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La poesia di Pascoli: 'Il tuono' - Analisi e commento, Appunti di Italiano

Analisi e commento della poesia 'Il tuono' di Giovanni Pascoli. Esplorazione della figura retorica, schema metrico e tematiche. La poesia descritta come specchio deformante in cui le cose appaiono e scompaiono istantaneamente.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 15/03/2022

erika-varriale-1
erika-varriale-1 🇮🇹

3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La poesia di Pascoli: 'Il tuono' - Analisi e commento e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Giovanni Pascoli Il Temporale Parafrasi Si sente in lontananza un brontolio. In direzione del mare l’orizzonte si colora di rosso, come se fosse infuocato. Verso il monte il cielo è nero come la pece. Ci sono degli stralci di nuvole chiare. In mezzo al nero si vede un casolare, che sembra l’ala di un gabbiano. Figure Retoriche "Bubbolio" (v.1): onomatopea. La parola riproduce il suono così come esso si sente, è come se il poeta dipingesse una sensazione uditiva; questo contribuisce a calare il lettore nell’atmosfera che si vuole creare; la cura al registro dei suoni è evidente anche attraverso l’allitterazione della lettera “o”, che ricorre in tutta la poesia e contribuisce alla creazione di un’atmosfera cupa. “Come affocato” (v.3): similitudine. Si ha una similitudine ogni volta che due termini sono accostati attraverso espressioni che indicano un paragone (“come”, “simile a”, “sembra”, “più che”). “Nero di pece” (v.4), “stracci di nubi chiare” (v.5): metafora. La metafora consiste nel sostituire una parola con un’altra parola appartenente a un campo semantico diverso, ma che è sentita come simile grazie ad alcune qualità condivise. In questo caso si usa “stracci” per indicare che le nubi sono stralciate in tanti piccoli pezzi, come fossero degli stracci bianchi nel cielo, mentre la “pece” viene presa per il suo colore scuro. “Un casolare: / un’ala di gabbiano”: analogia. L’analogia è la figura retorica su cui si basa gran parte del linguaggio poetico pascoliano, di gran lunga la figura retorica più usata dal poeta. Essa consiste nell’accostamento diretto di due immagini, senza parole di collegamento che indichino il paragone (in questo si differenzia dalla similitudine); questa figura retorica contribuisce a creare enigmaticità. L’analogia creata qui da Pascoli si compone di due immagini diverse, indipendenti l’una dall’altra, unite solo dal colore bianco che accomuna la casa e il gabbiano e, come vedremo, dai simboli che le due immagini evocano. Analisi e commento Il componimento è breve ed intenso, proprio come un temporale.L’autore lo suddivide, anche graficamente, in due parti: una prima, legata all’aspetto uditivo, che descrive il suono del temporale come v1. “Un bubbolìo lontano”.Nella seconda parte, le percezioni sensoriali restano sì fondamentali, ma si spostano dal piano uditivo a quello visivo.Il resto del brano, infatti, è un tripudio, un’esplosione di immagini e colori forti che, lungi dall’essere fini a loro stessi, dicono molto circa la visione della vita da parte dell’autore.In Pascoli è ricorrente la tematica della natura, alla quale si approccia e la descrive, con fare fanciullesco, come se ogni volta la guardasse con occhi nuovi e sorpresi.Tutta la ballata breve è piena di simbolismi che rimandano agli eventi cruciali nella vita del poeta e che hanno inesorabilmente influenzato tutta la sua produzione poetica.L’orizzonte è rosso, il cielo è nero, tinte forti che trasmettono angoscia, dolore e che, secondo una lettura autobiografica, potrebbero simboleggiare gli eventi negativi ed ostili che hanno caratterizzato la sua esistenza.Non a caso, alla fine compare un’immagine di speranza: un casolare che, come un’ala di gabbiano, pare infondere in Pascoli un senso di protezione.Tra i temi cari all’autore troviamo proprio quello del nido, dell’abitazione vista come un luogo sicuro in cui trovare riparo.Nel componimento, come nella sua vita, il nido è però soggetto a tempeste ed intemperie: la perdita dei genitori è per Pascoli un trauma mai davvero superato.Da un punto di vista strutturale, il brano “Temporale” si presenta come una breve ballata di 7 versi: uno isolato e sei settenari, formati appunto da 7 sillabe.La rima segue lo schema: A BCBCCA. Grammaticalmente parlando, i versi sono tra loro separati. A legarli è il significato, non elementi grammaticali come ad esempio le congiunzioni.Pascoli fa un ampio utilizzo della punteggiatura, le frasi sono brevi e nominali, come se appunto seguissero il ritmo scattante ed in successione tipico di un temporale.Per quanto concerne le principali figure retoriche, la poesia si apre, al v.1 con l’onomatopea “bubbolìo”, ossia il brontolio del tuono.Al v.3 vi è una similitudine “come affocato”. L’orizzonte è così rosso da apparire, agli occhi di Pascoli, come se fosse in fiamme.“Nero di pece” e “stracci di nubi chiare” sono entrambe delle metafore presenti rispettivamente ai vv. 4 e 5.Tra i vv. 6 e 7 è possibile apprezzare un’analogia tra il casolare e l’ala di gabbiano che vengono accostati dall’immaginazione di Pascoli più che da un reale nesso logico. Il Lampo Parafrasi E cielo e terra si mostrarono com'erano: la terra affannata, scura, in agitazione, il cielo ingombro di nuvole, cupo, sconvolto: nella silenziosa bufera una casa bianchissima apparve improvvisamente e scomparve subito; come un occhio che, dilatato, sbigottito, si aprì e si chiuse nella notte buia. Figure Retoriche Terra ansante = personificazione (v. 2). Ansante, livida in sussulto = climax ascendente (v. 2). Ellissi = assenza del verbo essere (vv. 2-3). Ingombro, tragico, disfatto, largo esterrefatto = climax ascendente (v. 3). Cielo tragico = metafora (v. 3). Bianca bianca, nel tacito tumulto/una casa apparì = anastrofe (vv. 4-5). Tacito tumulto = ossimoro (v. 4). Apparì sparì = paronomasia (v. 5). Apparì sparì = antitesi (v. 5). Come un occhio...s'apri si chiuse = similitudine e iperbato (vv. 6-7). Esterrefatto,/ s'apri = enjambement (vv. 6-7). S'apri si chiuse = antitesi (v. 7). Nella notte nera = allitterazione della N (v. 7). Analisi e commento Schema metrico: stanza di ballata piccola, composta di versi endecasillabi rimati secondo lo schema A BCBCCA. Il titolo "Il lampo" fa riferimento all'argomento su cui ruota tutto il componimento poetico. Adesso andiamo ad analizzare il testo della poesia verso per verso: E cielo e terra si mostrò qual era = Interessante è la scelta dei verbi al singolare "si mostrò" e "qual era". Il poeta utilizza i verbi al singolare anche se i soggetti a cui è riferito dell'autore è dovuta per imitare la natura anche nei suoi suoni, in questo caso quelli del tuono. In conclusione, quando il tuono esce di scena, subentra la figura materna che simboleggia la protezione, la sicurezza e la serenità. Notare anche che il primo verso (nulla) rima con l'ultimo verso (culla). Anche queste due parole sono in contrasto fra loro, il nulla del mondo esterno è un qualcosa che ci spaventa e ci dà un senso di smarrimento, è come non avere nulla a cui aggrapparci quando stiamo per cadere, oppure provate a immaginare voi stessi che state camminando, quando d'un tratto sparisce la superficie sotto ai vostri piedi e cadrete nel vuoto (qualcuno di voi potrebbe anche aver già sognato qualcosa di simile): ecco, è questo il nulla affrontato in questa lirica. La culla invece è il rifugio perfetto, il luogo più protetto e rassicurante, e la figura materna aggiunge ulteriore protezione dal momento che cerca di distrarre il fanciullo da un evento così terribile e violento con un dolce canto (il nido, tema classico della poesia pascoliana). Da un lato abbiamo il nulla, che non è esattamente la morte ma è qualcosa di molto brutto, e dall'altro la culla che simboleggia la nascita, ovvero qualcosa di meraviglioso. Pascoli descrisse in diverse poesie l'evento del temporale: questa poesia è il proseguimento di un altra poesia, Il lampo (e poi vi è anche Il temporale). Entrambe le poesie, "Il tuono" e "Il Lampo", presentano elementi in comune: oltre al legame tematico (tuono/lampo), hanno la stessa struttura metrica (ballata) e lo stesso schema delle rime. Una differenza tra le due liriche si riscontra nel fatto che ne "Il tuono" prevalgono le sensazioni uditive, mentre ne "Il lampo" prevalgono nettamente quelle visive. Al bagliore accecante del lampo segue il fragore del tuono che cupo rimbomba «nella notte nera». Una pausa di silenzio. Di nuovo echeggia lontano come rombo di rupe che frana e poi si spegne. Nella notte ritornata silenziosa si ode allora il canto dolce di una madre che culla il suo bimbo risvegliato dallo schianto del tuono. Il tuono che, con alto fragore, rintrona nella notte, è la voce possente della natura che si scatena in tutta la sua violenza terribile. L'uomo (inteso come l'essere umano, l'umanità) è terrorizzato quando sente la voce della natura, come il bimbo che spaventato dal violento rimbombo, piange nella notte buia. Ed ecco allora intervenire, a quietare la sua creatura, la madre che qui assume a simbolo un ruolo di protezione, di sicurezza e di pace serena. I temporali in questioni sono descritti come quelli reali ma metaforicamente sono delle tempeste psicologiche: per questa ragione che in tutte e tre le poesie non ci sarà mai lo scroscio di pioggia (che caratterizza una tempesta), infatti il temporale viene visto sempre da lontano, come una terribile minaccia sospesa sopra ognuno di noi. La Vita Nacque nel 1855 a San Mauro di Romagna ed era quarto di 10 figli. Fin da piccolo ebbe buoni insegnanti che gli trasmisero la passione per i classici. Purtroppo nel 1867 il padre fu assassinato tornando da un viaggio a Cesena, e questo gli segnò la fine dell’infanzia e l’ingresso al mondo degli adulti. Nel giro di pochi anni morirono altri parenti e per Pascoli si era rotto ciò che lui definiva “nido” familiare. Intanto le condizioni economiche stavano peggiorando però grazie ad una borsa di studio riuscì a continuare gli studi a Bologna nella facoltà di lettere. Però durante questi anni visse in un periodo di crisi, preoccupato per le difficoltà economiche e per la lontananza dalla famiglia. Pascoli fu arrestato per aver partecipato a una manifestazione a favore degli anarchici, ma fu presto liberato grazie all’aiuto di Giosuè Carducci. Pascoli finì gli studi, si laureò e iniziò ad insegnare latino e greco. A 38 anni pubblicò il Myricae, una raccolta poetica. In seguito comprò una casetta a Castelvecchio dove visse con suo sorella Maria (Mariù) e cerco di ricostruire il nido famigliare. A 50 anni fu nominato insegnante di lettere all’università di Bologna come successore di Carducci. Nell’ultimo periodo della sua vita scrisse altre opere come i Canti di Castelvecchio e morì di malattia a 57 anni. MYRICAE: Nasce dalla riflessione del poeta sulle radici biografiche della propria esistenza. Pubblicato nel 1891 quando aveva 38 anni, essa è costituita da 22 poesia prima e nella versione pubblicata nel 1903 ne conteneva 156. I temi di queste poesia erano il ciclo delle stagioni, il lavoro dei campi e la vita contadina in generale, colta negli aspetti più quotidiani. I CANTI DI CASTELVECCHIO: Pubblicata nel 1903 e nella versione definitiva nel 1912, rappresenta per certi versi la continuazione di Myricae, infatti il poeta stesso li definì “seconde myricae” o “myricae autunnali”. I temi di questi canti sono lo smarrimento dell’uomo, il ricordo degli anni lontani, esperienze amorose ma anche la morte, vista come rifugio o come regressione nel grembo materno. NIDO: Per pascoli il “nido” è il simbolo più frequente nelle sue poesia, e lo compara al nido di “casa”, luogo di protezione, o “culla” segno della regressione all’infanzia, fino al nido “vuoto”, il cimitero, dove i morti tornano a confortare chi è rimasto in vita. Nella poesia del 1899, “Nebbia”, la nebbia da elemento atmosferico del paesaggio diventa simbolo di una protezione impalpabile, che mentre impedisce di vedere il mondo esterno, isola il poeta nel proprio nido domestico. Il cimitero per pascoli è come un nido vuoto, e la morte non è attesa con angoscia, ma piuttosto è un ricongiungimento con i propri famigliari, un approdo nel “nido” finalmente ritrovato. Nella poesia “Il gelsomino notturno” , Pascoli fa un paragone tra il grembo materno e il gelsomino notturno, che apre i suoi petali rossi al cadere della sera per richiuderli ai primi raggi del sole, come la giovane donna è pronta ad accogliere la maternità, sbocciando come fragole nel crepuscolo. POETICA DEL FANCIULLINO: La lirica di Giovanni Pascoli, fu ritenuta semplice, descrittiva. I tratti più significativi della sua poetica sono descritti ne “Il fanciullino” scritto nel 1897, in cui viene affermata la natura irrazionale e intuitiva della creazione artistica. Pascoli considera la poesia come ricordo del momento magico, legato all’età infantile, in cui il bambino scopre nelle cose che lo circondano, anche nelle più umili e consuete, il senso nascosto e segreto. Mentre gli uomini comuni, crescendo e diventando adulti, perdono la capacità di guardare con stupore ciò che vedono. SIMBOLISMO: Nella poesia francese nella seconda metà dell’Ottocento i poeti vogliono presentare la realtà attraverso una visione soggettiva e personale, in sintonia con il loro stato d’animo, filtrando il mondo esterno attraverso suoni, immagini e colori, ritrovando negli elementi naturali una corrispondenza con le emozioni. La rottura rispetto ai temi e alle scelte stilistiche del Romanticismo viene compiuta da una raccolta di poesie che nasce dalla sofferenza e dalle tenebre: I Fiori del male di Charles Baudelaire, i cui temi tipici erano lo squallore della vita contemporanea, del brutto e del diverso. Il poeta s’immagina come un albatro che la il cielo per camminare goffo sulla terra, trovandosi in un “mondo” di cui non comprende il senso. LES FLEURS DU MAL: è una raccolta di poesia pubblicata nel 1857 appartenente a Charles Baudelaire. Fu ritenuta scandalosa e fu sequestrata e Baudelaire fu condannato per oltraggio alla morale. Ma nel 1861 la ripubblicò, comprendendo 126 liriche disposte in ordine tematico. Per Baudelaire il poeta perde la coscienza di avere un ruolo preciso nella società e la poesia è il mezzo che gli permette di liberarsi dalla sofferenza del vivere e di aspirare alla bellezza della creazione artistica. I fiori del male sono simbolo della perfezione di un arte che, pur nata dalla terra e da quanto vi è in essa di impuro, tende a mete più alte, come un fiore che leva la sua corolla verso il cielo infinito.
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