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Giovanni Pascoli e opere, Sintesi del corso di Italiano

Riassunto sulla vita e opere di Pascoli. Sono presenti riassunti di alcune opere

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 30/06/2023

giulia-ruffoli
giulia-ruffoli 🇮🇹

10 documenti

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Scarica Giovanni Pascoli e opere e più Sintesi del corso in PDF di Italiano solo su Docsity! GIOVANNI PASCOLI VITA Giovanni Pascoli nacque nel 1855 a San Mauro di Romagna (Forlì), quarto di dieci figli. Il padre amministrava una tenuta agricola e Giovanni crebbe in campagna, in una famiglia patriarcale e agiata. A otto anni entrò nel collegio dei padri scolopi a Urbino, dove frequentò la prima liceo quando, nel 1867, il padre venne assassinato in circostanze misteriose; fu un delitto destinato a rimanere impunito e che sconvolse il sereno nido familiare. La madre morì l’anno seguente e il fratello maggiore Giacomo si trasferì con il resto della famiglia a Rimini. Giovanni riuscì a terminare il liceo e, grazie a una borsa di studio, a iscriversi a Bologna alla facoltà di lettere. Partecipò alla vita culturale bolognese e venne a contatto con i circoli socialisti, sposando la causa della giustizia sociale; la partecipazione a una manifestazione di protesta lo privò della borsa di studio e Pascoli dovette abbandonare gli studi. Intensificò il suo attivismo politico dopo aver conosciuto l’anarchico Andrea Costa; si impegnò nella propaganda in favore della Prima internazionale e conobbe la prigione. Scarcerato, abbandonò la politica attiva temperando i suoi ideali in un umanitarismo interclassista di stampo contadino, contrario allo scontro sociale e venato di sensibilità evangelica. Ripresi gli studi, nel 1882 si laureò con una tesi sul poeta greco Alceo. Dedicatosi all’insegnamento del latino e del greco nelle scuole superiori, fu assegnato prima a Matera, quindi a Massa e infine a Livorno. Nel 1892 vinse per la prima volta il prestigioso premio internazionale di composizione poetica in lingua latina indetto dalla Regia accademia di Amsterdam; passato alla carriera accademica, insegnò prima a Bologna, poi a Messina, quindi a Pisa. Nel 1905 fu infine chiamato dall’università di Bologna a succedere a Giosuè Carducci nella cattedra di letteratura italiana. L’ossessione di ricostituire il nucleo familiare lo spinse a riunire attorno a sé le sorelle Ida e Maria (detta Mariù) rinunciando a sposarsi; visse pertanto il matrimonio di Ida come un tradimento. Nel 1895 a Castelvecchio di Barga (Lucca) prese in affitto una casa che in seguito acquistò, facendone il suo nido definitivo assieme alla sorella Mariù. In questi anni travagliati nacquero le raccolte poetiche più celebri: Myricae, Poemetti, Canti di Castelvecchio, Poemi conviviali. Assunto il ruolo di poeta ufficiale impegnato a celebrare la patria, pubblicò le raccolte Odi e inni, Poemi italici, Poemi del Risorgimento, Canzoni di Re Enzio. Nel 1911 tenne un discorso pubblico (La grande proletaria s’è mossa) celebrando la guerra coloniale di Libia. Morì di cancro nel 1912, dopo avere vinto per la tredicesima volta il premio dell’Accademia olandese. ● La morte del padre è l’episodio che ha segnato la vita di Pascoli e sta alla base della sua vocazione poetica. L’elaborazione del lutto conferisce una nota dominante a tutta la sua produzione. L’evento traumatico, spezzando la sua vita in un “prima” spensierato e in un “poi” drammatico, ha generato in lui un meccanismo regressivo che attira il suo immaginario poetico verso quel “prima” rivissuto come un tempo edenico. Tale regressione, che si manifesta nel simbolo ricorrente del «nido» (luogo al riparo dalle insidie del mondo sotto la protezione degli affetti familiari), prende tre diverse direzioni: - una regressione anagrafica (la fanciullezza, stagione dell’innocenza, della fantasia e della spontaneità, come alternativa al mondo adulto dominato dal calcolo, dall’egoismo, dall’insensibilità); - una regressione sociale (il mondo arcaico e armonico della campagna, regolato dalle eterne leggi di natura, come alternativa all’universo alienante della modernità tecnologica e cittadina); - una regressione storico-culturale (il mondo classico, ai primordi della civiltà occidentale, come alternativa alla cultura borghese contemporanea IL FANCIULLINO Pascoli fu autore sincronico: portava cioè avanti più opere contemporaneamente, sicché la sua produzione può essere ricondotta a una medesima poetica, che egli stesso ha illustrato nella prosa del Fanciullino. L’opera ebbe una lunga gestazione: uscita in anteprima parziale nel 1897 (con il titolo Pensieri sull’arte poetica), solo nel 1903 fu pubblicata in forma integrale (in 20 capitoli), anche se non definitiva (Pascoli pensava a ulteriori ampliamenti). Il fanciullino per Pascoli designa la sfera irrazionale, dominata da fantasie ed emozioni: la visione poetica del mondo è diversa da quella elaborata dalla ragione o dalla scienza. Il poeta è un «veggente» il cui sguardo non considera l’utilità pratica o l’impatto sociale di oggetti e fenomeni, ma «ci trasporta nell’abisso della verità» celato spesso nelle cose più umili. La conoscenza poetica è dunque una conoscenza metafisica che avviene per via immediata e intuitiva; il poeta possiede una facoltà divinatoria grazie alla quale può vedere la rete di somiglianze e relazioni fra le cose che sfugge all’approccio analitico della ragione e della scienza. Siamo, evidentemente, in pieno Simbolismo: conoscere infatti è riconoscere, è “illuminazione”. Il fanciullino non impone alle cose le proprie sovrastrutture mentali, ma le elegge a maestre, osservandole con la meraviglia di chi vede per la prima volta; il nuovo, infatti, non si inventa (si inventa ciò che non esiste), ma si scopre. Per conoscere il fanciullino sfoglia il libro aperto della natura, di cui bisogna saper decifrare l’alfabeto: nel libro della natura è infatti già scritta la verità. ● La natura, oltre che una foresta di simboli, è per Pascoli un’orchestra di suoni; la natura ci parla, ma solo il fanciullino è in grado di comprenderne la lingua. Tradotte in parole, le voci della natura diventano onomatopee, il cui scopo tuttavia non è una resa realistica: a Pascoli interessa decrittare il messaggio in esse implicito, rendere comprensibili le verità che esse oscuramente affermano; si tratta di un «linguaggio pre-grammaticale» (Contini). Oltre all’onomatopea Pascoli utilizza molte figure di suono (allitterazioni, assonanze) e mediante un uso peculiare di metro e rima costruisce un linguaggio fonosimbolico. Pascoli definisce il fanciullino come «l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente»; dare un nome alle cose significa dare un nome alle verità in esse celate; ma l’atto poetico del nominare è un atto di conoscenza, in quanto dare un nome significa riconoscere un senso. Le verità scoperte dalla poesia simbolista sono di ordine ontologico, riguardano cioè l’essere in sé; esistono dunque indipendentemente dall’uomo (e dal fanciullino che le scopre). Come non si può modificare il senso ontologico delle cose, così l’atto di chiamarle per nome – cioè di dichiarare la verità riguardo al loro essere – non ammette arbitri. Perciò Pascoli quando deve designare un oggetto sceglie di usare non un nome generico ma il nome proprio (Contini parla di «linguaggio post- grammaticale» in relazione ai numerosi termini tecnici anche derivati dal dialetto o dal lessico contadino presenti nella poesia pascoliana): questo non in ossequio a uno scrupolo scientifico di classificazione, ma per religioso rispetto della verità della cosa, di cui il nome proprio è garante. Al nuovo Adamo spetta dunque il compito di introdurre per la prima volta in poesia quei termini, anche tecnici, sovente poco diffusi anche nella lingua comune. Lo sguardo del fanciullino non si ferma però mai alla singola cosa: ogni oggetto è parte di un tutto ed egli sa scoprire «le somiglianze e relazioni più ingegnose». A esprimere queste relazioni è deputata l’analogia, figura che mette in relazione gli aspetti comuni fra le cose, in particolare nella forma della sineddoche: nella poesia simbolista l’analogia non collega due concatenato con ottonari, settenari e quinari; il decasillabo con l’endecasillabo; compaiono anche distici di endecasillabi a rima baciata, un componimento ispirato alla forma metrica popolare chiamata “rispetto”, nonché frequenti rime ipermetre. Temi Dominante è ancora il tema funerario. La poesia trova giustificazione in quanto risarcimento contro il destino crudele che ha infierito sulla famiglia del poeta; scrivere dei familiari defunti equivale a richiamarli in vita: «il figlio ridona al padre attraverso la poesia ciò che l’assassino impunito gli ha tolto» (Nava). Folclore e vernacolo Osserviamo nei Canti una componente folclorica legata a mestieri e abitudini della gente di Garfagnana (dove si trova Castelvecchio), nonché a detti e credenze romagnole; il poeta infatti va ora cercando nella cultura popolare di zone periferiche, custodi di una sapienza naturale, le stesse verità esistenziali che nella precedente raccolta il fanciullino aveva colto solo nelle voci della natura. Compito ulteriore del poeta diviene quello di preservare le antiche tradizioni, prima che vengano cancellate dal progresso e dalla modernizzazione. Per le medesime ragioni il «linguaggio post-grammaticale» di Pascoli si arricchisce ora di inflessioni vernacolari e di termini tecnici ascrivibili all’ambito delle arti e dei mestieri della tradizione romagnola e garfagnina. POEMETTI Uscita in prima edizione nel 1897 e in seconda nel 1900, la raccolta dei Poemetti venne quindi sdoppiata in Primi poemetti (1904) e Nuovi poemetti (1909), costituenti comunque un dittico unito sin dall’epigrafe comune, paulo maiora, ancora una citazione dalla IV Bucolica virgiliana, che lascia intendere questa volta un innalzarsi della materia. Ritornano temi e scenari consueti: il mondo della campagna, il motivo funebre, il sogno di un’umanità più buona, affrontati però in modo nuovo, con tono più solenne, più scoperta intenzione ideologica, taglio meno lirico-simbolico e più narrativo- descrittivo e il linguaggio si fa più aulico e la struttura. Di conseguenza la struttura metrica dominante è ora la terzina dantesca. ROMANZO “GEORGICO” Diversi componimenti appaiono concepiti e disposti in sequenza, come singoli episodi del «romanzo georgico» (Bàrberi Squarotti) che ha come protagonista una famiglia di contadini della Garfagnana osservata nella sua vita quotidiana, dall’autunno alla successiva estate. Nei Primi poemetti abbiamo due sezioni dedicate alla semina e all’inverno; nei Nuovi altre due, dedicate alla fioritura primaverile e alla mietitura; compaiono inoltre quattro lunghi componimenti isolati (2+2), fra cui merita un richiamo il secondo, Le armi, dedicato in realtà ai pacifici strumenti impiegati nei lavori agresti. Veniamo così introdotti in una società semplice e laboriosa, radicata nei ritmi e nelle leggi di natura, una società di cui Pascoli rappresenta le modeste occupazioni come riti e opere d’arte. Siamo di fronte a una celebrazione, ideale e politica, della civiltà contadina: un mondo armonico, semplice e solidale, arcaico e patriarcale, sobrio e immobile nella sua circolarità stagionale. Del tutto assenti sono invece gli aspetti negativi (attaccamento alla roba, mancanza di solidarietà, sfruttamento, miseria, ingiustizia) denunciati dagli scrittori veristi; Pascoli imma gina piuttosto una società di piccoli possidenti terrieri come antidoto alla fame e all’emigrazione. All’intento celebrativo dell’opera contribuisce il linguaggio, caratterizzato da registro sublime e patina classica e letteraria, che conferiscono a persone e azioni un profilo epico. PASCOLI METAFISICO Accanto alle istanze ideologiche Pascoli sviluppa riflessioni di più ampio respiro, che investono l’intera sua visione del mondo e sono collocate in apposite sezioni, ancora una volta due per libro. Nei Primi poemetti abbiamo Il bordone-L’aquilone (dedicata al tema della morte, comune destino di tutto il creato) e I due fanciulli-I due orfani (dove è evocato il senso del mistero che ci sovrasta generando inquietudine e smarrimento, contro i quali unica arma efficace è la solidarietà). Nei Nuovi poemetti abbiamo Il naufrago, Il prigioniero (che promuove una filosofia della bontà e della sopportazione di fronte al "naufragio" della vita, lasciando emergere l’ispirazione più cosmica e religiosa di Pascoli) e infine Le due aquile-I due alberi (in cui emerge netta l’alternativa fra l'egoismo di chi si innalza a danno degli altri e la carità fraterna di chi soccorre il bisognoso; fra l’avidità senza fine e la semplicità che si accontenta del poco e nulla spreca). I POEMI CONVIVIALI Il progetto risale all’inizio degli anni novanta, ma si concretizzò solo nel 1904 (prima edizione, 19 componimenti) e nel 1905 (seconda edizione definitiva, 20 componimenti). Il titolo richiama la tradizione classica, greca e latina, dei carmina convivalia, poesie composte per allietare i banchetti; recuperare tale tradizione per Pascoli significa tornare ai primordi della poesia, recuperarne l’essenza originaria: la poesia ha infatti avuto origine proprio nei banchetti. Temi Siamo ancora di fronte a un procedimento regressivo, questa volta di tipo storico-culturale, dal moderno all’antico. Il poeta riprende miti, leggende, episodi storici del mondo greco e romano, a volte in funzione metapoetica (nel Cieco di Chio Omero è simbolo del dono della poesia ottenuto a prezzo di drammatiche rinunce; nella Cetra di Achille è distinta la funzione dell’eroe, che compie grandi gesta, da quella del poeta, chiamato a celebrarle). Scopo di Pascoli è istituire un confronto fra antichità e modernità per stabilire che cosa, dell’antico, rimanga vivo ancora oggi. L’immagine del mondo antico che emerge da queste poesie non è però idilliaca, ma velata di pessimismo; su tutti gli eroi evocati incombe lo spettro della morte: solo la poesia, dando sfogo al dolore dell’esistenza, può riconciliare l’uomo con il suo destino, consolandosi di essere nato. ● Quella dei Poemi conviviali è una poesia di “secondo grado”, che nasce cioè da altri testi ed è intessuta di riprese, allusioni, citazioni. Pascoli si propone come «l’ultimo dei rapsodi» (Elli), gli antichi cantori greci che elaboravano e variavano i materiali della tradizione. Non manca però un messaggio umano e civile; in particolare nel componimento dedicato a Esiodo l’antico cantore è definito «poeta degli iloti», cioè degli schiavi, dei reietti, degli ultimi: è l’emblema di una poesia che rinuncia alla celebrazione delle gesta eroiche per consacrarsi alle fatiche quotidiane, ugualmente degne di canto, di tanti uomini umili e ignoti. I CARMINA Pubblicata Postuma(1914) in due volumi a cura della sorella Maria, l’opera raccoglie più di cento liriche in lingua latina, comprese quelle vincitrici del concorso indetto annualmente dalla Regia accademia di Amsterdam. Pur trattando vicende e personaggi dell’antica Roma (con particolare attenzione a figure umili ed episodi marginali rispetto alla grande storia), i componimenti sono del tutto assimilabili, per stile e tematiche, a quelli in lingua italiana. IL POETA VATE Succeduto a Carducci all’università di Bologna, Pascoli tentò di raccoglierne l’eredità di vate nazionale e poeta della storia patria, in competizione con D’Annunzio. Capitoli di questa epopea nazionale dovevano essere le raccolte degli ultimi anni: Odi e inni (1906), le Canzoni di Re Enzio (1908-1909), i Poemi italici e i due inni A Roma e A Torino (1911, in occasione del cinquantenario dell’unificazione) e gli incompiuti Poemi del Risorgimento. POESIE Arano Questa poesia descrive una scena rurale, un campo dove alcuni contadini lavorano la terra, osservati da un passero e da un pettirosso che aspettano di poter beccare i semi rimasti scoperti dalla semina. Il paesaggio è autunnale: la nebbiolina che sale dai cespugli e dalle foglie di vite che spiccano per il colore rosso dei filari e dai rami che sono spogli. Nella prima terzina Pascoli descrive il paesaggio utilizzando sensazioni visive. Nella seconda terzina invece le sensazioni sono più di tipo uditivo. Nella quartina finale Pascoli esprime il punto di vista dei due personaggi ovvero il passero e il pettirosso, i quali vengono personificati. L’impressione generale è di profonda malinconia, tutto è grigio, uniforme e avvolto da un'atmosfera autunnale. Troviamo solo pochi tocchi di colore. Lavandare Il paesaggio descritto dal poeta è un paesaggio rurale immerso in una sfumata luce mattutina. Il contesto è caro a Pascoli: il mondo contadino, la quotidianità delle lavandaie e il loro lavoro monotono e sempre uguale che accompagnano con canti lunghi e ritmati. La poesia è pervasa da un senso di smarrimento e solitudine. L’aratro diventa il simbolo di questo abbandono, infatti esso giace in mezzo a un campo arato solo per metà. Nella prima strofa prevale l’aspetto visivo del paesaggio, vengono descritti i colori. Nella seconda strofa prevale l’aspettò uditivo. Nell’ultima strofa vediamo il paragone tra l’aratro e le lavandaie. X Agosto Questa poesia fu scritta per ricordare la figura del padre, Ruggero, il quale fu assassinato. Il tema principale è quello del nido, visto come rifugio dai dolori della vita. Il titolo fa riferimento ad una precisa data del calendario, ossia la ricorrenza di San Lorenzo, quando durante la notte, è ben visibile il fenomeno delle stelle cadenti. La prima e ultima strofa sono collegate perché la prima si apre con la dichiarazione di conoscere il motivo per cui nella notte di San Lorenzo le stelle inondano con il loro pianto la Terra e nell’ultima esplicita questo motivo. La parte centrale racconta la storia parallela e tragica del ritorno a casa di una rondine e del padre di Pascoli, entrambi uccisi prima di poter riabbracciare la propria famiglia che rimane ad aspettare inutilmente. L’assiuolo Pascoli descrive un paesaggio notturno tramite sensazioni visive e uditive. Al centro troviamo la figura dell'assiuolo che con il suo verso “chiù” evoca nel poeta sentimenti particolari. È composta da tre strofe ognuna delle quali presenta lo stesso schema: i primi versi presentano immagini serene e pacifiche mentre gli ultimi propongono immagini più inquietanti. Inizialmente prevale il sentimento dell’estasi, la notte è stupenda, il cielo è chiaro come l’alba. A turbare questa pace è una voce triste, ovvero il verso dell’ usignolo. Di strofa in strofa diventa più angoscioso, fino a diventare un pianto di morte che fa rivivere in Pascoli ricordi tormentati. Troviamo un contrasto di immagini minacciose e serene. Quando Pascoli ode questo canto di morte, realizza l’impossibilità per l’uomo di affidarsi alla speranza di una vita aldilà la fine dell’esistenza. Temporale
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