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Giorgio Zanchini - La radio nella rete - Riassunto, Sintesi del corso di Storia Della Radio E Della Televisione

Riassunto del libro di Giorgio Zanchini "La radio nella rete"

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 25/06/2019

Lorenzo9.6
Lorenzo9.6 🇮🇹

4.6

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Scarica Giorgio Zanchini - La radio nella rete - Riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Radio E Della Televisione solo su Docsity! La radio nella rete Capitolo 1: Numeri, tendenze, previsioni La radio ha un nucleo sempreverde e forse intramontabile, legato all’ascolto, alla voce, alla musica, ma la tecnologia ha mutato e sta ancora mutando i modi e i termini della relazione tra chi sta dietro al microfono e chi ascolta. La radio gode di buona salute, è coerente con l’innovazione tecnologica, è al passo con la trasformazione, usi e consumi radiofonici mutano di continuo. Nel 2016 gli ascoltatori totali nel giorno medio sono stati 35,4 milioni Nel 1955 si era poco sotto i 20 milioni di ascoltatori quotidiani. Soprattutto a partire dagli anni ’90 gli ascoltatori sono cominciati a crescere. Negli ultimi 10 anni la crescita complessiva dell’utenza radio da smartphone è stata del 15,5%, quella da internet via pc o tablet dell’ 11%. I giornali radio sono la terza fonte utilizzata dagli italiani per informarsi, dopo telegiornali e Facebook. Agli inizi degli anni ’90 in Italia vi erano circa 4000 domande di concessione per trasmettere, oggi ci sono circa 2500 concessioni a trasmettere, di cui 14 nazionali. E evidente la progressiva concentrazione negli assetti proprietari. Dal 2015 nel nostro paese, con il consolidamento della società RadioMediaset e il rafforzamento del gruppo Rtl 102.5. Le fonti di finanziamento oggi si basano o su un sostegno interamente pubblico, o su sistemi misti o tramite ricavi pubblicitari o finanziamenti privati. In linea di massima circa la metà dei paesi europei vuole la licenza per qualsiasi tipo di trasmissione, e l’altra metà una semplice comunicazione. In Italia è il governo ad accordare le licenze di trasmissione terrestre e via cavo, mentre è l’Agcom a concederle per i canali satellitari. Le trasmissioni “serie” da noi non occupano mai i primi posti delle classifiche di ascolto e le radio di contenuto sembrerebbero arretrate rispetto a quelle di evasione. La radio ha una percentuale di investimenti, tra pubblicità, canone e stanziamenti statali, che è in leggera crescita ma resta complessivamente bassa. La televisione per almeno un trentennio è stata il centro e il cuore dell’immaginario delle masse, marginalizzando il ruolo che la radio aveva invece avuto nel trentennio precedente. Non estranea a questi esiti è statala scelta della RAI di puntare il grosso dei propri investimenti sulla televisione. In alcune aree poco sviluppate è tutt’oggi il medium più diffuso. Nei paesi di debole libertà politica la radio è spesso centralizzata e controllata dai governi, gli esempi sono le autocrazie asiatiche, le teocrazie medio-orientali e Cuba. Molto spesso un medium nuovo non cancella il vecchio, è accaduto alla radio con l’avvento della televisione, ed è così anche con l’avvento della rete. E cambiato molto anche il modo di produrre e ricevere informazioni: oggi c’è la possibilità di essere informati in modi differenti, da fonti differenti usando media differenti. L’espressione usata dagli studiosi è “età dell’abbondanza mediale”. Nel mondo digitale ogni funzione viene virtualizzata e risolta a livello logico all’interno delle Cpu e dei sistemi operativi, permettendo di gestire quantità e varietà illimitate di dati. Allo stesso tempo l’introduzione di tecnologie avanzate nelle reti ha permesso di incrementare la velocità/quantità delle comunicazioni. Digitale e internet hanno contribuito poi ad arricchire le piattaforme attraverso le quali si può ascoltare la radio (podcast). Crescerà molto l’ascolto via streaming che permette di ascoltare i contenuti audio immediatamente o dopo pochi istanti, senza necessità di scaricarli e salvarli come con il podcast. E significativo che Apple abbia annunciato l’utilizzo di nuovi sistemi di analisi del consumo di podcast. I grandi giornali, le grandi riviste offrono ormai sui loro siti, sulle loro newsletter, programmi audio via podcast. Nei menù degli apparecchi di nuova generazione, però, la radio è spesso la quarta opzione. Il che potrebbe significare la possibilità di svolgere funzioni diverse dalla guida mentre si è in macchina. La condivisione è l’essenza dei media digitali. La rete offre dunque straordinarie opportunità alla radio. Ma pone anche sfide difficili. Quella del pubblico giovanile,specie per le radio pubbliche e quella della diffusione musicale, perché la radio non è più il canale prevalente. Le giovani generazioni usano YouTube, iTube, Deezer, Pandora o Spotify. In occidente la radio tiene in termini di ascoltatori complessivi ma fatica ad intercettare il pubblico più giovane (18-24). Capitolo 2: L’ascolto nell’epoca della disattenzione Fin qui siamo rimasti in un ambito tecnico. C’è in realtà un campo più largo, che riguarda la metamorfosi sociale degli ultimi vent’anni, ovvero la rivoluzione digitale. La radio resiste e resisterà perché in ultima analisi “la musica e la parola umana possiedono una loro completezza” e risponde al bisogno di essere connessi, di non essere isolati, di sentire la compagnia delle voci umane. La radio è il medium sorgivo del racconto, del comunicare è una dimensione immediata, che può essere percepita come più amichevole, intima, priva di rigidità, una dimensione leggera che lascia una certa libertà. L’oralità ha una sua forza innegabile. Ognuno di noi avrà ricordi indelebili di ascolti che l’hanno segnato o almeno colpito. La radio è un mezzo puramente acustico, è l’unico medium dove c’è soltanto un senso. Impegnare uno solo dei 5 sensi significa che la mente deve ricostruire, arricchire, completare ciò che l’orecchio ascolta. La radio si infila negli interstizi delle nostre giornate, si ascolta e si scambia coi dispositivi, si intreccia con gli altri linguaggi. Grazie al podcast la pratica del consumo radiofonico è diventata ancora più elastica. La radio è stato il primo medium broadcast portatile. In sintesi dunque la radio risponde a un bisogno umano. Non resisterebbe però se non continuasse a fare, bene, quello che fa sin dalla nascita: informare, educare, intrattenere. Sono attività, funzioni, ruoli che continua a svolgere con onore e orgoglio. Il rischio di oggi è quello di una vita vicaria, in cui si fugge la conversazione coi nostri simili per rivolgerci poi all’intelligenza artificiale e agli algoritmi. La radio di contenuto è una radio dove nelle trasmissioni le persone si confrontano per un tempo anche lungo, venti minuti, mezz’ora, anche un’ora o più. E quello che la studiosa inglese Kate Lacey definisce l’ascolto serio, frutto di un lavoro intellettuale, immersivo, attento e che si contrappone all’ascolto popolare, più passivo. In molti paesi con un livello di istruzione alto, le trasmissioni di contenuto non occupano i primi posti ma resistono le radio di cultura europee. Tra i programmi più scaricati, in Europa, negli Stati Uniti, anche in Italia ci sono quelli di natura culturale. Capitolo 3: Connessioni di ieri e di oggi L’effetto più evidente dell’incontro tra radio e rete, riguarda il rapporto tra chi parla e chi ascolta. La socializzazione, la partecipazione, la condivisione. La social radio. Facebook, Twitter, Instagram, Telegram, WhatsApp, YouTube, sms, mail rendono molto più interattivo il rapporto tra chi fa radio e chi ne fruisce. Attraverso i nuovi media gli ascoltatori non solo hanno molti più uno strumento del marketing, e più è vasto e forte il suo impatto social, meglio è. Il pubblico non è più solo il pubblico degli ascoltatori ma un’audience che si muove in un ambiente multipiattaforma. Attraverso ciò che si posta su Facebook e ciò che si allega sui vari social media si costruisce una nuvola di conversazioni, scritte, orali, video, che circonda la trasmissione ben oltre la semplice messa in onda. Con diverse conseguenze: 1. Riguarda l’esperienza dell’ascolto e la reazione all’ascolto 2. Riguarda la comunità degli ascoltatori, l’ascolto non simultaneo corrode il palinsesto, il concetto stesso di palinsesto, ma corrode anche l’idea di comunità di ascoltatori. Il discorso vale ancora di più per la televisione, sempre più frammentata e divorata da visioni successive, rapsodiche, parziali. Capitolo 7: Gli effetti della social radio Torniamo sulla riflessione sul rapporto costi/benefici, su cosa perdiamo nell’epoca del continuo scambio di informazioni e comunicazioni. Vi è un indubbio accrescimento in termini di ricchezza di informazioni e varietà di posizioni. La trasmissione oltre ad avere un durante che non è solo ciò che gli ascoltatori sentono con le proprie orecchie ma anche tutto ciò che viene scambiato sui social network o sul web, ha ormai anche un prima e un dopo che definisce ciò che gli ascoltatori tradizionali sentono giorno per giorno. Le trasmissioni hanno una imprevedibilità superiore rispetto a ieri. Mi pare che il fare radio abbia acquistato una dimensione più corale rispetto a qualche anno fa. Oggi è sempre più generatore di contenuti, networked listener. Ci può essere però una perdita in termini di chiarezza, profondità nell’esposizione di un tema, infatti è molto difficile per il nostro cervello gestire la folla di impulsi e informazioni che riceve nel corso di una trasmissione, ed è inevitabile una perdita di concentrazione. Vi sono trasmissioni in cui la parola è del pubblico, altre in cui ci sono solo ospiti, altre ancora in cui c’è una commistione tra le voci. In fondo non è un fenomeno molto diversi da quello che è il giornalismo. Capitolo 8: Ascolto e partecipazione Proviamo a capire ora qualcosa in più sul tipo di ascoltatore che partecipa alle trasmissioni, su quali siano gli argomenti e i temi su cui interviene. “Radio anch’io” è uno dei format più antichi, nasce nel 1978 con Gianni Bisiach e assume la forma attuale nel 1980. Il suo pubblico ha un’età medio-alta, è in maggioranza maschile, con un’istruzione media, molti lavoratori, molti autonomi, politicamente in maggioranza moderati, conservatori, guardinghi verso il Movimento 5 stelle. “Tutta la città ne parla” nasce nel 2010, è una trasmissione che prende le mosse da una o più telefonate di “Prima Pagina”, ha quindi intento di messa in circolo di idee, ed è una riflessione sull’attualità di taglio leggermente diverso da quello di Radio anch’io, perché non vengono invitati politici e si privilegiano esperti. Il pubblico è anch’esso di età medio-alta, ma più istruito. Politicamente progressista, con interesse al Movimento 5 stelle. In questi anni di trasmissioni il numero degli sms ha mantenuto una sua costanza. I whatsapp sono invece aumentati perchè gratis e perché c’è anche la possibilità di mandare gli audio. A Radio Anch’io è diminuito il numero delle e-mail che hanno invece conosciuto una crescita e poi una stasi per “Tutta la città”. C’è inoltre un blog di Tutta la città ne parla che offre il destro per riflessioni e contatti ulteriori. La vivacità del dibattito si apre poi su Facebook. In complesso la pagina Tutta la città è più partecipata di quella di Radio Anch’io, nonostante abbia piùo meno un terzo del pubblico. Più difficile l’analisi dei podcast, abbiamo il dato dei download quotidiani ma molti ascoltatori lo scaricano senza sapere cosa è andato in onda. Rilevante è poi il fatto che il conduttore ricordi durante la diretta che si può scaricare e anche ascoltare l’intervista che la redazione ritiene più interessante. Gli ascoltatori hanno voglia di intervenire sugli argomenti di cui si discute grazie a quello che hanno letto,visto, ascoltato nelle ultime ore. Le due trasmissioni hanno poi dei temi che accendono l’attenzione in modo diverso l’una dall’altra. Vi è un nesso tra alto numero di interventi degli ascoltatori e tema che permette l’espressione di una posizione netta. Ci sono eccezioni, specie per Radio 3, ci sono alcuni temi che sfuggono alle regole generali. Vanno sempre molto bene le trasmissioni che parlano di politica culturale, di tagli alla cultura, dei mestieri legati alla cultura, di musica e musicisti, di paesaggio, tutela, abusivismo, dell’agricoltura, ogm e cibo biologico. “Radio Anch’io”, ma in generale Radio1, ha un pubblico più tradizionale, che si accende soprattutto sulle questioni legate all’economia, al fisco, ai provvedimenti governativi che influenzano l’economia quotidiana, i commerci, le banche. Purtroppo, ma è un dato comune a tutte le trasmissioni televisive le puntate dedicate alle vicende estere e anche all’Unione europea suscitano poco dibattito, a meno che la notizia abbia una forte ricaduta sulla politica interna, come le questioni Afghanistan o Libia. Capitolo 9: Conversazioni Alcune delle conseguenze della rivoluzione digitale, in particolare frammentazione, disattenzione,connessione perenne, possono, in estrema sintesi, impoverire uno degli spazi in cui la comunità riflette assieme. Che cosa si intende per conversazione alla radio? Per conversazione si intende “un genere radiofonico caratterizzato dalla presenza al microfono di un solo oratore, per una durata variabile dai cinque ai quindici minuti”. Tra gli anni ’30 e i primi anni del secondo dopoguerra è il genere più diffuso di programma culturale. A determinarne la scomparsa fu il carattere più generalista assunto dalla radio, e lo sviluppo di generi culturali meno legati alla tradizione scolastica ottocentesca. Che cosa si intende per conversazione? Per conversazione in senso stretto? E un discorso che tengo da solo, che alla radio significa che parla una sola persona, che sentiremo una sola voce. Una soluzione accettabile sia assumere l’accezione del linguaggio corrente. Per conversazione intendiamo un colloquio, una discussione tra 2° più persone, non un monologo. Usare la parola conversazione radiofonica significa usare un’espressione ombrello, l’epitome di un genere radiofonico, che è appunto quello di due o più persone che discutono, dibattono, conversano su un argomento. O di un conduttore che si confronta con il suo pubblico. Poi certo che una discussione accesa o un talk continuamente interrotto da musica non sono una pacata conversazione serale, ma sono differenze più per specialisti. In una delle età dell’oro della conversazione, in quella che è stata definita la civiltà della conversazione, ovvero la Francia della seconda metà del ‘600, sono state prodotte molte riflessioni su questa pratica umana. C’erano manuali e precetti. Non ci si può affidare solo all’intuito e all’improvvisazione, occorre un corredo di saperi e di competenze, occorre conoscere il mondo. E importante saper intuire la personalità di colui con cui ci si voglia intrattenere. Per avere successo in una conversazione bisogna lasciar brillare gli altri, e la migliore affermazione di sé passa attraverso la gratificazione dell’amor proprio delle persone con cui si parla. Deve essere reciproco svelamento. Altrettanto essenziale è il tono, la modulazione,il volume della voce. Sono regole che valgono per la conversazione in senso lato, con la presenza fisica di chi parla. Anzi, per essere pienamente efficace l’arte della parola non poteva prescindere dall’”eloquenza del corpo”, dall’efficacia dello sguardo, dei gesti, dell’espressione del viso. La radio è ovviamente diversa, alla radio manca spesso l’eloquenza del corpo. Però gli altri precetti sono sempreverdi e valgono per molte conduzioni radiofoniche. La conduzione radiofonica è attività proteiforme, che abbraccia gli stili e i contenuti più diversi, e lo stesso vale per i conduttori: sono figure molto variegate, da conduttori sbracati e primitivi a critici onniscienti. Capitolo 10: Le regole della conduzione radiofonica A guidare la conversazione alla radio c’è il conduttore. Che cosa si chiede a un conduttore? Cosa deve fare? Le regole di ieri sono ancora valide? Le regole per la conduzione seria? Rivoluzione digitale e social media che evoluzioni impongono alla conduzione? Ecco il primo dei testi, le 10 regole di uno speaker radiofonico: • Non impostare la voce, concentrati sui contenuti • Pensa alle conseguenze di quello che dici • Attenzione alle pronunce straniere • Dai il giusto peso alle parole, non enfatizzare troppo • Mai nominare radio concorrenti • Non parlarti addosso, non parlare troppo di te stesso • Scandisci bene le parole Molto dipende dal contesto, dal tipo di pubblico. Gli anglosassoni hanno molto da insegnarci anche sulla radiofonia. E utile dunque riportare alcune regole di un saggio di lingua inglese: -Parla in modo che l’ascoltatore possa immaginare. Usa dettagli. Descrivi i particolari in modo che chi ascolta possa <vedere> quello di cui stai parlando. -Comincia sempre la trasmissione con qualcosa di interessante -Dì la verità La prima è tendenzialmente generalista e costruita su una griglia di programmi pensati per un pubblico dai gusti indifferenziati. La seconda è basata su un flusso che prescinde dalle fasce orarie e dall’offerta per generi e pubblici, e che è costruito su un sistema di elementi fissi, ripetitivi, riconoscibili. Clock: struttura interna di un’unità di misura temporale, che va dal quarto d’ora all’ora, massimo alle due ore, deve essere il più unitario e fluido e riconoscibile possibile. L’ascoltatore si accorge subito dell’ambiente nel quale è entrato. E il pubblico della singola radio a orientare il tipo di format. Ogni medium ha un proprio specifico sistema di generi, e la radio non fa eccezioni. La stagione d’oro dei generi coincide con la stagione d’oro della radio di programma, dagli anni ’30 agli anni ’80. Oggi la fluidità sembra renderli antichi, ma i loro semi rimangono e sono percepibili nelle radio pubbliche. Queste griglie comportano conseguenze molto significative per chi conduce una trasmissione. Certo poi i generi variano moltissimo. Perché è il parlato radiofonico a cambiare. La distinzione classica è tra parlato di accompagnamento e parlato di contenuto. La prima è stata la forma tipica delle radio commerciali giovanili o d’evasone, la seconda delle radio pubbliche. Ci sono programmi “leggeri” di grandissima qualità, e programmi “seri” dallo scarso contributo cognitivo, culturale, informativo. Negli Stati Uniti è dagli anni ’50 che si è assistito a una proliferazione di format, con radio basate su offerte musicali molto specifiche. Se vi avventurate sulla rete a caccia di generi e sottogeneri troverete le offerte più diverse, dal country alla dance Ibiza. La moltiplicazione dei format riguarda soprattutto l’offerta musicale. Per la radio di parola o miste i recinti sono minori, si può distinguere tra all news, talk, news&talk, music&news. Negli Stati Uniti è stato abbastanza diffuso il format all news radio, canali caratterizzati dalla presenza fissa e costante di notiziari, di durata varia, sono canali che hanno audience limitate e passeggere. La radio europea più nota è France Info, mentre in Italia Radio1 e Radio24 che andrebbero però classificate tra le radio news&talk o news&talk&music. Un modello leggermente diverso e di buon successo è 5Live della Bbc, che mette assieme news e sport in diretta. La talk radio è la radio di parola, sui temi più diversi, ha una tradizione molto solida negli Stati Uniti (trasmissioni durante la guerra in Vietnam) L’espressione parlato di contenuto aiuta fino ad un certo punto, è vaga. La qualità del contenuto, il tipo di contenuto può essere davvero molto diverso. Il tono scanzonato non vuol dire necessariamente superficialità perché la seriosità non è la serietà. L’espressione parlato di accompagnamento incappa negli stessi problemi. Ospita i programmi e le voci più diverse, da talenti della lingua, conduttori brillantissimi, a probabili spiritosoni. Accompagna cosa? La musica. Anche qui la primizia è americana, le radio music&talk hanno imposto ai parlanti delle griglie rigidissime, il conduttore ha vincoli in ingresso e uscita, tra un brano e l’altro ha un tempo limitato e controllato per parlare, dire 2 cose intelligenti, o utili, o simpatiche. Si va dai 40 secondi ai 3 minuti. In quei pochi secondi il conduttore deve condensare concetti, battute, frasi a effetto, informazioni sul brano musicale. Questo modello spesso vincente dal punto di vista degli ascolti tracima ovunque e va a colpire anche le trasmissioni che sono sì un flusso di parlato e musica ma che nel parlato troverebbero le vere ragioni dell’ascolto. La musica ha quasi sempre il primato e va a inficiare un intrattenimento di vera qualità. Molti usano l’etichetta di “musica e cazzeggio”, sarebbe più corretto definirlo varietà radiofonico. Se si ascoltano trasmissioni delle radio commerciali, ci si rende conto che lo spazio per il parlato non è andato diminuendo. Nel parlato di contenuto ci sono naturalmente i giornali radio e gli approfondimenti. Approfondimenti su qualsiasi tema, dall’attualità al costume ai prodotti culturali. L’approfondimento può essere un programma chiuso e concluso o essere parte di un cosiddetto contenitore. Il contenitore è uno spazio radiofonico lungo almeno un’ora e contenente materiali diversi, accomunati o da un filo rosso tematico o da una cifra stilistica o da un conduttore. Quest’ultimo modello è molto presente nella radio francese. Nella radio italiana dei primi decenni, il contenitore è stato spesso disorganico, poi col passare degli anni si è cercato di dare coerenza contenutistica. Vicino è il talk show o programma di discussione, di dibattito, di conversazione. La conversazione può essere sull’attualità o meno, con toni vari. Il talk show è un po’ il prototipo di tutte le trasmissioni di parola, è la casa del conduttore, il suo luogo più tipico, quello dove conduce la discussione, intervista, media, accompagna, dirige. Nei dibattiti l’impronta giornalistica è maggioritaria. Quasi incalcolabile il numero di radio e programmi che dedicano una parte della loro programmazione al dibattito sull’attualità. Per non parlare di quelle radio che della parola hanno fatto la loro cifra. Approfondimento informativo sono poi ovviamente le rassegne stampa. Il grosso della programmazione radiofonica italiana che ha target giovanili (25-44) è comunque ascrivibile nella famiglia music&talk o music&news con la musica affidata a dj di forte personalità. Il tipo di conduzione dipende moltissimo dal genere di radio o di programma. Le radio di programma erano e sono più scritte e più formali e il conduttore è una figura che corrisponde a questi criteri. Per distinguere tra i tipi di conduzione, oltre alla distinzione tra parlato di contenuto e parlato di accompagnamento e a quella basata sui format, cen’è un’altra: educare, informare, divertire sono gli scopi principali. Quelle 3 azioni possono essere fatte con intelligenza, pigrizia, brillantezza, originalità, eloquenza, retorica. E come il concetto di qualità, più difficile è capire cosa è educativo e cosa no e ancora più difficile è intendersi sul concetto di intrattenimento. L’intrattenimento è oggi intrecciato con tutto. Capitolo 12: Dai modelli alla realtà: cosa fanno i conduttori Questi modelli sono cambiati dalla rivoluzione digitale, dalla radio nella rete? Sta crescendo la radio di accompagnamento della frammentazione e sta arretrando quella seria? L’incertezza che abbiamo incontrato e raccontato per questi si trova per quelli. In teoria il conduttore è “colui o colei che ha il compito di condurre un programma radiofonico, cioè di assicurare con i suoi interventi la fluidità dei passaggi tra le diverse parti”. La guida del programma avviene improvvisando oppure leggendo testi. E quindi generalmente in diretta, o in registrata. In linea teorica significa tutti, tutti coloro che accompagnano la musica o guidano la discussione, i intervistano. I conduttori si accostumano agli obiettivi del programma stesso. E quindi avremo conduttori per gli approfondimenti giornalistici, per le rassegne stampa, per gli speciali, per i fili diretti, per i talk show. Il dj è un conduttore musicale, e si afferma grazie soprattutto alla radio pirata off shore nei primi anni ’60. E un mestiere versatile se ce n’è uno, c’è chi si specializza, e quindi presenta i dischi o un percorso musicale o intervista cantanti e chi invece diventa qualcos’altro, un affabulatore, uno show man. I dj italiani si sono spesso mossi a cavaliere tra un genere e l’altro, spesso escono dal cerchio della radio e diventano personaggi di rilievo della televisione (Gerry Scotti, Fiorello). Il conduttore musicale ha problemi con la libertà di parola. Nelle radio commerciali, il conduttore ha un tempo di parola limitato, che si sviluppa tra un brano musicale e l’altro. In quasi tutte le radio di flusso viene visualizzato il tempo di ingresso e di uscita, e cioè il momento in cui si deve smettere di parlare e quello in cui si deve riprendere la parola. Sono pochissimi a poter imporre un proprio ritmo. Il verso, la canzone, il gioco, il vincolo sono parte castrante e in parte uno stimolo per gli ascoltatori. I conduttori di programmi di taglio giornalistico, bisogna tener presente che programmi di questo tipo possono essere condotti sia da giornalisti sia da conduttori che giornalisti non sono. Le differenze si notano per il modo di parlare, per l’approccio alle notizie. Anch’esso è un mestiere molto mutato, specie grazie alla tecnologia. La struttura di questi programmi, è un confronto a più voci su una notizia o un tema di attualità. Dirette e speciali legati a breaking news o grandi eventi ci sono da decenni, ma oggi si sono aggiunte le mille voci dei testimoni. Gli intervistatori sono conduttori di trasmissioni lunghe o brevi basate sull’intervista. Gli affabulatori sono anch’essi conduttori e sono chiamati così per la loro capacità di raccontare. Sono coloro che costruiscono un percorso narrativo basato su storie reali o fittizie, è un genere diffuso soprattutto negli USA. Il modo di condurre, lo stile è cambiato moltissimo. Durante gli anni dell’Eiar le linee guida miravano a una sintassi lineare e a un lessico elementare, non a caso a partire dagli anni ’30 il dialetto parlato fu ostacolato. Nel secondo dopoguerra chi andava al microfono usava una lingua molto sorvegliata. La sfida decisiva arrivò con la rivoluzione delle radio pirata in Inghilterra e delle radio libere in Italia dalla metà degli anni ’70. Vi era una libertà di palinsesto che corrispondeva al clima esterno, alla società dell’epoca, con una spontaneità nella conduzione e nelle discussioni. Erano radio nate anche dalla spinta di avere un mezzo attraverso cui farsi sentire, nate quasi da una necessità, nate dal basso. In parte le cose erano cominciate a cambiare anche in Rai, almeno dalla riforma del 1966, che attraverso la distinzione fra i tre canali radiofonici aprì a linguaggi nuovi. Nella riforma della programmazione radiofonica del 1967 si parla di “snellimento delle trasmissioni culturali, più brevi, più numerose, maggiormente legate a fatti e problemi di attualità”. Il lascito più longevo è stato quello che Arbore stesso ha chiamato il battesimo dell’improvvisazione, la radio improvvisata che è poi diventata la televisione improvvisata. Sino all’avvento delle radio libere le pronunce erano perfette, nitide, senza cadenze, tranne nelle trasmissioni comiche. Quando si aprirono i microfoni ed entrò il paese reale, ci fu una piccola rivoluzione, che avrebbe negli anni toccato anche la radio pubblica, si cerca di mandare al microfono persone che sappiano leggere e pronunciare in modo corretto. I radiocronisti e le radiocronache. E uno dei generi più puri e duraturi del giornalismo radiofonico. Quando usiamo questo termine ci riferiamo alle radiocronache sportive, al racconto dello sport nel suo accadere, ma in realtà ci sono anche radiocronache politiche e istituzionali. La radiocronaca musicale. Molto è biologia ma molto è società,le voci alla radio si sono evolute assecondando quello che accadeva al medium e quindi alla società esterna. Prima andavano al microfono solo voci maschili, le donne sono state per decenni vittime di pregiudizi. La giustificazione più ricorrente rimandava alla qualità della voce femminile. Non avere una voce radiofonica è come non saper scrivere per un giornalista di carta stampata? Non è così, alla radio italiana si ascoltano voci che non si ascolterebbero in alcune radio. Lavorare sul ritmo, il ritmo è tutto, alla radio è un elemento decisivo. Cos’è il ritmo? Il ritmo non è velocità dell’eloquio ma dinamica dell’eloquio, gioco di toni, poggiature. Si deve essere consapevoli che c’è un pubblico, quel pubblico devi interessarlo, e per interessarlo devi tenere desta la sua attenzione. I pubblici sono naturalmente diversi e hanno predisposizioni all’ascolto molto differenti. Un conduttore deve cercare di lavorare sull’intonazione, sull’enfasi delle parole o delle espressioni. La parola è tutto. Il più straordinario utensile dell’uomo. Che significa che la parola è tutto? Che alla radio l’eloquenza conta, e conta soprattutto nella radio in diretta, in cui si improvvisa. Nelle radio commerciali e di flusso il lessico piuttosto semplice e si evitano frasi complesse. Si apprezza un pezzo ben scritto, si apprezza il lavoro sulla scrittura in un reportage, in un audio documentario e si dovrebbe apprezzare 2 volte una lingua chiara, ricca, che rifugge le espressioni facili, abusate, retoriche, gli aggettivi adusi, scontati, usurati. Occorre quindi lavorare sul lessico, la ricchezza lessicale, la terminologia, la fantasia linguistica. I conduttori delle radio istituzionali corrono un altro rischio, quello dell’eccesso di allusioni e enfasi. Bisogna dunque prestare molta attenzione alle espressioni che si impiegano ed evitare di cadere in quelli che sono i comportamenti linguistici alla moda. Bando poi alla sottolineatura dei limiti temporali (es: e adesso prendiamo fiato con un brano musicale ….) perché si offende chi va in onda dopo di te. Che tipo di parola vuole la radio? Che tipo di lessico? Che tipo di lingua? Il registro segue il contesto, e avremo linguaggi informali, giovanili e regionali, gergali e dialettali. Registri neutri spontanei nei network nazionali per un pubblico generalista, e registri controllati nelle radio pubbliche. Il conduttore deve conoscere il contesto e il mondo. Capitolo 16: Esperienze Leggere o improvvisare? Arnheim scriveva che “nella comunicazione radiofonica la cosa più naturale non è quella di leggere da un foglio di carta un testo già compiuto. Il presentatore dovrebbe piuttosto comunicare ciò che gli viene in mente o che prova attualmente. In questo senso parlare significherebbe improvvisare e non riprodurre”. Ha ragione? Dipende. Non credo si riferisse a questo, se parliamo di notiziari. Lì leggere è quasi indispensabile. I conduttori potrebbero trovarsi improvvisare nel caso di una notizia che arriva mentre sono in onda in diretta. Ha parzialmente ragione se ci riferiamo alle trasmissioni in diretta. L’improvvisazione, lo spontaneismo costeggiano rischi, trappole: le interiezioni – eh, eeh, mmh, ah, beh… - e i riempitivi – diciamo, voglio dire, insomma, certo, esattamente, esatto, assolutamente ecc. – sono brutti, si notano, e ci si può lavorare. Al posto delle interiezioni il silenzio, meglio una pausa che una selva di eeh. L’emozione gioca pessimi scherzi, non si trovano le parole, o si trovano quelle sbagliate, si precipita nel burrone di interiezioni e riempitivi. Il cervello sa che su certi punti o certe domande si potrebbe cadere e regolarmente ci cade. Più si va in onda, più situazioni complicate si vivono e più si saprà gestire ogni situazione. Ci sono poi le conduzioni di fili diretti, speciali, dirette legate a emergenze, grandi eventi. Tutto è teoricamente più difficile perché la notizia è arrivata da poco. Contano molto i nervi saldi, la freddezza, la capacità di modulare la voce e il phatos a seconda di quello che accade. Un bravo conduttore di fili diretti deve fare poche cose, ma farle bene. Fare chiarezza. Riportare notizie, sottrarre, non enfatizzare, ricordandosi che talvolta nel caso di grandi emergenze e nubifragi la radio è l’unico strumento che arriva. L’ascoltatore ha bisogno di capire quel che sta accadendo. Ogni tanto occorre ricapitolare. Già la situazione è difficile, già chi ascolta è agitato, non occorre aggiungere ansia. I social media non aiutano o aiutano moltissimo, perché sono i mille occhi in più che in questi anni hanno raccontato i fatti in diretta ma vanno usati con le molle. Il cocktail tra social media, informazione online, smartphone e radio diinformazione può diventare micidiale, un ossessione. Rispetto a pochi anni fa le notizie arrivano subito da tante fonti e sembrano tutte gravissime.
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