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Giorgio caproni (1912 1990) , Temi di Italiano

Presentazione di uno dei poeti più importanti del '900 italiano , cono divisione in periodi, spiegazione di poetica e temi con inserimenti di poesie e di video interviste a Giorgio Caproni e paragone con l'attimo fuggente.

Tipologia: Temi

2015/2016

Caricato il 15/06/2016

federico_rossi3
federico_rossi3 🇮🇹

4.2

(6)

8 documenti

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Scarica Giorgio caproni (1912 1990) e più Temi in PDF di Italiano solo su Docsity! Giorgio Caproni (1912-1990) ‘‘Io sono Genova , e Genova è me’’ Vita Giorgio Caproni nasce a Livorno nel 1912. All'età di 10 anni si trasferisce a Genova [«la mia vera città»] con la famiglia, e lì compie i suoi studi e si iscrive alla Facoltà di Magistero, studiando contemporaneamente violino e composizione e frequentando le lezioni di filosofia di Giuseppe Rensi. Conseguito il diploma magistrale intraprende la carriera d'insegnante elementare in Val Trebbia, dove sarà più tardi impegnato nella Resistenza partigiana. Pubblica intanto i suoi primi volumi di poesia: Come un'allegoria (1936), Ballo a Fontanigorda (1938), seguiti da nuove raccolte: Finzioni (1941), Cronistoria (1943). Dal 1945 si stabilisce a Roma insieme alla moglie Rina, dove per motivi economici affianca all'attività d'insegnante quella di pubblicista e traduttore, soprattutto dal francese. Traduce in particolare Proust, e tra gli altri anche «I fiori del male» di Charles Baudelaire. Pubblica nuovi e più maturi libri di versi: Stanze della funicolare (1952), Il passaggio di Enea (1956), Il seme del piangere (1959), Congedo del viaggiatore cerimonioso (1965), Il muro della terra (1975), Il franco cacciatore (1982), Il conte di Kevenhuller (1986). Del 1984 è la raccolta di racconti Il labirinto. Muore a Roma nel gennaio del 1990. Il volume «Poesie 1932-1986» è la raccolta completa della sua opera. Il poeta riceve nel 1984 la laurea honoris causa in Lettere e Filosofia all'Università di Urbino; nel 1985 gli viene conferita la cittadinanza onoraria di Genova. Secondo Periodo: periodo livornese Il secondo periodo dell’opera di Caproni corrisponde alle poesie che si rifanno alla memoria biografica del poeta, legata a Livorno e alla figura della madre, morta nel 1950. A lei sono dedicati i Versi livornesi de Il seme del piangere (1959). Si tratta di un breve canzoniere d’amore filiale per Anna Picchi, che rivive in questi versi freschi e svelti nella sua splendida giovinezza, quando il poeta ancora non era nato. Nasce da qui un’irrazionale senso di colpa, affidato, insieme all’affetto struggente, a una volontà di utilizzare versi orientati a parole semplici e a rime convenzionali, che diventano il contrassegno di una poetica estremamente originale. Per lei voglio rime chiare, usuali: in -are. Rime magari vietate, ma aperte, ventilate. Rime coi suoni fini (di mare) dei suoi orecchini. O che abbiano, coralline, le tinte delle sue collanine. Rime che a distanza (Annina era così schietta) conservino l’eleganza povera, ma altrettanto netta. Rime che non siano labili, anche se orecchiabili. Rime non crepuscolari, ma verdi, elementari . A quest’epoca appartiene anche Congedo del viaggiatore cerimonioso e altre prosopopee (1965), raccolta in cui l’io del poeta si nasconde dietro controfigure di personaggi marginali, che dichiarano il proprio distacco dalla vita sociale e dal mondo, verso il quale, comunque, conservano uno sguardo affettuoso. Terzo Periodo : periodo romano Dopo “congedo”, si apre la terza e ultima stagione della poesia caproniana, addensata intorno alle raccolte Il muro della terra (1975), Il franco cacciatore(1982) e Il conte di Kevenhüller (1986). Si tratta di tre libri in cui la composizione è molto attenta: le poesie si presentano ulteriormente rarefatte, ridotte a pochissimi versi. Il peso delle raccolte poggia infatti tutto sulla loro architettura, organizzata attentamente secondo percorsi tematici e partiture sonore che permettono a Caproni di ritornare alla giovanile passione per la musica (Il conte di Kevenhüller si presenta come un testo melodrammatico). In queste poesie l’io lirico scrive da una posizione solitaria e isolata, e si rivolge a un mondo che assume le sembianze di un deserto umano ed esistenziale, come quello circondato dalle mura della città di Dite nell’Inferno dantesco (canti IX-XI). Caproni riflette, con un tono dolente che a volte viene sostituito da una tenera ironia, sulla condizione di spaesamento, di perdita dei legami con il passato e dei valori di riferimento; vorrebbe riconoscersi nella figura del “cacciatore” che si mette sulle tracce della verità o di Dio, ma finisce per ammettere di essere sempre rimasto fermo al proprio posto, atterrito - o forse anche sollevato - dalla consapevolezza che “Dio non c’è e non esiste” . Non mi ha risposto. Gli ho scritto tante volte. Non mi ha mai risposto. Io credo che sia morto. Non penso che si tenga nascosto . Come confermano anche i Versicoli del controcaproni (pubblicati per la prima volta nel 1983) e la raccolta Res amissa (uscita postuma nel 1991), Giorgio Caproni ha saputo dare dimostrazione di come, in un tempo di oziose astrazioni concettuali e dello svuotamento di significato del linguaggio comune, la poesia possa farsi parola di inaudita leggerezza e chiarezza senza rinunciare all’ambizione e alla responsabilità di riflettere le inquietudini di un’epoca, come il secondo Novecento italiano, attraversata da turbolenze e trasformazioni spiazzanti. Il passaggio d'Enea Didascalia Fu in una casa rossa: la Casa Cantoniera. Mi ci trovai una sera di tenebra, e pareva scossa la mente da un transitare continuo, come il mare. Sentivo foglie secche, nel buio, scricchiolare. Attraversando le stecche delle persiane, del mare avevano la luminescenza scheletri di luci rare. Erano lampi erranti d'ammotorati viandanti. Frusciavano in me l'idea che fosse il passaggio d'Enea. Ballo a Fontanigorda Mentre per la pastura si sparge l’amaro aroma d’una sera silvana, al suono dei clarinetti chiari, fra luci di colori e risa, s’infatua gaia la danza d’una montana allegria. Bruciano alla bramosia segreta, le carnagioni giovani. A farne inquieta l’aria, una folata basta fino al confine ultimo della prateria.  Statale 45 È una strada tortuosa. Erta Tipica di queste nostre zone montane. Dovunque, segnali d'allerta. Fondo dissestato . Frane. Caduta massi. Il motore s'inceppa. La ruota slitta sull'erba che vena l'asfalto. La mente è tesa. Non basta. La guida più accorta da Res Amissa (1981,postuma) L’ascensore Quando andrò in paradiso non voglio che una campana lunga sappia di tegola all'alba - d'acqua piovana. Quando mi sarò deciso d'andarci, in paradiso ci andrò con l'ascensore di Castelletto, nelle ore notturne, rubando un poco di tempo al mio riposo. Ci andrò rubando (forse di bocca) dei pezzettini di pane ai miei due bambini. Ma là sentirò alitare la luce nera del mare fra le mie ciglia, e... forse (forse) sul belvedere dove si sta in vestaglia, chissà che fra la ragazzaglia aizzata (fra le leggiadre giovani in libera uscita con cipria e odor di vita viva) non riconosca sotto un fanale mia madre. Con lei mi metterò a guardare le candide luci sul mare. Staremo alla ringhiera di ferro - saremo soli e fidanzati, come mai in tanti anni siam stati. E quando le si farà a puntini, al brivido della ringhiera, la pelle lungo le braccia, allora con la sua diaccia spalla se n'andrà lontana: la voce le si farà di cera nel buio che la assottiglia, dicendo "Giorgio, oh mio Giorgio caro: tu hai una famiglia." E io dovrò ridiscendere, forse tornare a Roma. Dovrò tornare a attendere (forse) che una paloma bIanca da una canzone per radio, sulla mia stanca spalla si posi. E alfine (alfine) dovrò riporre la penna, chiuder la càntera: "É festa", dire a Rina e al maschio, e alla mia bambina PowerPoint realizzato da Federico Rossi , studente liceo scientifico. Anno scolastico 2015/2016
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