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Giovanni Boccaccio: Biografia, Temi, Opere, Decameron (+20 novelle), Dispense di Letteratura Italiana

Riassunto dettagliato della vita, le opere e la poetica di Giovanni Boccaccio, con una parte interamente dedicata al famoso Decamerone nella quale sono anche inserite 19 (+conclusione) famose novelle e le loro trame, di facile comprensione, ben riassunte ed utili per prepararsi ad eventuali esami o verifiche.

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 30/01/2024

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Scarica Giovanni Boccaccio: Biografia, Temi, Opere, Decameron (+20 novelle) e più Dispense in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! GIOVANNI BOCCACCIO Certaldo / Firenze, 1314 – Certaldo, 1375  BIOGRAFIA 1) GIOVINEZZA e PERIODO NAPOLETANO Famiglia: nato a Certaldo o forse a Firenze, Boccaccio è figlio illegittimo del padre Boccaccino di Chiellino, agente commerciale della compagnia de’ Bardi; la madre era sconosciuta, ma nonostante questo l’uomo prende il figlio sotto la sua protezione e lo fa studiare per fargli apprendere nozioni di grammatica e matematica, per diventare mercante. Corte d’Angiò a Napoli: a 14 anni il padre porta il figlio con sé a Napoli, alla Corte di Roberto d’Angiò, che finanziava la Compagnia. A Napoli Boccaccio conosce la vita mercantile, conosce varie classi sociali, partecipa alla vita aristocratica, visita la ricca biblioteca di palazzo e si appassiona alla letteratura: segue i romani cortesi, delle chansons de geste, della lirica provenzale, e dei classici latini. Forse inizia anche qui lo studio del greco presso il monaco Barlaam. Studi giuridici: intorno al 1330, a Napoli, il ragazzo comincia a studiare diritto canonico all’Università di Napoli. Qui incontra l’ultimo stilnovista, Cino da Pistoia. Boccaccio continua però la sua formazione da autodidatta in campo letterario, affiancando alla lettura dei classici latini e cortesi i testi in volgare toscano, come la Commedìa di Dante e le liriche di Petrarca. Compone prime opere: la Caccia di Diana, il Filostrato e il Filocolo; in esse compare per la prima volta Fiammetta, un senhal che probabilmente nasconde Maria d’Aquino, presunta figlia naturale di Roberto d’Angiò. 2) RIENTRO A FIRENZE Peste: la crisi della Banca dei Bardi costringe padre e figlio al ritorno a Firenze. È un periodo sofferto: Boccaccio è costretto a lasciare l’amata Corte napoletana e le crisi economiche non finiscono, costringendolo a spostarsi nelle corti di Ravenna e Forlì, senza successo. Poi arriva la peste, che uccide Boccaccino. Inizia la stesura del Decameron. Ambasciatore: nonostante l’iniziale avversione verso Firenze, Boccaccio è coinvolto nella vita cittadina grazie al prestigio delle sue opere. Lavora come ambasciatore (anche con la vana speranza di tornare a Napoli) presso le corti di Avignone, in Romagna, nel Triveneto e in Tirolo. In un periodo va a Montecassino per trascrivere dei codici antichi. Petrarca: nel 1350 incontra Petrarca mentre passa a Firenze per il giubileo. I due fanno amicizia e iniziano un rapporto epistolare, influenzando Boccaccio e portandolo a rivedere i classici latini e, quindi, a proseguire lo studio del greco; Boccaccio sarà uno dei primi a riscoprire la lingua, che sarà poi riportata in Italia con la caduta dell’Impero Bizantino. 3) ULTIMI ANNI Congiura: Boccaccio prende gli ordini minori diventando chierico in seguito a una crisi esistenziale (aveva tagliato il suo Decameron poiché pensava che non fosse moralmente accettabile). Ciò gli garantisce una migliore stabilità economica (si ha notizie di almeno 5 figli naturali). Però, nel 1360 viene tentato un colpo di Stato che vede coinvolti alcuni suoi amici: la città non si fida di lui e lo scrittore viene allontanato; si ritira a Certaldo. Studi umanistici: ritorna a studiare i miti greco-latino, riflettendo tali studi nella Genealogia degli dèi pagani. Elabora un vero e proprio culto dantesco, espresso nel Trattatello in laude di Dante e si fa promotore delle poesie di Petrarca. Ritorno a Firenze: Firenze gli perdona gli esuli della congiura e dal 1365 e torna ad essere ambasciatore, nonostante cominciò a muoversi poco per ragioni di salute (era afflitto da gotta, dalla scabbia e dall'idropisia). Tra 1373 e ’74 è incaricato a tenere delle letture pubbliche sulla Divina Commedia. Firenze elegge, praticamente, Boccaccio a suo rappresentante, nonostante i suoi rapporti con la città non siano dei migliori. Ultimi anni: dopo aver trascritto in codice autografo il Decameron, interrompe le letture per ragioni di salute della Commedia, ferme al canto XVII dell’Inferno. Si ritira a Certaldo dove muore nel 1375.  TEMI, CONCETTI e STILE Autobiografia: Boccaccio inserisce nelle opere le sue esperienze di vita, come i suoi viaggi, il mondo mercantile, la Corte d’Angiò, l’amore, la peste e i suoi studi. Realismo storico: Boccaccio, grazie alle sue qualità di traduttore e trascrittore di opere, aveva delle qualità nello scrivere seguendo una forma realistica, ovvero riusciva ad inquadrare storicamente i suoi racconti. L’esempio perfetto è quello del Decameron, nel quale la trama è inserita nel contesto storico della peste del 1348. La descrizione storica era così accurata che l’opera fu molto utile agli studiosi per comprendere l’espansione della malattia in Europa. Comicità: sarebbe certo riduttivo definire il Decameron un’opera comica, tuttavia, specie nelle Giornate VI e VIII, è possibile trovare alcune novelle dalla varia comicità: la comicità è un modo per evadere dalla tragedia e dalla morte, come i giovani evadono dalla peste e si dilettano raccontando le storie; in secondo luogo, essendo quest’opera indirizzata verso le donne invece che verso gli studiosi uomini, l’obiettivo è anche quello di divertire. Amore realistico: l’amore non è più molto intellettuale e stilnovista, ma più materiale, laico e secondo Boccaccio è una forza irrefrenabile alla quale non si può resistere. Per esempio, nel Decameron, la protagonista della novella Tancredi e Ghismunda della 4° giornata, Ghismunda non cerca un marito, bensì un amore più fisico e seduttivo. Fortuna: la fortuna, è una forza talvolta positiva e talvolta negativa, esterna all’uomo e incontrollabile. L’uomo può trarne guadagno attraverso il proprio ingegno. È diversa dalla fortuna divina tipica di Dante. Ingegno: intelligenza, capacità di tirarsi fuori da situazioni complicate e/o trarre profitto dalla propria fortuna. Per uscire vincitori dalla vita bisogna sfruttare le proprie capacità ed essere abili e astuti, sia in condizioni positive che negative. Un esempio è la novella Andreuccio da Perugia, dove vediamo che la Fortuna si accanisce sul protagonista solo perché lui non è in grado di contrastarla: inizialmente è molto ingenuo, ma dopo aver fatto esperienza, riesce a cogliere l’occasione per salvarsi. L’ingegno si ricollega alla figura del mercante. Mercantilismo: le novelle del Decameron sono spesso ambientate in uno spazio e in un tempo preciso, a volte in un lontano passato, ma più di frequente nella realtà cittadina borghese e mercantile, in cui Boccaccio viveva e che egli descrive molto realisticamente. Boccaccio celebra la logica del calcolo e della previsione, ma anche l’intelligenza e l’intraprendenza dei mercanti, nuova classe sociale del suo tempo. Il mercante in Boccaccio è una figura positiva, che possiede anzitutto l’industria, cioè quella capacità umana che permette di superare gli ostacoli posti dalla Fortuna. Tale idealizzazione del mercante proviene dalle esperienze di vita di Boccaccio, il quale passò la giovinezza a girare l’Italia col padre. Novella: Boccaccio fu uno dei primi grandi autori ad utilizzare la novella come generare narrativo, e a diffonderla grazie al Decameron. È come il racconto, un componimento letterario in prosa di carattere narrativo, più breve e meno complesso del romanzo e generalmente dedicato a una sola vicenda. Funzione della letteratura: la letteratura non ha solo una funzione consolatoria, ma può anche contribuire alla ricerca della felicità umana nel mondo. Oltre al conforto e al diletto, essa persegue anche l’utile, poiché l’uomo viene rafforzato, è consapevole dei suoi ed altrui limiti; così permette una migliore convivenza sociale. Dualismo piacere-moralità: in Boccaccio vi sono due spinte opposte; c’è un'idea di letteratura come gioco e quindi come fonte di piacere (soprattutto nel periodo napoletano) ma anche, in seguito, l’idea che la scrittura dovesse avere contenuti morali (soprattutto nel periodo fiorentino). Nel periodo del Decameron c’è un equilibrio fra le due. periodo storico era così accuratamente descritto che il testo è stato utilizzato per attuare degli studi sulla diffusione della peste. Stile volgare di Boccaccio: è un volgare diverso da quello Dantesco: è scritto in prosa ed utilizza una lingua apparentemente colloquiale ma è in realtà molto complessa. Dopotutto Boccaccio avevo tradotto varie opere, quindi sapeva creare una forma ben ricercata. Inoltre, inserisce il linguaggio mercantile creando una lingua ricca e varia, che usa vari registri linguistici (lessico semplice, espressioni dialettali e gergali), attraverso anche il discorso diretto dei personaggi (teatralità). Temi: Amore realistico; Fortuna; Ingegno; Mercantilismo; Teatralismo; Comicità. {•TEMI} Espansione: fino al '500 l’opera si espande molto in Europa, fino a quando non è, nel 1558, inserita nell’ Indice dei Libri proibiti. Nonostante ciò, l’innovativa forma della novella e il supporto di Pietro Bembo (che ergerà la scrittura di Boccaccio all’esempio perfetto per la prosa) influenzeranno molto la cultura: attraverso un effetto domino, l’opera influenzerà anche autori come Matteo Bandello nella scrittura di Novelle, le quali influenzeranno a sua volta autori come George Gascoigne (Green Knight, in The Posies) e Shakespeare (Molto rumore per nulla; La dodicesima notte; Romeo e Giulietta), o anche il novelliere Giambattista Giraldi Cinzio, dal quale si ispirano Miguel de Cervantes (Le peripezie di Persile e Sigismonda) e di nuovo Shakespeare (Otello). NOVELLE IMPORTANTI del Decameron - G1, N1: Ser Ciepparello; Regina: Pampinea (tema libero) - Narratore: Panfilo Lo scopo di questa storia è dimostrare come Dio ascolti lo stesso le preghiere dei fedeli nonostante questi si affidino a dei falsi santi; c’è una critica verso gli ecclesiastici che diffondono tale credo. La storia si apre con il mercante francese Musciatto Franzesi che deve lasciare la Francia per l’Italia ma non vuole farlo prima di aver trovato qualcuno che si occupi di riscuotere dei crediti che lui ha presso dei borgognoni, persone veramente di malaffare. Pensa quindi di rivolgersi a Ser Ciappelletto e affidargli l'incarico: l’uomo ha una pessima reputazione, ha commesso vari reati ed è poco affidabile, decide però di accettare l’incarico perché in quel momento si trova in difficoltà economica. Così, Ser Ciappelletto parte per la Borgogna e viene ospitato da due fratelli fiorentini che fanno gli usurai. Mentre Ser Ciappelletto è ospite della casa, cade malato tanto gravemente che i due fratelli cominciano a preoccuparsi. Il problema risiede nel fatto che, qualora Ser Ciappelletto morisse da loro, dovrebbe essere seppellito in terra sconsacrata causando problemi alla fama dei due fratelli che non è immacolata all’interno del paese. D’altro canto, i due non se la sentono nemmeno di lasciare il povero Ser Ciappelletto fuori di casa in quelle condizioni e sanno che qualora chiamassero un prete e lui si confessasse, nessuno potrebbe mai perdonarlo per tutti i suoi peccati. Ser Ciappelletto però propone il suo piano, cioè chiamare un frate, confessarsi e fingere di essere colui che non è: all’arrivo del frate, Ser Ciappelletto finge di essere una persona talmente tanto pia che il padre gli perdona peccati ridicoli, dicendo di non aver mai commesso peccati violenti. Il frate gli dà l’estrema unzione e, dopo poco, Ser Ciappelletto muore. Nel momento in cui i frati del convento sono chiamati per allestire il funerale, il frate si reca dal priore e racconta quanto Ser Ciappelletto fosse buono: la voce si diffonde e viene fatta un’orazione in cui si esaltano le sue qualità. Inizia una lunga processione di fedeli che si recano al funerale e alla tomba dell’uomo, senza sapere se l’uomo si sia effettivamente pentito. - G1, N3: Melchidesech giudeo e il Saladino: Regina: Pampinea (tema libero) - Narratrice: Filomena Saladino, sultano d'Egitto e di Siria, è molto ricco, potente e saggio, ma si trova improvvisamente in ristrettezze economiche. Essendo piuttosto avaro, decide di rivolgersi a Melchisedech, usuraio di Alessandria, per poter ottenere ciò che vuole con astuzia ma con una parvenza di giustizia. Convoca quindi Melchisedech e gli chiede quale tra la religione ebraica, quella musulmana e la cristiana, secondo lui, sia quella reale. Melchisedech però, oltre ad essere un grande religioso, è anche molto astuto: così capisce subito che con una sua risposta può contraddire il sultano. A questo punto l'usuraio, costretto a dare una risposta, gli racconta una novelletta che esprime un paragone: un uomo ricco, racconta Melchisedec, possedeva una pietra preziosa, che alla sua morte doveva essere data ad un figlio fedele e responsabile. Questa pietra preziosa fu tramandata per molti anni, fino a quando un discendente non ebbe dubbi su quale dei tre suoi figli dovesse avere la pietra preziosa: tutti e tre erano infatti molto diligenti e rispettosi nei suoi confronti. Il nobile fece allora fare due copie della pietra autentica da un abile orefice: alla sua morte le tre pietre erano così simili e i tre figli così diligenti che non si scoprì mai a quale tra i tre figli spettasse l'eredità del padre, né a chi appartenesse davvero la pietra autentica. La novella serve a Melchisedec per fare un paragone fra le tre pietre e le tre religioni: non importa quale sia quella autentica, e non è necessario capirlo. Alla fine della novella, Melchisedech presta i soldi al sovrano e Saladino, al momento della restituzione, gli dà anche grandissimi doni, considerandolo suo amico. - G2, N4: Landolfo Rufolo; Regina: Filomena (fortuna e il suo potere di cambiare le cose); Narratrice: Lauretta Landolfo Rufolo è un mercante di Ravello, sulla Costiera Amalfitana, che si mette nel giro delle merci preziose e va a Cipro, uno dei punti di passaggio più importanti del Mediterraneo. Non è però un bravo uomo di affari: giunto a Cipro, si accorge che ci sono molte altre navi intente allo stesso commercio e non riesce a vendere le sue merci al prezzo che gli permetterebbe, se non di guadagnare, almeno di ripagarsi il viaggio. La soluzione più semplice e veloce per non finire in completa rovina gli sembra quella di darsi alla pirateria fare il corsaro: in questo modo, derubando agli altri (senza scrupolo morale) cerca di recuperare denaro e ricchezze. In un anno di arrembaggi riesce ad accumulare una grossa fortuna e sente che è giunto il momento di tornare a casa ricco e soddisfatto. Sulla via del ritorno, la sua nave naufraga durante una tempesta; la sua barca viene assaltata da una nave di genovesi e viene a sua volta depredato di tutte le ricchezze, venendo fatto prigioniero. Ma anche qui c’è un altro rovescio di fortuna: un’altra tempesta fa naufragare la barca dei genovesi e Landolfo si salva grazie ad una cassa che trova in mare tra le onde. Come Ulisse all’Isola dei Feaci, Landolfo giunge più morto che vivo all’isola di Corfù dove è soccorso da una donna che lo asciuga e lo rifocilla, ospitandolo e curandolo a casa sua affinché si rimetta in sesto. Quando Landolfo sta per ripartire, apre la cassa provvidenziale che lo aveva salvato dalla morte e, incredibilmente, dentro vi trova molte pietre preziose. È diventato ricco, senza sapere come. Sbarcato a Brindisi, vende le gemme e manda alla donna di Corfù molti denari come ricompensa per averlo aiutato: non ha dimenticato la sua cortesia ed è lei che lo ha salvato da morte certa. Decide di conservare gli altri denari e di conservarli fino alla fine della sua esistenza, senza sperperarli, ma investendoli oculatamente. - G2, N5: Andreuccio da Perugia; Regina: Filomena (fortuna e il suo potere di cambiare le cose); Narratrice: Fiammetta Andreuccio da Perugia è un giovane e ingenuo mercante che si trova al mercato di Napoli per acquistare cavalli. Andreuccio porta con sé 500 fiorini, sfoggiandoli e attirando l’attenzione dei passanti. Fra questi c’è anche una prostituta siciliana, che gli fa credere di essere sua sorella e lo convince a fermarsi a cena, e poi a dormire, a casa sua. Andreuccio cade nell’inganno, lasciando i suoi averi incustoditi, che vengono derubati. Si spoglia, va alla latrina, ma scivola e cade nella fogna; inizia a gridare svegliando il quartiere, ma così facendo attira l’attenzione del ruffiano della donna, che lo invita ad allontanarsi per non rischiare guai più seri. Andreuccio va così all’albergo, ma si imbatte in due ladri, che lo convincono che allontanarsi dalla casa della donna sia stato un bene: in caso contrario avrebbe probabilmente rischiato la vita. Gli propongono di prendere parte a un furto: derubare il cadavere di un arcivescovo, seppellito con oggetti preziosi; accetta, nella speranza di recuperare denaro. Lo convincono a calarsi in un pozzo, ma a causa dell’arrivo di alcune guardie, lo abbandonano. Quando le guardie si avvicinano al pozzo per bere, vedono l’uomo e fuggono in preda al terrore; Andreuccio incontra nuovamente i due ladri, e accetta di partecipare al furto: i ladri chiedono ad Andreuccio di introdursi nel sepolcro, ma i ladri, vedendo arrivare delle persone, fra le quali anche un sacerdote, richiudono la bara con Andreuccio dentro e scappano. I nuovi arrivati, anch’essi interessati al gioiello, sollevano il coperchio e uno di loro si introduce nel sepolcro. Andreuccio a questo punto afferra per una gamba il prete, il quale terrorizzato scappa con gli altri, lasciando la tomba aperta. Il protagonista così se ne va soddisfatto di aver conquistato il bottino beffando i ladri, e torna a Perugia. L’intera storia è dominata dal caso, in questo caso positivo. - G3, N1: Masetto e le monache; Regina: Neifile (ingegno in amore) - Narratore: Filostrato Un monastero di Firenze era abitato da otto giovani monache, una badessa, un castaldo e il contadino Nuto che si prendeva cura del loro giardino. Esso, a causa del salario troppo basso e della malvagità con cui lo trattavano le giovani monache, decise di ritornare a Lamporecchio, il suo paese natale, dove si sfogò con un contadino giovane e di bell’aspetto, Masetto. A Masetto, udendo le parole di Nuto, venne voglia di stare tra quelle giovane monache; tuttavia, temeva che a causa della sua giovinezza e dell’aspetto appariscente non fosse ricevuto e decise così di fingersi sordomuto; la badessa e il castaldo lo accolsero nel monastero e gli permisero di occupare il posto di Nuto. Un giorno, dopo il lavoro pesante, Masetto si stava riposando nel giardino quando due monache lo raggiunsero e iniziarono a parlare di come sarebbe stato cedere ai piaceri della carne. Una di loro propose di sperimentarlo con Masetto, perché esse lo credevano sciocco e soprattutto muto, e questo fu quello che fecero entrambe. A lungo andare, tutte e otto le monache iniziano ad approfittare dei “servigi” di Masetto. Un giorno, mentre Masetto dormiva all’ombra sotto un mandorlo, la badessa passeggiava nel giardino e il vento alzò le vesti del contadino: fu così che anche la badessa iniziò a godere delle grazie del giovane. Masetto, oramai stanco, chiede alla badessa di essere liberato e, allo stupore di lei nel sentire la sua voce, dice di essere guarito proprio in quel momento. Le monache, per salvare il buon nome del convento, diffondono la voce che Masetto sia guarito grazie alle loro preghiere e lo nominano castaldo, dato che quest’ultimo era recentemente deceduto, distribuendo equamente tutte e nove le prestazioni dell’uomo. È quando la badessa muore che Masetto, vecchio, ricco e padre, può finalmente ritirarsi. - G3, N3: il frate ingenuo; Regina: Neifile (ingegno in amore) - Narratrice: Filomena Una bella e aristocratica donna è stata maritata ad un lanaiolo a cui, seppur molto ricco, non sentiva di meritare. La donna decide così di limitare i rapporti sessuali con lui a quelli necessari e di sfogarsi altrove: s’innamora così di un uomo valoroso. Tuttavia, l’uomo non si accorge dell’amore della donna e quest’ultima non cerca nemmeno di farglielo notare, temendo i pericoli a cui sarebbe andata incontro. Si accorge che l’uomo è amico di un frate grasso e sciocco, e pensa che esso possa fare da mediatore: va alla chiesa dove egli dimorava e disse al frate che una persona che lui conosce bene la stava perseguitando per avere dei favori sessuali da lei e che lei non potesse uscire di casa senza ritrovarselo davanti. Gli chiede di parlare con lui e pregargli di smettere, perché lei non quel tipo, e se nega di dirgli il suo nome per avvalorare la sua tesi. Il frate capisce subito di chi sta parlando e, quando questa se ne va, prende da parte l’uomo e gli chiede di smettere il corteggiamento; l’uomo si meraviglia e cerca di negare, così il frate rivela il nome della donna ed esso, essendo molto più scaltro del frate, capisce le reali motivazioni che avevano spinto la donna a fare quel gesto e di tutta fretta se ne va dalla chiesa e si presenta a casa della donna, facendole da lì in poi visita regolarmente. La donna decide di voler ancor di più dimostrare all’uomo l’amore che prova verso di lui, così ritorna dal frate e gli dice che le visite dell’uomo si sono moltiplicate e che lui ha fatto addirittura venire una serva con delle notizie su di lui e un regalo per lei: una cintura e una borsa. La donna l’ha mandata via malamente, ma poi (pensando che la serva avrebbe preso le cose per lei e detto all’uomo che lei le aveva accettate) accettò i regali solo per farli consegnare dal frate. Quest’ultimo promette alla donna di parlare con l’uomo che stavolta gli giura di non infastidirla più, prendendo borsa e cintura. In modo molto cauto porta entrambi alla donna; dopo non molto il marito deve andare a Genova e la donna ritorna dal frate dicendo che l’uomo, che aveva saputo che il marito se n’era andato, si è arrampicato su un albero e ha cercato di entrare dalla finestra della sua camera dove ella dorme completamente nuda, ma che lei lo ha mandato via. Il frate, iracondo, va a raccontare il fatto all’uomo che segue alla lettera i piani della donna. Passano così dei giorni soli, provando piacere, parlando male del mestiere del lanaiolo e ringraziando il frate per la sua sciocchezza. - G4, introduzione alla giornata: Novella delle papere; Narratore: Boccaccio A Firenze viveva un uomo di nome Filippo Calducci, di famiglia non nobile ma ricco. Costui aveva una donna che amava moltissimo, ma la moglie di Filippo passa a miglior vita, lasciandogli un figlioletto di circa due anni. Il marito non riesce a darsi pace per quella perdita e decide pertanto di abbandonare la vita mondana e di dedicarsi al servizio di Dio, insieme al figlioletto: perciò, devoluto ogni suo bene in beneficenza, se ne va a stare sul monte Asinaio, vicino a Firenze, in una piccola cella. Vive di elemosine, digiuni e orazioni, facendo accuratamente attenzione a non parlare al piccolo delle cose del mondo e a non fargliele vedere, per evitare che lo tentassero e lo distogliessero dal servire Dio, e di tanto in tanto Filippo va a Firenze per raccogliere offerte e donazioni. Dopo 10 anni, il ragazzo ormai diciottenne gli domanda dove andasse, quando si allontanava. Il padre glielo racconta e il giovane si offre di aiutarlo. Il sant’uomo, pensando che il figlio fosse ormai grande e talmente abituato a servire Dio che difficilmente le tentazioni mondane avrebbero potuto distrarlo, pensò di portarlo con sé. Giunti in città, il giovane rimane a bocca aperta vedendo i palazzi, le case, le chiese e tutte le altre cose di cui la città era piena. I due, a un certo punto, si imbattono in un gruppo di giovani donne, belle ed eleganti, che tornano da una festa di nozze. Non appena le vede, il giovanotto domanda cosa sono, al che il padre risponde che sono papere malvagie; il figlio è però confuso, perché si chiede come possano degli esseri così belli essere malvagi, e gli chiede di portare una papera con sé per nutrirla. Il padre si rende così conto di aver errato a portarlo a Firenze, poiché la natura è più forte, e le inclinazioni umane non possono essere fermate. Difesa dalle critiche: con questo racconto Boccaccio vuole dimostrare ai propri critici, i quali moralisticamente lo accusavano di parlare troppo d’amore e di donne, che le forze della natura vanno rispettate, non ignorate come costoro invece vorrebbero. Egli presenta il proprio racconto in forma non compiuta: e in effetti esso resta alla fine sospeso per quanto riguarda lo svolgimento dell’azione (che cosa farà il giovane? Che cosa il padre?). Ma il senso morale e la lezione che Boccaccio vuol trarne sono invece chiarissimi e ben definiti: le forze della natura, come amore, sensualità ed attrazione, non possono essere fermate. L’autore ha preferito lasciare la novella inconclusa per non porla in concorrenza con quella dei dieci novellatori e non superare il numero perfetto di cento (con questa, il totale salirebbe infatti a centouno). - G4, N1: Tancredi e Ghismonda; Re: Filostrato (amori infelici) - Narratrice: Fiammetta Tancredi è un buon sovrano, ma ha nei confronti di sua figlia un amore assoluto, al punto che aspetta a lungo prima di darla in sposa e, quando resta vedova dopo un anno, trovarle un nuovo marito. Soffrendo per l’isolamento cui il padre la costringe, Ghismunda decide di trovarsi un amante: si innamora di uno dei valletti del padre, di classe inferiore ma di animo nobile: Guiscardo. I due danno inizio a una storia d’amore intensa e segreta. Un giorno, però, Tancredi entra nella stanza della figlia, e, non trovandola, si addormenta dietro al baldacchino. Ma quando si sveglia, Ghismunda e Guiscardo sono insieme: per evitare scandali e imbarazzi, Tancredi decide di non rivelare la sua presenza. Il giorno dopo, però, fa arrestare Guiscardo e gli chiede il perché di un simile oltraggio, e Guiscardi risponde che nulla si può fare difronte all’amore. Tancredi comunica perciò a sia figlia - G8, N6: Calandrino e il maiale; Regina: Filomena (beffe) - Narratrice: Filomena Calandrino ogni anno alleva un maiale nel suo podere fuori Firenze per avere una scorta alimentare per l'intero anno. Solitamente ci va con sua moglie, ma un anno egli si ammala e va da solo. I suoi amici Bruno e Buffalmacco, venendo a conoscenza della situazione, convincono Calandrino a vendere il maiale e a fingere con sua moglie che fosse stato rubato, così da poter utilizzare il denaro come desidera; però si rifiuta. Così, insieme a un prete complice, fanno ubriacare Calandrino e gli rubano il maiale per metterlo nei guai con sua moglie. La mattina successiva, Calandrino scopre la scomparsa del maiale e esce di casa a lamentare il furto; i due, fingendo di non credergli, suggeriscono che Calandrino avesse venduto l'animale per tenersi il denaro. Poi i due amici lo convincono che per scoprire il ladro bisognava organizzare una cena per il paese e fare un incantesimo sul cibo, in modo che il colpevole non potesse mangiare senza essere riconosciuto: Bruno va in città con i soldi di Calandrino e ordina polpette "speciali", amarissime. Durante la cena, Bruno e Buffalmacco distribuiscono le polpette, dando a Calandrino quelle "speciali". Calandrino, sputando le polpette amare, si autoaccusa involontariamente del furto, e i due amici, fingendo di essere arrabbiati con lui, lo ricattano ottenendo due capponi in cambio del loro silenzio con sua moglie. - G9, N2: la badessa e le brache del prete; Regina: Emilia (tema libero) - Narratrice: Elissa In un Monastero lombardo la giovane suora Isabetta incontra un giovane di cui si innamora. Isabetta trova il modo di far entrare di nascosto il giovane nella propria cella, e per un po' questi incontri rimangono segreti, ma una notte sono scoperti dalle monache che, prese dalla gelosia, decidono di riferirlo alla badessa, madonna Usimbalda. Recatesi dalla badessa, le monache le gridano dall'esterno di alzarsi, vestirsi e seguirle poiché una suora stava violando le regole: ma la badessa si trova in compagnia di un uomo, un prete che giunge nelle sue stanze chiuso in un baule, e per evitare che le suore si accorgano di lui, senza accendere le luci la badessa si veste in fretta, ponendosi però per errore sul capo le brache del prete al posto del velo. Entrata nella cella degli amanti, Usimbalda comincia a rimproverare la giovane e a dirle che ha disonorato quel monastero e che sarebbe stata punita. Mentre la badessa continua a inveire su di lei, Isabetta, che fino ad ora ha tenuto il capo abbassato in segno di penitenza, lo solleva notando la strana cuffia della badessa; avendo capito, chiede a essa di allacciarsi gentilmente la cuffia e poi di continuare; la badessa, confusa, continua a sgridarla ma l'insistenza della ragazza è tale che alla fine anche le altre suore alzano lo sguardo. Usimbalda, accortasi del suo errore, cambia subito la sua predica e dichiara che ai piaceri della carne è impossibile resistere e che da lì in poi chiunque avesse voluto avrebbe potuto stare con un uomo. Così Isabetta e la badessa tornano ai loro amanti lasciando senza parole le altre suore. - G9, N5: Calandrino innamorato; Regina: Emilia (tema libero) - Narratore: Fiammetta Questa novella parla di un’altra delle burle giocate a Calandrino. Infatti, anche in questa storia, Bruno, Buffalmacco e Nello con l’aiuto di Filippo, figlio di un importante nobile di Firenze, e la sua fidanzata, la bella Niccolosa, si prendono gioco di Calandrino facendogli credere che la Niccolosa è innamorata di lui. I quattro pittori sono incaricati di affrescare il podere del padre di Filippo; l’idea della burla venne in mente a Bruno quando Calandrino va a chiedergli aiuto e consiglio dato che si era invaghito della Niccolosa quando l’aveva incontrata al pozzo: Bruno decide di parlare con i suoi amici, compresi la Niccolosa e Filippo, e decidono di far finta che la Niccolosa sia anche essa innamorata di lui. L’ingenuo pittore, perciò, approfitta sempre del lavoro che sta compiendo nel podere per vedere la Niccolosa, ma con il passare del tempo l’opera di pittura comincia a terminare e Calandrino teme di non rivederla più. Allora tormenta Bruno per avere un appuntamento con lei, fin che Bruno decide di dargli un foglio “magico” con cui avrebbe dovuto toccare la Niccolosa per convincerla ad uscire insieme a lui. Gli raccomanda inoltre di portarla in una casetta di paglia così che Filippo non se ne accorga. Mentre il povero Calandrino e La Niccolosa amoreggiano, Nello corre a chiamare la moglie dell’innamorato, Monna Tessa, per farle vedere suo marito che la tradisce. Ella si arrabbia talmente tanto che inizia a picchiarlo e a insultarlo pesantemente. Per fortuna dopo un po’ decide di perdonarlo, ma Calandrino è costretto ugualmente a scappare da Filippo, arrabbiato con lui per aver tentato di conquistare la sua fidanzata. - G10, N10: Griselda; Re: Panfilo (esempi di onestà e beneficenza) - Narratore: Dioneo Gualtieri marchese di Saluzzo non ha moglie o figli e viene spinto ad accasarsi dai suoi sudditi, preoccupati di restare senza governante. Quando la scelta ricade sulla bella popolana Griselda, tutti accettano di buon grado: è infatti capace, con la sua bontà d’animo e gentilezza, di conquistare rapidamente i suoi concittadini. Dopo non molto tempo nasce la loro prima figlia. Gualtieri decide di dare una grande festa, ma allo stesso tempo ha un’idea: testare la pazienza e la fedeltà della moglie. La prima prova cui sottopone Griselda consiste nel dirle che i sudditi non sono contenti della sua scelta: ritengono infatti che un uomo del suo lignaggio non dovrebbe accompagnarsi con una popolana, e disprezzano anche figlia. Griselda risponde al marito di fare ciò che ritiene essere la migliore soluzione per il suo trono e la sua immagine: così facendo dimostra la sua assenza di superbia e lo compiace. Tuttavia, il marchese non si ritiene soddisfatto; manda da Griselda un parente che le porta via la bambina, comunicandole che è volontà del re che sia messa a morte. Griselda accetta nuovamente il volere del marito, che affida la bambina a una parente di Bologna perché la cresca segretamente. Poco dopo Griselda resta nuovamente incinta e partorisce un maschio: Gualtieri è felice, ma decide di testare ancora la moglie, comunicandole la sua intenzione di ucciderlo; dopodiché lo manda a Bologna con la sorella. Passano tredici anni dalla nascita della figlia e a Gualtieri non è ancora soddisfatto; il marchese dice perciò a Griselda che il Papa gli ha concesso di sposare un’altra donna di lignaggio più alto, e le ordina di lasciare il palazzo. Griselda obbedisce al marito, restituendo i suoi beni e coprendosi con una camicia, tornando in lacrime dal padre. Dopo qualche tempo, Gualtieri diffonde la notizia del banchetto di nozze: si sposerà con una ragazzina, e a preparare la sala dovrà essere Griselda. Il giorno del banchetto Gualtieri chiede a Griselda di commentare la bellezza della sua futura moglie, e ancora una volta la donna accetta, affermando che è bellissima. A questo punto Gualtieri è soddisfatto della fedeltà della moglie: le rivela che la ragazzina in realtà è sua figlia, e che in sala c’è anche loro figlio. Da quel momento avrebbero vissuto tutti insieme in armonia. - Conclusione; Narratore: Boccaccio Alla fine della Decima giornata, Dioneo propone di ritornare in città per impedire che una prolungata convivenza provochi le critiche dei malevoli. Alla fine del soggiorno, fa un bilancio dei quattordici giorni qui passati, osservando che la vita della brigata non ha superato mai i limiti di decoro e di correttezza che i giovani si erano imposti e che anzi essa è stata sempre caratterizzata da onestà, concordia e fraternità. Così la mattina del quindicesimo giorno i novellatori ritornano a Firenze e si recano alla chiesa di Santa Maria Novella dove si erano incontrati; qui si accomiatano gli uni dagli altri. Difesa dalle critiche: Boccaccio si rivolge di nuovo alle donne e conclude l’autodifesa cominciata nella Introduzione alla Quarta giornata. Prima di tutto l’autore si difende dall’accusa di aver descritto situazioni poco convenienti: l’autore fa appello alle esigenze del realismo; il linguaggio a doppio senso, per indicare situazioni sessuali, è di uso corrente nella vita quotidiana. Per quanto riguarda le obiezioni morali, il poeta dice che anche le Sacre Scritture, se lette in modo perverso, possono indurre al peccato. Inoltre, si deve tener conto che a raccontare le novelle sono dieci giovani cittadini ritiratisi nel contado, in una situazione di evasione dai compiti di ogni giorno, e per di più in un momento straordinario. Se poi qualcuno si fa scrupolo a leggere novelle che reputa poco convenienti, faccia attenzione alle rubriche iniziali e scelga solo quelle di argomento non erotico. D’altra parte, l’autore protesta ironicamente di essersi limitato alla trascrizione, e che colpe e meriti spettano in realtà ai novellatori. Un’ultima attenzione è proposta riguardo la lunghezza eccessiva di alcune novelle rimproverata da alcuni critici. L’autore ribatte ironicamente che le novelle lunghe sono destinate alle donne “oziose” che possono dedicare tranquillamente molto tempo alla lettura, mentre gli uomini di studio, che hanno poco tempo da perdere, possono limitarsi a quelle brevi. APPROFONDIMENTO  CONTESTO STORICO la Peste del 1346-1353: la peste nera fu una pandemia generatasi in Asia centrale settentrionale durante gli anni trenta del XIV secolo e diffusasi in Europa a partire dal 1346, dando origine alla cosiddetta seconda pandemia di peste. Nonostante il nome, non è certo che la malattia scatenante sia stata effettivamente la peste, anche se la quasi unanimità degli studiosi concorda che possa esserlo stato, identificando la peste nera come un'infezione di peste diffusa dal batterio Yersinia pestis, che si trasmette generalmente dai ratti agli uomini per mezzo delle pulci. Il batterio è stato isolato nel 1894 e da allora la peste è curabile, ma se non trattata adeguatamente, e nel XIV secolo non era conosciuto alcun modo per farlo, la malattia risulta letale dal 50% alla quasi totalità dei casi a seconda della forma con cui si manifesta: bubbonica, setticemica o polmonare. Oltre alle devastanti conseguenze demografiche, la peste nera ebbe un forte impatto nella società del tempo. La popolazione in cerca di spiegazioni e rimedi arrivò talvolta a ritenere responsabili del contagio gli ebrei, dando luogo a persecuzioni e uccisioni; molti attribuirono l'epidemia alla volontà di Dio e di conseguenza nacquero diversi movimenti religiosi, tra cui uno dei più celebri fu quello dei flagellanti. la Peste secondo Boccaccio: l’evento storico fu molto importante per Boccaccio, tanto che lo utilizzò come Cornice per far ruotare il Decameron attorno alla vicenda. Proprio nell’Introduzione alla 1° Giornata, Boccaccio descrive la peste e i suoi effetti, sia a livello fisico e sia nell’ambito delle relazioni; la descrizione era così storicamente attendibile da essere oggetto di studio per alcuni studiosi. L’autore include anche le sue motivazioni di tale tragedia: la peste era da lui vista come un castigo divino, ma soprattutto il prezzo per una necessaria rinascita della società e dei suoi valori, andati persi col passare del tempo.  la NOVELLA Origini: le origini non sono esattamente conosciute. È probabile che tale genere abbia preso ispirazione da altri generi come, per esempio: il novellino, una raccolta di novelle toscane, risalente all'incirca all'ultimo ventennio del Duecento; l’ exempla, un genere letterario diffuso nel Medioevo; il favolello, un breve racconto in versi dalla trama semplice e divertente, sviluppatosi in epoca medievale in Francia; e generi come favola e barabola. Il genere è presente nelle letterature orientali, avendo delle tracce tra Sumeri e Babilonesi, oppure nei più celebri Pañcatantra e La mille e una notte. In India nasce anche la struttura delle novelle precedute da una cornice narrativa, struttura che poi avrà diffusione anche in Occidente con il Decameron, che porterà in auge il genere in Europa. Diffusione della Novella: la novella è, come il racconto, un componimento letterario in prosa di carattere narrativo, più breve e meno complesso del romanzo e generalmente dedicato a una sola vicenda. Come genere si diffuse in Italia a partire dal 1349 con il Decameron di Boccaccio, ma ha origini antiche difficilmente identificabili e si è evoluto nel corso dei secoli in funzione delle diverse culture e società; in tempi moderni è stato sostituito dal racconto. Romanzo e Novella: il romanzo viene associato alla novella poiché si avvale anch’esso di una cornice, e perché entrambi i generi sono accomunati dall’attenzione alla realtà quotidiana. Vi sono però delle differenze tra i due generi: La novella è un racconto breve, il romanzo è una narrazione più ampia e complessa. La novella è costituita da una materia piuttosto semplice, mentre il romanzo è molto più articolato. Questo perché sono diversi l’obbiettivo dell’autore, la costruzione e il ritmo. Per lo sviluppo dell’azione la novella punta sulla brevità e sulla sorpresa, al contrario del romanzo che utilizza il rallentamento e la concatenazione.  il PRE-UMANESIMO Il Trecento fu il termine della cultura gotica medievale e l’alba di un nuovo pensiero più affine alla realtà dell’esistenza umana: il pre-umanesimo. Sul finire del secolo alla spiritualità del Medioevo si affiancarono (più che altro si contrapposero) nuovi valori laici ed una visione più terrena della vita. L’uomo fu alla ricerca di ideali e riferimenti culturali e riscoprì i classici dei grandi autori greci e latini. Nella complessa fase di transizione trecentesca, due furono gli autori che meglio di altri testimoniarono le condizioni culturali, politiche e sociali del tempo: Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio. Entrambi rappresentano un periodo fondamentale della letteratura italiana, nel quale le antiche concezioni medievali mutarono via via verso il nuovo pensiero umanistico. Proprio Boccaccio, con il suo Decameron, rimetterà al centro l’uomo, a differenza della vecchia tradizione letteraria (come con Dante, nel quale invece aveva molta più rilevanza Dio).
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