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Giovanni Boccaccio e il Decameron, Appunti di Letteratura Italiana

La figura di Giovanni Boccaccio e la sua produzione letteraria, con particolare attenzione al Decameron. Si analizza il contesto storico-culturale del Trecento, l'età aurea della letteratura italiana, e si evidenziano le influenze di Dante e Petrarca sulla produzione di Boccaccio. Si descrivono le opere giovanili e senili dell'autore, con particolare attenzione alla posizione filogina e misogina. Si analizza la sua capacità di mediazione fra culture diverse e tensioni sperimentali diverse, muovendosi dall’esempio di Dante e guidato da Petrarca porta alla nascita del Decameron.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 22/01/2024

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Anteprima parziale del testo

Scarica Giovanni Boccaccio e il Decameron e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! GIOVANNI BOCCACCIO E IL DECAMERON Il Trecento è considerato come un’età aurea inaugurata con una sequenza di capolavori della letteratura: Dante e il Stilnovismo, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, quindi le Tre Corone. E sono questi capolavori che fondano tradizioni letterarie durative nella letteratura italiana: l’uso del volgare (Commedia di Dante), l’autobiografia (Canzoniere e Secretum di Petrarca), la novella (Decameron). Si chiama età aurea perché crea una nuova era e una nuova cultura che diventerà una cultura moderna che si diffonderà in Italia e poi in Europa. Si crea quindi una tradizione di lunga durata che influenzerà l’intera cultura europea. Firenze è la protagonista di questa nuova cultura. Dante con la sua storia di poeta inaugura questa stagione grazie allo sperimentalismo: lui ha osato e ha avuto coraggio per la sua azione letteraria e politica, è un esempio di scrittura militante. Giovanni Boccaccio nasce nel 1313 a Certaldo da Boccaccino di Chelino e madre ignota. Tra il 1327 e il 1340 soggiorna a Napoli a causa del lavoro del padre, facente parte della banca dei Bardi, ed è costretto a seguire corsi sul mestiere di mercante e studi giuridici. A Napoli frequenta la corte di Roberto d’Angiò. A causa della bancarotta dei Bardi, rientra a Firenze nel 1340. Tra il 1345 e il 1348 si reca prima a Ravenna presso Ostasio da Polenta e poi a Forlì presso la corte di Francesco Ordelaffi. Nel 1348 rientra a Firenze e scoppia la peste nera che gli porta via il padre e diversi amici. L’anno decisivo per la formazione di Boccaccio, dato che proprio quest’anno incontra Petrarca che sarà fondamentale per la stesura delle sue opere, è il 1350. Nel 1360, a seguito di una crisi spirituale, Boccaccio prende i voti, il che provoca un mutamento interiore nei suoi interessi eruditi. Il 21 dicembre 1375 muore a Certaldo. La produzione di Boccaccio si può dividere tra opere giovanili e opere senili. opere giovanili - scritte in volgare, una scelta innovativa e quasi necessaria, che si ispirano al mondo e al codice letterario cortese - opere contrassegnate da una posizione filogina, di straordinario interesse, amore, passione verso il genere femminile, che dura a lungo e caratterizza anche il Decameron opere senili - scritte in latino - caratterizzate da una posizione misogina, di opposizione al genere femminile, una posizione più letteraria che letterale, ma allo stesso tempo è dominata da filoginia → Corbaccio (1365, opera satirica in cui lo scrittore dichiara il suo odio verso le donne, immaginandosi che il defunto marito della donna di cui è innamorato gli appaia in sogno per metterlo in guardia contro la malvagia natura femminile e contro i rischi mortali cui questo amore folle lo espone soprattutto essendo lui prossimo alla vecchiaia e dedito agli studi, vedi il richiamo della Circe odisseiana che trasforma l’uomo in animale) → De mulieribus claris, in cui racconta di donne illustri degne di essere celebrate → codice Hamilton 90, in cui introduce la riscrittura del Decameron Boccaccio era innamorata della Laura petrarchesca e infatti amava narrare la vita di altri, come il Trattatello in laude di Dante. La passione per i classici accomuna Petrarca e Boccaccio che però si differenziano riguardo la scelta tra volgare e latino. Nel Trecento si tendeva a differenziare tra letteratura alta quindi in latino e letteratura bassa quindi in volgare. Lo sperimentalismo di Boccaccio sana questa differenziazione mettendole sullo stesso piano. Petrarca invece continuava sulla sua strada dell’uso del latino. Francesco Bruni la chiama ʻletteratura mezzana’ perché nel cuore del Trecento Boccaccio idea un nuovo tipo di letteratura per un nuovo tipo di pubblico, più ampio e soprattutto composto non solo da uomini ma pure dalle donne. Queste spinte di sperimentalismo vengono da occasioni autobiografiche: la formazione scolastica fiorentina e il trasferimento a Napoli. Boccaccio incarna perfettamente la capacità di mediazione fra culture diverse e tensioni sperimentali diverse, muovendosi dall’esempio di Dante e guidato da Petrarca porta alla nascita del Decameron. Secondo Alfano si può considerare Boccaccio come bifronte, dato che è sospeso tra due culture e due città, che sono state decisive per la sua formazione e il suo destino intellettuale di scrittore. cultura fiorentina - presenza fortissima di Dante - scelta dell’uso del volgare - maggiore peso alla componente allegorica, morale e dottrinale; la sperimentazione del prosimetro; la tendenza a un più spiccato realismo descrittivo e psicologico, che porta con sé anche quella a una lingua e a uno stile meno frondosi, latineggianti e barocchi opere: Elegia di Madonna Fiammetta (1343-44, primo romanzo epistolare, ha una donna come eroina), Commedia delle ninfe fiorentine o Ninfale d’Ameto (1341-42, prosimetro allegorico-pastorale in cui si alternano prosa e brani, elevazione all’amore spirituale di un rozzo pastore da parte di sette ninfe, il pastore che rappresenta la selvatichezza poi diventa un uomo consapevole), Amorosa visione (1342-43, poema in terzine in cinquanta canti, si trovano due porte: Larga = piaceri terreni e stretta = felicità eterna), Ninfale fiesolano (1344-46, poemetto mitologico-eziologico in cui narra le origini di Fiesole e Firenze) cultura napoletana (corte di Roberto d’Angiò) - lo porta a ribellarsi in famiglia contro gli studi giuridici per mostrare la passione per le rime - entra in contatto con la letteratura cortese che stimola la vena del narratore - incontra i dotti angioni (come Barbato da Sulmona e Barlaam) - si muove nell’ambito di una letteratura filogina, di argomento quasi esclusivamente amoroso, volta essenzialmente al diletto e all’intrattenimento, priva di profonde implicazioni dottrinali ed erudite, di impianto fortemente autobiografico e dipendente in modo marcato dall’ideologia e dal gusto cortesi - i suoi modelli sono l’Ovidio elegiaco e il Dante della Vita Nova opere: Teseida (1339-41, poema in ottave diviso in dodici libri, dedicato a Fiammetta, parla della guerra tra Teseo e Arcita per l’amore di Emilia), La caccia di Diana (1334, poemetto in terza rima di diciotto canti dove celebra le belle donne dell’aristocrazia napoletana), Filostrato (1335, poemetto in ottava rima diviso in nove parti dedicato a Filomena in cui narra l’amore di Troiolo per Criseida che lo tradisce con Diomede), Filocolo (1336-38, romanzo d’amore e di avventura in prosa diviso in cinque libri che narra la storia di Florio e Biancifiore) Se per Dante lo spartiacque decisivo nella sua vita e nella sua opera è stato l’esilio, per Boccaccio è stata sicuramente la peste: un punto di svolta a tutti i livelli, dopo il quale niente fu più uguale a prima, e che lo spinse riconsiderare i principi ai quali aveva fino ad allora ispirato la propria esistenza e la propria attività letteraria, nonché a guardare con occhio critico e disincantato a se stesso e alla società in cui viveva. Noi tutti conosciamo Boccaccio per le novelle, ma lui è stato anche un grandissimo rimatore. Infatti si può notare che ogni novella si conclude con una ballata. Lingua di Boccaccio Tullio de Mauro ha pubblicato il celebre dizionario Gradit, il cui lessico di frequenza è formato da 2000 parole, di cui il 62% appartiene al lessico delle origini, di cui l’84% appartiene al Trecento, soprattutto grazie a Dante che usa le rime. Boccaccio mostra che bisogna studiare la lingua di Dante nel popolo. Boccaccio riflette sul fatto che la parola viene utilizzata per descrivere le cose per capirle nel suo essere. Nell’Invenzione della solitudine di Paul Auster, il linguaggio e le parole sono l’unico modo per rappresentare la realtà e infatti le parole nel Decameron personaggi più malvagi e viziosi: chi parla più a lungo e con maggior eloquenza è in genere un mistificatore della realtà o un truffatore, che approfitta delle sue capacità per abbindolare il prossimo o per mascherare le proprie colpe. DECAMERON Boccaccio inizia a pensare alla stesura del Decameron grazie all’avvento della peste nel 1348 e all’incontro con Petrarca nel 1350. L’opera nasce in seguito al sentimento di sconforto morale della propria città. A oggi si considera il 1349 come data di inizio della stesura dell’opera, anche se per molto tempo si è retrogradata. Boccaccio molto probabilmente aveva già del materiale e aveva già scritto dei racconti, però l’idea di unirle in una sola opera si ha sicuramente nel 1349. La stesura del Decameron si conclude tra il 1351 e il 1353, e ciò lo possiamo dedurre dalla lettera di Francesco Buondelmonti a Giovanni Acciaiuoli del 13 luglio 1360 in cui dimostra che l’opera circolava già da tempo. Possiamo classificare il Decameron come un’opera incompiuta perché, seppur lo manda in circolazione, continua a correggerlo. Infatti troviamo alcune aporie all’interno di essa, come il fatto che era stato detto nel proemio che le ballate che chiudevano ogni giornata sarebbero state cantate solo dalle donne ma alla fine vengono intonate da entrambi i sessi, o come il fatto che nel proemio si dice che saranno narrati piacevoli e aspri casi d’amore e altri fortunati avvenimenti accaduti nei tempi antichi e moderni ma alla fine si hanno diverse novelle comiche di motto e di beffa e poche ambientate nell’antichità. Tutto ciò fa immaginare che il progetto iniziale di Boccaccio consistesse in una brigata soltanto femminile e composta da solo sette giornate, escludendo le giornate dedicate al motto e alla beffa. Il Decameron è un testo di autoesegesi perché critica pure la sua scrittura. La prima circolazione del Decameron è molto discussa, questo perché le novelle sono state diffuse non solo scritte ma anche orali. I principali destinatari dell’opera erano i mercanti, ma l’opera è circolata anche nei ceti aristocratici. La trasmissione orale ha influito con varianti popolari. Gli antichi lettori del Decameron sono stati anche i primi critici e commentatori dell'opera. Boccaccio è un narratore realista perché gli sta a cuore l’effetto della realtà nella letteratura. Oggi utilizziamo l’aggettivo boccaccesco per indicare situazioni erotiche e volgari, l’aggettivo boccacciano per indicare l’universo delle tematiche varie che caratterizzano il Decameron. Già nel titolo si allude alla struttura del libro: il termine greco Decameron indica le dieci giornate che saranno raccontate. Il romanzo è dedicato alle donne, che sono le privilegiate lettrici del libro. La soglia del proemio ha valore ottativo, ossia l’augurio che accompagna questo libro affinché la lettura di questo faccia lo stesso effetto di Galeotto su Ginevra. Si augura che faccia da ristoro per le tristi situazioni che le donne devono vivere, denunciando quindi la condizione in cui devono vivere queste nel Trecento. Il critico letterario Gérard Genette ha scritto Le soglie del testo, in cui con le ʻsoglie del testo’ indica le parti che introducono, concludono e inducono il lettore ad ascoltare la volontà dell’autore. La rubrica iniziale infatti sigilla il libro prima ancora del proemio e in essa lo scrittore suggerisce subito che per essere compreso il libro deve essere attraversato tutto. La voce dell’autore influenza la struttura dell’opera: è presente nella rubrica iniziale, nel proemio, nell’introduzione, nel proemio a mezzo e nella conclusione, quindi tutti momenti in cui Boccaccio vuole rivolgersi al lettore. Alla fine di ogni giornata l’autore commenta e descrive con particolare attenzione le danze e le canzonette che sigillano ogni giornata, che possono costituire uno speciale canzoniere a parte, perché sigillano l’atto del racconto. Così come alla fine di ogni novella, alla fine di ogni giornata Boccaccio registra le reazioni dei protagonisti, dando anche indicazioni utili per il lettore rivelando in che modo occorre interpretare quei testi. Le rubriche, che precedono ogni novella, riassumono la trama del racconto orientando il lettore grazie all’enfatizzazione di alcuni temi. I luoghi più sensibili per la voce dell’autore sono quelli iniziali, quelli conclusivi e quello del proemio di mezzo, dove si difende dalle critiche e dalle accuse e tira in ballo l’onestà della propria operazione intellettuale. Queste soglie del testo ci consentono di identificare il pubblico che Boccaccio immagina e desidera per il proprio libro di novelle: Boccaccio dice in modo chiaro che il suo libro non deve essere dedicato agli intellettuali, ma la destinazione ideale sono i giardini, dove giovani onesti e maturi possono dilettarsi con la lettura di questo libro. Quindi il pubblico si amplia: non si comprende più solo le donne, ma anche i giovani. Boccaccio crea un nuovo spazio letterario rivolto a un pubblico più ampio, non solo più specialista. Il Decameron non è solo un libro di cento novelle, ma dà indicazioni su chi e come deve leggere queste novelle. Dante non si pone questi problemi perché scrive per l’umanità intera, mentre Boccaccio identifica un nuovo pubblico. A differenza della sublime perfezione della Commedia, il Decameron mostra tutte le imperfezioni e le contraddizioni. L’armonia assoluta non è più concepibile. La numerologia è usata sapientemente da Boccaccio. Il numero principale è il dieci: 10 ragazzi (anche se probabilmente i 3 ragazzi sono stati aggiunti più tardi), 10 giorni, 100 novelle (anche se sono 100 + 1, la Novella delle papere che però è lasciata incompiuta volutamente), 5 giorni lavorativi per raccontare le novelle. Poi si ha il numero sette: 7 ragazze, 7 giorni, 7 arti liberali, 7 virtù, 7 sacramenti, 14 giorni fuori casa per scampare la peste; e il numero tre: 3 ragazzi e la Trinità. La Bibbia e la Divina Commedia sono tra i modelli primari di Boccaccio, non solo per l’aspetto formale e letterario, ma anche e soprattutto per quello ideologico: vedi per esempio il numero 10 che riprende il decalogo di Mosè o i cento canti dell’opera dantesca. Il Decameron intende presentarsi sia come storia della rifondazione del mondo dopo il caos sociale e morale provocato dalla peste sia come storia di formazione che attraverso l’esperienza del male conduce i dieci novellatori e il lettore verso la virtù. Simmetrie e asimmetrie sono presenti anche nella brigata. La brigata è la struttura portante del libro. Boccaccio fa indovinelli per interrogarsi sulla presenza di questi ragazzi: nell’introduzione, ribadisce che questi personaggi sono anche persone reali, ma non gli ha dato il nome vero per tutelare l’onestà di questi giovani. Sono tutti nomi allegorici. Non c’è volontà di far emergere un solo personaggio nella brigata perché i dieci ragazzi diventano un solo unico personaggio che si identifica in un narratore di secondo grado. I personaggi compiono un duplice percorso: il primo individuale di purificazione interiore e l’altro collettivo di ricostituzione di una comunità regolata secondo morale e ragione. DIONEO - il nome omaggia Venere, quindi la lussuria - gli sono affidate alcune delle novelle più importanti - è esonerato dall’aderire del tema della giornata - novella sempre per ultimo - è il giullare del gruppo - incarna la sprezzatura, quindi l’imperfezione FIAMMETTA - riprende il romanzo epistolare Elegia a Madonna Fiammetta - nome amoroso per eccellenza PAMPINEA - incarna la piùmatura età e la saggezza e infatti è rinominata ʻla rigogliosa’ FILOMENA - amante del canto - riprende la destinataria del Filostrato EMILIA - riprende la protagonista del Teseida - è chiamata lusinghiera LAURETTA - omaggia la donna dell’amico Petrarca - riprende il lauro, simbolo della poesia NEIFILE - rappresenta la novizia d’amore - riprende la Vita Nova di Dante ELISSA - allude a Didone - rappresenta il nesso amore-passione PANFILO - rappresenta l’alter ego di Boccaccio FILOSTRATO - riprende il protagonista del Filostrato, il vinto d’amore Ci sono tre gradi di narrazione: 1- narratore di primo grado –> Boccaccio, che interviene nel proemio, nel proemio di mezzo e nella conclusione (livello extradiegetico) 2- narratore di secondo grado –> i dieci ragazzi (livello intradiegetico) 3- narratore di terzo grado –> i personaggi nelle novelle (livello diegetico o metadiegetico) La cornice del libro, composta dai personaggi, non dà staticità: non hanno solo un compito narratologico, ma anche un compito ideologico. La peste nera è l’occasione da cui muove la narrazione e si può considerare la vera cornice dell’opera, anche se i dieci giovani non la nominano mai durante la permanenza. Il libro si apre con buio, per indicare la rottura di ogni vincolo sociale che porta la società ad arrivare al punto più basso della storia: se non esiste una comunità, una famiglia, una civiltà, non esiste più nulla. Contro questo orrore però Boccaccio indica una possibile via di salvezza, che è solo temporanea: abbandonare Firenze per un breve periodo e rinchiudersi in un luogo lontano dove rievocare attraverso la letteratura il ritmo rassicurante di una vita civile e ordinata (ecco perché si elegge un re o una regina ogni giorno democraticamente). Questi giovani ricostruiscono una sorta di microsocietà, quasi rappresentando un’utopia politica: il mattino trascorre fra passeggiate campestri, danze, musica e canti; dopo il pranzo comunitario e il sonno (cui alcuni preferiscono la lettura e il gioco), i dieci giovani si ritrovano in giardino e nelle ore più calde del pomeriggio - dalle quindici al calar del sole - narrano ciascuno a turno una novella, sotto la guida di un re o di una regina eletta alla fine della giornata precedente; alla fine, prima e dopo la cena, altri momenti di svago, culminanti nell'esecuzione di una o più ballate, finché tutti si ritirano nelle loro camere. Sembra si fonda l’ideale della società cortese e l’ideale della società mercantile. Questa struttura tematica della cornice fa sì che molti critici portino avanti un paragone con la struttura del Decameron e la struttura della Commedia; ciò nonostante il messaggio del Decameron non è religioso e non consegna un messaggio di salvezza religiosa, ma più che altro allude a un orizzonte moderno. Boccaccio intende rivolgersi a un pubblico più ampio e diffuso portando un messaggio non trascendentale ma che si rivolge alla vita terrena senza alcun spiraglio ultra terreno. Boccaccio propugna sì la centralità del lettore e della sua autonoma interpretazione, ma al lettore nondimeno somministra alcune chiare linee guida cui attenersi, non solo per bene leggere, ma anche - di conseguenza - per bene vivere attraverso la cornice, perché è al suo interno che giornata dopo giornata vengono fornite, sia pure senza rigidità e senza semplificare o occultare la complessità spesso contraddittoria del reale, le coordinate utili a interpretare correttamente le novelle e a orientarsi nella selva delle vicende in esse narrate. La cornice è didattica perché fa sì che attraverso le novelle la brigata apprenda utili regole di comportamento e di vita, itinerante perché le novelle permettono ai giovani di trascorrere serenamente fuggendo tanto la noia quanto le tentazioni, ritardante perché sono le novelle ad allontanare dai dieci giovani il pericolo dell’epidemia e della corruzione morale. copie conosciute nel corso dei secoli, non tutte però disponibili perché in parte perdute o finite in collezioni private. Uno dei più importanti codici è il manoscritto Italiano 482 della Bibliothèque Nationale de France, di mano del fiorentino Giovanni d’Agnolo Capponi, copiato su pergamena in scrittura mercantesca che impiega lo stesso sistema di iniziali maiuscole usato nell’Hamilton 90 e dei diciotto disegni a penna che illustrano luoghi della cornice e passi di alcune novelle. Questo codice contiene un testo molto corretto ma proveniente da una prima redazione del Decameron risalente agli anni Quaranta-Cinquanta del Trecento. Uno dei più importanti codici è quello del 1384, copiato da Francesco di Amaretto Mannelli, oggi conservato nella Biblioteca Laurenziana (42.1). Questo codice è corredato da tantissime postille. La vulgata a stampa si è fondata sul codice Mannelli. La princeps esce nel 1470 presso la Tipografia del Terenzio a Napoli. Ma nel Quattrocento si privilegia la lettura di opere latine, così il Decameron è lasciato da parte. Nel 1492 Squarzafico pubblica un’edizione a Venezia, segnando un passaggio di mentalità e la nascita di un impegno filologico e linguistico sul testo. Nel 1527 la tipografia degli eredi di Filippo Giunta a Firenze, che prende appunto dal codice Mannelli, dà vita alla vulgata. Nel 1559 il Decameron viene messo nell’Indice ed è censurato dall’Inquisizione. Viene purgato a partire dall’edizione fiorentina dei Deputati del 1573, guidata da Vincenzo Borghini, chiamata “rassettatura”, e poi ricorretta da Lionardo Salviati nel 1582, che sviluppano il mito del Codice Mannelli di cui si pubblica un’edizione diplomatica nel 1761. Le edizioni ottocentesche e primonovecentesche di Fanfani nel 1857 e di Massera nel 1927 non iniziarono a cercare nella tradizione manoscritta, anche se l’edizione Massera prese in considerazione alcune lezioni del manoscritto berlinese Hamilton 90. Nel 1948 Alberto Chiari ipotizzò che il codice Hamilton 90 fosse l’autografo di Boccaccio, riprendendo gli studi di Barbi che affermava di essere contrario al “feticismo per un unico manoscritto”. Nel 1962 Vittore Branca e Pier Giorgio Ricci dimostrano che il manoscritto Hamilton 90 rappresentava l’autografo di Boccaccio. Negli ultimi anni della sua vita Boccaccio manifesta la volontà di tornare al capolavoro, trascrivendo la sua opera ma commettendo diversi errori, dovuti a disattenzione e vecchiaia. È dunque evidente che Boccaccio ha copiato da una bozza molto scorretta e probabilmente non in ottime condizioni, che dunque ha provocato errori nella fase di trascrizione: sono gli errori d’autore come trascorsi di penna, lapsus, aplografie, dittografie, salti per omeoteleuto, errori polari. Prima giornata tema improvvisato, ma sono quasi tutte novelle di motto e/o novelle incentrate sulla correzione dei vizi per mezzo della parola Pampinea Seconda giornata fortuna si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia, oltre alla sua speranza, riuscito a lieto fine Filomena Terza giornata industria chi alcuna cosa molto da lui disiderata con industria acquistasse o la perduta ricoverasse Neifile Quarta giornata amori con esito infelice coloro li cui amori ebbero infelice fine Filostrato Quinta giornata amori con esito felice ciò che ad alcuno amante, dopo alcuni fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse. Fiammetta Sesta giornata motti di spirito chi con alcuno leggiadro motto, tentato, si riscosse, o con pronta risposta o avvedimento fuggì perdita o pericolo o scorno. Elissa Settima giornata beffe ai mariti le beffe, le quali, o per amore o per salvamento di loro, le donne hanno già fatte a 'lor mariti, senza essersene avveduti o sì. Dioneo Ottava giornata beffe a uomini e donne quelle beffe che tutto il giorno o donna ad uomo, o uomo a donna, o l'uno uomo all'altro si fanno Lauretta Nona giornata tema libero, sembra avere una funzione di riepilogo e ricapitolazione, come per sgombrare il terreno ai nobili esempi di virtù che si susseguiranno nella giornata finale Emilia Decima giornata gentilezza e cortesia chi liberalmente ovvero magnificamente alcuna cosa operasse intorno a fatti d'amore o d'altra cosa Panfilo La parodia è uno degli strumenti primari di cui Boccaccio si serve nel Decameron per suscitare il diletto e una delle modalità con le quali più spesso rielabora le sue fonti. Dal gioco parodico il lettore che ne comprende i meccanismi e che riconosce gli oggetti sui quali esso si esercita ricava non solo il piacere intellettuale prodotto dal loro capovolgimento ironico e demistificante, ma anche lo stimolo a riflettere su aspetti nascosti o insospettati dei testi letterari e della realtà stessa, oltre all'invito a non prendere troppo sul serio ciò che ascolta o ciò a cui assiste. La parodia ha anche funzione di allentare la tensione, assicurando la varietà di toni che è fondamentale in un libro di novelle per non compromettere la sua finalità dilettevole. Ma è sul versante della parodia religiosa che Boccaccio gioca le sue carte migliori. Niente viene risparmiato: il sacramento della confessione, la pubblicistica sulla buona morte e quella sui santi laici (1 1, ser Ciappelletto), il culto delle reliquie e la letteratura sui pellegrinaggi in Terrasanta (VI 10, nel discorso sconclusionato e pieno di doppi sensi di frate Cipolla), e penitenze (III 4, dove la singolare penitenza notturna imposta a Puccio di Rinieri da don Felice permette a quest'ultimo di intrattenersi piacevolmente con la giovane sposa di lui); agiografia e le pie leggende dei santi (nella I 1, ovviamente, ma anche nella lI 2, dove il Padre Nostro di San Giuliano', protettore dei viandanti, non salva il mercante Rinaldo d'Asti dai briganti che lo derubano, ma in compenso gli procura alla fine il «buon albergo» - in senso erotico - della bella vedova di Castel Guglielmo; e nella III 10, dove l'eremita che insegna ad Alibech a «rimettere il diavolo in Inferno» porta il nome di Rustico, il giovane cui san Girolamo in una sua celebre epistola fornisce preziosi consigli per una perfetta vita monastica, fra i quali quello di fuggire le donne, per non cadere in pensieri peccaminosi), le visioni e le storie di viaggi e soggiorni nell'aldilà o di morti che tornano fra i vivi e raccontano del mondo ultraterreno (III 8: l'abate tiene recluso dieci mesi Ferondo in un sotterraneo, facendogli credere che si trova in Purgatorio, e nel frattempo se la spassa con la bella moglie di lui, dalla quale ha anche un figlio), gli exempla (V 8, dove lo spettacolo della caccia infernale, solitamente evocato dai predicatori per esortare i fedeli a fuggire la lussuria, convince invece la ritrosa figlia di Paolo Traversari a sposare Nastagio degli Onesti, e serve a esortare le donne a essere «più arrendevoli a' piaceri degli uomini»; ma si può citare anche l'apologo delle papere, la cui morale non è, come di norma nelle fonti, quella di stare alla larga dalle donne, ma viceversa quella di non reprimere nei giovani il naturale desiderio amoroso). In alcuni casi la parodia religiosa sfiora la blasfemia. Le tematiche alte sono in genere assenti nel Decameron e, se vi compaiono, vengono toccate tangenzialmente e in una prospettiva pratica, non teorica, come prevede lo statuto della novella. Così avviene per la religione e per le questioni teologiche come si può vedere nelle prime due novelle della prima giornata; così avviene per la Fortuna, ma intorno alla quale Boccaccio si astiene da qualunque riflessione filosofica limitandosi per bocca dei due narratori più saggi e più colti a considerazioni generali di ordine morale, il cui scopo non è chiarire la sua essenza, ma insegnare da un lato a non fare affidamento sui beni mutevoli e instabili che essa elargisce ed accontentarsi di ciò che Dio ci dà; così avviene per la grande storia, per la politica e per l’alta cultura visto che le crociate e le guerre sono solo uno sfondo per storie d’amore o di avventura, imperatori, principi, re e papi (Filippo II re di Francia, Cangrande della Scala, Ottaviano Augusto, il Saladino, Bonifacio VIII, Carlo I d’Angiò) sono figure di contorno o sorpresi nel privato, artisti, filosofi e poeti (Giotto, Guido Cavalcanti, Cecco Angiolieri) sono presenti solo nelle novelle comiche di motto o di beffa. Il Decameron sconsiglia interpretazioni troppo unilaterali sia perché il suo fondamento è la medietas, che consiste nel contemperamento di istanze diverse e anche fra loro contrastanti (come lo sono le diverse parti e inclinazioni dell'animo umano, ciascuna delle quali - pur nel rispetto di una precisa gerarchia interna - merita di essere accolta e debitamente valorizzata), sia perché per la sua stessa natura, che non è quella di un trattato o di un poema dalla ferrea struttura argomentativa, ma il libro volutamente conserva un margine di insolubile ambiguità. Decameron e Corbaccio sono libri complementari: il secondo, a prescindere dalla sua datazione, continua il primo, ne è per certi versi la palinodia, ma per altri il necessario completamento, che sviluppa istanze e umori già serpeggianti nel libro di novelle. Chi insegna ad amare scrive anche per mettere in guardia contro l'amore; chi ferisce sa anche curare, dichiara Ovidio nei Remedia amoris (v. 41-48), come la terra, che produce sia erbe velenose che erbe medicinali. è previsto dalla tradizione, e certo per Boccaccio non si trattava solo di un retorico gioco delle parti. Il Corbaccio potrebbe essere stato scritto anche con l'intento di prendere almeno in qualche misura le distanze dalle sezioni più spregiudicate del Decameron, che, come dimostra la lettera a Mainardo Cavalcanti del 1372, continuarono per lungo tempo a creare non pochi imbarazzi al suo autore. La nobilitazione della novella è condotta nel Decameron con varie modalità: curando più scrupolosamente l’elaborazione stilistica e retorica dei racconti; incrementando l’effetto di realtà, grazie a un’ambientazione storica e geografica sempre attenta alla ricchezza e alla precisione dei dettagli, e grazie a un più approfondito scavo psicologico dei personaggi; scrivendo testi più lunghi e complessi; organizzando le novelle in un vero e proprio libro dotato di una struttura solida e meditata; rafforzando l’autorialità, ossia la presenza di Boccaccio autore e uomo al fine di ribadire la proprietà letteraria del libro e in particolare del suo impianto formale. Con il Decameron Boccaccio fa per la novella ciò che con la Commedia Dante aveva fatto per il poema didattico-allegorico o ciò che Petrarca con il Canzoniere stava facendo in quegli stessi anni per la poesia lirica che prima di allora nessuno fra i moderni aveva trasformato in un libro. Il primo e più significativo passo compiuto da Boccaccio per introdurre l'umile novella nel dominio dell'alta letteratura è stato proprio quello di sottrarla alla sua congenita dispersione, inserendola all'interno di una forma-libro costruita con la massima cura architettonica. Il modello è ovviamente quello della Commedia (cento novelle, come cento canti), ma al tempo stesso quello dei Fragmenta, di cui nei primi anni Cinquanta Petrarca aveva già allestito una prima forma, e che col Decameron condividono l'idea di raccogliere in base a un preciso disegno strutturale e concettuale testi in parte già composti e nati come scritti sparsi. Influenza di Dante - il sottotitolo riprende il Canto V dell’Inferno - la bipartizione novelle/cornice è debitrice dello schema poesie/prose della Vita nova, dove le parti prosastiche creano un tessuto narrativo che serve a collegare e a strutturare testi preesistenti e di per sé autonomi - alcune novelle riprendono situazioni e personaggi della Commedia: Guido Cavalcanti, Ciacco e Filippo Argenti Influenza di Petrarca - ai primi anni Cinquanta, dovrebbe risalire il sonetto proemiale del Canzoniere (Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono) che probabilmente Boccaccio ha sotto gli occhi quando scrive il Proemio del Decameron: entrambi i testi presentano il libro cui preludono come opera di un autore faticosamente uscito dalle tormentose esperienze d’amore della giovinezza, e che pertanto può offrirsi come exemplum per quanti ancora vi siano invischiati Il primo grande lettore del Decameron è stato Petrarca, che non lo degnò di grande attenzione essendo in volgare e in prosa, portando a una lettura antologica e obliterando la cornice considerata di stampo medievale. Il dopo-Boccaccio si muove lungo binari che in molti casi portano lontano dall’aureo modello del Decameron: ⁕ indebolimento della struttura-libro portando le novelle a essere divise tra di esse, come il Trecentonovelle di Franco Sacchetti ⁕ traduzioni latine, sia in prosa che in versi, di singole novelle boccacciane, da parte di noti umanisti (come Antonio Loschi, Leonardo Bruni, Filippo Beroaldo il Vecchio, Jacopo Bracciolini, Bartolomeo Facio) che prediligono le novelle tragiche, patetiche e morali, soprattutto la IV 1 e la X 8 ⁕ versificazione di singole novelle, soprattutto d’amore, d’avventura o di beffa, nel metro dell’ottava e nello stile del cantare ⁕ accentuazione ed esasperazione dei registri, ossia i suoi successori riscrivono con una comicità sguaiata, plebea e crudele (come Sacchetti), con un erotismo licenzioso ed esplicito (come Fortini), dell’ostentazione del cruento, del grottesco, del mostruoso e dell’orrido (come Masuccio Salernitano) ⁕ specializzazione degli autori e delle opere ⁕ tendenza alla riduzione dell’ampio spettro stilistico e tematico della novella boccacciana, favorita dalla messa Umana cosa è aver compassione degli afflitti: e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto li quali già hanno di conforto avuto mestiere e hannol trovato in alcuni; fra quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno o gli fu caro o già ne ricevette piacere, io sono uno di quegli. → si accampa la voce dell’autore nel testo (io sono uno di quegli), anche se è uno dei pochi luoghi in cui il personaggio dell’autore prende parola → la parola compassione invita i lettori a provare empatia: è una cosa umana sentire compassione per coloro che stanno male → il personaggio dell’autore sa bene cosa vuol dire essere afflitto e ha provato questo dolore Per ciò che, dalla mia prima giovinezza infino a questo tempo oltre modo essendo acceso stato d’altissimo e nobile amore, forse più assai che alla mia bassa condizione non parrebbe, narrandolo, si richiedesse quantunque appo coloro che discreti erano e alla cui notizia pervenne io ne fossi lodato e da molto più reputato, nondimeno mi fu egli di grandissima fatica a sofferire, certo non per crudeltà della donna amata, ma per soverchio fuoco nella mente concetto da poco regolato appetito: il quale, per ciò che a niuno convenevole termine mi lasciava un tempo stare, più di noia che bisogno non m’era spesse volte sentir mi facea → fin dalla giovinezza, è stato infuocato da un amore ma tra i due c’era disparità sociale e questo amore fu di grandissima fatica → riferimento ai fondamentali luoghi comuni della cultura medievale in tema d’amore, pervasivi sia tramite le compilazioni di trattati (come De amore di Andrea Cappellano) sia tramite la poesia lirica (la donna crudele) e dei romanzi di cavalleria (con tanti eroi che per amore perdono il senno) → soverchio fuoco e poco regalato appetito alludono alla dimensione dell’eccesso e dell’irrazionalità che portano a sofferenza e morte Nella qual noia tanto rifrigerio già mi porsero i piacevoli ragionamenti d’alcuno amico e le sue laudevoli consolazioni, che io porto fermissima opinione per quelle essere avvenuto che io non sia morto. → l’amore e l’amicizia sono valori fondamentali affinché l’uomo possa stare al mondo: Boccaccio riconduce la composizione del Decameron a unmoto di gratitudine, cioè al suo desiderio di ricambiare l'aiuto ricevuto quando, negli anni passati, stava soffrendo terribilmente per colpa di un amore smisurato e sregolato, dal quale afferma di essere uscito vivo solo grazie ai conforti e ai ragionamenti degli amici; ragionamenti che ora, sotto forma di novelle utili e insieme piacevoli, egli intende offrire alle donne, le quali - vivendo spesso chiuse in casa e non potendo distrarsi, come i loro mariti, padri, fratelli e amanti, con attività ludiche e lavorative - sono esposte più degli uomini allamalinconia, cioè alla malattia d'amore. Con i suoi ragionamenti Boccaccio intende presentarsi come compassionevole, discreto e saggio consigliere di chi ama, e specialmente delle donne che amano Ma sì come a Colui piacque il quale, essendo Egli infinito, diede per legge incommutabile a tutte le cose mondane aver fine, il mio amore, oltre a ogn’altro fervente e il quale niuna forza di proponimento o di consiglio o di vergogna evidente, o pericolo che seguir ne potesse, aveva potuto né rompere né piegare, per sé medesimo in processo di tempo si diminuì in guisa, che sol di sé nella mente m’ha al presente lasciato quel piacere che egli è usato di porgere a chi troppo non si mette né suoi più cupi pelaghi navigando; per che, dove faticoso esser solea, ogni affanno togliendo via, dilettevole il sento esser rimaso. → Dio, che è l’unico essere infinito, pone fine a tutte le cose terrestre e pure alla sua pena d’amore. Quest’amore ha lasciato nella mente solo quel piacere che esso offre ordinariamente a chi non si azzarda a navigare nelle acque profonde della passione. Quindi mentre un tempo questa passione causava noia e fatica, ora gli è rimasta piacevole. → Branca nota che la prosa ha sapore endecasillabico Ma quantunque cessata sia la pena, non per ciò è la memoria fuggita de’ benefici già ricevuti, datimi da coloro à quali per benivolenza da loro a me portata erano gravi le mie fatiche: ne passerà mai, sì come io credo, se non per morte. E per ciò che la gratitudine, secondo che io credo, trall’altre virtù è sommamente da commendare e il contrario da biasimare, per non parere ingrato ho meco stesso proposto di volere, in quel poco che per me si può, in cambio di ciò che io ricevetti, ora che libero dir mi posso, e se non a coloro che me atarono alli quali per avventura per lo lor senno o per la loro buona ventura non abbisogna, a quegli almeno a qual fa luogo, alcuno alleggiamento prestare → l’autore identifica chi sono i destinatari dell’opera → anche se la passione amorosa è cessata, la memoria dell’effetto benefico offerta dai suoi amici è ancora presente. L’autore intende aiutare coloro che hanno bisogno di alleggerire dalle pene di amore. E quantunque il mio sostentamento, o conforto che vogliam dire, possa essere e sia à bisognosi assai poco, nondimeno parmi quello doversi più tosto porgere dove il bisogno apparisce maggiore, sì perché più utilità vi farà e si ancora perché più vi fia caro avuto. E chi negherà questo, quantunque egli si sia, non molto più alle vaghe donne che agli uomini convenirsi donare? → gli afflitti sono i primi destinatari dell’opera, quindi le donne, che per il codice dell’onestà sono costrette a tenere nascoste nei loro cuori le fiamme d’amore Esse dentro à dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amorose fiamme nascose, le quali quanto più di forza abbian che le palesi coloro il sanno che l’hanno provate: e oltre a ciò, ristrette dà voleri, dà piaceri, dà comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il più del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgendo diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre sieno allegri. E se per quegli alcuna malinconia, mossa da focoso disio, sopravviene nelle lor menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: senza che elle sono molto men forti che gli uomini a sostenere; il che degli innamorati uomini non avviene, sì come noi possiamo apertamente vedere. Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciò che a loro, volendo essi, non manca l’andare a torno, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare, pescare, cavalcare, giucare o mercatare: de’ quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animo a sé e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, con un modo o con altro, o consolazion sopraviene o diventa la noia minore → qua si sente la denuncia dell’autore verso la condizione pessima delle donne nel Trecento: gli uomini hanno varie possibilità di svago, mentre le donne sono chiuse in casa → Boccaccio dedica alle donne un’opera ricca di sperimentalismo: scritto in volgare e con un genere rinnovato Adunque, acciò che in parte per me s’ammendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sì come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi più avara fu di sostegno, in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all’altre è assai l’ago e ʻl fuso e l’arcolaio,intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistelenzioso, tempo della passata mortalità fatta, e alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto. Nelle quali novelle piacevoli e aspri casi d’amore e altri fortunati avvenimenti si vederanno così né moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le già dette donne, che queste leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate e utile consiglio potranno pigliare, in quanto potranno cognoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire. Il che se avviene, che voglia Idio che così sia; a Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi dà suoi legami m’ha conceduto il potere attendere à lor piaceri. → quest’opera deve dilettare e ammaestrare allo stesso tempo: deve insegnare come fuggire i vizi e come seguire le virtù –> le virtù prese in esame sono per alcuni quelle del mondo cortese che Boccaccio vorrebbe contrapporre alla degenerazione della moderna società mercantile e comunale, mentre per altri si critica i tradizionali valori cortesi e si canta l’epopea dei mercanti e della nascente borghesia –> i vizi presi in esame sono la meschinità (o parvicentia, ossia il vizio di chi, solitamente generoso, è colto da episodica avarizia o parsimonia nel dare), l’avarizia (distinta tra quella di chi troppo desidera accumulare e quella di chi non vuole donare), l’intemperanza, la malvagia ipocrisia e la pusillanimità (consiste nell’astenersi, per pigrizia e per poca conoscenza di sé, dalle azioni più nobili, delle quali pure sarebbe capace e degno → Boccaccio mette sullo stesso piano le definizioni ʻhistorie’, ʻparabole’ e ʻfavole’ per indicare le novelle, in senso di racconto: alcuni ritengono che qui Boccaccio voglia adottare per i suoi testi il più recente termine novelle, distinguendolo scrupolosamente dai tre termini con i quali sarebbero designate secondo la tradizione le forme di racconto teorizzate da Cicerone nel De inventione (la fabula né vera né verosimile, l’argumentum non vero ma possibile, l’historia narrazione di eventi realmente accaduti), forme che egli rifiuterebbe per rifondare il genere su basi nuove e meno rigide; altri invece, come Lucia Battaglia Ricci, credono che novelle sia il termine generale nel quale sono compresi i tre termini seguenti che designerebbero dunque altrettanti sottogeneri della novella stessa e ciò perché nel Decameron le novelle sono racconti di fantasia (favole) presentati come se fossero storie vere (istorie) che forniscono insegnamenti morali (parabole). Il proemio mette in scena una rappresentazione canonica dell’autore perché se avessimo letto tutte le opere di Boccaccio qua si riconoscerebbe la sua voce –> nel proemio del Filostrato si descrive come dilaniato dalla passione d’amore per Filomena, a differenza del proemio del Decameron dove questa passione è diventata delicata e pacata –> Boccaccio è diventato uno scrittore maturo perché ogni passione si è spenta e ora può guardare quel giovane condannato vivere in modo tumultuoso la passione d’amore –> Boccaccio è pronto per un racconto realistico e universale –> esibisce un messaggio: il fatto di non essere più innamorato esclude l’opzione dell’autobiografismo e la scrittura è diventata ora consolazione non più per sé ma per un pubblico più vasto Prima giornata👑: Pampinea Boccaccio riprende la voce ed è intonata in modalità che non sono più quelle autobiografiche (come era nel proemio), sperimentando una nuova modulazione narrativa: la voce di Boccaccio diventa la voce del cronista. Infatti Boccaccio presenta la peste come un fatto non solo italiano: molti cronisti del tempo volevano evitare la descrizione dell’epidemia, mentre Boccaccio la ritiene fondamentale. L’autore usa come fonte l’Historia Langobardorum (787-789) del grammatico Paolo Diacono, in cui si descrive una pestilenza scoppiata in Liguria, molto breve ma che è rimasta nella mente di Boccaccio portandolo a mutuare il timbro della narrazione nella sua opera, cambiando l’ordine degli elementi narrativi: parte come Diacono nella descrizione dei sintomi, poi le conseguenze sociali, la desolazione profonda delle città e delle campagne, la inversione delle abitudini tra gli uomini e le bestie (gli uomini sono arresi allo sfacelo e sono parte del degrado morale, mentre le bestie seguono i ritmi primordiali della loro vita), ma concentrandosi principalmente sulla dimensione urbana della calamità, mentre Diacono si era concentrato su quella agraria. Quindi Boccaccio descrive la condizione di partenza, definita come un orrido cominciamento necessario per giungere al bellissimo piano e dilettevole, ossia le novelle. Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn’altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d’inumerabile quantità de’ viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata. → la peste è evocata come una nera nube che dall’Oriente avanza verso l’Italia come avanzerebbe la morte E non come in Oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva il sangue del naso era manifesto segno di inevitabile morte: ma nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno uovo, e alcune più e alcun’ altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno. → la descrizione consegna al lettore il senso profondo della fatalità del morbo e l’inconoscibilità del male e delle sue cause, creando sgomento e paura → a Boccaccio interessa narrare la realtà e il suo referto oggettivo: queste prime pagine sono intrise di paura e di intimo terrore da diffondere nel lettore: la peste non si evita, non si cura, non si scampa → qua il cronista è anche testimone perché Boccaccio ha vissuto sulla propria pelle l’epidemia Essendo gli stracci d’un povero uomo da tale infermità morto gittati nella via publica e avvenendosi a essi due porci, e quegli secondo il lor costume prima molto col grifo e poi co’ denti presigli e scossiglisi alle guance, in piccola ora appresso, dopo alcuno avvolgimento, come se veleno avesser preso, amenduni sopra li mal tirati stracci morti caddero in terra di perorazione). Pampinea dice che alcuni membri delle famiglie le hanno lasciate sole (io, di molta famiglia, niuna altra persona in quella se non la mia fante trovando, impaurisco e quasi tutti i capelli addosso mi sento arricciare), mentre loro andando via non abbandonano nessuno (mi pare che niuna persona, la quale abbia alcun polso e dove possa andare, come noi abbiamo, ci sia rimasa altri che noi.). Pampinea poi lancia una sorta di invettiva verso i becchini, chiamati feccia del nostro sangue riscaldata, che si fanno pagare per portar via i corpi morti. Quindi queste fanciulle cercano un parziale rifugio e una parziale salvezza e sognano un simulacro di normalità che possa ricondurle al loro essere donne cittadine di Firenze. La prima giornata, come la nona giornata, è senza un tema fisso, ma si hanno differenze tra le due giornate: nella nona giornata la regina è Emilia che dà libertà di tema nelle novelle, mentre nella prima giornata la regina è Pampinea che dà le basi delle narrazioni. La prima giornata non è a tema libero, ma a tema improvvisato. Le prime tre novelle sono accomunate dall’atmosfera religiosa - anche se affrontate in modo leggero e comico come si addice al genere novellistico -, le ultime sette sono accomunate dalla presenza delmotto che ha un valore fondamentale e fondativo nel libro. La quarta novella prende l’atmosfera religiosa e la fonde con l’importanza della presenza del motto. Novella prima Rubrica: Ser Cepperello con una falsa confessione inganna uno santo frate, e muorsi; ed essendo stato un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto. Narratore Panfilo: presenta e spiega la storia di Ciappelletto come un esempio del fatto che Dio accoglie le nostre preghiere, se sincere, anche se scegliamo come intermediario un santo fasullo e indegno, perché guarda soltanto alla purezza del nostro cuore Protagonisti ser Cepparello da Prato (notaio),Musciatto Franzesi (mercante), due fratelli fiorentini (usurai), un frate (confessore) Dove Parigi poi Borgogna Quando fine XIII - inizio XIV secolo La novella ha inizio nella società mercantile e ne delinea in modo atroce i difetti, perché si basa sull’avidità dei denari. In effetti la civiltà mercantile, nel Decameron, non pare depositaria di particolari e specifici valori, di una sua etica e di una sua cultura che possano essere additate a modello. I mercanti, nelle novelle, raramente fanno buona figura: la loro stupidità e credulità li porta spesso a essere derubati (Rinaldo d'Asti, Andreuccio, Salabaetto) o ingannati (Bernabò da Genova, Arriguccio Berlinghieri); l'avidità li spinge talora a rubare (Landolfo Rufolo), e neppure esitano a uccidere, se credono minacciato l'onore della famiglia e la rispettabilità della loro impresa commerciale (come i fratelli di Lisabetta). E vorrà pur dire qualcosa che il libro si apra con la novella di ser Ciappelletto, che è prima di tutto un fosco ritratto del mondo mercantile, e che nessun mercante figuri tra i protagonisti delle grandi novelle di virtù della X giornata. Il narratore dedica a Ciappelletto un ritratto volto volontariamente al negativo perché è presentato come l’esatto opposto di una persona per bene: è un falsario (Testimonianze false con sommo diletto diceva, richiesto e non richiesto), è un bestemmiatore (Bestemmiatore di Dio e de’ santi era grandissimo), è un miscredente (A chiesa non usava giammai; e i sacramenti di quella tutti, come vil cosa, con abominevoli parole scherniva), frequenta taverne e disonesti luoghi (le taverne e gli altri disonesti luoghi visitava volentieri e usavagli), è un semina zizzania (Aveva oltre modo piacere, e forte vi studiava, in commettere tra amici e parenti e qualunque altra persona mali e inimicizie e scandali, de’ quali quanto maggiori mali vedeva seguire tanto più d’allegrezza prendea.), è un omicida (Invitato ad un omicidio o a qualunque altra rea cosa, senza negarlo mai, volenterosamente v’andava; e più volte a fedire e ad uccidere uomini colle propie mani si trovò volentieri), è goloso (Gulosissimo e bevitore grande, tanto che alcuna volta sconciamente gli facea noia). Ser Ciappelletto ha i sette vizi capitali. Il ritratto negativo è funzionale per delineare il personaggio che incarna il male e che rappresenta l’Inferno. La confessione inizia con i caratteri dell’eccezionalità perché sembra una performance di teatro creando un vero e proprio personaggio con i gesti e le parole. La novella introduce i meccanismi della beffa, che non è mai semplice inganno funzionale con scopo materiale, ma c’è sempre un carattere eccessivo. Gli spettatori di questa beffa sono i fratelli che origliano e Dio. Se osserviamo meglio, notiamo che l'ascolto di nascosto è un tema che assume un ruolo decisivo nella novella: senza che i due fratelli lo sappiano, Ciappelletto ascolta dalla sua stanza da letto il loro preoccupato ragionamento; senza che il frate se ne accorga, i due fratelli assistono divertiti allo scambio di battute col protagonista. Attenzione, però: il primo momento ha un valore strutturale nel racconto: Ciappelletto ascolta e prende una decisione che porta la novella al suo scioglimento; il secondo momento non ha invece nessuna funzionalità narrativa, giacché i fratelli non contribuiscono in alcun modo all'avanzamento della trama. Questa breve scena serve invece per rivelare un procedimento tipico di tutto il Decameron, ossia il fatto che i lettori si trovano in una condizione comunicativa privilegiata, in quanto sono informati della situazione nel suo complesso, restando osservatori esterni. Scenario e personaggi sono realistici e storicamente riconoscibili: dalla documentazione antica abbiamo notizie sull’attività di Musciatto in Francia ed è provata l’esistenza di un Cepperello Dietaiuti da Prato. Trama: Il mercante Musciatto Franzesi aveva bisogno di qualcuno che potesse riscuotere le tasse ai borgognoni. Scelse ser Ciappelletto, a causa della sua brutta fama, che accettò volentieri l’incarico e trovò dimora da due usurai fiorentini. Un giorno si ammalò gravemente e capì che era la fine della sua vita I due fratelli non sapevano come fare, poiché non sapevano dove sotterrarlo e avevano paura della loro fama, già in parte rovinata. Ciappelletto decise di chiamare un vecchio frate per confessarsi. Il padre gli chiese se avesse peccato in lussuria ma Ciappelletto dichiarò di essere vergine. Confessò un peccato di gola, ma il frate rassicurò la sua poca importanza; gli chiese se avesse peccato in avarizia ma gli rispose che guadagnava in elemosine, confessò di provare rabbia per coloro che non rispettavano la chiesa. Continuò con la sua lunga lista di peccati totalmente inventati, mentre il padre gli spiegava della poca importanza e valore. Ser Ciappelletto venne sepolto nel convento dei frati e dalla celebrazione del suo funerale fu proclamato santo per la sua deviazione in vita. Novella quinta Rubrica: La marchesana di Monferrato, con un convito di galline e con alquante leggiadre parolette, reprime il folle amore del re di Francia Narratore Fiammetta, caratterizzata dalle sue abilità retoriche e narrative Protagonisti Marchesana di Monferrato (marchesa), Filippo il Bornio (re di Francia) Dove Parigi e Monferrato Quando fine del XII secolo, verso la III crociata (1189-1192) Il motto è già presente nella rubrica perché la marchesa darà una vera e propria lezione al re di Francia respingendolo con leggiadre parolette (= messaggio verbale) e con convito di galline (=messaggio non verbale). La Marchesa non è di Monferrato per caso: Mon-ferrato è chiara allusione alla difesa della propria castità dato che ferrato indica ʻmunito, rinforzato con ferri’ e monte si riferisce all’organo sessuale femminile e alla ragione che resta salda e forte contro gli assalti della lussuria La marchesa è definita savia e avveduta perché sa il pericolo intorno a lei dato che è rimasta vedova. Il re di Francia, appena sa della notizia, si dirige verso lei. Lei capisce le intenzioni del re (E appresso entrò in pensiero che questo volesse dire, che un così fatto re, non essendovi il marito di lei, la venisse a visitare; né la ʻngannò in questo l’avviso, cioè che la fama della sua bellezza il vi traesse) e organizza un banchetto di galline per contrastare le volontà del re (E fatte senza indugio quante galline nella contrada erano ragunare, di quelle GIOVANNI BOCCACCIO E IL DECAMERON Il Trecento è considerato come un’età aurea inaugurata con una sequenza di capolavori della letteratura: Dante e il Stilnovismo, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, quindi le Tre Corone. E sono questi capolavori che fondano tradizioni letterarie durative nella letteratura italiana: l’uso del volgare (Commedia di Dante), l’autobiografia (Canzoniere e Secretum di Petrarca), la novella (Decameron). Si chiama età aurea perché crea una nuova era e una nuova cultura che diventerà una cultura moderna che si diffonderà in Italia e poi in Europa. Si crea quindi una tradizione di lunga durata che influenzerà l’intera cultura europea. Firenze è la protagonista di questa nuova cultura. Dante con la sua storia di poeta inaugura questa stagione grazie allo sperimentalismo: lui ha osato e ha avuto coraggio per la sua azione letteraria e politica, è un esempio di scrittura militante. Giovanni Boccaccio nasce nel 1313 a Certaldo da Boccaccino di Chelino e madre ignota. Tra il 1327 e il 1340 soggiorna a Napoli a causa del lavoro del padre, facente parte della banca dei Bardi, ed è costretto a seguire corsi sul mestiere di mercante e studi giuridici. A Napoli frequenta la corte di Roberto d’Angiò. A causa della bancarotta dei Bardi, rientra a Firenze nel 1340. Tra il 1345 e il 1348 si reca prima a Ravenna presso Ostasio da Polenta e poi a Forlì presso la corte di Francesco Ordelaffi. Nel 1348 rientra a Firenze e scoppia la peste nera che gli porta via il padre e diversi amici. L’anno decisivo per la formazione di Boccaccio, dato che proprio quest’anno incontra Petrarca che sarà fondamentale per la stesura delle sue opere, è il 1350. Nel 1360, a seguito di una crisi spirituale, Boccaccio prende i voti, il che provoca un mutamento interiore nei suoi interessi eruditi. Il 21 dicembre 1375 muore a Certaldo. La produzione di Boccaccio si può dividere tra opere giovanili e opere senili. opere giovanili - scritte in volgare, una scelta innovativa e quasi necessaria, che si ispirano al mondo e al codice letterario cortese - opere contrassegnate da una posizione filogina, di straordinario interesse, amore, passione verso il genere femminile, che dura a lungo e caratterizza anche il Decameron opere senili - scritte in latino - caratterizzate da una posizione misogina, di opposizione al genere femminile, una posizione più letteraria che letterale, ma allo stesso tempo è dominata da filoginia → Corbaccio (1365, opera satirica in cui lo scrittore dichiara il suo odio verso le donne, immaginandosi che il defunto marito della donna di cui è innamorato gli appaia in sogno per metterlo in guardia contro la malvagia natura femminile e contro i rischi mortali cui questo amore folle lo espone soprattutto essendo lui prossimo alla vecchiaia e dedito agli studi, vedi il richiamo della Circe odisseiana che trasforma l’uomo in animale) → De mulieribus claris, in cui racconta di donne illustri degne di essere celebrate → codice Hamilton 90, in cui introduce la riscrittura del Decameron Boccaccio era innamorata della Laura petrarchesca e infatti amava narrare la vita di altri, come il Trattatello in laude di Dante. La passione per i classici accomuna Petrarca e Boccaccio che però si differenziano riguardo la scelta tra volgare e latino. Nel Trecento si tendeva a differenziare tra letteratura alta quindi in latino e letteratura bassa quindi in volgare. Lo sperimentalismo di Boccaccio sana questa differenziazione mettendole sullo stesso piano. Petrarca invece continuava sulla sua strada dell’uso del latino. Francesco Bruni la chiama ʻletteratura mezzana’ perché nel cuore del Trecento Boccaccio idea un nuovo tipo di letteratura per un nuovo tipo di pubblico, più ampio e soprattutto composto non solo da uomini ma pure dalle donne. Queste spinte di sperimentalismo vengono da occasioni autobiografiche: la formazione scolastica fiorentina e il trasferimento a Napoli. Boccaccio incarna perfettamente la capacità di mediazione fra culture diverse e tensioni sperimentali diverse, muovendosi dall’esempio di Dante e guidato da Petrarca porta alla nascita del Decameron. Secondo Alfano si può considerare Boccaccio come bifronte, dato che è sospeso tra due culture e due città, che sono state decisive per la sua formazione e il suo destino intellettuale di scrittore. cultura fiorentina - presenza fortissima di Dante - scelta dell’uso del volgare - maggiore peso alla componente allegorica, morale e dottrinale; la sperimentazione del prosimetro; la tendenza a un più spiccato realismo descrittivo e psicologico, che porta con sé anche quella a una lingua e a uno stile meno frondosi, latineggianti e barocchi opere: Elegia di Madonna Fiammetta (1343-44, primo romanzo epistolare, ha una donna come eroina), Commedia delle ninfe fiorentine o Ninfale d’Ameto (1341-42, prosimetro allegorico-pastorale in cui si alternano prosa e brani, elevazione all’amore spirituale di un rozzo pastore da parte di sette ninfe, il pastore che rappresenta la selvatichezza poi diventa un uomo consapevole), Amorosa visione (1342-43, poema in terzine in cinquanta canti, si trovano due porte: Larga = piaceri terreni e stretta = felicità eterna), Ninfale fiesolano (1344-46, poemetto mitologico-eziologico in cui narra le origini di Fiesole e Firenze) cultura napoletana (corte di Roberto d’Angiò) - lo porta a ribellarsi in famiglia contro gli studi giuridici per mostrare la passione per le rime - entra in contatto con la letteratura cortese che stimola la vena del narratore - incontra i dotti angioni (come Barbato da Sulmona e Barlaam) - si muove nell’ambito di una letteratura filogina, di argomento quasi esclusivamente amoroso, volta essenzialmente al diletto e all’intrattenimento, priva di profonde implicazioni dottrinali ed erudite, di impianto fortemente autobiografico e dipendente in modo marcato dall’ideologia e dal gusto cortesi - i suoi modelli sono l’Ovidio elegiaco e il Dante della Vita Nova opere: Teseida (1339-41, poema in ottave diviso in dodici libri, dedicato a Fiammetta, parla della guerra tra Teseo e Arcita per l’amore di Emilia), La caccia di Diana (1334, poemetto in terza rima di diciotto canti dove celebra le belle donne dell’aristocrazia napoletana), Filostrato (1335, poemetto in ottava rima diviso in nove parti dedicato a Filomena in cui narra l’amore di Troiolo per Criseida che lo tradisce con Diomede), Filocolo (1336-38, romanzo d’amore e di avventura in prosa diviso in cinque libri che narra la storia di Florio e Biancifiore) Se per Dante lo spartiacque decisivo nella sua vita e nella sua opera è stato l’esilio, per Boccaccio è stata sicuramente la peste: un punto di svolta a tutti i livelli, dopo il quale niente fu più uguale a prima, e che lo spinse riconsiderare i principi ai quali aveva fino ad allora ispirato la propria esistenza e la propria attività letteraria, nonché a guardare con occhio critico e disincantato a se stesso e alla società in cui viveva. Noi tutti conosciamo Boccaccio per le novelle, ma lui è stato anche un grandissimo rimatore. Infatti si può notare che ogni novella si conclude con una ballata. Lingua di Boccaccio Tullio de Mauro ha pubblicato il celebre dizionario Gradit, il cui lessico di frequenza è formato da 2000 parole, di cui il 62% appartiene al lessico delle origini, di cui l’84% appartiene al Trecento, soprattutto grazie a Dante che usa le rime. Boccaccio mostra che bisogna studiare la lingua di Dante nel popolo. Boccaccio riflette sul fatto che la parola viene utilizzata per descrivere le cose per capirle nel suo essere. Nell’Invenzione della solitudine di Paul Auster, il linguaggio e le parole sono l’unico modo per rappresentare la realtà e infatti le parole nel Decameron personaggi più malvagi e viziosi: chi parla più a lungo e con maggior eloquenza è in genere un mistificatore della realtà o un truffatore, che approfitta delle sue capacità per abbindolare il prossimo o per mascherare le proprie colpe. DECAMERON Boccaccio inizia a pensare alla stesura del Decameron grazie all’avvento della peste nel 1348 e all’incontro con Petrarca nel 1350. L’opera nasce in seguito al sentimento di sconforto morale della propria città. A oggi si considera il 1349 come data di inizio della stesura dell’opera, anche se per molto tempo si è retrogradata. Boccaccio molto probabilmente aveva già del materiale e aveva già scritto dei racconti, però l’idea di unirle in una sola opera si ha sicuramente nel 1349. La stesura del Decameron si conclude tra il 1351 e il 1353, e ciò lo possiamo dedurre dalla lettera di Francesco Buondelmonti a Giovanni Acciaiuoli del 13 luglio 1360 in cui dimostra che l’opera circolava già da tempo. Possiamo classificare il Decameron come un’opera incompiuta perché, seppur lo manda in circolazione, continua a correggerlo. Infatti troviamo alcune aporie all’interno di essa, come il fatto che era stato detto nel proemio che le ballate che chiudevano ogni giornata sarebbero state cantate solo dalle donne ma alla fine vengono intonate da entrambi i sessi, o come il fatto che nel proemio si dice che saranno narrati piacevoli e aspri casi d’amore e altri fortunati avvenimenti accaduti nei tempi antichi e moderni ma alla fine si hanno diverse novelle comiche di motto e di beffa e poche ambientate nell’antichità. Tutto ciò fa immaginare che il progetto iniziale di Boccaccio consistesse in una brigata soltanto femminile e composta da solo sette giornate, escludendo le giornate dedicate al motto e alla beffa. Il Decameron è un testo di autoesegesi perché critica pure la sua scrittura. La prima circolazione del Decameron è molto discussa, questo perché le novelle sono state diffuse non solo scritte ma anche orali. I principali destinatari dell’opera erano i mercanti, ma l’opera è circolata anche nei ceti aristocratici. La trasmissione orale ha influito con varianti popolari. Gli antichi lettori del Decameron sono stati anche i primi critici e commentatori dell'opera. Boccaccio è un narratore realista perché gli sta a cuore l’effetto della realtà nella letteratura. Oggi utilizziamo l’aggettivo boccaccesco per indicare situazioni erotiche e volgari, l’aggettivo boccacciano per indicare l’universo delle tematiche varie che caratterizzano il Decameron. Già nel titolo si allude alla struttura del libro: il termine greco Decameron indica le dieci giornate che saranno raccontate. Il romanzo è dedicato alle donne, che sono le privilegiate lettrici del libro. La soglia del proemio ha valore ottativo, ossia l’augurio che accompagna questo libro affinché la lettura di questo faccia lo stesso effetto di Galeotto su Ginevra. Si augura che faccia da ristoro per le tristi situazioni che le donne devono vivere, denunciando quindi la condizione in cui devono vivere queste nel Trecento. Il critico letterario Gérard Genette ha scritto Le soglie del testo, in cui con le ʻsoglie del testo’ indica le parti che introducono, concludono e inducono il lettore ad ascoltare la volontà dell’autore. La rubrica iniziale infatti sigilla il libro prima ancora del proemio e in essa lo scrittore suggerisce subito che per essere compreso il libro deve essere attraversato tutto. La voce dell’autore influenza la struttura dell’opera: è presente nella rubrica iniziale, nel proemio, nell’introduzione, nel proemio a mezzo e nella conclusione, quindi tutti momenti in cui Boccaccio vuole rivolgersi al lettore. Alla fine di ogni giornata l’autore commenta e descrive con particolare attenzione le danze e le canzonette che sigillano ogni giornata, che possono costituire uno speciale canzoniere a parte, perché sigillano l’atto del racconto. Così come alla fine di ogni novella, alla fine di ogni giornata Boccaccio registra le reazioni dei protagonisti, dando anche indicazioni utili per il lettore rivelando in che modo occorre interpretare quei testi. Le rubriche, che precedono ogni novella, riassumono la trama del racconto orientando il lettore grazie all’enfatizzazione di alcuni temi. I luoghi più sensibili per la voce dell’autore sono quelli iniziali, quelli conclusivi e quello del proemio di mezzo, dove si difende dalle critiche e dalle accuse e tira in ballo l’onestà della propria operazione intellettuale. Queste soglie del testo ci consentono di identificare il pubblico che Boccaccio immagina e desidera per il proprio libro di novelle: Boccaccio dice in modo chiaro che il suo libro non deve essere dedicato agli intellettuali, ma la destinazione ideale sono i giardini, dove giovani onesti e maturi possono dilettarsi con la lettura di questo libro. Quindi il pubblico si amplia: non si comprende più solo le donne, ma anche i giovani. Boccaccio crea un nuovo spazio letterario rivolto a un pubblico più ampio, non solo più specialista. Il Decameron non è solo un libro di cento novelle, ma dà indicazioni su chi e come deve leggere queste novelle. Dante non si pone questi problemi perché scrive per l’umanità intera, mentre Boccaccio identifica un nuovo pubblico. A differenza della sublime perfezione della Commedia, il Decameron mostra tutte le imperfezioni e le contraddizioni. L’armonia assoluta non è più concepibile. La numerologia è usata sapientemente da Boccaccio. Il numero principale è il dieci: 10 ragazzi (anche se probabilmente i 3 ragazzi sono stati aggiunti più tardi), 10 giorni, 100 novelle (anche se sono 100 + 1, la Novella delle papere che però è lasciata incompiuta volutamente), 5 giorni lavorativi per raccontare le novelle. Poi si ha il numero sette: 7 ragazze, 7 giorni, 7 arti liberali, 7 virtù, 7 sacramenti, 14 giorni fuori casa per scampare la peste; e il numero tre: 3 ragazzi e la Trinità. La Bibbia e la Divina Commedia sono tra i modelli primari di Boccaccio, non solo per l’aspetto formale e letterario, ma anche e soprattutto per quello ideologico: vedi per esempio il numero 10 che riprende il decalogo di Mosè o i cento canti dell’opera dantesca. Il Decameron intende presentarsi sia come storia della rifondazione del mondo dopo il caos sociale e morale provocato dalla peste sia come storia di formazione che attraverso l’esperienza del male conduce i dieci novellatori e il lettore verso la virtù. Simmetrie e asimmetrie sono presenti anche nella brigata. La brigata è la struttura portante del libro. Boccaccio fa indovinelli per interrogarsi sulla presenza di questi ragazzi: nell’introduzione, ribadisce che questi personaggi sono anche persone reali, ma non gli ha dato il nome vero per tutelare l’onestà di questi giovani. Sono tutti nomi allegorici. Non c’è volontà di far emergere un solo personaggio nella brigata perché i dieci ragazzi diventano un solo unico personaggio che si identifica in un narratore di secondo grado. I personaggi compiono un duplice percorso: il primo individuale di purificazione interiore e l’altro collettivo di ricostituzione di una comunità regolata secondo morale e ragione. DIONEO - il nome omaggia Venere, quindi la lussuria - gli sono affidate alcune delle novelle più importanti - è esonerato dall’aderire del tema della giornata - novella sempre per ultimo - è il giullare del gruppo - incarna la sprezzatura, quindi l’imperfezione FIAMMETTA - riprende il romanzo epistolare Elegia a Madonna Fiammetta - nome amoroso per eccellenza PAMPINEA - incarna la piùmatura età e la saggezza e infatti è rinominata ʻla rigogliosa’ FILOMENA - amante del canto - riprende la destinataria del Filostrato EMILIA - riprende la protagonista del Teseida - è chiamata lusinghiera LAURETTA - omaggia la donna dell’amico Petrarca - riprende il lauro, simbolo della poesia NEIFILE - rappresenta la novizia d’amore - riprende la Vita Nova di Dante ELISSA - allude a Didone - rappresenta il nesso amore-passione PANFILO - rappresenta l’alter ego di Boccaccio FILOSTRATO - riprende il protagonista del Filostrato, il vinto d’amore Ci sono tre gradi di narrazione: 1- narratore di primo grado –> Boccaccio, che interviene nel proemio, nel proemio di mezzo e nella conclusione (livello extradiegetico) 2- narratore di secondo grado –> i dieci ragazzi (livello intradiegetico) 3- narratore di terzo grado –> i personaggi nelle novelle (livello diegetico o metadiegetico) La cornice del libro, composta dai personaggi, non dà staticità: non hanno solo un compito narratologico, ma anche un compito ideologico. La peste nera è l’occasione da cui muove la narrazione e si può considerare la vera cornice dell’opera, anche se i dieci giovani non la nominano mai durante la permanenza. Il libro si apre con buio, per indicare la rottura di ogni vincolo sociale che porta la società ad arrivare al punto più basso della storia: se non esiste una comunità, una famiglia, una civiltà, non esiste più nulla. Contro questo orrore però Boccaccio indica una possibile via di salvezza, che è solo temporanea: abbandonare Firenze per un breve periodo e rinchiudersi in un luogo lontano dove rievocare attraverso la letteratura il ritmo rassicurante di una vita civile e ordinata (ecco perché si elegge un re o una regina ogni giorno democraticamente). Questi giovani ricostruiscono una sorta di microsocietà, quasi rappresentando un’utopia politica: il mattino trascorre fra passeggiate campestri, danze, musica e canti; dopo il pranzo comunitario e il sonno (cui alcuni preferiscono la lettura e il gioco), i dieci giovani si ritrovano in giardino e nelle ore più calde del pomeriggio - dalle quindici al calar del sole - narrano ciascuno a turno una novella, sotto la guida di un re o di una regina eletta alla fine della giornata precedente; alla fine, prima e dopo la cena, altri momenti di svago, culminanti nell'esecuzione di una o più ballate, finché tutti si ritirano nelle loro camere. Sembra si fonda l’ideale della società cortese e l’ideale della società mercantile. Questa struttura tematica della cornice fa sì che molti critici portino avanti un paragone con la struttura del Decameron e la struttura della Commedia; ciò nonostante il messaggio del Decameron non è religioso e non consegna un messaggio di salvezza religiosa, ma più che altro allude a un orizzonte moderno. Boccaccio intende rivolgersi a un pubblico più ampio e diffuso portando un messaggio non trascendentale ma che si rivolge alla vita terrena senza alcun spiraglio ultra terreno. Boccaccio propugna sì la centralità del lettore e della sua autonoma interpretazione, ma al lettore nondimeno somministra alcune chiare linee guida cui attenersi, non solo per bene leggere, ma anche - di conseguenza - per bene vivere attraverso la cornice, perché è al suo interno che giornata dopo giornata vengono fornite, sia pure senza rigidità e senza semplificare o occultare la complessità spesso contraddittoria del reale, le coordinate utili a interpretare correttamente le novelle e a orientarsi nella selva delle vicende in esse narrate. La cornice è didattica perché fa sì che attraverso le novelle la brigata apprenda utili regole di comportamento e di vita, itinerante perché le novelle permettono ai giovani di trascorrere serenamente fuggendo tanto la noia quanto le tentazioni, ritardante perché sono le novelle ad allontanare dai dieci giovani il pericolo dell’epidemia e della corruzione morale. copie conosciute nel corso dei secoli, non tutte però disponibili perché in parte perdute o finite in collezioni private. Uno dei più importanti codici è il manoscritto Italiano 482 della Bibliothèque Nationale de France, di mano del fiorentino Giovanni d’Agnolo Capponi, copiato su pergamena in scrittura mercantesca che impiega lo stesso sistema di iniziali maiuscole usato nell’Hamilton 90 e dei diciotto disegni a penna che illustrano luoghi della cornice e passi di alcune novelle. Questo codice contiene un testo molto corretto ma proveniente da una prima redazione del Decameron risalente agli anni Quaranta-Cinquanta del Trecento. Uno dei più importanti codici è quello del 1384, copiato da Francesco di Amaretto Mannelli, oggi conservato nella Biblioteca Laurenziana (42.1). Questo codice è corredato da tantissime postille. La vulgata a stampa si è fondata sul codice Mannelli. La princeps esce nel 1470 presso la Tipografia del Terenzio a Napoli. Ma nel Quattrocento si privilegia la lettura di opere latine, così il Decameron è lasciato da parte. Nel 1492 Squarzafico pubblica un’edizione a Venezia, segnando un passaggio di mentalità e la nascita di un impegno filologico e linguistico sul testo. Nel 1527 la tipografia degli eredi di Filippo Giunta a Firenze, che prende appunto dal codice Mannelli, dà vita alla vulgata. Nel 1559 il Decameron viene messo nell’Indice ed è censurato dall’Inquisizione. Viene purgato a partire dall’edizione fiorentina dei Deputati del 1573, guidata da Vincenzo Borghini, chiamata “rassettatura”, e poi ricorretta da Lionardo Salviati nel 1582, che sviluppano il mito del Codice Mannelli di cui si pubblica un’edizione diplomatica nel 1761. Le edizioni ottocentesche e primonovecentesche di Fanfani nel 1857 e di Massera nel 1927 non iniziarono a cercare nella tradizione manoscritta, anche se l’edizione Massera prese in considerazione alcune lezioni del manoscritto berlinese Hamilton 90. Nel 1948 Alberto Chiari ipotizzò che il codice Hamilton 90 fosse l’autografo di Boccaccio, riprendendo gli studi di Barbi che affermava di essere contrario al “feticismo per un unico manoscritto”. Nel 1962 Vittore Branca e Pier Giorgio Ricci dimostrano che il manoscritto Hamilton 90 rappresentava l’autografo di Boccaccio. Negli ultimi anni della sua vita Boccaccio manifesta la volontà di tornare al capolavoro, trascrivendo la sua opera ma commettendo diversi errori, dovuti a disattenzione e vecchiaia. È dunque evidente che Boccaccio ha copiato da una bozza molto scorretta e probabilmente non in ottime condizioni, che dunque ha provocato errori nella fase di trascrizione: sono gli errori d’autore come trascorsi di penna, lapsus, aplografie, dittografie, salti per omeoteleuto, errori polari. Prima giornata tema improvvisato, ma sono quasi tutte novelle di motto e/o novelle incentrate sulla correzione dei vizi per mezzo della parola Pampinea Seconda giornata fortuna si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia, oltre alla sua speranza, riuscito a lieto fine Filomena Terza giornata industria chi alcuna cosa molto da lui disiderata con industria acquistasse o la perduta ricoverasse Neifile Quarta giornata amori con esito infelice coloro li cui amori ebbero infelice fine Filostrato Quinta giornata amori con esito felice ciò che ad alcuno amante, dopo alcuni fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse. Fiammetta Sesta giornata motti di spirito chi con alcuno leggiadro motto, tentato, si riscosse, o con pronta risposta o avvedimento fuggì perdita o pericolo o scorno. Elissa Settima giornata beffe ai mariti le beffe, le quali, o per amore o per salvamento di loro, le donne hanno già fatte a 'lor mariti, senza essersene avveduti o sì. Dioneo Ottava giornata beffe a uomini e donne quelle beffe che tutto il giorno o donna ad uomo, o uomo a donna, o l'uno uomo all'altro si fanno Lauretta Nona giornata tema libero, sembra avere una funzione di riepilogo e ricapitolazione, come per sgombrare il terreno ai nobili esempi di virtù che si susseguiranno nella giornata finale Emilia Decima giornata gentilezza e cortesia chi liberalmente ovvero magnificamente alcuna cosa operasse intorno a fatti d'amore o d'altra cosa Panfilo La parodia è uno degli strumenti primari di cui Boccaccio si serve nel Decameron per suscitare il diletto e una delle modalità con le quali più spesso rielabora le sue fonti. Dal gioco parodico il lettore che ne comprende i meccanismi e che riconosce gli oggetti sui quali esso si esercita ricava non solo il piacere intellettuale prodotto dal loro capovolgimento ironico e demistificante, ma anche lo stimolo a riflettere su aspetti nascosti o insospettati dei testi letterari e della realtà stessa, oltre all'invito a non prendere troppo sul serio ciò che ascolta o ciò a cui assiste. La parodia ha anche funzione di allentare la tensione, assicurando la varietà di toni che è fondamentale in un libro di novelle per non compromettere la sua finalità dilettevole. Ma è sul versante della parodia religiosa che Boccaccio gioca le sue carte migliori. Niente viene risparmiato: il sacramento della confessione, la pubblicistica sulla buona morte e quella sui santi laici (1 1, ser Ciappelletto), il culto delle reliquie e la letteratura sui pellegrinaggi in Terrasanta (VI 10, nel discorso sconclusionato e pieno di doppi sensi di frate Cipolla), e penitenze (III 4, dove la singolare penitenza notturna imposta a Puccio di Rinieri da don Felice permette a quest'ultimo di intrattenersi piacevolmente con la giovane sposa di lui); agiografia e le pie leggende dei santi (nella I 1, ovviamente, ma anche nella lI 2, dove il Padre Nostro di San Giuliano', protettore dei viandanti, non salva il mercante Rinaldo d'Asti dai briganti che lo derubano, ma in compenso gli procura alla fine il «buon albergo» - in senso erotico - della bella vedova di Castel Guglielmo; e nella III 10, dove l'eremita che insegna ad Alibech a «rimettere il diavolo in Inferno» porta il nome di Rustico, il giovane cui san Girolamo in una sua celebre epistola fornisce preziosi consigli per una perfetta vita monastica, fra i quali quello di fuggire le donne, per non cadere in pensieri peccaminosi), le visioni e le storie di viaggi e soggiorni nell'aldilà o di morti che tornano fra i vivi e raccontano del mondo ultraterreno (III 8: l'abate tiene recluso dieci mesi Ferondo in un sotterraneo, facendogli credere che si trova in Purgatorio, e nel frattempo se la spassa con la bella moglie di lui, dalla quale ha anche un figlio), gli exempla (V 8, dove lo spettacolo della caccia infernale, solitamente evocato dai predicatori per esortare i fedeli a fuggire la lussuria, convince invece la ritrosa figlia di Paolo Traversari a sposare Nastagio degli Onesti, e serve a esortare le donne a essere «più arrendevoli a' piaceri degli uomini»; ma si può citare anche l'apologo delle papere, la cui morale non è, come di norma nelle fonti, quella di stare alla larga dalle donne, ma viceversa quella di non reprimere nei giovani il naturale desiderio amoroso). In alcuni casi la parodia religiosa sfiora la blasfemia. Le tematiche alte sono in genere assenti nel Decameron e, se vi compaiono, vengono toccate tangenzialmente e in una prospettiva pratica, non teorica, come prevede lo statuto della novella. Così avviene per la religione e per le questioni teologiche come si può vedere nelle prime due novelle della prima giornata; così avviene per la Fortuna, ma intorno alla quale Boccaccio si astiene da qualunque riflessione filosofica limitandosi per bocca dei due narratori più saggi e più colti a considerazioni generali di ordine morale, il cui scopo non è chiarire la sua essenza, ma insegnare da un lato a non fare affidamento sui beni mutevoli e instabili che essa elargisce ed accontentarsi di ciò che Dio ci dà; così avviene per la grande storia, per la politica e per l’alta cultura visto che le crociate e le guerre sono solo uno sfondo per storie d’amore o di avventura, imperatori, principi, re e papi (Filippo II re di Francia, Cangrande della Scala, Ottaviano Augusto, il Saladino, Bonifacio VIII, Carlo I d’Angiò) sono figure di contorno o sorpresi nel privato, artisti, filosofi e poeti (Giotto, Guido Cavalcanti, Cecco Angiolieri) sono presenti solo nelle novelle comiche di motto o di beffa. Il Decameron sconsiglia interpretazioni troppo unilaterali sia perché il suo fondamento è la medietas, che consiste nel contemperamento di istanze diverse e anche fra loro contrastanti (come lo sono le diverse parti e inclinazioni dell'animo umano, ciascuna delle quali - pur nel rispetto di una precisa gerarchia interna - merita di essere accolta e debitamente valorizzata), sia perché per la sua stessa natura, che non è quella di un trattato o di un poema dalla ferrea struttura argomentativa, ma il libro volutamente conserva un margine di insolubile ambiguità. Decameron e Corbaccio sono libri complementari: il secondo, a prescindere dalla sua datazione, continua il primo, ne è per certi versi la palinodia, ma per altri il necessario completamento, che sviluppa istanze e umori già serpeggianti nel libro di novelle. Chi insegna ad amare scrive anche per mettere in guardia contro l'amore; chi ferisce sa anche curare, dichiara Ovidio nei Remedia amoris (v. 41-48), come la terra, che produce sia erbe velenose che erbe medicinali. è previsto dalla tradizione, e certo per Boccaccio non si trattava solo di un retorico gioco delle parti. Il Corbaccio potrebbe essere stato scritto anche con l'intento di prendere almeno in qualche misura le distanze dalle sezioni più spregiudicate del Decameron, che, come dimostra la lettera a Mainardo Cavalcanti del 1372, continuarono per lungo tempo a creare non pochi imbarazzi al suo autore. La nobilitazione della novella è condotta nel Decameron con varie modalità: curando più scrupolosamente l’elaborazione stilistica e retorica dei racconti; incrementando l’effetto di realtà, grazie a un’ambientazione storica e geografica sempre attenta alla ricchezza e alla precisione dei dettagli, e grazie a un più approfondito scavo psicologico dei personaggi; scrivendo testi più lunghi e complessi; organizzando le novelle in un vero e proprio libro dotato di una struttura solida e meditata; rafforzando l’autorialità, ossia la presenza di Boccaccio autore e uomo al fine di ribadire la proprietà letteraria del libro e in particolare del suo impianto formale. Con il Decameron Boccaccio fa per la novella ciò che con la Commedia Dante aveva fatto per il poema didattico-allegorico o ciò che Petrarca con il Canzoniere stava facendo in quegli stessi anni per la poesia lirica che prima di allora nessuno fra i moderni aveva trasformato in un libro. Il primo e più significativo passo compiuto da Boccaccio per introdurre l'umile novella nel dominio dell'alta letteratura è stato proprio quello di sottrarla alla sua congenita dispersione, inserendola all'interno di una forma-libro costruita con la massima cura architettonica. Il modello è ovviamente quello della Commedia (cento novelle, come cento canti), ma al tempo stesso quello dei Fragmenta, di cui nei primi anni Cinquanta Petrarca aveva già allestito una prima forma, e che col Decameron condividono l'idea di raccogliere in base a un preciso disegno strutturale e concettuale testi in parte già composti e nati come scritti sparsi. Influenza di Dante - il sottotitolo riprende il Canto V dell’Inferno - la bipartizione novelle/cornice è debitrice dello schema poesie/prose della Vita nova, dove le parti prosastiche creano un tessuto narrativo che serve a collegare e a strutturare testi preesistenti e di per sé autonomi - alcune novelle riprendono situazioni e personaggi della Commedia: Guido Cavalcanti, Ciacco e Filippo Argenti Influenza di Petrarca - ai primi anni Cinquanta, dovrebbe risalire il sonetto proemiale del Canzoniere (Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono) che probabilmente Boccaccio ha sotto gli occhi quando scrive il Proemio del Decameron: entrambi i testi presentano il libro cui preludono come opera di un autore faticosamente uscito dalle tormentose esperienze d’amore della giovinezza, e che pertanto può offrirsi come exemplum per quanti ancora vi siano invischiati Il primo grande lettore del Decameron è stato Petrarca, che non lo degnò di grande attenzione essendo in volgare e in prosa, portando a una lettura antologica e obliterando la cornice considerata di stampo medievale. Il dopo-Boccaccio si muove lungo binari che in molti casi portano lontano dall’aureo modello del Decameron: ⁕ indebolimento della struttura-libro portando le novelle a essere divise tra di esse, come il Trecentonovelle di Franco Sacchetti ⁕ traduzioni latine, sia in prosa che in versi, di singole novelle boccacciane, da parte di noti umanisti (come Antonio Loschi, Leonardo Bruni, Filippo Beroaldo il Vecchio, Jacopo Bracciolini, Bartolomeo Facio) che prediligono le novelle tragiche, patetiche e morali, soprattutto la IV 1 e la X 8 ⁕ versificazione di singole novelle, soprattutto d’amore, d’avventura o di beffa, nel metro dell’ottava e nello stile del cantare ⁕ accentuazione ed esasperazione dei registri, ossia i suoi successori riscrivono con una comicità sguaiata, plebea e crudele (come Sacchetti), con un erotismo licenzioso ed esplicito (come Fortini), dell’ostentazione del cruento, del grottesco, del mostruoso e dell’orrido (come Masuccio Salernitano) ⁕ specializzazione degli autori e delle opere ⁕ tendenza alla riduzione dell’ampio spettro stilistico e tematico della novella boccacciana, favorita dalla messa Umana cosa è aver compassione degli afflitti: e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto li quali già hanno di conforto avuto mestiere e hannol trovato in alcuni; fra quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno o gli fu caro o già ne ricevette piacere, io sono uno di quegli. → si accampa la voce dell’autore nel testo (io sono uno di quegli), anche se è uno dei pochi luoghi in cui il personaggio dell’autore prende parola → la parola compassione invita i lettori a provare empatia: è una cosa umana sentire compassione per coloro che stanno male → il personaggio dell’autore sa bene cosa vuol dire essere afflitto e ha provato questo dolore Per ciò che, dalla mia prima giovinezza infino a questo tempo oltre modo essendo acceso stato d’altissimo e nobile amore, forse più assai che alla mia bassa condizione non parrebbe, narrandolo, si richiedesse quantunque appo coloro che discreti erano e alla cui notizia pervenne io ne fossi lodato e da molto più reputato, nondimeno mi fu egli di grandissima fatica a sofferire, certo non per crudeltà della donna amata, ma per soverchio fuoco nella mente concetto da poco regolato appetito: il quale, per ciò che a niuno convenevole termine mi lasciava un tempo stare, più di noia che bisogno non m’era spesse volte sentir mi facea → fin dalla giovinezza, è stato infuocato da un amore ma tra i due c’era disparità sociale e questo amore fu di grandissima fatica → riferimento ai fondamentali luoghi comuni della cultura medievale in tema d’amore, pervasivi sia tramite le compilazioni di trattati (come De amore di Andrea Cappellano) sia tramite la poesia lirica (la donna crudele) e dei romanzi di cavalleria (con tanti eroi che per amore perdono il senno) → soverchio fuoco e poco regalato appetito alludono alla dimensione dell’eccesso e dell’irrazionalità che portano a sofferenza e morte Nella qual noia tanto rifrigerio già mi porsero i piacevoli ragionamenti d’alcuno amico e le sue laudevoli consolazioni, che io porto fermissima opinione per quelle essere avvenuto che io non sia morto. → l’amore e l’amicizia sono valori fondamentali affinché l’uomo possa stare al mondo: Boccaccio riconduce la composizione del Decameron a unmoto di gratitudine, cioè al suo desiderio di ricambiare l'aiuto ricevuto quando, negli anni passati, stava soffrendo terribilmente per colpa di un amore smisurato e sregolato, dal quale afferma di essere uscito vivo solo grazie ai conforti e ai ragionamenti degli amici; ragionamenti che ora, sotto forma di novelle utili e insieme piacevoli, egli intende offrire alle donne, le quali - vivendo spesso chiuse in casa e non potendo distrarsi, come i loro mariti, padri, fratelli e amanti, con attività ludiche e lavorative - sono esposte più degli uomini allamalinconia, cioè alla malattia d'amore. Con i suoi ragionamenti Boccaccio intende presentarsi come compassionevole, discreto e saggio consigliere di chi ama, e specialmente delle donne che amano Ma sì come a Colui piacque il quale, essendo Egli infinito, diede per legge incommutabile a tutte le cose mondane aver fine, il mio amore, oltre a ogn’altro fervente e il quale niuna forza di proponimento o di consiglio o di vergogna evidente, o pericolo che seguir ne potesse, aveva potuto né rompere né piegare, per sé medesimo in processo di tempo si diminuì in guisa, che sol di sé nella mente m’ha al presente lasciato quel piacere che egli è usato di porgere a chi troppo non si mette né suoi più cupi pelaghi navigando; per che, dove faticoso esser solea, ogni affanno togliendo via, dilettevole il sento esser rimaso. → Dio, che è l’unico essere infinito, pone fine a tutte le cose terrestre e pure alla sua pena d’amore. Quest’amore ha lasciato nella mente solo quel piacere che esso offre ordinariamente a chi non si azzarda a navigare nelle acque profonde della passione. Quindi mentre un tempo questa passione causava noia e fatica, ora gli è rimasta piacevole. → Branca nota che la prosa ha sapore endecasillabico Ma quantunque cessata sia la pena, non per ciò è la memoria fuggita de’ benefici già ricevuti, datimi da coloro à quali per benivolenza da loro a me portata erano gravi le mie fatiche: ne passerà mai, sì come io credo, se non per morte. E per ciò che la gratitudine, secondo che io credo, trall’altre virtù è sommamente da commendare e il contrario da biasimare, per non parere ingrato ho meco stesso proposto di volere, in quel poco che per me si può, in cambio di ciò che io ricevetti, ora che libero dir mi posso, e se non a coloro che me atarono alli quali per avventura per lo lor senno o per la loro buona ventura non abbisogna, a quegli almeno a qual fa luogo, alcuno alleggiamento prestare → l’autore identifica chi sono i destinatari dell’opera → anche se la passione amorosa è cessata, la memoria dell’effetto benefico offerta dai suoi amici è ancora presente. L’autore intende aiutare coloro che hanno bisogno di alleggerire dalle pene di amore. E quantunque il mio sostentamento, o conforto che vogliam dire, possa essere e sia à bisognosi assai poco, nondimeno parmi quello doversi più tosto porgere dove il bisogno apparisce maggiore, sì perché più utilità vi farà e si ancora perché più vi fia caro avuto. E chi negherà questo, quantunque egli si sia, non molto più alle vaghe donne che agli uomini convenirsi donare? → gli afflitti sono i primi destinatari dell’opera, quindi le donne, che per il codice dell’onestà sono costrette a tenere nascoste nei loro cuori le fiamme d’amore Esse dentro à dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amorose fiamme nascose, le quali quanto più di forza abbian che le palesi coloro il sanno che l’hanno provate: e oltre a ciò, ristrette dà voleri, dà piaceri, dà comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il più del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgendo diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre sieno allegri. E se per quegli alcuna malinconia, mossa da focoso disio, sopravviene nelle lor menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: senza che elle sono molto men forti che gli uomini a sostenere; il che degli innamorati uomini non avviene, sì come noi possiamo apertamente vedere. Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciò che a loro, volendo essi, non manca l’andare a torno, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare, pescare, cavalcare, giucare o mercatare: de’ quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animo a sé e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, con un modo o con altro, o consolazion sopraviene o diventa la noia minore → qua si sente la denuncia dell’autore verso la condizione pessima delle donne nel Trecento: gli uomini hanno varie possibilità di svago, mentre le donne sono chiuse in casa → Boccaccio dedica alle donne un’opera ricca di sperimentalismo: scritto in volgare e con un genere rinnovato Adunque, acciò che in parte per me s’ammendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sì come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi più avara fu di sostegno, in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all’altre è assai l’ago e ʻl fuso e l’arcolaio,intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistelenzioso, tempo della passata mortalità fatta, e alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto. Nelle quali novelle piacevoli e aspri casi d’amore e altri fortunati avvenimenti si vederanno così né moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le già dette donne, che queste leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate e utile consiglio potranno pigliare, in quanto potranno cognoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire. Il che se avviene, che voglia Idio che così sia; a Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi dà suoi legami m’ha conceduto il potere attendere à lor piaceri. → quest’opera deve dilettare e ammaestrare allo stesso tempo: deve insegnare come fuggire i vizi e come seguire le virtù –> le virtù prese in esame sono per alcuni quelle del mondo cortese che Boccaccio vorrebbe contrapporre alla degenerazione della moderna società mercantile e comunale, mentre per altri si critica i tradizionali valori cortesi e si canta l’epopea dei mercanti e della nascente borghesia –> i vizi presi in esame sono la meschinità (o parvicentia, ossia il vizio di chi, solitamente generoso, è colto da episodica avarizia o parsimonia nel dare), l’avarizia (distinta tra quella di chi troppo desidera accumulare e quella di chi non vuole donare), l’intemperanza, la malvagia ipocrisia e la pusillanimità (consiste nell’astenersi, per pigrizia e per poca conoscenza di sé, dalle azioni più nobili, delle quali pure sarebbe capace e degno → Boccaccio mette sullo stesso piano le definizioni ʻhistorie’, ʻparabole’ e ʻfavole’ per indicare le novelle, in senso di racconto: alcuni ritengono che qui Boccaccio voglia adottare per i suoi testi il più recente termine novelle, distinguendolo scrupolosamente dai tre termini con i quali sarebbero designate secondo la tradizione le forme di racconto teorizzate da Cicerone nel De inventione (la fabula né vera né verosimile, l’argumentum non vero ma possibile, l’historia narrazione di eventi realmente accaduti), forme che egli rifiuterebbe per rifondare il genere su basi nuove e meno rigide; altri invece, come Lucia Battaglia Ricci, credono che novelle sia il termine generale nel quale sono compresi i tre termini seguenti che designerebbero dunque altrettanti sottogeneri della novella stessa e ciò perché nel Decameron le novelle sono racconti di fantasia (favole) presentati come se fossero storie vere (istorie) che forniscono insegnamenti morali (parabole). Il proemio mette in scena una rappresentazione canonica dell’autore perché se avessimo letto tutte le opere di Boccaccio qua si riconoscerebbe la sua voce –> nel proemio del Filostrato si descrive come dilaniato dalla passione d’amore per Filomena, a differenza del proemio del Decameron dove questa passione è diventata delicata e pacata –> Boccaccio è diventato uno scrittore maturo perché ogni passione si è spenta e ora può guardare quel giovane condannato vivere in modo tumultuoso la passione d’amore –> Boccaccio è pronto per un racconto realistico e universale –> esibisce un messaggio: il fatto di non essere più innamorato esclude l’opzione dell’autobiografismo e la scrittura è diventata ora consolazione non più per sé ma per un pubblico più vasto Prima giornata👑: Pampinea Boccaccio riprende la voce ed è intonata in modalità che non sono più quelle autobiografiche (come era nel proemio), sperimentando una nuova modulazione narrativa: la voce di Boccaccio diventa la voce del cronista. Infatti Boccaccio presenta la peste come un fatto non solo italiano: molti cronisti del tempo volevano evitare la descrizione dell’epidemia, mentre Boccaccio la ritiene fondamentale. L’autore usa come fonte l’Historia Langobardorum (787-789) del grammatico Paolo Diacono, in cui si descrive una pestilenza scoppiata in Liguria, molto breve ma che è rimasta nella mente di Boccaccio portandolo a mutuare il timbro della narrazione nella sua opera, cambiando l’ordine degli elementi narrativi: parte come Diacono nella descrizione dei sintomi, poi le conseguenze sociali, la desolazione profonda delle città e delle campagne, la inversione delle abitudini tra gli uomini e le bestie (gli uomini sono arresi allo sfacelo e sono parte del degrado morale, mentre le bestie seguono i ritmi primordiali della loro vita), ma concentrandosi principalmente sulla dimensione urbana della calamità, mentre Diacono si era concentrato su quella agraria. Quindi Boccaccio descrive la condizione di partenza, definita come un orrido cominciamento necessario per giungere al bellissimo piano e dilettevole, ossia le novelle. Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn’altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d’inumerabile quantità de’ viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata. → la peste è evocata come una nera nube che dall’Oriente avanza verso l’Italia come avanzerebbe la morte E non come in Oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva il sangue del naso era manifesto segno di inevitabile morte: ma nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno uovo, e alcune più e alcun’ altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno. → la descrizione consegna al lettore il senso profondo della fatalità del morbo e l’inconoscibilità del male e delle sue cause, creando sgomento e paura → a Boccaccio interessa narrare la realtà e il suo referto oggettivo: queste prime pagine sono intrise di paura e di intimo terrore da diffondere nel lettore: la peste non si evita, non si cura, non si scampa → qua il cronista è anche testimone perché Boccaccio ha vissuto sulla propria pelle l’epidemia Essendo gli stracci d’un povero uomo da tale infermità morto gittati nella via publica e avvenendosi a essi due porci, e quegli secondo il lor costume prima molto col grifo e poi co’ denti presigli e scossiglisi alle guance, in piccola ora appresso, dopo alcuno avvolgimento, come se veleno avesser preso, amenduni sopra li mal tirati stracci morti caddero in terra di perorazione). Pampinea dice che alcuni membri delle famiglie le hanno lasciate sole (io, di molta famiglia, niuna altra persona in quella se non la mia fante trovando, impaurisco e quasi tutti i capelli addosso mi sento arricciare), mentre loro andando via non abbandonano nessuno (mi pare che niuna persona, la quale abbia alcun polso e dove possa andare, come noi abbiamo, ci sia rimasa altri che noi.). Pampinea poi lancia una sorta di invettiva verso i becchini, chiamati feccia del nostro sangue riscaldata, che si fanno pagare per portar via i corpi morti. Quindi queste fanciulle cercano un parziale rifugio e una parziale salvezza e sognano un simulacro di normalità che possa ricondurle al loro essere donne cittadine di Firenze. La prima giornata, come la nona giornata, è senza un tema fisso, ma si hanno differenze tra le due giornate: nella nona giornata la regina è Emilia che dà libertà di tema nelle novelle, mentre nella prima giornata la regina è Pampinea che dà le basi delle narrazioni. La prima giornata non è a tema libero, ma a tema improvvisato. Le prime tre novelle sono accomunate dall’atmosfera religiosa - anche se affrontate in modo leggero e comico come si addice al genere novellistico -, le ultime sette sono accomunate dalla presenza delmotto che ha un valore fondamentale e fondativo nel libro. La quarta novella prende l’atmosfera religiosa e la fonde con l’importanza della presenza del motto. Novella prima Rubrica: Ser Cepperello con una falsa confessione inganna uno santo frate, e muorsi; ed essendo stato un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto. Narratore Panfilo: presenta e spiega la storia di Ciappelletto come un esempio del fatto che Dio accoglie le nostre preghiere, se sincere, anche se scegliamo come intermediario un santo fasullo e indegno, perché guarda soltanto alla purezza del nostro cuore Protagonisti ser Cepparello da Prato (notaio),Musciatto Franzesi (mercante), due fratelli fiorentini (usurai), un frate (confessore) Dove Parigi poi Borgogna Quando fine XIII - inizio XIV secolo La novella ha inizio nella società mercantile e ne delinea in modo atroce i difetti, perché si basa sull’avidità dei denari. In effetti la civiltà mercantile, nel Decameron, non pare depositaria di particolari e specifici valori, di una sua etica e di una sua cultura che possano essere additate a modello. I mercanti, nelle novelle, raramente fanno buona figura: la loro stupidità e credulità li porta spesso a essere derubati (Rinaldo d'Asti, Andreuccio, Salabaetto) o ingannati (Bernabò da Genova, Arriguccio Berlinghieri); l'avidità li spinge talora a rubare (Landolfo Rufolo), e neppure esitano a uccidere, se credono minacciato l'onore della famiglia e la rispettabilità della loro impresa commerciale (come i fratelli di Lisabetta). E vorrà pur dire qualcosa che il libro si apra con la novella di ser Ciappelletto, che è prima di tutto un fosco ritratto del mondo mercantile, e che nessun mercante figuri tra i protagonisti delle grandi novelle di virtù della X giornata. Il narratore dedica a Ciappelletto un ritratto volto volontariamente al negativo perché è presentato come l’esatto opposto di una persona per bene: è un falsario (Testimonianze false con sommo diletto diceva, richiesto e non richiesto), è un bestemmiatore (Bestemmiatore di Dio e de’ santi era grandissimo), è un miscredente (A chiesa non usava giammai; e i sacramenti di quella tutti, come vil cosa, con abominevoli parole scherniva), frequenta taverne e disonesti luoghi (le taverne e gli altri disonesti luoghi visitava volentieri e usavagli), è un semina zizzania (Aveva oltre modo piacere, e forte vi studiava, in commettere tra amici e parenti e qualunque altra persona mali e inimicizie e scandali, de’ quali quanto maggiori mali vedeva seguire tanto più d’allegrezza prendea.), è un omicida (Invitato ad un omicidio o a qualunque altra rea cosa, senza negarlo mai, volenterosamente v’andava; e più volte a fedire e ad uccidere uomini colle propie mani si trovò volentieri), è goloso (Gulosissimo e bevitore grande, tanto che alcuna volta sconciamente gli facea noia). Ser Ciappelletto ha i sette vizi capitali. Il ritratto negativo è funzionale per delineare il personaggio che incarna il male e che rappresenta l’Inferno. La confessione inizia con i caratteri dell’eccezionalità perché sembra una performance di teatro creando un vero e proprio personaggio con i gesti e le parole. La novella introduce i meccanismi della beffa, che non è mai semplice inganno funzionale con scopo materiale, ma c’è sempre un carattere eccessivo. Gli spettatori di questa beffa sono i fratelli che origliano e Dio. Se osserviamo meglio, notiamo che l'ascolto di nascosto è un tema che assume un ruolo decisivo nella novella: senza che i due fratelli lo sappiano, Ciappelletto ascolta dalla sua stanza da letto il loro preoccupato ragionamento; senza che il frate se ne accorga, i due fratelli assistono divertiti allo scambio di battute col protagonista. Attenzione, però: il primo momento ha un valore strutturale nel racconto: Ciappelletto ascolta e prende una decisione che porta la novella al suo scioglimento; il secondo momento non ha invece nessuna funzionalità narrativa, giacché i fratelli non contribuiscono in alcun modo all'avanzamento della trama. Questa breve scena serve invece per rivelare un procedimento tipico di tutto il Decameron, ossia il fatto che i lettori si trovano in una condizione comunicativa privilegiata, in quanto sono informati della situazione nel suo complesso, restando osservatori esterni. Scenario e personaggi sono realistici e storicamente riconoscibili: dalla documentazione antica abbiamo notizie sull’attività di Musciatto in Francia ed è provata l’esistenza di un Cepperello Dietaiuti da Prato. Trama: Il mercante Musciatto Franzesi aveva bisogno di qualcuno che potesse riscuotere le tasse ai borgognoni. Scelse ser Ciappelletto, a causa della sua brutta fama, che accettò volentieri l’incarico e trovò dimora da due usurai fiorentini. Un giorno si ammalò gravemente e capì che era la fine della sua vita I due fratelli non sapevano come fare, poiché non sapevano dove sotterrarlo e avevano paura della loro fama, già in parte rovinata. Ciappelletto decise di chiamare un vecchio frate per confessarsi. Il padre gli chiese se avesse peccato in lussuria ma Ciappelletto dichiarò di essere vergine. Confessò un peccato di gola, ma il frate rassicurò la sua poca importanza; gli chiese se avesse peccato in avarizia ma gli rispose che guadagnava in elemosine, confessò di provare rabbia per coloro che non rispettavano la chiesa. Continuò con la sua lunga lista di peccati totalmente inventati, mentre il padre gli spiegava della poca importanza e valore. Ser Ciappelletto venne sepolto nel convento dei frati e dalla celebrazione del suo funerale fu proclamato santo per la sua deviazione in vita. Novella quinta Rubrica: La marchesana di Monferrato, con un convito di galline e con alquante leggiadre parolette, reprime il folle amore del re di Francia Narratore Fiammetta, caratterizzata dalle sue abilità retoriche e narrative Protagonisti Marchesana di Monferrato (marchesa), Filippo il Bornio (re di Francia) Dove Parigi e Monferrato Quando fine del XII secolo, verso la III crociata (1189-1192) Il motto è già presente nella rubrica perché la marchesa darà una vera e propria lezione al re di Francia respingendolo con leggiadre parolette (= messaggio verbale) e con convito di galline (=messaggio non verbale). La Marchesa non è di Monferrato per caso: Mon-ferrato è chiara allusione alla difesa della propria castità dato che ferrato indica ʻmunito, rinforzato con ferri’ e monte si riferisce all’organo sessuale femminile e alla ragione che resta salda e forte contro gli assalti della lussuria La marchesa è definita savia e avveduta perché sa il pericolo intorno a lei dato che è rimasta vedova. Il re di Francia, appena sa della notizia, si dirige verso lei. Lei capisce le intenzioni del re (E appresso entrò in pensiero che questo volesse dire, che un così fatto re, non essendovi il marito di lei, la venisse a visitare; né la ʻngannò in questo l’avviso, cioè che la fama della sua bellezza il vi traesse) e organizza un banchetto di galline per contrastare le volontà del re (E fatte senza indugio quante galline nella contrada erano ragunare, di quelle sole varie vivande divisò a’ suoi cuochi per lo convito reale.). Il re poi nota che ci sono solo galline da mangiare e chiede alla dama: Dama, nascono in questo paese solamente galline senza gallo alcuno, si tratta di una battuta insinuante: in questo paese non è rimasto alcun gallo, quindi uomo? Ecco che il re vuole diventare il ʻgallo’, quindi l’uomo che la conquista. La dama dà una risposta che la salva da questa situazione di difficoltà: le donne possono essere diverse per abbigliamento e grado sociale, ma sempre donne sono così come le galline seppur cucinate in modo diverso sempre galline sono. Quindi invita il re a rivolgere le sue attenzioni verso un’altra donna perché non esiste solo il castello di Monferrato. Il re comprese la virtù nascosa nelle parole e capì che era difficile ingannare una donna di così alto ingegno, così se ne andò. La marchesa è una donna, una nobile, una feudataria ma di posizione inferiore rispetto al re, quindi sarebbe stato complicato far arrivare il messaggio al re. Quindi cerca una via secondaria efficace: prima il mezzo non verbale (il banchetto di galline) e poi il mezzo verbale (il motto). Il codice attraverso il quale la donna può difendere la sua onestà è un codice ludico e scherzoso. Il motto diviene quindi un modo per eludere la rigidità e la codificazione tra classi sociali diverse. L’abilità di parola e la capacità di saper usare le parole è una dote dell’uomo, che Boccaccio esalta e dimostra. Il motto è interattivo, perché mostra la reazione del re che intende il messaggio della marchesa: il motto è l’incontro tra due intelligenze. Seconda giornata👑: Filomena Incomincia la seconda giornata, nella quale, sotto il reggimento di Filomena, si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia, oltre alla sua speranza, riuscito a lieto fine. Già per tutto aveva il sol recato colla sua luce il nuovo giorno e gli uccelli, su per gli verdi rami cantando piacevoli versi, ne davano agli orecchi testimonianza, quando parimente tutte le donne e i tre giovani levatisi ne’ giardini se n’entrarono e le rugiadose erbe con lento passo scalpitando, d’una parte in un’altra, belle ghirlande faccendosi, per lungo spazio diportando s’andarono. E sì come il trapassato giorno avean fatto, così fecero il presente: per lo fresco avendo mangiato, dopo alcun ballo s’andarono a riposare, e da quello appresso la nona levatisi, come alla loro reina piacque, nel fresco pratello venuti, a lei dintorno si posero a sedere. Ella, la quale era formosa e di piacevole aspetto molto, della sua ghirlanda dello alloro coronata, alquanto stata e tutta la sua compagnia riguardata nel viso, a Neifile comandò che alle future novelle con una desse principio; la quale, senza scusa alcuna fare, così lieta cominciò a parlare. La seconda giornata è il regno della fortuna. Si tratta della prima giornata con un tema definito, ma che non è generale. Filomena, la regina della giornata, dice che tutti gli uomini sono stati condotti dalla fortuna: gli uomini devono sottostare alle leggi della fortuna, perché tutti siamo sottoposti ai suoi capricci. La fortuna diventa l’arbitro delle azioni umane, influenzando il destino degli uomini. Boccaccio usa uno schema narrativo ricorrente per mostrare le modalità in cui la fortuna si manifesta nelle novelle: 1. il personaggio protagonista deve essere da diverse cose infestato, 2. tutte le novelle si devono concludere a lieto fine, 3. le novelle devono concludere a lieto fine oltre la speranza del protagonista. Si nota che tutte le novelle sono accomunate dal tema del viaggio, distinto a seconda: impresa liberamente perseguita (1, 2, 4, 5), necessità per sottrarsi a un pericolo o a una difficoltà (3, 6, 8, 9), movimento indesiderato nonostante l’esito positivo (7, 10). Lo schema narrativo del viaggio si rivela spesso legato alla dimensione economica e appunto i protagonisti sono per lo piùmercanti (2, 3, 4, 5, 9) La fortuna si manifesta nella vita dei mercanti nella seconda, terza, quarta e quinta novella quindi sono definite novelle mercantesche; mentre nelle novelle sesta, settima, ottava e nona sono rilevanti le peripezie complesse della fortuna, ricche di perdite, travestimenti, ricongiungimenti, quindi sono come novelle romanzo. La decima novella è esemplare della funzione di Dioneo all’interno del libro. Prima di Boccaccio i mercanti non erano entrati in letteratura. Si tratta di un dato di assoluta novità e coraggio. Novella prima Narratore Dioneo, che si conforma al privilegio di poter non sottostare al tema della giornata Protagonisti Riccardo di Chinzica (giudice), Bartolomea Gualandi (moglie di Riccardo, nobile giovane pisana), Paganino da Mare (corsaro) Dove Pisa (Boccaccio tira frecciatine ai pisani: come come che poche ve n’abbiano che lucertole verminare non paiano, per descrivere la bruttezza delle donne pisane) → Montenero → Pisa → Montenero → Monaco → Pisa → Monaco Quando imprecisato, passato remoto Si tratta di una novella erotica, quindi è destinata a suscitare la reazione della brigata, soprattutto delle donne. Dioneo ha il compito di parodiare i temi delle giornate, senza però mai infrangere l’onestà. Questo carattere di Dioneo è ribadito nel prologo e nella conclusione della novella: Ciascuno della onesta brigata sommamente commendò per bella la novella dalla loro reina contata, e massimamente Dioneo, al quale solo per la presente giornata restava il novellare. Il quale, dopo molte commendazioni di quella fatte, disse. Belle donne, una parte della novella della reina m’ha fattomutare consiglio di dirne una che all’animo m’era, a doverne un’altra dire; e questa è la bestialità di Bernabò, come che bene ne gli avvenisse, e di tutti gli altri che quello si danno a credere che esso di creder mostrava, cioè che essi andando per lo mondo e con questa e con quella ora una volta ora un’altra sollazzandosi, s’imaginano che le donne a casa rimase si tengano le mani a cintola, quasi noi non conosciamo, che tra esse nasciamo e cresciamo e stiamo, di che elle sien vaghe. La qual dicendo, ad un’ora vi mosterrò chente sia la sciocchezza di questi cotali, e quanto ancora sia maggiore quella di coloro li quali, sé più che la natura possenti estimando, si credono quello con dimostrazioni favolose potere che essi non possono, e sforzansi d’altrui recare a quello che essi sono, non patendolo la natura di chi è tirato. Ascoltando l’ultima novella della giornata sceglie di cambiare la novella da raccontare per narrare una in polemica opposizione della morale precedente: la novella precedente celebra la perfetta castità delle donne e la pazienza coniugale della protagonista che viene accusata di tradimento e il marito la condanna a morte per mano di un sicario; ma la donna sfugge dall’assassinio e si traveste da uomo diventando influente nella corte del sultano d’Oriente, dove poi riuscirà a mostrare la sua innocenza e tornare sposa di suo marito. Dioneo si infastidisce del fatto che gli uomini possano andare a giro a conquistare quante donne vogliono, mentre le donne sono costrette a rimanere a casa ad aspettare il marito. Dioneo non ci crede che la moglie sia davvero rimasta casta al marito mercante. Il desiderio sessuale è una cosa normale in uomini e donne, anche se nella società del tempo ne nega questa parità. Si tratta di una novella di cruda evidenza. La situazione narrativa è topica: una coppia malassortita composta da un giudice anziano incapace di far fronte alle necessità di questa giovane moglie. Quindi c’è una sproporzione che il narratore tende ad esibire tra la figura giovanile di Bartolomea e la figura anziana di Ricciardo. Si tratta di uno squilibrio anagrafico e intellettuale. Ma ci sono anche problemi sessuali, che portano Ricciardo a limitare i rapporti sessuali a una volta al mese in modo tale da non fare figuracce per le sue performance. Ciò porta la donna a sfiorirsi e invece portare il controllo autoritario del marito sulla ragazza. La fortuna interviene perché durante una gita Bartolomea viene rapita dal celebre corsaro Paganino che rimane incantato dalla bellezza della donna. Il giudice scopre che la moglie è a Monaco e decide di andare a prendersi la sua proprietà. Tra Paganino e Bartolomea però pare ci sia una vera e propria relazione (onoratamente come sua moglie la tenea). Bartolomea fa finta di non conoscere il giudice appena arriva a Monaco. Ciò che colpisce è l’incredulità di Ricciardo. Bartolomea spiega al marito i piaceri sessuali che ha scoperto e la legittimità di questi. Questo testo tramite le parole di una donna consegna al lettore l’ardita contestazione dei ruoli sociali dell’epoca: prima la donna è rinchiusa in casa in malinconia, ora con questa nuova vita si sente più onesta di quanto si sentisse prima. Accusa Ricciardo, da uomo dotto e sapio che era, di questa sofferenza interna della moglie. Non è un caso che una novella che parla della rivendicazione di diritti venga affidata al giullare della brigata: questo perché è l’unico che ha il coraggio di dire la verità, come in questo caso che donne e uomini dovrebbero avere gli stessi diritti. Terza giornata👑: Neifile La terza giornata inizia con lo spostamento della brigata in una seconda villa per impedire l’arrivo di gente nuova che potrebbe sia arrecare contagio, sia turbare la regolata vita del gruppo. Questo luogo pare un vero paradiso in terra e ciò simboleggia il progresso morale compiuto dalla brigata nei quattro giorni trascorsi in campagna. L'espressione «bello ordine», che designa la conformazione del luogo, riflette l'idea medievale della bellezza come integrità e proporzione delle parti; la disposizione rigorosamente geometrica del giardino è il prodotto di una razionalità conciliata con un elemento estetico finalizzato al diletto dei sensi più nobili (vista, udito, olfatto); la bellezza, e il piacere, non escludono però l'utile, visto che l'acqua della fonte, opportunamente incanalata, scende verso il piano, e serve a muovere due mulini del proprietario della villa. Su due aspetti merita soffermarsi in particolare: uno è, fra gli alberi e le piante che ornano il giardino, la presenza di aranci e cedri - simboli di eternità — e l'assenza del pino, tradizionale simbolo erotico, come nella letteratura cortese. L'altro è la fontana, che mancava nel precedente giardino e che qui, collocata esattamente nel mezzo, si fa ulteriore simbolo della vita che sempre si rinnova e si perpetua, come dimostra l'acqua limpidissima che essa getta verso il cielo. Non a caso, quindi, è presso questa fontana che i giovani - in fuga dalla morte, quella fisica e quella spirituale - si dispongono per narrare: come se la brigata, inizialmente ancora alla ricerca di coordinate sicure, trovasse solo ora, finalmente, il suo centro. La terza giornata è strettamente collegata alla seconda giornata. La terza giornata si apre con Incomincia la terza giornata nella quale si ragiona, sotto il reggimento di Neifile, di chi alcuna cosa molto da lui disiderata con industria acquistasse o la perduta ricoverasse: il tema chiave della giornata è l’industria, dote dell’individuo che designa un tipo di intelligenza (non astratta e speculativa) che rende capaci di leggere la realtà e manipolarla ai propri fini. L’industria sembra essere una dote tipica del ceto mercantesco, che innesca una sorta di dinamismo nella società. Ma colpisce il fatto che nella terza giornata non ci sia nemmeno un mercante. L’industria è declinata tutta in una direzione: l’erotismo, quindi è finalizzata al soddisfacimento dei piaceri. I personaggi di questa giornata appartengono a classi sociali variegate, dato che l’eros appartiene a tutti i ceti. I personaggi di queste novelle sono dediti alla ricerca di un oggetto d’amore. Per essere soddisfatto, l’impulso erotico deve passare dalla mente, ecco perché industriosità ed erotismo sono qua collegati. Boccaccio sottolinea che gli impulsi non devono essere banditi dalla letteratura. Le ipotesi sono due: 1. con industria acquistasse → l’industria dei protagonisti è applicata alla ricerca dell’oggetto desiderato quindi alla finalizzazione del rapporto erotico; 2. la perduta ricoverasse → si sviluppa la forma del romanzo in cui la persona amata si perde poi si recupera poi si riperde e poi si recupera. Novella prima Rubrica:Masetto da Lamporecchio si fa mutolo e diviene ortolano di uno monistero di donne, le quali tutte concorrono a giacersi con lui. Narratore Filostrato Protagonisti Nuto buono omicciuolo (contadino),Masetto di Lamporecchio (contadino), amministratore del monastero, badessa, otto monache Dove nostre contade Quando non ha gran tempo Si presenta il desiderio come puro istinto erotico. Qui non domina l’amore cortese, ma solo il desiderio sessuale di Masetto, che ha sentito parlare di questo monastero popolato da otto giovani monache più una badessa e vuole andarci. L’idea di questo luogo chiuso in cui le otto vergini vivono scatena il desiderio erotico del protagonista. Masetto decide di voler prendere il posto di Nuto, che si era licenziato perché non sopportava più il nervosismo di queste donne, fingendo di essere sordo muto, in modo tale da sembrare innocuo e non recare imbarazzo nelle donne. Colpisce come Boccaccio parli dell’eros delle donne, costrette il più delle volte a reprimere questi desideri; infatti la presenza del giovane solletica le fantasie e i desideri delle giovani. Attenzione che non c’è nessuna concezione romantica ma solo il raggiungimento del piacere. Il comportamento dei personaggi è guardato a distanza dall’autore ma mai dà un giudizio morale senza voler mai rappresentare la degenerazione dei costumi morali dell’epoca. Denuncia in realtà la soppressione dei desideri femminili che nella società del tempo non vengono riconosciuti per ipocrisia. Le leggi di natura sono in molti casi più importanti delle leggi degli uomini. Masetto è un contadino (giovane lavoratore forte e robusto), quindi anche un campagnolo può essere dotato di industria per raggiungere i propri scopi. Masetto infatti è in grado di leggere la realtà e decifrare il senso più profondo. L’azione fisica di lavorare l’orto mira a indicare l’attività sessuale di Masetto. Quarta giornata👑: Filostrato La difesa della legittimità della propria opera non è soltanto una finzione letteraria. Le principali accuse sono rivolte contro la presunta oscenità della materia narrata, quello che è importante sottolineare è l'autocommento presente nelle note del testo in cui Boccaccio ci dà delle informazioni su quello che scrive e dove tratta della sua condizione di autore che è ferito da queste accuse. Le accuse che vengono rivolte a Boccaccio sono cinque e lui le numera, le identifica con precisione e si difende: 1. la scelta delle donne come destinatari privilegiate dell'opera; 2. la presunta oscenità dell'opera perché un autore prossimo alla vecchiaia non dovrebbe trattare di ciò; 3. la futilità dei racconti, definiti ciance; 4. la scarsa remurinità delle novelle e quindi allo scarso quasi nullo rilievo letterario che aveva la novella; 5. la falsità della materia narrata, cioè Boccaccio non si è attenuto alle fonti note ma questo per lui è un tratto di originalità della novella. Boccaccio rivendica una piena autonomia stilistica, affermando che il linguaggio letterario deve adeguarsi solo alla qualità delle novelle, cioè all’organizzazione tematica e narrativa; sottolinea la centralità dell’intentio lectoris, affermando con decisione che è l’orizzonte culturale e morale di chi legge a orientare il senso. L'autore prende la parola e si definisce scosso da un vento impetuoso (ovvero l'invidia), che si è accanito anche contro di lui che si era ingegnato di andare lontano nelle valli per sperimentare la scrittura delle novellette perché scritte in volgar fiorentino, in prosa e senza titolo in uno stile umilissimo (Il che assai manifesto può apparire a chi le presenti novellette riguarda, le quali, non solamente in fiorentin volgare e in prosa scritte per me sono e senza titolo, ma ancora in istilo umilissimo). Senza titolo ha fatto pensare molto i critici: perché chiama il libro senza titolo se tiene molto alla struttura? Senza titolo è riferito ad un libro topico per Boccaccio, ovvero gli Amores di Ovidio. Il vento dell'invidia spiazza l'autore che cerca di difendersi dalle accuse. Boccaccio si presenta come lacerato dai morsi dell'invidia: si proclama uno scrittore gravemente ferito perché l'invidia colpisce tutti. Anaforicamente ritorna l'apostrofe alle donne che in apertura sono "carissime" e nel quinto paragrafo diventano discrete donne. Poi dice che le donne sono valorose e dice di essersi posto ad ascoltare le critiche con animo gentile e in parte neanche inteso alcune ragioni, compatisce i contemporanei che non riescono a capire. Qui interrompe la fase argomentativa e alla violenza risponde con la grazia del suo narrare. Boccaccio usa per difendersi anche l'inserimento della novella CI, la novella delle papere, ma rimasta incompiuta perché non doveva sovrastare le altre 100. La novella narra del fiorentino Filippo Balducci, divenuto vedovo, che è rimasto solo con il figlio e decide di vivere come un eremita sul monte Senario. Al compimento di 18 anni, il figlio gli chiede di poter andare in città, dove rimane incantato dalle architetture e poi poco dopo scorge una brigata di belle giovani donne e ornate; così chiede al padre cosa siano e lui, per non accendere nel figlio il desiderio, risponde che si tratta di ʻpapere’, ma il figlio rimane ancora troppo curioso. Così alla fine Filippo identifica con l’amore coniugale perché nella società del tempo il matrimonio era semplicemente un contratto o un’alleanza tra famiglie. Questa novella rivela la realtà sociale dell’epoca. Pasquino deve consegnare per le case la lana filata, mentre Simona è una filatrice. L’amore nasce all’interno di questa quotidiana dimensione lavorativa. I due si trovano in un giardino e Pasquino inizia a strusciarsi della salvia sui denti che provocano di lì a poco la sua morte. Lo Stramba, amico di lui, accusa la Simona di averlo avvelenato con l’amore, che crede alle sue parole. Arrivano gli altri compagni di lavoro di Pasquino che insistono sul fatto che la donna deve essere giustiziata. Il giudice chiede alla donna come sono avvenute davvero le cose dato che si era meravigliato della morte di Pasquino. Così anche Simonetta prende la foglia di salvia e se la strofina come aveva fatto il suo amante. Gli amici credono che lei stia perdendo tempo e che stia mascherando la sua vera malvagità (cattivella). Ma Simona non muore solo per la salvia, ma soprattutto il cuore ristretto dovuto alla soluzione. Il giudice non sa bene come reagire, poi riprende la facoltà della ragione: Mostra che questa salvia sia velenosa, il che della salvia non suole avvenire. Ma acciò che ella alcuno altro offender non possa in simil modo, taglisi infino alle radici e mettasi nel fuoco. Si scopre che sotto la salvia si celava un rospo: a quei tempi si credeva che la saliva dei rospi fosse velenosissima. Quindi si brucia tutto. I personaggi sono caratterizzati da soprannomi parlanti: Stramba, Atticciato e Malagevole. La novella piacque a Vasco Pratolini, che la prese come ispirazione per Cronache di due poveri amanti e definì i due personaggi come “amanti senza parole” condannati a vivere un amore tragico. Quinta giornata👑: Fiammetta La quinta giornata è simmetrica alla quarta giornata. La regina è Fiammetta e il tema sono gli amori finiti bene: si ragiona di ciò che ad alcuno amante, dopo alcuni fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse. La rubrica pare alludere a uno schema tripartito della narrazione: 1. la situazione di partenza tratta di due amanti felici, 2. fase di perturbazione della quiete e del piacere iniziale, 3. lieto fine per i due amanti. Le novelle appaiono simili alla quarta giornata fino al punto della perturbazione della quiete, perché poi in queste novelle il finale diventa lieto. Intervengono nella trama dei fattori di immersione narrativa, legati a riconoscimenti improvvisi e ad ambizioni che rivelano come l’amante da indegno è ritenuto degno. Per i pregiudizi sociali si cercano soluzioni sanatorie. Regnano i colpi di scena, soprattutto finali. I personaggi non conquistano la giornata grazie a un benefattore esterno provvidenziale, ma si guadagnano personalmente la loro felicità grazie alla loro industriosità rovesciando il finale tragico e trasformandosi in eroi. Gli amori della V giornata, tutti coronati dal matrimonio (si ricordi che il cinque è nella tradizione pitagorica il numero che simboleggia l'unione nuziale), si collocano senza dubbio su un piano più alto di quelli tragici della IV giornata; e il passaggio a una ben diversa e anzi opposta ideologia dell'amore è marcato fin dalla novella iniziale, quella di Cimone, il rozzo contadino che quando vede la bellissima Efigenia è colto non da desiderio carnale, ma da un nobile sentimento che lo ingentilisce e lo spinge in breve tempo a diventare «il più leggiadro e il meglio costumato e con più particolari virtù» fra tutti i giovani di Cipro. Queste pagine avvertono immediatamente il lettore che stiamo passando dalla regione dell'amore-eros e dell'amore-morte alla dimensione dell'amore che nobilita e rende perfetti, come in Cavalcanti e Dante. Le giornate IV e V giustappongono dunque, ma lungo una precisa linea ascensionale, due concezioni dell'amore e insieme due tradizioni letterarie. La novella di Cimone è raccontata da Panfilo, che la introduce come esempio di «quanto sian sante, quanto poderose e di quanto ben piene le forze d'Amore». Una visione dell'amore ben diversa da quella fosca e tragica di Filostrato, il re della IV giornata, che afferma invece di sentire continuamente «mille morti» a causa dell'amore, senza mai provare «una sola particella di diletto». Come Filostrato, Panfilo tiene fede pienamente al suo nome e alla sua funzione, che lo portano a narrare alcune fra le novelle amorose più importanti del libro e a essere eletto re della X giornata, quella dell'amore razionalmente e moralmente regolato. Durante la cena, Dioneo provoca la brigata femminile intonando alcune ballate di argomento osceno. Le donne reagiscono con il riso, finché la regina, turbata, impone di smetterla. Si incalza la forza del comico che è incarnata in Dioneo. Quando la regina impone di smettere (– Dioneo, lascia il motteggiare, e dinne una bella; e se non, tu potresti provare come io mi so adirare), Dioneo si ferma perché Boccaccio capisce che c’è un limite a tutto. Quindi si ha il passaggio dal tragico al comico, che dominerà la seconda parte del libro. Novella ottava Nastagio degli Onesti, amando una de’ Traversari, spende le sue ricchezze senza essere amato. Vassene, pregato da’ suoi, a Chiassi; quivi vede cacciare ad un cavaliere una giovane e ucciderla e divorarla da due cani. Invita i parenti suoi e quella donna amata da lui ad un desinare, la quale vede questa medesima giovane sbranare; e temendo di simile avvenimento prende per marito Nastagio. Narratore Filomena Protagonisti Nastagio degli Onesti (nobile), Paolo Traversaro (nobile), figlia di Paolo, moglie di Traversaro, Guido degli Anastagi (nobile), donna da lui amata Dove Ravenna → pineta di Classe Quando prima metà del XIII secolo Si tratta di una novella storica, dato che nomina la famiglia degli Onesti (nobile famiglia ravennate) e la famiglia de’ Traversari (riporta a Dante, antica famiglia ravennate discesa dai bizantini, che lo aiutò a Ravenna). La figlia amata da Nastagio è di Paolo Traversari, celebre personaggio dell’epoca. La narratrice mostra che la novella ha al centro alcune doti delle donne, in modo particolare la crudeltà delle donne e l’insensibilità all’amore cortese che gli possono far meritare il castigo divino. Esce quindi una novella dilettevole, ma didattica, creando il sentimento della compassione e dell’immedesimazione delle donne nella figura femminile della novella: Amabili donne, come in noi è la pietà commendata, così ancora in noi è dalla divina giustizia rigidamente la crudeltà vendicata; il che acciò che io vi dimostri e materia vi dea di cacciarla del tutto da voi, mi piace di dirvi una novella non men di compassion piena che dilettevole. Sembra di avere un rimando alla donna petrosa di Dante, che spiega la crudeltà di queste donne. Quindi si ha una visione infernale dantesca. Questi fieri avventurosi accidenti sono proiettati nei personaggi e in modo particolare nelle donne. L’ostacolo non viene da fuori: l’amore non riesce a realizzarsi a causa della donna petra. Di particolare importanza è l’uso degli aggettivi: la fanciulla è descritta come cruda, dura e salvatica. Non c’è alcuna violenza descritta. Boccaccio parte da una situazione di rifiuto di questa donna. Nastagio usa l’intelligenza: capisce che solo un evento esterno lui può piegarlo a proprio vantaggio, quindi sceglie di sottoporre ai membri della sua famiglia questa visione infernale. Nastagio quindi rappresenta un trauma: la donna si impaurisce di questa visione che ha Nastagio di lei, provocandole uno shock che la fa pensare a tutta la sua vita. Inizialmente, Nastagio spera che con le sue esibizioni di cortesia cavalleresca possano ingraziare la donna. Nastagio era un uomo di equilibrio che qua viene destabilizzato dato che inizia a spendere tanto per compiacere la donna. Si dipinge in prosa la tipica situazione d’amore in cui l’amante soffre e la donna rifiuta con sdegno quest’amore. Nastagio, ricevendo continui rifiuti dalla donna, decide di andare da solo a Classe. Da rilevare è che tradizionalmente la visione infernale si rifà a orari serali, ma qua si hanno le undici di mattina (quinta ora del giorno). A un certo punto, sente un pianto di donna che chiede aiuto dato che è morsa ripetutamente da due cani ed è attaccata da un cavaliere bruno. Così Nastagio interviene opponendosi contro questa violenza con l’aiuto di un bastone, non avendo delle armi. Ma il Cavaliere interviene: Nastagio, non t’impacciare, lascia fare a’ cani e a me quello che questa malvagia femina ha meritato e poi racconta la sua storia: si chiamava Guido degli Anastagi ed era innamorata di una donna petra proprio come Nastagio era innamorato della Traversari e ora che i due sono morti hanno come pena del contrappasso che ogni venerdì a quell’ora lui la caccia mentre lei deve scappare. Nastagio appare come una persona non violenta, incarna gli ideali dell’amante cortese e nobile, ama l’eccesso per convincere l’amata. Ma l’eccesso non è giusto, soprattutto in amore. Nessuno può mostrare la cortesia all’infinito, così come la crudeltà. Nastagio però non è un personaggio estremo, ma riesce a trovare il proprio limite. Nonostante ciò, non è un personaggio saggio, non riflette e quando accetta di andarsene va a pochi chilometri da casa portandosi mille cose, mostrando che non c’è una vera voglia di partire e risolvere il problema: Nastagio ha bisogno di un trauma per recuperare la ragione e capire che non bastano le ricchezze per conquistare un amore. A Nastagio serve l’uso dell'intelligenza. Ecco perché c’è l’episodio di Guido. Nastagio subisce una metamorfosi, che lo porta ad entrare nel mondo dell’industria e quindi recuperare il proprio lieto fine conquistando l’amata. Quindi organizza un banchetto con parenti, amici e la famiglia Traversari proprio in quel luogo a quell’ora. La scena del cavaliere e della donna quindi si ripete, provocando shock nei vari invitati, ma soprattutto nella donna amata da lui che si immedesima nella situazione. Quindi la giovane manda all’uomo la sua serva e il pregò che gli dovesse piacer d’andare a lei, per ciò ch’ella era presta di far tutto ciò che fosse piacer di lui. Perciò Nastagio chiede la sua mano e la ragazza accetta con piacere. Il finale può essere anche letto come ironico. Trama: Nastagio degli Onesti era un giovane ragazzo di Ravenna che ereditò un’ingente quantità di ricchezze dopo la morte del padre e dello zio. Il giovane si innamorò di Bianca Traversari, nobile donna molto più ricca di lui. Per conquistare il suo amore, spese tutte le sue ricchezze in balli e feste, dilapidando presto i suoi averi. Eppure la giovane non lo ricambiava e non mostrava alcun interesse nei suoi confronti, rifiutandolo con freddezza. Così gli amici e i familiari di Nastagio lo convinsero a recarsi in campagna per riposarsi e dimenticarsi della donna. Un venerdì alle undici di mattina in una pineta, trovò una bella donna nuda che correva e gridava all’impazzata, dato che era seguita da due cani e un cavaliere che cercavano di ucciderla. Nastagio cercò di fermare il cavaliere e proteggere la donna, ma il cavaliere intervenne e gli spiegò che stava assistendo a una “caccia infernale” nella quale i due dannati scontavano la loro pena secondo la legge del contrappasso. Il cavaliere gli raccontò che si chiamava Guido degli Anastagi e che in vita aveva amato la donna che però lo aveva rifiutato; per questo si tolse la vita proprio con la spada che ora usava per ucciderla. Trovando analogie con la sua storia, Nastagio organizzò un banchetto con amici, parenti e la famiglia Traversari proprio in quel luogo a quell’ora. Bianca, assistendo alla scena, impaurita dal destino, accettò Nastagio e lo sposò. Novella nona Rubrica: Federigo degli Alberighi ama e non è amato e in cortesia spendendo si consuma e rimangli un sol falcone, il quale, non avendo altro dà a mangiare alla sua donna venutagli a casa; la quale, ciò sappiendo, mutata d'animo, il prende per marito e fallo ricco Narratore Fiammetta, che sottolinea il valore conoscitivo, ossia che ascoltandola le donne della brigata apprenderanno a donare cortesemente la loro bellezza Protagonisti Federigo degli Alberighi (nobile),monna Giovanna (gentil donna), marito di Giovanna, figlio di Giovanna Dove Firenze (città = compagnia) → Campi (campagna = solitudine) Quando inizi XIV secolo Un aspetto notevole riguarda il modo in cui la Narratrice inizia la novella, attribuendola a Coppo di Borghese Domenichi, personaggio storico ed eminente nella Firenze del Trecento, il quale, narratore facondo che raccontava «con più ordine e con maggior memoria e ornato parlare» di chiunque altro, usava anche ricordare la storia che subito segue. Fiammetta, che è tra le donne della brigata, la più letterata, oltre che la più letteraria, presenta qui una breve quanto significativa descrizione di come si Oretta lo zittisce con un motto pungente ma elegante, riprendendo la metafora del cavallo: Messere, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto; per che io vi priego che vi piaccia di pormi a piè. Il cavaliere non si offende, ma anzi ride capendo che effettivamente non è un bravo narratore (quello in festa e in gabbo preso). Così lascia da parte questa novella per raccontarne altre più semplici. Novella quarta Narratore Neifile Protagonisti Currado Gianfigliazzi (nobile), Chichibio (cuoco), Brunetta (feminetta della contrada), ospiti di Currado Dove Firenze Quando primi decenni del XIV secolo Durante una battuta di caccia, il nobile Currado Gianfigliazzi uccide una gru. Rincasato, la porta al cuoco Chichibio, che lo cucinò alla perfezione. Mentre era intento nella preparazione, arriva Brunetta, la ragazza di cui è innamorato il cuoco, che gli chiede una coscia della gru. Inizialmente rifiuta la richiesta, ma a causa della provocazione continua della donna, cede e gli dà una coscia. Non appena serve la gru al tavolo degli ospiti di Currado, il nobile gli chiede spiegazioni notando la zampa mancante. Il cuoco gli spiega che le gru avevano solamente una gamba. Allora, irritato, il nobile lo sfida e gli propone di andare al lago la mattina seguente per verificare l’esattezza dell’affermazione. La mattina dopo, i due vedono la gru su una zampa sola. Currado, però, iniziò a gridare e a spaventare gli uccelli che volano via tirando fuori anche l’altra zampa. Chichibio gli spiega che la sera precedente non aveva spaventato la gru abbastanza e per questo non aveva tirato fuori l’altra zampa. Alla seguente risposta, il nobile ride e decide di perdonare il cuoco. Novella nona Rubrica: Guido Cavalcanti dice con un motto onestamente villania a certi cavalier fiorentini li quali soprappresso l’aveano Narratore Elissa Protagonisti Betto Brunelleschi (guelfo bianco poi subito guelfo nero, era un aristocratico di fondamentale importanza nella Firenze del Duecento, rivale di Forese Donati), suoi compagni della brigata, Guido Cavalcanti Dove Firenze, e ha un percorso preciso all’interno della città: parte da Orsanmichele, passa da Via de’ Calzaiuoli per arrivare a Santa Reparata. Il Battistero è luogo fondamentale dato che intorno a esso vi si trovavano dei sepolcri, spostati nel 1276 in Santa Reparata, ma Cavalcanti continua ad andare lì tra le colonne di porfido che aprivano sulla porta San Giovanni. È piena di riferimenti alla cultura filosofica e artistica fiorentina. Quando verso la fine del XIII secolo Guido Cavalcanti viene circondato da una brigata di nobili guidata da Betto Brunelleschi. Cavalcanti, alla provocazione di Brunelleschi riguardo il suo ateismo (Guido tu rifiuti d’esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu arai trovato che Iddio non sia, che avrai fatto?), risponde a tono paragonandoli a dei morti: Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace. Si ha un contrapposizione tra la figura solitaria di Cavalcanti e il gruppo della brigata. Cavalcanti è rappresentato in veste di filosofo, non di poeta, come qualcuno che si aggira per le strade di Firenze come un uomo leggiadrissimo e costumato e parlante valorizzando la sua straordinarietà rispetto agli altri uomini. C’è un confronto di intelligenze: se la massa della brigata non capisce le parole di Cavalcanti, Betto - che è un individuo - invece capisce il motto. La prestezza nel dire e la leggerezza nel fare (caratteristiche del protagonista) si contrappongono alla lentezza nel comprendere e alla staticità della brigata. C’è una circolarità nella novella: Betto Brunelleschi alla fine riprende le parole della rubrica. L’inizio della narrazione è spostato verso il settimo paragrafo, dopo la descrizione dell’ambientazione nel lungo prologo. Non è un’introduzione oziosa ma è fondamentale per comprendere le circostanze in cui il motto pronunciato onestamente da Cavalcanti avviene. Questa introduzione è funzionale a trasportare il lettore all’interno delle usanze della Firenze di fine Duecento e in modo particolare fra l’usanza delle brigate di piacere, ossia compagnie di giovani gentiluomini che si riunivano insieme per trascorrere il tempo in modo piacevole. La Firenze dei tempi passati era popolata da assai belle e laudevoli usanze che però sono state degradate a causa dell’avarizia: più Firenze si è arricchita economicamente e più si è impoverita moralmente. Si può considerare una novella dantesca, dato che Cavalcanti era il primo amico di Dante. Ma non si parla di Cavalcanti poeta, ma solo in rapporto funzionale della sua situazione in cui scaturirà il motto, quindi è presentato come un personaggio a doppia faccia: da una parte leggiadro e aristocratico, dall’altra un filosofo naturale quasi perduto immerso nelle sue elucubrazioni. A Dante si ricollega anche quando si cita l’epicureismo, che in quel secolo era identificato come miscredenza e ateismo, dato che Dante lo aveva collocato nell’Inferno. La novella potrebbe riprendere l'aneddoto nel Rerum memorandarum liber (1343-1345) di Petrarca che narra le vicende del medico Dino del Garbo da Firenze che, trovandosi ad attraversare un cimitero, viene molestato da vegliardi e risponde non è pari la contesa in un luogo come questo, voi siete baldanzosi davanti alle vostre case alludendo alla prossima morte di essi. Interessante notare che proprio Dino del Garbo commentò la difficile canzone dottrinaria di Guido, Donna me prega. La novella è stata letta con molto interesse da Italo Calvino, che ha citato in Lezioni americane a proposito della leggerezza del tono di Boccaccio, che non è superficialità ma capacità di leggere e di narrare il mondo con il sorriso del narratore, e leggerezza di Guido Cavalcanti che si libera dalla brigata: «[…] la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca. Non potrei illustrare meglio questa idea che con una novella del Decameron (VI, 9) dove appare il poeta fiorentino Guido Cavalcanti. Boccaccio ci presenta Cavalcanti come un austero filosofo che passeggia meditando tra i sepolcri di marmo davanti a una chiesa. La jeunesse dorée fiorentina cavalcava per la città in brigate che passavano da una festa all’altra, sempre cercando occasioni d’ampliare il loro giro di scambievoli inviti. Cavalcanti non era popolare tra loro, perché, benché fosse ricco ed elegante, non accettava mai di far baldoria con loro e perché la sua misteriosa filosofia era sospettata d’empietà. Ciò che qui ci interessa non è tanto la battuta attribuita a Cavalcanti, (che si può interpretare considerando che il preteso “epicureismo” del poeta era in realtà averroismo, per cui l’anima individuale fa parte dell’intelletto universale: le tombe sono casa vostra e non mia in quanto la morte corporea è vinta da chi s’innalza alla contemplazione universale attraverso la speculazione dell’intelletto). Ciò che ci colpisce è l’immagine visuale che Boccaccio evoca: Cavalcanti che si libera d’un salto “sì come colui che leggerissimo era”. Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta- filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite. Vorrei che conservaste quest’immagine nella mente, ora che vi parlerò di Cavalcanti poeta della leggerezza». Novella decima Rubrica: Frate Cipolla promette a certi contadini di mostrar loro la penna dell'agnolo Gabriello; in luogo della quale trovando carboni, quegli dice esser di quegli che arrostirono san Lorenzo. Narratore Dioneo, che rinuncia al proprio privilegio restando nell’ambito tematico della giornata Protagonisti frate Cipolla (frate antoniano), Giovanni del Bragoniera (giovane di Certaldo), Biagio Pizzini (giovane di Certaldo), Guccio Balena o Imbratta o Porco (servo di frate Cipolla), Nuta (serva dell’albergo), certaldesi Dove Certaldo Quando primi decenni del XIV secolo Fra Cipolla, un frate di Sant’Antonio, si reca a Certaldo per riscuotere le elemosine dei paesani truffandoli con la sua parlantina pur non essendo colto. Per quell’occasione, inoltre, annuncia ai fedeli che alle 15.00 avrebbe mostrato una piuma dell’Arcangelo Gabriele. Giovanni del Bragoniere e Biagio Pizzini decidono di fare uno scherzo all’amico frate, rubandogli la piuma per vedere come riuscirà a salvarsi. Guccio Imbratta è incaricato dal frate di sorvegliare la piuma; ma questo lascia il suo compito per corteggiare la cuoca Nuta. Così gli amici rubano di nascosto la piuma, rimpiazzandola con carbone. Alle 15 la chiesa è piena di gente. Quando sta per mostrare la piuma, il frate nota della presenza del carbone e svia il discorso in uno dei suoi viaggi in Oriente, dal quale fu ricompensato dal patriarca con varie reliquie, tra cui i carboni che arsero vivo San Lorenzo. Fra Cipolla fa leva sulla semplicità di chi ha di fronte per impressionarlo e persuaderlo con discorsi che mimano artificiosamente la serietà e la complessità dei discorsi filosofici, religiosi e letterari. Frate Cipolla, frate dell'Ordine di sant' Antonio, è descritto come «piccolo, di pelo rosso e lieto nel viso», di lui è sottolineata la vitalità e, soprattutto, la naturale facilità nel parlare, tanto da parere «Tullio (Cicerone) medesimo o forse Quintiliano». L'arte del discorso di Cipolla coinvolge i diversi livelli, da quello fonico e ritmico-prosodico (con l'uso di allitterazioni, strutture metriche e rime) a quello semantico (in cui mostra di saper alternare l'uso di metafore, similitudini, e altre figure di parola), e soprattutto al livello della sintassi e della comunicazione complessiva (attinge in particolare all'antifrasi, all'ironia, all'allusività oscena, al grottesco e al non-sense). Settima giornata👑: Dioneo Incomincia la settima giornata nella quale, sotto il reggimento di Dioneo, si ragiona delle beffe, le quali, o per amore o per salvamento di loro, le donne hanno già fatte a’ lor mariti, senza essersene avveduti o sì: Il re della settima giornata è Dioneo: il giullare, il personaggio più irriverente, copre un’istituzione. Sceglie come tema le beffe delle donne ai mariti. Nonostante tutto, non si supera mai il confine dell’onestà. All’inizio la brigata accoglie il tema con perplessità e resistenza, soprattutto le donne, ma Dioneo risponde con tono inaspettatamente serio e solenne rispetto al suo registro consueto: per prima cosa, invoca a difesa e a sostegno del tema scelto l’eccezionalità dei tempi che la brigata sta vivendo, poi sottolinea in modo esplicito la distanza e l’abisso che nella sua giornata corre tra i fatti narrati e i narratori, quindi il tema scelto è solo per dilettare e non attaccare le donne. Boccaccio inserisce un’ulteriore illusione narrativa: sono i giovani che stanno narrando, non lui. Tutto ciò sottolinea il grande realismo che accomuna l’opera. Tutta la tradizione misogina classica e medievale si era accanita contro la donna, descrivendola insaziabile, perfida e traditrice, ma Boccaccio ribalta questa concezione facendo delle donne beffatrici dei personaggi positivi che finiscono per creare una realtà immaginaria rispetto ai mariti che spesso sono descritti come ʻsmemorati’. Si mette quindi in evidenza l’abilità registica delle donne, di cui la Giornata esalta nel complesso l’ingegnosità e la sagacia. Queste donne diventano beffatrici perché sono insoddisfatte dei mariti assenti e disattenti. Gli amanti sono i personaggi meno approfonditi, contrassegnati spesso dalla gioventù e dall'efficienza erotica ma privi di carattere: questo perché sono le donne le protagoniste della giornata e non gli uomini che gli ruotano intorno. Alla settima giornata ha preso ispirazione Pirandello per l’opera Beffe della vita e della morte. Novella seconda Nona giornata👑: Emilia La nona giornata torna ad essere a tema libero, per riposarsi dopo otto giornate impegnative: Incomincia la nona giornata nella quale sotto il reggimento d’Emilia, si ragiona ciascuno secondo che gli piace e di quello che più gli aggrada. Nonostante ciò, la beffa ha un posto di rilievo. Emilia spiega che è tempo di concedersi qualche respiro dopo le ottave giornate impegnative per scaturire un nuovo tipo di grazia e di libertà che scaturiscono dalla varietas degli argomenti della giornata. Descrivendo i giovani che durante la consueta passeggiata mattutina camminano inghirlandati di fronde di quercia (= fortezza, saggezza e sapienza), Boccaccio afferma che chi li avesse visti in quel momento avrebbe esclamato: o costor non saranno dalla morte vinti, o ella gli ucciderà lieti. L’esperienza di allontanamento dalla città infetta e degradata si è rivelata un’effettiva purificazione: narrando i vari casi, i giovani hanno acquisito quella ʻlietezza’ che consentirà loro di tornare alla normale vita quotidiana. Novella ottava Rubrica: Biondello fa una beffa a Ciacco d’un desinare, della quale Ciacco cautamente si vendica, faccendo lui sconciamente battere Narratore Lauretta, che dichiara di rifarsi alle novelle precedenti: Come costoro, soavissime donne, che oggi davanti a me hanno parlato, quasi tutti da alcuna cosa già detta mossi sono stati a ragionare, così me muove la rigida vendetta ieri raccontata da Pampinea, che fe’ lo scolare, a dover dire d’una assai grave a colui che la sostenne, quantunque non fosse per ciò tanto fiera. La novella si riferisce a quella precedente in cui in un sogno un lupo sgozza la moglie dato che era uscita contro le indicazioni del marito. Protagonisti Ciacco (uomo ghiottissimo e mordace, considerato un parassita della società, usa la simpatia per scroccare), Biondello (fa il mestiere di Ciacco, considerato un parassita della società a cui vende i propri servizi), Vieri de’ Cerchi (capo dei guelfi bianchi), Corso Donati (capo dei guelfi neri), Filippo Argenti (cavaliere) Dove Firenze Quando primi anni del XIV secolo Si tratta di una novella dantesca. Boccaccio rimodella il tema della beffa e mette in scena una beffa e insieme una controbeffa. Appena il beffato risponde e reagisce, la novella si reimposta e quindi non si celebra l’intelligenza del beffatore perché i due sono sullo stesso piano e sono in grado di usare le stesse armi. La prima beffa viene giocata da Biondello ai danni di Ciacco: essendo periodo di quaresima, non si può mangiare la carne e quindi al mercato si stanno vendendo le lamprede, ossia le anguille. Si crea ai danni di Ciacco un’illusione: che Corso Donati stia organizzando un banchetto di pesce che spinge Ciacco ad autoinvitarsi come suo solito, anche se poi si rivelerà un semplice banchetto di pesciolini d’Arno. Ciacco organizza una controbeffa, che si rivela più complicata della beffa di Biondello: Ciacco ingaggia Filippo Argenti (uomo grande e nerboruto e forte, sdegnoso, iracundo e bizzarro più che altro), uomo ritenuto bizzarro perché ferrava i cavalli con l’argento, chiedendogli di riempire un fiasco di vino rosso. Ciacco lo induce che Biondello voglia prenderlo in giro e quindi Biondello verrà picchiato da Filippo. I personaggi si muovono come autonomi, spinti da pulsioni primarie e assolute: per Ciacco è la ghiottoneria, per Argenti l’iracondia, per Biondello la cura di sé e del proprio aspetto. La beffa e la novella non sono che la conferma dell’assolutezza delle pulsioni: Ciacco è costretto a un pasto ben magro, Argenti s’infuria in maniera esagerata, Biondello viene pestato duramente e i suoi abiti rovinati. Qui la beffa innesca una catena di vendette che porteranno alla violenza. Non è un caso che si tratti di una novella fiorentina: possiamo vedere una denuncia sociale nel proiettare la situazione della sua città? Si cerca di diffondere quindi un messaggio critico e violento nei confronti della città. Si riprende quindi le tre faville che secondo Dante avevano invaso Firenze: superbia, invidia e avarizia. Singolare è il fatto che questa novella recepisca una delle lezioni più alte e vitali della Divina Commedia: lo straordinario sperimentalismo, che ha dato neologismi. Arrubinargli è un hapax per indicare il riempimento del fiasco di vino rosso. Per aumentare il realismo della narrazione, Boccaccio nomina anche Vieri de’ Cerchi, uomo realmente esistito, descritto come ricco, generoso e altero, e poi Corso Donati, antagonista di Vieri. Decima giornata👑: Panfilo Incomincia la decima e ultima giornata nella quale, sotto il reggimento di Panfilo, si ragiona di chi liberalmente ovvero magnificamente alcuna cosa operasse intorno a fatti d’amore o d’altra cosa. Si esalta subito il valore laico della giornata, a differenza di Dante. Il valore che gli uomini devono perseguire nella loro esistenza è la cortesia, ossia l’opposto dell’avarizia (non solo materiale, ma soprattutto dei sentimenti) che dominava la I giornata. Siamo partiti dall’Inferno di Ciappelletto (giornata I, novella I) fino ad arrivare al Paradiso di Griselda (giornata X, novella X). Boccaccio non delinea un percorso ascendentale vero e proprio come Dante, ma compie comunque un percorso difficoltoso. La decima giornata propone esempi moralmente alti. Panfilo, re della giornata e alter ego di Boccaccio, mette in luce sin dal principio il carattere esemplare dell’opera: il solo fatto di raccontare novelle ispirate a così alti esempi di cortesia, renderà gli animi ben disposti a questi valori. Si augura un processo di osmosi fra il mondo delle novelle e il mondo dei novellatori e auspica che questi ultimi riceveranno dalla giornata un’ispirazione ardente che li porterà a compiere del bene. Il Paradiso che la brigata potrà ottenere sarà il paradiso della laudevole fama, unica forma di immortalità prevista per questi giovani che quando torneranno a Firenze probabilmente moriranno di peste. Questa è una giornata competitiva e agonistica: sembra quasi che i novellatori si impegnino in una gara a chi racconta la novella rappresentante un livello più alto di cortesia rispetto alla novella precedente. La decima giornata è la giornata che ha avuto minore fortuna perché ha creato diversi problemi ai critici. La decima giornata si conclude in Santa Maria Novella, dove tutto è iniziato, in cui i giovani si salutano e ritornano nelle loro case. È in questa giornata che il tema dei vizi e delle virtù viene trattato in maniera sistematica. Appunto sono frequenti le citazioni da Aristotele e Tommaso, a cominciare dalla premessa alla novella iniziale, dove Neifile recupera la definizione aristotelica di magnanimità (la quale, come il sole è di tutto il cielo bellezza e ornamento, è chiarezza e lume di ciascun’altra virtù), allo scopo di avvertire il lettore della complessiva impalcatura filosofico-morale della X giornata, le cui novelle sono dedicate all’esemplificazione di virtù come la liberalità, la magnificenza e la magnanimità e dei vizi ad esse contrari. Nella X giornata, come non troviamo nessun mercante, così nessuna novella è ambientata a Firenze, e i soli fiorentini che vi compaiono sono emigrati: lo speziale Bernardo Puccini, che tuttavia è personaggio di contorno, e il cavaliere Ruggieri de' Figiovanni, che si trasferisce in Spagna perché si rende conto che nella sua città, dove la virtù non trova spazio, il suo valore non avrebbe modo di emergere e di essere apprezzato («essendo e ricco e di grande animo e veggendo che, considerata la qualità del vivere e de' costumi di Toscana, egli in quella dimorando poco o niente potrebbe del suo valor dimostrare»). Novella decima Rubrica: Il marchese di Saluzzo, da’ prieghi de’ suoi uomini costretto di pigliar moglie, per prenderla a suo modo, piglia una figliuola d’un villano, della quale ha due figlioli, li quali le fa veduto di uccidergli. Poi, mostrando lei essergli rincresciuta e avere altra moglie presa, a casa faccendosi ritornare la propria figliuola come se sua moglie fosse, lei avendo in camicia cacciata e ad ogni cosa trovandola paziente, più cara che mai in casa tornatalasi, i suoi figliuoli Narratore Dioneo, giullare e dissidente, narra l’esempio più alto di cortesia, anche se la introduce proponendola come un contro-esempio trattando unamatta bestialità Protagonisti Gualtieri marchese di Saluzzo, Griselda (povera giovinetta e bella), Giannucole (padre di Griselda), figlio e figlia di Griselda Dove Saluzzo, nelMonferrato, in Piemonte, celebre luogo per la letteratura italiana fino ad oggi Quando imprecisato: già è gran tempo La rubrica è molto lunga, in cui si staglia subito il protagonista maschile mentre la protagonista femminile è presente ma non è nominata. Affronta il tema della fanciulla perseguitata a cui capita ogni sorta di calamità. È un topos letterario e folklorico, ma anche della letteratura cristiana dalla Vita di Sant’Uliva, considerata un antecedente della figura letteraria di Griselda. Anche il tema del sacrificio del figlio è il tema biblico per eccellenza. Quindi nella costruzione del personaggio di Griselda concorrono varie fonti. Il Marchese di Saluzzo continuerebbe a vivere da scapolo, ma viene costretto dai suoi cortigiani a trovare moglie per creare una discendenza del marchesato. La sua diffidenza deriva dalla coscienza di quanto grave cosa sia a poter trovare chi co’ suoi costumi ben si convenga, e quanto del contrario sia grande la copia, e come dura vita sia quella di colui che a donna non bene a sé conveniente s’abbatte, indicando come la maggior parte dei matrimoni finisce male. Il Marchese non sceglie una donna del suo rango, ma va a ripescare la figlia di un lavoratore dei campi, Griselda, che però deve rinunciare a tutto e fare tutto quello che il marito vorrà. Lei accetta. Si ha una cerimonia di spogliazione: Griselda viene fatta spogliare letteralmente e metaforicamente dei suoi vestiti, facendola diventare una nuova persona. Poi Griselda e il Marchese si sposano. Si ha il passaggio sotto il potere assoluto di Gualtieri. Il matrimonio, contrariamente a tutti gli altri del Decameron, è felice ma a un certo punto Gualtieri non è convinto della moglie e sente il bisogno di metterla alla prova per testare la fiducia sottomettendola ad umiliazioni e privazioni continue: con la scusa che la sua corte non possa sopportare i figli nati prima del loro matrimonio, li invia a Bologna e fingerà di essersi pentito di questa scelta dodici anni dopo inscenando un finto matrimonio con la giovane figlia; dopo averla rinnegata, la richiama per organizzare le nuove nozze del Marchese e lei accetta, così lui alla vista di bontà di questa donna, cede, le rivela il misfatto e inizia il matrimonio felice. Gualtieri incarna la matta bestialità, sembra solo l’orco cattivo, ma in verità è molto più complesso: ogni volta che si ingegna per organizzare qualche crudeltà contro la donna amata, il primo a soffrire è proprio lui. È quasi unmasochista. Incarna tutta ilmale della società patriarcale italiana. Griselda rinuncia a tutto e si denuda della propria identità per rivestirsi di nuovi abiti. Griselda è un esempio di stoicismo, e insegna che di fronte ai mali che non si comprendono e che dunque non si possono contrastare (la crudeltà di Gualtieri o la peste) l'unica soluzione è l'umiltà paziente, ossia l'incondizionata accettazione del volere divino. Ma Boccaccio sostiene che il vero personaggio forte è Griselda: lei vince mostrando a Gualtieri la sua superiorità morale. Manda un messaggio di resistenza, non di vendetta: il personaggio di Griselda è stato letto in sovrapposizione alla Vergine Maria, supremo esempio femminile. Ma Griselda non è la Vergine Maria. perché manifesta una volontà iniziativa e una forza d’animo. La perfezione sta nella vittoria di questa femminilità che, apparentemente disarmata, riesce a sovrastare la bestialità maschile. il Decameron non si chiude con l'exemplum di un grande re o di un grande sapiente, ma con quello di una donna umile, semplice e paziente, una sorta di santa laica dietro la quale si intravedono in filigrana le figure di Giobbe, di Maria e di Cristo. In termini più generali, l'ideale etico del Decameron è il controllo delle passioni. È una novella bifronte, in cui Dioneo non rinuncia a narrare una doppia esistenza: il negativo del marchese e il positivo di Griselda. In questo modo riesce ad aggirare in qualche modo la struttura del libro.
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