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Giovanni Pascoli: La Vita e la Poesia di un Poeta Rurale, Appunti di Italiano

Biografia e analisi della vita e della poesia di giovanni pascoli, dalla sua infanzia in una piccola borghesia rurale fino alla sua carriera da insegnante universitario e poeta ufficiale. La formazione di pascoli, la sua sensibilità decadente e il ruolo fondamentale degli oggetti materiali nella sua poesia.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 06/01/2024

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Anteprima parziale del testo

Scarica Giovanni Pascoli: La Vita e la Poesia di un Poeta Rurale e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Giovanni Pascoli Giovanni Pascoli nasce nel 1855 a San Mauro di Romagna da una famiglia di piccola borghesia rurale: il padre è il fattore presso la tenuta dei principi Torlonia. La sua è la tipica famiglia patriarcale numerosa, con 10 figli. La vita di questo nucleo familiare è sconvolta a causa dell’uccisione del padre, avvenuta il 10 agosto: da questo momento in poi affrontano problemi economici, che costringono la famiglia a trasferirsi, prima a San Mauro e poi a Rimini. Nel giro di pochi anni, ci sono una serie di altri lutti familiari, infatti muoiono la madre, la sorella maggiore e due fratelli. Lui muore nel 1912 per un cancro allo stomaco. Pascoli riceve una formazione classica al collegio degli Scolopi, che, in seguito, dovette abbandonare; grazie ad un suo docente, però, ha la possibilità di terminare gli studi presso gli Scolopi di Firenze. Successivamente, dopo aver ricevuto una borsa di studio presso l’Università di Bologna, intraprende la Facoltà di Lettere. In questi anni rimane colpito dall’ideologia socialista, al punto che partecipa ad alcune manifestazioni contro il governo, in seguito alle quali viene arrestato (1879). Dopo quest’esperienza, decide di allontanarsi dalla politica militante, seppur continui a prediligere un socialismo umanitario, caratterizzato dalla fraternità degli uomini. Dopo essersi laureato nel 1882, diventa un insegnante liceale prima a Matera, poi a Massa e infine a Livorno: porta con sé le sorelle Ida e Mariù, ricostruendo idealmente il “nido” familiare che era stato distrutto. Dopo il matrimonio di Ida avvenuto nel 1895, Pascoli si trasferisce con Mariù a Castelvecchio Barga, in cui passa giornate intere a stretto contatto con la campagna, considerata l’Eden. Passa una vita apparentemente serena ma, in realtà, è turbato da angosce, dovute alla presenza ossessiva della morte, e paure, a causa degli sconvolgimenti storici. Nel 1895 ha inizio la sua carriera da insegnante universitario: prima insegna Grammatica greca e latina a Bologna, poi insegna Letteratura latina a Messina, in seguito va a Pisa e, infine, torna a Bologna e ottiena la cattedra di Carducci di Letteratura italiana. Nel 1891 pubblica la prima raccolta di liriche, Myricae, poi scrive poesie per diverse riviste: “La Vita Nuova”, “Il Marzocco”, “Il Convito”. Nel 1897 pubblica i Poemetti, di cui seguono ristampe, mentre nel 1903 escono i Canti di Castelvecchio e, ancora, nel 1904 i Poemi conviviali. La sua fama di poeta cresce e per dodici anni vince la medaglia d’oro al concorso di poesia latina di Amsterdam. Negli ultimi anni gareggia con Carducci e d’Annunzio per la funzione di poeta civile, diventando letterato ufficiale, motivo per cui tutte una serie di discorsi pubblici: il più famoso è La grande proletaria si è mossa, tenuto nel 1911 per celebrare la guerra coloniale di Libia. Il “nido” familiare A causa dei traumi provocati dai lutti familiari, Pascoli è psicologicamente fragile e ciò si può evincere dall’attaccamento morboso per il “nido” familiare, in cui ha cercato protezione dal mondo esterno. Il rapporto con la realtà è ostacolato anche dal continuo e ossessivo ricordo del passato, costituito da lutti e dolori, dal momento che ogni tipo di relazione sarebbe considerato un tradimento verso la famiglia. Per questo motivo, Pascoli non ha avuto relazioni amorose, conducendo una vita casta. Seppur voglia un nido in cui svolge il ruolo di padre, non riesce a staccarsi dal nido infantile. Pertanto, la vita amorosa ha un fascino torbido, è proibita e misteriosa ed è da contemplare da lontano. La visione del mondo La formazione di Pascoli è tipica del Positivismo, corrente che domina in quel periodo ma, allo stesso tempo, in lui si riflette la crisi della scienza che ha colpito la fine del secolo, dovuta all'affermarsi delle tendenze spiritualistiche che ha portato alla sfiducia nella scienza. Per questo, secondo la visione pascoliana, il mondo è disgregato: le parti che lo compongono danno l'idea di un qualcosa di casuale. Inoltre, non esistono più gerarchie d’ordine fra gli oggetti, il che incide sulla costruzione formale dei testi. Nella poesia di Pascoli hanno un ruolo fondamentale gli oggetti materiali descritti secondo una visione soggettivistica, per cui hanno valenza simbolica e, in particolare, rimandano all’ignoto diventando messaggi misteriosi. Affianco a questa soggettivizzazione del reale vi è una percezione onirica del mondo, per cui questo è visto attraverso il sogno, motivo per cui gli oggetti sono soggetti ad un gioco di metamorfosi. A questo punto, la conoscenza del mondo avviene mediante strumenti interpretativi non razionali e, pertanto, la sfera dell’Io si confonde con quella della realtà oggettiva. Per questo motivo, la visione pascoliana va d’accordo con la cultura decadente ed è affine con la visione dannunziana. La poetica La poetica pascoliana emerge nel saggio Il fanciullino (1897), secondo cui il poeta coincide con il fanciullino, il quale vede le cose con ingenuità e meraviglia, come se fosse la prima volta. Inoltre, egli deve dare il nome alle cose e lo fa attraverso un linguaggio che si sottrae alla comunicazione abituale. Dietro l’immagine del fanciullino, pertanto, viene fuori la concezione secondo cui la poesia è una conoscenza prerazionale, motivo per cui vediamo le cose in maniera alogica: tutto ciò fa sì che si abbia una conoscenza profonda della realtà, cogliendo l’essenza segreta delle cose. Il poeta risulta essere un “veggente” perché riesce a guardare oltre le apparenze, scoprendo le corrispondenze misteriose del reale. È chiaro che la poetica pascoliana rientri in ambito decadente. In questo quadro si ha anche la concezione della poesia “pura”: non deve avere dei fini pratici ma deve essere disinteressata: nonostante ciò, potrebbe essere utile da un punto di vista morale e sociale. La poesia è un’utopia umanitaria: vuole indurre alla bontà e alla fratellanza, rifiutando la lotta di classe. Inoltre, la poesia è anche nelle piccole cose, per cui Pascoli è sia cantore delle realtà umili sia celebratore delle glorie nazionali. t1 Una poetica decadente Pascoli spiega i punti salienti della sua poetica attraverso un linguaggio metaforico, in particolare mette in evidenza come il fanciullino coglie la realtà profonda delle cose, grazie ad una conoscenza prerazionale, la quale non segue un ragionamento logico bensì vuole Le raccolte poetiche I componimenti pascoliani sono stati pubblicati tra il 1891 e il 1911 su riviste e periodici, per poi essere raccolti dal poeta in vari volumi ma non c’è coincidenza tra la pubblicazione delle raccolte e la composizione dei testi. Negli anni ‘90 Pascoli ebbe a che fare con vari generi poetici e le poesie di questo periodo sono state raccolte in Myricae, nei Poemetti, nei Canti di Castelvecchio, nei Poemi conviviali e in Odi ed inni. Questa distribuzione è avvenuta secondo ragioni formali, stilistiche, metriche e non secondo l’ordine cronologico. La poesia di Pascoli è prevalentemente sincronica: non si individuano fasi distinte che ha attraversato il poeta, tralasciando la produzione celebrativa ufficiale degli ultimi anni. Myricae Myricae è la prima raccolta di poesie di Pascoli, il cui titolo è una citazione virgiliana tratta dall'opera Bucolica. L’opera, prima di essere tale, ha avuto diverse versioni: ● 1° versione: risale al 1892 e conteneva 22 componimenti dedicati alle nozze di amici; ● 2° versione: risale al 1892 e conteneva 72 componimenti; venne recensita da d’Annunzio; ● 4° versione: risale al 1897 e conteneva 116 componimenti, iniziando ad assumere la fisionomia definitiva; ● 5° versione: l'ultima versione risale al 1900 e contiene 156 componimenti. Nell’opera Pascoli usa le umili piante come simbolo delle piccole cose, diventando il centro della poesia seguendo i principi della sua poetica. I componimenti sono brevi e all’apparenza risultano essere quadretti di vita campestre dati da un gusto impressionistico ma, in realtà, i particolari, su cui si sofferma, sono misteriosi e suggestivi, alludendo ad una realtà ignota, che affascina e inquieta allo stesso tempo. Spesso viene evocata l’idea della morte, riprendendo più volte il tema delle morti familiari. Pertanto, viene già delineato quel romanzo familiare che costituisce la parte più dolorosa della sua dimensione reale. Le soluzioni formali maggiormente adottate sono l’onomatopea, il valore simbolico dei suoni, la sintassi frantumata e un linguaggio analogico. Inoltre, va a combinare metriche diverse: utilizza il novenario. t3 Lavandare Pascoli compone questo testo tra il 1892 e il 1894, per poi inserirlo nella terza edizione di Myricae, nella sezione “L’ultima passeggiata”. Il brano tratta il tema della vita rustica, la quale, però, ha valenza simbolico-esistenziale. In particolare, il poeta sta vagando tra le campagne finché non trova un aratro abbandonato. In quel punto, egli sente il canto delle lavandaie a lavoro, che parla di una ragazza innamorata rimasta sola dopo che il suo amato è partito e che aspetta che lui ritorni: la giovane si sente proprio come l’aratro abbandonato. Questa poesia è un esempio dell’impressionismo pascoliano: nella prima strofa si ha l'impressionismo visivo, in quanto prevalgono le sensazioni visive e i colori; nella seconda strofa si ha l’impressionismo uditivo, in quanto prevalgono le sensazioni uditive date dalle onomatopee, mentre nella terza strofa si hanno entrambi i sensi ma emerge la componente simbolista, in quanto le immagini presenti in questa quartina alludono alla solitudine umana. Dal punto di vista stilistico e metrico, sono presenti degli artifici che hanno ognuno un proprio valore espressivo: enjambement, assonanze, rime, chiasmo, allitterazione. t4 X Agosto Questa poesia è stata pubblicata nel 1896 e poi, l’anno dopo, inserita nella quarta edizione di Myricae. In particolare, parla del 10 agosto, ovvero il giorno in cui il padre di Pascoli venne ucciso, oltre che San Lorenzo. La tematica della morte del padre è affrontata mediante un parallelismo uomo-natura. 1. PRIMA STROFA: il poeta si rivolge a San Lorenzo e paragona la scia delle stelle cadenti allo scorrere delle lacrime mentre si piange; 2. SECONDA STROFA: parla dell’uccisione di una rondine che farà sì che i suoi figli siano senza cibo; 3. TERZA STROFA: i piccoli della rondine, essendo senza cibo ed essendo rimasti soli, sono prossimi alla morte; 4. QUARTA STROFA: parla dell’uccisione del padre, paragonandola a quella della rondine; 5. QUINTA STROFA: parla della famiglia che aspettava il ritorno del padre a casa, ormai inutilmente; 6. SESTA STROFA: il poeta si rivolge al cielo, chiedendo di avvolgere questo mondo pieno di malvagità dalla stelle cadenti. Queste sei strofe sono collegate tra loro mediante delle simmetrie: la prima e la sesta fungono da cornice e sono collegate tra loro, in quanto seguono un percorso parallelo mentre le strofe centrali si collegano a due a due per il parallelismo tra le vicende della rondine e quelle del padre di Pascoli. Il brano è ricco di simboli, in quanto Pascoli si avvicinò al simbolismo: tetto/nido=FAMIGLIA; croce=DOLORE; cielo lontano=DIO INDIFFERENTE (allusioni cristologiche); ombra=MORTE. L’uomo, che non viene dichiarato apertamente essere suo padre, e la rondine sono simboli del dolore universale. Il poeta imposta il problema del male in chiave religiosa, in senso negativo. t5 L’assiuolo Questa poesia è stata pubblicata nel 1897 nella quarta edizione di Myricae, dove l’assiuolo è un uccello notturno, il cui verso è reso dal “chiù”. In particolare, si ha la descrizione di un notturno lunare grazie alle sensazioni visive e uditive ma, in realtà, questo quadro apparentemente impressionistico è pieno di suggestioni e rimandi. Nella PRIMA STROFA si ha il momento in cui la luna sta per “sorgere” e la natura sta aspettando che essa compaia, come fosse un’apparizione divina, dal momento che ha un effetto purificante, alludendo ad un momento di nascita. Questa immagine così calma e serena verrà contrastata nella seconda strofa da una inquietante e minacciosa. Con le sensazioni uditive viene fuori il lato negativo: il verso malinconico dell’uccello ha un qualcosa di funebre e lugubre. La SECONDA STROFA si apre con un clima sereno che poi sfocia in uno inquietante, introdotto dal rumore delle fratte. Il verso dell’assiuolo riprende il “grido” dell’io lirico, che ricorda il singhiozzo dovuto al pianto. Nella TERZA STROFA si ha di nuovo l’immagine della luce lunare, presto affiancata da notazioni negative, che vogliono suggerire un messaggio misterioso e che alludono, anche in questo caso, alla morte. In particolare, l’angoscia della morte è suggerita dai “sistri”, in quanto si fa riferimento ai culti di Iside che consentivano la resurrezione post mortem. Verso la fine l’atmosfera angosciosa emerge di più ma non è mai espressa in maniera esplicita, bensì attraverso delle immagini suggestive: è proprio il discorso allusivo a rendere affascinante la poesia. Il discorso è reso grazie a una serie di espressioni analogiche, in cui sono presenti dei paragoni impliciti, dando più peso al linguaggio poetico. Affiancato al linguaggio analogico si ha il simbolismo fonico: ad esempio, l’allitterazione “fru fru le fratte” assume valore onomatopeico rende più misteriosa un’immagine che è già indeterminata. Inoltre, questo senso di mistero angosciante è reso mediante l’anafora, in quanto suggerisce l’idea di qualcosa di incalzante (su 24 versi, 12 iniziano con un verbo). Anche la paratassi contribuisce: per asindeto si collegano dei membri, i quali sono allineati in parallelo tra loro. Non si ha una struttura gerarchica e il reale è reso mediante legami alogici. t6 Temporale Questa poesia è stata pubblicata nel 1892 nella terza edizione di Myricae. Questo testo si apre con un verso isolato, quasi come fosse un lampo che annuncia il temporale, seguito da una strofa composta da sei versi di settenari (ballata piccola). Sono presenti notazioni uditive, tattili e visive: in particolare, il verso di apertura è fonico e il termine scelto da Pascoli (bubbolio) ha valenza onomatopeica. L’onomatopea, però, anziché mirare alla riproduzione del fatto oggettivo, ha valenza simbolica, infatti allude a qualcosa di minaccioso, amplificato dal senso di indeterminatezza spaziale. Dopo di che, ci sono una serie di sensazioni visive, che esprimono prevalentemente i colori, e che si collocano per di più all’inizio o alla fine del verso. Anch’esse hanno valenza allusiva, suscitando angoscia, e, anche in questo caso, il tutto accresciuto dall’indefinita lontananza spaziale. Anche in questo caso si ha il linguaggio analogico e un esempio è l’accostamento del casolare con l’ala di gabbiano: si ha un’analogia fra due oggetti remoti tra loro, che non hanno una logica, per cui necessitano dell’intervento dell’immaginazione. Pertanto, si ha un discorso ellittico, il quale è allusivo, non punta sul detto. Il bianco ha valore simbolico, in quanto allude alla speranza (rosso e nero sono il male); stessa cosa vale per l’ala del gabbiano, la quale è intesa come la liberazione dagli affanni. Queste analogie sono supposizioni ma soprattutto è un simbolo, non un’allegoria: mentre l’allegoria è precisa, il simbolo è un qualcosa che allude, non c’è niente di determinato. t7 Novembre Questa poesia è stata pubblicata nel 1891 e si trova nella sezione “In campagna”, seppur all’inizio si sarebbe dovuta chiamare San Martino, per indicare l’estate di San Martino,
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