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Giovanni Giudici vita + analisi testi, Appunti di Letteratura

Giovanni Giudici bio-poetica + analisi testi

Tipologia: Appunti

2021/2022
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Scarica Giovanni Giudici vita + analisi testi e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! Nei primi anni del secolo nascono le AVANGUARDIE – SPERIMENTALISMO in tutta EU Futurismo 1909: con Manifesto di Marinetti, la parola come strumento rivoluzionario, destinata alle masse operaie, protagoniste della civiltà industriale. Surrealismo: sfrutta le intuizioni della psicoanalisi e si affida all’inconscio, al sogno, agli stati d’animo e all’automatismo psichico. Dadismo: possibilità grafiche dei segni verbali con l’utilizzo dei calligrammi che trasformano la poesia in disegno anticipando le moderne tecniche pubblicitarie. Espressionismo: Nasce in germania x indicare pittori che usano colori violenti e deformazioni delle figure. Da qui si passa anche alla lett teatro e musica. La lirica espressionistica esprime angoscia, orrore della guerra e disorientamento attraverso l’eliminazione dei nessi logico-sintattici. In italia si manifestano 3 TENDENZE avanguardiste: Crepuscolari: definiti così x le atmosfere malinconiche, domina l’incapacità di amare e la noia esistenziale. Temi privilegiati sono gli oggetti comuni, la vita provinciale e borghese, i luoghi silenziosi e tristi. Rifiutano un rapporto attivo con la realtà e si contrappongono al superomismo dannunziano. Fusione di lessico umile e colto, verso libero. GOZZANO, PALLAZZESCHI, GOVONI Futuristi: poesia in sintonia con il dinamismo della civiltà e delle macchine. Tecnica della parola in libertà e dell’immaginazione senza fili che hanno come assiomi la distruzione dell’io, a livello stilistico l’abbandono della punteggiatura, dei legami sintattici, dell’aggettivo e dell avverbio, uso dell’infinito, onomatopee, uso delle analogie e segni matematici. Idea di un’arte totale che fonde scrittura e immagini e accosta liberamente le lettere, parole e segni grafici. Sono gli stessi crepuscolari che dopo aderiscono al futurismo. Vociani: la rivista la voce ha come obbiettivo il rinnovamento morale dei letterati e la loro presa di coscienza politico-sociale. I vociani perseguono la poetica del frammento per esprimere in pochi versi l’inquietudine dell’uomo moderno, e un autobiografismo, e rifiuto del superomismo. REBORA, DINO CAMPANA, BOINE. Ermetismo: poesia che tra il 1925 e il 1935 compie scelte sintattiche e lessicali volutamente difficili, indice di ambiguità espressiva della poesia. L’oscurità ermetica va intesa non come artificio letterario come rifiuto del fascismo e dei suoi miti. Ricerca l’essenza delle cose ed è animato da una tensione espressa nell’attesa di una rivelazione trascendente. QUASIMODO, GATTO, MARIO LUZI che supera l’esperienza ermetica. Giovanni Giudici (1924-2011) La figura di Giudici, soffre la tendenza ad essere lasciata in disparte, in favore di scrittori più conosciuti e attivi nello stesso periodo. In realtà, pochi altri come lui sono riusciti a lasciare un segno netto nella nostra storia letteraria combinandola con quella politica e sociale. La poesia si Giudici si caratterizza in principio x l’aspetto effusivo e quasi cronachistico con cui dà conto dei fatti dell’esistenza Giudici non si preoccupava di analizzare il difficile rapporto tra poesia e mondo, ma cercava una poesia che fosse capace di raccontare la vita, in particolare la sua, in qualità di impiegato alla Olivetti di Ivrea, negli anni Cinquanta, attraverso un linguaggio che fosse pienamente radicato nei rapporti umani. Il problema per lui è trovare una forma che renda la poesia comunicabile. La poesia di Giudici è ricca di neologismi e parole dell’italiano dei “semi- colti”, con voluti colloquialismi ed errori nella forma e nel lessico. É una poesia, quindi, che si fa fotografia della realtà, fortemente critica e problematizzata. Se la ricerca di un linguaggio democratico è quella che anima il fare di Giudici, allora si tratta di rendere democratico anche il sublime, abbassarlo alla comprensione e all’esperienza quotidiana di tutti. Programmatico abbassamento dei toni, che lo porta a una inquieta colloquialità, molto leggibile ma capace di trasmettere, con una forte dose di ironia, la solitudine angosciante e quasi kafkiana dell'individuo schiacciato dalle dinamiche del lavoro in uno scenario urbano-industriale. Nella produzione poetica di Giudici emerge un’atmosfera cupa mista ad uno stato di angoscia; il poeta, infatti, ricerca l’identità di un uomo in crisi, nel caos della società moderna inquinata dal capitalismo. Nelle prime raccolte (La vita in versi, 1965, e Autobiologia, 1969) è preponderante la riflessione personale che oscilla tra la ricerca di una maschera e l’auto colpevolezza per le proprie ossessioni. Le vicende capitali della storia dell’autore, come la morte per la madre, la precaria economia familiare e l’educazione cattolica ricevuta in collegio con la frequentazione in età adulta della milano del boom miracoloso sono presenti nelle prime raccolte. In O Beatrice (1972) il poeta mette a nudo le proprie debolezze e ricerca la protezione di qualcuno o una guida (da qui il titolo della raccolta). Con le ultime raccolte allarga la propria visione alla condizione esistenziale universale. Egli, pur aprendo il campo del poetabile, evita le sperimentazioni troppo avanzate della poesia contemporanea. La realtà messa in scena da Giudici attraverso un personaggio-maschera, smarrito e alienato realizzata dal suo alter ego, si spinge ai limiti del surreale e dell'allucinazione + una persistente volontà di dire in versi la propria biografia. La presa di coscienza della propria inettitudine spinge Giovanni Giudici ad auto-raffigurazioni ironiche e comiche, di un sé stesso che si sdoppia e parla con la propria interiorità, in scene fortemente teatralizzate, che diventano l’emblema della sua poesia. G .Giudici non cerca uno scavo nel fondo oscuro del linguaggio, non tende a farsi carico della difficoltà del rapporto tra la poesia e il mondo, ma parte da una confidenza diretta e spontanea con la parola, legata a un quasi quotidiano bisogno di essere orientato e salvato dalla poesia, che lo conduce a creare un verso assolutamente post-ermetico, colloquiale e teatrale, cantabile e ripetibile, privo di enfasi. La poesia sembra presentarsi per G. come sottile strumento di autodifesa. G. sembra proiettarsi all’esterno, in una molteplicità di immagini esistenziali, di situazioni reali, di combinazioni culturali, di voci e personaggi in azione che vogliono essere nello stesso tempo veri e finti, che ci vengono incontro con autentico abbandono, ma che mostrano anche un innegabile carattere artificiale, quasi teatrale. La sua ricerca di libere forme vocali, intrecciate all’esperienza della vita, e il suo rifiuto dei programmi lo pongono assai lontano dagli orientamenti della neoavanguardia e dagli influssi delle teorie letterarie degli anni ’60 e ’70. G. Giudici è nato a Le Grazie, presso la Spezia, nel 1924; trasferitosi a Roma all’età di 9 anni, vi ha studiato e si è laureato in letteratura francese. Ha ricevuto un’educazione cattolica, ha svolto una varia attività politica nella sinistra; a partire dagli anni ’60 è stato molto vicino al partito comunista. Fin dagli anni ’50 ha avuto intensi contatti con gli ambienti letterari e editoriali, soprattutto milanesi, lavorando come traduttore e svolgendo anche una fitta attività giornalistica. Oltre a riviste specificamente letterarie, ha collaborato al corriere della sera, all’Unità e all’Espresso. La sua prima raccolta notevole fu L’educazione cattolica (1963), Dopo le raccolte d’esordio, la sua stagione matura si è aperta con La vita in versi (1965), nello Specchio di Mondadori. Sono poi seguite Autobiologia(1969). Poi abbiamo O beatrice (1972); Il male dei creditori, 1977; Il ristorante dei morti, 1981Lume dei tuoi misteri(1984); Prove del teatro (1989); G. ha proseguito il racconto del proprio tempo delineando il ritratto del ceto medio degli anni Sessanta, umile e avvilito. I personaggi vivono in un anonimato che li fa assurgere a emblemi della condizione umana. Capace di rinnovare forme classiche e dimostrare una raffinata maestria tecnica nel poema d’amore Salutz (1986), G. ha affinato la ricerca linguistica, ritmica e fonica nelle raccolte più tarde, esplicitandola in un canto che lega insieme sublime e comico, lingua monologante e lingua dialogante: Fortezza, 1990; Quanto spera di campare Giovanni, 1993; Empie stelle, 1996; Eresia della sera, 1999. In una società fortemente mondanizzata come la nostra, è un contrasto radicale ma nel 50 non è così radicale. Gli da fastidio che le chiese cominciano ad essere chiuse il sabato, è una società ancora fortemente cristianizzata, annichilita alla società di massa. Alla fine degli anni 50 inizia questo meccanismo di trasformazione a tutti i livelli. Tanto Giovane Primo elemento del trittico di ritratti femminili che comprende le due liriche della successiva (Nel Pomeriggio e poi i versi del 58) La parola puttana appartiene all’ampio repertorio delle forme disfemiche, di cui giudici si serve nel progetto di colmare il divario tra lingua scritta e lingua parlata. Tanto giovane, tanto puttana  E’ il meccanismo che riguarda tutti noi nel profondo. Che prescinde dalle coordinate temporali all’interno delle quali una poesia è stata fatta. Il discorso poetico si presta a una marcata sentenziosità quando presuppone un interlocutore - rivisitazione letteraria che desublima la donna, spostando l’intonazione su registri “comico-realistici” - Il rovesciamento anti-stilnovistico marca, pur all’interno del nesso privilegiato fra poeta e seconda persona, una sostanziale differenza in Giudici: la tendenza cioè a non idealizzare tale punto di fuga, a non creare, come avviene in Montale, una metafisica semplice. Ne pomeriggio Tempo Libero Referto epigrammatico da un interno urbano del neocapitalismo. Dopo cenato amare, poi dormire la caratteristica essenziale dell’uomo, la capacità di trasformare attraverso il lavoro la natura è praticamente volta ad altri fini, asservita alle esigenze alienanti delle forze che condizionano l’esistenza, l’uomo come tale è alienato a sé stesso, è fatto altra cosa, costretto a inseguirsi in altre cose pur di ritrovarsi. Le molte teorie sull’alienazione potrebbero indubbiamente assisterci nel mettere a punto la drammatica condizione x cui non si riesce + a essere uomini e padroni di noi stessi se non a tavola o fra lenzuola in una consolante compagnia (mangiare e fare l’amore sono cose assai piacevoli ma non posso certamente dirmi uomo grazie ad esse). Giudici qui è abilissimo nell’autocompiacersi mostrando la meschinità, l’attenzione implicita e inevitabile ma critica di una condizione. Una sera come tante La strutturazione anaforica delle strofe è immagine formale di quella ciclicità dei gesti e delle azioni che significa un’assenza di un vero progresso vitale ed esclusione della storia. Basta con la bontà deformazione del bene. Quello che colpisce da più di 30 anni è l’assoluta attualità dei riferimenti all’uomo – massa, all’individuo alienato e disumanizzato dentro una società dei consumi sempre + passiva e neutra, abitata da private persone senza storia. Sul piano grammaticale è in tale prospettiva indicativo il passaggio che avviene nella 4° strofa, dalla prima persona singolare alla prima plurale a un noi che racchiude un senso collettivo. Private persone senza storia siamo in quanto condannati ad una ciclicità insensata. La condizione dell'uomo contemporaneo in un dolente monologo autoanalitico. - riflessioni serali (nelle due ore al giorno che può concedere a se stesso) di un personaggio emblematicamente collocato al settimo piano di un palazzo cittadino, attorniato dai segni della quotidianità. Strofa2: il personaggio allarga lo sguardo dagli oggetti circostanti all'intera sua vita. Lo stato di quiete in cui si trova (né sonno, né sete, né particolari «impiegatizie frustrazioni») gli si rivela uno stato di apatia, indolenza, indifferenza, viltà, uno stato di passiva accettazione del presente, da «private persone senza storia» totalmente immerse nel flusso della moderna società della comunicazione e dei consumi. E gli interrogativi che si pone, le attese che formula sono già di per sé vanificati dalla disillusione e dalla passiva accettazione di questa disillusione. Le ore migliori Struttura: Ogni parte divisa in 4 strofe di 6 versi, sestine che possiamo chiamare narrative. Quadro di una vita di interni, domestica, nel 1962. Educazione Cattolica Capitolo che nasce da un libro autonomo del 1963. In totale sono 18 poesie Qui si compie l’atto essenziale della commedia. Qui giudici attuta un distacco formale dalle proprie matrici formali, che a livello strofico ad esempio ruotano attorno alle composizioni in 4ine o ottave. Scelte che riflettono la condizione psicologica di Giudici, un necessario bisogno di regolarità e ordine che tocca persino l’aspetto esteriore e grafico della poesia, definendo quella che egli stesso chiama gabbia formale necessaria per muoversi + regolarmente. Nell’educazione cattolica la tensione stilistica ed estetica rimane sospesa anche se la prima poesia si compone di 3 4ttrine. Ed è la brevità ad essere il carattere specifico di questa sezione. Non presenta composizioni di ampio respiro ma si articola in frammenti autobiografici volti a formulare un racconto organico. Giovanni Giudici dichiara che è con Ed cattolica che ha capito di poter eleggere a materiali del discorso poetico dei temi e argomenti che dalla tradizione culturale sarebbero stati considerati irrilevanti o addirittura antipoetici. Non è una sequenza antireligiosa ma liberatoria. Mi chiedi cosa vuol dire Qui siamo nei primi anni 60 ed è proprio l’esempio di cosa vuol dire mettere in versi attraverso una musicale esposta del metro facile pieno di rime, un contenuto estremamente impegnativo. Ma il titolo vero sarebbe l’alienazione  topos dominante dell’opera sul piano dei contenuti. Elemento centrale del residuo che riguarda l’individuo nella sua interezza. Formula quasi di filastrocca. Incontro di Guccini. Qui c’è quello che Montale chiamava “una zeppa”, cioè qualcosa di troppo che è odio intero che fa tornare la metrica, ma intero qui non c’entra niente. Ma giudici qui sono proprio come alle prese con una canzone che crea un effetto di straniamento molto forte rispetto all’andamento della poesia e al meccanismo della poesia. Sta facendo una enumerazione di meccanismi primari: forza, amore, odio. Cosa vuol dire odio intero? Niente, è un riempitivo, è qualcosa che fa tornare i conti della musica. Totale asincronia fra questo meccanismo metrico con ottonari a rima alterna sembra una filastrocca e la dimensione di significato del testo che è molto impegnativo, significato e significante in questi casi fanno a pugni  riuso della metrica tradizionale nella metrica contemporanea. Totale asimmetricità fra i due piani che cooperano al senso totalizzante finale della poesia. Fontana  è un gesto simile di sfida al significante tradizionale della tela. Stiamo parlando di meccanismi dell’informale. La vita in versi Auto-imperativo rivolto a sé stesso che è il modo dell’esame di coscienza in senso cattolico. Qua usa un tu infralinguistico cioè quando l’io si da del tu, cioè quando noi parliamo con noi stessi nel nostro dialogo interno. Riprende la prescrizione di Dante quando amore mi detta le sue parole io annoto. Messa in rapporto della soggettività di chi parla e quindi è automaticamente un io con la complessità del reale, con la pluristratificazione del reale e a sua volta con gli interlocutori che a sono a loro volta io. Il bello della poesia è questa collisione fra l’io che è autore, cioè chi materialmente scrive, il pronome protagonista dell’atto di elocuzione che molto spesso in poesia lirica è la prima persona personale singolare, da Saffo in poi viene inscenato un dialogo fra io e tu  quindi c’è un io personaggio. Chi è questo tu? È l’io autore che parla ma anche noi, che a nostra volta siamo divisi in due piani, uno è il tuo personaggio che può essere un interlocutore diretto di Giudici, ma appunto siamo anche noi. Uso dell’Imperativometti in versi la vita, quindi metti in poesia. Attenzione perché la poesia non può essere ambigua e sottacere degli elementi di verità; quindi, deve lavorare anche sui dettagli che sono fondamentali in poesia. E poi questa forma l’evidenza dei vivi Chi sono? Sono vivi che diventano come personalità trasparenti per il poeta è una FORMULA POLISEMICA a cui poi ognuno di noi dà il senso che vuole dopo averne valutato le accezioni. Però attenzione perché se ci sono i vivi, ci sono anche i morti. Però non dobbiamo dimenticare che vedere non è né sapere né potere, perdita di importanza fondamentale sensoriale, cioè quello della vista che è quello ci permette di orientarci nel mondo. ridicolo se noi vogliamo essere altro da quello che siamo davvero il passaggio che vogliamo compiere è attraverso la dimensione dell’umorismo che tocca la nostra stessa fisiologia, cioè l’ironia estetica del saltimbanco e del circo il ridicolo faceva parte della poetica di allora. Nel sotto e nel soprammondo s’allacciano indicazione spaziale - questa volta di ordine spaziale: nel sotto e nel sopra mondo la realtà che viviamo è una superficie a più dimensione, c’è il sottomondo che è quello viscerale corpo che diventa più importante dell’anima, altra cifra del Novecento. Il sopra mondo è il mondo dell’utopia, delle religioni, delle fedi, dell’esistenza di un mondo divino. si intrecciano  verbo fondamentale. Dietro c’è una poetica come quella di Picasso per esempio dissociazione cubista o il divisionismo di Serat. È l’arte dell’impressionismo occidentale che mette i dettagli al posto dell’insieme, ma la prima arte che ha fatto ciò è il cinema la messa in primo piano, e poi è un’arte di montaggio. C’è un profondo cambiamento anche nelle altre arti. Anche nella narrativa possiamo dire che c’è un prima e un dopo l’avvento della sensibilità cinematografica, nonché attenzione agli accordi musicali (es. verso dei Limoni con il tricolon di verbi). Balaustra parola tema che è molto nobile del Novecento - Ungaretti e Montale senso del sublime  che è il concetto romantico per antonomasia e qui Giudici ce lo ricorda come se facessi quasi una lezioni di storia dei romantici inglesi che è una percezione contradditoria al suo interno perché l’ideale romantico è l’insieme del piacere e del terrore. Infame, l’illustre ognuno di noi è un infame che tende alla dimensione dell’illustre, caratteristica della nostra società occidentale. La poesia deve farsi carico di questi opposti. Quando è vera poesia uno sfondo di oscurità di deve essere, perché capiamo queste contraddizioni, pensiamo solo alla complessità dell’onirico che ci abita. Che ne sappiamo della nascita? Se ci pensiamo il nostro mistero più grande è quello, la morte invece sappiamo che esiste e sappiamo che il nostro destino lo prevede, ma il nascere non sappiamo da dove provenga. L’essere è più del dire altra faccia di contenuto fattuale allora si andava ad affermare il mito della psicologia come scienza a portata di tutti. La psicologia è diventata una forma annacquata dell’originale psicanalisi. E lì nasce il dibattito dell’essere-apparire, più che l’essere-dire. Mimesi L’ammonimento a non fare smorfie o imitazioni che il paventato passaggio di un angelo potrebbe fissare in sostituzione definitiva della condizione naturale, apre la sezione esclusiva della vita in versi nel segno di continuità con quella appena conclusa. Il gioco infantile preannuncia la disposizione dell’adulto alla vita mimetica e per un tardivo attuarsi della minaccia, la dissoluzione della propria identità constatata nella strofa finale. La poesia ha la funzione di costringere il lettore a un ripensamento del percorso compiuto, di richiamarlo alla natura del personaggio, di maschera monologante, mettendo in guardia da ottiche illusioni di autobiografia. È una poesia profondamente dialogica autobiografia tutta dialogica e inventata che tema del ritardo irrimediabile e quello tipico della trilogia post tridentina – della dannazione eterna per un solo peccato la considerazione riporta educazione cattolica e anticipa MC te deum. Indecidibilità del sogno, uno dei non tanti esempi in cui il poeta italiano fa i conti con il sogno e cerca di descrivercelo. Non siamo in un paesaggio realistico. Questa è scrittura di sogno con certi elementi di automatismo. Serie di immagini sovrapposti. Nel testo la memoria involontaria agisce sulle immagini dell’infanzia, Giudici va a pescare i ricordi fantasmatici della madre morta quando aveva 3 anni saldati con il periodo della guerra. C’è una fusione di piani, epoche e esperienze lontanissime tra loro. La memoria volontaria è ciò che pensiamo di conoscere e di ritenere a ogni occasione memorabile del nostro passato e vissuto, nel momento in cui verbalizziamo tendiamo a raccontarlo in modi diversi e altri dettagli. Anche la memoria volontaria non è museale o disinteressato. Nel sogno non decidiamo cosa e chi sognare e nemmeno la forma che il sogno può prendere e siamo completamente spiazzati dalla dimensione condensata che viola il principio di razionalità e di linearità (Se A è A, allora non è B). Il meccanismo onirico è di sovrapposizione e sostituzione. La scappata è una meta- poesia, molto problematica. Euridice Tra le poesie di autobiologia di data più alta Euridice forma un dittico di solida coesione tematica e stilistica. In euridice giudice rivitalizza la figura mitica abbassandola ad un erotismo vorace e popolare. Alcuni particolari della figura femminile e dell’irrisolta viceda sentimentale allusa si ritrovano nella sequenza primo amore. Qui Giudici ha in una dimensione un po’ fastidiosamente maschilista. Comincia con due versi di (una canzone popolare?) Inerti desideri ossimoro fortissimo, i desideri si muovono, inerti Ridicola mitologia (trasformazione dell’io lirico nel clown di se stesso mia principessa di Tule l’ultima Thule, il confine della terra, una terra immaginaria, utopica. Del tuo amore finito a coda di sirena riferimento al canto delle sirene, Odissea. Analisi è un’occasione perduta, l’essersi fermato sulla soglia, ma anche la trasformazione della giovanissima, adolescente nella vecchia euridice – tra inizio e fine poesia. Morti di fame Incipit di Morti di Fame 1966 prosa non narrativa, prosa non poesia, un genere introdotto da Rimbaud e Baudelaire. Morti di fame è un esempio di questa prosa di confine. Comincia con citazione da I Buddenbrook di Mann, che rappresenta La famiglia che diventa la grande famiglia industriale. Prima frase: un anacoluto intenzionale con valore stilistico integrativo. È il dettaglio che avvalora un tipo di scrittura che Sereni aveva introdotto: una scrittura fenomenologica, è un tipo di scrittura che non sa dove andrà a finire. Una scrittura automatica anche casuale che non prevede le tappe successive lo lascia aperta. Ma adesso avversativo solito. Oso dirmi una specie di formula esorcistica. Siamo in un ordine di idee di uno scrittore ironico, che tuttavia si confronta con il lutto più diretto ovvero diventare orfani. «Non ho più né madre né padre, non debbo temere che muoiano». La scrittura come fatto esorcistico. Da una parte la liquidazione del mito romantico dell’eroe e del poeta romantico. I gesti eroici, gli atti di coraggio. L’atto che nel fascismo (suo periodo di formazione) veniva richiesto. La proverbialità nel momento in cui giudici usa una forma sentenziosa per chiudere il discorso soprattutto in forma finale di poesia, va a sfiorare la forma proverbiale ed è un segnale/una manifestazione alla cultura popolare, apertura della poesia a forme non letterarie: poesia portatrice di meccanismi di significato che sono indovinelli, rime baciate sorta di interattività del suono, eufonia. Nel finale la mescolanza non solo di registri ma anche di età: dire una bugia (bambino) poi resoconto di una confessione con la sua problematicità, il senso di colpa di un cattolicesimo inculcato. La paura ossessiva di venir meno ai precetti catechistici. Collocata al centro di autobiologia la prosa di morti di fame ne costituisce il momento retrospettivo in perfetto parallelismo con la sequenza educazione cattolica. Si tratta del racconto simultaneo delle frustrazioni infantili e giovanili di giudici fino al vertice della parabola. Il simbolo letterario di questo vertice instabile è il personaggio di Mann Thomas Buddendbrook, il senatore di Lubecca che stramazza, dopo una seduta dentistica al culmine delle sue sfortune. E’ il suo accamparsi nel fregio che incornicia la prosa in oggetto esprime il perdurare di un’ansia, di una connaturata insicurezza nel cui nome il poeta escogita si l’ironia ma medita ancora difficili identificazioni con padri illustri e inaccessibili. Coscienza di classe di giudici: si tratta di un classismo sui generis, animato da nostalgie remote x il mondo operaio che nel curriculum di giudici appare come l’altra faccia, quella nascosta di una realtà sociale oppressiva e si deposita come incomparabili di verità filologiche primarie. Per questo motivo si è coagulato in giudici un nucleo proletario e classista subito pronto a polarizzare cultura e a diventare il suo denominatore marxista. La Bovary c’est moi ( 6 POEMETTI) - Madame bovary = controfigura dell’autore - il poeta si immedesima, piegando la sua indagine conoscitiva su un'anima femminile malata. Emma Bovary è figura spenta e derelitta, priva di reazioni, che si trascina in una quotidianità disadorna e in un antieroico abbassamento, sembra aver smarrito la sua identità, e non ha ricordi - Si può perfino ipotizzare che la Emma di Giudici non abbia una persona reale da amare e che la persona di riferimento sia una mera invenzione della sua mente malata, covata e cresciuta nella solitudine a cui lei presta promesse e parole - La malattia della figura femminile di Giudici è quella dell'uomo contemporaneo, avulso da ogni romanticismo di ideali ed illusioni, è una nevrosi che comporta al contempo inquietudine e vuoto, una diffusa apatia, un torpore simile al nulla e in cui più nulla accade. Sdoppiamento speculare in cui si compiace di vedersi vivere Il personaggio della Bovary rappresenta uno stato d'animo di base della condizione umana, da cui partire per dipanare le possibilità reattive di autoconservazione e a cui si ritorna perennemente, quando le terapie immunitarie di sostegno si rivelano insufficienti. E' lo stato d'animo della noia o tedio Qui abbandona la propria maschera e il proprio personaggio per toccare il max dell’oggettività, creando una voce narrante che tra riflessione e confessione si pone massimamente assorta. MA il tono neutro, il timbro della voce di di Giudici pare volersi adeguare costituisce una modalità ulteriore della sua tendenza a prodursi dietro una maschera, che in questo momento è una maschera inedita, femminile mutando i propri registri stilistici in funzione di questa nuova invenzione. 1857- della Bovary stesso anno della seconda edizione dei Fleurs du mal di Baudelaire, con cui comincia la poesia contemporanea occidentale in cui il poeta come flaneur come girovago per la città. Entrambi sequestrati per oscenità: Baudelaire per i ritratti dei bordelli e delle prostitute (Vedi il crepuscolo del mattino) e la Bovary perché è l’adultera per antonomasia (rapporti descritti per metonimia, con la carrozza che sobbalza per gli atti sessuali). Baudelaire e Flaubert famosi, in francia vivo ancora lo spirito della rivoluzione. Flaubert in un’intervista o al tribunale dice La Bovary c’est moi -> se sono un vero narratore sono in grado di dare vita e credibilità interiore di sensibilità e percezione anche a una persona femminile che non ha nulla a che fare con me, né per sesso, né per esperienza di classe. Qui Giudici prova la scommessa che nessun altro nella poesia contemporanea ha provato, di parlare di un Tu femminile in attesa di un tu maschile. Giudici radicalizza il monologo interiore dove il sismografo della poesia’ qui rivolto a un tu maschile fantasmatico: chi è? - Un emblema astorico maschile (Come il femminile) - Una situazione profondamente storicizzata? Rivoluzione femminista sessantottina. Orizzonte di comprensione: Giudici è compreso in questo meccanismo della teatralizzazione (Beckett fondamentale), che include il processo della scrittura, la ripresa a distanza di 1000 anni di un romanzo fondamentale, una vocetta fanciulla che parla sdoppiano questo moi –leggerario, la nostra gamma di voci che dobbiamo prestare al testo: voce riprodotta del tu maschile, la specificità del nostro moi. La differenza qui tra maschile e femminile è molto ontologica  la voce fanciullina (la sentiamo parlare dentro di noi? Noi parliamo a noi stessi, sentiamo una voce che ci parla dentro? Teatralizzazione. Fatto estraneo al monodirezionalismo della poesia lirica, quindi una Polifonia e implica anche una certa spezzatura prosodica. Le voci si sovrappongono, si alternano e sono necessariamente diverse. Questo principio diventerà una specie di acquisizione da cui Giudici non tornerà più indietro: pubblicherà nella bianca di Einaudi: Prove di teatro: libro fatto con materiali spuri, anche inediti  fa vedere come dentro la poesia ci sia anche la prosa del mondo che non è melodica, non è omogenea su un piano ritmico. Ma ti amo -> il ricorso al parlato formulare. Cosa vuol dire oggi ti amo? (dice lui, anzi ripete) Come faccio a non riamarlo io che non chiedo altro  confessione patologica, bisogno patologico di essere amata. Come faccio? E’ una situazione malata. Poi tutti a bocca aperta: la cerchia di coloro che sanno di questa faccenda. Uno come lui, con una come me (giudici riproduce la parola di quei tutti). C’è una lei che si sente in obbligo di riamare colui che le dice Ti amo. E poi ritorna a lei nemmeno col pensiero avrei osato. E’ la cronaca di uno squilibrio, stanno su due piani diversi e coltivano una finzione di questo reciproco ti amo. Siamo in piena stagione di romanzizzazione delle forme: è una situazione da racconto questo dialogo, magistralmente messo in versi. I condizionali: Potrei supporre -> colei che parla compie una sorta di autoanalisi. Di non sapere come sono. Non abbiamo percezione netta di chi siamo, ce l’abbiamo quando svolgiamo la nostra parte nel teatro degli ambienti che frequentiamo. Congiunzione dubitativa forsetutti segnali stilistici del dubbio che aggredisce la persona che sta parlando Con Giudici si può parlare di un principio di teatralizzazione della parola, questa sarà un’acquisizione dalla quale Giudici non tornerà più indietro. Rintracciamo qui contraddizioni ritmiche, questa è prosa del mondo e la prosa del mondo non è melodica, non è omogenea sul piano ritmico. V’è una teatralizzazione oltre che della parola anche della forma, la forma è spezzata, è discontinua ma tra queste sparse membra del dire è – comunque – assicurata una cucitura. Il ristorante dei morti (1981) tende anch’esso a una costruzione organica, con 5 ampie serie, i cui singoli pezzi sono uniti da continuità tematiche e rispondenze interne, come a formare dei poemetti. Domina anche qui il tema del travestimento: la parola si affida a voci, persone, situazioni, che si presentano come veri e propri stracci di scena, con cui il poeta si sottrae al rischio della santità e della responsabilità. Ma più forte si sente qui l’azione del tempo, del rapporto tra essere e diventare: ritornano frammenti della turbinosa realtà degli anni ’70, già deformati dal tempo che li ha impietosamente dissolti. E’ un libro in cui l’assetto caratteristico della metrica di Giudici si presenta con + coerenza, con l’esclusione di testi indivisi e di sequenza di strofe di diverse misure. Il ristorante dei morti, quinto libro di Giudici, poesia metafisica ma che non parte da un concetto astratto come facevano gli ermetici. Si può dire che ha cambiato la sua poetica ad ogni opera, è un poeta che non si ripete mai anche se avrebbe potuto. E compie la rivoluzione del 68 più vero, non quello ideologico e degli slogan, ma quella umana nelle organizzazioni delle società civili e inizia a porre al vita quotidiana non come finalità della poesia (che già era una rivoluzione), ma percepisce che il passaggio antropologico necessario è l’assunzione del ridicolo nella poesia individuo che si presenta nella società con un numero infinito di maschere e che quando si presenta sulla scena qualcuna di quelle maschere le prende sul serio. - Gli stracci della sanità Sezione: Persona Femminile - Carta Miracolosa - Il luogo - Esserci - Verrà il tempo - Bianco e Grigio - Il Bene - I sospetti - I propositi - Memoria Sezione: Il piccolo commediante - C’è il rischio - Il complice - -Tigri - Sorpresa - Il nostro a P Sezione: Pascoli - Il contrappunto - Borga - Eh si - Presto illeggibili - 20 anni - Ordung! - Politica e altro - Evocazioni - Mani - Visitazioni - 2 poesie 1980 Non + pascoli - Ristorante Dei morti - Temporis Acti Gli stracci e la sanità Il monologo riprende il tema del travestimento, della mimesi praticata come mezzo x il mediocre e timoroso passare inosservati. L’esplicita connessione di uno stilema metrico con un atteggiamento esistenziale. Non soltanto un impiego: un setter o quasi un setter a cui dedicare ben 15 stanze. Gli stracci e la santità è una poesia manifesto, una meta-poesia, che definisce una posizione e un rapporto tra testo e contesto. Il contenuto fattuale ci permette di collocare il testo dentro a un contesto umano storico politico, è un aggancio forte: la poesia non è obbligata a logiche storiche, ma la letteratura è un profondo meccanismo di conoscenza storica. Parole prese a prestito da librii libri come vademecum di un esistere spicciolo che non ha grandi ambizioni di idealità. Questa poesia è un flash della vita in collegio: qui mi fingo per fare finta Mettersi in maschera è una forma problematica col rischio di uscire dalla norma.Giudici opera inserzioni di parlato collettivo, parlare basso-mimetico «darla a bere» in rima interna con sedere. Ansa  è l’ansa del Tevere, vediamo memoria topografica del collegio a Roma. Volgere di future storie percezione legata al fatto. C’è una formula di preghiera in latino con un doppio enjambement (tra due strofe). Parce// Nobis Domine  Qui possiamo vedere come il parlare comune – il lessico della vita quotidiana strida con l’aulico. Qui c’è una metrica liberata non libera: incanalando il lessico povero in una metrica molto più alta giudici è costretto a riconoscere la necessità di momenti di adeguamento, di stridore, di abbassamento del verso a una riga prosastica che infatti segue la formula latina. E a questo punto spogliarmen parla dei due manicheismi (PC DC) che giudici considerava i due grandi partiti popolari. I due partiti erano due travestitismi di fervori autenticamente popolari. Spogliarmene di questi stracci  contemporaneamente (negli anni 60) Pistoletto compone le Vergii di stracci: vedi quella di New York, dimensione dell’essere buttati alla rinfusa Autodefinizione, un ometto così grigio(che non corrisponde alla sua fisionomia reale) ci fa notare una totale dissociazione tra il personaggio del testo e l’autore Giudici. Mio tribunale questo genitivo è sia oggettivo che soggettivo. Ovvero 1) tribunale che giudichi me (kafkiano) 2) tribunale interiore quello dei credenti. Non è quel che sembromeccanismo di straniamento. Ha rappresentato uno dei tanti tasselli del mio nicodemismo L'atteggiamento o il comportamento di chi, pur aderendo a una nuova fede religiosa o politica, si astiene dal farne pubblicamente professione, opposto del cristiano farisaismo. Giudici da’ indizi del suo nicodemismo nella punteggiatura dimostrando ancora il rapporto tra la tecnica compositiva e l’atteggiamento umano – la sostanza umana. Il contenuto è la forma (radicalmente anti crociano) Croce sosteneva nella dicotomia forma-contenuto che la forma veicola meramente il contenuto. Sezione Persona femminile descrizione + analisi Carta miracolosa A parlare è si una voce femminile ma denunciata dal titolo nella sua funzione di maschera (vedi titolo già con persona si fa riferimento alla maschera) Il che nulla toglie alla credibilità teatrale del personaggio. Questa persona femminile è veramente una donna moderna e viva, capace di non banali osservazioni psicologiche, capace di auto analizzarsi e di vedersi, assurda quanto bastava a riconoscerti di scoprire la confusione di favola che ella stessa si costruisce o di sapere che in altri sospettiamo soltanto il male che in noi stessi portiamo e che in lei stessa non tutto è innocenza. Ma non è una donna che non ha nemmeno vergogna di confessare le proprie debolezze, le proprie intime aspirazioni fatte di semplici cose e affidate ad un linguaggio semplice e disarmato e perciò tanto + toccante. La composizione si svolge su questo filo di autoanalisi, diventa analisi di un moderno “rapporto di coppia “visto attraverso una sorta di nevrosi che è personale ma anche sociale. Parte da un sogno che improvvisamente rivela alla donna protagonista quanto complesso sia il rapporto essere-parere e sconosciuto sia in fondo anche lei che si ama e procede a riconoscere l’estraneità quando non l’ostilità del mondo che ci circonda, mondo in cui ci muoviamo nella disperata ricerca di qualcosa che a tutto dia un senso e che in questo caso è un qualcuno. E che tuttavia resta soggetto di una inevitabile precarietà e ad una misteriosa a drammatica inconoscibilità in cui non si sa alla fine valutare il positivo e il negativo restando così affidati sempre a una speranza di futuro per quanto contraddetta alle rovine di oggi, forse perché questo qualcosa non è che una situazione precaria, un amore che agli occhi degli altri bisogna nascondere benché proprio in esso consista invece. Giudici passa da un femminile brutale, a un femminile della Bovary c’est moi, un femminile problematico (con trampolino del magico di Michelet) e Persona femminile, tutto contemporaneo. Qui dimensione del flirt non per vero amore, dimensione molto anni 70, dipendente dalla liberazione sessuale. Fenomeno del miracolo economico  nel lessico di Giudici si riferisce al boom economico L’ho toccato con gli occhi del pensiero sinestesia; una sorta di tattilismo (Vd. Futuristi) interiorizzato  toccare col pensiero, fatto plurisensoriale Il farsi scudo che una ha dovuto imparare  farsi una corazza. Una = passaggio dal generico all’individuale, a un singolo soggetto. Diversamente la dimensione pronominale del lirico è sempre idealizzata generalizzata di solito, è l’archetipo, non è un tu in carne e ossa. L’imperfezione o la dissonanza in un volto o in una fisionomia è un principio fondamentale del bello. I personaggi di Giudici sono umani troppo umani gente con insoddisfazione profonda, dei buchi dell’esistere. Arrabbattarsi per un po’ del mio caldo qui metonimia- calore del corpo e calore umano affettivo. un diamante emblema del rapporto d’amore, correlativo oggettivo- un elemento geologico preziosissimo e raro, che sbriciola i sassi, le avversità.. Tutta vera la sua paura  mettere in scena dei soggetti fragili, totalmente post-esistenzialisti Soggetti tra il cinico, il consapevole e il fragilissimo. Il gioco delle maschere quando cade l’ultima può essere mortale. La malattia psicologica usata come lente di indagine dal 900 poetico, noi coabitiamo con la malattia. Malattia grande meccanismo di indagine del modernismo 900esco. Coesione: agisce a liv strutturale del testo, bastano le pause della prosodia dei versi. Un verso funziona se ha anche una sua coesione interna, a prescindere da cosa gli sta attorno. Puntava alle singole sezioni. La poesia come prodotto libro. Persona nel titiolo andrà ad assumere nel significato latino di maschera. Si fornisce così al lettore la stessa avvertenza che ne la bovary c’est moi era data dall’assunzione in proprio dell’affermazione flaubertiana. Carta miracolosa: Poesia fatta + essere recitata. Aldilà della scrittura si avverte il valore comunicativo che il poeta vorrebbe affidato all’intonazione, al gesto. Il luogo La casa in due estremi -> la casa degli affetti, dimensione minerale + la farfalla volatile. Queste parole composte derivano dalla tradizione vociana. Casa-farfalla è l’immagine centrale di tutta la poesia. Questo annegarci è quello dell’infinito di Leopardi. Una metafora dello svanire nel nulla. L’elemento dell’ectoplasma, ovvero il fantasma che viene indicato dalla figura del medium  il pascoli delle sedute spiritiche. Antipositivista tra 8-900, propria invece della cultura del simbolismo. Seduta spiritica = un potentissimo strumento umano per far parlare i morti nella nostra coscienza. Nel caldo gelo della finzione forte ossimoro che introduce dimensione della teatralità o teatralizzazione. Metafora del lapis che è una metafora dello svanire nel nulla, l’analogia con la lettera i quella della presenza insensata delle esperienze individuali: senza la speranza di un senso che a esse potrebbe essere conferito dalla partecipazione alla storia a un ordine. Su questo sfondo di negazione avviene il volo della casa farfalla che si posa nello spazio di una rosa dove la casa oltre a ogni suggestione occasionale o letteraria è diventata un luogo della poesia di giudici. Il luogo opposto è la nera calotta. La miscela dei versi dilatati ad altri tempi + brevi si accompagna ad una scansione che nel primo di questi due dattilica, nel resto si giova di aperture anapestiche. Vent’anni Una nuova ricerca di dialogo con il poeta, ora con la mediazione dell’immagine del nonno materno. Ci introduce a dimensione bolognese, giovanile che collimava con cattocazione militare. «Corporeità immaginata!» Giudici raccontava di ingresso a Bologna, mascherandolo come Milano. San donato (= porta san donato o san donato milanese). Sovrapposizione tra Pascoli e il nonno di Giudici, Fortunato, riferimento al proprio albero genealogico, la nascita del nonno poco vicina a quella di pascoli. Gioco di date. Introdurre una soggettiva «Dov’è finita la vàterman?» = penna stilografica preziosa; da ecfrasi comincia autore che parla. Insieme di oggetti minimi che ricordano il nonno. NB: «Ecco» introduzione, forma del deittico, e indica una complicità tra chi scrive e chi legge, obbligo il lettore di oggi a immedesimarsi in quella casa, assume un altro valore letta oggi, è una strategia per far scattare in lettore/Trice un meccanismo immaginativo. I grandi testi che funzionano permettono l’immedesimazione. Ordnung! Ordung vuol dire ordine in tedesco, l’apostrofe è rivolta al collegiale Giudici ma lasciato trasparire il collegiale pascoli per l’analogia dell’esperienza giovanile e sulla suggestione dell’identità del nome. Giovannino si intitola il dialogo del poeta con il suo doppio fanciullo nei canti di castelvecchio. Oggetti La constatazione della sopravvivenza delle cose alle persone, pur precedente all’occasione pascoliana, ha cmq continuità con i temi di riflessioni suscitati dalla vista di castelvecchio. Il tema è ben radicato nell’opera di Giudici. Il mobile (il tavolino tra le gambe) come emblema di un illusorio progresso sociale a quello della presenza degli oggetti come zavorra e prigionia. La voce che parla nei versi 29-33 staccandosi dal registro stilistico dei versi precedenti, e già quello di un io liberato, teso ad un’esperienza di verità e comunione: che nella gnome conclusiva può ricavare dall’impulso all’abbandono degli oggetti l’elogio dell’oblio. Politica e altro Con l’eccezione di qualche riferimento in evocazioni, gli ultimi 4 testi della sezione vengono farsi più labile, sfumare nel non detto, l’azione della giornata a castelvecchio. Qui l’epigramma fissa la comicità di una situazione di declino inavvertito: i personaggi traditi da un’autoreferenzialità che non ha permesso loro di percepire il passare del tempo e il mutare del mondo intorno a sé. Centrale nel determinarsi del comico appare qui il concetto di frattempo. Che cosa succedeva nel frattempo? È un lunghissimo non finisce mai, è lo spazio infinito della fregatura. Evocazioni il nucleo del discorso va cercato nei versi 25-8. Come si esplicita qui con studiato ritardo è a margine di una considerazione della moglie che il filo dei pensieri si svolge, innestandosi nella prima sezione sulle divagazioni dettate dall’iniziale NEVE? (simbolo dell’improbabile, del cambiamento) Si snoda qui un ragionamento che nei primi 36 versi tocca il mutare degli uomini in rapporto al passare del tempo e all’avvicendarsi delle abitazioni. L’ultima sezione introduce anche essa una discontinuità, avendo come antecedente la terza: la scena conclusiva è infatti quella di una seduta spiritica, lo spirito evocato quello di pascoli. E tuttavia il responso “tutto è la stessa cosa” e agisce a ritroso su tutto il percorso compiuto come giudizio sulla vanità della vita e di ogni tentativo di comprensione. Mani Alla stretta di 2 mani femminili la memoria dei sensi riporta il contatto di altre mani, delle mani di una donna con l’appellativo “fonte del bene” assolutizza in una figura materna. Dell’incontro, una frase letta in seguito si rivela essere stata l’annuncio tardivamente riconosciuto. Data questa ricostruzione, sorprende che la provenienza della sensazione sia dal futuro; ma a questo punto il locutore si è identificato a ritroso, con l’esperiente originario: rispetto al quale le mani che restituiscono quel primo incontro sono FUTURE. Visitazioni Questa poesia fa parte di un ciclo di 11 intitolato Pascoli, nel libro i ristorante dei morti del 1981. Non x un omaggio tardivo ma perché ho riscoperto la poesia di pascoli come avanzata, d’avanguardia. Ma qui pascoli c’entra poco: qui è importante la concezione della poesia come linguaggio che si colloca in un punto di transizione tra il silenzio e il fato; e con rimandi di tipo culturale a una tradizione omerica, soprattutto nell’odissea, che descrive donne che tessono come fanno le parche con il filo della vita: in un’azione che non ha rumore. Naturalmente c’è anche la mia aspirazione a fare poesie di forma relativamente chiusa, ciò con strofe, quartine e con versi brevi, proprio x polemica verso l’endecasillabo. Sono versi giambico – trocaici, con una misura di 3 o 4 piedi, oppure settenari e ottonari che si riferiscono a immagini in parte inventate in parte affettive. Questo misterioso reggimento è veramente esistito: durante l’occupazione tedesca a roma i tedeschi quasi per spregio o sfida verso gli americani che erano sbarcati ad anzio ma non riuscivano ad avanzare fecero sfilare per le strade delle città un reparto di prigionieri di quell’esercito. Ci sono poi immagini di luce di sensorietà olfattiva reperti di esperienze personali; c’è una definizione della poesia come nome scavato del suo oggetto oltre all’idea di un ritmo che nasce ancora prima delle immagini, prima delle parole e dei versi. Il ristorante dei morti Il dittico che chiude il libro è caratterizzato dalla volontà di apertura al politico, alla storia e da un sentimento di estraneità al presente che si traduce in accorta retrospezione e acre satira: cosicché non sarà legittimo assumere idealmente l’incipit del ristorante dei morti. Il ristorante è un luogo di incontro e di comunicazione: ma giudici non ci vede il convivio pagano, quanto piuttosto la “tavola” cristiana, l’eticità espressa dal momento ecumenico del nutrirsi insieme. In una delle ultime poesie giudici evoca un passato personale che è diventato storia di tutti: nello stesso ristorante 20 anni prima aveva cenato con 2 personaggi ora scomparsi Giacomo Noventa e Don Milani. In tutta la poesia si avverte questa interazione tra interno esterno tra privato e politico. E’ un incoraggiamento a credere alla nostra immersione, anche involontaria e inconsapevole ma sempre inevitabile nel flusso della storia. Ma in questa storia di adesso giudici si tiene isolato aggrappato ad un’idea di paleocomunismo che non trova con chi confrontarsi, legato sentimentalmente a un passato politico in cui i ruoli da giocare erano più definiti: si trova insomma a dialogare con i morti. Tra questi il ristorante dei morti è la figura centrale criticamente esemplare è quella di don milani evocata nel ricordo di un incontro della primavera del 1959. Siamo dentro un perno in cui gira la storia di Giudici e la storia della nostra poesia. In questi anni la vita pubblica perde l’austerità, serietà e grigiore, che però era l’aspetto maggiore delle istituzioni. Espulsione degli scrittori dal discorso pubblico, un tempo gli scrittori erano sempre in televisione, con contenuti di straordinaria qualità. Un altro elemento tra il privato e il pubblico: siamo dentro qui la cultura borghese dove la maschera, nei poeti da gozzano e pirandello avviene su scenario ancora liberty, tessuti unici pezzi unici, scenari preziosi. La rivoluzione dopo la seconda guerra mondiale, l’appartamento piccolo borghese in serie, l’arredo seriale. E’ una trasformazione di paradigmi, pieni ora di oggetti massificati. Entriamo in un giro di meccanismi nella cultura occidentale che non va più verso il prezioso, l’unico, ma va verso massificazione di idee. Qui Giudici incontra in un ristorante un grande psicanalista che pone il problema del rapporto psicanalisi poesia. Il metodo psicanalitico era obbligatorio a una certa, chi non lo utilizzava per l’analisi delle opere letterarie era visto male. La poesia per Giudici rimane un elemento di distinzione, di privatezza che però rimane nella criticità. Scatta il meccanismo della memoria involontaria (Proust) cosa vuol dire parlare del sogno, cosa vuol dire introdurre il negativo in poesia (cosa non siamo, cosa non vogliamo), qui appaiono due personaggi che hanno avuto un rilievo molto preciso nella storia poetica e umana-civile di Giudici: 1. Don milani, persona terribile si dice, scrive Lettera a una professoressa, Giudici eretico – un po’ comunisma e un po’ credente che non ritiene possibili i manicheismi, riconosce la convivenza delle contraddizioni e della sua necessità. Don Milani considerato una variabile impazzita dall’istituzione della chiesa. 2. Giacomo Noventa che è lo pseudonimo di Giacomo Ca’ Zorzi -> fondatore di Solaria con Carocci  checkare chi è  comunista senza sconti Tentativo, la scommessa liminare, finale che risponde a una domanda: può darsi una poesia che intervenga sulla storia? Può darsi una poesia civile? La poesia può partire da una poesia civile. Una domanda molto rischiosa. Una domanda che ogni poeta ha provato a sciogliere: l’illusione dell’intellettuale scrittore di poter agire con l’oggetto della propria scrittura nella vita della comunità di cui fa parte. Alcuni ce la fanno meglio di altri. La poesia è un luogo dove l’istantaneo e l’obbligato sono due grandi ostacoli al suo funzionamento; giudici affronta questo impasse ma in colloquio con l’amico psicanalista. Questa decisione di Don Lorenzo Milani di venire a Milano con i ragazzi di Barbiana, un complemento necessario alla sua figura e alla sua predicazione. Don Lorenzo milani era un estremista della posizione francescana. Temporis acti Laudator tenporis acti è una definizione oraziana del vecchio che incapace di accettare o comprendere il presente, vi contrappone il passato come termine positivo di confronto. Si parla a una certa delle BR – «bi- erre» (bertoni dice che hanno una lingua antistorica) Straordinaria poesia di contenuto fattuale, poesia civile explicit del Ristorante dei morti. Lume dei misteri 1984-1986 Carattere misterioso già dal titolo o comunque irriducibile al normale linguaggio della comunicazione, della parola poetica in cui vi è una forte tensione narrativa espressa per frammenti in cui si accentua la tendenza all’intreccio tra personaggi e situazioni come in barlumi di vicenda o in passaggi quasi visionari. Incontriamo infatti figure riemerse dal passato. Lo scorrere del tempo e il suo dilatarsi anche a ritroso è l’elemento che percorre parte significativa del libro, dove si impone uno spostarsi del linguaggio verso un registro + alto: o verso una conquista quasi liberatoria. Fortezza è un’allegoria della poesia, è anche un testamento, la poesia trobadorica diventa poesia politica. - Memoria - Betsobea - Andare a Roma - Frate Tommaso (sezione) Memoria L’identità del personaggio interrogato si chiarisce al verso nove, si tratta dunque di un antico scolaro di Alberta Portunato. Memoria: primo capitolo di Fortezza- Memoria chiama in causa la madre in ruolo di maestra, ruolo importante, la responsabile dell’alfabetizzazione, che ha perso a 3 anni. Attilio Regolo viene fatto prigioniero dai cartaginesi per cinque anni, nel 250 lo rimanendo a Roma a fare proposte di pace. Invita i romani a fare guerra dicendo che i cartag non sono imbattibili, e i cartaginesi lo mettono in una botte fitta di chiodi e lo fanno rotolare. Betsabea Vocativo del primo verso. Il passaggio alla sollecitazione memoriale che segue, svolta in modi narrativi è mediato dalla congiunzione coordinativa con conseguente straniamento sintattico. Betsabea è un personaggio biblico, un episodio di violenza da parte di Davide, di stupro, una riscrittura di episodio biblico. Giudici inaugura una sua stagione finale: una sintesi estrema, critici la chiamano «raccorciamento». Cominciare ogni verso con la lettera maiuscola + varie congiunzioni sintattiche, ogni cosa è una isola di senso. Andare a Roma Riferimento parodico del monologhetto la vicenda di Attilio regolo fatto prigioniero a Cartagine dai cartaginesi nel 255 ac, cinque anni dopo a seguito della sconfitta subita dagli stessi cartaginesi a palermo, fu mandato con un’ambasceria a roma x chiedere la pace e lo scambio a dei prigionieri. La leggenda vuole che egli incitasse alla guerra e che tornasse poi a cartagine per affrontare la morte dopo essere stato esposto al sole nudo e con le palpebre tagliate, sarebbe stato fatto rotolare in mare in una botte irta di punte di ferro. La figura di Attilio x avere un riferimento alle pratiche di Roma imperiale di allestire realistiche pantomime di argomento storico impiegandovi i condannati a morte. Frate Tommaso Sequenza conclusiva di Fortezza, sei testi intitolati FRATE TOMMASO. Si ha con frate Tommaso Campanella. Un frate che il poeta vede “inchiodato al giaciglio dei tormenti”. E’ strepitosa la capacità di Giudici nell’inventare una situazione di coincidenza esistenziale con il grande personaggio, magari attraverso elementi concreti di una quotidianità bassa colta nei dettagli, come negli accenti + lievi, quasi teneri di un finale trasognato e quasi mirabilmente liberatorio nella sua dinamica di semplicità . L’assunzione da parte dell’autore di quel processo di identificazione con carceri e suppliziati storici. Il tema della scrittura che costellava fortezza e in cui si riconosceva una forma necessaria di autoidentificazione dell’io e la complementare esigenza di comunicazione che però sembra dolorosamente negata, appare quindi rielaborato in Tommaso. Qui l’impiego della scrittura del filosofo diventa priva quasi di parola passata, sostenuta forse da quell’energia vitale racchiusa nel motto campanelliano. Alter ego di Giudici, lui oggettiva l’io lirico in questa figura storica: Tommaso Campanella, frate eretico storico, autore della Città del sole. Quanto spera di campare Giovannino 1993 Metricamente il libro si segnala per la moderazione della sua libertà metrica. Si torna alla rimozione di ogni maschera e quindi alla fine della allegoria. C’è un meccanismo di identificazione tra l’autore Giovanni Giudici, tornato in Liguria e abbandonata Milano. Libro voleva essere un insieme tematico della dimensione politica e del destino individuale di un uomo che invecchia. (Così montale era vecchio in Satura; i vecchi della Bibbia). Giudici che parla da vecchio. La poesia come esorcismo. Questa sorta di renitenza a dirsi troppo esplicitamente, senza alcun diaframma. Questa domanda capitale del chi se ne frega: scendere in autobiografia troppo dettagliata a chi può interessare polverizzati fatti mostrati nudi e crudi. E’ un problema dello scriverci addosso-rischio etico più alto, dello scrivere prima o più che leggere. Giudici recupera dimensione sbriciolata da Kafka dell’individuo da pensare con la lettera minuscola: l’individuo che non ha più identità e nemmeno singolarità, un individuale destino. Poesia: funzione di nuova individualizzazione, costruzione di una nuova identità, individualità. In questo libro Giudici offre percorsi + nettamente vari e articolati, fondandosi su accenti di maggiore affabilità comunicativa, su un tono di matura saggezza attenta alla piccola storia individuale dell’io lirico. E in questo vasto campionario trovano posto circostanze private, dovute al sempre + inquieto e frequente riaffiorare dei dati della memoria. La spinta maggiore è nell’ineludibile confronto esistenziale con la precarietà dell’esserci e il dominio del tempo che tende a condurre l’articolarsi della nostra vicenda su uno sfondo sempre + remoto, o viceversa a muovere il soggetto in una prospettiva di futuro miseramente + accorciato. Raccolta articolata in 4 sezioni, dall’interrogazione della piccola storia individuale del poeta ricava domande essenziale sul fissarsi e sullo svolgersi del tempo. Le poesie di Empie stelle, scritte tra il 1983 e il 1996, si rivolgono soprattutto al passato, in una protesta insieme accorata e ironica verso le empie stelle. Il titolo attribuisce ironicamente all’influsso maligno degli astri la rovina di tutto ciò che si è perduto e consumato nel volgersi dell’esperienza personale. Eresia della sera (1999) si pone più esplicitamente sotto un segno purgatoriale: preghiera eretica e serale, nella tarda sera della vita, immersa nel trascolorare del tempo, nella passione dantesca per un futuro compimento. Primo amore la serie di 25 coppie di quartine c’è la rievocazione di un amore giovanile, di una donna lontana e non più ritrovata, nella Roma dei primi mesi dopo la Liberazione. Enrico Testa – Dopo la lirica Autori scelti: Sereni – Fortini – Zanzotto – Pagliarani – Sanguineti – Rosselli – Dario BELLEZZA – Patrizia Cavalli – Patrizza Valduga – Valerio Magrelli – Antonella Anedda – Volponi Enrico Testa crea una mappa storiografica del percorso lirico novecentesco ripercorrendo le fasi salienti messe in luce da Enrico Testa nella sua introduzione alla lirica italiana post moderna. Questo implica che andremo a mettere in luce gli aspetti importanti del periodo di rottura fra modernismo e post- modernismo, avvenuto dopo gli anni ‘50 del XX secolo. Postmodernismo: afferma, così, la fine della storia, cioè l’impossibilità di produrre qualcosa di nuovo e quindi l’inevitabile ripresa degli stili del passato. In antitesi rispetto al modernismo: poiché mentre il modernismo si pone come obiettivo quello di anticipare gli sviluppi futuri, il postmodernismo contesta il fatto che la storia abbia una linea di sviluppo individuabile. Gli anni ’60 Sicuramente sono una delle fasi più significative del secondo novecento. Siamo in un periodo di rottura e transizione, a detta di Pasolini un momento traumatico in cui una civiltà contadina e arcaica deve far fronte alla crescita industriale e al conseguente boom neocapitalistico. Se Pasolini parla quindi di una mutazione antropologica, Calvino si sofferma soprattutto sulla crisi che colpisce i tradizionali parametri d’interpretazione dei fatti culturali. Al di là di queste premesse più di carattere sociologico e storiografico, la cosa che emerge in maniera molto forte è un rinnovamento piuttosto marcato del “fare poesia”, molteplici saranno gli approcci dei vari autori, ma alla base sta un concetto piuttosto semplice: l’italiano da lingua di cultura va imponendosi come lingua di comunicazione. Cosa determina questo mutamento? La caduta della barriera di separazione fra lingua della poesia e lingua della prosa, aprendo uno spazio senza barriere costituito dal parlato. È molto interessante quindi notare come la tendenza degli autori viri verso una sorta di naturale prosaicizzazione della lirica che assume un aspetto più narrativo. E’ emblematico il caso di “Nel magma”, ove Luzi si avvicina al registro parlato della lingua, nonostante sin qui si fosse sempre tenuto lontano da esso. Altro caso affine è quello di Elio Pagliarani con “La ragazza Carla”, egli contamina registri differenti e ripropone sulla pagina un repertorio vastissimo di registri del parlato, inteso come un’organica realtà da cui nulla va estromesso. Assistiamo dunque a vari casi che potremmo raggruppare sotto la denominazione di “poeti inclusivi”, questa è la tendenza che emerge con spicco nell’analisi di Testa. Poeti dunque che si lasciano andare a varie sperimentazioni: tra queste l’inclusione del parlato, l’adesione alla prosalità e dunque a una sorta di abbassamento del carattere lirico fino ad allora proposto. Dirà Montale a proposito di questo che il genere lirico è vittima dell’oscurissima mutazione in cui il mondo è, sotto la spinta del progresso tecnico e meccanico, coinvolto. Un altro caso molto interessante è quello dei poeti detti di terza generazione (Sereni, Caproni, Bertolucci e lo stesso Luzi già citato), i quali hanno dato vita, sullo sfondo di tale innovazione linguistica, ad una poesia rappresentativamente complessa e ambiziosa, aperta e composita, che non evita la varietà dei toni, dei sentimenti e delle prospettive, quotidiane o utopiche che siano. Molto caratteristico il meccanismo di rappresentazione scenica del composto poetico e della rappresentazione “ad una sola voce” che si apre a varie possibilità. Abbiamo per ogni autore una personale messa in scena poetica che può spaziare dalla realizzazione di un “io” marcato o distante ma unico, fino a una messa in scena a più voci dove “l’io” tende a disperdersi o a esser corale. Gli anni ’70 Col finire degli anni ’60 e il passaggio agli anni ’70 possiamo vedere un nuovo cambiamento della letterarietà dettato soprattutto dagli avvenimenti storiografici dell’epoca. La, tra molte virgolette, spensieratezza del decennio precedente lascia il posto ad un periodo veramente cupo. Trasmetterlo a chi non ha avuto la sorte di provarlo è sicuramente molto difficile, ci dice Testa. Molti avvenimenti condizionano la lirica di questo periodo: dalla devastazione causata dalla droga, dalle stragi fasciste e dagli attentati brigatisti culminati con l’assassinio di Aldo Moro nel 1978. Ci troviamo innanzi a un decennio di lutti e di terrore. Cosa determina tutto ciò? Sicuramente lo svilupparsi di un ideologismo chiuso e fanatico caratterizzato da un vocabolario sterile e aggressivo. Le ricostruzioni della poesia del periodo tendono ad isolare, con ricorsività quasi ossessiva, alcuni fenomeni ritenuti essenziali: un isterilimento della sperimentazione neo avanguardista che si trasforma in sfoggio combinatorio di slogan o di spartito virtuosistico; il diffondersi di fenomeni di spettacolarizzazione come festival e letture pubbliche; la riduzione del peso e dell’importanza degli strumenti di aggregazione (si pensi alle poetiche, alle tendenze o alle riviste); e il proliferare di una letteratura “selvaggia” che si basa su una creatività slegata da istituti e tradizioni formali. Tutto questo sfocia dunque in un’idea di poesia nomade, fluida, corporale, presa dal movimento della rinascita. A movimentare la scena ci pensa sicuramente la poesia dialettale che registra un’importante crescita. Spiccano spinte polemiche (con un generale fastidio per la lingua letteraria e l’italiano d’uso), credenze schematiche (la superiorità espressiva e morale del dialetto), propositi di difesa e, in generale uno spinto intendimento regressivo: lo scrittore è attratto dal dialetto poiché lingua privata ed evocatrice. Avviene tendenzialmente una sorta di giudizio di può partecipare che sarà sempre il suo senso di colpa + grande. Il poeta, comunque, supera la dimensione autobiografica: la prigionia è un’esperienza non solo individuale ma collettiva. Ma la grande poesia di Sereni inizia con la pubblicazione nel 1965 de “Gli Strumenti Umani”, qui il sogno scompare e cede il passo a uno stile energico, maturato nel contatto con la capitale industriale d’Italia, la Milano degli anni Sessanta in cui visse il poeta. un libro che risponde alla crisi del codice lirico e ai suoi rischi d’afasia, creandosi dell'inedita lingua poetica. La lingua di sereni qui progressivamente si libera di quanto ancora sopravviveva di ermetico o petrarchistico nei libri precedenti. E giunge ad una forma compositiva assai più complessa meno logica della tradizione. “Gli strumenti umani”, accolgono racconti di sogni e scenari milanesi, vicini all’esperienza. È difficile trovare un libro di poesia che contenga in sé tanta storia, privata e collettiva. La resa dei due piani, personale e storico, è propria anche della sua importante produzione in prosa. Conquista così il registro dialogico poco frequentato nella nostra poesia e arriva a mettere in scena un discorso folto di cadute, reticenze, pause, segni del non detto. Nella raccolta Stella variabile i il tema della morte è presente in una voce misteriosa che di notte chiama il poeta per nome (proiezione del suo senso di colpa). Si ripropone ancora una volta il conflitto dell’intellettuale, il fallimento di una generazione che non trova più punti di riferimento e ha smarrito il cammino, con il rischio che la stessa poesia ne sia travolta. In sintesi, gli strumenti umani e Stella variabile ci presentano immaginazione nuova di poesia dialogicamente, fondata anche nell’interiorità del soliloquio. Sul confronto con volti e voci e in genere con un'alterità che tocca pure il non umano. Nelle ultime raccolte il linguaggio supera il monolinguismo della fase ermetica, si avvicina alla prosa e al parlato, sul modello dei toni sapientemente prosastici dell’ultimo Montale. Sereni riesce a stringere insieme le grandi questioni della metafisica, i mutamenti della storia, la narrazione della vita, un risultato complesso che deriva dalla caparbia tensione a tener viva la facoltà della poesia di raccogliere gli altri e se stessi con altri intorno a qualcosa. 2. Franco Fortini Nato a Firenze il 10 settembre 1917, Franco Fortini (pseudonimo di Franco Lattes), è autore di poesie e romanzi, critico letterario, traduttore e polemista. Occupa un posto di primissimo piano tra gli intellettuali del secondo dopoguerra. Fortini nasce da padre ebreo e madre cattolica. Dopo aver terminato gli studi scolastici si iscrive alle facoltà di Lettere e Giurisprudenza a Firenze. Al fine di evitare le conseguenze delle discriminazioni per la razza, a partire dal 1940 assume il cognome della madre, che è appunto Fortini. Ma questo stratagemma non lo aiuta, in quanto l’organizzazione universitaria fascista lo espelle comunque dall’università. Dopo la guerra in cui presta servizio come soldato dell’esercito italiano, è costretto a riparare in Svizzera. Qui si unisce al gruppo dei partigiani che organizzano la Resistenza. Due anni dopo Franco Fortini si trasferisce a Milano, e qui comincia a lavorare nel campo letterario. Fortini è un intellettuale rivoluzionario che, partito con la condivisione degli ideali dell’ermetismo arriva a “sposare” i principi del marxismo critico propugnato da Marx. Fortini si pone così in una posizione fortemente polemica verso la società del tempo ed anche nei confronti della “nuova guardia” che emerge tra gli intellettuali ed i politici. Sempre fortemente sostenitore della rivoluzione, Franco Fortini si impegna nelle lotte ideologiche che contraddistinguono l’epoca in cui vive, e lo fa attraverso le sue opere letterarie - in prosa e in versi. La sua produzione poetica, è racchiusa integralmente nel volume intitolato “Una volta per sempre”, pubblicato nel 1978. Come la maggior parte dei poeti italiani a lui contemporanei, Fortini esprime una profonda crisi dell’intellettuale di fronte alla Storia, e la conseguente negazione di qualsiasi funzione della poesia, ad eccezione della presa di coscienza e della testimonianza. Spontaneità, immediatezza, distacco della ragione, ricerca di legami simbolici, isolamento dello scrittore dalla storia e sull’identificazione con il testo concepito come realtà autonoma, sono tra gli aspetti originari di gran parte della lirica moderna. L'opera di Fortini muove proprio da una critica di questi principi: non esita a misurarsi con il suo tempo, indicandolo in + maniere nella poesia, di cui è così negata ogni autosufficienza; adotta un procedere logico e argomentativo che non ha nulla di spontaneo; sottolinea il carattere convenzionale, storicamente e socialmente mediato, della scrittura e della lingua. La cifra riassuntiva della poesia di Fortini è la contraddizione o collisione di elementi appartenenti a ordini diversi: la sua prima raccolta; Foglio di via del 1946; enfatizza invece di risolverlo pacificamente il contrasto tra eredità ermetica e temi storici e ideologici, la Poesia ed errore del 1959 si impianta su un sistema di contrapposizioni. Una volta per sempre approfondisce questo sistema di tensioni. Fortini cancellando ogni ipotesi di redenzione poetica si fa sempre + categorico, rigoroso e attento ai fenomeni della storia. Il rapporto tra poesia e mondo fugge dalla tradizione: se la poesia non è un sostituto del mondo, il mondo non può essere riducibile a semplice occasione della scrittura e non è nemmeno l’unica dimensione del reale. E’ da intendere come parte della vicenda universale degli uomini nel corso del tempo. In una volta per sempre, il poeta affronta con questi altri temi di ambito privato, stende bilanci quasi facendone un autonomo genere testuale, consegna al futuro allegorie di cambiamento, definisce la sua ideologia e individua i suoi nemici. Al tono osservativo fanno da contraltare le tante interrogative con cui il soggetto pare quasi sottoporsi ad un'inquisitoria, o un processo. Con questo muro nel 73 inizia il periodo + alto x fortin, completato da Paesaggio con serpente 84e Composita solvantur 94 che si propongono allo stesso livello di intensità e bellezza. Questo muro agisce da ricchissimo ma essenziale collettore del prima e del poi, il non sentirsi più nella storia, ma fuori di essa. E allora sempre più frequenti i motivi della vecchiaia e del rapporto tra vecchi e giovani, della solitudine e del rancore. Anche il tema capitale del presente e come disseccato in figura di china ridotto a congelata immagine. 3. Andrea Zanzotto Andrea Zanzotto nasce nel 1921 a Pieve di Soligo, un piccolo paese in provincia di Treviso. Il padre è un pittore e decoratore, cattolico e socialista; la famiglia della madre possiede una bottega di calzature. Zanzotto frequenta le scuole magistrali e poi consegue la maturità classica da privatista in un liceo di Treviso. Scrittore e lettore dotato fin dalla tenera età, si iscrive alla facoltà di Lettere di Padova. Si laurea nel 1942 e l’anno successivo viene chiamato alle armi. Dopo l’armistizio torna in Veneto e si unisce alla Resistenza. Nel 1963 ottiene un posto nella scuola media, dove insegnerà fino alla metà degli anni Settanta. Il 1951 è l’anno del suo libro d’esordio, Dietro il paesaggio, che suscita fin da subito l’interesse della critica. La sua produzione in versi copre più di mezzo secolo: ricordiamo La Beltà (1968), Il galateo in bosco (1978), Fosfeni (1983), Meteo (1996) e il recente Conglomerati (2009). Zanzotto è anche autore di prose e critico letterario. Dopo una lunga attività artistica e intellettuale, Zanzotto muore nel 2011. La ricerca poetica di Zanzotto si può definire come una battaglia combattuta ai confini del linguaggio: Zanzotto inventa infatti una lingua difficile e unica, dove innovazione e tradizione convivono in modo fertile e paradossale. Ci sono due temi fondamentali che ricorrono in tutta la ricerca poetica di Zanzotto: il paesaggio e la lingua. Da un lato, il paesaggio - che sia il paesaggio veneto di Pieve di Soligo, oppure quello devastato e orripilante della psiche, dai sedimenti organici cantati nel Galateo in bosco fino alle altezze allucinate di Fosfeni - il paesaggio è l’interlocutore privilegiato dell’io lirico zanzottiano e gioca un ruolo cruciale dalla prima raccolta del 1951 fino a Conglomerati. Dall’altro lato, la sperimentazione sul linguaggio è al centro della sua esperienza poetica: le raccolte poetiche di Zanzotto perseguono una continua oltranza linguistica, ovvero una ricerca costante del limite del linguaggio stesso, attraverso la negazione dei significati ordinari delle parole e delle norme della comunicazione ma anche delle regole tradizionali del codice poetico. Zanzotto infatti viola e spezza il quotidiano rapporto tra significato e significante per far emergere, nei suoi testi, il significante puro, alla ricerca di una lingua e di una espressione poetica che dica ciò che normalmente non si può esprimere. Con Dietro il paesaggio (1951), Zanzotto esordisce, mentre il Neorealismo si sta già esaurendo, come una specie di poeta ermetico “fuori tempo massimo”. Come dichiarato dal titolo, al centro del libro è il paesaggio naturale (principalmente quello delle terre natali) che però si carica di valori simbolici e metaforici. Il trauma storico ed esistenziale della guerra viene rimosso, e il poeta si rifugia nel paesaggio e nella lingua letteraria che lo esprime. Nonostante gli scorci tipici del Veneto rurale, il paesaggio di Zanzotto tende verso l’astrazione, si compone di emblemi puri che rimandano a un senso ulteriore e misterioso, che stia appunto “dietro” gli elementi naturali. Lo spazio è rappresentato in modo astratto e anti-realistico, attraverso analogie ardite e l’uso dei plurali generalizzanti tipici dell’Ermetismo; da notare anche la potente scansione anaforica della sintassi che è un tratto stilistico assai ricorrente in Zanzotto. L’autore è poi poeta abilissimo nell’assimilare le fonti letterarie, che sono mescolate e come “dissolte” con notevole originalità. Oltre alla corrente ermetica, specie nella sua versione più estrema attinge al surrealismo europeo. Un altro libro fondamentale nel percorso di Zanzotto è Vocativo (1957): i testi che raccoglie, scritti tra il 1949 e il 1956, sono quasi tutti posteriori a una grave crisi di nervi che colpì il poeta nel 1950. Il protagonista di Vocativo è appunto un io nevrotico che denuncia e sfida l’inautenticità della Storia. La gelida astrazione del primo libro viene abbandonata in favore di uno stile mosso ed espressionista, in cui l’instabilità del ritmo si accompagna all’introduzione di latinismi e arcaismi, ma anche di termini del tutto estranei alla tradizione poetica, come “neon”, “orgasmo” o “conato”. Un altro tratto tipico, stavolta legato al lessico, è l’uso di vocaboli agglutinati attraverso trattino, che opera quasi una specie di violenta fusione semantica (è il caso di “terra-carne”, v.1 e “chiarore-uovo”). Ma lo stilema forse più caratteristico e frequente è l’impiego dei richiami fonici: allitterazioni e altre identità foniche strutturano il testo e ne aumentano il valore semantico. Nelle raccolte successive questo procedimento verrà ulteriormente radicalizzato. A livello figurale, la poesia si basa sull’identificazione tra paesaggio e corpo, che però viene ridotto alla sua esistenza psichica, segnata dalla nevrosi. Anche per Zanzotto, gli anni '60 segnano un momento di svolta. Con il IX Ecloghe del 1962, il vocabolario della scrittura si amplia al precedente monolinguismo subentra un repertorio lessicale che si annette termini tecnologici e scientifici. Parallelamente si adotta però uno schema di derivazione iperletteraria come quello del genere idilliaco-pastorale e virgiliano dell'ecloga. Alla parola realtà si affianca la parola della più illustre tradizione poetica. Tanta mobilitazione linguistica è sostenuta da un atteggiamento ironico. Con La Beltà (1968) lo sperimentalismo di Zanzotto supera un punto di non ritorno. Il poeta forza il normale rapporto che lega significanti e significati. Molte poesie della raccolta sono costruite da catene associative di significanti puri che proliferano uno dall’altro, in apparente completa autonomia dai valori semantici. La ricerca poetica del libro si muove in due direzioni paradossali: da una parte, verso il linguaggio della cultura di massa, criticato da Zanzotto perché inautentico; dall’altra, verso il recupero di una lingua originaria e autentica. I termini essenziali della scrittura poetica vanno incontro, nell’opera di Zanzotto, ad un destino vorticoso e molteplice: il soggetto continuamente modifica il suo principio di consistenza il linguaggio si presenta come dimensione in cui convivono e si contaminano le figure dell'originalità e del fondamento dell'essere e quelle inautentiche, dei codici del sapere e della storia; il mondo ora si riduce al microcosmo dell'habitat privato ora accogliere più le forme più alienanti della realtà contemporanea o i più dolorosi relitti del passato, fino a comprendere il <gran fare> dell'universo. Alla beltà succedono gli sguardi i fatti e Senhal 1969, Pasque 1973, i testi dialettali di Filò 1976 e il Galateo in bosco 1978, primo volume di una pseudo trilogia completata poi da Fosfeni 1983 e Idioma 1986. Il galateo in bosco è un'opera di grande compattezza in cui convergono e si fondono più elementi. Le pendici del Montello sono contemporaneamente luogo naturale, luogo storico e luogo letterario, è uno spazio in cui si sedimentano relitti diversi. Per fare ciò, Zanzotto mette a confronto e in attrito le forme di due domini diversi: Le regole, l'insieme di convenzioni del vivere civile e la volontà di sopraffazione che ne percorre simulacri ed etichette e la prima e la primitiva vitalità, anteriore ad ogni struttura sociale e riluttante ai tentativi del controllo razionale, della natura. Con una lingua lessicalmente meno aggressiva che in passato Zanzotto, procede ad una vorticosa commistione degli elementi nell'antica polarità natura, cultura. Con fosfeni la scrittura abbandona la prospettiva bassa e boschiva del galateo per muovere verso l'alto e inseguire geometrie e spazi siderali. Nel quadro di un'esplicita tendenza al sublime singolarmente libera dal peso della letterarietà prevale la componente metafisica e filosofeggiante. Idioma cambia invece direzione propone una lingua più comunicativa e si riavvicina al terreno comune dell'esperienza umana. Più la sezione classe dominante, Pagliarani adotta anche qui una prospettiva che elegge il linguaggio ad oggetto da trattare con il distacco e l’ironia con cui vengono trattati gli altri oggetti. Questa opzione di fondo gli consente sempre di tenere sott’occhio i rapporti tra lingua e poesia. 6. Edoardo Sanguineti ? Il protagonista della neoavanguardia del gruppo del 63 Sanguineti è autore, oltre che di testi poetici e interventi teorici, di una serie vastissima di opere, antologie fondamentali, saggi critici e numerosi articoli su quotidiani, traduzioni e romanzi, poesia per musica e testi, riduzioni e travestimenti per il teatro. Ogni presunta innocenza o autenticità del discorso lirico, si oppone la convinzione che il linguaggio sia strettamente connesso all' ideologia e che quindi non sia possibile sovvertire i valori di quest'ultima senza passare attraverso una demistificazione delle forme verbali e poetiche in cui essa si incarna. Compito dello scrittore d'avanguardia è allora dimostrare la falsità e la storicità delle strutture letterarie, svelarne la parentela con l’orrore del neocapitalismo e sabotarne regole funzioni nella prospettiva. Insieme di una nuova idea di realismo e di un cambiamento umano e sociale. Laborintus letteralmente distrugge il sistema di lingua e di attese proprio della tradizione lirica, puntando ad una messa in scena della crisi delle identità storiche, dell’impossibilità del comunicare nell’Europa del dopoguerra e nella sua cultura. Il poemetto registra i movimenti discorsivi di un soggetto che vive in uno spazio infernale di lividi, paludi e di selve putrefatte una alienazione sia personale che storica. Questo villaggio allegorico ha dei tratti di indiscussa originalità, riassumibili attorno ai principi della presenza e contaminazione di materiali diversi. Ne risulta una procedura compositiva che si allontana da ogni andamento lineare del discorso e mira a raffigurare una condizione vicina al delirio schizofrenico. Il soggetto di Laborintus si presenta come entità disgregate e scissa, ma si comporta ora dissolvendosi fino a scomparire, ora riappropriandosi del discorso improvvisamente e quasi con violente impennate. I testi di Purgatorio e dell’Inferno inaugurano una nuova maniera stilistica. La scrittura ricerca una sua comunicatività e attinge a costrutti e moduli, ora gli realizzati che puntano alla resa delle convinzioni di un ceto intellettuale incontrato in diverse città d'Europa movenze dialogiche e drammatiche convogliano uno autobiografismo esplicito, risolto sia alla tematica familiare che ha le dichiarazioni dialogiche. Affidato soprattutto al genere della cronaca di viaggio, il recupero della comunicazione si consolida con Reisebilder sulla base di un'esigenza mnemonica quale fondamento della poesia. I testi si susseguono come le pagine di un diario registrano sogni, incontro i personaggi dialoghi annotano luoghi, alberi, riflessioni politiche e culturali, fatti della storia della cronaca esprimono preoccupazioni ed eventi domestici. Sanguineti continua qui la sua guerra contro la letteratura e la poesia, intese come dominio del sublime codice separato o superiore alle altre attività umane, vocabolario canonico dell’anima e del suo corredo spirituale. Di forme e atteggiamenti. Scopertosi letterato proprio in odio alla letteratura, oppone a quest'ultima sia gli antichi valori dell’anticlassicismo che strategie formali che contrastano la grammatica media del poetico: una scrittura bassa, fitta di occasioni concrete quasi letteralmente denutrita e una, invece, ricchissima di effetti iperletterari ottenuti tramite il riuso di strutture metri che compositive della tradizione. La prima è rappresentata in questi anni soprattutto da posta Postkarten. Una raccolta esplicitamente dichiarata la poetica dell’autore: ingrediente principale di questa poesia molto quotidiana e molto giornaliera, è un piccolo fatto vero offerto designando scrupolosamente spazio e tempo e personaggi. La riflessione sulla propria poesia si Lega a ispessirsi della tematica familiare funeraria, da sempre presente nel repertorio sanguinetiano. Attorno a quest'ultima si radunano i motivi della voce degli scomparsi, del bilancio, della propria vita, del lascito testamentario, delle parole estreme, della perdita dell’identità. L’io guarda sé stesso al di fuori e si coglie come presenza postuma o remota. Le acrobatiche giravolte dell'ironia e del cinismo, utilizzate spesso come contravveleni della letterarietà, paiono qui ritirarsi di fronte ad una pronuncia più affidabile e distesa. In Novissimum Testamentum i temi primari della poesia sanguinetiana si spostano al rifacimento del poemetto in ottave, risolvendosi in un congedo dalla vita e dai suoi affetti che tra i punti più alti della poesia di fine 900. L' autobiografismo assume tonalità sempre più cupe, svolgendo i propri resoconti nel senso di un eccesso psichico e verbale. A Sanguineti non interessa il tanto abusato pathos della lontananza, preferisce piuttosto una strategia della prossimità a tutto ciò che scorre sull'opaca trafila dei giorni dalla globalizzazione al post-moderno, dal nostro bordellesco paese berluscato agli iconismi degli sms. La produzione recente di Sanguineti si caratterizza soprattutto per due aspetti, da un lato un dizionarismo parosintattico, che nulla esclude di quanto ha fatto la sua comparsa nella lingua corrente, e dall'altro la tendenza al neologismo. L'onomaturgia qui all'opera riflette paradigmaticamente l'esistenza di dare ad ogni elemento la sua parola, di offrire per ogni fenomeno il termine che ne definisca al meglio significato e connotazioni. Tra le opere Bisbidis e Cose, il ripiegamento malinconico si declina spesso in modalità sentimentali e patetiche. Dal “io sono io una moltitudine” di Labrintus al “io sono il vecchio che ti sogna timida e telepatica” di Postkarten dal “io e un altro sempre” di Stracciafoglio alle varie declinazioni delle ultime raccolte scorre lungo la poesia sanguinettiana di attribuendo alla prima persona epiteti o qualifiche, una serie di cartigli o schede di autoidentificazione. Di questo “io ipse stesso”, colpiscono soprattutto la rinuncia ad ogni principio assoluto di unità interiore e la tendenza a ristrutturare le esperienze avute in sorte. In un libro in forma di convenzione apparso nel 2001, Sanguineti afferma che non esiste una soggettività pura. A partire da questo principio con l’ego labile e lapsile il protagonista della sua poesia si definisce allora come un elemento composito provvisorio ed effimero. Un'occasione di cui il reale, sadicamente si vale per sapere se c'è. L'opera di Sanguineti consegna così al lettore una verità feriale e ordinaria. 7. Amelia Rosselli Amelia Rosselli nasce a Parigi nel 1930. Nel 1940 l'anno dell'invasione nazista lascia Parigi con la madre per rifugiarsi a Londra e da lì su successivamente si trasferisce negli Stati Uniti, dove continua i suoi studi. Si stabilisce definitivamente in Italia nel 1948, dapprima a Firenze e poi a Roma, dove lavora come traduttrice e si dedica alla musicologia. Muore suicida a Roma nel 1996. Il carattere apolide della sua cultura, la frequentazione di tre lingue diverse, gli interessi eccentrici della tradizione italiana e l'originale riflessione metrica collocano la poesia della Rosselli in un ambito irriducibile a comode classificazioni nostrane. Negli anni Quaranta e cinquanta si occupò di teoria musicale, etnomusicologia e composizione, trasponendo le sue ricerche in alcuni saggi. È rimasta una figura di scrittrice unica per il suo plurilinguismo e per il tentativo di fondere l'uso della lingua con l'universalismo della musica. Nel 1948 cominciò a lavorare come traduttrice dall'inglese per alcune case editrici di Firenze e Roma e per la Rai; nel frattempo continuò a dedicarsi a studi letterari e filosofici. In questi anni frequentò gli ambienti letterari romani. Pubblica 24 poesie nella rivista Menabò. L'esordio in volume e del 1964 con Variazioni belliche edita da Garzanti, che unisce due elementi essenziali della sua procedura compositive e tematica. La tecnica della variazione mutata dalla forma musicale e dal titolo è possibile capire gli argomenti come il tratto musicale che la fatica di misurarsi con una vita di sofferenza. Qui il grande tema amoroso si dispone tra anonime figure mondane e presenze trascendenti di derivazione cristiana, interrogate con toni e movenze di stampo mistico. Sulla soglia di questa relazione, in cui il Divino Amore si mescola con la “brama” e “Iddio re” si confonde con il “primo venuto”, si affacciano nemici persecutori, le “parole funebri dell'invidia” e le figure dell'aldilà. I toni tragici, connessi alla recezione di un reale coincidente, in ultima analisi, con l’orrore, rintoccato anche nel quadro di una pronuncia alta e assertiva, in Serie ospedaliera la raccolta del 1976, che ripropone l'importante poemetto la Libellula del 1958. La gamma tematica del libro precedenti si arricchisce di una serie di riflessioni sulla poesia ironiche e amare e di una sempre più vasta intromissione di riferimenti alla vita psichica, all' inconscio e alla malattia mentale. Al centro della scrittura sta un io che tenta un dialogo con chi non può dare risposta. Nella lingua di queste due raccolte si registra un'aperta violazione, sia lessicale che sintattica, delle norme dell’italiano: inversioni dell’ordine canonico dei componenti della frase, blocchi verbali che stridendo si uniscono in urti o conflitti di forze, barbarismi, lapsus e innovazioni insieme a prelievi da altri poeti e ad accessioni analogiche di stampo visionario o allucinatorio. L'andamento seriale e compatto, che presiede alla strutturazione dei due libri e costantemente attentato da elementi centrifughi, riproponendo così sotto l'aspetto linguistico compositivo il rapporto forse essenziale della scrittura della Rosselli. Quello tra esposizione e riparo, tra il costruirsi di una lingua chiusa e privata e l'introduzione di ciò che invece si muove al di fuori del perimetro del soggetto minacciandone senso e presenza. Per Amelia Rosselli la poesia è il terreno su cui si scontrano due opposti aspetti del linguaggio: da un lato, il linguaggio è espressione del privato, dell’autenticità, dell’interiorità; ma dall’altro lato, non appena esso entra nel circolo della comunicazione sociale, diventa falso. Il suo punto di forza è la competenza musicale che ha favorito nella Rosselli la ricerca di una nuova metrica, dove il valore fonico delle sillabe, delle vocali e delle consonanti, il ritmo della frase finiscono per prevalere sul significato e sulle forme consuete della lingua: questo comporta l’invenzione di parole, la polivalenza del significato, la presenza di metafore oscure che dicono le cose mentre le celano, e, non ultima l’esigenza che la poesia sia detta ad alta voce, ascoltata più che letta. Musica, ritmo, suono, contaminazione delle lingue, ricerca di sempre nuovi sensi da comunicare: forma e significato sono elementi altrettanto imprescindibili e altrettanto curati nel fare poetico di Amelia Rosselli. L’opera Documento vede la luce con grande fatica nel 1976; ed è la testimonianza della crisi della poesia che non si configura più come ricerca dell’assoluto e di una forma in grado di decifrare il senso del mondo, ma come testimonianza della vita, che è il rovescio della poesia, quello che resta in assenza di poesia. Con il passare del tempo l'opera della Rosselli appare sempre più un episodio unico e radicale della nostra poesia. Espressione di una voce che con lucidità e visionaria bellezza, ha designato i rapporti tra l'io e le forme dell’orrore e del male, essa ha tra i suoi più notevoli punti di memorabilità, il fatto di non tramutare mai, pur vivendone tutte le indispensabili condizioni. Nella sua opera non solo il luogo della lingua e pienamente percepito come luogo di relazioni, ma tutto è correlato agli altri, a Dio, alle cose. Questo le consente di pensare alla propria poesia come testimonianza individuale che però esprime anche gli altri trasmettendo un'esperienza del reale collettivo e la spinge a stravolgere la monologante parola del lirismo sottoponendola ad una tensione estrema: quella di un colloquio che impossibile ma necessario, punta stanare sia anonime figure irriconoscibili che il canto a noi noto dei morti. Il disagio esistenziale della Rosselli si riflette nella sua opera e sarà lei stessa a raccontare in forma di prosa poetica i suoi vent’anni di vita: il solitario arrivo a Roma, l’incontro con Rocco Scotellaro, in una relazione sempre rimasta ambiguamente in bilico tra l’amore e la grande amicizia. Poi la morte di lui e l’inizio di un periodo di oscuramento progressivo della memoria e della ragione, peregrinando fino alle campagne fangose di Matera in cerca del fantasma del perduto amico/innamorato morto. Quando Amelia Rosselli morì, l’11 febbraio 1996, gettandosi dalla finestra del suo appartamento romano di via del Corallo, si pensò che quel suicidio avesse posto termine a un lungo silenzio creativo, ulteriore dolorosa ferita in una vita segnata dalla malattia mentale. Molti critici infatti, valutando la quantità di elementi di disagio, malinconia, depressione, nevrosi di cui le poesie sono colme, concordano nel sostenere che quello di Amelia Rosselli sia stato un suicidio, lentamente, gradatamente preannunciato nei suoi versi, con una particolarità ulteriore e singolare. Tema ricorrente nella lirica della Rosselli è lo scontro tra la sua sofferenza esistenziale e l’indifferenza e la superficialità altrui; è uno scontro che si riflette nella sua opera di poetessa come ricerca di continua sperimentazione formale. La scrittura si propone al tempo stesso come denuncia della propria pena, la cui violenza è trasmessa dalla forzatura della lingua, e come tentativo di trasferirla in schemi geometrici e musicali. Va perciò detto che il disagio individuale di Amelia Rosselli riflette un disagio storico di portata epocale e che la poetica, fortemente innovativa nelle forme e dai toni profondamente dolorosi della Rosselli è unica, nel panorama letterario italiano, per il senso che trasmette di un coinvolgimento emotivo studiare Lettere e Filosofia all'Università di Venezia, dove segue le lezioni di Francesco Orlando, che avranno grande influenza sulla sua produzione poetica. Nel 1983 esordisce con la raccolta di poesie Medicamenta e da subito la sua cifra stilistica è l'originale combinazione di tematiche attuali e metri classici come il sonetto, la terzina dantesca, la ballata: che spesso, proprio per il loro rigido schema di rime e sequenze sillabiche, rendono l'espressione di maggiore impatto. Il discorso vale sia per il tema amoroso – affrontato anche in La tentazione (1985), Medicamenta caratterizzati da un’artificiosità ostentata. In opposizione alla linearità e drammatica colloquialità di requiem e donna di dolori e alla naturalezza della conversazione erotica delle cento quartine. Alla base la celebrazione dell’eccesso erotico e del desiderio del corpo come esperienza, ad un tempo di ricerca, privazione, attesa e autodistruzione. Nella poesia della valduga eros e thanatos riducono in poltiglia significati e realtà e dove lo stesso discorso si sfarina in pulviscolo e cenere. La valduga dialoga preferibilmente con la tradizione poetica pre- leopardiana: quella tradizione in cui il classicismo, intossicato di perfezione, cominciava a delirare e diventare allucinazione. altre storie d'amore (1997), in cui il linguaggio quotidiano si fonde armoniosamente con quello letterario – sia per il tema del dolore in Corsia degli incurabili (1996), dove l'uso del sirventese con l'incalzante succedersi delle rime alleggerisce i pesanti argomenti affrontati. Molto apprezzato è anche il suo lavoro di traduttrice di Molière, Donne, Valéry e Shakespeare. Legata a Giovanni Raboni per ventitre anni, nel 2006 scrive la postfazione a Ultimi versi, la raccolta postuma di inediti dello scrittore, dedicando al compagno ventitre commoventi poesie. Negli ultimi anni ha pubblicato Il libro delle laudi (2012), Per sguardi e per parole (2018), Poesie erotiche (2018) e Belluno. Andantino e grande fuga (2019). 11. Valerio Magrelli Valerio Magrelli è nato a Roma nel 1957. Laureato in Filosofia all’Università di Roma, insegna Lingua e Letteratura Francese all’Università di Pisa. Dei poeti della sua generazione (è nato nel 1957) Valerio Magrelli è uno dei pochissimi riconosciuti da tutte le voci critiche come una presenza. Inconfondibile è il suo stile, con uno specialismo linguistico deliziosamente manieristico: Magrelli muove dalle cose, le dissolve in lingua, lingua che a sua volta ritenta la costituzione, talvolta enigmistica, della cosa, il suo profilo. C’è una sorta, insomma, di ‘transustanziazione’ continua della cosa in lingua e viceversa in questa poesia. La prima fase della poesia di Magrelli vediamo Ora serrata retinae, il libro d’esordia del 1980 e Nature e venature del 1987 sono espressioni di un lirismo argomentativo che, lontano da ogni effusione autobiografica, si risolve in un’indagine delle condizioni e dei limiti della percezione della scrittura. Il tono è pacato e raziocinante: la lingua, netta e precisa, attinge al lessico scientifico; la sintassi movimenta la sua regolarità di fondo con un piglio talvolta quasi speculativo. Il grande tema è soprattutto nella prima raccolta, un continuo interrogarsi sulla natura della poesia e sulla costruzione. Da una posizione autoriflessiva, si guarda però anche ad altri motivi, un ininterrotto aggiustamento dell’occhio e della mente; i tracciati tra il pensiero e il corpo tra il pensiero e la parola. Magrelli punta la sua lente anche nella trasformazione della materia e sul sistema di attrazioni che percorrono sia l’inorganico che la realtà umana del tempo e della memoria. Il nesso capitale di questa poesia sembra dunque quello tra forma e mutazione. Lo scenario della poesia di Magrelli cambia negli anni 90 on Esercizi di tipologia dove già nel titolo rimanda ad un comunicare meno ordinato e compatto di quello dei libri precedenti. Anche l’eterogena struttura compositiva allude al passaggio decisivo che pare realizzarsi soprattutto in una + forte attenzione al discontinuo, al male, alla dissoluzione e allo scavo dell’epoca. Sono le forme deformi con la loro bellezza nascosta a dirigere ora lo scandaglio verso gli stati di un conglobamento geologico. Nella sua ultima raccolta, Disturbi del sistema binario (2006), compariva la tagliola della doppiezza, l’inconoscibile doppiofondo di una creatura cara: variante della solita crepa, rottura, venatura che da sempre attraversa la levigatezza ipertecnica e consapevolissima della dizione magrelliana. 12. Antonella Anedda Nata da una famiglia sardo corsa, Antonella Anedda Angioy è una delle poetesse più note e apprezzate della poesia italiana contemporanea. Ha ottenuto numerosi e prestigiosi premi letterari e la sua voce è tra le poche di respiro europeo. Estranea alle mode e alle lusinghe del facile successo, dalla poesia alla prosa, dall’attività di traduttrice alla varia produzione saggistica, ha sviluppato una ricerca originale e coerente, che ha messo in luce la complessità e la ricchezza del suo mondo poetico. Fondamentali nella sua formazione sono gli studi di storica dell’arte, le pratiche d’interazione tra parola e immagine, che si percepiscono nelle sue opere, così come in ambito poetico il costante confronto con un’ampia costellazione di autori classici e contemporanei, in prevalenza europei. Antonella Anedda esordisce nel 1989 con Residenze invernali, un’opera in versi accolta in modo estremamente positivo dai lettori e dalla critica, che ha riconosciuto fin dall’inizio il suo talento e la novità della sua poesia. Nella poesia di Antonella Anedda la realtà quotidiana è presentata senza abbandoni spiritualistici, come dimensione sensibile e immanente e il soggetto come figura che accantonata ogni ipotesi di privata salvezza, si rivolge all’accadere cercando nella dismisura delle sue forme. Questo atteggiamento d’esposizione e di ascolto è in sintonia con i caratteri + appariscenti della poesia della Anedda: libertà metrica e strofica, alternatasi di prosa e versi nella stessa composizione, forte trama intertestuale rispondente all’esigenza di stabilire un colloquio con autori particolarmente amati. Tali aspetti descrivono almeno in parte la prima raccolta Residenze invernali del 1992. La disposizione fondamentale del libro è quella di chi sopravvissuto deve giustificarsi rispetto a qualcuno che manca, a una persona scomparsa o lontana, ma soprattutto a qualcuno che non ha + la parola e che forse quella parola non l’hai mai avuta. Già in questa prima raccolta affiora un tema che caratterizzerà la sua intera produzione letteraria e visione del mondo, quello della dolorosa condizione umana dell’inermità, espressione della corporeità ferita di chi è vittima di conflitti o sofferenze personali. l centro dell’attenzione di Anedda c’è la parola dei sopravvissuti, che nell’affrontare il dolore e il vuoto, tra solitudini lontane si cercano, senza però poter superare la condizione di distanza che li separa. In Notti di pace occidentale, una raccolta di poesie pubblicata nel 1999, in cui si delinea in maniera più precisa il percorso cominciato con il suo esordio. Questo libro dal titolo volutamente ironico e amaro, segna la piena maturità della voce poetica di Antonella Anedda, che tra paesaggi, oggetti del quotidiano, riflessioni sul tempo, dal ricordo della guerra del Golfo, al conflitto in Bosnia e nel Kosovo si interroga sulle violenze della storia e su un’idea illusoria della pace. Dopo la sua terza raccolta poetica, Il catalogo della gioia, pubblicata nel 2003, che segna un ulteriore momento di passaggio della sua scrittura, in cui fra il respiro della poesia e l’ interrogazione filosofica si esplicitano alcuni dei temi a lei più cari, segue nel 2007 Dal balcone del corpo, un libro di poesie colmo di immagini e di punti di vista diversi, caratterizzato dall’intervento del coro, secondo il modello della tragedia greca e con un dialogo dove l’autrice cede la parola a un io plurale, scomposto, come succede nella pittura cubista, in una molteplicità di prospettive. Nel testo affiora la riflessione sulla storia taciuta, sul lutto e il dolore altrui, umano e animale, e sull’indifferenza di chi guarda. La ribellione alla prigione dell’io, la frammentazione dell’identità e la meditazione sulla morte e sulla perdita, raggiungono una inedita intensità in Salva con nome (2012), un volume non solo di versi ma anche di prose, di dettagli di fotografie, immagini di opere figurative. Evocando memorie personali e figurazioni archetipiche, attraverso percezioni sfuggenti di una realtà precaria, il sentimento della perdita, così presente nella scrittura poetica di Anedda, prosegue in queste pagine il suo percorso di dissoluzione e ricomposizione del sé, già anticipato nella precedente raccolta di saggi edita nel 2009, La vita dei dettagli. Si legge nel testo di chiusura de La vita dei dettagli, un volume composto da parole, foto, collages e didascalie, dove lo sguardo di Anedda, in una ricerca legata all’osservazione dei dettagli di quadri, nel sottrarsi a un approccio gerarchico e normalizzante, non riunisce ma scompone,sconcertando il lettore. Historiae è il titolo dell’ultima raccolta di poesia di Anedda pubblicata nel 2018. A ispirare questo volume sono le Historiae di Tacito, oratore e senatore romano oltre che storico, che raccontano senza retorica l’orrore, i massacri, la fame, la povertà, che hanno segnato il suo periodo storico. Il rimando di Anedda alle opere di Tacito e al suo stile asciutto e drammatico, ci fa capire quanto i classici ancora riescano a sorprenderci, a parlarci, a essere attuali rispetto a quello che viviamo. Il recupero del latino e l’utilizzo del sardo s’intrecciano in questo nuovo libro in cui Anedda continua a interrogarsi su alcuni temi già comparsi nelle opere precedenti, come l’importanza del dire noi, la presenza di una voce plurale. Negli ultimi anni, nell’opera di Anedda, si intensifica il tentativo di liberare la scrittura da ogni condizionamento antropocentrico e da ogni visione unilaterale delle cose. Questo sembra uno dei motivi principali che ha ispirato l’ultimo suo libro Geografie, un volume scritto in una prosa poetica, pubblicato nel 2021. Lo spazio, altro grande tema della sua ricerca, che trascende la contingenza del tempo convenzionale, grazie alla possibilità che offre di mostrare la realtà da una prospettiva nuova, il significato dei mutamenti, le perlustrazioni di luoghi diversi del mondo, ma anche di luoghi particolari, come può essere lo spazio di un ospedale dove. I viaggi, le esplorazioni, hanno arricchito la vita e la poesia di Anedda di nuovi temi ed esperienze.
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