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Giovanni Pascoli: La Vita e l'Opera del Poeta Nazionalista, Dispense di Italiano

Biografia e analisi della vita e dell'opera di giovanni pascoli, poeta italiano arrestato per attività sovversive, laureato in lettere greche e latine, e successivamente professore e poeta. Il documento include una discussione sulle tematiche presenti nella sua poesia, come la natura, l'antichità, l'amore e la morte, oltre alla sua visione nazionalista e interventista riguardo alla guerra coloniale in libia.

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 16/02/2024

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Scarica Giovanni Pascoli: La Vita e l'Opera del Poeta Nazionalista e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! Giovanni Pascoli: Nasce a San Mauro di Romagna nel 1855. Giovanni è in collegio, quando, il 10 agosto 1867, lo raggiunge la notizia che interrompe traumaticamente un’infanzia fino a quel momento felice: il padre è stato ucciso da una fucilata mentre tornava a casa da Cesena. Il colpevole ed il movente di tale gesto rimarranno un mistero. Il poeta rimarrà segnato per sempre da questa tragedia: l’anno dopo muore di tifo la sorella maggiore, seguita subito dopo dalla madre e poi dal fratello Luigi. Rimasto orfano e privo di mezzi economici, nell’arco di pochi anni Giovanni è costretto a seguire a Rimini il fratello Giacomo e poi a trasferirsi a Firenze. Nel 1873 riscontra la vittoria in un concorso per una borsa di studio dalla facoltà di Lettere dell’Università di Bologna. Presidente della commissione esaminatrice è Giosuè Carducci. Più per istinto che per reale convinzione ideologica, egli si lega ai circoli socialisti borghesi. Nel 1879 Pascoli viene arrestato, accusato di attività sovversive. Pascoli si laurea nel 1882 con una tesi sul poeta greco Alceo e subito dopo viene nominato professore di Lettere latine e greche nel liceo di Matera. Nel 1884 Pascoli viene trasferito al liceo di Massa, dopo il suo trasferimento nel liceo di Livorno. Il legame con le sorelle, strette intorno a lui all’interno del tanto desiderato “nido”, perpetua la condizione infantile, recuperata con un affetto totalizzante che esclude ingerenze esterne ed esige la castità ed il culto della memoria dei genitori: esiste solamente il tentativo di ricostruzione del nido famigliare. Alla fine del 1894 Ida si fidanza e pochi mesi dopo si sposa: Pascoli ne è sconvolto, considera il matrimonio della sorella come un affronto, un tradimento e un attentato all’allegria del “nido”. Il 1895, anno delle nozze di Ida, diventa per Giovanni “l’anno terribile”. Nel 1891 dà alle stampe Myricae, il suo primo libro. Ma si tratta di una pubblicazione quasi clandestine. Dal 1895 al 1897 insegna Grammatica greca e latina nell’Università di Bologna. All’insegnamento Pascoli affianca lo studio e il lavoro poetico, a cui ama dedicarsi nella casa di Castelvecchio in Garfagnana. L’età adulta lo spaventa, con il suo carico di responsabilità individuali: solo il “nido” lo preserva dal mondo e delle sue stesse pulsioni. Quel microcosmo, condiviso solo con le sorelle, il cane Gulì, un merlo dall’ala rotta e una capretta, e consacrato con altarini e reliquie al ricordo ossessivo dei cari scomparsi. Il “nido” è il luogo della ricomposizione dell’unità familiare, lo spazio chiuso che gli permette il riparo dalla società brutale ed inospitale; nessuno deve interferire in questo universo difensivo e primigenio. Malato di cancro al fegato, Pascoli muore a Bologna nel 1912. Le opere maggiori sono per l’autore dei contenitori sempre aperti, pronti ad accrescersi nel tempo in successive nuove edizioni rimaneggiate. Non si può dunque parlare di uno Commentato [1]: 1. il padre è stato ucciso da una fucilata. 2. l'età adulta lo spaventa, con il suo carico di responsabilità individuali: solo il "nido" lo preserva dal mondo. 3. Il "nido" è il luogo della ricomposizione dell'unità familiare, lo spazio chiuso che gli permette il riparo dalla società brutale ed inospitale. sviluppo del suo sistema poetico, dal momento che le diverse raccolte rispondono tutte ad un’unica ispirazione, ad un’unica poetica, e possono essere lette come un insieme coerente ed organico. Poemetti: Pubblicati in prima edizione nel 1891. In questa raccolta domina un’intenzione più narrativa, evidenziata dall’adozione di strutture metriche più ampie, coerenti con lo scopo di innalzare i toni ed i contenuti. La maggiore altezza annunciata si accompagna alla celebrazione della natura, vista come un salvifico contraltare alla realtà brutale ed artificiosa della civiltà industriale. In quest’ottica vanno dunque comprese l’esaltazione della piccola proprietà rurale e la mitizzazione della siepe come protezione, reale e metaforica. Con una sperimentazione linguistica ardita, che attinge a disparati registri formali e ricorre a prestiti e contaminazioni. Digitale purpurea: La lirica descrive un dialogo tra due compagne di studio in un convento, Maria e Rachele che parlano di un fiore. La sorella Mariù ha ricordato l'origine del componimento, nato da un racconto da lei fatto al fratello Giovanni e risalente agli anni di collegio: le educande s'incamminavano per un sentiero tra due giardini, in uno dei quali si erge una pianta dal lungo stelo che reca in cima una spiga di fiori rossi a campanelle, con macchioline rosso scuro: la digitale purpurea. Le ragazze entrano nel giardino e si avvicinano alla strana pianta, ma la Madre Maestra intima loro di allontanarsi subito: il profumo del fiore è velenoso, così penetrante che faceva morire. Mariù-Maria aggiunge che le rimase a lungo la paura del fiore mortifero. Pascoli ha rielaborato l'episodio, scandendolo in tre tempi: l'incontro, la visione e i ricordi, la confessione. Ciascuno di essi è segnato da un verbo isolato: Siedono, Vedono, Piangono. Prima parte: Maria e Rachele si ritrovano e rievocano quei piccoli anni così dolci al cuore. Emerge fin d'ora la presenza di quel fiore, ritenuto maligno. Seconda parte: la vita in convento, nell'azzurro intenso tra canti, preghiere e cori. Terza parte: di nuovo risalta la misteriosa presenza di quella spiga di fiori, ammaliatrice. Rachele ricorda di avere ceduto alla tentazione: s'inoltrò leggiera, rispondendo al richiamo peccaminoso. L'unica conclusione è una sensazione: E fu molta la dolcezza! molta! La grande proletaria si è mossa: Si tratta di un discorso pronunciato da Giovanni Pascoli nel Novembre 1911 a Barga, in occasione della campagna di Libia. E’ molto interessante leggere le parole del poeta in riferimento a questo avvenimento storico poichè svelano un Pascoli nazionalista e fortemente interventista, difficile da conciliare con il “socialista dell’umanità”, quale si definiva egli stesso. Questa guerra coloniale è presentata dal poeta come un’esigenza necessaria alla sopravvivenza dei cittadini italiani che, dopo anni trascorsi come lavoratori emigrati oltremare e oltralpe, dopo anni di sfruttamento e ingiurie, dovevano assolutamente Commentato [2]: presenza di strutture metriche più ampie. Ampia celebrazione della natura, vista come un salvifico contraltare alla realtà brutale ed artificiosa della civiltà industriale. In quest’ottica vanno dunque comprese l’esaltazione della piccola proprietà rurale e la mitizzazione della siepe come protezione, reale e metaforica. In effetti, i testi della raccolta sono tutti incentrati su personaggi storici o mitologici del mondo antico, soprattutto greco (Omero, Alessandro Magno, Elena, Ulisse, Solone, ecc…), anche se non mancano riferimenti a Roma e al cristianesimo. L’antichità è per Pascoli un luogo su cui imprimere il segno del proprio sentire più profondo: lo sgomento di fronte alla realtà colma di pianto, le apparizioni inquietanti o consolatorie della natura, la vanità del desiderio di conoscere, la paura di vivere e di crescere, il rimpianto del grembo materno e degli affetti domestici, il mistero dell’esistenza. Si tratta di un mondo perduto. Alexandros: Il componimento presenta la figura di Alessandro Magno, il condottiero macedone vissuto nella seconda metà del IV secolo a.C., mentre rivolge ai soldati parole di disincanto e delusione per essere giunto ai confini della Terra e al termine inevitabile dei suoi viaggi e delle sue avventurose scoperte. Ma dietro l’immagine dell’eroe antico, avido di conoscere mondi nuovi, Pascoli scorge il dramma dell’uomo moderno, destinato a prendere consapevolezza del nulla e della morte a cui conducono tutte le azioni e la vita stessa. Il poeta immagina che Alessandro Magno, giunto al limite delle sue straordinarie imprese fino ai confini del mondo, si renda conto che il suo desiderio di conquista e di avventura non può essere appagato. Il sogno di una conoscenza e di un potere sconfinati deve infatti arrestarsi davanti all’Oceano, il limite che il destino ha voluto fissare alle possibilità umane e oltre il quale si estende solo l’orizzonte del mistero e del nulla. Nessun’altra terra si apre davanti a lui. All'eroe non resta dunque che volgersi indietro nel tempo, quando era ancora carico di speranze. Ora, invece, la tragica scoperta delle scarse risorse dell’individuo e dell’illusorietà delle due aspirazioni gli svela l’effettiva natura della condizione umana. Mentre Alessandro piange, le sorelle e la madre vivono nella remota Macedonia, tanto più umili e perciò più felici, nell’intimità dell’ambiente domestico. Il motivo della poesia nasce nella lettura pascoliana degli storici antichi. Tuttavia la vicenda storica ha un’importanza relativa: il poeta infatti rilegge l'avventura di Alessandro come una metafora dello stato di inappagamento e frustrazione in cui si trova l’uomo, in ogni tempo. Pascoli investe un personaggio dell’antichità delle ossessioni e delle “malattie” della propria epoca: la sensibilità decadente dell’autore sottrae il personaggio dalla storia per farne un mito all’interno di una visione esistenziale rassegnata e dolente. Lo scarto tra illusione e realtà sfocia nella sconfitta inevitabile che tocca all’individuo ed ai suoi più alti desideri di fronte al mistero insondabile dell’universo. Il fanciullino: Apparso a puntate sulla rivista “Il Marzucco” dal gennaio del 1897. L’idea centrale è che anche nell’età adulta di ogni individuo sopravviva un fanciullo che osserva il mondo e “vede tutto con meraviglia, tutto come per la prima volta”. La poesia diventa il luogo della conoscenza istintiva delle cose, della loro riscoperta con uno sguardo di pieno stupore, grazie al quale si può penetrare nella profondità della natura. L’emozione e la sensibilità percettiva del “fanciullino” possono così rivelare il valore segreto che risiede anche negli oggetti più umili. Commentato [6]: La poesia diventa il luogo di conoscenza istintiva delle cose, della loro riscoperta con uno sguardo colmo di stupore, grazie al quale si può penetrare nella profondità della natura. Il carattere alogico della poesia permette così di esplorare territori misteriosi. Il poeta risalirà fino agli albori della propria esistenza, assegnando caratteristiche umane agli animali e alle piante e ripristinando un rapporto magico con la realtà, in un'ottica straniante rispetto a quella abituale. Il carattere alogico della poesia permette così di esplorare territori misteriosi, scoprendo cose che “sfuggono ai nostri sensi” e che non possono essere conosciute a livello razionale. Conseguenza di questo atteggiamento irrazionalistico è la ricerca di traslati che permettano di mostrare analogie e relazioni impreviste tra gli oggetti. Secondo Pascoli la poesia è un’attività per lo più metaforica, che recupera le voci della natura e adotta una lingua che è ancora in fase pre-grammaticale. Solo il poeta potrà mantenere per sempre la componente dello sguardo infantile sul mondo e sulla realtà. Il poeta è un privilegiato poiché continua a mantenere la componente di stupore e di meraviglia. I fanciulli sono infatti portati a personificare le cose, a legare le manifestazioni naturali all’intervento di forze soprannaturali. Allo stesso modo, il poeta risalirà fino agli albori della propria esistenza, assegnando caratteristiche umane agli animali e alle piante e ripristinando un rapporto magico con la realtà, in un’ottica straniante rispetto a quella abituale (prendendo così le distanze da Carducci). Pascoli sottolinea l'autonomia dell’atto poetico e la sua natura spontanea e disinteressata. L’eterno fanciullo che è in noi: L’autore esprime qui la propria concezione della poesia, che corrisponde ad una sorta di stato infantile permanente, grazie al quale è ancora possibile, anche quando si è adulti, guardare al mondo con ingenuità e meraviglia. La maggior parte degli uomini, corrotti dall’esperienza e dai resti inautentici delle convenzioni sociali, smarrisce la dimensione infantile, che permetteva loro, da bambini, di provare intense emozioni e porsi in un’affascinante e misteriosa relazione nei confronti delle cose e della natura. Recuperare questo atteggiamento grazie ad un processo che non coinvolge la ragione e la cultura, ma tocca quei sentimenti nascosti, al di fuori del tempo e della Storia. Il poeta ha il privilegio di restare bambino, attingendo alla voce della propria interiorità: egli possiede i sentimenti di un fanciullo, grazie ai quali riesce a tradurre le sue visioni in parole immediate, senza il filtro del pensiero, ma solo attraverso la propria vista primigenia. Nel sottolineare questo aspetto è evidente la negazione pascoliana del Positivismo: la poesia autentica rifiuta la lettura materialistica del reale per offrirne una più spontanea ed ingenua. Il poeta ha una visione prescientifica e prelogica della realtà, identificandosi in una sorta di uomo primitivo felice ed innocente; in questo aspetto è lecito cogliere l’influenza del filosofo Giambattista Vico, secondo il quale l’umanità animalesca e primitiva era per natura felice ed incline alla fantasia. Il suo scopo è pertanto quello di rendere le cose nella loro essenza più segreta. In tal modo, il poeta può comunicare agli uomini questa capacità che essi hanno perduto, ridestando in loro il “fanciullino” sommerso dalla civiltà. Nonostante il poeta-fanciullo sia dotato di una disposizione a lasciarsi incantare dalla realtà e a coglierne i lineamenti più nascosti, egli non si atteggerà mai a profeta e a dispensatore di verità assolute. Il compito morale e pubblico della poesia non risponde infatti ad alcun programma, ma è connaturato all’esistenza stessa dell’opera d’arte.- La polemica con Carducci è scoperta: alla visione del letterato come artiere che foggi spada e scudi e vomeri per difendere e divulgare un ideale magniloquente di poesia impegnata, civile e patriottica, Pascoli contrappone l’immagine dell’artista puro, che riacquista il senso primitivo delle cose, semplificandole e rifiutando ogni ambizione oratoria per dare un nome a particolari a prima vista umili, trascurati dal senso comune. Myricae: Viene ritenuta dalla critica come un crocevia di fondamentale importanza per la storia della lirica italiana: sia per gli aspetti linguistico-formali sia per i contenuti. Venne pubblicata per la prima volta nel 1891 e l’ultima edizione (la sesta) nel 1911. Il titolo della raccolta deriva da un verso della quarta Bucolica di Virgilio: Non omnes arbusta iuvant humilesque myricae. Gli arbusti e le tamerici costituiscono due emblemi della poesia pastorale e dello stile dismesso. Anche per Pascoli il termine myricae sta ad indicare la predilezione per argomenti umili e quotidiani e la sostanza stessa della sua poetica, lontana da ogni magniloquenza. La natura: viene vista come una fonte di consolazione, come luogo della memoria in cui poter rievocare il passato e l’innocenza perduta, ma anche di inquietudine e turbamento. L’infanzia: sono molte le figure di bambini presenti. Essi sono per lo più piangenti, tristi, oppure poveri o malati; nel loro destino si riflettono le sofferenze private del poeta e le risonanze interiori di una realtà apparentemente familiare, ma in verità assai misteriosa. Il mistero: mentre il Positivismo aveva concepito l’ignoto come un territorio da sottoporre ad una ricerca condotta con metodo sperimentale, Pascoli ne fa il centro di una sofferta meditazione, che lo porta a valorizzare suoni, voci ed immagini alla ricerca delle fitte corrispondenze che animano la realtà. Il male e la fuga nel “nido”: a generare la sofferenza non è la natura, ma l’uomo sociale, responsabile dell’odio e della violenza, diverso da quello primitivo, considerato intimamente buono. Ciò spiega il senso di smarrimento e di solitudine. I morti: la morte non viene più intesa romanticamente come approdo ideale o come sublime annullamento: di fronte ad essa e alle immagini che ne derivano non si prova che sgomento e paura. Al tempo stesso il poeta cerca continuamente di rinsaldare i vincoli spezzati, recuperando una sorta di comunicazione affettiva con i defunti della propria famiglia. Lavandare: Il titolo del componimento lascerebbe pensare alla descrizione di un lavoro o di una scena agreste. Qui invece la tessitura sonora ed i particolari elencati creano ulteriori suggestioni ed alludono a significati simbolici. In un giorno autunnale, il poeta contempla un paesaggio campestre e percepisce dai rumori la presenza, lungo le rive di un vicino canale, di alcune lavandaie. Sono i tonfi dei panni immersi nell’acqua e sbattuti sulle sponde della gora, ma soprattutto il triste canto delle Commentato [7]: Il titolo rimanda alla quarta bucolica di Virgilio. La natura è vista come fonte di consolazione, ma anche di inquietudine e turbamento. I bambini sono per lo più piangenti, tristi, oppure poveri o malati. A generare sofferenza non è la natura, ma l'uomo sociale, responsabile dell'odio e della violenza.
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