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Giovanni Bellini e Vittore Carpaccio, Appunti di Storia dell'Arte Moderna

Spiegazione di alcune opere di Giovanni Bellini e Carpaccio.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 01/03/2022

Malena_Mereuta
Malena_Mereuta 🇮🇹

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Giovanni Bellini e Vittore Carpaccio e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! LEZIONE 7 STORIA DELL'ARTE MODERNA Oggi siamo a venezia con uno dei più grandi protagonisti della pittura veneziana del rinascimento: Giovanni Bellini, un pittore che ci accompagnerà nella lezione di oggi. E' figlio per così dire delle massime botteghe veneziane, come quella del padre a cui partecipano poi i figli Gentile e Giovanni. Il primogenito di questa dinastia di pittori è Gentile il quale di fatto come nella migliore tradizione delle migliori botteghe veneziane del rinascimento, tra l'altro hanno questa caratteristica primordiale, cioè della struttura delle botteghe come "familiari", quindi imprese famigliari. Alla morte del capo maestro che in questo caso è Jacopo, la direzione della bottega spetta al primogenito e poi solo in seconda istanza agli eredi in questo caso a Giovanni. Che effettivamente subentrerà nella direzion di quedta impresa alla morte del fratello Gentile. Giovanni Bellini nasce a Venezia intorno al 1430 circa. Per altro questa famiglia di pittori si imparenterà con un'altro importante pittore (Mantegna), la sorella di Gentile e Giovanni (Nicolosia) sposerà Andrea Mantegna nel 1453. La morte del capo bottega di questa importante impresa avviene tra il 1470 e il 1471 e poi apunto abbiamo questa eredità che si articola non soltanto nella direzione della bottega ma anche nella direzione dei principali cantieri a cui i Bellini partecipavano (I Bellini sono pittori di stato della Serenissima e Gentile prenderà il posto del padre nel cantiere del Palazzo Ducale). Nel contempo tuttavia anche giovanni si fa strada e diventa pittore ufficiale della serenissima ereditando quel importante privilegio che è la Sensa, una sorta di pensione che viene offerta ai pittori della serenissima proprio perche considerati esponenti uffuciali della politica di questa importante repubblica. Giovanni parteciperà anchegli alle imprese per palazzo ducale, infatti dipingera una serie di opere importanti per singoli dogi, opere che, si, possono essere definite opere di stato, ma allo stesso tempo constituiscono committenze private come il caso della Pala Barbarigo in origine forse destinata al palazzo barbarigo, che poi alla morte del doge agostino Barbarigo lasciata in eredità a San Pietro martire a Murano dove le figlie di Barbarigo erano diventate monache. Non mancano i conatti con la corte di Mantova in particolare l'insistenza di Isabella d'Este che vorrebbe commissionare a Giovanni per il proprio studiolo un dipinto, impresa che non andra mai a buon fine e poi intorno al 1505 si situa la realizzazione di un'altra importante pala d'altare (Pala di San Zaccaria) che fu trafugata da Napoleone, nel 1507 muore Gentile, e Giovanni ora è a capo della bottega Bellimi. Peraltro morendo gentile stila una particolare clausola nel suo testamento per cui uno degli strumenti che più di ogni altro animava le invenzioni della bottega Bellini, cioè famosi album di disegno, ideati da Jacopo nel corso della sua carriera che sono degli studi importantissimi perche testimoniano la conquista della prospettiva centrale anche nell'ambito della pittura veneziana. Verranno ceduti da Gentile al fratello, tuttavia con l'impegno da parte di Giovanni a ultimare uno dei teleri realizzati anzi avviati da Gentile ma non ancora ultimati, cioè la predica di san marco ad alessandria d'egitto. Sempre nel 1510 risale la Madonna col Bambino ancora a Brera e poi questo importante pagamento del 13 novembre del 1514 finalmente Giovanni Bellini si misura con un soggetto di tipo profano (Bellini era specializzatonnella produzione di pittura religiosa che è appunto il Festino degli Dei reaòiizato per il camerino di Alfonso d'Este). La notizia della morte di Giovanni Bellini percorre Venezia grazie anche ai diari di marinza nudo che cosi descrive l'avvenimento della sua morte. La notizia della morte do Bellini è talmente importante da indurre il cronachista celeberrimo Marinza Nudo ad annotarla sui suoi diari come un fatto che pertiene alla storia della repubblica di Venezia. TRITTICO PESARO, SANTA MARIA GLORIOSA DEI FRARI, 1488 Nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari è presente un capolavoro di fondamentale importanza. Si tratta del “Trittico dei Frari” di Giovanni Bellini. Un’opera situata nella Cappella Pesaro, che fu donata dai figli di Pietro Pesaro e Franceschina Tron, in memoria della madre defunta. Si tratta di un'opera firmata e datata che risale al 15 febbraio 1488 more veneto (cioè la datazione secondo il sistema veneziano, l'anno inizia con il 1 marzo quindi in realtà il febb de 1499 è il 1489) il trittico pesaro fu commissionato dai fratelli Nicolò Benedetto e Marco Pesaro figli di Pietro e Franceschina Tron. Fu proprio la madre affinche la sepoltura della famiglia Pesaro avesse luogo nella Sagrestia dei Frari quindi questa pala d'altare vincola questo spazio privilegiato alla famiglia pesaro. Il trittico che è usato da Giovanni come scelta formale per l'esecuzione di questo dipinto non è un segno di arcaismo, vuol dire che giovanni non opta per il trittico perchè è ancora legato a una concezione medievale dello spazio pittorico, del resto lo aveva già dimostrato in un'altra pala d'altare che precede di circa un decennio l'esecuzione del trittico dei frari (ovvero la Pala di San giobbe) realizzata anch'essa per una chiesa francescana, la Chiesa di San Giobbe che si trova a Cannareggio, ma attuamente custodito il dipinto alle gallerie dell'accademia. In questa pala non c'è assoltamente riferimento allo spazio tripartito del trittico anzi si tratta di una pala a spazio unificato a tutti glie effetti. Questo dipinti viene realizzato forse per la chiesa di San Giobbe uno dei sodalizi devozionali che facevano capo appunto alla chiesa di San Giobbe, quasi certamente con il concorso di un imporatnte mansionaria che viene fatta a questa chiesa opera del doge cristoforo moro e sopratutto ei suoi eredi (1480). I santi raffigurati su questa pala partendo da sinistra verso destra, c'è San Francesco rappresentato in posizione frontale leggermete svasato di 3/4 e che esibisce la piaga sul costato in ricordo delle stigmate ricevute e ovviamente la corda con i 3 voti tipici dell'ordine francescano; qui in una posa di profilo con il volto quasi esclusivamente riservato alla Vergine, ne intavediamo appena il profilo. C'è san Giovanni Battista, segue poi San Giobbe (santo titolare della chiesa), dall'altra parte San Domenico (l'altro padre fondatore del secondoimportante irdine mendicante pereccellenza), seguono ancora san sebastiano e infine il Santo vescovo Ludovico da Tolosa meglio noto a venezia come Sant'Alvise. La presenza di Giobbe e di San Sebastiano ha fatto supporre che in qualche modo questo dipinto sia stato realizzato per scongiurare il flagello della pestilenza che spesso incombeva su Venezia. Il trittico dei Frari è quindi una invenzione la cui scelta di carattere formale, quindi questa coposizione che rievoca ancora lo spazio tripartito del trittico medievale non ha ancora ragione di arcaismo ma invece una ragione di arattere contenutistico. Infatti l'opera pittorica si articola all'interno di una cornice riccamente strutturata che sembra quasi introdurre allo spazio devozionale all'interno del quale si svolge questa sacra conversazione; quindi quasi una facciata, uno schermo attarverso cui il fedele penetra nello spazio della contemplazione. Cornice che per altro fu probabilmente anch'essa disegnata da giovanni bellini, quindi con un'assoluta padronanza del pittore tra il supporto e lo spazio fittizio della pittura. Questa cornivce simulerebbe secondo gli specialisti al struttura tipica delle chiese bizzantine e cioè l'abside principale affiancata da due narteci, che si trova nelle chiese di stampo bizzantino nelle quali si contengono le vesti devozionali indossate dai religiosi durante le cerimonie. Un'altra parte dello spazio propriamente sacr e all'interno di questo nartece sinistro e destro si raduna l'assemblea di santi, santi che fanno riferimento attraverso il meccanismo arcinoto dell'eponimia (cioè i santi che portano lo stesso nome) ai committenti del dipinto stesso e quindi troviamo così in questo sul prato su cui presente la Vergine è un prato verdeggiante fiorito, a un certo punto l’erba si interrompe lasciando spazio ad un terreno completamente arido coperto appunto da quasi. Questo scarto della rappresentazione dello spazio serve a descrivere due spazi evidentemente diversi quello che compete la santità della vergine e quello che comporta invece al fedele che appunto come in un cammino faticoso che è evocato da questa aridità del terreno viene a prestato a compiere la sua scesa verso la città santa e allora in questo cammino molto difficile per il fedele prendono spazio questa sorta di lotta interiore che in qualche modo il fedele compie a sinistra ci sono una serie di immagini che si potrebbero fra riferimento a quello che potremmo definire il cattivo pastore (è addormentato che ha lasciato incustodite le sue bestie e quindi le pecore non hanno più una guida di riferimento). E così si svolge proprio nell’ambito di questo spazio una lotta tra il bene il male è esemplificata dalla presenza di una cicogna che per eccellenza lotta e si nutre delle serpi che rappresenta la lotta tra il bene il male con la minaccia della morte rappresentata da questo avvoltoio che sta sui rami di quest’albero assolutamente secco. Dall’altra parte invece c’è uno spazio deputato alla dimensione della scelta del buon cristiano, ci sta la città di Dio: il pastore che con attitudine di grande apprensione sorveglia attenzione le mandrie in modo tale che non prendono cattivo cammino. CARPACCIO Il pittore inventa la selezione la frequenza della sua storia, la composizione l’articolazione l’ambiente e le figure accetti i costumi e segnale di queste storie sono completamente popolate. Questo è proprio il mestiere del pittore in prima istanza vuol dire che il pittore non è un descrittore, sebbene un pittore possa aver letto una fonte la sua invenzione è un’invenzione pittorica e non è semplicemente la descrizione di una storia scritta, è una vera e propria invenzione che risponde a dei codici preciso e allora come fa il pittore anche evitare questa storia diventa? Si serve in anzitutto di una tradizione che potremmo definire artigianale cioè tutte quelle capacità tecniche: disegno, l'uso del colore, la prospettiva, questa è la sua tradizione poi elemento di non trascurare è cioè che il pittore si appoggia ad una tassonomia che lo ha preceduto cioè esistono molti altri pittore che prima di carpaccio hanno dipinto per esempio la storia di San Giorgio e il drago certamente carpaccio che di mestiere fa il pittore avrà studiato queste invenzioni per poi giungere alla propria, quindi c’è la tradizione artigianale da un lato e poi c’è la tradizione iconografica. Il pittore usa quella che potremmo definire la retorica classica cioè usa una serie di strumenti che le consentono di significare la sua immagine. Questi strumenti sono quattro: il simbolo, la metafora, l’allegoria e poi attributo. Il simbolo è un dettaglio investito di un significato stabile che sta alla base di una tradizione che può essere scritta oppure orale e se noi dovessimo andare a cercare le fonti di riferimento per quanto riguarda il simbolo della pittura religiosa del Rinascimento dovremmo consultare l’antico testamento. Il simbolo è quindi un dettaglio e da un’altra caratteristica il cui significato è possibile tracciare delle fonti, ma il simbolo ha un’altra caratteristica molto importante ed è quella che mette in grande difficoltà lo storico dell’arte cioè è polivalente, nel senso che in sostanza un significato, lo stesso dettaglio, può avere anche 30 significati diversi. Spesso nella pittura del 400/500 il pittore non usa un simbolo ma semmai una costellazione simbolica cioè un insieme di simboli e che tutti questi simboli hanno senso se li leggiamo insieme. La metafora è un’altra figura retorica abbastanza vicina al simbolo però si differenzia per un punto molto importante e cioè non ha bisogno di una codificazione stabile semmai ne genera una, è inventata per l’occasione. Quindi sarà tanto più per così dire comprensibile al contesto per cui è stata prodotta ma tanto più incomprensibile per noi, perché molto spesso questo contesto è un micro contesto, viene creata lì per lì in base ad un contesto particolarissimo. L'allegoria invece è una figura retorica fondata sulla rappresentazione indiretta molto spesso è una idea astratta che viene semplificata attraverso il personaggio a cui viene dato una serie di attributi, per esempio la giustizia viene personificazione allegorica una figura femminile che mantiene una spada ed una bilancia ad affermare che la giustizia è giusta ed equilibrata. Quindi è un concetto che diventa una serie di attributi che mostrano le sue qualità astratte. E poi c'è l’attributo, che non può essere definito proprio una figura retorica ma che è utilizzatissimo dai pittori, è quel dettaglio che viene spesso associato ad un determinato personaggio è presente un santo che ci consente di e della memoria un episodio della sua per esempio il leone e San Gerolamo. Carpaccio è un pittore importantissimo, non è un pittore di pale d’altare sebbene ne abbia dipinta più di una, alcune sono esposte all’accademia di Venezia per esempio la rappresentazione del bambino al tempio, opera che risale al 1510. Poi abbiamo la famosa pala dei 10.000 martiri crocifissi sempre Accademia di Venezia destinata ad una chiesa ormai distrutta. La sua specialità non sono le pale d’altare anche perché i pittori cercavano di accaparrarsi fetta di mercato diversificati. Carpaccio si specializza nella pittura di storia. E' nato intorno al 1460-65 a Venezia, firma la sua prima opera il 1485 circa (redentore tra santi) sono 3 i cicli che tratteremo e che dobbiamo ricordare bene cioè quello realizzato tra il 1490 e il 1495, cioè il ciclo delle storie di San Torsola, alle gallerie dell'accademia di Venezia realizzato per l'omonima scuola che si trovava all'ombra delle absidi della chisa si santo giovanni e paolo; poi abbiamo le storia di giorgio gerolamo e trifone per la scuola dalmata degli schiavoni realizzata tra il 1501 e 1511-12 e infine il ciclo importantissimo più tardo con le storie di Santo Stefano realizzato per la scuola omonima realizzato tra il 1511 e il 1514. Carpaccio muore tra l’ottobre del 1595 e il giugno del 1997 quando un documento lo cita defunto. Carpaccio è un pittore di storia anche quando non dipinge storie perché plausibilmente questo dipinto è un ritratto sebbene decisamente originario di due dame dell’alta aristocrazia veneziana, tanto che sul vaso che si trova sulla balaustra dove sta anche una coppia di tortore c’era anche uno stemma ormai difficilmente leggibile. Queste due da dame ma state a lungo e identificate come due cortigiane cioè due prostitute decisamente malamente identificate come tali perché in realtà questo dipinto è un classico esempio di una costellazione simbolica che consente appunto allo storico dell’arte che armato degli strumenti della retorica ed è capace di leggere con intelligenza e poca superficialità i simboli. Questi simboli sono facilmente leggibili, tanto nella donna più matura rappresentata più vicina allo spettatore quella che si inchina esibendo questo generoso decolletè che poi è stata la causa per la quale questo dipinto è stato identificato scioccamente come la rappresentazione da cortigiane perché in realtà quella più giovane rappresentano per esempio la collana di perle: simbolo per eccellenza di castità oggetto che soltanto nelle promesse spose potevano esibire. A Venezia a dispetto delle leggi sontuarie cioè quelle leggi che vietavano alle donne ricche di esibire trionfalmente a gioielli o abiti sfarzosi perché considerati elementi di Vanitas Che non si confacevano ad una donna di costumi casti e devoti. E poi questa donna tiene in mano un fazzoletto bianco anch'esso simbolo di castità e poi elemento leggendariamente iscrivibile come pegno d’amore lasciato dal fidanzato o promesso sposo che evidentemente si è assentato al cui ritorno questa giovane sta svegliando. E poi ci sono anche le arance, pianta di bosso, una pianta sacra a venere legata al matrimonio così come le arance di venere Maria, e tutta la costellazione simbolica regata le figure femminili per eccellenza quella della vergine Maria è quella di vendere comunque è una promessa di fecondità per la giovane sposa poi la copi le tortore che fa riferimento la fedeltà coniugale ci sono poi i cani nella loro doppia accezione del cane mansueto e che gioca con la dama più avanzata, che è simbolo di fedeltà è il cane più feroce tenuto a bada con questa specie di appunto frustino che evidentemente Fa riferimento alla sorveglianza cui queste donne sono state destinate. E poi ancora il pappagallo che è un animale che troveremo fa riferimento alla sorveglianza cui queste donne sono state destinate. E poi ancora il pappagallo che è un animale simbolo dell’eloquenza redentrice quindi ancora a un elemento simbolico associato certamente non ad una dimensione lasciva. Sul davanzale oltre alla pianta di bosso c’è anche un vaso in cui il fiore è stato reciso a metà della sua altezza. Questo dipinto è stato lungamente interpretato come la raffigurazione di due cortigiane fino a che negli anni 60 non è riapparso il pezzo mancante cioè la parte superiore di questo dipinto che evidentemente era stato tagliato in due e venduto separatamente al mercato e che raffigura una caccia in laguna, il fiore ha ritrovato la sua parte mancante, si tratta di un giglio, altro simbolo legato alla castità e che descrive la condizione di castità della giovane sposa e che evidentemente attende il suo amato partito per la caccia in laguna con tanto di paggio che si presenta al suo cospetto e che forse le consegna un biglietto d’amore prima che il giovane partisse per queste attività considerate simbolo di buona aristocrazia veneziana. Questo dipinto che probabilmente decorava un mobiletto una sorta di scanno per la studiolo in cui evidentemente erano deposti di fare di colui che avevano commissionato ci sono queste lettere legate con una cordicella che appunto le mantiene e che stanno forse a descrivere la funzione di questo studiolo che serviva magari a gestire la corrispondenza di questi personaggi. SCUOLA DALMATA DI SAN GIORGIO DEGLI SCHIAVONI Carpaccio per questo luogo esegue un ciclo di dipinti molto importante che conta in totali ben nove telerie in un arco cronologico che va dal 1501 fino al 1511, è stato recentemente restaurato grazie al contributo di save Venice. La scuola dalmata di San Giorgio degli Schiavoni è una scuola di devozione, le scuole sono una prerogativa veneziana, altro non sono che delle confraternite formate da laici a cui non hanno assolutamente il diritto di accesso i religiosi la maggior parte gestite da cittadini e dunque non da Patrizi e rappresenta una forma di potere alternativo in una città in cui il potere politico era concentrato esclusivamente nelle mani dei Patrizi. A Venezia se non si nasceva Patrizi non vi era alcuna possibilità di acedere alle cariche politiche. E il sistema veneziano immagina una forma di potere alternativo in cui la gestione di alcune faccende che fanno riferimento essenzialmente all’assistenza quindi hanno una funzione sociale queste scuole fosse invece al contrario appannaggio prevalente dei cittadini veneziani, solo che cittadini veneziani non erano tutti coloro che abitavano a Venezia che non erano Patrizi, e cittadini missioni sono coloro che sono nati a Venezia o vi risiedono da un certo numero di anni e quindi dopo un certo numero di anni di residenza in un certo senso quasi dimostrando la propria fedeltà alla Repubblica possono fare richiesta di cittadinanza e diventare cittadini veneziani. Nell’ambito del tardo quattrocento e ancora di più nel secolo precedente quanto già esistevano alcune scuole Devozionale. Ora la scuola di San Giorgio a Schiavoni fondata nel 1451 è una scuola di nazione ed è una di quelle rarissime scuole piccole cioè a un
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