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GIORNALISMO CULTURALE - Roberta Sassatelli - Consumo, cultura, società, Dispense di Giornalismo

riassunto COMPLETO del testo del testo di Roberta Sassatelli - Consumo, cultura, società

Tipologia: Dispense

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Scarica GIORNALISMO CULTURALE - Roberta Sassatelli - Consumo, cultura, società e più Dispense in PDF di Giornalismo solo su Docsity! GIORNALISMO CULTURALE Roberta Sassatelli - Consumo, cultura, società 1. CAPITALISMO E RIVOLUZIONE DEI CONSUMI Ci sono 4 teorie principali che spiegano la nascita della Società dei consumi (s.d.c.): 1)VISIONE PRODUZIONISTA: la società dei consumi è un effetto dello sviluppo del modo di produzione capitalistico. L’industrializzazione avrebbe cioè portato alla diffusione di una gran quantità di merci standardizzate economicamente accessibili a fette sempre crescenti di popolazione. In quest’ottica la s.d.c può così essere concepita come una risposta culturale che necessariamente segue una più fondamentale trasformazione economica. A partire dagli anni ottanta i consumi hanno partecipato attivamente allo sviluppo del sistema capitalistico. Un chiaro incremento dei consumi è stato registrato soprattutto a partire dalla seconda metà del ‘600 e per tutto il ‘700, in molte nazioni europee e in diverse classi sociali. E’ difficile identificare con sicurezza il ritmo di crescita dei consumi in quest’epoca. Lo sviluppo dei consumi moderni ha una sua geografia articolata e diseguale. Dalla seconda metà del ‘600 persone di ogni classe e genere cominciano ad acquistare molti più beni lavorati e distribuiti commercialmente, in particolare oggetti per l'arredamento della casa (quadri, ceramiche, tessuti) e di ornamento personale (ombrelli, guanti, bottoni). Anche il progressivo consolidarsi del consumo di zucchero e di nuove sostanze eccitanti come il tabacco, il caffè, il tè e il cacao sembra aver giocato un ruolo importante nel rivoluzionare i consumi. 1. Dalla produzione al consumo Gli studi sulla cultura materiale sei-settecentesca hanno tolto credito alla visione produzionista, che collocava la s.d.c tipicamente a inizio ‘900, interpretabile come una reazione quasi meccanica alla rivoluzione industriale, e quindi alla progressiva penetrazione in tutte le classi sociali di beni di consumo di massa standardizzati. 2)VISIONE CONSUMISTICA (McKendrick): la rivoluzione dei consumi è da collocarsi nella seconda metà del ‘700 in Inghilterra e va vista, sullo sfondo di una società progressivamente più flessibile e meno gerarchica, come il risultato delle aspirazioni di status delle nuove classi borghesi che trovavano una possibilità di elevazione sociale nella vistosa emulazione dei consumi. Il processo di industrializzazione sarebbe stato l’effetto e NON la causa dei nuovi desideri di consumo. La nascita della società dei consumi viene spiegata con il consumismo; Il consumismo, a sua volta, viene riportato al velocizzarsi delle dinamiche della moda innescato dall'emulazione sociale e favorito dalle tecniche di vendita manipolatorie di alcuni abili produttori. La sua spiegazione quindi non riesce a cogliere la particolarità di un ambiente sociale e culturale in cui diviene lecito e possibile seguire la moda, spendere per i propri piaceri, farsi attrarre dall'esotico, imparare a godere dei lussi e dell'ostentazione, ecc. I motivi e i valori che spingevano i primi borghesi a consumare di più, oltre che a produrre, non vengono mai presi sul serio e indagati con attenzione: vengono anzi appiattiti sull'emulazione, l'invidia, la dimostrazione di status. 3) VISIONE MODERNISTA (Campbell): non solo l’orientamento alla produzione ma anche quello al consumo ha contribuito alla nascita della modernità capitalistica. Ricerca del nuovo come una delle caratteristiche fondamentali della modernità assieme a un particolare tipo di materialismo (edonismo). chiunque potesse pagare, erano anche, e spesso, oggetti esotici e di provenienza coloniale, soprattutto dall'Asia. 2. La genesi dei consumi moderni Adottando un approccio multifattoriale, i più recenti contributi della storiografia economica e culturale raffigurano il capitalismo come il risultato dell’azione reciproca di elementi già presenti e diffusi in aree diverse prima che il capitalismo convenzionalmente inteso si manifestasse pienamente. Lo sviluppo della s.d.c viene descritto come un fenomeno di lungo periodo, variegato e a geometrie variabili. Già a partire dalle città rinascimentali italiane le merci cominciano a esercitare un’attrazione diretta e potente su una fetta crescente di popolazione. Sombart combina fattori di crescita economica relativi alla produzione con quelli relativi al consumo. Già dal ‘300 si possono rinvenire le tracce dello sviluppo di un nuovo tipo di società in cui l’accumulo del capitale ha grande impulso e non è più basato sull’economia feudale bensì sul commercio e sullo sfruttamento delle colonie. Egli sostiene che lo sfruttamento delle colonie ha fatto crescere il numero di merci in circolazione e la frequenza del loro scambio. Non si può tuttavia far risalire il capitalismo semplicemente ad un allargamento geografico o quantitativo dei mercati. Gran parte delle merci che segnano la crescita della domanda nella prima modernità sono infatti beni che si affacciano per la prima volta sul mercato europeo: si tratta di beni di lusso. Il lusso ha la “capacità di creare mercati” essenzialmente perché costituito da merci di alto valore specifico che promuovono e richiedono capitalizzazione ed economizzazione razionale. Sarebbe proprio la “natura” di queste merci ad aver favorito l’organizzazione capitalistica. Il consumo dei beni di lusso ha contribuito, incentivando commerci e produzione, a quell’accumulazione di capitale che ha costituito uno dei prerequisiti materiali per lo sviluppo dell’industria moderna. A partire dal ‘700 si sviluppa, secondo Sombart, un orientamento edonistico all’andar per compere. E’ soprattutto l’alta borghesia che ha rapidamente accumulato capitale per via commerciale o finanziaria, a rappresentare un nuovo bacino di consumo importante: essa vuole mescolarsi alla nobiltà non solo col la propria potenza pecuniaria ma anche utilizzando oggetti di lusso atti a dimostrare gusto e raffinatezza. Nella visione sombartiana, l’allargamento del mercato si ebbe inizialmente in senso QUALITATIVO, con la produzione di oggetti dall’alto valore specifico che stimolarono capitalizzazione, mentalità d’impresa da un lato e orientamento edonistico- estetico dall’altro; e poi in senso QUANTITATIVO, con la democratizzazione dei lussi. Egli si concentra non solo sulla razionalizzazione dell’organizzazione del lavoro e sulla burocratizzazione dell’impresa produttiva, ma anche sulla razionalizzazione del consumo, visibile dalla fine del ‘700 in poi. Con il progredire della società capitalistica i lussi vengono prodotti in serie per cerchie sempre più allargate di persone; in questo modo essi non solo si democratizzano ma anche si razionalizzano, si assoggettano cioè in larga misura alle dinamiche della “moda”. Il consolidarsi della grande città contribuisce ad aumentare le esigenze di lusso: da questo punto di vista lo sviluppo della società dei consumi ha ricevuto impulso non solo dagli uomini, ma anche da una specifica categoria di donne: le CORTIGIANE. Queste donne non erano semplici amanti ma dame “intelligenti e belle” che avrebbero incarnato una nuova figura femminile, inizialmente intrinseca a quella particolare forma sociale che era la corte, ma successivamente diffusa anche nella società alto-borghese. Si tratta di donne che, esperte nei piaceri raffinati e nel lusso, finirono per suscitare nell’intera società un’aspirazione per l’intrattenimento elegante e la magnificenza. 3. Dalle corti alle città, dai lussi alle mode Le CORTI sono fondamentali nello stimolare i consumi soprattutto a partire dal rinascimento. Si trovano al centro delle grandi città moderne, cioègrandi concentrazioni commerciali. Anche l’urbanesimo che si sviluppa tra ‘600 e ‘800 è connesso allo sviluppo del capitalismo perché:  Ha permesso forti concentrazioni di manodopera a basso costo;  Favorisce quella mobilità sociale e quella prossimità tra gruppi sociali diversi che stimola processi di imitazione indubbiamente connessi al diffondersi di beni nuovi e superflui. Nel ‘700 nascono le vetrine: le merci non vengono più ammucchiate nei retrobottega dai quali il venditore le prelevava mediandone accessibilità e significati per il pubblico, ma vengono spettacolarizzate per attirare il cliente. Progressivamente da metà ‘800 con l’illuminazione artificiale degli interni e l’ampiezza delle lastre di vetro che fungono da vetrata, le vetrine diventano sempre più delle occasioni per mettere in scena le merci per un pubblico di consumatori. I consumatori non solo acquistano ma anche imparano a godere dello spettacolo delle merci. Quello che cambia oltre alla funzione dei venditori e alle modalità di vendita, è la caratterizzazione delle merci: le merci tendono progressivamente a configurarsi come uno spettacolo. Andare per compere diventa sempre più un’attività ludica. Il miglioramento delle possibilità di consumo degli strati sociali intermedi e inferiori si accompagna a una uniformazione dei bisogni, stimolata tra l'altro dall'urbanizzazione e dallo sviluppo delle comunicazioni, e a una forte crescita delle merci disponibili, della loro varietà e dei ritmi del loro rinnovamento. La democratizzazione dei lussi è dunque effetto e causa di quell'organizzazione capitalistica della produzione che anche grazie al diffondersi delle dinamiche della moda può creare mercato per i suoi prodotti, sottraendosi alle imprevedibili fluttuazioni dei capricci dei ricchi, l'accento sulla diffusione di orientamenti culturali mondani attraverso i quali si poteva guardare con occhi diversi a una grande quantità di nuovi oggetti portati dalle colonie. Solo mediante l'attribuzione di nuovi significati (dall'esotico al dietetico, dal tecnologico al gastronomico) questi oggetti poterono divenire merci dal valore economico. Tale cultura fu favorita dalle nuove tecnologie di comunicazione e rappresentazione, a partire dalla stampa e dalla cartografia sino alle tecniche di navigazione, che resero possibile una più facile circolazione di valori culturali e, con essa, un sistema di innovazione culturale.Il valore economico è un prodotto culturale. 2. La categoria del consumo e la vita sociale delle merci A PARTIRE DALLA FINE DEL ‘600 SI ASSISTE NON SOLO AL CONSOLIDARSI DELLE PRIME FORME DI CAPITALISMO MODERNO, MA ANCHE ALLA LEGITTIMAZIONE DI NUOVI MODI DI CONSUMARE E DI NUOVE MERCI CHE CONTRIBUISCONO ALLO STILE DI VITA BORGHESE. Sul finire del ‘600 il lusso comincia a essere discusso in una cornice economico-politica anziché esclusivamente morale. Si iniziò a delineare l’idea che il lusso e i desideri materiali eccessivi rappresentassero il miglior incentivo per il commercio e la crescita economica. Il lusso viene de-moralizzato: esso favorisce il commercio e la produzione, e non può essere facilmente classificato o giudicato su basi morali universali e oggettive. Proprio quando i beni di lusso incominciano ad avere una diffusione via via più ampia e a interessare ampi strati della popolazione, la nozione di lusso in quanto tale perde la sua forza morale discriminante. Questa de-moralizzazione si fonda sull’idea che il lusso sia non più la spia di un insanabile conflitto tra attività commerciale e attività politica. L’attività commerciale è sempre più legittimata e con essa il lusso viene a essere valutato in base agli effetti che esso ha sulla vita economica e commerciale in quanto tale.Questo processo ne riflette un altro, la privatizzazione della sfera del consumo. La nuova configurazione culturale del valore economico propone anche nuovi stili di vita, a volte compromissori e instabili, che sembrano accomodare esigenze di consumo e di produzione, anche mediante la divisione dei compiti all’ interno della famiglia secondo distinzioni di genere. La combinazione di estremi contraddittori si riscontra in uno stile di vita che favorisce gli scambi commerciali e di cui il commercio e spesso il punto di equilibrio. Il lavoro e l'arricchimento vengono liberati da ogni remora morale e ciò avviene in opposizione al consumo che assume connotati ambigui: inequivocabilmente positivo come stimolo alla crescita della produzione e degli scambi commerciali, negativo laddove non è direttamente legato a forme di capitalizzazione. Tra queste forme di capitalizzazione troviamo anche quelle legate all'identità personale e ai piaceri, riferite cioè al raffinamento di se stessi e del proprio gusto. E’ questo il clima culturale in cui non solo si consolida la nozione di consumo, ma anche si profila un nuovo ruolo sociale, quello del «consumatore». Il fondatore dell’economia liberale Adam Smith, legge i consumi, anche quelli eccessivi e lussuosi, in chiave mercantilistica come fattori di sviluppo economico. Egli pone però l’accento sulla produzione e sulla base di questa si preoccupa di definire forme di consumo corrette e scorrette utilizzando la nozione di convenience o decency. Le decencies indicavano quei beni che potevano essere usati per una confortevolezza non ostentata. Non sono né bisogni né lussi, incarnano un tipo di consumo che porta con sé ordine e razionalità. Si tratta di agi borghesi: una classe di “beni durevoli” che rendono possibile la propria capitalizzazione. Esempi:  Diffusione delCAFFE’ tra fine ‘600 e prima metà ‘700: questa bevanda si connota come qualcosa di più e di diverso da quella ricerca di raffinatezza supplementare di cui si alimentavano i consumi nelle corti. Il caffè per la nascente società borghese è contrapposto alle bevande alcoliche e associato a virtù puritane come la sobrietà, la ragionevolezza e l’operosità. Il caffè poi si annida nella sfera privata come bevanda domestica.  Diffusione dello ZUCCHERO nel ‘700: divenne il primo lusso democratico: non era necessario come nutriente eppure veniva quotidianamente usato da tutti, incluse le masse lavoratrici. 3. La società dei consumi come tipo storico Per delineare i contorni dei fenomeni di consumo moderni la storiografia si è tradizionalmente soffermata, oltre che sulle città commerciali del rinascimento e sullo sviluppo dei consumi nel ‘600-‘700, su un periodo più recente che va dalla fine dell’800 al secondo dopoguerra. La maggioranza dei lavori che si concentrano sul tardo Ottocento e sui primo Novecento prendono in considerazione l'immenso e rapidissimo sviluppo di spazi commerciali nelle città e il diffondersi della stampa di massa che hanno modificato fortemente le condizioni di commercializzazione dei beni con lo sviluppo di canali distributivi e di forme di pubblicità via via più complesse. Si tratta di lavori che tendono a concentrarsi sul consolidarsi delle metropoli e di una cultura di consumo metropolitana mettendo a fuoco lo sviluppo delle grandi capitali europee di fine Ottocento e l'enorme impatto culturale che ebbero le esposizioni mondiali tra Otto e Novecento.  Diffusione dei grandi magazzini e del sistema pubblicitario moderno (‘800). Williams mostra quanto la nascita dei grandi magazzini abbia segnato il nostro modo di consumare. E’ grazie allo sviluppo di luoghi che rendono quanto meno visibile all’intera popolazione una gran  ESTETIZZAZIONE: l’aspetto estetico dei prodotti diventa sempre più importante, anche delle merci più umili;  TIPICIZZAZIONE delle esperienze di consumo. E’ difficile stabilire una data di nascita per la s.d.c: essa è emersa gradualmente con il progressivo ma non lineare o uniforme coagularsi di fattori che si sono declinati di volta in volta in forme anche profondamente innovative. Al consolidarsi della s.d.c hanno contribuito:  Fenomeni sociali amplissimi (es: urbanizzazione/ mobilità sociale);  Fenomeni economici più specifici (es: sviluppo produzione standardizzata);  Nuove etiche economiche di produzione e di utilizzo dei beni. Parte II – Le teorie dell’agire di consumo Per comprendere i processi di consumo contemporanei è fondamentale mettere a fuoco il modo in cui gli attori sociali definiscono, percepiscono e governano il proprio rapporto con le merci.  Come si orientano gli attori quando agiscono come consumatori?  Quali sono i principi che guidano le loro azioni?  Che tipo di azione è l’agire di consumo? Le teorie sociologiche dell’agire di consumo si sono contrapposte alla visione individualistica proposta dall’economia. Già nella seconda metà dell’800, l’economia ha concepito il consumo come un atto di acquisto che viene portato a termine da ciascun consumatore indipendentemente dalle scelte degli altri. Le prime riflessioni sociologiche hanno cercato di mostrare che l’alternativa a questa visione non era l’irrazionalità, quanto piuttosto il ricorso a una qualche ragionevolezza sociale. Il consumo non può essere ricondotto a uno dei due estremi della dicotomia razionale/irrazionale: non può essere celebrato come il prototipo di un calcolo costi-benefici che l'attore compie cercando di soddisfare solo i propri personali desideri, e neppure può essere liquidato come l'esempio evidente di un'azione irrazionale, impulsiva, eteronoma o priva di scopo. Le pratiche di consumo sono piuttosto dei fenomeni sociali le cui logiche, spesso coerenti anche se non sempre consapevoli, sono orientate secondo una ragionevolezza di tipo sociale. I primi sociologi a occuparsi di consumo hanno individuato nella logica distintiva il principio che domina le pratiche di consumo contemporanee. In quest’ottica, il consumatore è interessato ad acquistare e utilizzare oggetti che possano fungere da simboli di status,migliorando la propria posizione nella struttura sociale. Le logiche di consumo sono molteplici e tutt’altro che univoche e coerenti. La sociologia contemporanea si concentra quindi sui contesti in cui le pratiche di consumo hanno luogo. 3. UTILITA’ E COMPETIZIONE SOCIALE 1. Il consumatore sovrano Tra le diverse scienze sociali è stata soprattutto l’economia ad aver svolto un ruolo cruciale nel definire il posto del consumo nella società. Il fenomeno di consumo comincia a essere tematizzato e isolato in quanto tale come variabile economica con Smith e l’economia classica nel tardo ‘700. Ciò coincide con una particolare rappresentazione della sfera economica dipinta come l’intersecarsi e l’interagire di due ambiti contrapposti e distinti:  La produzione;  Il consumo: appare ai primi economisti come un fine ultimo e ovvio,l’esito naturale dei processi produttivi. Nell’economia classica il consumo era indicato come un fine scontato e, allo stesso tempo, come un’esigenza strutturale: per far crescere la ricchezza di una nazione occorreva che qualcuno consumasse abbastanza da stimolare la produzione. Dalla fine dell’800 a oggi però la teoria economica, nella versione marginalista o neoclassica, ha preso una strada diversa e ha costruito i propri modelli di analisi considerando i consumatori, tutti i consumatori, come i sovrani del mercato. Da ciascun consumatore partirebbero delle scelte che, sommandosi a quelle di altri consumatori, creano una domanda alla quale la produzione non potrà fare a meno di rispondere. Postulata la sovranità dei consumatori, la scienza economica dominante non si interroga molto sulle ragioni delle loro scelte; l’interesse verte sulla possibilità di modellare i meccanismi che permettono l’equilibrio del mercato. Le scelte del consumatore sono strumentalmente orientate alla massimizzazione dell’utilità. Le scelte di acquisto sono strutturate e limitate solo in base a vincoli di bilancio e si connotano come azioni strumentali e razionali, orientate alla massimizzazione dell'utilità di un campo di preferenze dato, ordinato e stabile nel tempo al costo più basso possibile. L'utilità che deriva da ciascun bene rimane negativamente correlata alla quantità consumata dello stesso bene e svincolata dalle preferenze degli altri consumatori. Tre problemi vengono trascurati dall’impostazione neoclassica:  La formazione o standardizzazione delle preferenza anche e soprattutto in quanto legata all’interdipendenza sociale e culturale delle stesse;  Le caratteristiche qualitative dei beni;  La questione del potere, del controllo e del bilanciamento dell’informazione. Sono queste carenze che forniranno il destro per lo sviluppo della sociologia del consumo. elevata. Un oggetto costoso può essere ricercato proprio per il suo prezzo elevato, perché mostrandolo l’attore sociale potrà visibilmente dimostrare la propria potenza pecuniaria. Veblen aveva in mente soprattutto i cosiddetti nouveaux riches, un gruppo sociale che aveva il denaro per poter finanziare la propria scalata ai circoli più esclusivi. Secondo Veblen nelle metropoli industriali il consumo vistoso finisce per coinvolgere l’intera popolazione: i gruppi inferiori non avrebbero fatto altro che imitare quelli superiori, acquistando non appena possibile le stesse merci; queste ultime avrebbero così perso il loro potere distintivo e sarebbero state abbandonate dai gruppi superiori che avrebbero presto trovato nuovi oggetti capaci di testimoniare il loro primato sociale e culturale.Mediante il meccanismo dell’emulazione, concepita come lotta competitiva per lo status, si assiste alla progressiva diffusione di sempre nuovi beni che fungono da segnaposti nel gioco della distinzione sociale e della riproduzione delle gerarchie del gusto. 4. I limiti dell’emulazione In chiave sociologica, il modello dell’emulazione, presenta il limite di ridurre il consumo a una sola logica sociale. Limiti:  Il suo modello di consumatore si fonda sull’emulazione e sull’invidia intese come pulsioni istintuali transculturali e transtoriche e quindi non consente di tenere presente che la cultura di consumo moderna si è espressa anche nella costruzione di particolari orientamenti emotivi e morali;  Enfasi sul paragone invidioso che non permette di concepire l’imitazione come mimesi e identificazione;  La dimensione sociale sembra avere un carattere pleonastico e sono solo le pratiche di consumo “esibite” ad apparire sociali, mentre quelle “private” risponderebbero a una sorta di utilità preculturale.  L’intera gamma dei fenomeni di consumo viene inserita nel quadro delle dinamiche della moda, a loro volta riportate a una struttura gerarchica e piramidale, in cui i gruppi subalterni rincorrono i gruppi superiori senza mai raggiungerli e senza avere una cultura propria. L’accento sull’emulazione inoltre tende a perdere di vista il ruolo dell’industria della moda, dei giornalisti di moda e delle star del cinema o della musica che agiscono come fashion leaders. La moda non è solo un fenomeno estetico e di consumo, ma anche un’industria culturale con numerosi filtri e altrettanti gatekeepers e con esigenze sia materiali che simboliche. 4. BISOGNI INDOTTI E SIMULAZIONE Le prime analisi sociologiche leggevano i consumi come fenomeni sociali e culturali, ma raramente tematizzavano l’influenza dei media e dell’industria culturale, concentrandosi piuttosto sulle dinamiche distintive della moda. Quando nel secondo dopoguerra si verifica una ripresa dell’interesse per i processi di consumo, l’ottica è completamente cambiata. Le nuove elaborazioni teoriche vogliono sottolineare il crescente disorientamento dei consumatori: smascherare il carattere manipolatorio della dimensione simbolica dei beni.  Le prime analisi sociologiche avevano ridimensionato l’idea neoclassica che il consumatore fosse il sovrano del mercato, mostrando che il consumo aveva lo scopo di segnare le differenze e le affinità tra gli attori sociali, contribuendo a riprodurre la struttura sociale e con essa varie forme di esclusione.  Gli approcci critici del secondo dopoguerra invece si oppongono direttamente all’idea della sovranità del consumatore. Se il consumatore neoclassico è il sovrano del mercato, quello della teoria critica è lo schiavo delle merci: compra più perché è indotto a farlo che perché davvero desidera farlo. 1. Dal feticismo alla teoria critica Marx considerava che, per far funzionare il capitalismo, i bisogni degli esseri umani devono conformarsi alle esigenze del sistema produttivo. Il sistema capitalistico deve indurre sempre nuovi bisogni nell’animo umano, manipolando i desideri per le merci e facendoli crescere incessantemente. Secondo Marx, nelle società capitalistiche i consumatori non sanno più capire cosa è davvero utile e cosa non lo è e finiscono per consumare merci la cui unica utilità è quella di arricchire coloro che hanno organizzato la loro produzione e circolazione sfruttando manodopera a basso costo. Poiché in un sistema capitalistico gli esseri umani sono alienati dai frutti del loro lavoro, non possono rendersi conto che le merci incorporano una certa quantità di lavoro e che i loro prezzi sono il frutto di un calcolo astratto del tempo di lavoro. Il valore di mercato non è altro che una relazione tra persone; le merci allora diventano feticci, sembrano avere una vita propria, sono lontane, separate dai soggetti. Marx assegnava alla struttura materiale un ruolo davvero importante nel processo storico e considerava la sovrastruttura culturale come derivata. La sfera della cultura è invece lo spazio in cui si inserisce la teoria critica della Scuola di Francoforte che riprende, in forma nuova, le nozioni di alienazione e di feticismo delle merci. La Scuola di Francoforte analizza in particolare gli sviluppi di quella che definisce l’industria culturale. I prodotti dell’industria culturale hanno 2 caratteristiche:  Sono omogenei, sempre uguali sotto un’apparenza di varietà;  Al genere;  All’etnia;  Alla sessualità;  All’età. I teorici del postmodernismo parlano non tanto di un consumatore-attore sociale, quanto di un consumatore-spettatore tipizzato e astratto che gode delle sensazioni fornite dall’esteriorità delle immagini stesse. La cultura di consumo contemporanea chiede ai soggetti la capacità di saper entrare, in modo controllato, in luoghi e in stati emotivi in cui ci si può lasciare andare seguendo regole di gestione della spontaneità, della leggerezza e dell’informalità. 5. GUSTI, COMUNICAZIONE E PRATICHE L’approccio comunicativo vede il proprio apice a cavallo tra anni ’70 e anni ’80 quando, dopo un periodo di stagnazione economica che ha messo nuovamente in luce gli sforzi necessari ai consumatori per utilizzare le merci in modo appropriato, vengono pubblicati due fondamentali studi sul consumo: La distinzione (Bourdieu) e Il mondo delle cose (Mary Douglas – Barry Isherwood). Questi lavori partono entrambi dalla considerazione che gli oggetti fungono sia da supporto materiale per l’interazione, sia da indicatori simbolici per fissare un mondo intellegibile. I beni sono concepiti come glie elementi materiali attraverso cui gli attori sociali riproducono i significati culturali che strutturano lo spazio sociali. Gli attori sociali a loro volta imparano a preferire certi oggetti a seconda della propria collocazione socioculturale e,allo stesso tempo, preferendo certi oggetti testimoniano e riproducono tale collocazione. 1. La distinzione sociale Nella visione di Bourdieu il consumatore opera in base a una logica distintiva ed ha incorporato tale logica nel proprio gusto. Il consumatore non solo distingue per distinguersi, ma anche non può fare a meno di distinguersi. Bourdieu ha proposto una teoria della pratica in cui l’azione umana può essere costruita come qualcosa di materiale e concreto, qualcosa di diverso dalla rappresentazione o dallo scambio di segni e simboli. Egli mette a punto la nozione di habitus, che permette di concepire la corporeità come precedente alla coscienza. L’insistenza di Bourdieu sull’incorporamento è importante per pensare in modo diverso all’azione, incluso l’agire di consumo. L’habitus è iscritto nel corpo attraverso le esperienze passate, è un meccanismo inconscio che determina l’atteggiamento degli attori nei confronti degli oggetti, di se stessi e degli altri. A tale descrizione dell’habitus, Bourdieu giustappone una visione gerarchica e lineare della struttura sociale e del rapporto che intercorrerebbe tra essa e la strutturazione dei gusti. Le pratiche di consumo riflettono la genesi culturale dei gusti dal punto specifico entro lo spazio sociale nel quale hanno origine. Il gusto si configura come un possibile luogo dell’operare di una forma di “potere simbolico” tramite cui le classificazioni oggettive vengono a coincidere con quelle soggettive. Pur complicando il proprio ritratto della stratificazione sociale, Bourdieu riconduce tutto il consumo a una logica distintiva di riproduzione della posizione sociale degli attori individuata mediante la generalizzazione e l’astrazione del modello delle differenze sociali in varie forme di capitale. I gusti sono strutturati una tantum sulla base della relativa posizione sociale. Nell’ottica bourdieuiana, capitale economico e capitale culturale giocano un ruolo fondamentale, convergendo o lottando per la determinazione del gusto dominante, del cosiddetto “buon gusto”: sono dunque coloro che possiedono un grado elevato di risorse economiche e culturali a configurarsi come gli arbitri del gusto. 2. Comunicare l’identità Mary Douglas fornisce una prospettiva in parte simile a quella di Bourdieu. Come per Bourdieu i beni svolgono una funzione differenziante e discriminatoria. La sua visione del legame tra consumo e struttura sociale è meno pregiudicata da una rappresentazione gerarchica delle differenze sociali, e questo anche e soprattutto perché il principale bersaglio critico di Douglas è quella certa visione che vede il consumatore come un “essere incoerente e frammentato, confuso nei propri scopi e appena responsabile delle proprie decisioni, del tutto in balia delle variazioni dei prezzi, da un lato, e delle oscillazioni della moda dall’altro”. Nell’impostazione di Douglas l’enfasi è posta sul soggetto e sulla sua identità. Per l’attore sociale l’atto di consumo risponde a una logica di affermazione delle proprie interpretazioni e classificazioni non solo come socialmente accettabili, ma anche come vincenti. Ogni individuo mira, in competizione con gli altri, a occupare una posizione dominante nella creazione dei significati. Anche se i consumi “fanno parte di un sistema di informazioni aperto, tale filosofia si colloca in uno dei 4 orientamenti culturali (cultural biases) fondamentali che sono presenti in tutte le forme di organizzazione sociale. Questi orientamenti corrispondono all’incrociarsi di due dimensioni dell’organizzazione sociale:  La struttura sociale: forte e gerarchica / debole e egualitaria;  I gruppi: fortemente integrati / deboli. grande crescita della cultura materiale viene quindi criticata come fonte di disorientamento e minaccia all’autenticità del soggetto che si vuole forte e autonomo, capace di costituirsi a partire dalle sue opere e non dai suoi averi. Tale crescita configurerebbe un processo inesorabile di “reificazione” in cui anche gli uomini diventano oggetti misurabili proprio come le merci. Alla pubblicità viene affidato un ruolo propulsivo: è per così dire il traino ideologico di un sistema in cui il lavoro ha perso senso, a cui tuttavia le persone rimangono attaccate perché non sanno rinunciare ai beni che le immagini pubblicitarie propongono loro. Che il commercio e il consumo siano le ruote del mercato è un’idea che affonda le proprie origini nella modernità: alle tesi critiche si sono opposte le tesi liberiste che hanno a volte assunto il carattere di una vera e propria retorica pro-consumistica. A partire dalla fine del ‘600 abili apologeti del libero mercato cominciarono a sostenere che esso fosse una forza essenzialmente civilizzatrice e pacificatrice e che i desideri umani e la loro gratificazione mediante una crescita dei consumi personali non era pericolosa né per la nazione, né per l’individuo. 2. Le immagini pubblicitarie Alla pubblicità commerciale e alla sua tendenza a diffondere messaggi sempre meno fattuali e sempre più evocativi viene spesso ricondotta la diffusione del consumismo. La stampa di massaè stata il primo veicolo per la diffusione su larga scala di immagini e testi promozionali, la pubblicità aveva tipicamente un tono fattuale. Si è passati da una pubblicità di tipo “referenziale”, focalizzata principalmente sul prodotto, a una “contestuale”, in cui il prodotto viene raccontato e inserito in un contesto di vita più ampio. I messaggi pubblicitari sono persuasivi e sfruttano la capacità di associazioni simboliche insite nel linguaggio verbale e visuale (es: la marca non è solo il nome di un prodotto o di una casa produttrice, è piuttosto un simbolo che può evocare una serie di significati che fungono da cornice interpretativa e affettiva). Le associazioni simboliche ci dicono che le varie parti di un testo pubblicitario funzionano tra di loro come un linguaggio, ma non ci spiegano perché i pubblicitari hanno scelto proprio tali associazioni né come o perché i consumatori leggeranno le pubblicità. Per fare questo bisogna considerare i contesti di produzione e di consumo dei messaggi pubblicitari. 3. Le funzioni della pubblicità Sebbene la funzione esplicita della pubblicità è quella di promuovere delle merci, non è affatto semplice isolarne e misurarne l’efficacia commerciale, poiché i prodotti e i servizi non devono solo essere presentati al pubblico mediante un messaggio, ma devono anche arrivate materialmente al pubblico e devono essi stessi parlare di sé. La pubblicità ha principalmente 2 funzioni:  COMMERCIALE: riuscire a vendere il prodotto  IDEOLOGICA: trasmette idee e fa circolare classificazioni culturali secondo i propri codici e la propria vocazione.  Rapporto tra le immagini pubblicitarie e le differenze e le gerarchie sociali (es: stereotipi di genere)  Promozione e la legittimazione del consumo come attività sociale significativa. 7. MERCI E CONSUMATORI Tra le retoriche critiche del consumo quella marxiana che condanna il processo di mercificazione è una delle più influenti. La parola “mercificazione” denota una particolare costruzione sociale delle cose: è il processo sociale mediante il quale le cose vengono prodotte, utilizzate e scambiate come merci. 1. Mercificazione e demercificazione Oggi è sempre più evidente che il processo di omogeneizzazione che accompagna la mercificazione è, a sua volta, inevitabilmente accompagnato dai continui tentativi da parte dei soggetti che hanno acquisito un dato bene di renderlo singolare, di demercificarlo per esempio mediante qualche forma di sacralizzazione o individualizzazione (es: scambio di doni / collezionismo). 2. Il valore delle cose e i confini della mercificazione In una economia monetaria sviluppata, proprio perché gli oggetti sono diventati merci, sono scambiabili ed equivalenti, tutto può essere acquistato, il soggetto non ha modi di fondersi, di coincidere con le cose. La conseguenza più immediata di un tale fenomeno è secondo Simmel, la neutralizzazione del potere delle cose di determinare le persone, le loro vite, le loro azioni. Il “dominio assoluto sulle cose” che gli attori sociali riescono a guadagnare ha però esiti ambivalenti: la libertà che il denaro conferisce è una libertà “priva di qualsiasi direttiva, di qualsiasi contenuto determinante e pertanto, in grado di aprire la strada a quella vacuità e a quella incostanza che dà a ogni impulso casuale, stravagante o seducente la possibilità di espandersi senza incontrare resistenza”. Questa prospettiva si opponeall’idea che la mercificazione, e con essa la moltiplicazione delle immagini e degli oggetti, vadano di pari passo con la dissoluzione del soggetto e con il crollo dello spazio a sua disposizione per appropriarsi e decodificare tali oggetti e immagini, Lo spazio del soggetto anzi aumenta, ma proprio per questo, paradossalmente egli può trovarsi a essere paralizzato, incapace di dare valore personale alle cose. Ritzer sostiene che la “cultura di consumo” ha un effetto “disumanizzante” perché è l’ultima espressione globalizzata di quel processo di razionalizzazione iniziato agli inizi della modernità. McDonald’s sarebbe il modello di un processo di McDonaldizzazione, che segna una nuova stagione dell’organizzazione produttiva che si fonda sull’articolazione di 4 principi:  Efficienza: implica un’enfasi sul risparmio del tempo e quindi sull’individuazione dei mezzi più rapidi ed economici per ottenete fini dati;  Prevedibilità: ricerca della replicabilità e della standardizzazione dei prodotti che viene garantita grazie a un sempre più stringente controllo;  Calcolabilità: esaltazione della quantificazione e una sostituzione della qualità con la quantità;  Controllo: sulle fasi della produzione e della distribuzione Ritzer nota che queste caratteristiche si sono diffuse ben oltre McDonald’s e sono riscontrabili anche in altre catene. In questa visione i “mezzi di consumo” della contemporaneità si connotano come dei mezzi razionalizzati e cioè efficienti per un rapido approvvigionamento. Inoltre sostiene che la razionalizzazione dei mezzi di consumo conduce al loro disincanto (cfr. Weber). Per continuare ad “attrarre”, “controllare” e “sfruttare” i consumatori, viene messa a punto una forma razionalizzata di re-incanto, quella forma di “fantasia fredda e utilitaristica” che viene offerta dai centri commerciali, configuratasi ormai come cattedrali del consumo sempre piene di prodotti. Secondo Ritzer, nonostante i vari movimenti di protesta vs McDonald’s, la McDonaldizzazione continuerà a diffondersi portata avanti da altre aziende. Le catene globali non seguono però semplicemente la logica della McDonaldizzazione: nel sistema distributivo contemporaneo possiamo rinvenire 2 direzioni di sviluppo diverse:  La diffusione dei punti vendita e dei discount con un enfasi sul prezzo e la standardizzazione;  L’avanzare di negozi o catene di nicchia con una rinnovata enfasi sulla qualità, la differenza e la varietà. Ritzer cade nella FALLACIA PRODUZIONISTA quando afferma che gli odierni mezzi di consumo sono una “gabbia d’acciaio” e le organizzazioni razionalizzate sono “troppo vincolate alle proprie necessità di efficienza per lasciare ai consumatori qualche possibilità di sfuggire alle caselle in cui sono stati infilati”. 4. Globale, locale, alternativo La globalizzazione non è un processo solamente americano, infatti accanto a marche americane divenute ormai simbolo mondiale, possiamo trovare anche la svedese Ikea, l’inglese The Body Shop e l’italiana Benetton ecc.La nozione di globalizzazione adottata da Ritzer pone un’eccessiva enfasi sull’omogeneità e sull’imperialismo americano; la globalizzazione è un processo di lunghissimo periodo che ha origine quanto meno sul finire del Medioevo. L’interconnessione economica e culturale dell’intero globo si è accompagnata e si accompagna ancora alla localizzazione delle forme concrete in cui si realizza. Questo processo di localizzazione va in 2 direzioni diverse:  Implica un cambiamento della cultura locale;  Un aggiustamento degli standard operativi dell’azienda che arriva su un territorio. La globalizzazione non è solo omogeneizzazione ma anche eterogeneizzazione esponendo le realtà locali a numerosi flussi di merci globali.
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