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GIAMBATTISTA VICO BIOGRAFIA + APPUNTI "DE NOSTRI TEMPORIS STUDIORUM RATIONE", Appunti di Storia Della Filosofia

Esame storia della filosofia moderna appunti Giambattista Vico

Tipologia: Appunti

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Scarica GIAMBATTISTA VICO BIOGRAFIA + APPUNTI "DE NOSTRI TEMPORIS STUDIORUM RATIONE" e più Appunti in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! Giambattista Vico Giambattista Vico nacque a Napoli nel 1668, sesto degli otto figli di un piccolo libraio. La sua formazione culturale, della quale Vico ci ha lasciato una dettagliata testimonianza in un testo autobiografico del 1728, La Vita scritta da se medesimo, risentì della sua modesta condizione sociale e della sua fragile costituzione fisica; fu quindi piuttosto discontinua e disordinata: in parte si svolse presso il Collegio Massimo dei gesuiti, in parte grazie a istitutori privati, ma, soprattutto, si deve agli interessi coltivati da Vico come autodidatta. Le sue letture spaziarono dall’ambito grammaticale e logico a quello filosofico-metafisico fino a quello giuridico. A diciott’anni passò al servizio del marchese Domenico Rocca in qualità di precettore dei figli. Tale impegno non gli impedì di proseguire e approfondire i suoi studi, sia in campo filosofico e letterario, attraverso la consultazione della ricchissima biblioteca del marchese, sia in campo giuridico con l’iscrizione ai corsi di giurisprudenza dell’università di Napoli, fino al conseguimento, nel 1694, della laurea. Tornato definitivamente a Napoli, Vico entrò in relazione con gli ambienti intellettuali della città e riuscì a ottenere, nel 1699, la cattedra di Retorica all’università. L’orazione pronunciata per l’inaugurazione dell’anno accademico nel 1708, De nostri temporis studiorum ratione (L’organizzazione degli studi del nostro tempo), riveste un importante significato, perché Vico vi affronta un problema di ampia risonanza nella cultura del tempo, quello del metodo di studio. Cartesio nel famoso Discorso sul metodo, che aveva trovato vasta eco negli ambienti accademici napoletani, tende a privilegiare l’ambito degli studi scientifici in quanto ritenuto l’unico fondato su presupposti certi e concettualmente chiari. Ma a questo metodo, afferma Vico, sfugge tutto quell’ambito di sapere che oggi definiremmo umanistico (studi letterari, storici, giuridici) e che, pur risultando connesso con la sfera del "probabile" anziché del "certo", non è da considerarsi per questo meno formativo e rilevante nella ricerca del vero. La critica alla pretesa dei cartesiani di far valere il metodo matematico come unico criterio del sapere prende forma due anni dopo (1710), quando Vico offre la dimostrazione di come una indagine esercitata nel settore linguistico possa costituire il tramite per la scoperta di profonde verità, con l’opera De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda (Dell’antichissima sapienza italica evidenziata dalle origini della lingua latina). Vico nella sua opera tenta originalmente di cogliere le tracce di tale arcaica sapienza attraverso un’analisi filologica condotta sulla lingua latina (pur differente da quella parlata dalle antiche popolazioni italiche). L’operazione culturale che qui Vico propone suona polemica nei confronti del razionalismo coevo e della sua pretesa di rifondare dalle basi l’intero edificio del sapere. La pretesa di cogliere un fenomeno naturale nella sua più profonda causa è del tutto infondata e non riuscirà mai a tacitare la fondata obiezione degli scettici: solo Dio, creatore della natura, possiede le ragioni profonde di essa. L’intercambiabilità che – secondo l’analisi di Vico – presentano nella lingua latina i termini "verum" e "factum" conferma tale verità: si può conoscere solo ciò di cui si è autori. La conoscenza umana risulta dunque necessariamente limitata nell’ambito delle scienze di tipo matematico – perché gli enti che esse utilizzano, pur veri in quanto costruiti dalla mente umana, sono astratti, non presentano una necessaria corrispondenza con la realtà – mentre istituisce un collegamento certo con le cose reali nell’ambito molto più concreto e significativo dei fatti storici di cui l’uomo, pur guidato dalla Provvidenza divina, è innegabilmente autore. Nel secondo decennio del Settecento Vico si accostò all’opera di Grozio, il giurista olandese che aveva indagato da una prospettiva filosofica le origini e i fondamenti della società e dello stato; tale lettura, che rappresentò a detta di Vico stesso un’autentica illuminazione, lo indusse a riprendere gli studi giuridici e a impegnarsi nella stesura delle opere latine raccolte sotto il titolo di Diritto universale, pubblicate fra il 1720 e il 1722. Nonostante questi studi Vico fallì, nel 1723, l’obiettivo di conquistare la prestigiosa cattedra di Diritto civile. Si concentrò quindi – in una sorta di orgoglioso isolamento, provato ma non vinto dalle difficoltà quotidiane e dall’indifferenza dell’ambiente culturale – sull’opera in cui sarebbero confluite in un disegno unitario le sue molteplici ricerche: nasce così, da un travagliato processo creativo che lo porta a elaborarne (dal 1725 al 1744) ben tre edizioni, La Scienza nuova, il capolavoro vichiano. Insignito da Carlo III di Borbone del titolo di storiografo regio (1734), per i suoi lavori sulla storia napoletana (ricordiamo la Storia della congiura dei principi napoletani del 1701 e la Biografia di Antonio Carafa del 1716), Vico si spense nel gennaio del 1744, senza aver potuto vedere stampata la definitiva versione della Scienza nuova, a cui si era dedicato fino all’ultimo. DE NOSTRI TEMPORIS STUDIORUM RATIONE - GIAMBATTISTA VICO Come sappiamo nel 1699 Vico vince il concorso per la cattedra di retorica presso l’università di Napoli, aspirando poi invano, molto più tardi, a quella più prestigiosa e meglio pagata di diritto civile. Ma è proprio grazie a questo incarico che abbiamo notizia dei primi scritti filosofici di Vico. Il professore di retorica era chiamato ogni anno a tenere la prolusione, l’orazione inaugurale. Al diventa una forza viva della mens in sintonia con la ribadita esigenza umanistica di procedimenti logici semplici, più vicini alle res che ai verba. Vico introduce in criterio del probabile, oppone al rigorismo mentalistico e al dualismo cartesiano il probabilismo etico-retorico di Cicerone. Il verosimile vichiano è fondato sul “senso comune”, il quale fonda le dimensioni sociali e storiche dell’esistenza da cui prende avvio l’arte topica. Individui che vivono insieme e comunicano tra loro, agiscono ispirandosi a regole generali attraverso il senso comune, sentimento della comunità connesso all’ingegno, alla capacità di scorgere con la fantasia e la memoria somiglianze ideali in tutti i campi del sapere. Contro ogni forma di identificazione di ragione e realtà il senso comune è il vero quale può apparire all’uomo, ossia il vero nelle sue prime forme non riflessive, ma percettive e topiche, inventive e fantastiche. Non è l’universalità astratta della ragione ma l’unità concreta del sapere pratico orientato nell’infinita varietà delle circostanze lontano da vecchi formulari e impoverite precettistiche. Medium tra vero e falso, e sotteso all’affermazione del verosimile, il sensus communis prospetta la possibilità di rendere concreta l’universalità del vero e, insieme, quella di aprire all’universale la concretezza del fatto. Le pagine del 1709 documentano il valore del nesso tra la dimensione insopprimibile del corpo ed il potere direttivo della mente. Il linguaggio assume a questo punto un posto fondamentale, esso contribuisce a costituire la verosimiglianza. Vico valorizza il linguaggio nella sua dimensione analogica e metaforica. A un modello di saggezza fondato sulla verità o su una pretesa conoscenza oggettiva della natura Vico oppone, senza esitazioni, la sapienza come prudenza. La prudenza è sapienza del verosimile che si deve servire dell’eloquenza per convincere il volgo, corrispondendo alla natura fantastica ed immaginativa dell’umana mens, osservando le verità universali dalla prospettiva di quelle particolari. I sapienti sono coloro che mirano ad approssimare il più possibile l’uomo al vero. La separazione delle scienze e delle arti dalla filosofia del senso comune e della prudenza è causa di decadenza della sapienza moderna e, in particolare, della iuris prudentia. Lo documenta la parte finale della Dissertatio, trattando delle finalità pratiche e civili dell’educazione, per dedicare specifica attenzione al diritto romano che non è solo una novità argomentata nella riflessione vicina, ma l’exemplum realizzato di una certezza storica. Tutto ciò che l’uomo può conoscere, anche l’uomo stesso, è finito e imperfetto. E paragonando i nostri tempi con gli antichi soppesiamo vantaggi e svantaggi dell’una e dell’altra parte per gli studi. Argomento della Dissertatio: Quale metodo di studi è più corretto e migliore, il nostro o quello degli antichi? Lo scopo: perché abbiate un metodo grazie al quale poter conoscere più degli antichi nella somma generale del sapere. In questa dissertazione non metto a confronto le scienze e le arti antiche con quelle dei moderni, semplicemente le compara. Il metodo degli studi è contenuto in tre cose: strumenti, sussidi, fine. Strumenti delle nuove scienze: della geometria l’analisi, della fisica la geometria, della medicina la chimica, dell’anatomia il microscopio, della astronomia il telescopio, della geografia la bussola. i sussidi: l’abbondanza di ottimi modelli, i caratteri topografici, la fondazione di università degli studi. Uno solo è il fine: la verità. Vantaggi e svantaggi del nostro metodo: noi iniziamo tutti gli studi dalla critica, la quale prescrive che siano allontanati dalla mente tutti i secondi veri ossia i verosimili, al modo stesso che si allontana la falsità. Tuttavia è sbagliato infatti la prima cosa che va formata negli adolescenti è il senso comune (sensus communis) affinché, giunti con la maturità al tempo dell’azione pratica non prorompano in azioni strane inconsuete. Il senso comune si genera dal verosimile come la scienza si genera dal vero e l’errore dal falso. Il verosimile è intermedio tra il vero e il falso, giacché essendo per lo più vero assai di rado è falso. Inoltre il senso comune è regola dell’eloquenza come di ogni disciplina, con la nostra critica si rischia di rendere i giovani incapaci di eloquenza. Geometria e fisica: dimostriamo le cose geometriche perché le facciamo; se potessimo dimostrare le cose fisiche, noi le faremmo. Nel solo Dio ottimo massimo sono vere le forme delle cose, perché su quelle è modellata la natura. Lavoriamo dunque alla fisica come filosofi, per ben educare l’animo nostro, superando in ciò gli antichi che coltivavano questi studi per contendere empiamente in beatitudine con gli dei, mentre noi lo facciamo per abbassare l’orgoglio umano. Ricerchiamo il vero e quando non lo troviamo lo stesso desiderio ci conduca a Dio sola via e verità. Inoltre il metodo geometrico prescrive di contenere discussioni fisiche entro brevi termini e con divieto di ornamento. Perciò si osserverà che i moderni fisici hanno un modo di discussione rigoroso e conciso; essa limita quella facoltà che fa scorgere analogie tra cose di gran lunga disparate e differenti, ciò è reso possibile dalle acutezze tra cui la migliore è la metafora. L’analisi relata alla meccanica: per Vico le invenzioni dei moderni comparvero prima ancora della divulgazione dell’analisi. Vedi pagine 70-71
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