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La Poesia di Giuseppe Pascali: La Vita Tragica e la Ricerca di Un 'Nido' di Pace, Appunti di Italiano

Storia della letteratura italianaLiteratura Italiana Moderna e ContemporaneaPoesia italiana

Giuseppe Pascali, noto poeta italiano, vive una vita segnata da una serie di tragici eventi, tra cui la morte precoce di entrambi i genitori e la perdita di fratelli e sorelle. la vita e la poesia di Pascali, che cerca rifugio nel 'nido' familiare e nella relazione con le sorelle, ma è impegnato nella funzione di poeta civile e nella scoperta della poesia 'pura'. Il testo include l'analisi di alcuni componimenti, come 'X agosto', che esplorano tematiche metafisiche e la relazione tra la morte e la vita.

Cosa imparerai

  • Come la poesia 'pura' è descritta in questo documento?
  • Che significato ha la ricerca di un 'nido' di pace nella poesia di Giuseppe Pascali?
  • Come la morte di genitori e fratelli influisce sulla poesia di Giuseppe Pascali?

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 01/06/2022

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4.4

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Scarica La Poesia di Giuseppe Pascali: La Vita Tragica e la Ricerca di Un 'Nido' di Pace e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! GIOVANNI PASCOLI Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna. La sua prima formazione gli fu impartita in un collegio religioso. La sua vita presto fu segnata da un tragico evento, ovvero la morte del padre Ruggero, che fu ucciso il 10 agosto 1867 a fucilate. La morte del padre creò difficoltà economiche alla famiglia ed il figlio maggiore, Giacomo, dovette assumere il ruolo paterno. Al primo lutto in un breve giro di anni ne seguirono altri, in una successione impressionante: nel 1868 morirono la madre e la sorella maggiore, nel 1871 il fratello Luigi, nel 1876 Giacomo. Nel 1871 dovette lasciare il collegio, ma, grazie alla generosità di uno dei suoi professore, poté proseguire gli studi a Firenze, dove terminò il liceo. Nel 1873 ottenne una borsa di studio presso l’Università di Bologna, dove frequentò la Facoltà di Lettere. Partecipò a manifestazioni contro il governo, fu arrestato nel 1879. Si laureò nel 1882 e iniziò subito dopo la carriera di insegnante liceale prima a Matera, poi a Massa. Qui chiamò a vivere con sé le due sorelle, Ida e Mariù, ricostituendo così idealmente quel “nido” familiare che i lutti avevano distrutto. La chiusura gelosa del “nido” familiare e l’attaccamento morboso alle sorelle rivelano la fragilità della struttura psicologica del poeta, che, cerca entro le pareti del “nido” la protezione da un mondo esterno che gli appare minaccioso ed irto di insidie. A questo si unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti, inibendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna. C’è in lui il desiderio di un vero “nido”, in cui esercitare un’autentica funzione di padre, ma il legame ossessivo con il “nido” infantile spezzato gli rende impossibile la realizzazione del sogno. Niente relazioni amorose, quindi. Le esigenze affettive del poeta sono interamente soddisfatte dal rapporto sublimato con le sorelle. Il matrimonio di Ida, nel 1895, fu sentito da Pascoli come un tradimento, una profanazione della sacralità del “nido”, e determinò in lui una reazione spropositata, con vere manifestazioni depressive. Dopo il matrimonio della sorella, Pascoli prese in affitto una casa a Castelvecchio di Barga con la sorella Mariù, qui trascorreva lunghi periodi a contatto con il mondo della campagna. La sua vita era quella appartata, una vita esteriormente serena, ma in realtà turbata nell’intimo da oscure angosce e paure, angosce per la presenza ossessiva della morte. Nel 1895, Pascoli aveva ottenuto la cattedra di Grammatica greca e latina all’Università di Bologna, poi di Letteratura latina all’Università di Messina, dove insegno sino al 1903. Passò a Pisa ed infine dal 1905 subentrò al suo maestro Carducci nella cattedra di Letteratura italiana a Bologna. Dal 1892 per ben 12 anni vinse la medaglia d’oro al concorso di poesia latina di Amsterdam. Negli ultimi anni volle gareggiare con Carducci e d’Annunzio nella funzione di poeta civile. Morì il 6 aprile 1912. Il fanciullino Nell’ampio saggio Il fanciullino, pubblicato nel 1897, l’idea centrale è che il poeta coincide col fanciullo che sopravvive al fondo di ogni uomo: un fanciullo che vede tutte le cose “come per la prima volta”, con ingenuo stupore e meraviglia, come dovette vederle il primo uomo all’alba della creazione. Nella poetica del fanciullino la poesia non è mai invenzione, ma scoperta: la poesia sta nelle cose che ci circondano, poesia è saper trovare l’anima nelle cose guardandole con gli occhi di bambino, occhi che scoprono nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose arrivando intuitivamente a cogliere il mistero che caratterizza ogni aspetto della vita. La poesia è quindi in grado di metterci in comunicazione immediata con il mistero, con la vera realtà, diventando forma suprema di conoscenza. Il poeta appare come un “veggente”, dotato di una vista più acuta di quella degli uomini comuni, colui che può attingere all’ignoto, esplorare il mistero. In questo quadro culturale si colloca la concezione della poesia “pura”: per Pascoli la poesia non deve avere fini pratici; il poeta canta solo per cantare, non si propone obiettivi civili, morali, pedagogici, propagandistici. Tuttavia, precisa Pascoli, la poesia “pura”, assolutamente spontanea e disinteressata, può ottenere effetti di suprema utilità morale e sociale. Il sentimento poetico infatti, dando voce al “fanciullino” che è in noi, sopisce gli odi e induce alla bontà. Nella poesia “pura” del fanciullino per Pascoli è implicito un messaggio sociale, un’utopia umanitaria che invita all’affratellamento di tutti gli uomini, al di là delle barriere di classe e di nazione che li separano e li contrappongono gli uni agli altri. Questo rifiuto della “lotta tra classi” si trasferisce al livello dello stile. Ricchi di poesia per lui non sono solo gli argomenti elevati e sublimi, ma anche quelli più umili. La poesia è anche nelle piccole cose. Pascoli si propone sia come cantore delle realtà umili e dimesse sia come celebratore delle glorie nazionali. Il lessico pascoliano Pascoli non usa un lessico “normale”. Infatti, mescola tra loro codici linguistici diversi. Troviamo quindi nei suoi testi termini preziosi e aulici, della lingua dotta, o ricavata dai modelli antichi; termini gergali e dialettali; una minuziosa, precisa terminologia botanica ed ornitologica; termini dimessi e quotidiani del parlato colloquiale; parole provenienti da lingue straniere. Questa pluralità di codici linguistici costituisce una vistosa infrazione alla norma e la caduta delle certezze nella poesia italiana. misterioso e il risuonare nelle tenebre notturne, ha qualcosa di lugubre, di vagamente funebre. All’inizio della seconda strofa si ripresentano immagini quiete e serene, le stelle che risplendono nel chiarore diffuso e lattiginoso, il rumore del mare che si associa a immagini rassicuranti. Il rumore delle fratte segna il passaggio al clima della seconda quartina: al guizzo dell’imprecisato essere tra la vegetazione risponde il sussulto nel cuore del poeta. Il “grido” che risuona nell’interiorità dell’io lirico è ripreso dal verso dell’assiuolo, che pare un “singulto”, un grido stridente. All’inizio della terza strofa ritorna l’immagine della luce lunare, che qui colpisce le cime degli alberi, ma subito poi si inseriscono notazioni più negative, il sospiro del vento che trema, il suono finissimo delle cavallette. I “sistri” erano strumenti sacri alla dea egiziana Iside, ed il suo culto era un culto misterico che prometteva la resurrezione dopo la morte. Ma se per il poeta le porte della morte non si aprono più, si comprende la vaga angoscia che pervade tutte le sensazioni del notturno lunare: è l'angoscia della morte che non consente la rinascita della vita, non permette il ritorno dei cari scomparsi. A conferma del valore simbolico dei “sistri” delle cavallette e delle “invisibili porte”, in chiusura della strofa della poesia il verso dell’assiuolo si concreta in un pianto di morte. Evocato dai rumori misteriosi della notte e dal grido lontano dell’assiuolo, riaffiora alla memoria del poeta il pensiero della sua tragedia personale, dei lutti che hanno funestato la sua vita, l’idea dei suoi morti che non possono più tornare, della morte che incombe anche su di lui. L’atmosfera indefinita e magica si riflette in una serie di espressioni del carattere analogico: “alba di perla”, “soffi di lampi”, “nero di nubi”, “nebbia di latte”, “cullare del mare”, “sospiro di vento”, “finissimi sistri d’argento”, “pianto di morte”. Altro effetto suggestivo è dato dal simbolismo fonico. La poesia è un continuo susseguirsi di sensazioni: questo processo è reso attraverso una struttura verbale prevalentemente anaforica. Si noti la collocazione dei verbi, molti si trovano all'inizio del verso. L'effetto è ribadito dalla costruzione sintattica, sistematicamente fondata sulla paratassi: si ha l’allinearsi in parallelo di brevi membri tra loro coordinati, quasi tutti collegati senza congiunzione. Non si ha una struttura sintattica complessa, i membri si succedono semplicemente uno dopo l’altro. I Poemetti I Poemetti, raccolti in una prima volta nel 1897 ed infine, nella veste definitiva, divisi in due raccolte distinte, Primi poemetti (1904) e Nuovi poemetti (1909). Si tratta di componimenti più ampi di quelli di Myricae, con un taglio narrativo, divenendo spesso dei veri e propri racconti in versi. Ai versi brevi subentrano le terzine dantesche. Anche qui, però assume rilievo dominante la vita della campagna. All’interno delle due raccolte si viene a delineare un vero e proprio romanzo georgico, cioè la descrizione di una famiglia rurale di Barga, colta in tutti i momenti caratteristici della vita contadina. La narrazione p articolata in veri e propri cicli, che traggono il titolo dalle varie operazioni del lavoro dei campi, La sementa, L’accestire nei Primi poemetti, La fiorita e La mietitura nei Nuovi poemetti. Il poeta vuole celebrare la piccola proprietà rurale, presentandola come depositaria di tutta una serie di valori tradizionali e autentici. La vita del contadino, chiusa nelle dimensioni ristrette del podere e del “nido” domestico, appare al poeta come un rifugio rassicurante. La rappresentazione della vita contadina assume quindi la fisionomia di un’utopia regressiva, nel senso che Pascoli proietta il suo ideale nel passato, in forme di vita che stanno scomparendo. Il mondo rurale pascoliano è idealizzato e idillico, ignora gli aspetti più crudi della realtà popolare. Pascoli si sofferma sugli aspetti più quotidiani, umili e dimessi di quel mondo, designando con minuziosa precisione gli oggetti e le operazioni del lavoro dei campi, ma anche questa precisione non ha nulla di naturalistico, di documentario. Il poeta mette in rilievo quanto di poetico è insito anche nelle realtà umili, la loro dignità sublime. I Canti di Castelvecchio I Canti di Castelvecchio si propongono intenzionalmente di continuare la linea della raccolta Myricae. Anche qui ritornano immagini della vita di campagna e ricompare una misura più breve, lirica anziché narrativa. I componimenti si susseguono secondo un disegno segreto, che allude al succedersi delle stagioni. Ricorre con frequenza ossessiva il motivo della tragedia familiare e dei cari morti. Vi è anche il rimando continuo del nuovo paesaggio di Castelvecchio a quello antico dell’infanzia in Romagna, quasi ad istituire un legame ideale tra il nuovo “nido” costruito dal poeta e quello spazzato via dalla tragedia. In quest’opera possiamo trovare diversi temi: l’eros, contemplato col turbamento del fanciullo per il quale il rapporto adulto è qualcosa di ignoto, affascinante e ripugnante insieme, e la morte, che a volte appare un rifugio dolce in cui sprofondare. Dalle piccole cose della realtà umile lo sguardo si allarga poi agli infiniti spazi cosmici, ad immaginare misteriose apocalissi future che distruggeranno forse la vita dell’universo.
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