), il mondo dei software e delle attività sportive. Qui vediamo come nel mondo moderno abbiamo linguaggi dedicati che hanno una componente creativa importante. È un sottogruppo funzionale al core e ha degli elementi creativi importanti, ma non è consumato strettamente dal consumatore per un’esigenza culturale o creativa, come sono invece quelli sopra. Stiamo classificando i prodotti e le industrie in base a ciò che ne determina il successo. Se il cliente acquista il prodotto per ragioni emozionali, l’industria è all’interno di quelle culturali e creative. Per questo motivo alle periferie della seconda classificazione abbiamo lo sport e il design, perché anche in questo caso ci sono elementi culturali e creativi. Es. palestra più coinvolgimento in base al corso che scegli – associare esperienza, valori, emozioni a un contenuto fisico.  Concentric circle model - elemento cc  qui l’approccio è quanto importante è il contenuto culturale, rispetto a quanti elementi ci devo aggiungere per creare il prodotto che poi tu consumi. Quindi i musei e le librerie, promuovono e vendono le creazioni artistiche, ma il contenuto creativo è più forte nella gestione di un museo o nella produzione di un quadro? Nella produzione di un quadro, ovviamente. La logica che segue questo modello è capire dove è l’elemento creativo. L’elemento creativo è infatti nel core: letteratura, musica, performing arts e visual arts. Poi più andiamo verso le industrie che promuovono l’elemento creativo, più ci spostiamo verso la periferia di questo modello. Musei e librerie stanno all’esterno, i videogames stanno ancora più all’esterno, e ancor di più quelle del design e del fashion, in cui il primo obiettivo è fornirti un abito e poi quello di fornire un abito che ha anche un contenuto creativo. Così anche l’architettura. Devo pensare agli attributi del prodotto che sto generando, e che ne garantiscano il successo. Es se sono un architetto e sto costruendo un ponte metto degli elementi creativi, ma il ponte deve stare su. Quindi ho attributi fisici che non hanno nulla a che fare con gli aspetti culturali e creativi che il mio bene deve rispettare, e ho poi un attributo aggiuntivo creativo. È una scala di importanza. In questa classificazione, più è essenziale il ruolo dell’aspetto creativo rispetto alle altre caratteristiche, più quell’industria finisce al centro di questo modello.  WIPO copyright Model – copyright  l’ultimo criterio è classificare le aziende all’interno del mondo culturale e creativo usando la logica della presenza e dell’importanza dei diritti di copyright (= diritto verso chi ha creato un elemento creativo di riconoscere la sua creazione-sforzo (diritto d’autore)). Entriamo nel mondo della definizione e protezione della proprietà intellettuale. Esistono tanti strumenti, il copyright, la registrazione di marchi e prodotti, i diritti d’autore, i brevetti. Rispetto alle aziende culturali e creative possiamo usare l’importanza del copyright perché se non c’è un contenuto di creatività e innovazione, non c’è un contenuto intellettuale da difendere, quindi se esiste e se ha senso dichiarare che quel prodotto è stato creato da un soggetto, e dichiarare che quel soggetto ne può vantare i diritti, significa che il contributo in termini creativi dato dal soggetto è rilevante. È un modo implicito per verificare la presenza di contenuti creativi all’interno di quel settore. Questa è la logica secondo cui nasce questo quarto criterio. Se un settore è in grado di generare della ricchezza, ma questa ricchezza non viene riconosciuta a chi fa lo sforzo creativo, non c’è un incentivo delle persone a fare lo sforzo creativo. L’obiettivo della protezione del prodotto intellettuale non è garantire una remunerazione più alta o più bassa a settore, ma la ricchezza che viene generata perché riconosciuta dall’utente (utente disposto a pagare perché vuole consumare quel bene) se quel bene ha un contenuto creativo è corretto che lo sforzo creativo sia remunerato. Altrimenti nel tempo nessuno ha l’incentivo a occuparsi della parte creativa. Dunque Il primo blocco è un soggetto generatore di copyright. Il secondo blocco genera valore trovando il giusto strumento con cui il consumatore può usufruire dell’elemento generato dal settore core. I musei ad esempio non sono produttori di artisti, ma sono soggetti che individuano il mezzo migliore per far consumare l’oggetto prodotto da qualcun altro. E così anche le aziende del fashion e del design. È un mondo molto labile perché contiene l’idea che può essere prodotto, costruito, aggiunto a qualcosa di fisico. Culturale o creativo può essere l’elemento fondamentale o uno degli elementi che costituisce. Processo culturale creativo  ha bisogno dell’interazione con il pubblico, l’industria ha sperimentato nuovi processi comunicativi per far conoscere i propri prodotti Distretto = quando in un’area geografica vediamo che si concentrano delle imprese che appartengono allo stesso settore o alla stessa filiera (Silicon Valley in California che raggruppa tutte le industrie tecnologiche) Il processo creativo nasce per caso con un’idea; consumando un bene culturale creativo osservandolo io traggo fonte di ispirazione  bisogna che ci siano stimoli INTRODUZIONE ALL’IMPRESA Economia  attività economiche per soddisfare i bisogni delle persone - Produzione Consumo Scambio  Studio dei modi in cui i singoli e le società compiono le scelte di impiego di risorse scarse per produrre e scambiare beni e servizi. Cosa ha valore? Quando una risorsa è molto scarsa e quindi sono disposto a sacrificare qualcosa che ho in abbondanza. Prospettive economiche  Macroeconomia - andamento globale sistema economico  Microeconomia - scelte singoli attori (domanda offerta)  Economia Industriale (settori)  Economia Aziendale, cioè come si organizza l’impresa, come aggrega l’impresa, come organizzarsi per poter fare al meglio la propria attività. - fuoco sull’impresa e sui modi di governo - diversi soggetti e ruoli - processi decisionali e organizzazione del lavoro Macroeconomia La macroeconomia è quella parte delle scienze economiche che si concentra sugli aggregati, sui comportamenti e andamenti dei grandi aggregati. Studia le variabili e come sono legate tra di loro, studia l’andamento globale del sistema economico Una delle variabili della macroeconomia più note è il PIL PIL=prodotto interno lordo, mira a rappresentare la capacità di un paese a generare ricchezza. Un sistema economico funziona attraverso la moneta che è un’unità di misura con la quale si può misurare la nostra capacità di ricchezza. La moneta è stata inventata per semplificare gli scambi. Una tra le prime monete è stata realizzata in sale, si conservava bene. Metodo di calcolo: - Metodo della spesa: spesa = somma dei consumi e servizi delle famiglie, si aggiungono poi gli investimenti, la spesa pubblica e le esportazioni nette (la ricchezza che le imprese hanno creato ma che non ha consumato il paese). La macroeconomia ci dice che in economia è facile attivare una spirale positiva o negativa  un abbassamento anche minimo del PIL genera preoccupazioni perché si sa che esso genererà una concatenazione di eventi negativi, a spirale. Per il paese, infatti, è importante tenere in considerazione il PIL:  Diminuzione del PIL: 1. Le imprese pagano meno tasse di prima (perché il loro guadagno è minore)  lo Stato ha meno capitali a disposizione  meno investimenti in infrastrutture / servizi  meno lavoro 2. Le imprese hanno bisogno di meno addetti rispetto a prima  diminuzione dell’occupazione  diminuzione delle spese pro capite (perché le persone hanno meno reddito oppure perché hanno paura di trovarsi in situazioni di difficoltà economica e quindi decidono di risparmiare)  diminuzione dei consumi interni (= della domanda)  diminuzione della produzione (= dell’offerta)  diminuzione del lavoro Se la ricchezza complessiva di un paese è scesa significa che si è consumato di meno (consumo = bisogno; se non si consuma vuol dire che abbiamo lasciato un bisogno insoddisfatto)  o si consuma meno o si investe meno = investimento: si hanno dei soldi da poter accantonare, mi sto assicurando di poter consumare in futuro. Se gli investimenti scendono il futuro è più a rischio di prima, non metto le basi per poter consumare in futuro, dovrò fare delle scelte su cosa dovrò andare a consumare.  Aumento del PIL: La crescita del PIL è sempre causata da una buona notizia: Il PIL cresce se il mercato nazionale (aumento dei consumi interni) e/o il mercato internazionale (aumento delle esportazioni) chiede più beni/servizi.  aumento del denaro a disposizione delle aziende: 1. più investimenti in macchinari  più lavoro (per realizzarli) 2. più assunzioni di dipendenti  più soldi a disposizione delle persone  più consumi interni  più lavoro (per soddisfare la domanda) 3. più tasse pagate allo stato  più soldi investiti per infrastrutture/servizi  più lavoro per realizzarle/offrirli Altra variabile connessa alla macroeconomia: Occupazione = aumenta la domanda di lavoro; elemento a spirale sia positivo che negativo  i redditi disponibili per il consumo aumentano (macchina che si autoalimenta) e le persone danno una mano all’economia: se decidono di spendere creano domanda di bene  creazione di nuovi posti di lavoro; se decidono di investire  le banche decidono di prestarli a qualcuno che li utilizza (imprese – chi svolge un’attività) con gli interessi (dipendono dall’andamento dell’economia): se si ha tanta liquidità (tante persone che decidono di non consumare) la banca deve farlo rendere trovando qualcuno che lo utilizza, se non dovesse trovare qualcuno sarebbe costretto a concederlo con degli interessi più bassi  le imprese fanno meno fatica a finanziarsi ad un prezzo più basso  generano più prodotti  l’attività delle imprese ha una ricaduta positiva sull’occupazione. Quando il PIL è in recessione, le banche ad esempio, stampano denaro  rendono temporaneamente più conveniente fare investimenti, convincendo le imprese a non rallentare le produzioni con la speranza di far ripartire il meccanismo. Le imprese producono  generazione del reddito  consumo  aumento del mercato  aumento della domanda  continuazione della produzione  assunzioni. Meccanismo spiralmente correlato sia in positivo che in negativo. Quando c’è recessione  non spendo  le imprese non vendono i prodotti (devono rivedere la produzione in periodi futuri)  taglio dei posti di lavoro  persone senza reddito  no consumi. Altri fattori che influenzano la macroeconomia: 1. Valore della moneta nei diversi paesi 2. Tasso di interesse 3. Inflazione  quando il valore della moneta scende, con la stessa quantità di denaro posso comprare di meno = il potere d’acquisto si riduce perché il reddito di partenza è lo stesso (per chi ha un reddito fisso). La moneta è un sistema che serve per favorire lo scambio ma non è un oggetto del sistema economico (l’economia può esistere senza la moneta – esempio baratto), nasce per semplificare gli scambi, è un sistema di misura. Generalmente il prezzo non incide sull’economia, ma in realtà incide perché siamo coinvolti in contratti, che non sono istantanei, durano nel tempo – contratto di lavoro subordinato, contratto di lavoro fisso. Se ogni giorno dovessimo contrattare non ci sarebbe l’inflazione. Se c’è l’inflazione il contratto fisso porta all’aumento o diminuzione del potere d’acquisto. La maggior parte della popolazione che svolge un lavoro di tipo dipendente sono quelli più a rischio (inflazione  tassa sui poveri), i cui rispari non variano, non perdono fortemente il potere d’acquisto. Il libero professionista sente meno l’inflazione, può aumentare i prezzi andando in contro al rischio che la gente acquisti di meno. Si dice che un sistema è buono quando l’inflazione è poco più sopra lo zero (l’obbiettivo dell’UE è intorno all’1%)  la domanda aumenta, se fosse al contrario vorrebbe dire che nessuno sta acquistando. I prezzi tendono ad aumentare quando la domanda è più alta, la gente sta acquistando, non c’è un rallentamento dell’economia. Se l’inflazione è negativa: certificazione che il mercato sta andando male a seguito di una diminuzione di prezzi ma è anche un incentivo per non andare peggio perché questo ‘’riempie il cuscino di denaro’’, fa aspettare prima di consumare, rinunciare al consumo di un bene nel preciso momento ma in un secondo momento quando si abbasseranno i prezzi  attesa per il consumo  diminuzione dei prezzi  le imprese non guadagnano  non producono rendimento  non chiedono investimenti  gli investimenti non generano rendimento. Quando l’inflazione è negativa conviene tenere i soldi nel cuscino  non li uso né per investire né per consumare  economia rischia di crollare. Microeconomia La microeconomia si concentra sulle scelte del singolo e studia le scelte dell’individuo: individuazione tra beni fondamentali (e di sopravvivenza) e beni superflui. Scienza in cui gli economisti cercano di studiare il comportamento umano. La domanda dei beni fondamentali sarà sempre costante, è poco influenzata dal prezzo, in quanto non puoi farne a meno anche se ti chiedono di consumare un po’ più della tua ricchezza. Elasticità della domanda  relazione che esiste tra quanto ne vogliamo acquistare e il prezzo. Se un bene è elastico, significa che se il prezzo si alza noi riduciamo di molto l’acquisto, in quanto è un bene non necessario, non essenziale. 1. Bene elastico (non essenziale)  beni culturali e creativi (cinema, libri) 2. Bene anelastico (essenziale)  cibo, acqua e medicine. L’economia ha introdotto un elemento a cui ha dato il nome di utilità  funzione che dipende dai consumi, è crescente rispetto ai consumi (se consumo più unità di un determinato bene la mia felicità aumenta e non diminuisce), quanto sono disposto a pagare (se il prezzo si abbassa ne compro di più)  società del consumismo (più consumo  più felicità). Questa utilità al margine tende ad essere decrescente  se consumiamo due unità di un determinato bene non siamo felici il doppio, ma un po’ meno, cresce ma non della stessa quantità (un po’ ci saziamo ma mai fino in fondo)  il prezzo che sei disposto a pagare rappresenta il sacrificio economico che sei disposto a fare, cioè l’utilità che ti dà, se il secondo lo acquisti solamente se costa meno questo di darà una minore utilità rispetto al primo. Quindi averno uno o due è meglio ma non è il doppio vuol dire che il secondo lo compro solo se il prezzo è più basso. Beni che danno dipendenza (vizi) = è un bene che più ne consumo più sono disposto a pagare la singola unità, anche tanto, data appunto la dipendenza  sono disposti a sacrificare sempre di più pur di continuare: più consumo più ne voglio/ho bisogno. Risultato economico del paese: la ricchezza che riesco ad accumulare è infinita. Tutti noi abbiamo a disposizione un reddito che andremo a suddividere in base alle varie necessità personali, ma i dipendenti destineranno sempre una parte del loro ai vizi, che andranno ad aumentare  se genera dipendenza spendi tutto il tuo reddito per soddisfare il tuo bisogno = sono soggetti socialmente pericolosi, le persone fanno delle scelte irrazionali, i soldi che potrebbero essere destinati ad una cosa fondamentale li spendo nelle dipendenze. Interviene lo stato perché deve evitare che quel consumo ti mandi in fallimento. 1. Valutazione degli effetti economici  se porta dipendenza limito i volumi e i prezzi ai quali viene offerto sul mercato. Non avere niente in contrario rispetto all’atto in sé, ma con la consapevolezza che rischia di portare ad una dipendenza, ha effetti negativi riguardante il prezzo che si è disposti a pagare, sulle quantità consumate, sul mercato che si potrebbe creare con qualcuno che ti convince a far pagare sempre di più. 2. Valutazione di natura sociale  è pericoloso e non (comprare armi), quindi voglio vietare il consumo regolando la dipendenza. Qualsiasi quantità è dannosa, non è corretto consumare il bene. Il cuore del baratto si chiama tasso di sostituzione  quantità di bene a cui si è disposti a rinunciare per ottenere una certa quantità di un altro bene. Quando un bene consumato in una certa quantità dà la stessa utilità del consumo di un altro, il rapporto tra queste è il tasso di sostituzione. Nel sistema economico che introduce la moneta è il rapporto tra i prezzi dei due beni. Bene di lusso (detto anche voluttuario o bene di Giffen)  l’aumento della quantità percentuale di beni risulta maggiore dell’aumento della quantità percentuale di reddito. La spesa che un individuo compie in beni di lusso è direttamente proporzionale al suo reddito. Non è un bene che da dipendenza, più ne compro e più ne voglio anche ad un prezzo superiore. Ma in relazione al fatto che si consideri importante (parte di reddito dell’acquisto destinato ad esso), occupano una parte più alta nel nostro consumo sia che il reddito sia basso sia alto. È il mio comportamento che determina se un determinato bene sia di lusso o meno. Perché un bene diventa di lusso? Quando può determinare un segnale, è uno status symbol, non può essere comprato da tutti. Ci sono dei beni che si consumano di più solo se sei ricco, che non tutti possono permetterselo, ho limitato le quantità. Se un bene ha le caratteristiche di lusso io osservo che aumentandone il prezzo ottengo che ne vendo di più anziché di meno, tendo a tenere il prezzo elevato, non cambia nulla se abbasso il prezzo. Economia industriale L’economia industriale si occupa del comportamento di alcuni aggregati di natura industriale e cerca di capire come sono fatti i mercati attraverso i loro comportamenti e studia l’interazione tra imprese in relazione alle forme di mercato in un sistema produttivo. Le imprese lavorano per aumentare il proprio profitto, nascono con lo scopo di lucro, sulle risorse messe a disposizione dagli azionisti e dai fondatori. Lavora bene se compie attività che fanno massimizzare i profitti, ciò che ricava dal venduto e tiene anche in considerazione i costi di produzione. Le imprese massimizzano il profitto considerando:  l’andamento dei loro costi: costi unitari costanti, decrescenti o crescenti All’aumentare di volumi che produco: sono in grado di produrre a costi sempre più bassi oppure no  economia di scala = sono tutte le motivazioni per cui aumentando le quantità prodotte riesco ad essere più efficiente quindi il costo unitario dei prodotti diminuisce. Più un’impresa è grande più riesce a produrre pezzi singoli a prezzi inferiori quindi questo è favorevole per la competizione (ne trae più profitto).  l’andamento della domanda in relazione al prezzo: come visto dalla microeconomia possiamo immaginare una elasticità al prezzo I beni sono elastici quelli che compriamo in quantità, che non dipendono dal prezzo (sono beni di cui abbiamo bisogno, indipendentemente dal prezzo alto o basso). Se il mercato è particolarmente anelastico, per evitare che produttori facciano prezzi troppo elevati in regolatore (lo stato) interviene attraverso la regolazione dei mercati. può intervenire direttamente sul bene imponendo che quel prezzo non sia superiore a tot oppure con la decisione di produrle da sé.  Il bilancio serve a tutti i soggetti che interagiscono con un’impresa, perché è la prima cosa che si guarda per capire a che rischio ci si espone. Per questo è pubblico e obbligatorio, perché serve per poter dire se un’azienda va bene o male. La natura delle imprese Le imprese possono essere divise in vari modi:  Per DIMENSIONE  parliamo di: grandi imprese, di PMI (= piccole, medie imprese), o di imprese artigiane, dove l’imprenditore contribuisce con la propria attività alla creazione di prodotti e servizi;  In funzione del fatto che gli AZIONISTI siano pubblici o privati → parliamo di imprese pubbliche, private o con la partecipazione dello Stato;  In funzione dei MERCATI (nazionali o multinazionali)  In funzione delle ATTIVITÀ che svolgono  parliamo per esempio di imprese che lavorano nell’ambito dell’agricoltura, dell’energia, della manifattura, ecc.  Per la loro natura, in particolare le imprese si dividono tra imprese che sono dette società DI PERSONE, e imprese dette società DI CAPITALI. Le società di persone hanno nel loro nome la sigla finale Snc (= società in nome collettivo) o Sas (= società in accomandita semplice), mentre le società di capitali hanno la sigla finale SpA o Srl. La differenza fondamentale è tra persone o capitali. Le società di persone sono delle imprese nelle quali la separazione tra l’azionista e l’impresa non è completa: per lo Stato sono un unico soggetto  le persone che le hanno fondate continuano ad essere legate all’impresa e al destino dell’impresa. Creare una società di persone significa impegnare eventualmente anche i capitali personali per far fronte alle occorrenze che l’impresa può avere (es. se l’impresa fallisce il giudice va ad indagare il capitale posseduto dall’azionista e può disporre di quel capitale). C’è continuità tra chi ha creato l’azienda e l’azienda stessa. Tanto è vero che le Snc hanno nel nome dell’impresa un riferimento a chi è l’imprenditore  quando crei una Snc, il giudice stabilisce che siccome tu rispondi anche col tuo capitale, nel nome della società di persone devi inserire un’indicazione che fa capire chi è la persona, e tipicamente si usa il cognome, a certificare questa continuità. Le Sas sono molto rare, sono società in cui un soggetto dà del denaro ad un altro e quel soggetto diventa imprenditore. Chi dà denaro all’altro non è responsabile di ciò che succede all’impresa, ma chi ha ricevuto il denaro è come se avesse messo del denaro proprio e risponde poi dei suoi capitali. Nelle società di capitali chi mette il capitale e l’azienda sono due soggetti completamente diversi: si dice che l’impresa ha autonomia giuridica = per lo Stato l’impresa è una persona ed è diversa da me. Quando ne creo una io trasferisco una quantità di capitale mio, che così non è più mio e diventa dell’impresa (= capitale sociale dell’impresa). Quel capitale rimane dell’impresa finché l’impresa non chiude. In cambio del capitale dato all’impresa ottengo gli utili che l’azienda fa, in proporzione al capitale sociale che ho messo a disposizione. In una società di capitali c’è la responsabilità limitata  è l’impresa che risponde di tutti i danni che fa l’impresa. Differenza tra socio (Srl) e azionista (SpA): nel creare una SpA il capitale lo divido in azioni – ho messo 100 000 euro, ogni azione vale 1000, quindi il capitale è formato da 100 000 azioni; serve per facilitare lo scambio  se voglio vendere una quota dico di vendere 50 azioni. SpA è il passaggio che tipicamente fai se vuoi crescere tanto e vuoi coinvolgere tanti soggetti, fino ad arrivare ad essere quotato sul mercato, dove le azioni possono essere scambiate tutti i giorni. Se hai una Srl puoi vendere un pezzo dell’azienda a qualcun altro, ma devi fare un contratto privato. Con la SpA lo scambio di proprietà è facilitato. C’è separazione tra proprietà e azione: l’azione è dei manager, quindi la responsabilità di organizzare e far funzionare l’impresa, facendo delle scelte organizzative. Il proprietario dà gli obiettivi al manager, valuta se lo soddisfano e se non lo soddisfano cambia manager (amministratore delegato). Può ricevere tutte le deleghe una persona sola, amministratore unico, possono esserci più deleghe date separatamente o congiuntamente a due persone (consiglio di amministrazione)  diverse modalità con cui si danno le deleghe: tutte ad una persona, tutte a un gruppo di persone, oppure a persone diverse deleghe diverse. Obiettivi dell’impresa  Profitto: remunerazione del capitale proprio (soci) - Ricavi (scambio con il mercato) - Costi (remunerazione dei fattori) - Profitto normale ed extraprofitto (premio per il rischio e l’organizzazione dei fattori)  Teoria classica: max profitto (R-C; ottica breve termine)  vado a vedere quali saranno i ricavi e i costi del prossimo anno e faccio delle scelte che massimizzano la differenza. Nella teoria classica guardo solo il prossimo anno (perché la prima cosa di cui devo rispondere come amministratore è cosa succede il prossimo anno) e voglio fare il massimo profitto.  Teoria del valore: max valore dell’impresa  se vuoi essere un buon amministratore (che rende felice gli azionisti) devi fare delle scelte che garantiscono anche nel futuro i profitti dell’azienda, eventualmente anche a discapito dei profitti di adesso, purché il guadagno sia molto maggiore nel futuro (caso tipico della ricerca e sviluppo). La teoria del valore, per quanto bella, è una teoria più fumosa, che è in funzione di quanti ricavi riuscirò a fare in futuro grazie alla ricerca che faccio ora (ma non posso saperlo con certezza) → concettualmente mi introduce quell’elemento importante, ma nella pratica non risponde a tutti i miei problemi. È quindi importante avere entrambi gli elementi (= teoria classica e teoria del valore). - Impresa come oggetto di scambio - Valore = Somma dei profitti nel lungo termine - Valore riassume le prospettive di crescita, posizione competitiva, ecc. - Sintesi degli interessi di shareholder e stakeholders  Non sempre il profitto è il (unico) fine: il caso delle Imprese Not For Profit - Obiettivo è l’organizzazione efficiente di una determinata attività e la promozione di un’attività per raggiungere uno scopo. - L’unica cosa che caratterizza una società no-profit è che non fa profitti, quindi chi mette i soldi per queste società non ottiene una remunerazione in cambio, fa una donazione. Però io non donerei se non ricevessi nulla in cambio, però non mi aspetto una remunerazione del capitale che ho messo a disposizione, quindi ciò che ricevo in cambio è il raggiungimento dell’obiettivo da parte della società, mi aspetto che la fondazione faccia ciò per cui è nata = quello che ha dichiarato che vuole fare. L’impresa come mezzo  Strutturare una attività mediante un’impresa è fatto per ottimizzare l’utilizzo delle risorse e la loro organizzazione - Dare forma ad una Missione (mission), una Visione (vision) e a dei Valori (values) - Economie di Scala e di Scopo - Gestione Aziendale Ridurre i costi aumentando la dimensione: Economie di scala  La struttura competitiva di un’industria dipende anche dalla funzione di costo tipica di quel settore  La produzione implica alti costi fissi? - Alte barriere all’entrata e poche imprese nell’industria  A fronte di alti costi fissi, i costi variabili sono molto bassi? - Tendenza al monopolio naturale  Esempio: l’industria automobilistica è caratterizzata da poche imprese che controllano il mercato e processi di M&A perché la dimensione ha impatto sull’efficienza  ECONOMIE DI SCALA: il costo medio decresce all’aumentare dei volumi di produzione Economie di scala  SME: Scala Minima Efficiente - Volume di produzione in corrispondenza del quale i costi medi sono minimi  Riduzioni di costo legate a quanto si produce  E’ possibile anche avere diseconomie di scala: I costi medi crescono all’aumentare dei volumi di produzione Da dove nascono le economie di scala:  ECONOMIE TECNICHE - Distribuzione dei costi fissi su volumi maggiori di attività - Uso più efficiente delle risorse, con migliore gestione delle indivisibilità - Uso di risorse migliori - Specializzazione e apprendimento Cme SME es. acquisto un macchinario più grande, che produce più pezzi, quindi costa poco e abbassa il costo dei pezzi che produce  ECONOMIE NEGOZIALI - Più potere negoziale nei confronti dei fornitori date le maggiori quantità di input acquistate - Prezzi più bassi per gli input Se io devo contrattare dei volumi più alti è probabile che la controparte sia disposta a concedermi degli sconti maggiori. Es. quando so di essere un acquirente importante per il mio fornitore, so che se decido di non acquistare lui avrà un problema, perché non saprà a chi vendere quella merce. Allora provo a rubargli un po’ di margine, a chiedergli degli sconti maggiori, perché so che non mi sostituirebbe facilmente quindi mi concede un po’ di sconto (se sono cliente abituale, perché assicuro anche acquisti in futuro). Sono comunque effetti di scala, perché se so che posso comprare tanto posso avere economie negoziali, ma se compro un solo pezzo non è così.  ECONOMIE FINANZIARIE - Le imprese più grandi sono percepite come meno rischiose: ottengono finanziamenti a costi minori Le imprese più grandi, che producono di più, che hanno scale più grandi, tipicamente riescono a farsi prestare il denaro dalle banche a tassi d’interesse più bassi, perché danno sicurezza. Le banche sanno che un’impresa è grande perché ha saputo diventare grande, ha saputo convincere tanti azionisti ed è sul mercato – non nasce grande e il fatto che sia grande è indicazione del fatto che sia in grado di restare sul mercato  il rischio che la banca percepisce è più basso ed è disposta a prestare denaro a tassi d’interesse più bassi = le banche si fidano di più.  ECONOMIE DI MARKETING - I costi di pubblicità e marketing sono (quasi) fissi: Se l’impresa ha volumi produttivi maggiori, distribuisce tali costi su maggiori volumi di vendita Il marketing è un’attività quasi fissa rispetto ai volumi: se devo creare una campagna di marketing per promuovere un prodotto e di quel prodotto ne vendo 1 000 000 o 1000, il costo dello sforzo di ideazione va comunque sostenuto, quindi più sono grande e più quel costo diventa irrisorio sul singolo prodotto. Infatti sempre più spesso si fa marketing di brand più che di singolo prodotto. Quando si fa marketing per favorire un brand anziché un singolo prodotto di quel brand si fa un’economia di scala: con una sola pubblicità cerco di favorire la vendita di prodotti diversi tra loro  economia di scala. Se spendo 1 000 000 per favorire l’idea che il marchio è simbolo per esempio di velocità, se appongo quel marchio su una bici riesco a venderla a 500 euro in più rispetto a prima, senza aver però cambiato alcun elemento tecnico della bici, perché ho già fatto uno sforzo con una pubblicità, in cui convinco alla gente che tutto ciò che presenta quel marchio è più veloce – spendendo quel milione di euro ho aumentato le vendite di tutti i prodotti di quel brand. Anche se spendo un sacco di soldi per quella pubblicità mi conviene, sto sfruttando delle economie di scala legate al marketing.  ECONOMIE MANAGERIALI - Se l’impresa ha volumi produttivi maggiori, i manager si specializzano e sono più efficienti In un’impresa piccola il titolare si occupa di tutte le scelte legate all’impresa, quindi deve avere delle competenze specialistiche e più sono specialistiche più le probabilità che una persona possa averle e riesca a mantenerle nel tempo sono basse. Un’azienda grande può sfruttare le economie manageriali nel senso che può permettersi di avere delle persone che sono specializzate sui singoli temi, e quindi riescono ad essere più competenti e nel tempo a mantenere le competenze specializzate su quell’aspetto. Se tutto è concentrato in poche persone non ce la fai. Le economie manageriali sono una dimensione che permette di avere diversi professionisti nei singoli ruoli, che hanno il tempo per poter conoscere bene la loro specializzazione. Con le economie di scala spieghiamo perché un’azienda grande ha dei costi inferiori rispetto ad una più piccola, per definizione un’impresa piccola che sta sul mercato insieme ad un’impresa grande dev’essere più brava di quella grande, perché non può sfruttare tutti questi vantaggi, quindi deve compensarli essendo meglio in qualcos’altro. Economie di scopo  Riduzioni di costo legate a cosa si produce  Un’impresa che produca i prodotti A e B insieme ha costi minori rispetto a 2 imprese che li producano separatamente  Le economie di scopo derivano da sinergie nella produzione congiunta di due (o più) prodotti  Uso di risorse tangibili - Reti distributive, macchinari utilizzabili per fasi del processo produttivo dei due prodotti  Uso di risorse intangibili - Relazioni industriali - Gestione delle carriere - … La specializzazione verticale e orizzontale  Esigenza di specializzazione: cioè la suddivisione del lavoro tra più persone o unità organizzative, in funzione della scala con cui stiamo guardando il fenomeno, con lo scopo di ottenere un risultato  Due dimensioni: - Specializzazione verticale  cioè una separazione tra progettazione (controllo) ed esecuzione delle attività, quindi tra chi ha la responsabilità dell’esecuzione dell’attività e l’esecuzione stessa dell’attività - Specializzazione orizzontale  che è la parcellizzazione dell’attività complessa in attività elementari; ad esempio è come spiegare in fasi separate un’attività a un bambino, che altrimenti non sarebbe in grado di svolgere il compito completo. Lo scopo della parcellizzazione all’interno di un’organizzazione di un’attività non serve strettamente ad ovviare al problema che in assenza di specializzazione non sarei in grado di compiere il compito più complesso; ma serve a rendere la realizzazione del compito più veloce e più performante. I vantaggi e i rischi della specializzazione L’esempio più famoso è riportato dall’economista Adam Smith. Egli è fondatore di fatto del libero mercato, cioè se non vincoliamo, ma lasciamo libera l’offerta che incroci la domanda, otteniamo che il mercato si coordina da solo in un modo efficiente, quindi con un prezzo stabilito che massimizza la ricchezza del Paese; infatti il suo trattato famoso si chiama The inquiry into the wealth of Nations. E l’esempio che porta Smith è quello della fabbrica di spilli. Sostanzialmente Smith osserva, nel pieno della rivoluzione industriale, gli spilli prodotti con un processo artigianale in cui c’era assenza di specializzazione. Specializzazione in questo caso intesa come parcellizzazione. Quando noi diciamo che un prodotto è fatto artigianalmente, intendiamo due cose: 1. Fatto con un contributo minimo, o comunque non centrale nella realizzazione del bene finale, dei sistemi di automazione. Quindi c’è un contributo alla generazione del prodotto che è molto legato alla manualità; 2. Quella manualità ha contribuito con la sua caratteristica a generare quel prodotto stesso. Quindi è di una e un’unica manualità, che ha determinato le caratteristiche finali del prodotto. Se l’attività è estremamente parcellizzata: es immaginiamo un quadro in cui un soggetto si occupa solo ed esclusivamente di disegnare le rondini nel cielo di tutti i quadri, l’altro dell’azzurro, ecc. Questo processo sebbene fatto da attività manuali una dopo l’altra, non genera quello che noi alla fine intendiamo come “prodotto artigianale”. Perché non c’è una continuità e unicità del prodotto. Smith osserva che nel processo artigianale ogni operaio artigiano prende in carico la realizzazione di uno spillo, partendo dalla micro sbarra, crea la punta, crea la cruna e poi lo spillo. Con questo processo, così organizzato, ogni operaio è in grado di generare x spilli al giorno (10 all’ora). Nella fabbrica c’è la specializzazione: quindi un dipendente si occupa di tagliare gli spilli e poi passarli a quello successivo, che farà solo le punte, e quello dopo solo le crune  parcellizzazione delle attività. Con questo modello organizzativo, che è quello che noi abbiamo imparato a conoscere come “catena di montaggio”, la capacità di produrre passa da 10 spilli a 100 spilli. La capacità di produrre è aumentata 10 volte. Quindi si abbiamo un’elevata parcellizzazione possiamo più facilmente ottenere questi aspetti, maggiore standardizzazione. Standardizzazione significa che quella attività tende ad essere fatta uguale. Quindi se noi prendiamo 5 artisti e gli facciamo fare 5 rappresentazioni di un paesaggio (una per ciascuno), otterremmo 5 rappresentazioni diverse. Ma se a uno dessimo il compito di disegnare le piante, a uno le case, ecc, otterremmo 5 rappresentazioni molto più simili (scelta del colore standardizzata, tempi di realizzazione più standardizzati, ecc.). quindi la standardizzazione è l’elemento che attiva l’automazione. L’esserci organizzati in un processo che facilita attività standard, fa nascere l’occasione di automatizzare; perché nel processo standard ad un certo punto qualcuno si inventerà un modo automatico di passare ad es il foglio da una persona all’altra. Secondo Adam Smith, la standardizzazione è un elemento che favorisce l’automazione e l’innovazione di processo. Inoltre favorisce anche la curva di apprendimento, perché io faccio una cosa e imparo a farla bene; ha anche l’opportunità di capirle bene e immaginare come farla in modo più efficiente. Riduco così i tempi morti e diminuisco i costi.  Aumento di produttività: - Aumento destrezza e curve di esperienza (economie di apprendimento) - Riduzione tempi morti e costi di attrezzaggio (setup) - Maggiore standardizzazione e possibilità di automazione - Minore fabbisogno di addestramento e di risorse qualificate  Migliore qualità: - Lavoratori “specializzati” - Focalizzazione ed accumulo di esperienza  I rischi dell’iperspecializzazione: - Frustrazione e alienazione  L’operaio era diventato parte del meccanismo, non c’è quel contributo di innovazione che invece Adam Smith immaginava. Quindi in una fase non estrema di specializzazione, o in una fase iniziale della rivoluzione industriale, l'uomo si adatta alla mansione specializzata e si adopera per migliorarla; in una seconda fase, quando quest’operazione non offre spazi di innovazione e diventa estremamente ripetitiva, il contributo del lavoratore cessa di diventare un contributo innovativo, addirittura si trasforma in un meccanismo di contributo alienante. Infatti quando non è più sulla linea di produzione Charlie Chaplin fa esattamente quello che faceva prima, continua a vedere dappertutto la stessa operazione, scambia una persona per il pezzo che stava avvitando, si è completamente distaccato dal processo. Quindi il rischio, qui talmente bene rappresentato da rimanere negli anni, è proprio quello di generare una frustrazione e una alienazione da parte della forza lavoro - Riduzione dell’efficienza complessiva dei processi aziendali (job enlargement, job enrichment) in quanto non c’è più contributo da parte delle persone.  I “ruoli professionali” - Alta specializzazione orizzontale (quindi un’alta parcellizzazione dei compiti), bassa specializzazione verticale - Svolgimento di attività specifiche - Autonomia nell’esecuzione - Maggiore motivazione Quindi specializzazione orizzontale e specializzazione verticale, ci aiutano a mappare i ruoli dell’azienda e capire quali sono i pro e i contro dei diversi ruoli. Quando parliamo di specializzazione orizzontale, ossia con operazioni molto parcellizzate significa che sono focalizzato su un’attività specifica; esiste però anche il concetto di specializzazione verticale, cioè c’è separazione tra responsabilità dell’attività e lo svolgimento. Progettare l’organizzazione  Progettazione della microstruttura: - Definizione del contenuto del lavoro e del ruolo degli individui - Formalizzazione dei comportamenti - Sviluppo di competenze e capacità richieste per poter ricoprire quel ruolo  Considerare il punto di vista degli individui che poi saranno chiamati a ricoprire quel ruolo. Se non sono in grado di considerare il loro punto di vista rischio di immaginare e creare posizioni di lavoro per cui non troverò mai individuo adatto a ricoprirle. Rischio di avere un alto turn over, ossia persone che vengono assunte con l’intento di ricoprire quel ruolo all’interno della macrostruttura, ma poi se ne vanno o non vanno bene. La microstruttura  Quattro concetti chiave: - Compito  insieme di attività collegate e inscindibili. Quindi chi è chiamato a svolgere quel compito, lo deve svolgere nella sua interezza. Affinché sia funzionale, quella serie di attività deve essere svolta tutta. Non si ottiene l’obiettivo se non si svolge il compito nella sua interezza. Ad esempio, se il compito della portineria è accertare che le persone che entrano in università rispettino le norme per il covid, non possono svolgere il compito a metà, misurando ad esempio la febbre senza controllare che tu abbia disinfettato le mani, altrimenti l’utilità connessa con il compito viene meno. - Mansione (job)  insieme di compiti caratterizzanti una posizione individuale. Ogni posizione individuale è assegnata ad una sola persona, ma la stessa mansione può essere assegnata a più posizioni. Tipicamente affido dei compiti a delle persone, coerentemente con quella che è la loro mansione, cioè l’insieme di compiti che sono chiamati a svolgere e per cui sono stati assunti. Quindi è un concetto più ampio, è un insieme di compiti. Tornando all’esempio di prima, ci si sarà chiesti se il controllo delle norme covid fosse un compito che poteva essere aggiunto e faceva parte delle mansioni della portineria. La domanda è: c’è un nuovo compito, a quale mansione può essere assegnata? Quindi quali sono le mansioni delle varie posizioni, e quindi quale è la mansione che esiste già e naturalmente potrebbe essere chiamata a svolgere quel compito. Se non è nelle mie mansioni, devo cambiare contratto. In u contratto è infatti indicato non il compito ma la mansione, quindi stiamo parlando di differenze tecniche che hanno un risvolto sul lato legale, che hanno un risvolto sul lato organizzativo. - Ruolo  è simile, da punto di vista legale alla mansione, la differenza è che allarghiamo il concetto non solo ai compiti che siamo chiamati a svolgere, ma anche alle aspettative di comportamento attese da chi ricopre una posizione. Es. un docente che mentre fa lezione dice parolacce, non è coerente con il suo ruolo. La sua mansione è di insegnare la materia, ma il suo ruolo è educativo, significa che ci si aspetta che assuma un comportamento coerente con gli obiettivi educativi. Crescita professionale, allargamento e arricchimento Abbiamo detto che per pianificare una posizione dobbiamo prendere la prospettiva dell’individuo che poi prenderà quel ruolo, e quindi uno degli elementi da considerare è il suo percorso. Si parla di prospettive di carriera. Quando guardo al futuro mi chiedo quindi quale è la mia prospettiva di remunerazione futura, e in aggiunta o in compensazione al tema della crescita economica, aggiungere un miglioramento degli elementi che tipicamente sono importanti per la persona. E parliamo di job enlargemet e job enrichment.  Job enlargement  quando passo da mansioni specializzate orizzontalmente e verticalmente a mansioni con compiti diversificati dove il livello di specializzazione orizzontale diminuisce e anche una parte dell’autonomia. Quando offro job enlargement, do la possibilità di allargare anche ad altre attività il set di mansioni che di solito svolgo dell’azienda. Stiamo dando la possibilità di trovare una soddisfazione professionale rispetto all’attività che svolge. C’è molta pressione però. Un’azienda che gestisce bene il proprio personale sa però che svolgere sempre lo stesso ruolo nel tempo può diventare demotivante, e non sempre può offrire un maggiore stipendio o un avanzamento di carriera, però può offrire la possibilità di are cose diverse. - Mansioni operative allargate - Mansioni manageriali di livello medio-basso  Job enrichment  Parlo di job enrichment quando invece aumento la delega decisionale e quindi do maggiore autonomia. In generale abbiamo l’aumento del livello di remunerazione e il passaggio a ruoli manageriali di livello elevato. Per come sono fatte le imprese, questi due strumenti non sono applicabili a tutti e applicabili sempre. Quindi l’azienda non può offrire posizioni manageriali a tutti, ma non può nemmeno a tutti i meritevoli, deve poter allargare gli strumenti che utilizzo per poter dare soddisfazione al lavoro anche a quelli che non potrò premiare attraverso una posizione manageriale. O anche a quelli che vorrei premiare ma che non è detto siano adatti a una posizione manageriali. C’è quindi la leva economica, ma anche altre due leve: Autonomia, non per forza responsabilità su qualcun altro. Non è più così subordinato ma è in grado di svolgere quel lavoro con maggiore autonomia e di fatto diventa responsabile del proprio lavoro. La sua soddisfazione, da punto di vista della specializzazione orizzontale e verticale, diminuisce un po’ il livello di specializzazione verticale. Così come posso allargare i lavori che svolge in modo tale che sia meno alienato e possa svolgere dei compiti che nel complesso portino più soddisfazione. Le persone quindi per decidere prendono in considerazione remunerazione, autonomia, possibilità di fare cose diverse. Ci pianifica le posizioni all’interno delle aziende deve esser conscio e usare queste leve come possibilità da offrire, da utilizzare affinché le persone lavorino bene e con continuità I diversi tipi di mansioni Quindi alta specializzazione orizzontale e verticale, pensiamo alle mansioni operative ristrette caratterizzate da alta ripetitività, normate da procedure con livello di responsabilità estremamente limitato. Se ci abbassiamo invece alla situazione di alta specializzazione orizzontale ma bassa specializzazione verticale, parliamo delle mansioni professionali. Es. il responsabile dell’ufficio legale ha un’alta specializzazione orizzontale, perché si occupa solo degli affari legali, ma ha la responsabilità delle persone che lavorano nell’ambito legale e delle scelte che vengono prese. Quindi ruolo manageriale importante, bassa specializzazione verticale. Abbiamo l’amministratore delegato, tutto passa sotto la sua responsabilità sia in termini di attività che di responsabilità. Poi abbiamo anche persone che potrebbero fare tantissime cose ma non sono responsabili di niente, i cosiddetti jolly, ma non è così frequente in azienda (mansioni operative allargate). controllarle. Elemento importante nella scelta di creare una catena verticale (tanto più verticale quante sono le persone perché devo creare dei livelli di coordinamento gerarchici), è rispettare il principio di unicità di comando. Un soggetto comandato da due persone contemporaneamente non sarà in grado di soddisfare nessuno dei due indipendentemente dalla sua volontà. Soggetto che ha compito di definire mansioni e ruoli delle varie persone, coordinarle e controllarle; questo è il ruolo del manager. Chi è sottostante, deve essere diretto da una sola persona, non da due contemporaneamente.  UO: sottoinsieme di posizioni/ruoli con insieme di compiti: - Relativamente stabile nel tempo - Interrelati tra loro - Autonomi e misurabili  Dimensioni: - Orizzontale:  Span of control: numero posizioni direttamente dipendenti da un supervisore  Ampiezza manageriale: numero di mansioni organizzative dipendenti dal supervisore - Verticale:  Catena gerarchica: numero di livelli gerarchici presenti  Principio di “unicità del comando” Struttura organizzativa orizzontale e verticale  Legame tra ampiezza del controllo e lunghezza catena gerarchica Bilanciamento tra ampiezza e profondità  Bilanciamento delle due dimensioni: - Ampiezza tale da assicurare governabilità - Catena gerarchica tale da contenere costi di struttura e tempi decisionali  Ampiezza del controllo e livello gerarchico: - Livello operativo: 30-40 persone - Livello manageriale: 8-10 persone  Ampiezza del controllo legata alla standardizzazione  Influenza di fattori quali stile direzionale e di leadership Criteri di classificazione delle unità organizzative  Contenuto del lavoro e mansioni raggruppate: unità di linea o di staff  Contenuto e autonomia decisionale: unità direttive o operative  Temporaneità o stabilità all’interno dell’organizzazione: unità organizzative nell’organigramma o team di progetto Tipologie di unità organizzative  Contenuto di lavoro e mansioni in esse raggruppate: - Organi di linea  Collocate lungo la linea gerarchica  Si occupano del “core business” aziendale  Esempio: progettazione e produzione in azienda manifatturiera - Organi di staff  Supportano agli organi di linea a diversi livelli gerarchici  Garantiscono funzionamento e manutenzione dell’organizzazione  Esempio: gestione risorse umane, ufficio legale  Tendenza ad outsourcing di processi di supporto Organi di linea e organi di staff  Collocazione degli staff rispetto alla linea gerarchica Attività di linea = legate al prodotto, lo staff non fa le stesse cose, non ha mai una sottostruttura gerarchica. Gli organi di staff possono essere anche a supporto di unità più piccole. Es. un reparto può avere la sua segreteria. COORDINAMENTO Dividendo un’azienda in unità, queste unità devono parlare fra loro. Il coordinamento deve cercare di essere il più possibile meno dispendioso per l’azienda e il più possibile performante da un punto di vista economico e dei soggetti. Abbiamo 5 modi per organizzare il coordinamento dell’azienda:  Il tema del coordinamento e i soggetti che possono svolgere un luogo di collegamento (Ruoli di collegamento o meccanismo del distacco);  La presenza e la scelta di adottare i manager integratori;  La presenza o la scelta di modificare la struttura organizzativa adottando teams interfunzionali;  Strumenti di pianificazione e controllo;  Strumenti informativi. Bontà della progettazione organizzativa  La progettazione organizzativa definisce organizzazione e coordinamento delle risorse al fine della creazione di valore  La bontà della progettazione è misurata dal concetto di efficacia organizzativa - Capacità di raggiungere gli obiettivi  Misurare l’efficacia: - Scelta di misure di performance “adeguate” - Triplice prospettiva: dimensione economico – finanziaria, sociale, ambientale (organizzazione sostenibile) Il coordinamento tra unità organizzative  Meccanismi di interazione tra unità organizzative  Analogia con i cinque meccanismi di coordinamento micro  Meccanismi di coordinamento tra unità organizzative: - Ruoli di collegamento o meccanismo del distacco - Manager integratori – Team interfunzionali - Sistemi di pianificazione e controllo - Sistemi informativi aziendali Ruoli di collegamento o meccanismo del distacco Possiamo avere all’interno delle singole unità dei soggetti che svolgono il ruolo di collegamento  facendo riferimento all’impresa rappresentata con il suo organigramma, all’interno di ogni unità si identificano dei soggetti che hanno come ruolo specifico quello di fare da interfaccia = fare il coordinamento con altre unità. Immaginiamo una realtà produttiva, delle unità che tecnicamente devono coordinarsi fra loro, es. chi si occupa dell’ufficio acquisti, approvvigionamenti, e chi si occupa della produzione – decidere di istituire un ruolo di collegamento significa individuare una persona all’interno della produzione che va fisicamente ad incontrare l’unità che si occupa di acquisti, portando le modifiche, le decisioni e gli elementi necessari per il coordinamento. Es. questo materiale è finito e dobbiamo prenderne dell’altro. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di una figura di collegamento di questo genere? C’è un collegamento diretto, la comunicazione è diretta, immediata e puntuale, quindi estremamente aggiornata su quali sono i bisogni – faccio parte della produzione, so esattamente ciò di cui ho bisogno e questo è un elemento che aiuta. I limiti di questa figura invece, problemi che non risolviamo adottando questa soluzione, sono collegati al detto “ambasciator non porta pena” = questo è solo un ambasciatore che riporta delle esigenze, ma queste esigenze possono portare a incompatibilità o conflitti, e questa figura è perfetta per comunicare tempestivamente all’ufficio acquisti che ho finito quel materiale, ma è una figura che non ha un’autorità né sulla sua organizzazione, né sull’altra (es. non può chiedere di modificare l’ordine). Tipicamente dobbiamo far interloquire delle persone che all’interno delle loro unità hanno dei livelli gerarchici simili. Posso mandare una persona che operativamente controlla com’è l’approvvigionamento nel reparto produttivo a parlare non con il responsabile dell’ufficio acquisti (livelli gerarchici diversi). Se il tema è solo una questione di comunicazione e tutto si risolve allora il collegamento è perfetto. Se invece solleva una questione che ha bisogno di una scelta non pianificata si pone un problema. Io porto la notizia ma non è detto che questo risolva il conflitto. Questo se la notizia è portatrice di conflitti, e quasi sempre è così, quando porto una notizia vuol dire che c’è qualcosa di inatteso, che ha bisogno di essere accompagnata con delle decisioni. Questa scelta (ruolo di collegamento) è funzionale per il coordinamento semplice, dove gli elementi che porto non chiedono cambiamenti alla pianificazione, ma aggiustamenti marginali molto semplici. Se la richiesta invece richiede varie azioni non pianificate e delle autorizzazioni particolari, questo meccanismo di funzionamento non la risolve completamente o non la risolve per nulla.  Ruolo interno specifico dedicato al coordinamento e integrazione con altre unità - Es: interfaccia produzione - progettazione - Es: interfaccia unità di linea – unità di staff  Mutuo adattamento e standardizzazione degli obiettivi Manager integratori Un’alternativa al ruolo di collegamento sono i manager integratori. Sono manager contemporaneamente di tutto e di nulla, sono trasversali all’organizzazione. Il project, product o account manager non ha una sua unità organizzativa, perché non ha un compito come le altre attività all’interno dell’organigramma, compito inteso come una quantità di attività che devono essere organizzate, ma il compito di questa figura di questa casella è il coordinamento delle altre. La figura di coordinamento e il manager integratore sono due ruoli che coesistono: svolgono funzioni diverse, possono esistere entrambi e servono a cose diverse. Il primo coordina le varie unità soprattutto per le attività operative. Il responsabile di progetto invece, segue un progetto specifico e parla con i manager delle varie unità se le loro scelte stanno rallentando o no il progetto, e suggerisce delle attività, può coordinarsi con i manager di reparto, facendo capire quali sono le esigenze di quel progetto, perché non sono naturalmente allineate le esigenze.  Product manager (responsabile di un prodotto o di una linea), project manager o account manager - Posizioni organizzative non dedicate - Ruolo di integrazione e responsabilità sul raggiungimento di obiettivi specifici  Product Manager: responsabile di un prodotto o di una linea  Project Manager: responsabile di un progetto temporaneo  Account Manager: interfaccia unica di azienda con cliente  Mutuo adattamento e standardizzazione degli obiettivi Team interfunzionali Terza forma di coordinamento è la creazione di team interfunzionali = gruppi costituiti ad hoc per un particolare obiettivo. La maggior parte delle volte si tratta di team di natura temporanea, es. se devo ripensare ai processi della mia azienda e li voglio modificare, devo innanzitutto conoscere bene i problemi da risolvere e il funzionamento attuale. Ho bisogno di informazioni. Ho bisogno dei singoli, allora creo questi team temporanei. La difficoltà nell’usare team temporanei è che io chiedo delle ore a delle persone che però formalmente rimangono incardinate nelle loro unità e continuano ad avere i compiti che avevano prima. Spesso questo team interfunzionale è percepito come un sovraccarico di lavoro e può portare a dei conflitti di gestione. Il team interfunzionale è perfetto perché riesco a prendere informazioni da tutti, ma siccome è un’attività che ha uno scopo preciso per l’azienda e deve funzionare, rischia di non funzionare perché le persone hanno troppi compiti, che possono essere sovrapposti e generare sovraccarico. Potrei anche togliere temporaneamente queste persone e dedicarle solo al progetto, se il progetto è importante. In questo modo però prendendo delle persone e togliendole dal loro ruolo temporaneamente si creano dei buchi, è difficile riuscire poi a reinserirle nel loro ruolo originale quando io decido di rimetterle lì. Tipicamente i responsabili di struttura delle singole unità organizzative sono fortemente contro queste scelte, perché creano solo problemi. E poi c’è un problema di selezione: chi stabilisce qual è la persona che deve contribuire al progetto interfunzionale? Se è il responsabile di un singolo reparto a scegliere chi mandare nel team interfunzionale, io mi aspetto che mi rifili la persona che gli serve di meno, la peggiore del reparto per lui. La probabilità che quello che serve meno a lui sia anche la persona che serve a me è molto bassa. Se lo scelgo io non sono sicuro di chi mi vado a beccare. Non è banale creare - Divisione del lavoro disciplinata da regole generali ed apprendibili - Gerarchia di uffici  La Burocrazia di Weber è costituita da un complesso di funzionari che: - obbediscono a doveri d’ufficio - in una precisa gerarchia d’ufficio - con precise competenze d’ufficio - sono assunti in forza di un contratto - sono sottoposti alla stessa disciplina d’ufficio - vedono dinanzi a sé una carriera - sono ricompensati con uno stipendio graduato secondo la linea gerarchica e le responsabilità Una visione meccanicistica della realtà Le teorie organizzative classiche di matrice ottocentesca hanno in comune una visione meccanicistica della realtà più o meno trasparentemente influenzata dalle teorie filosofiche positiviste del tempo che determina una concezione dell'uomo pessimistica secondo la quale:  gli uomini preferiscono essere diretti piuttosto che avere la libertà di decidere e di agire  la loro motivazione è fondata sulla sola soddisfazione dei loro bisogni economici e di conseguenza il sistema compensativo deve essere di natura esclusivamente monetaria  gli uomini non amano per loro natura lavorare, quindi i quadri dirigenti devono dirigerli con fermezza ed equità  prevalenza dell’autorità  l’aspetto direttivo è dominante sugli altri  l’efficienza economica è diretta emanazione dell’efficienza tecnica Principi di Direzione: H. Fayol (1841-1925)  Henry Fayol, direttore operativo di una grande azienda francese, pubblica nel 1916 un saggio su l’Administration industrielle et genérale.  Similarmente alla teoria di Taylor la Teoria Amministrativa o dei Principi di direzione di Fayol si basa su una visione meccanicistica della realtà aziendale. L'enfasi tuttavia non è posta in questo caso sul migliorare la performance del lavoratore nel compiere le sue attività elementari, ma piuttosto sullo sviluppo delle capacità gestionali dei manager e sugli aspetti più propriamente amministrativi ed organizzativi.  Entrambi i filoni della teoria classica del management, quello amministrativo di Fayol e quello scientifico di Taylor, nella loro tensione verso il miglioramento dell'efficienza e della produttività prestano scarsa o quasi nulla considerazione al fattore umano  Fayol articola la gestione di impresa in 6 funzioni: tecnica, commerciale, finanziaria, di sicurezza, contabile e amministrativa (alla francese). Quest’ultima costituisce la funzione direttiva vera e propria. Fayol sostiene che la direzione è la funzione più importante per il successo od il fallimento di un’impresa.  La direzione non è una prerogativa del vertice aziendale, ma una funzione diffusa, con caratteristiche diverse, a tutti i livelli aziendali. Esempio per alcuni ruoli (rilevanza percentuale delle diverse funzioni) A sua volta la direzione secondo Fayol comprende 5 funzioni: 1. Pianificare: valutare e preparare il futuro; definire il programma di azione (F. sostiene la necessità di un piano decennale, con revisioni periodiche) 2. Organizzare: creare l’organismo sociale, tenendo conto delle dimensioni dell’impresa; senza trascurare il valore delle persone 3. Comandare (Guidare): far funzionare il corpo sociale, dando le istruzioni necessarie 4. Coordinare: promuovere l’armonia tra tutti gli atti di un’impresa, adattando i mezzi agli scopi, promuovendo riunioni settimanali e usando personale di collegamento 5. Controllare: verificare che si operi secondo il programma e gli ordini impartiti Gulick propone lo schema POSDCORB: Pianificare, Organizzare, Staffing, Dirigere (Guidare), COordinare, Reporting, Budgeting Fayol ed altri autori formulano elenchi di principi di direzione. Tra questi i più importanti sono:  Divisione del lavoro: introdurre un livello di specializzazione che consenta di raggiungere gli obiettivi dell’impresa  Unità di comando: ogni dipendente deve ricevere ordini da un solo superiore gerarchico  Unità di direzione: prevedere un solo capo ed un solo programma per garantire di raggiungere lo scopo prefissato  Principio scalare: graduare doveri e responsabilità ai diversi livelli per assicurare l’unità di direzione e gestire le comunicazioni (sia discendenti che ascendenti) per via gerarchica  Ampiezza del controllo: il numero di persone che fanno capo ad un superiore gerarchico deve essere tale da non causare problemi di comunicazione e di coordinamento  Line e staff: il personale di staff mette a disposizione le sue competenze professionali, senza violare la struttura gerarchica (‘un’autorità di idee’) La scuola delle RELAZIONI UMANE La necessità di prendere in considerazione anche i bisogni dei lavoratori, gli aspetti sociali e le condizioni di lavoro – oltre agli aspetti economici e di produttività – è stata portata avanti da diversi pensatori durante tutte le fasi di sviluppo dell’industria. Negli anni 1930 nasce la scuola delle relazioni umane (RU) che ha avuto successivi sviluppi fino ai giorni nostri. Essa si pone come correttivo ed integrazione dell’OSL, sostenendo che per incrementare la produttività occorre:  tenere conto anche delle caratteristiche personali e sociali degli operatori e non solo delle esigenze del compito da realizzare e  adattare il compito al lavoratore e non solo, come sostiene l’OSL, adattare il lavoratore al compito. Temi trattati ed autori di riferimento:  la ‘scoperta’ delle variabili personali e di gruppo: Mayo e gli esperimenti di Hawthorne  la motivazione: Maslow e Hertzberg  gli assunti del management sull’uomo e sul comportamento lavorativo: Mc Gregor e le teorie X e Y MAYO e gli esperimenti di Hawthorne Elton MAYO (1880-1949), psicologo, ricercatore ad Harvard, è l’iniziatore riconosciuto della scuola delle Relazioni Umane. Evento scatenante: gli esperimenti presso la Western Electric a Hawthorne (Chicago), oggetto successivamente di forti discussioni. - 1924-1927: la Western Electric insieme con il National Research Council (NRC) effettua uno studio aziendale nel suo stabilimento di Hawthorne, per determinare la correlazione tra illuminazione e produttività; i risultati sono sorprendenti: la produttività aumenta anche al diminuire dell’illuminazione, salvo nel caso in cui sia materialmente impossibile eseguire il lavoro; risultati analoghi vengono ottenuti esplorando l’influenza di altri fattori. Di fronte a queste difficoltà interpretative il NRC si ritira dal progetto; la Western Electric decide di continuare: - ridefinisce l’obiettivo della ricerca: il nuovo obiettivo è studiare i fattori fisici che causano fatica e monotonia e - decide di coinvolgere i ricercatori di Harvard, che realizzeranno una serie di interventi dal 1928 fino al 1933. Le ricerche di Elton MAYO a Hawthorne: 1. Campagna di ricerche sulla sala assemblaggio relay: coinvolge 5 giovani donne che montano piccoli relay elettrici; tema di indagine: quali fattori (retribuzione, pause, orari,…) influenzano la produttività? la campagna di ricerche dura 5 anni, realizzando in totale 13 esperimenti, arrivando alla seguente conclusione:  I fattori che influenzano maggiormente la produttività non sono la retribuzione o le pause ma una supervisione amichevole e l’esistenza di relazioni positive interne al gruppo 2. Interviste ai dipendenti: dal 1928 al 1930 furono intervistati 21.000 dipendenti sui motivi di lamentela e di soddisfazione:  l’intervista si rivela uno strumento di sfogo; sollecitare l’opinione dei lavoratori ha un effetto motivazionale forte 3. ricerca sulla sala avvolgimenti: coinvolge 14 lavoratori maschi con tre specializzazioni diverse che realizzano montaggi semplici; tema di indagine: produttività e comportamenti sociali all’interno del gruppo:  I lavoratori operano come membri di un gruppo, che produce norme e mette in atto meccanismi di controllo e di pressione sui suoi membri  Viene scoperta l’importanza degli aspetti informali. Esperimenti di Hawthorne: principali contributi: - Scoperta di quello che è conosciuto come “effetto Hawthorne”: l’attenzione alle persone da parte dei capi e il coinvolgimento in programmi di innovazione producono un incremento di produttività temporaneo. - Il comportamento individuale sul lavoro raramente è la conseguenza di rapporti di causa-effetto semplici; di solito è determinato da un insieme complesso di fattori. - Un gruppo di lavoro informale (o primario) sviluppa proprie norme, mediando tra esigenze dell’istituzione ed esigenze individuali. - I lavoratori non possono essere considerati semplicemente un’appendice della macchina; il capo ottiene migliori risultati se tiene conto del contesto personale del lavoratore. - Il contesto di lavoro (workplace) è un sistema sociale complesso, non semplicemente un sistema di produzione. Contributi di metodo: - Con Hawthorne la ricerca sociale esce dai centri di ricerca e dai laboratori e diventa ricerca sul campo - Vengono inoltre messi a punto approcci e strumenti di ricerca specifici (interdisciplinarità, analisi sistemica delle situazioni, generazione di teorie e loro verifica). Le teorie motivazionali Uno degli argomenti più dibattuti – fino ad oggi – è quello della motivazione:  Quali sono i fattori che spingono un operatore a lavorare?  Quali tra questi fattori influisce maggiormente sul livello e la qualità della prestazione fornita?  Quali sono le leve più efficaci a disposizione di una direzione aziendale per influenzare le prestazioni dei propri dipendenti? Motivazione La motivazione è l’insieme dei motivi che ci spingono ad agire, che sono in relazione a diversi obiettivi e interessi e che sono guidati da processi cognitivi ed emotivi. Il processo motivazionale, che porta l’individuo ad agire  prende inizio da uno stato di “non equilibrio” determinato dalla consapevolezza di un bisogno da soddisfare accompagnato da un senso di attesa  ne consegue l’attivazione di comportamenti volti a ricercare i mezzi per soddisfare il bisogno  una volta raggiunto il grado di soddisfazione, segue una possibile rivalutazione e modifica dello stato di “non equilibrio La scala dei bisogni di Maslow Tesi: “I fini dell’azienda sono conseguiti in modo tanto più proficuo quanto più sono soddisfatte le esigenze delle persone”. A. MASLOW propone nel 1954 il modello della scala dei bisogni: 1. Fisiologici, relativi alla sopravvivenza (fame, sete, sonno..). 2. Di sicurezza, relativi alla sopravvivenza a medio-lungo termine, devono garantire all'individuo protezione e tranquillità 3. Sociali/di appartenenza, relativi all’operare in un ambiente di relazioni favorevole; sentirsi parte di un gruppo, necessità di essere amato e di amare e di cooperare con altri 4. Dell’Ego/di stima, relativi al riconoscimento di uno status sociale adeguato; essere rispettato, apprezzato ed approvato, sentirsi competente e produttivo 5. Di autorealizzazione, relativi al fatto di fare un lavoro che arricchisca anche la personalità; realizzare la propria identità e di portare a compimento le proprie aspettative  L’ordine in cui sono elencati costituisce anche un ordine gerarchico nella ricerca della soddisfazione, valido sia a livello personale, che per capire l’evoluzione a livello sociale Le due classi di fattori motivazionali di Herzberg F. HERZBERG (anni ’60), sulla base di ricerche sui fattori che sono all’origine di insoddisfazione o soddisfazione introduce la teoria delle due classi di fattori.  Soddisfazione e insoddisfazione sono due dimensioni distinte  Agire solo sui fattori igienici non porterà mai ad una vera soddisfazione  Un buon livello di salute mentale richiede la soddisfazione di entrambi i fattori Le 5 parti dell’organizzazione – 4: La tecnostruttura  Standardizza il lavoro degli altri.  Riduce la necessità di supervisione diretta.  Esempi: analisti del lavoro (processo), pianificazione e controllo (risultati), formazione (professionalità) Le 5 parti dell’organizzazione – 5: Lo staff di supporto  Fornisce supporto specialistico esterno al flusso produttivo.  Non si occupa di standardizzazione.  Esempi: addetti all'amministrazione e finanza, paghe, pubbliche relazioni, ufficio legale L’approccio di Mintzberg – Le 5 parti dell’organizzazione La specializzazione delle mansioni L’approccio di Mintzberg – Le 5 prospettive di funzionamento 1. Organizzazione come flusso di autorità formale Mansioni spesso non specializzate Mansioni specializzate orizz. ma spesso non verticalm. Mansioni fortemente specializzate orizzont. e spesso verticalm. 2. Organizzazione come flusso di attività regolate 3. Organizzazione come flusso di comunicazioni informali 4. Organizzazione come gruppi di lavoro 5. Organizzazione come flusso di processi decisionali ad hoc L’approccio di Mintzberg – I 5 meccanismi di coordinamento 1. Adattamento reciproco 2. Supervisione diretta 3. Standardizzazione dei processi di lavoro 4. Standardizzazione dei risultati 5. Standardizzazione delle professionalità I 5 meccanismi di coordinamento – 1: Adattamento reciproco L’adattamento reciproco consegue il coordinamento tramite il semplice processo della comunicazione informale. (Aziende molto piccole; un tandem) Il lavoro è coordinato tramite la comunicazione informale ed il controllo del lavoro resta nelle mani degli stessi esecutori. Il successo dipende da team di specialisti che si adattano l’uno all’altra procedendo su una rotta non tracciata esattamente come le persone su un gommone da rafting lungo le rapide di un torrente. Dalle più semplici organizzazioni alle più complesse questa forma di organizzazione sembra privilegiare le situazioni aziendali estreme.  Semplice e immediato  Accordi diretti e informali  Meccanismo di coordinamento ex-post  Discrezionalità agli operatori  Utilizzo: fasi imprenditoriali, organizzazioni poco complesse (ma anche nelle più grandi)  Microsoft: sviluppo di una nuova versione di Windows I 5 meccanismi di coordinamento – 2: Supervisione diretta (gerarchia) La supervisione diretta consegue il coordinamento attraverso una persona che assume la responsabilità del lavoro di altri dando loro ordini e controllando le loro azioni (aziende media dimensione; modello militare) L’organizzazione cresce ed è necessario che qualcuno assuma la responsabilità per tutti gli altri per: - pianificare - allocare risorse - addestrare - controllare Come in una squadra di calcio dove i giocatori sono suddivisi per ruolo (portieri, difensori, attaccanti). L’adattamento reciproco non è sufficiente a coordinare il gioco così viene nominato un capitano per coordinare la tattica sul campo. Supervisione diretta:  Presenza formale di un capo, responsabile decisore e controllore del lavoro  Meccanismo di coordinamento ex-post  Integra l’adattamento reciproco  Limite di span of control (numero di persone controllabili)  Qualunque organizzazione militare I 5 meccanismi di coordinamento – Standardizzazione La standardizzazione consegue il coordinamento attraverso la predeterminazione degli standard di riferimento (catena di montaggio; equipe chirurgica) Le modalità di esecuzione del lavoro sono programmate ed i processi diventano routinari. - la check-list prima del decollo di un aereo - il “bollino blu” antinquinamento delle auto - le procedure di un processo produttivo (ISO9000) - le regole di montaggio di una divano Ikea I processi standard consentono l’automazione e richiedono una limitata supervisione. Il coordinamento è demandato al “sistema” ed al controllo di gestione. Ma attenzione al mondo che cambia: sempre meno prodotti e servizi standard e sempre più personalizzati sui miei speciali e particolari desideri. Standardizzazione dei processi:  Progettare il ‘come’  Progettazione a priori del lavoro (procedure e manuali di lavoro)  Meccanismo di coordinamento ex-ante  Applicabile a processi stabili (bassa incertezza e variabilità)  Catena di montaggio nella ristorazione (McDonald’s)  Metafora dell’aeromodello: Le “istruzioni di montaggio” I 5 meccanismi di coordinamento – 4: Standardizzazione dei risultati Quando i risultati sono predefiniti l’adattamento tra le varie attività è predeterminato e può essere monitorato. I risultati del lavoro possono essere specificati da parametri dimensionali, rapporti di conversione, profittabilità e indicatori di costo tempo. Ad un tassista non si deve dire come guidare o che strada percorrere, ma solo l’indirizzo. E’ scontato che il tassista non si perda e che ci permetta di giungere in tempo alla destinazione desiderata al prezzo atteso. Standardizzazione dei risultati:  Progettare il ‘che cosa’  Indicazione del risultato da produrre, in quantità e tipologia, senza specificare le modalità  Meccanismo che agisce ex-ante (standardizzazione)  Esecuzione e controllo non necessariamente separati  Metafora del taxi - Dire a un taxista: “mi porti a Linate, scelga lei la strada” I 5 meccanismi di coordinamento – 5: Standardizzazione delle professionalità Alcune attività non possono essere facilmente standardizzate né nei processi né nei risultati come ad esempio ciò che stiamo facendo ora: l’insegnamento. In questi casi il controllo avviene attraverso la formazione e la condivisione di valori e di standard etici. E’ il caso di un amministratore di un ospedale: non è per lui possibile supervedere tecnicamente e dare direttive ai medici ed ai chirurghi. Gli skills e la conoscenza sono standardizzati attraverso la formazione prima o dopo l’assunzione. Le organizzazioni moderne investono in Formazione Continua, così che politiche regole valori e modi in cui le professionalità sono applicate siano condivisi. Standardizzazione delle professionalità:  Attività svolte e interazione sulla base delle competenze possedute  Meccanismo di coordinamento ex-ante  Formazione come strumento di standardizzazione  Equipe di chirurghi impegnati in una operazione difficile  Metafora dell’orchestra I 5 meccanismi di coordinamento – Un mix di meccanismi di coordinamento La maggior parte delle organizzazioni combina diversi meccanismi di coordinamento E’ comunque sempre necessario avere una parte di supervisione diretta e di reciproco adattamento indipendentemente dall’intensità della standardizzazione.  Essere realisti  Essere onesti  Accettare l’errore RUOLO DEI FATTORI DI CONTESTO Progettazione organizzativa – Fattori contingenti  A1: Età e dimensioni dell’impresa  A2: Sistema tecnico (strumenti e mezzi utilizzati nel nucleo operativo) – produzione di unità, grande serie, processo  A3: Ambiente - stabilità - complessità - diversità dei mercati - ostilità  A4: Cultura e potere - controllo esterno - cultura aziendale - bisogno di potere dei membri dell’organizzazione Progettazione organizzativa – Fattori contingenti e coerenza nella progettazione Esempi di congruenza tra Leve di Progettazione e Fattori contingenti  Età Maggiore è l’età dell’azienda, maggiore è la formalizzazione del comportamento  Dimensione Maggiore è la dimensione, maggiori sono: - la divisione del lavoro - la differenziazione delle unità organizzative - il numero dei livelli gerarchici  Ambiente - ambiente dinamico  organizzazione organica - ambiente complesso  organizzazione decentrata - mercati diversificati  raggruppamento per mercato - ambiente ostile  accentramento (almeno temp.) Progettazione organizzativa – Configurazioni organizzative Fattori “situazionali” e leve di progettazione dovrebbero essere combinati per creare alcune configurazioni organizzative, tali da spiegare le tendenze nell’organizzazione delle imprese efficaci  E1: Struttura semplice  E2: Burocrazia meccanica  E3: Burocrazia professionale  E4: Soluzione divisionale  E5: Adhocrazia Configurazioni organizzative – E1: Struttura semplice  Un’azienda nuova tende ad adottare la struttura semplice perché non ha avuto il tempo di creare la propria struttura direzionale.  Il funzionamento è basato sulla leadership Configurazioni organizzative – E2: Burocrazia meccanica  Attività operativa di routine e processi di lavoro molto standardizzati (Weber).  Il funzionamento è basato su regole, norme e comunicazioni molto formalizzate.  Ossessione verso il controllo. Configurazioni organizzative – E3: Burocrazia professionale  Attività stabile e complessa, quindi controllata direttamente dagli operatori  Il funzionamento è basato sulla standardizzazione delle professionalità  Elevato decentramento orizzontale e verticale. Configurazioni organizzative – E4: Soluzione Divisionale  Raggruppamento al vertice della linea intermedia in base al mercato  La struttura divisionale è piuttosto accentrata  Burocrazia meccanica nelle singole divisioni Configurazioni organizzative – E5: Adhocrazia  Permette di realizzare innovazioni complesse  Siccome innovare significa rompere gli schemi non è previsto il coordinamento per standardizzazione.  Nessuna monopolizza il potere di innovare. Solo alla fine del progetto l’incertezza si riduce a zero ed è completamente chiaro l’output da realizzare La finestra delle opportunità La gestione di progetto Agire sull’incertezza La gestione di progetto Agire sulla capacità di intervento I principi e i criteri della gestione dei progetti I driver delle flessibilità  Risorse - Skill dei progettisti - Tecnologie di progettazione  Processo - Lavoro in team - Suddivisione dei task - Overlapping delle attività  Ridondanze - Sovra locazione di risorse - Sviluppo di soluzioni alternative - Maggiori sperimentazioni  Architettura - Architettura dell’output (modularità, scalabilità) Tecnologie di prodotti flessibili «… L’aspetto più importante del progetto è stato che abbiamo sviluppato l’architettura del prodotto in modo che i team che sviluppavano i singoli componenti potessero alimentare il progetto. L’idea è stata di costruire una buona infrastruttura di base, e far sì che il resto del team ci aggiungesse sopra i componenti. Alla prima integrazione [Marzo 1996] tutto quello che avevamo era l’infrastruttura di base.….». Hadi Partovi, Program Manager, Microsoft Explorer 3.0 e 4.0 «…Gli sforzi di progettazione dell’architettura sono strutturati per dare priorità non alle prestazioni ma all’indipendenza. Creiamo interfacce per proteggerci dagli impatti dell’incertezza – quando un modulo cambia gli altri sono quindi isolati. Se stessimo cercando di ottimizzare la dimensione e l’efficienza non faremmo così, ma l’ottimizzazione di un progetto lo rende tipicamente più complesso e molto difficile da cambiare nel seguito….». Bob Travis, Senior Manager, Altavista Fare leva sulla conoscenza  Introdurre conoscenza all’interno del progetto permette di evidenziare fin da subito problemi e opportunità  E’ possibile agire su - Conoscenza esistente: incorporare esperienza all’interno del progetto - Creazione di conoscenza: sviluppare attraverso la sperimentazione conoscenza da utilizzare nel medesimo progetto L’esperienza  Consultare chi ha già affrontato progetti simili  Design Rules: incorporare l’esperienza in regole che aiutino a comprendere gli effetti delle soluzioni progettuali (esempio: Design for Manufacturing and Assembly)  Check-list per revisioni di progetto La sperimentazione - Prototipazione come esempio di test esplorativo  Utilizzo di prototipi fin dalla fase di sviluppo del concept - Early prototyping - Rapid tooling - Virtual prototyping: metodi e tecnologie che permettono di simulare il funzionamento del prodotto o la sua produzione senza realizzare un artefatto fisico Il metodo  Work Breakdown Structure  Responsibility Assignment Matrix  Gantt Diagram  … La fase di planning  Fase di definizione e pianificazione del progetto  Si identificano le attività di progetto, la struttura organizzativa, si formula il programma di lavoro in termini di tempi e costi, si valutano i rischi e le opportunità di progetto.  Output principale: Piano di Progetto - Obiettivi Specifici Definitivi - Organizzazione  Output intermedi: Piano Preliminare di Progetto, Ripianificazioni Planning  Logiche di pianificazione e controllo - Pianificare per controllare Feedforward  Milestone - Non unicità del livello di dettaglio  Differenza tra pianificazione e programmazione  Rolling wave - Delega e controllo per allarmi Il processo di pianificazione DEFINIZIONE DELLO SCOPE Scope management  Lo Scope Management è definito come “il processo che assicura che il progetto comprenda tutte le attività necessarie, e solo le attività necessarie, per completare il progetto con successo. E’ un processo che si occupa principalmente di definire e controllare cosa è (o non è) parte del progetto”  Dal momento che nella maggior parte dei progetti lo Scope è definito in modo ambiguo o superficiale il processo di gestione dello Scope durante il progetto assume una rilevanza essenziale per evitare aberrazioni Il Piano di Progetto  Per VARIABILITA’ - costi fissi - costi variabili - costi semifissi (una parte fissa ed una parte variabile con la quantità prodotta – energia) TEMPO Diagrammi di Gantt  Obiettivi - Rappresentare in forma grafica e sintetica lo schedule di un progetto  Caratteristiche principali - Rappresentazione delle attività come barre su una scala temporale orizzontale  Concetti basilari - Attività: work package - Evento: stato del progetto in un certo istante (es. inizio o fine) - Schedule: schema tempificato delle attività con gli eventi di inizio e fine Diagrammi di Gantt: pianificato ed effettivo Diagrammi di Gantt: relazioni logiche Attività critiche Vantaggi e problemi del Diagramma di Gantt  Vantaggi - Sintesi e leggibilità - Semplicità  Problemi - Supporto decisionale limitato: enfasi esclusiva sui tempi - Struttura intrinsecamente deterministica BUDGET TEMPIFICATO Project Baseline: Budget Tempificato  Visione sinottica del tempo (schedule) e del costo (budget) del progetto  Ipotesi di linearità di assorbimento delle risorse  Aggregare i costi a livello di progetto complessivo e definire la curva dei costi programmati IL MARKETING Il marketing management: Introduzione  Marketing - insieme di decisioni e di azioni per: - Creare prodotti e servizi - Diffondere conoscenza su prodotti e servizi - Gestire la domanda - Distribuire e consegnare prodotti  La domanda è stimolabile - Variabile endogena dei modelli decisionali - Funzione di  Azioni di marketing  Altre variabili ambientali (reddito dei clienti, propensione all’acquisto, ecc. ) Gli stati della domanda e il ruolo del marketing Il ciclo di vita del prodotto – le fasi  Introduzione: lancio del prodotto, scarsa conoscenza da parte dei clienti (pionieri); lenta crescita delle vendite - Battaglia per l’affermazione dello standard - Profitti bassi o negativi - Assenza del vantaggio delle economie di scala  Crescita: diffusione del prodotto (innovatori e opinion leader); rapido aumento delle vendite - Crescita dei profitti - Riacquisti dei pionieri e “prime esperienze”  Maturità: riduzione del tasso di crescita; stabilizzazione delle vendite - Saturazione del mercato potenziale (comunicazione) - Vendite “di sostituzione” per beni durevoli e di investimento; riacquisti per beni di consumo - Primo acquisto per la maggioranza conservatrice  Declino: diminuzione delle vendite (e dei profitti) - Clienti “ritardatari” (avversi all’innovazione) - Uscita dal mercato delle imprese - Preparazione di nuovi prodotti e/o tecnologie Anomalie nel Ciclo di vita del Prodotto Domanda di mercato per Vodafone (B2B)  Operatore di telefonia mobile  2001: entrata nel mercato delle PMI – quantificazione della dimensione del mercato  Fonti informative: - Dati pubblici (ISTAT) - Ricerca di mercato (operatore specializzato)  Risultati: - Totale addetti PMI: 7,4 mln di persone - Addetti con esigenze di mobilità (Mercato potenziale): 3,7 milioni di persone. - Addetti con intestazione dell’abbonamento all’azienda (Mercato disponibile): 2,4 milioni di persone - Addetti in PMI con almeno 2 SIM Card (Mercato servito): circa 1,6 milioni di persone - Mercato Penetrato: 40% del totale (stima) - oltre 600.000 carte SIM La quota di mercato  Formalmente: qi = Di/d  Rapporto tra domanda per l’impresa e domanda di mercato  Proxy: rapporto tra vendite dell’impresa e vendite del settore  qi = Qi/Q  - qi = quota di mercato dell’impresa i-esima - Qi = vendite dell’impresa i-esima (espresse a valore o in volumi) - Q = vendite complessive del mercato (espresse a valore o in volumi)  Funzione degli sforzi di marketing dell’impresa rispetto a quelli dei concorrenti Componenti Operative della Quota di Mercato  Tre componenti operative per “spiegare” i volumi di vendita: q = I*C*S - I = Introduzione: parte degli acquisti dei clienti serviti costituita da prodotti dell’azienda - C = Copertura: numero di clienti serviti sul totale - S = Selettività: dimensione media degli acquisti dei clienti dell’azienda  Dove agire per incrementare la quota? Calcolo delle componenti operative – L’azienda Rossi  Business: tappi per bottiglie di plastica  Concorrenti: Bianchi, Verdi  Numero di clienti: 5  Dimensione mercato: 100mln pezzi/anno  Ripartizione della domanda (mln pezzi): La segmentazione del mercato  Processo di selezione dei mercato obiettivo:  Segmento di mercato: - Sottoinsieme del mercato potenziale - Clienti con preferenze e profili di domanda omogenei La segmentazione nel mercato B2C Il posizionamento dell’offerta  Prodotto ed offerta di marketing in un segmento di mercato  “Value proposition”  Differenziazione rispetto alla concorrenza (Valore percepito)  Dimensioni di posizionamento: - Attributi del prodotto; - Prezzo e valore dell’offerta; - Immagine e brand  Strumenti: “mappa di posizionamento” Esempio di mappa di posizionamento Segmentazione Mercato obiettivo Posizioname nto Gli oggetti del marketing  Beni fisici  Servizi  Esperienze: es. parchi a tema, visite a musei  Eventi: es. Torino 2006  Luoghi e aree geografiche: marketing territoriale, es. Irlanda  Persone  Organizzazioni: imprese, organizzazioni e istituzioni no profit (es. WWF)  Idee: es. campagne contro la guida in stato di ebbrezza Il Marketing Mix La definizione del prodotto/servizio  Prodotto: - singolo bene o insieme di più componenti (prodotti fisici, servizi, significati, valori, immagini)  Distinto in - Prodotto essenziale:  Funzioni primarie  Centro dell’offerta - Prodotto tangibile:  Qualità, estetica, packaging, brand  Soddisfazione delle aspettative del cliente - Prodotto ampliato:  Servizi accessori  Contesto d’uso: consegna, after sale, garanzia Diversi livelli di individuazione di un prodotto Prezzo, domanda, ricavi e profitto (3/3)  Dinamiche di prezzo: “Manage for profit, not for share”  Riduzione di P: aumento di Q, riduzione di U  Quale Q a compensare un U più basso? Es. utensile elettrico: 20% riduzione di P (utensile elettrico) compensato con un aumento del 100% di Q (effetto leva) Il processo di determinazione del prezzo La politica e gli obiettivi di prezzo (1/3) Politica di prezzo = principi per la determinazione dei prezzi dei prodotti/servizi offerti.  Output decisionale: - Prezzi dei prodotti/servizi - Criteri di aggiustamento nel ciclo di vita  Importanza della relazione biunivoca La politica e gli obiettivi di prezzo (2/3)  Obiettivi di prezzo: - obiettivi di mercato Massimizzazione di volumi/quota di mercato/tassi di crescita - obiettivi di profitto Massimizzazione dei margini di contribuzione - obiettivi di sopravvivenza Recupero parziale dei costi fissi - obiettivi di immagine Promozione di immagine elevata del prodotto/servizio - obiettivi di scrematura del mercato Estrazione massimo profitto dai segmenti La politica e gli obiettivi di prezzo (3/3)  Posizionamento e fasce di prezzo  Relazione tra rapporto qualità/prezzo e posizionamento Criteri di fissazione dei prezzi  Fascia di scelta: - Prezzo minimo:  P oltre il quale U < 0  Funzione del costo variabile/costo unitario totale (nuovo prodotto) - Prezzo massimo  P oltre il quale Q = 0 - Prezzo della concorrenza  Benchmark di riferimento  influenza il prezzo massimo Metodo del markup o cost-plus pricing (1/2)  Aggiunto di un ricarico (markup) al costo totale unitario  Il ricarico è - Funzione degli obiettivi di prezzo - Calcolato come rapporto tra margine di contribuzione e costo del prodotto (CPI o CPA) Metodo del markup o cost-plus pricing (2/2)  Esempio:  Vantaggi: - Margini adeguati ai diversi livelli della filiera - Semplicità di calcolo  Limiti: - Trascura prezzi di mercato e valore percepito - Allineamento dei prezzi della concorrenza (appiattimento della percezione) - Prezzo finale potenzialmente elevato Metodo del punto di pareggio (break even)  Punto di break even: Q tale che Costi totali = Ricavi Alternativa: Q tale da ottenere un livello di profitto X:  Vantaggi: - Determinazione del prezzo minimo a volumi dati - Valutazione dell’effetto di strategie di pricing alternative in funzione dei volumi attesi  Limiti: - Trascura prezzi di mercato - Trascura l’elasticità della domanda - Trascura la variabilità dei costi in funzione dei volumi Metodo del valore percepito  Prezzo funzione del valore percepito dal cliente  Trascura la struttura dei costi  Stima per differenza rispetto ad prodotti simili  Vantaggi: - Orientamento al cliente  Limiti: - Disallineamento tra prezzo e struttura di costo - Target Costing: struttura dei costi (progettazione, produzione, produzione, distribuzione) compatibile con un prezzo fissato Modifiche di prezzo Possibili variazioni del prezzo considerando:  Combinazione di prodotti/servizi vengono acquistati contemporaneamente (Product bundling)  Luogo geografico e/o canale distributivo di vendita  Valore percepito nei diversi mercati  Momento d’acquisto e/o comportamento di acquisto del consumatore (sconti e promozioni) Politiche di sconto  Sconti quantità  riduzione dei prezzi a fronte dell’acquisto di maggiori quantità di prodotto  Sconti di cassa  riduzione dei prezzi a fronte di un pagamento per cassa o con tempi inferiori rispetto ai termini di pagamento previsti dal contratto  Sconti commerciali o funzionali  riduzione dei prezzi garantiti agli intermediari commerciali a seguito dei servizi forniti e delle funzioni svolte  Sconti stagionali  riduzione dei prezzi a fronte dell’acquisto in periodi di tempo specifici, ad esempio fuori stagione (saldi)  Prezzi promozionali  riduzione dei prezzi volta a stimolare l’acquisto in determinati periodi o situazioni (ad esempio prodotti civetta venduti a prezzi molto bassi per attirare più clienti in un punto vendita; prezzi per occasioni speciali; quali la “fiera del bianco” per la biancheria della casa, etc.)  Altre forme promozionali  servizi aggiuntivi offerti insieme al prodotto o servizio principale per stimolarne l’acquisto (ad esempio finanziamenti a basso interesse o interesse zero; termini di pagamento più ampi, etc.) Segmentazione e discriminazione di prezzo Prezzi diversi in funzione delle caratteristiche del consumatore e della domanda  Obiettivo: incrementare il profitto estraibile dal mercato  Discriminazione continua: estrazione del massimo profitto possibile al crescere del numero di differenziazioni Manovre competitive di prezzo  Perché modificare il prezzo? - Cambiamenti del contesto competitivo - Stadio nel ciclo di vita di prodotto - Variazioni nella struttura dei costi
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