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Vita e Poesia di Giovanni Pascoli: Biografia e Analisi di un Genio Italiano, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Italiana

Poesia italianaLiteratura ItalianaBiografia di Autori Italiani

Biografia di Giovanni Pascoli, poeta italiano nato a San Mauro di Romagna, che subì una tragedia nella sua infanzia e università, influenzando profondamente la sua poesia. La vita di Pascoli fu segnata dalla morte prematura del padre, dalla sua attaccamento morboso alle sorelle, dalla sua partecipazione a manifestazioni socialiste e dalla sua prigionia. La poesia di Pascoli fu influenzata dalla sua vita, dalla sua formazione positivistica e dalla crisi della scienza. una descrizione dettagliata della vita di Pascoli, della sua poesia e della sua visione del mondo.

Cosa imparerai

  • Che ideologia politica seguì Pascoli durante gli anni universitari?
  • Che evento segnò profondamente la vita di Giovanni Pascoli?
  • Come influenzò la morte del padre di Pascoli la sua poesia?
  • Come sono descritte le sorelle di Pascoli nel documento?
  • Come è descritta la poesia di Pascoli nel documento?

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2016/2017

Caricato il 02/05/2022

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sarah-costantino 🇮🇹

4.7

(6)

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Scarica Vita e Poesia di Giovanni Pascoli: Biografia e Analisi di un Genio Italiano e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! GIOVANNI PASCOLI Vita - Nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una famiglia della piccola borghesia e di condizione agiata; la vita di questa serena famiglia venne però sconvolta da una tragedia, destinata a segnare profondamente la vita del poeta: il padre Ruggero Pascoli fu ucciso a fucilate, probabilmente da un rivale che aspirava a prendere il suo posto. I sicari non furono mai individuati e ciò diede al giovane poeta il senso di un’ingiustizia bruciante. - Al primo lutto in un breve giro di anni ne seguirono altri: la madre, la sorella maggiore e gli altri du fratelli. - Pascoli ricevette una formazione classica, che costituì la base essenziale della sua cultura. - Negli anni universitari Pascoli subì il fascino dell’ideologia socialista, partecipò a manifestazioni contro il governo, fu arrestato e dovete trascorrere alcuni mesi in carcere. Fu assolto ma l’esperienza fu così traumatica che prese le distanze dalla politica. - Nel 1882 iniziò la sua carriera di insegnante liceale; qui chiamò a vivere con sé le due sorelle, ricostruendo così idealmente quel nido familiare che i lutti avevano distrutto. Il nido familiare - La chiusura gelosa del nido familiare e l’attaccamento morboso alle sorelle rivelano la fragilità della struttura psicologica del poeta, che cerca dentro le pareti del nido la protezione da un mondo esterno, che gli appare minaccioso. - Il ricordo ossessivo delle sue morti aleggia continuamente nel nido, riproponendo il passato ed inibendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna, ogni relazione viene sentita come un tradimento nei confronti del nido. - C’è in lui lo struggente desiderio di un vero “nido”, in cui esercitare un’autentica funzione di padre, ma il legame ossessivo con il nido infantile spezzato gli rende impossibile la realizzazione del sogno. Infatti, la vita amorosa ai suoi occhi è qualcosa di proibito e misterioso, da contemplare da lontano. - Questa complessa situazione affettiva del poeta è una premessa indispensabile per penetrare nel mondo della sua poesia, chiave necessaria per cogliere il carattere turbato, tormentato e morboso della poesia di Pascoli. La poesia - Nel 1895 Pascoli prese in affitto una casa a Castelvecchio con la sorella Mariù, dove trascorreva lunghi peridi lontano dalla vita cittadina che detestava, a contatto con il mondo della campagna che ai suoi occhi costituiva un Eden di serenità e pace. La sua vita era quella appartata del professore, tutto chiuso nella cerchia dei suoi studi, della sua poesia, degli affetti familiari. Una vita esteriormente serena ma in realtà turbata da oscure angosce e paure. - All’inizio degli anni Novanta aveva pubblicato una raccolta di liriche, Myricae e diverse poesie pubblicate in importanti riviste come Il Marzocco ed Il Convito. - Nel 1897 uscirono i Poemetti, nel 1903 i Canti di Castelvecchio e nel 1904 i Poemi Conviviali. - Negli ultimi anni volle gareggiare con il maestro Carducci e con il “fratello minore e maggiore” d’Annunzio nella funzione di poeta civile, “vate” dei destini della patria e celebratore delle sue glorie, con una serie di componimenti raccolti in Odi ed Inni, Poemi del Risorgimento, Poemi Italici, Canzoni di Re Ezio. - Si spense nel 1912. La visione del mondo e la poetica La formazione di Pascoli fu essenzialmente positivistica, tale matrice, è ravvisabile nell’ossessiva precisione con cui, nei suoi versi, usa la nomenclatura ornitologica e botanica. Di impianto positivistico sono spesso le fonti da cui trae le osservazioni sulla vita degli uccelli, protagonisti dei suoi componimenti poetici. In Pascoli si riflette quella crisi della scienza che caratterizza la cultura di fine secolo, segnata dall’esaurirsi del Positivismo e dall’affermarsi di tendenze spiritualistiche e idealistiche. In lui sorge la sfiducia nella scienza come strumento di conoscenza, per lui, al di là dei confini si apre l’ignoto, il mistero, l’inconoscibile, verso cui l’anima si protende ansiosa, tesa a captare messaggi enigmatici che ne provengono. Questa tensione verso ciò che trascende il dato sensibile di Pascoli non si concreta in una fede religiosa positiva: di Dio vi è in lui nostalgia, mai possesso. Gli oggetti materiali hanno un rilievo fortissimo nella poesia pascoliana: i particolari fisici, sensibili sono filtrati attraverso la visione soggettiva del poeta in tal modo si caricano di valenze allusive e simboliche. Anche la precisione botanica e ornitologica con cui Pascoli designa fiori, piante e varietà di uccelli, assume ben diverse valenze: il termine preciso diviene come una formula magica che permette di andare al cuore della realtà, attingere all’essenza segreta delle cose. La poetica del “fanciullino” Da questa visione del mondo scaturisce con perfetta coerenza la poetica pascoliana, che trova la sua formulazione nel saggio Il Fanciullino pubblicato nel 1897. L’idea centrale del poeta coincide col fanciullo che sopravvive al fondo di ogni uomo: un fanciullo che vede tutte le cose “come per la prima volta”, con ingenuo stupore e meraviglia. Dietro questa metafora del fanciullino è facile scorgere una concezione della poesia come conoscenza prerazionale e immaginosa, concezione che ha le radici ancora nel terreno romantico, ma che Pascoli piega ormai in direzione decisamente decadente. Grazie al suo modo alogico di vedere le cose, il poeta-fanciullo, ci fa sprofondare immediatamente nell’abisso della verità. L’atteggiamento irrazionale consente una conoscenza profonda della realtà, permette di cogliere direttamente l’essenza segreta Nell'apertura della lirica si racconta di un notturno di un momento particolare della notte, perché il poeta apre con un. interrogativo: probabilmente questa luna non si vedeva. Il notturno ormai sta avviandosi verso l’alba. Tutta la lirica è attraversata da un linguaggio ricco di figure retoriche, di onomatopee, di fonosimbolismo. Commento Due sono i sentimenti dominanti nella lirica: da un lato l’estasi di fronte ad un paesaggio, notte meravigliosa, cielo chiaro quasi come l’alba, al punto che persino gli alberi sembrano stupiti. Il canto è reso ancora più intenso dalla melodia del mare, sonnolento. Si odono misteriosi fruscii tra le fratte che sembrano quasi accarezzare l’anima e cullarla in un sogno. Come sempre a questo sentimento di estasi iniziale subentra l’angoscia. Perché c’è qualcosa che turba quella pace: non il guizzo dei lampi, non le nuvole nel cielo lontano, ma una voce che si sente nei campi. In un primo momento il poeta nota questa voce ma in maniera distratta, ma poi ha come un sussulto perché il cuore ricorda un’antica sofferenza. La voce dell’uccello notturno pare la voce stessa del suo cuore, angosciato. Da quel momento in poi le cose intorno cambiano aspetto, ed ecco che nuovamente il poeta percepisce più distintamente il verso dell’assiuolo, così somigliante al singhiozzo, pianto di morte. Tutto è reso attraverso i sensi. La prima strofa potremmo definirla descrittiva, con un paesaggio lunare molto sfumato. Il paesaggio nella seconda strofa ha un corrispettivo nel cuore del poeta, perché in quel chiarore vede qualche stella, qualche fruscio tra i cespugli e queste voci arcane della natura suggeriscono al poeta o disdegnano del poeta qualcosa di doloroso presente in lui. Nella terza strofa dominano il mistero e l’angoscia. Mentre il vento sembra accarezzare le chiome degli alberi, si ode il tintinnio delle ali delle cavallette, suonano forse alla porta del mistero? E di nuovo mentre pensa ciò si risente la voce dell’assiuolo, triste come un pianto di morte. Questa strofa ha esclusivamente valore simbolico. È l’ignoto che riempie d’angoscia il cuore. Stile e figure retoriche La prima strofa inizia con una domanda: Dov’era la luna? giustificata dal fatto che il cielo è quasi immerso nella luce perlacea e le piante, alle quali vengono attribuite peculiarità umane, si rizzano per vedere la luna. Siamo nel momento che precede l’alba e già inizia a diffondersi il lamento stridulo dell’assiuolo che, gradualmente, diviene un singhiozzo premonitore di morte e arriva a trasformarsi, nella terza ed ultima strofa, in un pianto desolato, di morte, capace di angosciare il poeta, il quale è solo col suo dolore, in un universo immenso. È come se l’assiuolo fosse il poeta stesso. Le tre strofe della poesia mostrano un crescendo di pathos e partono tutte presentandoci immagini di luce, concludendosi poi con immagini di segno diametralmente opposto. La lirica è caratterizzata dal fonosimbolismo, un procedimento linguistico tipico di Pascoli, che ricerca gli effetti sonori nelle parole per trasmettere dei significati ulteriori. C'è un forte ricorso alle onomatopee che, in questa lirica, acquistano una rilevanza particolare. L’onomatopea con la quale si concludono tutte le strofe (chiù) altro non è che il fonosimbolo della morte, il suono attraverso il quale i morti comunicano coi vivi. Seguendo il richiamo del chiù l’io del poeta riesce a comunicare coi morti. La voce degli uccelli in Pascoli, infatti, serve spesso per consegnare un messaggio pieno di significati simbolici. Gli uccelli notturni fungono da intermediari fra il mondo dei vivi e quello dei morti. I POEMETTI Il “Romanzo georgico” Quest’opera è divisa in due raccolte distinte, Primi poemetti (1904) e Nuovi Poemetti (1909). Si tratta di componimenti più ampi di quelli di Myricae, che all’impianto lirico sostituiscono un più disteso taglio narrativo, divenendo spesso dei veri e propri racconti in versi. Il tema dominante è la vita di campagna e la narrazione è suddivisa in veri e propri cicli, che traggono il titolo dalle varie operazioni. Del lavoro dei campi: La sementa e L’accestire nei Primi Poemetti, La Fiorita e La Mietitura nei Nuovi Poemetti. Il poeta vuole celebrare la piccola proprietà rurale, presentandola come depositaria di tutta una serie di valori tradizionali e autentici, solidarietà familiare e affetti, laboriosità, bontà e purezza morale. Il mondo rurale pascoliano è idealizzato e idillico, ignora gli aspetti più crudi della realtà popolare, ignora i conflitti sociali e la disumanità delle leggi economiche. Pascoli si sofferma sugli aspetti più quotidiani umili e dimessi di quel mondo. Al di fuori di questo ciclo “georgico” però si collocano numerosi poemetti che presentano temi più inquietanti e torbidi, densi di significati simbolici, come Il Vischio, che insiste sull’immagine mostruosa di una pianta parassita che succhia la vita di un albero da frutto, dando origine ad un ibrido ripugnante, Digitale Purpurea, con al centro un fiore della morte che emana un profumo inebriante e insidioso e turba l’innocenza delle educande di un convento. IL VISCHIO dai Poemetti Il componimento fu pubblicato su “La Vita Italiana” il 16 marzo 1897, poi nei Poemetti. Metro: terzine dantesche a rime incatenate: ABA, BCB ecc. Non ti ricordi più, dunque, i mattini meravigliosi? Nuvole a’ nostri occhi, rosee di peschi, bianche di susini, parvero: un’aria pendula di fiocchi, o bianchi o rosa, o l’uno e l’altro: meli, floridi peri, gracili albicocchi. Tale quell’orto ci apparì tra i veli del nostro pianto, e tenne in sè riflessa per giorni un’improvvisa alba dei cieli. Era, sai, la speranza e la promessa, quella; ma l’ape da’ suoi bugni uscita pasceva già l’illusïone; ond’essa fa, come io faccio, il miele di sua vita. Una nube, una pioggia... a poco a poco tornò l’inverno; e noi sentimmo chiusi, per lunghi giorni, brontolare il fuoco. Sparvero i bianchi e rossi alberi, infusi dentro il nebbione; e per il cielo smorto era un assiduo sibilo di fusi; e piovve e piovve. Il sole (onde mai sorto?) brillò di nuovo al suon delle campane: tutto era verde, verde era quell’orto. Dove le branche pari a filigrane? Tutti i pètali a terra. E su l’aurora noi calpestammo le memorie vane ognuna con la sua lagrima ancora. Ricordi? Io dissi: “O anima sorella, vivono! E tu saprai che per la vita si getta qualche cosa anche più bella della vita: la sua lieve fiorita d’ali. La pianta che a’ suoi rami vede Questi motivi vagamente "neri" si fondono poi con un altro grande simbolo decadente, quello della vegetazione deforme, malata e maligna, che Pascoli propone anche in un altro poemetto, Digitale purpurea. Nell'immagine della pianta nata dal tristo connubio Pascoli proietta le due anime che sente in sé: quella protesa al bene e alla bellezza, ad una vita serena, equilibrata e felice all'interno del «nido» familiare, confortata dall'esercizio poetico, in concordia fraterna con gli altri uomini stretti in società, e l'anima "'malata", tormentata, torbida, inquieta e decadente. DIGITALE PURPUREA dai Poemetti Il componimento uscì la prima volta sul Marzocco nel 1898. Metro: terzine dantesche a rime incatenate: ABA, BCB ecc. Siedono. L’una guarda l’altra. L’una esile e bionda, semplice di vesti e di sguardi; ma l’altra, esile e bruna, l’altra... I due occhi semplici e modesti, fissano gli altri due ch’ardono. “E mai, non ci tornasti? “Mai” “Non le vedesti più? “Non più, cara” “Io si: ci ritornai; e le rividi le mie bianche suore, e li rivissi i dolci anni che sai; quei piccoli anni così dolci al cuore...„ L’altra sorrise “E di’: non lo ricordi quell’orto chiuso? i rovi con le more? i ginepri tra cui zirlano i tordi? i bussi amari? quel segreto canto misterïoso, con quel fiore, fior di...?„ “morte: sì, cara„ “Ed era vero? Tanto io ci credeva che non mai, Rachele, sarei passata al triste fiore accanto. Chè si diceva: il fiore ha come un miele che inebria l’aria; un suo vapor che bagna l’anima d’un oblìo dolce e crudele. Oh! quel convento in mezzo alla montagna cerulea!„ Maria parla: una mano posa su quella della sua compagna; e l’una e l’altra guardano lontano. Vedono. Sorge nell’azzurro intenso del ciel di maggio il loro monastero, pieno di litanie, pieno d’incenso. Vedono; e si profuma il lor pensiero d’odor di rose e di viole a ciocche, di sentor d’innocenza e di mistero. E negli orecchi ronzano, alle bocche salgono melodie, dimenticate, là, da tastiere appena appena tocche... Oh! quale vi sorrise oggi, alle grate, ospite caro? onde più rosse e liete tornaste alle sonanti camerate oggi: ed oggi, più alto. Ave, ripete, Ave Maria, la vostra voce in coro; e poi d’un tratto (perchè mai?) piangete... Piangono, un poco, nel tramonto d’oro, senza perchè. Quante fanciulle sono nell’orto, bianco qua e là di loro! Bianco e ciarliero. Ad or ad or, col suono di vele al vento, vengono. Rimane qualcuna, e legge in un suo libro buono. In disparte da loro agili e sane, una spiga di fiori, anzi di dita spruzzolate di sangue, dita umane, l’alito ignoto spande di sua vita. “Maria!„ “Rachele!„ Un poco più le mani si premono. In quell’ora hanno veduto la fanciullezza, i cari anni lontani. Memorie (l’una sa dell’altra al muto premere) dolci, come è tristo e pio il lontanar d’un ultimo saluto! “Maria!„ “Rachele!„ Questa piange, “Addio!„ dice tra sè, poi volta la parola grave a Maria, ma i neri occhi no: “Io,„ mormora, “sì: sentii quel fiore. Sola ero con le cetonie verdi. Il vento portava odor di rose e di viole a ciocche. Nel cuore, il languido fermento d’un sogno che notturno arse e che s’era all’alba, nell’ignara anima, spento. Maria, ricordo quella greve sera. L’aria soffiava luce di baleni silenzïosi. M’inoltrai leggiera, cauta, su per i molli terrapieni erbosi. I piedi mi tenea la folta erba. Sorridi? E dirmi sentia, Vieni! Vieni! E fu molta la dolcezza! molta! tanta, che, vedi... (l’altra lo stupore alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta con un suo lungo brivido...) si muore!„ Analisi del testo l poemetto riporta dell’incontro tra due amiche, la bionda Maria e la bruna Rachele, che ricordano insieme gli anni della loro infanzia trascorsi in un convento. Maria è ispirata a Maria Pascoli, sorella di Giovanni (con cui il poeta vivrà fino alla morte, nel tentativo di ristabilire il nido familiare andato in frantumi dopo la morte del padre), e ha un ruolo prevalentemente di spettatrice; sarà Rachele ad avere lo sconcertante coraggio di lanciarsi verso l’ignoto e a confessarlo, dopo anni, all’amica. Sembra che lo spunto per la composizione del testo nasca proprio da un racconto fatto da Maria: molti anni prima, le suore le avevano vietato di respirare il profumo di una pianta dai fiori rossi, creduta velenosissima (in realtà, la digitale purpurea è sì velenosa, ma solo in elevatissime concentrazioni). Nello svolgersi di versi, il fiore diventerà simbolo della trasgressione e della pulsione erotica. Proprio da questo fiore, la digitalis purpurea, prende nome il componimento. Si divide in tre parti:  Prima parte: Le due protagoniste ricordano insieme gli anni trascorsi in convento. Sono “piccoli anni così dolci al cuore” (v. 10), ma subito coperti da un alone di cupezza: vengono ricordati “i rovi con le more” (v. 12), i canti misteriosi degli uccelli, e il “fior di...? / morte” (vv. 15-16), la digitale purpurea, a cui non avvicinarsi assolutamente perché emana un intenso odore che causa la morte.  Seconda parte: Solo dopo aver citato il fiore, le due riescono davvero a vedere ("vedono" è
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