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Giovanni Pascoli: La vita, Appunti di Letteratura Italiana

Per l'esame di Letteratura Italiana C

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 07/01/2020

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Utente sconosciuto 🇮🇹

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Scarica Giovanni Pascoli: La vita e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! GIOVANNI PASCOLI LA VITA Giovanni Pascoli nasce il 31 Dicembre 1855, quarto di dieci figli, a San Mauro di Romagna (Forlì), dove il padre amministra una tenuta dei principi di Torlonia. Il ricordo felice dei primi anni di vita in campagna resterà indelebile nella memoria del poeta che, nel 1862, insieme ai due fratelli inizia a frequentare il collegio degli scolopi di Urbino. Qui trova insegnamenti di ottimo livello che gli fanno apprezzare la poesia e lo spingono a comporre alcuni testi occasionali anche in lingua latina. Il 10 Agosto 1867 si verifica una tragedia che segnerà per sempre la vita del poeta: il padre viene assassinato da due sconosciuti mentre ritorna a casa portando in dono due bambole per le figlie. L’evento lascerà un segno indelebile nella memoria di Giovanni e verrà elaborato da lui due anni dopo, quasi nella forma di un mito personale. Durante la vita adulta i suoi sentimenti rimarranno rivolti al passato; gli anni precedenti il 1867, in cui la famiglia era un nido felice e unito, appariranno nel ricordo del poeta come un paradiso remoto e irraggiungibile. Nel 1868 muoiono la sorella maggiore Margherita (a 17 anni) e la madre (dopo aver pianto per più di un anno), in seguito muoiono anche il fratello Luigi (1871) e cinque anni dopo il fratello maggiore Giacomo (chiamato anche “piccolo padre”) che cercava di ricostruire attorno a sé il nido distrutto: la responsabilità familiare va a gravare sulle spalle di Giovanni. Questa serie di catastrofi sconvolge il poeta, portandolo a pensare che l’universo e la vita siano un mistero incomprensibile e che sul pianeta predomini un destino malvagio. Il giovane prosegue gli studi, ottiene una sistemazione gratuita a Firenze e si diploma a Cesena nel 1872. Vince una borsa di studio per l’ammissione all’Università di Bologna e inizia a frequentare la facoltà di lettere, dove insegna Giosuè Carducci, del quale diviene uno dei suoi allievi prediletti. In questi anni si appassiona allo studio dei classici greci e latini e dei maggiori scrittori italiani: Dante e Leopardi soprattutto. Nel 1895 inizia la carriera universitaria di Pascoli: inizialmente è professore di grammatica latina e greca all’Università di Bologna, nel 1897 di letteratura latina a Messina, nel 1903 di grammatica latina e greca a Pisa; infine nel 1905 ottiene la cattedra di letteratura italiana a Bologna (occupata prima di lui da Carducci). Nel 1902 il poeta riesce ad acquistare la casa di Castelvecchio, dove, in affitto, abitava con la sorella Maria e Ida (un’altra sorella che nel 1895 si era sposata, con grande delusione di Pascoli perché pensava ancora di ricostruire il nido familiare, ormai perduto). Il 6 Aprile 1912 si spegne a Bologna (56 anni) a causa di un tumore al fegato. L’UOMO E LA PERSONALITA’ La personalità Pascoliana è assai complessa. Alcuni aspetti contradditori e difficili della personalità del poeta possono essere compresi alla luce delle vicende drammatiche che caratterizzano l’infanzia e la prima giovinezza del poeta. L’intera vicenda umana e psicologica di Pascoli e l’intero percorso del suo pensiero e della sua poesia sono riducibili ad un progetto di ricostituzione del mondo beato dell’infanzia, in una prospettiva di “regressione” verso il calore e gli affetti di un microcosmo familiare perduto, di un nido dove rinchiudersi per tenere lontano il mondo crudele. Il fattore esistenziale che determina questa esigenza regressiva è la rapida successione di tragedie che colpiscono in pochi anni la famiglia di Pascoli: in primo luogo l’assassinio del padre Ruggero, La drammatica scomparsa del padre troverà eco in alcune sue poesie famose, come per esempio: La cavalla storna e il X Agosto; nel parallelo che l’autore stabilisce tra l’uccisione del padre (di ritorno verso casa) e quella della rondine che porta ai suoi piccoli il cibo, è contenuta una delle manifestazioni più evidenti della centralità dell’immagine del nido nella fantasia pascoliana. La morte del padre spezza in due la vita del poeta: se prima della tragedia del 1867 il nido familiare gli garantiva protezione e calore, dopo la tragica uccisione del padre tutto si sgrega ed egli si trova da solo, davanti ad un mondo incomprensibile e crudele. Il giovane Pascoli cade nell’angoscia, ritrovandosi davanti ad una realtà oscura, dominata dal mistero del male e del dolore. Prima cerca di sfogare la propria angoscia nell’attività politica ma successivamente abbandona questa attività e si richiude nella propria sfera privata. A questa introversione si accompagna un forte rifiuto nei confronti del mondo e della storia: una reazione che si traduce da una parte nel rifiuto delle gioie esteriori, dall’altra nella volontà di ricostruire il nido familiare distrutto dal destino. Dapprima infatti Pascoli riuscirà a riunire intorno a sé le sorelle Maria e Ida, poi dopo il matrimonio di quest’ultima, ricostruisce un nido nella casa di Castelvecchio con la sorella Maria. Uno dei nodi più problematici della biografia pascoliana è la rinuncia all’amore, legata non solo alla scelta di non sposarsi ma anche ad un atteggiamento enigmatico nei confronti della sessualità. La sua poesia non ha mai come tema l’amore o la donna. La figura e le presenze femminili sono occupate solo dalle due sorelle. La convivenza con esse è vissuta dal poeta non solo come una ricostituzione del nido familiare perduto ma anche come un ambiguo sostituto di una normale relazione amorosa con l’altro sesso: lo dimostra l’angoscia che egli prova al momento del matrimonio di Ida, da lui interpretato come un vero e proprio tradimento. Si può capire perché Pascoli scelse di non sposarsi: il matrimonio gli sarebbe sembrato un tradimento nei confronti di quel nido che aveva voluto faticosamente ricostruire, dove aveva modo di ricostruire (nei confronti delle sorelle) quasi un ruolo di padre, difeso con decisione, ma anche con profonda gelosia. Al di la del dramma familiare, il processo “regressivo” di Pascoli si inscrive nella fase saliente della crisi dell’intellettuale del secondo Ottocento, all’interno di una società caratterizzata da un rapido sviluppo industriale e dal primato del processo scientifico. Il poeta patisce il declino del Positivismo: resa vana la sua protesta di riportare tutto alla misura della scienza, Pascoli si rende conto che il Positivismo non ha saputo sostituire le certezze tradizionali, ormai distrutte, con una nuova fede ed ha lasciato l’uomo più solo di fronte al mistero del dolore della morte. Il rifiuto della civiltà contemporanea è denominatore di molti intellettuali; mentre altri cercano vie di fuga nella ribellione, Pascoli manifesta il proprio disagio ripiegandosi in se stesso, chiudendosi nel privato e dando le spalle al mondo e alla storia. LA FORMAZIONE CULTURALE E L’IDEOLOGIA La base della formazione di Pascoli è la cultura classica, coltivata con profondità di interessi e risultati notevoli anche sul piano della composizione artistica. Ne sono testimonianza i lunghi anni di insegnamento di lingue e letterature classiche, e la composizione di opere ispirate al mondo antico, sia in italiano (I Poemi Conviviali) sia in latino (I Carmina). Pascoli interpreta il mondo lontano in chiave personale; cioè guarda il mondo classico con gli occhi e il cuore di un uomo moderno. Nel campo della letteratura italiana il poeta subisce l’influenza di Giosuè Carducci. Se nelle poesie si fa sentire l’influenza di Carducci è evidente che anche in certe raccolte (es. I Poemi Conviviali) si fa sentire quella di d’Annunzio e delle poetiche decadenti legate ad un raffinato estetismo. Gli autori che più pesano nella formazione culturale e letteraria sono Dante e Leopardi: da Dante riprende l’ideale di una poesia ricca di significati spirituali e filosofici, espressi tramite un sistema di verso il grembo materno. Al tema del nido si legano anche simboli come quello della siepe: con i suoi sinonimi (muri, cancelli, barriere), è espressione di ciò che circonda e difende la casa-nido. La siepe, a livello personale, protegge dalle minacce esterne, simboleggiate dalla figura del ladro; a livello sociale la siepe allude alla mitizzazione del mondo della campagna, inteso come modo chiuso nei suoi ritmi dei suoi lavori, da difendere rispetto alla minaccia del mondo moderno. Un altro simbolo è quello della nebbia, che fascia la casa-nido e protegge dal mondo esterno e dalla morte. Un altro importante simbolo è quello della strada che unisce la casa al cimitero e sta a significare una sorta di cordone ombelicale che mantiene un collegamento fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. Prossimo all’immagine della casa-nido è il tema dei morti: la loro presenza non è viva solo nei ricordi ma è reale nel presente perché i morti nella casa piangono, sussurrano, amano, toccano, parlano. I morti, nella poesia pascoliana, sussistono in una specie di limbo di condizione intermedia tra la vita e la morte, dove ritornano la sera per incontrare i vivi. Al nido sono sempre sovrapposte immagini di minaccia: il temporale, il lampo, la notte, la bufera e soprattutto il buio: simbolo assoluto della condizione di oscurità in cui l’uomo si ritrova. Si crea così un’opposizione tra interno ed esterno: fra un interno caratterizzato da una serie di significati legati alla protezione, alla quiete e alla pace, e un esterno dove domina un senso di paura, di violenza e di minaccia. Al confine del microcosmo del nido, preme il macrocosmo: l’oscuro di male e di vertigine; più direttamente anche il mondo degli uomini, della violenza e della crudeltà, quel mondo che ha distrutto per sempre la famiglia del poeta. I simboli della poesia pascoliano hanno spesso un duplice significato, per un verso positivo e per l’altro negativo. Le campane indicano un’atmosfera di sogno o di evasione verso l’infanzia ma evocano anche la morte e quindi un senso vago di dolore e di angoscia. Gli uccelli: abitatori di una regione superiore, lontani dalla violenza della storia, essi sono simbolo di leggerezza e di rapimento estatico, ma alcuni di essi esprimono anche un senso di angoscia e richiamano ad una minaccia di morte (civetta, assiuolo). Nella poesia pascoliana, gli uccelli hanno anche la funzione di intermediari tra il mondo dei vivi e quello dei morti, per questo motivo la loro voce è riprodotta con l’onomatopea, perché si tratta di una sorta di linguaggio magico. I fiori nella poesia di Pascoli, non offrono sempre uno spettacolo sereno di bellezza. Il loro fascino è spesso ambiguo e seduttivo: sono simboli della solitudine e insieme di una sessualità rimossa, che attrae ma che spaventa. Essi sono sempre associati all’idea della morte. Sono i fiori lasciati sulle tombe, come il funebre ornamento dei morti; i fiori che nascono dai cadaveri; i fiori che si aprono misteriosamente di notte (come il Gelsomino Notturno). L’esempio più affascinante dell’ambiguità di questo simbolo è dato da Digitale Purpurea: un fiore bellissimo, dal colore rosso della passione (ma anche del sangue versato come affetto del rapporto amoroso) e allo stesso tempo maledetto, evitato dagli animali e capace di dare la morte. La nebbia è simbolo di rifugio, di protezione, di rinuncia, di oblio (riferita al microcosmo); è simbolo di ciò che è invisibile e allude alla minaccia di scomparire e di perdere la propria identità nella morte. Le costellazioni simboleggiano il mistero della vita ed esprimono l’ansia dell’infinito, del senza limite, un’ansia che pare identificarsi con uno slancio religioso. A volte il cielo si presenta quasi come un’estensione protettiva del nido a tutto l’universo: in Gelsomino Notturno viene descritto come un luogo delimitato e protetto. Altre volte appare come uno spazio infinito che dà una sorta di angoscia cosmica, in quanto rivela un universo privo di ordine, sede di scontri tra pianeti e di oscuri sconvolgimenti astrali. LE SCELTE STILISTICHE E FORMALI E’ possibile distinguere tre livelli linguistici nella poesia pascoliana: quello grammaticale, dove le parole si conformano a precise regole grammaticali che appartengono a lingue speciali o straniere. Nel livello pregrammaticale, è come se le parole precedessero la grammatica, cioè le regole normali della lingua, e ne fossero del tutto fuori, in quanto non si attengono ad essi ma ubbidiscono ad un’esigenza di immediata espressività: è il caso di onomatopee, cioè di quelle parole, prive di significato e di una precisa forma grammaticale, che con il loro stesso suono imitano un oggetto o un evento naturale. La fitta presenza di onomatopee nella poesia di Pascoli rimanda alla sua abile utilizzazione di tecniche di fonosimbolismo, mirando a sfruttare la possibilità di esprimere dei significati: es. la vocale U è spesso associata alla morte, la I, anche in abbonamento con la N, alla gioia; mentre i nessi aspri in R si legano alla paura. Analogia: usata come figura e metodo per tradurre le suggestioni più originali, consiste nell’operare collegamenti inediti fra le immagini poetiche, così da esprimere i rapporti segreti e misteriosi che uniscono le cose del mondo tra loro. Sinestesia: consiste nell’associazione di due parole appartenenti a due ordini diversi di sensazioni. Nella struttura pascoliana domina il frammentismo: poiché i componimenti si concentrano su un momento lirico puro e irripetibile, capace di risaltare creando il massimo di tensione espressiva, essi tendono il più possibile alla brevità. Nel campo lessicale le scelte di Pascoli vanno dal linguaggio più semplice e quotidiano a quello classico e tradizionale, da quello dilettale a quello aulico. È frequente l’uso del plurilinguismo, cioè della mescolanza dell’italiano normale con frammenti di linguaggi deversi. È significativo nella poesia pascoliana il gusto per le lingue ”impure” e per gli esotismi. Quanto alla metrica, egli ha un atteggiamento che inizialmente può sembrare conservatore: non si serve mai del verso libero e mantiene le forme e le regole della tradizione. Riprende le strofe “barbare” carducciane, che contraddicevano il principio canonico dell’isosillabismo (uno stesso verso barbaro può avere un numero diverso di sillabe) e opera in modo innovativo sul verso principale della tradizione italiana. Sperimenta poi forme strofiche del tutto inconsuete, servendosi dei versi più brevi dell’endecasillabo (es: senario, settenario e novenario) che vengono alternato allo scopo di creare modalità ritmiche inedite. I TRE PERCORSI DELLA POESIA PASCOLIANA La poesia di Pascoli svolge sempre gli stessi temi; le differenze sono legate a generi poetici adottati: riguardano i modi stilistici, le forme metriche, i personaggi, le situazioni e così via. La prima edizione di Myricae (1891) reca l’epigrafe Virgiliana (Arbusta iuvant humalisque Myricae: Piacciono gli arbusti e le umili tamerici), per caratterizzare l’ispirazione bassa dei testi e la scelta precisa di un sermo humilis, anche all’interno di uno stile e di un linguaggio innovativo. Nei Poemetti (1897), ampliati poi in “Primi Poemetti” (1904) e “Nuovi Poemetti” (1909), l’epigrafe virgiliana (Paulo maiora: Cose un po’ importanti) vuole sottolineare l’intenzione di trattare temi più complessi con uno stile più elevato. Invece I Canti di Castelvecchio (1903) recano la stessa iscrizione di Myricae: le due raccolte sono affini, anche se la seconda approfondisce la visione del mondo dell’autore. Nei Poemi Conviviali (1904) che ricordano il raffinato estetismo dannunziano che ne caratterizza i testi, l’epigrafe, ancora una volta virgiliana, (Non omnes arbusta iuvant: Non a tutti piacciono gli arbusti), evidenzia un’elevazione tematica e stilistica, cui si accompagnano argomenti riferiti al mondo classico, trattati simbolicamente con gusto decadente. Odi e Inni (1906), sono introdotti dalla parola “Canamus” (“Cantiamo!”), per sottolineare l’ispirazione civile. Le raccolte poetiche di Pascoli restano sempre aperte a revisioni in quanto il poeta vi lavora in contemporanea e le rielabora continuamente, così che l’edizione definitiva di Myricae (1900) appare dopo la prima edizione dei Poemetti (1897), che invece di solito vengono collocati in una fase posteriore a quella di Myricae. I tre differenti percorsi: Primo livello: liriche che tendono alla brevità e al frammento, a tematica naturalistica e quotidiana, con taglio impressionistico-simbolistico. Questa linea poetica è testimoniata da Myricae e poi da I Canti di Castelvecchio, i due capolavori poetici pascoliani. Secondo Livello: componimenti più elaborati a livello ideologico e più complessi sul piano strutturale-tematico: poemi e poemetti, poesia narrativa, epica e civile. Terzo Livello: poesia latina e poesia italiana che si ispira ad uno stretto classicismo. MYRICAE E I CANTI DI CASTELVECCHIO L’affinità poetica tra le due opere è tale da farle sembrare sezioni di una raccolta unica. La stesura di Myricae dura oltre vent’anni: già nel 1890 appaiono 8 liriche su “Vita Nuova” (rivista fiorentina), l’anno successivo esce la prima edizione dell’opera con 22 liriche. Seguono altre quattro edizioni (1892, 1894, 1897, 1900) che sono accresciute da nuove poesie. L’edizione del 1900 è composta da 156 liriche ma l’edizione definitiva viene stampata nel 1011. Anche la stesura dei Canti di Castelvecchio dura molti anni e viene accrescendosi poco a poco. Ciò che accomuna Myricae e i Canti di Castelvecchio è un’identità di contenuti e di caratteri linguistici e stilistici. La poesia pascoliana delle cose umili, colte e con apparente realismo nell’ambiente naturale e contadino, assume nelle due opere una dimensione evocativa, fondata su immagini e simboli. Lo stretto legame tra le due raccolte è evidenziato dall’epigrafe che hanno in comune. Myricae è il nome latino delle tamerici, per indicare argomenti bassi e umili (“le piccole cose”). Il titolo Canti di Castelvecchio ha un significato analogo: si tratta di una silloge di componimenti lirici (Canti), ambientati in un piccolo antico mondo contadino (Castelvecchio). Molto simili sono anche le dediche, dichiarate nelle prefazioni dell’autore nelle due opere: Myricae è dedicata alla memoria del padre, i Canti di Castelvecchio alla memoria della madre, con riferimento generale a tutti i suoi cari scomparsi (presenti nella memoria del poeta). La prima edizione di Myricae risale al 1891, quella definitiva (la nona) al 1911, ma le 156 liriche che la compongono sono in sostanza quelle già apparse nella quinta edizione del 1900. Sono testi di varia ampiezza (brevi o brevissimi), suddivisi in 15 sezioni, ognuna caratterizzata da un tema e da una forma metrica ricorrente. Già i titoli delle sezioni preannunciano la varietà dei toni e dei contenuti dell’ispirazione pascoliana: Dall’alba al tramonto (10 poesie) Le gioie del poeta (6) Tristezze (18) Ricordi (12) Finestra illuminata (9) Tramonti (2) Pensieri (10) Elegie (6) Alberi e fiori (12) Creature (5) In campagna (18) Le pene del poeta (4) Primavera (4)
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