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Giovanni Boccaccio e Decameron, Dispense di Italiano

La biografia di Giovanni Boccaccio, dalla sua nascita nel 1313 fino alla morte nel 1375. Si parla del suo soggiorno a Napoli, della sua passione per la letteratura, della sua amicizia con Petrarca e delle sue opere più importanti. Inoltre, viene introdotta la prima giornata del Decameron, che ha come tema la peste che colpì l'Europa nel 1347.

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 03/09/2022

Virginia_Bernini
Virginia_Bernini 🇮🇹

4.5

(4)

55 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Giovanni Boccaccio e Decameron e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! GIOVANNI BOCCACCIO BIOGRAFIA Giovanni Boccaccio nacque nel 1313 non si sa se a Certaldo, luogo d’origine della sua famiglia, o a Firenze, figlio illegittimo di Boccaccino (nato quindi da una relazione che il padre ha avuto al di fuori del suo matrimonio). Suo padre lavorava presso la banca fiorentina dei Bardi, e tentava di indirizzare il figlio verso la sua stessa strada; quindi dopo un’infanzia passata a Firenze, Boccaccio fu portato a Napoli nel 1327 dal padre. Qui la banca era a stretto contatto con la corte angioina e ne amministrava gli affari, quindi Boccaccio crebbe in un ambiente lussuoso, ricco e raffinato, infatti ricorderà di questi anni come i migliori. Fu molto importante il suo soggiorno a Napoli non solo per lo stile di vita che aveva, ma anche per il fatto che ebbe l’opportunità di osservare la cultura, i costumi tipici, le abitudini delle persone in quel luogo che gli serviranno in seguito per la stesura del Decameron. Boccaccio infatti decise di avvicinarsi alla letteratura da autodidatta, proprio perché il padre voleva che divenisse un banchiere come lui, e mostra un grandissimo interesse per i classici antichi, ovvero quelli latini e quelli greci. In più, decide di avvicinarsi anche ai classici nuovi, quelli degli stilnovisti, ma soprattutto a Dante e Petrarca (chiamato anche APOLIDE perché viaggiava molto), il quale diventerà suo grande amico in seguito. Successe poi che nel 1340 la banca dei Bardi cadde in un periodo di crisi, e Boccaccio fu costretto, a malincuore, a tornare a Firenze con suo padre. Non ha però un luogo stabile dove andare e si reca presso diversi signori che lo ospitano. Dopo questa sventura, nel 1348 Boccaccio vive la peste di Firenze, che porta via suo padre, e che inserirà all’interno di alcune novelle del Decameron, quando due anni prima nel 1346 aveva sperimentato anche la carestia. Negli ultimi anni stringe amicizia con Petrarca, amicizia basata su scambi di lettere, dialoghi, incontri presto prestigiati salotti, dove il fulcro di questi erano i classici. Grazie all’influenza di Petrarca, Boccaccio decide di dedicare le sue opere di letteratura solenne ad un pubblico ristretto, la quale serviva per piacere alle persone e per farle distrarre da quella che era la situazione attuale, aveva quindi un fine EDONISTICO. Diventa chierico, come l’amico Petrarca, e nel 1360 è autorizzato a curare le anime. Decide di fare questo passo così radicale in seguito ad una delusione politica che lo portò a ritirarsi a Certaldo: nello specifico alcuni suoi amici furono implicati in una congiura e lui fu messo in cattiva luce da questo evento, e fu allontanato da ogni incarico pubblico. Solo nel 1365 potrà nuovamente avere degli incarichi pubblici. Infatti fa della sua casa un centro d’incontro dei primi Umanisti di Firenze, e in seguito terrà degli incontri all’aperto dove legge pubblicamente la Commedia di Dante, e in un suo trattato la definisce Divina. Giovanni Boccaccio muore il 21 dicembre 1375. OPERE DA RICORDARE La “CACCIA DI DIANA” prima del 1334 Alla base di quest’opera scritta in terzine, c’è il classico tema dell’amor cortese, secondo il quale l’amore rendeva l’uomo gentile e lo elevava, facendolo arrivare ad un livello superiore rispetto agli altri uomini. Si narra la storia di alcune seguaci di Diana, dea della caccia, che decidono di non stare più ai suoi ordini, infatti offrono le sue prede alla dea Venere che trasforma loro in bellissimi uomini. Molto probabilmente le ninfe di Diana sono le dame che Boccaccio ha avuto occasione di incontrare a Napoli. Il “FILOSTRATO” 1335-1338 La parola FILOSTRATO, dal greco, vuol dire letteralmente “vinto d’amore”, e Boccaccio lo sceglie appositamente per dedicare l’opera alla sua amata. Con quasi assoluta certezza possiamo affermare che Boccaccio si riferisse agli amori di Napoli. Per quanto riguarda la metrica possiamo dire che questo poemetto è scritto in endecasillabi organizzati in ottave, mentre per gli argomenti trattati si rifà molto ai testi medievali scritti in lingua d’oil. La trama parla di personaggio del mito omerico rivisitati con costumi e psicologie cavallereschi. Il “FILOLOCO” 1336 Il Filoloco è una lunga opera scritta in una prosa complessa e molto elaborata. Boccaccio segue lo schema del romanzo greco-alessandrino con moltissime peripezie, intrighi tra personaggi, storie d’amore, agnizioni con profonde analisi del sentimento d’amore. Tutte queste caratteristiche saranno alla base della sua opera più nota, il DECAMERON. “L’ELEGIA DI MADONNA FIAMETTA” 1343-1344 Anche quest’opera è scritta in prosa e la grande innovazione che presenta riguarda il punto di vista dal quale è narrato. Il narratore è infatti una donna, Fiammetta, abbandonata dall’uomo che ama ma dal quale è stata dimenticata. La donna non si dà pace, si tormenta giorno e notte al pensiero di quei momenti felici che hanno passato insieme. Il problema più grande era che aveva un marito, al quale era quasi impossibile mostrargli il perché della sua infelicità. L’uomo decide quindi di portarla a Napoli, per farla star meglio, ma è proprio questo il luogo in cui ha vissuto i momenti migliori con il suo vero amore. Boccaccio, implicitamente, sta parlando di sé e del suo periodo di vita passato a Napoli, infatti l’idea di quest’opera è stata concepita proprio lì, ma venne scritta a Firenze. Un’altra innovazione che presenta è il modo in cui viene vista la donna: nello Stil Novo queste era l’oggetto di desiderio remoto e impossibile da raggiungere dell’uomo, qui invece è il soggetto della narrazione, capace di amare e soffrire per amore. Un antecedente di questa visione può essere ritrovato in Francesca del V canto dell’Inferno, che però viene condannata da Dante soltanto per aver seguito il suo vero amore. INTRODUZIONE ALLA PRIMA GIORNATA <La peste> La peste, che si abbatté sull’Europa intorno al 1347 e nello specifico a Firenze nel 1348, fa da sfondo a quella che è tutta la narrazione del Decameron, infatti nell’introduzione alla prima giornata, Boccaccio parla proprio di questa. Parte innanzitutto descrivendola e dicendo quali sono i sintomi e gli effetti che aveva sugli uomini: si instaura nel nostro corpo con gonfiori all’altezza dell’inguine e delle ascelle, che poi si diramano in tutto il corpo. Di seguito questi gonfiori diventavano lividi molto scuri e doloranti che si spargevano anch’essi per tutto il corpo e chiunque se li vedeva comparire, aveva già segnato il destino, in quanto pochissime persone riuscivano a sopravvivere a questo morbo, se non nessuna. Ma la forza di questa malattia era di riuscir a passare dal corpo dei malati a quello delle persone che li aiutavano, riducendo anche queste a corpi morenti. Non solo era letale la comunicazione o un contato ravvicinato con il malato, ma anche il fatto di toccare i vestiti di questa persona o le cose con cui era stato a contatto. Proprio per questo si creò un fortissimo distacco tra malati e sani: i primi erano isolati nelle loro case o in altri luoghi, i secondi, dalla tremenda paura di contrarre la malattia, se ne andavano il più lontano possibile, lasciando soli quelli che potevano essere i loro parenti, nipoti, figli e mariti. Prima della peste infatti, le donne, in ricorrenza di un funerale, consolavano la donna più vicina al defunto (la moglie ad esempio), ma nel 1348 e negli anni a seguire, quest’usanza cambiò e i cortei funebri erano ora composti da sole 10-12 persone, per lo più chierici e becchini. Le persone erano lasciate morire per strada, o era questo il luogo dove si “gettavano” i corpi dei defunti o i loro vestiti. Gli animali, soprattutto i maiali, che erano lasciati liberi, non solo nei campi non coltivati ma anche per le strade, si ritrovavano, per loro abitudine, a mettere il muso in questi oggetti e anche loro nel giro di pochi giorni morivano. Quello che facevano i cittadini era o rimanere in città, ma questa era una scelta fatta da pochi, o scappare: chi scappava andava a rifugiarsi in campagne lontane da Firenze nelle quali cercavano di non parlare di questi avvenimenti e di far finta che non esistessero, altri si davano al bere, cercando di vivere la vita al meglio, visto che la morte poteva arrivare da un giorno all’altro. NOVELLA N°5 – SECONDA GIORNATA “Andreuccio Da Perugia” A Perugia abitava un uomo di nome Andreuccio di Pietro, molto ricco, che per sua sfortuna, non aveva mai avuto l’occasione di uscire dalla sua città. Un giorno decise di mettere fine a questa abitudine e si recò a Napoli per comprare dei cavalli. Quella mattina non riuscì ad acquistare niente, nonostante avesse mostrato ripetute volte ai venditori la sua borsa piena di soldi. Questo fatto non sfuggì agli occhi di una bellissima giovane siciliana, accompagnata da una signora anziana, che avrebbe fatto di tutto per cambiare il proprietario di quella grande somma di denaro. Non appena le due donne passarono accanto ad Andreuccio, l’anziana tornò verso di lui abbracciandolo, e iniziando una conversazione molto amichevole, al che la ragazza capì che i due si dovevano conoscere molto bene. Decise di approfittarne per estorcere alla signora tutte le informazioni anche le più intime che aveva sul ricco giovane, in modo tale da avere tutti gli strumenti per creare un piano molto malizioso. Visto che la signora nel pomeriggio avrebbe dovuto recarsi all’albergo di Andreuccio, Fiordaliso, la ragazza, la riempì di cose da fare, per impedirle di andare, e al contrario incaricò una sua servetta perché andasse a chiamare Andreuccio e lo conducesse a casa sua, che aveva intenzione di ornare con fiori d’arancio e tende eleganti; che si contrapponevano in maniera spropositata al quartiere in cui abitava, che si chiamava “Malpertugio”. Andreuccio quindi arrivò in questa casa e prima ancora di essere annunciato, Fiordaliso gli saltò al collo abbracciandolo, come si fa con una persona che non si vede da molto tempo. Inizia quindi a spiegare il motivo della sua euforia, dicendo che era sua sorella. Ovviamente, per rendere più credibile questa storiella, iniziò a riportare in maniera fedelissima tutto quello che la signora anziana le aveva raccontato sul suo conto. Si inventò che lei era figlia di una relazione fuori dal matrimonio tra suo padre e una donna rispettabilissima, e che quest’uomo, dovendo tornare a Perugia dopo il soggiorno a Palermo, abbandonò l’amante e la figlia. Così crescendo, fu data in sposa a Carlo d’Angiò, ma poiché questa cosa non era ben vista dal Re Federico d’Aragona, i due furono costretti a separarsi. Al che, Andreuccio, credendo ad ogni parola che la donna pronunciava in maniera ferma e sicura, decise di perdersi in chiacchiere con lei, andando a parlare anche nei minimi particolari della sua famiglia. Fattasi ora di cena, Andreuccio era in procinto di dileguarsi per tornare all’albergo, quando Fiordaliso lo fermo e lo invitò a restare per cena. Dopo molto vino, pasticcini e pietanze varie, Andreuccio era deciso a tornare a casa per dormire, ma anche questa volta, la “sorella” lo convinse a restare, fingendo di mandare una sua serva ad avvertire l’albergo che non sarebbe tornato. Pronto quindi per andare a dormire, e toltosi i vestiti, tra i quali vi era anche la borsa con i soldi, sentì il bisogno di andare in bagno. Uscito quindi al di fuori, cadde su un’asse rotta e si ritrovò inzuppato in tutto quello che la latrina conteneva. Ovviamente Fiordaliso, avvertita dal ragazzino che assisteva Andreuccio, corse in camera dell’uomo e, una volta preso l’oggetto del desiderio, chiuse fuori dalla porta il pover’uomo. Questo, disperato e cosciente di essere stato fregato, iniziò ad urlare per farsi aprire la porta, ma nessuno si degnò di aiutarlo, anzi i vicini credevano che fosse un delinquente intento a disturbare una brava donna. Deluso e arrabbiato iniziò a girovagare senza meta. Ad un certo punto in lontananza vide due uomini con una lanterna, e per paura di essere visto, si nascose in un casolare lì vicino. Per sua sfortuna, anch’essi entrarono lì dentro, e una volta posati gli arnesi che trasportavano, iniziarono a sentire un cattivissimo odore regnare nella stanza. Alzarono la lanterna e scovarono Andreuccio. Lui raccontò loro tutte le peripezie che aveva vissuto, ponendo particolare attenzione sul furto dei soldi. I due uomini allora, che erano tutto tranne che brave persone, gli proposero di unirsi a loro in un progetto che avevano in mente, in quale gli avrebbe fruttato molti più soldi di quelli che aveva perso. Andreuccio disperato accettò, ma prima andò ad un pozzo con i due uomini per lavarsi. Una volta sceso dentro e pronto a risalire, i due uomini avvistarono due poliziotti, quindi impauriti scapparono, lasciando Andreuccio dentro il pozzo. I poliziotti, recatisi al pozzo per lo stesso motivo, tirando su la corda e vedendo Andreuccio, si spaventarono e scapparono; per fortuna Andreuccio era riuscito ad uscire, altrimenti sarebbe caduto dentro. Superata anche questa, i tre ragazzi si recarono alla chiesa maggiore per andare a profanare la tomba dell’arcivescovo di Napoli. Aperta l’arca con un piede di porco, entrò in gioco il dilemma su chi dovesse scendervi dentro, e ovviamente toccò ad Andreuccio. Scaltro e adesso furbo, decise di prendersi la sua parte di ricchezza e dare il resto agli altri due, prima che questi lo traessero in inganno. Sfortunatamente i due erano più scaltri di lui, e lo chiusero dentro l’arca. Andreuccio stava per disperarsi per l’ennesima volta quando sentì in lontananza delle voci avvicinarsi alla bara, e capendo che avevano le stesse intenzioni sue e dei suoi compagni, decise di nascondersi dentro la bara per spaventare chiunque fosse entrato dentro. Così fece e il suo tranello andò a buon fine, infatti i componenti di quel gruppetto, tra i quali vi era anche un prete, lasciarono il coperchio alzato e lui poté finalmente uscire. Tornò all’albergo dai suoi compagni che l’avevano aspettato tutta la notte, con un anello di rubino in mano che avrebbe subito venduto non appena fosse andato via da Napoli, come gli aveva consigliato l’oste. Il padre era colpito dalle pesanti parole della figlia e ne riconobbe la forte determinazione, ma non credeva che avrebbe realmente compiuto un atto così tragico come prometteva. Quindi, uscito dalla stanza, incaricò due suoi soldati di andare ad uccidere Guiscardo strangolandolo e di prendere il suo cuore e consegnarglielo. La figlia nel frattempo, poiché prevedeva che suo padre avrebbe ucciso l’amore più grande della sua vita, si preparò a quello che sarebbe stato il suo destino, e creò una miscela di erbe velenosa. Il padre poi ricevette il cuore e incaricò un altro suo uomo fidato di consegnarlo alla figlia in una coppa d’oro. La figlia appena lo ricevette, ascoltate le parole del messaggero, capì che era il cuore di Guiscardo e non poté fare a meno di piangere, ma era un pianto composto e non disperato come era tipico delle donne. Il quel momento cercava di far tornare alla mente tutti i bei ricordi passati con il possessore di quel cuore che aveva tra le mani, che ora era più pieno delle sue lacrime che dell’anima di Guiscardo. Era dunque arrivato il momento che il suo cuore avesse lo stesso battito del suo amante, bevve quindi la pozione e si sdraiò sul letto, accostando accanto a lei quella che ora era la sede d’oro della sua anima gemella. Le ancelle che avevano seguito la scena, ignare di quello che aveva bevuto la ragazza, andarono subito a chiamare il padre, il quale arrivo proprio mentre lei si stava sistemando sul letto. Iniziò a piangere, ma sua figlia lo fermò dicendo che non le voleva quelle lacrime. L’unica cosa che avrebbe potuto fare, se gli restava ancora un po’ di amore per la figlia, era quella di seppellire i loro due corpi insieme, ed esalato l’ultimo respiro strinse a sé la coppa d’oro. Il padre, si rese conto solo in quel momento dell’atto crudele che aveva compiuto, ma ormai era troppo tardi; rispettò comunque l’ultimo desiderio della figlia facendo restare uniti i due corpi per l’eternità. COMMENTO NOVELLA N°5 QUARTA GIORNATA “Lisabetta e il vaso di basilico” Questa novella, facendo parte della quarta giornata, mira a raccontare una delle dieci storie riguardanti le storie d’amore tragiche e senza lieto fine. Purtroppo, oltre alla mancata conclusione allegra, questa affronta anche la tematica dell’assente considerazione delle donne da parte addirittura delle persone più vicine come i familiari. Non solo viene loro attribuita la caratteristica del pianto, infatti ripetute volte abbiamo letto frasi del tipo “piange come era solito delle ragazze”, ma addirittura non vengono ascoltate, non viene data loro l’opportunità di esprimersi, di esternare dolori ed emozioni, talvolta anche piacevoli. Ma la cosa ancora più grave è che gli uomini non fanno una cosa fondamentale; non guardano quelle due sfere dai cangianti colori che parlano più di quello che fanno le parole. In questa novella abbiamo l’esempio perfetto, con Lisabetta che deve trovare conforto nelle sue stesse lacrime visto che non riesce a trovarlo nei fratelli, che anzi sono stati la causa del suo dolore. La parte più significativa della novella secondo me è stata quella in cui i vicini, dall’osservare continuo e anche indiscreto Lisabetta, si sono accorti che c’era in lei qualcosa che non andava. Hanno visto in lei spegnersi quella luce che la caratterizzava, la sua bellezza era volata via dal suo volto e i suoi occhi non brillavano più come una volta. Questo mi fa capire che a volte, anche le persone più vicine a noi, sono più lontane di quanto lo siano i vicini del balcone accanto al nostro. NOVELLA N°1 – TERZA GIORNATA “Le corna di Cristo” Il tema di questa giornata sarà l’industria, ovvero si parlerà di cose molto desiderate che vengono ottenute con grande impegno, oppure di cose che erano date per perse e che invece vengono ritrovate. Proprio molto attinente al primo punto, troviamo la prima storia di questa giornata, dove le protagoniste sono delle donne, nello specifico delle monache di un convento e una badessa. Queste ricorrono ai più maliziosi e ingegnosi stratagemmi per poter ottenere quello che vogliono. Lavorava presso questo convento un signore anziano di nome Nuto, che si occupava nello specifico della cura dell’orto. Dopo molto tempo trascorso lì, oltre alla fatica procuratagli dal lavoro che svolgeva, vi si aggiungevano anche gli ordini e le osservazioni delle monache su quello che doveva fare. Stanco di questa situazione, decise di tornare a casa, a Lamporecchio, dove tra le persone che lo accolsero c’era anche un giovane di nome Masetto. Una volta che Nuto gli raccontò tutta la storia, al ragazzo venne subito in mente l’idea di andare a prendere il posto dell’anziano, dal momento che era in grado di svolgere tutti quei lavori, ma per evitare che Nuto si mettesse in mezzo, ha fatto finta di nulla e continuava a parlare con il vecchio. Gli sorsero però molti dubbi; sicuramente non l’avrebbero assunto perché era troppo giovane, quindi dopo diverse riflessioni, gli venne in mente l’idea di fingersi sordomuto, così l’avrebbero accolto senza ombra di dubbio. Così fece finta di essere un barbone e arrivò per caso al convento, chiedendo qualcosa da mangiare, ovviamente sempre e solo gesticolando. Il fattore, prima persone che incontrò, lo accolse e non solo gli diede del pane, ma lo mise a fare anche qualche lavoretto urgente. Così questo parlò con la badessa e le suggerì di assumerlo. Più passavano i giorni e più le monache, credendo davvero che non potesse sentire, facevano battute, commenti provocatori, complimenti sulla sua bellezza…finché un giorno ad una delle monache non venne la bella idea di rompere il voto di castità, e di portare con lei anche un’altra monaca, sua amica, inizialmente titubante, ma che non dovette essere pregata più di tanto perché accettasse. Ovviamente doveva avvenire tutto di notte all’insaputa delle altre compagne e soprattutto della badessa; così una sera verso le tre del mattino, accertate che tutti dormissero, si introdussero nella tenda di Masetto, e dopo averlo svegliato, lo pregarono, a gesti, di soddisfare i loro desideri, prima una e poi l’altra. E così passo la prima notte, poi ne passò un’altra, e un’altra ancora, finché alla due monache non se ne aggiunsero altre. La badessa nel frattempo era all’oscuro di tutto. Solo che un giorno sembrò essere colpita dallo stesso desiderio, ovvero quando lo stremato contadino, dopo una notte senza tregua, si era messo a riposare sotto ‘ombra di un albero senza vestiti, coperto solo da un telo, che con il minimo spirare del vento, si sollevò. La monaca quindi, dopo aver assistito allo spettacolo, lo svegliò e lo condusse nella propria stanza per fare quello che avevano fatto tutte le altre monache del convento. Ad un certo punto però, Masetto, davvero stanco fisicamente, parlò, e disse che non ce la faceva a “servire” addirittura nove donne. La badessa, messo da parte il fatto che non era l’unica ad aver rotto il voto di castità, si meravigliò per come l’uomo avesse ripreso la parola. Masetto, non si fece vedere tentennante e disse subito che non era sempre stato sordomuto, lo divenne in seguito ad un incidente e che ora quasi magicamente aveva riacquisito tutto quello che aveva perso. Arrivò il momento della spiegazione della frase “devo servirne addirittura nove”, e alle parole del contadino la badessa rimase sconvolta, e pensò subito a qualcosa per non far screditare il convento nel caso la voce si fosse sparsa. Così, dopo la morte del fattore, Masetto fu eletto al posto suo, grazie alla storiella sulle preghiere che gli hanno fatto tornare la parola e l’udito, e tutto sembrò tacere. Inoltre, da tutti quegli incontri notturni e non con le monache, nacquero anche tanti “fraticelli”, di cui però il padre non se ne doveva occupare. Masetto tornò quindi a Lamporecchio divertito e senza un grammo di responsabilità sulle spalle.
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