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Giacomo Leopardi + opere, Appunti di Italiano

Vita, pensiero (pessimismo storico e cosmico, natura benigna e maligna, social catena), poetica (vago, indefinito, bello poetico, rimembranza), I canti (le canzoni, gli idilli, i grandi idilli), Ciclo di Aspasia, poesie: L'infinito, A Silvia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, Il passero solitario, A se stesso (ciclo di Aspasia), La ginestra; Le operette morali: Dialogo della natura e di un islandese, Cantico del gallo silvestre

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 01/07/2024

anna-mirandola
anna-mirandola 🇮🇹

24 documenti

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Scarica Giacomo Leopardi + opere e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Giacomo Leopardi La vita ● 1798: nasce a Recanati (piccolo centro dello Stato pontificio) ○ padre: Conte Monaldo: erudita, nemico dell’Illuminismo e delle nuove idee diffuse con la Rivoluzione Francese, che possedeva un’immensa biblioteca, non aggiornata, con testi classici e cristiani ○ madre: Adelaide Antici→ anaffettiva, dura che si occupava delle finanze dissestate della famiglia ■ facevano parte della nobiltà terriera marchigiana, ma con cattive condizioni patrimoniali→ rigida economia per conservare il decoro esteriore ● cresce in un ambiente bigotto e conservatore ● istruito da precettori ecclesiastici→ 10 anni, comincia a studiare da solo perché non aveva più nulla da imparare da essi→ 7 anni di studio matto e disperatissimo (contribuì a minare la sua salute fisica già fragile) ○ imparò latino, greco, ebraico, condusse lavori filologici (ricostruzione e corretta interpretazione dei documenti letterari classici) ● 1815/1816: conversione “dall’erudizione al bello”→ abbandono filologia e entusiasmo per i grandi poeti (Omero, Virgilio, Dante), legge i moderni (Rousseau, Vita di Alfieri, Werther, Ortis) ○ l’amicizia con Pietro Giordani lo aiuta a trovare la confidenza affettuosa che mancava nell’ambiente familiare e fungeva da guida intellettuale→ lo apriva verso il mondo→ Recanati = carcere (ambiente chiuso) ■ Pietro Giordani: orientamento classicistico, idee democratiche e laiche ● 1819: tenta fuga da Recanati (dal paterno ostello)→ fallimento ○ questo gli impedisce anche la lettura (unico conforto alla solitudine)→ stato di totale prostrazione e aridità ● 1819: passaggio dal “bello” al “vero”, dalla poesia d’immaginazione alla filosofia (studia la realtà) ○ anno di intense sperimentazioni letterarie ● 1822: Roma dallo zio Carlo Antici→ disillusione (ambienti romani troppo vuoti e meschini)→ torna a Recanati ● 1823: comincia composizione delle Operette morali (testo filosofico composto da 24 brani, dove esprime la sua visione filosofica. Operette = accessibili a tutti, morali = chiave per comprendere la vita) ● 1825: l’editore milanese Stella gli offre un assegno fisso per collaborazioni→ lascia la famiglia e si mantiene ○ soggiorna a Milano, Bologna (dove si trova la prima università laica), Firenze, Pisa ■ a Pisa il clima è molto favorevole e gli concede una tregua ai suoi dolori ● 1828: il dolore gli impedisce qualsiasi lavoro→ Stella sospende l'assegno→ torna a Recanati (vive nel paterno ostello, senza rapporti con nessuno, malinconico) ● 1830: torna a Firenze dove fa esperienza della passione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti→ delusione ispira ciclo di canti “ciclo di Aspasia” (figlia illegittima di Pericle, militare nelle guerre del Peloponneso) ○ stringe fraterna amicizia con il napoletano Antonio Ranieri ○ la famiglia gli concede un piccolo assegno mensile ● 1833: Napoli con Ranieri→ polemica con l’ambiente culturale, tendenze idealistiche e neo-cattoliche, contrarie al suomaterialismo ateo ○ muore a Napoli nel 1837 Le lettere Scrisse un gruppo folto di lettere, non destinate alla pubblicazione, che però in molti casi si trattava di testi di straordinaria bellezza e intensità. ● a Pietro Giordani, dal 1817→ Leopardi pativa la chiusura e l’isolamento di Recanati, allora Giordani, intellettuale di grande fama e prestigio, lo aiutò nel confessare i propri tormenti interiori e le idee letterarie e progetti ● lettere ai familiari ○ fratello Carlo, a cui lo legava una forte complicità ○ sorella Paolina Il pensiero Natura: ● prima: positiva→ velo di illusioni ● mezzo: indifferente all’uomo ● dopo: maligna: agli uomini ha dato la ragione, agli altri esseri no, quindi non si possono illudere La natura benigna L’opera leopardiana si fonda su un sistema di idee continuamente meditate e sviluppate. Al centro della riflessione si pone unmotivo pessimistico, l’infelicità dell’uomo, la cui causa la individua inizialmente nello Zibaldone. Identifica l’infelicità con il piacere, sensibile emateriale. L’uomo desidera il piacere, quello infinito per estensione e durata. Nessuno dei piaceri, però, possono soddisfare questa esigenza→ senso di insoddisfazione perpetua, vuoto incolmabile dell’anima. Da questa tensione verso un piacere infinito, nasce l’infelicità dell’uomo. La natura, in questa prima fase è come unamadre benigna e attenta al bene delle sue creature, offre un rimedio all’uomo: l’immaginazione e le illusioni, che velano agli occhi le effettive condizioni dell’uomo. Gli uomini primitivi e gli antichi Greci e Romani, più vicini alla natura, erano capaci di illudersi e di immaginare, erano felici perché ignoravano la loro reale infelicità. Il progresso, opera della ragione, ha allontanato l’uomo da quella condizione→ sotto i suoi occhi: vero = infelice. Il pessimismo storico 1° fase: antitesi tra natura e ragione ● antichi: nutriti da illusioni, capaci di azioni eroiche e magnanime, forti fisicamente→ dimenticare il nulla e vuoto dell’esistenza ● moderni: il progresso della civiltà e della ragione ha spento ogni slancio magnanimo. Colpa = uomo stesso, allontanato dalla via della natura benigna 2° fase: Leopardi critica la civiltà dei suoi anni, dominata dall’inerzia, dal tedio (mancanza di voglia di fare), soprattutto in Italia, decaduta rispetto al passato→ tematica civile/patriottica. Ne deriva un atteggiamento titanico, il poeta sfida il fato maligno che ha condannato l’Italia. Questa fase è il pessimismo storico: la condizione del presente viene vista come effetto della storia, un allontanamento progressivo dalla condizione originaria di felicità (che per Leopardi è relativa perché la vera condizione dell’uomo è infelice, quella antica era solo un’illusione). La natura malvagia La natura però mira solo alla conservazione della specie e può sacrificare il bene del singolo e generare sofferenza. Ilmale, non è casuale,ma entra nel piano della natura. La natura ha messo l’uomo in una condizione di ricerca della felicità infinita, senza dargli gli strumenti per farlo. La natura è come un meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle sue creature, in cui devono soffrire e essere distrutti per consentire la conservazione del mondo. È una concezione meccanicistica e materialistica (tutta la realtà è materia, regolata da leggi meccaniche). L’infelicità umana prima era come assenza di piacere, ora è dovuta a mali esterni, materialistici, a cui nessuno può sfuggire. Il pessimismo cosmico Se la natura causa l’infelicità, l’uomo è necessariamente infelice in ogni tempo e luogo, anche gli antichi. Al pessimismo storico subentra quello cosmico→ infelicità = dato eterno e immutabile della natura, e non legata a una condizione storica. Crede però comunque che gli antichi siano meno infelici dei moderni. Inizialmente abbandona la poesia civile e il titanismo e subentra un atteggiamento contemplativo, ironico, distaccato, rassegnato. Ideale: saggio antico, stoico, che ha come caratteristica l’atarassia (= distacco imperturbabile dalla vita). Successivamente, non essendo la rassegnazione un’indole di Leopardi, torna l’atteggiamento di protesta, sfida il fato, tanto che nella Ginestra, svilupperà l’idea della social catena: una concezione della vita sociale e del progresso. La poetica del “vago e indefinito” L’infinito nell’immaginazione La “teoria del piacere” costituisce il nucleo germinale della sua filosofia pessimistica, ma è anche il punto d’avvio della sua poetica. Lo sviluppo dei suoi pensieri si può seguire nello Zibaldone. Nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile,ma con l’immaginazione è possibile figurare piaceri infiniti. La realtà immaginata funge da alternativa alla realtà vissuta, infelice e noiosa. Il vago e l’infinito stimolano l’immaginazione. Si ha così la teoria della visione: la vista impedita da un ostacolo permette di immaginare ciò che si trova al di là. E un’altra teoria, la teoria del suono: i suoni suggestivi sono vaghi perché permettono di immaginare cosa siano. ● prima fase: romantica ○ natura benigna ● 1824 Dialogo della Natura e di un Islandese→ natura maligna (prevalenza del “vero” sulle illusione e sul “vago e indefinito”) ● ANTIROMANTICO: assenze ○ esotismo orientaleggiante ○ culto per il Medioevo ○ tematica magico-fantastica/demoniaca ○ macabro-mortuario ○ interesse per il favoloso della poesia popolare ○ mistero e ineffabile ● stile: nitidezza classica I Canti “Canti”: carattere lirico delle poesie, che prendono spunto dall’intima soggettività dell’autore (anche temi filosofici/civili), Vuole però raccogliere generi poetici diversi della tradizione (canzoni, elegie, epistole), ma anche di forma più libera e originale (dopo 1828). Le Canzoni Le Canzoni (classiche di Petrarca) sono componimenti classici che riproducono lo schema fisso della lirica duecentesca e che usano un linguaggio aulico, sublime e denso. Le prime 5 (All’Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo mai): ● 1818-1821 ● tematica civile ● pessimismo storico ● aspri spunti polemici contro l’età presente (inerte, corrotta) in contrapposizione all’esaltazione dell’età antica, generosa e magnanima In Bruto minore e Ultimo canto di Saffo, Leopardi delega il discorso poetico a 2 personaggi dell’antichità suicidi (Bruto, uccisore di Cesare, e Saffo). Si delinea così l’idea che l’uomo è infelice non solo per ragioni storiche, ma per una condizione assoluta. Vengono incolpati gli dei e il fato di compiacersi di perseguitare l’uomo. A questi si contrappone l’eroe singolo dandosi anche alla morte (ripresa di Foscolo). Questa è l’affermazione del titanismo eroico che caratterizza il primo Leopardi. Gli Idilli Diversi dalle Canzoni nelle tematiche (intime e autobiografiche) e nel linguaggio (+ colloquiale e semplice). La parola idillio deriva dal greco e significa “quadretto”. Nella letteratura greca antica questi componimenti erano ambientati in un mondo pastorale idealizzato. In realtà il termine non era per indicare il mondo pastorale, bensì la brevità dei testi. Leopardi definì gli idilli come espressione di “sentimenti, affezioni, avventure storiche del suo animo”. La realtà esterna rappresentata ha una funzione soggettiva, per rappresentare momenti essenziali della sua vita interiore. Un esempio di idillio è L’Infinito, dove lo scenario è lo spunto per unameditazione sull’idea di infinito creato dall’immaginazione. Il “risorgimento” e i “grandi idilli” del 1828-1830 Finita la composizione di Idilli e Canzoni, Leopardi smette di scrivere fino al 1828. Lamenta la fine delle illusioni giovanili, per questo smette di scrivere poesie e si dedica alla filosofia. La più significativa della sua prosa filosofia è Operette morali del 1824, la fase del passaggio al pessimismo assoluto. Vengono abbandonati gli atteggiamenti titanici e diventa più distaccato e ironico nei confronti della realtà. Una svolta c’è durante il suo soggiorno a Pisa dove ricomincia a scrivere poesia nel 1828, che continua anche dopo essere tornato a Recanati. Questi componimenti riprendono temi, atteggiamenti e linguaggio degli idilli: ● illusioni e speranze della giovinezza ● rimembranze ● suggestione di immagini e suoni vaghi e indefiniti ● linguaggio limpido con termini e locuzioni “peregrine” ● “grandi idilli” = canti pisano-recanatesi La distanza dai primi idilli I “grandi idilli” sono percorsi da immagini liete che però sono accompagnate sempre dalla consapevolezza del dolore, del vuoto dell’esistenza e della morte. Il “vero” si affianca al “caro immaginar” e, a causa della consapevolezza di questa condizione, non ci sono più slanci. Dalle Operette, Leopardi ha assorbito un atteggiamento di contemplazione ferma e di lucido dominio razionale. Il linguaggio è piùmisurato, NON utilizza più l’endecasillabo sciolto, ma endecasillabi e settenari senza uno schema fisso→ “canzone libera leopardiana”. Il “ciclo di Aspasia” Dopo il 1830 e l'allontanamento definitivo da Recanati, si ha una nuova svolta. Prevale ancora quel pessimismo assoluto, approdato nelle Operette. A Firenze conosce Antonio Ranieri dove prova anche la prima esperienza amorosa: prova un’autentica passione per una dama fiorentina, Fanny Targioni Tozzetti. La delusione segna la fine dell’“inganno estremo”: l’amore. Nasce il “ciclo di Aspasia”, dal nome greco con cui il poeta identifica l’amata (Aspasia = cortigiana amata da Pericle). È formato da 5 poesie (Il pensiero dominante, Amore e Morte, Consalvo, Aspasia e A se stesso). La poesia è nuda, severa, quasi priva di immagini sensibili. Il linguaggio è aspro, antimusicale e la sintassi è complessa e spezzata. La polemica contro l’ottimismo progressista Leopardi si indirizza contro tutte le ideologie ottimistiche che esaltano il progresso. Contrappone le sue concezioni pessimistiche che escludono ogni miglioramento della condizione umana, l’infelicità e la sofferenza sono dati di natura. Allo spirito religioso del tempo, Leopardi contrappone il suo duro materialismo che nega ogni speranza in un’altra vita. La ginestra e l’idea leopardiana del progresso Con La ginestra si ha una svolta e questa lirica chiude il percorso poetico di Leopardi. Ripropone la dura polemica anti ottimistica e antireligiosa. Cerca di costruire un’idea di progresso sul suo pessimismo. La consapevolezza della condizione umana può portare gli uomini ad unirsi in una social catena, per combattere la minaccia della natura. Si apre così una utopia in cui gli uomini sono solidali tra di loro. L’infinito La poesia si apre con avverbio di tempo sempre, che riprende la tematica dell’infinito presente nel titolo e si contrappone con il verbo al passato remoto “fu”. Il colle di cui parla è il monte Tabor, che si trova poco distante dal palazzo dove il poeta viveva a Recanati, ha lo sguardo ostacolato da una siepe. L’impedimento rappresentato dalla siepe suscita in lui una riflessione sulla capacità dell’immaginazione ed egli immagina spazi interminabili e silenzi che vanno oltre ogni possibilità umana di comprensione, percepisce una quiete assoluta e una sensazione di smarrimento. Il rumore del fogliame scosso dal vento riporta il poeta alla realtà. Il poeta utilizza gli aggettivi dimostrativi “questo” e “quello” che indicano rispettivamente il finito e l’infinito. Alla fine parla di questa immensità e di questo mare, il pronome dimostrativo “questo”, anziché “quello”, indica l’infinito e non il finito come durante il resto della poesia. La sua sensazione è di piacere, infatti annegare in questa immensità in quel mare, è dolce per il poeta. ● finito/infinito: sempre-fu, questo (v. 1-2-9)-quello (v. 5-9-15) ● colle = Monte Tabor ● siepe = ostacolo ● v. 3: vago e indefinito (la siepe ostacola la vista→ immaginazione) ● v. 4: Ma = cerniera, sedendo e mirando = ritmo più lento→ infinito ● v. 6: profondissima = superlativi polisillabici che allungano il verso (infinito) ● vv. 11-12-13: enumerazione per polisindeto ● v. 11: “e mi sovvien l’eterno”→mi viene in mente tutto: infinito, passato, presente ● v. 15: naufragar dolce = ossimoro, mare = infinito ● vv. 1-8: impedimento della vista→ infinito spaziale ● vv. 8-15: uditivo→ vento, temporale ASilvia La poesia è stata scritta a Pisa tra il 19 e il 20 aprile 1828 in due giorni soltanto. Fa parte dei canti pisano-recanatese e venne pubblicata per la prima volta nel 1831. È qui rappresentata una ragazza conosciuta dal poeta al tempo della sua giovinezza morta di malattia quando era ancora molto giovane, alcuni indizi portano a identificarla con Teresa Fattorini, una delle figlie del cocchiere di casa di Leopardi, morta a 21 anni di tubercolosi. Il poeta parla di lei negli appunti e ricordi, da cui risulta che la conoscesse poco ma che fosse attratto dalla vicenda drammatica della sua morte precoce in cui vedeva un 'analogia con il proprio destino. Silvia per il poeta rappresenta i sogni e le illusioni giovanili, infatti il poeta le si rivolge nella poesia ricordando quel tempo felice della giovinezza in cui entrambi coltivavano speranze per il futuro, tradite poi dalla dura realtà della vita. Di conseguenza il poeta si scaglia contro la natura accusandola di ingannare i suoi figli non mantenendo le promesse di felicità che fa crescere nel loro animo. Non ci resta altro che la morte, che inesorabilmente pone fine ad ogni cosa. TEMI ● parallelismo tra le condizioni di Leopardi e Silvia: la condizione giovanile, le speranze, i sogni ed infine la delusione ● “vago e indefinito” che stimola l’immaginazione, illude all’infinito a cui l’uomo aspira ● la finestra permette il passaggio dall’interno, che rappresenta il mondo interiore di Leopardi chiuso in casa a studiare, e l’esterno (= siepe nell’Infinito) ● immaginazione + memoria: canto della fanciulla ● pensiero filosofico: la memoria è sempre accompagnata dal “vero ● vv. 1-27: descrizione ○ strofa 1: chiede a Silvia se ricorda la sua giovinezza ● v. 1: rimembranza ● v. 2: “quel tempo”→ tempo lontano ● vv. 4-5: “ridenti e fuggitivi”, “lieta e pensosa”→ dittologia ○ strofa 2: ricordo di come Silvia passava le giornate a maggio e descrive il suo canto ● v. 13: “maggio” = primavera = giovinezza ○ strofa 3: l’Io lirico racconta ciò che faceva nel paterno ostello sui balconi (studio) ● v. 15: cambio del soggetto→ “io” ● v. 19: “paterno ostello” = termine peregrino ● v. 26: ineffabilità (incapacità di esprimere un concetto a parole) ○ strofa 4: inizia la parte riflessiva ● v. 36: natura vista in modo negativo, non ancora pessimistico ● v. 40: “tu” = Silvia ● v. 43: era sola, non parlava con nessuno a causa della morte precoce ● v. 60: “vero” = è brutto perché rappresenta il presente ● v. 61: tu = speranza del futuro ● v. 62: chiasmo (fredda-ignuda, morte-tomba) ○ ogni speranza è morta con la morte di Silvia e l’arrivo del vero La quiete dopo la tempesta Fa parte dei canti pisano-recanatesi. Il poeta descrive il risveglio di un piccolo paese dopo la fine di un temporale. Gli abitanti tirano un sospiro di sollievo dopo i timori causati dalla natura. Leopardi riflette sull'illusione del piacere che si prova dopo che ci si libera di una preoccupazione. Il dolore è spontaneo, nasce da sé, mentre il piacere e la gioia presuppongono sempre dolore. La gioia è priva di una consistenza propria perché coincide sempre con la cessazione del dolore, per cui la gioia è non-dolore. Il canto è diviso in due parti: ● la strofa iniziale: ha un tono descrittivo, descrive il paesaggio che torna sereno dopo il temporale e la vita del paese che si riprende. Questa strofa si caratterizza per un linguaggio colloquiale unito a termini peregrini. Questa unione permette di conferire agli elementi una parvenza sia reale che idealizzata ● la seconda strofa e la terza: hanno un tono riflessivo Il rasserenamento della popolazione dopo la tempesta fugace è solo una breve sospensione dal dolore. Si scontrano quindi, la momentanea condizione terrena (illusoria) e la condizione universale (dolorosa). Il piacere in sé non esiste, è figlio del dolore che coinvolge tutti. I sensi più utilizzati sono quello uditivo e visivo, c'è un costante intreccio di suoni e immagini. Solo alla fine appare il sole. Leopardi usa molta ironia per descrivere la natura nominandola cortese. Cortese si utilizza per parlare di qualcosa di nobile, ma Leopardi dà un significato ironico, la natura infatti non è cortese. ● il pastore adesso si rivolge al suo gregge e non più alla luna, ed esprime invidia per gli animali che non ponendosi mai alcun tipo di domande di senso ed accontentandosi di stare ad oziare all’ombra nel prato hanno una vita molto più felice. Lui invece e l’uomo in generale non possono esimersi dal porsi domande e l’ozio che appaga ogni animale per l’uomo diventa tedio, noia. L’insoddisfazione assilla l’uomo perché consapevole della vanità dell’esistenza ○ Il pastore invidia alla luna→ Il passero solitario ○ io come te luna mi metto all’ombra per rilassarmi ma non ci riesco perché i pensieri mi assalgono→ non riesco a trovar pace anche se non desidero niente di speciale ■ Collegamento: BRECHT - GENERAL (pensare è il difetto dell’uomo) ■ La noia sottende sempre un ragionamento: a differenza del gregge che non si annoia a compiere sempre le stesse azioni, l’uomo sì ■ v. 120: “sedendo”→ L’Infinito ■ vv. 113, 133: tedio STROFA 6 ● la conclusione è che forse non serve essere come la luna e vedere le cose dall’alto, né essere come un animale per vivere felici perché la vita in se stessa è una sventura, in qualsiasi condizione venga vissuta ed il fatto stesso di nascere è funesto. La vita è male e il male ha una dimensione cosmica che colpisce tutti gli esseri viventi ● Il canto non si fonda sulla memoria, sul vagheggiamento, ma è una lucida riflessione che partendo da elementari interrogativi, coinvolge i grandi problemi metafisici→ poesia filosofica, fondata sul vero ● Paesaggio non idillico o familiare ma astratto e metafisico (dove il tempo e lo spazio sembrano infiniti) ● Canto notturno chiude la stagione dei grandi idilli Il passero solitario Il testo si apre subito subito su immagine vaghe e indefinite: il canto del passero che si allarga in uno spazio indeterminato, evocato dal complemento di luogo vago “ alla campagna”, il motivo del suono è ripreso poco dopo dal belar delle greggi e dal muggir degli armenti. Anche la torre che si alza nel cielo evoca un’idea di infinito, la suggestione contribuisce l’antichità della torre, perché l’antico produce una sensazione indefinita, l’idea di un tempo indeterminato. L'idillio è ripreso nei temi di: giovinezza-gioia-festa-primavera, compare nella prima strofa col passero e nella seconda a proposito del poeta. Nella parte finale della seconda strofa il poeta parla della giovinezza e del fatto che anche lui non gode delle gioie di essa ma se ne sta in disparte senza partecipare ai divertimenti degli altri giovani e si limita a cantare (inteso a scrivere poesie). Per quanto solitaria e priva di gioie sia la giovinezza, per Leopardi è pur sempre la stagione privilegiata (linguaggio dell’immaginar). Nella seconda parte dell’ultima strofa il poeta si dedica alla vecchiaia dove il passero è immune ad essa: la sintassi si fa più ampia e non è più caratterizzata da termini vaghi e suggestivi ma da parole negative come “ vecchiezza”, “ sconsolato”, “ noioso” (linguaggio del vero). Il passero solitario si colloca subito prima dell’infinito, comunque alcune caratteristiche impediscono di ritenere che sia stata composta nella stagione prima degli idilli: per la struttura molto molto lunga con strofe libere e di endecasillabi e settenari; la poesia non compare prima del 1835. L’intera poesia si basa sulla similitudine tra il solingo augellin e il poeta. -> così come il passero solitario, anche Leopardi trascorre solitario la primavera, il periodo che dovrebbe essere il più bello e felice per tutti. Vi è però una differenza tra i due: ● Il passero lo fa per la sua natura e vive felicemente la sua condizione, non avrà rimpianti per questo modo di aver vissuto, essendo il comportamento tipico della sua natura ● Leopardi si sente incompreso ed estraneo al suo stesso luogo natale, privato della giovinezza, sente che una volta arrivata alla vecchiaia avrà un grosso rimpianto da sopportare a causa di tutte le gioie di cui non avrà goduto. All’interno della poesia troviamo riferimenti espliciti ad altre poesie dell’autore come: ● al verso 29 “suon di squilla” suono suggestivo presente anche nel sabato del villaggio; ● al verso 43 “cadendo” riprende la poesia A Silvia ● vv. 2-3: ripreso anche ai vv. 37-38 ● v. 11-16: metafora ● v. 19: famiglia = compagnia (alla latina) ● “vago e indefinito” ripercorre l’intera poesia ● vv. 32-33: simile al Sabato del villaggio ● v. 41: “Sol” = è il tramonto della giovinezza→ passaggio all’età adulta ● v. 45: “solingo augellin” ● termini peregrini: v. 9 (augelli), v. 20 (german), v. 25 (loco natio), v. 45 (solingo augellin) Ase stesso La composizione di "a se stesso" appare come una vera e propria ritrattazione dell'illusione amorosa, composta intorno agli anni del 1833-1835, e pubblicata per la prima volta nell'edizione napoletana dei canti nel 1835. Il pensiero dominante è la disillusione dell'amore, un sentimento che Leopardi vive a caldo: il cuore può smettere di affannarsi, disperare e desiderare, in quanto nulla sulla terra può valere questo affanno, e l'unico bene per gli esseri umani è la morte. Per la prima volta il poeta aveva di fronte a sé una donna reale, che manifestava interesse per lui e lo incontrava spesso, dunque l'amore era diventato per Leopardi una fonte di gioia, così come testimoniato nelle prime poesie del ciclo di Aspasia. Con "a se stesso", il poeta torna ad affermare spietatamente la fine di ogni illusione e la dolorosa insensatezza della vita, ammonendo il proprio cuore a calmarsi e a smettere di palpitare. Nel momento tragico della disillusione Leopardi assume un atteggiamento risoluto e dignitoso ricordando a se stesso che non la può avere tanto dolore. La riflessione parte dall'esperienza individuale per estendersi all'ordine in generale delle cose, la sofferenza non riguarda solamente l'io, ma deriva da un sistema universale funesto, richiamato attraverso un climax drammatico. Per la prima volta Leopardi parla a se stesso, infatti nei canti precedenti si era rivolto a interlocutori reali o immaginari o a sostituti di sé. Qui assume i modi del dialogo interiore, utilizzando l'espediente del colloquio con se stesso per far fronte al dolore. ● v. : “or” = ora e non durante la gioventù ● v. 2: “inganno” = l’amore era l’unica illusione che rimaneva, ma si viene a scoprire che è un inganno ● v. 3: “. Perì.” = termine ripetuto 2 volte in 2 versi consecutivi. Indica la fine ultima anche dell’ultima illusione ● vv. 4-5: speranza che rimanda a A Silvia ● v. 7: “palpitasti” = onomatopea ● v. 10: “fango” = assenza di luce, spento ● v. 15: cuore devi disprezzare la natura perché è brutta, cattiva ● ritmo molto spezzato: segni di interpunzione e verbi con significato negativo (poserai, perì, spento, posa per sempre, t’acqueta, dispera, morire ● “vago e indefinito”: estreo (v. 2), infinita (v. 16) La polemica contro l’ottimismo progressista Il bersaglio della satira leopardiana è l’ottimismo progressista, che vede l’umanità avviata verso un futuro mirabile felicità grazie alle conquiste tecnologiche ed al progresso delle conoscenze e delle condizioni sociali. In realtà, Leopardi deride quelle concezioni perché ritiene che i mali dell’uomo siano iscritti nell’ordine stesso di natura e perciò siano ineliminabili, e che sia stolto pensare di rendere felice l’uomo con le riforme politiche e il progresso materiale, visto che l'infelicità è un dato eterno e immodificabile. Anche l’idea di una società giusta è per Leopardi un inganno: in ogni forma di governo il virtuoso sarà sopraffatto, e trionferanno la prepotenza e la frode. Nega ogni valore di progresso, perché non può modificare la condizione umana. Non è reazionario perché vorrebbe dire che vuole tornare indietro. Il pessimismo assoluto non trova alternative né nel futuro né nel passato. La ginestra o il fiore del deserto La ginestra fu composta nel 1836 in una villa alle falde del Vesuvio e pubblicata da Antonio Ranieri nell’edizione postuma dei canti, nel 1845. La ginestra si apre con una citazione di un versetto tratto dal Vangelo di San Giovanni (visione anti idillica, posto come epigrafe: per Leopardi le tenebre sono le concezioni spiritualistiche ottimistiche, la fede nel progresso, mentre la luce è consapevolezza tragica della condizione effettiva dell’uomo, in ambito religioso invece la luce è positiva mentre le tenebre assumono una concezione negativa). Il componimento consta di sette strofe. In sintesi: il testo descrive come la ginestra, fiore fragile e delicato, coraggiosamente riesca a ricresce in territori desolati, come avviene per esempio sulle pendici del Vesuvio, anche se destinato a soccombere continuamente ad ogni eruzione. La fragilità della ginestra diviene simbolo della fragilità della condizione umana sottoposta alla legge crudele della natura che interessata solo a se stessa non bada al destino del genere umano. Per il poeta di fronte alla smisurata potenza della natura l’uomo dovrebbe orgogliosamente prendere atto della sua fragilità e rassegnarsi alla sua condizione, così come fa l’umile pianticella della ginestra, e non credersi invece superbamente padrone del proprio destino e della natura. PRIMA STROFA (vv. 1-51) ● descrizione del paesaggio vulcanico e della ginestra, delicato fiore che cresce sulle pendici del Vesuvio, ma anche nei luoghi dove sorgeva l’antica Roma ○ le rovine rappresentano una visione di sfiducia nel progresso e nel futuro ● v. 6: “odorata ginestra” = è tenace perché ha la forza di riuscire a vivere sulle pendici del Vesuvio ● v. 11: “impero” = Roma ● v. 51: “le magnifiche sorti e progressive” = citazione dagli Inni sacri di Terenzio Mamiani, cugino di Leopardi SECONDA STROFA (vv. 52-86, tranne da v.59 a v. 97) ● polemizza contro le scelte filosofiche della cultura dominante, contro le certezze di quello che definisce secol superbo e sciocco. Rimprovera il pensiero dominante di aver interrotto la tradizione razionalistica che aveva risollevato il mondo dalla decadenza medioevale ● v. 53: il XIX secolo è definito superbo e sciocco perché esalta il destino e il progresso dell'umanità ○ superbo: perché pensa di poter controllare la natura ○ sciocco: perché non impara dal passato e commette sempre gli stessi errori ● l’ottimismo non ha le fondate ragioni di sussistere TERZA STROFA (vv. 87-157, tranne fino a v. 97) ● il poeta definisce la vera nobiltà spirituale nel guardare coraggiosamente in faccia il destino comune e nel dire il vero sulla condizione infelice del genere umano, mostrandosi forte nel soffrire e nell’essere solidale con gli altri uomini ● continua ad escludere la felicità, ma ipotizza una società più giusta, con rapporti più umani. Ammette quindi una forma di progresso che si basa sulla lucida consapevolezza della tragica condizione umana. In questo modo gli uomini si aiuterebbero a vicendo, formando una “social catena”, che unisce le forze degli uomini contro la natura. Nonostante l’uomo rimanga comunque infelice, questa infelicità sarà attenuata dall’eliminazione delle ostilità tra gli uomini. ● vv. 151-153: virtù civili→ onestà, lealtà, senso della giustizia, solidarietà (pietade) QUINTA STROFA (vv. 201-236) ● riprende il motivo della prima strofa: la potenza distruttiva della natura. Non si cura dell’uomo più di quanto si curi delle formiche. Come un pomo cadendo da un albero schiaccia un formicaio, così un vulcano distrusse nel I sec. a.C. le città di Ercolano e Pompei ● vv. 202-212: similitudine tra uomo e formica SESTA STROFA (vv. 237-296, tranne da v. 237 a v. 247) ● è giocata sul motivo del tempo (contrasto tra l’insignificanza del tempo umano e l’immobilità del tempo eterno della natura). Il tempo umano scorre vario, trasformando costantemente le cose, mentre la natura è maligna e piomba improvvisamente nelle vite dell’uomo, immutata. ● la strofa è divisa in 2 ○ contrasto tra un quadro idillico del luogo e l’immagine della natura distruttrice, che nega ogni quiete ○ le rovine tornano alla luce grazie agli scavi archeologici→ la natura però, ignorando i ritmi del tempo umano, minaccia l’uomo attraverso la lava SETTIMA STROFA (vv.297-317) ● ritorna in primo piano la ginestra (moto circolare: prima e ultima presentano la ginestra) di cui viene richiamato il significato simbolico: ○ resiste e lotta contro la distruzione abbellendo e profumando luoghi devastati dalla morte ○ combatte stoicamente la natura senza implorare pietà e senza orgoglio (a differenza degli uomini) ○ non cerca consolazione in folli affermazioni di immortalità ● si delinea l’immagine ideale della nobiltà dell’uomo ad unirsi in una social catena per aiutarsi Le Operette morali e l’”arido vero” Nel 1824, di ritorno da Roma, dopo essere per la prima volta uscito dal “borgo natio selvaggio” ed essere venuto a contatto con la società, si dedica al componimento delle Operette morali, pubblicate nel 1827. Sono prose di argomento filosofico. Il fine è quello di scuotere l’Italia e il suo secolo. Vi è quindi un forte impegno civile e
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