Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

GIOVANNI PASCOLI- vita, opere, pensiero, Appunti di Italiano

appunti per maturità su Giovanni Pascoli, con vita, tutte le opere (parafrasi, analisi e commento) e pensiero

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 26/01/2021

giurisprudenza_unicatt
giurisprudenza_unicatt 🇮🇹

4.4

(72)

56 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica GIOVANNI PASCOLI- vita, opere, pensiero e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! GIOVANNI PASCOLI Giovanni Pascoli è una figura centrale della cultura italiana tra la fine dell’800 e i primi anni del 900. Fu poeta di grande successo, professore universitario, autore di saggi e critico letterario. La sua poesia unisce la raffigurazione del mondo naturale e contadino e una grande carica umanitaria. La vita di Giovanni Pascoli: momenti da ricordare 1855. Giovanni Pascoli asce a San Mauro di Romagna. 1862. Entra nel collegio degli Scolopiti a Urbino, dove riceve una formazione classica. 1867. La morte del padre rompe la serenità familiare, l’anno successivo muore la madre e poi la sorella e due fratelli. 1873. Pascoli studia Lettere a Bologna e si avvicina al Socialismo. 1979. Viene arrestato durante una manifestazione e trascorre alcuni mesi in carcere; questa esperienza lo allontana dall’azione politica. 1882-95. Insegna in vari licei italiani. Vive con le sorelle Ida e Mariù, con cui ricostruisce quel nucleo familiare che aveva perso da ragazzo, ma questo lo allontana dal mondo esterno e lo fa chiudere nel suo pessimismo. 1895-1904. La sorella Ida si sposa e Giovanni Pascoli vede in questo un tradimento del nido familiare. Soggiorna spesso a Castelvecchio, vicino Lucca, dove trascorre vita appartata e di campagna, e inizia la sua carriera di professore universitario, prima a Bologna, poi a Messina e Pisa. 1905. Subentra a Giosuè Carducci nella cattedra di letteratura italiana dell’Università di Bologna. Nel frattempo la sua fama di poeta si è ormai consolidata. 1911. Ormai figura di spicco nel panorama culturale italiano, Pascoli pronuncia il discorso La grande proletaria si è mossa, con il quale esprime il suo appoggio alla guerra coloniale. 1912. Muore a Bologna. Le raccolte di poesie di Giovanni Pascoli Myricae (1891) la prima raccolta di poesie Pascoli, ma molti dei testi che la compongono erano già usciti in rivista. Come le altre raccolte poetiche di Giovanni Pascoli, Myricae andrà espandendosi con nuovi componimenti nelle edizioni successive: dalle 22 poesie della prima edizione si arriverà alle 156 dell’ultima. La poesia delle cose umili Il titolo, in latino, è una citazione dalla quarta bucolica di Virgilio, in cui le piccole tamerici (myricae in latino) indicano la poesia umile. Nella scelta di questo titolo Pascoli mostra la volontà di mettere al centro delle sue poesie le piccole cose. Myricae raccoglie in prevalenza componimenti brevi, che ritraggono la vita campestre e la natura attraverso immagini, suoni, colori e impressioni. Gli oggetti intorno ai quali il poeta si concentra si caricano di valenze simboliche. A questo si aggiunge l’immagine ricorrente dei familiari morti del poeta. Le caratteristiche del linguaggio di Pascoli Sono già presenti le caratteristiche principali del linguaggio poetico pascoliano: Onomatopee, come il “bubbolìo” del primo verso della poesia Temporale. Valore simbolico dei suoni, o fonosimbolismo, come la ripetizione di suoni cupi come la “o” o la “u” al fine di creare un’atmosfera di tristezza e mistero. Linguaggio analogico, che crea una fitta rete di collegamenti tra le cose, ad esempio nella poesia X Agosto le immagini della rondine e dell’uomo sono legate per analogia. Sintassi frantumata, fatta di frasi brevi e prive di elementi di connessione. Combinazioni metriche inedite, che Pascoli chiamerà “metrica neoclassica” e che si concretizza in un ritorno alla metrica greca adattata alle esigenze della lingue italiane e alla volontà del poeta. Poemetti (1897) Componimenti più lunghi e dal tono più narrativo. Pascoli utilizza la terzina dantesca I Poemetti di Giovanni Pascoli sono componimenti più ampi di quelli di Myricae e di tono meno lirico e più narrativo. Sono racconti in versi in cui il poeta, attraverso le vicende di una famiglia contadina, celebra la piccola borghesia campestre, in cui risiedono valori come la solidarietà, la laboriosità, la saggezza, la bontà e la purezza morale. La vita contadina, con i suoi ritmi ripetitivi e il suo piccolo mondo protetto, appare a Pascoli un rifugio contro i mali del mondo e della storia. Le poesie si dividono in cicli, ognuno dei quali intitolato a una delle operazioni dei campi. Nei Poemetti sono presenti anche temi più inquietanti, carichi di significati simbolici, che evocano atmosfere notturne e rimandano al tema della morte. Dal punto di vista metrico si nota, a differenza di Myricae, l’uso della terzina dantesca. Il linguaggio rimanda alla poesia epica e conferisce eroicità ai personaggi della campagna. Canti di Castelvecchio (1903) Il ritorno alla poesia delle piccole cose Giovanni Pascoli definisce queste poesie come delle myricae, collegandole dunque alla sua prima raccolta. Ritornano le immagini naturali e la vita di campagna e si torna al verso breve e alla dimensione lirica, che Pascoli aveva abbandonato nei Poemetti. Nella natura il poeta cerca una consolazione al dolore; lo capiamo dalla riproposizione dei temi del lutto familiare e della morte. Dal punto di vista dei paesaggi viene presentato sia Castelvecchio, il paese nel quale il poeta si rifugia nei momenti di riposo e al quale rimanda il titolo, sia il paese natale, luogo del nido perduto. Non mancano anche qui i temi più morbosi, che rimandano alle segrete ossessioni del poeta: il sesso, vissuto col turbamento di un fanciullo, e la morte, come rifugio ultimo. Poemi conviviali (1904) Il mondo antico carico delle angosce della modernità Il titolo deriva dal fatto che la maggior parte di queste poesie furono pubblicate sulla rivista «Il Convito». Si tratta di poemetti dedicati a personaggi e fatti del mito e della storia antica, dalla Grecia fino al Cristianesimo delle origini: vi la propria sensibilità. Nei Poemi Conviviali esplora gli aspetti meno noti della storia e del mito, ricollegandosi alla poesia ellenistica, mentre nelle poesie in latino si dedica ad aspetti marginali della vita romana e mette al centro personaggi umili (gladiatori, schiavi, poveri) ma virtuosi. In questo vediamo di nuovo l’umanitarismo di Pascoli, che respinge la schiavitù e cerca di riscattare queste figure oppresse. CONCETTI CHIAVE Giovanni Pascoli, poeta decadente - Come risposta alla crisi del Positivismo la poesia di Giovanni Pascoli ci mette di fronte all’irrazionale e lo interpreta attraverso i simboli e le corrispondenze. - Per Pascoli la vita è dolore, ma nella sua poesia c’è l’aspirazione alla fratellanza. Le tematiche della poesia di Giovanni Pascoli - Per Pascoli la poesia deve essere svincolata da ogni fine esterno, tuttavia in essa esprime un messaggio di fratellanza. - La sua visione del mondo è pessimista: la vita è caratterizzata dal dolore e dal male. - I temi principali delle poesie di Pascoli sono la natura, la vita contadina, la morte e il mito. - Per le sue poesie predilige in generale la forma breve e il ritmo spezzato. ARANO Al campo, dove roggio nel filare qualche pampano brilla, e dalle fratte sembra la nebbia mattinal fumare, La poesia fa parte della raccolta "Myricae" e descrive una scena rurale: un campo dove alcuni contadini lavorano la terra, osservati da un passero e da un pettirosso che aspettano di poter beccare i semi rimasti scoperti dalla semina. Il paesaggio è tipicamente autunnale: lo si capisce da quella nebbiolina che sale dai cespugli e, soprattutto, dalle foglie di vite che spiccano per il colore rosso nei filari (colore tipico delle foglie in autunno) e anche dai rami del gelso che sono "irti", cioè spogli. Ogni gruppo di versi ha un proprio nucleo tematico: - nella prima terzina descrizione paesaggio con la vista (roggio, brilla, nebbia, fumare). - Nella seconda terzinadescrizione lavoro dei contadini, le sensazioni sono più di tipo uditivo (le grida "lente", il rumore della mazza sulla terra). - Nella quartina finaleintroduzione due nuovi personaggi: il passero e il pettirosso che, dalle rispettive posizioni, attendono pazientemente di poter approfittare della semina. LINGUAGGIO è tipico pascoliano, ricco di termini visivi e uditivi. La sintassi è semplice ma compaiono termini ricercati, come roggio o marra, o termini legati alla botanica, como MORO per il GELSO L'impressione generale= MALINCONICA : tutto è grigio, uniforme, avvolto dalla bruma autunnale. Ci sono pochi tocchi di colore che rendono “vivace” la poesia, come il rosso delle foglie di vite. Anche il lavoro dei contadini assume un tono cadenzato e monotono:: le grida sono lente, il battere la terra è paziente Idea di NATURA PLACIDA ANALISI METRICA E' un madrigale, cioè un componimento di origine antica, nato come poesia popolare, di argomento amoroso e di ambientazione campestre, che subì nel tempo molte variazioni sia nello stile che nei contenuti. Questo madrigale in particolare è composto da due terzine (di endecasillabi) seguiti da una quartina (anch’essa di endecasillabi). Le rime sono incatenate nelle due terzine e alternate nella quartina. Lo schema metrico è: ABA CBC DEDE. LAVANDARE Nel campo mezzo grigio e mezzo nero resta un aratro senza buoi, che pare dimenticato, tra il vapor leggiero. E cadenzato dalla gora viene lo sciabordare delle lavandare con tonfi spessi e lunghe cantilene. Il vento soffia e nevica la frasca, e tu non torni ancora al tuo paese! Quando partisti, come son rimasta! Come l'aratro in mezzo alla maggese Analisi stilistica La poesia è formata da tre strofe (due terzine e una quartina di endecasillabi) Nelle terzine le rime sono incatenate (aba cbc) e nella quartina alternate (dede) con rima per assonanza (frasca/rimasta). Sono presenti anche due rime interne (sciabordare – lavandare; dimenticato – cadenzato). La poesia può essere definita circolare perché inizia citando l'aratro e termina con la stessa citazione Figure retoriche: Allitterazione in f/s=soffia, frasca Onomatopea=sciabordare/tonfi. Chiasmo=vento soffia/ nevica la frasca; tonfi spessi e lunghe cantilene. Similitudine= come l'aratro in mezzo alla maggese Metafora= nevica la frasca Sinestesia= tonfi spessi. Commento Il paesaggio descritto dal poeta in questa lirica è un paesaggio rurale immerso in una sfumata luce mattutina. Il contesto è il mondo contadino, in questo caso quello delle lavandaie. Più ampiamente vi si può leggere un senso di smarrimento e di solitudine che pervade chi attende una persona cara. L'aratro stesso diviene il simbolo di questo abbandono: esso giace in mezzo ad un campo arato solo per metà, così come una donna ferita, amata solo per metà, attende senza speranza il ritorno dell'amato. Nella prima strofa prevale l'aspetto "visivo" del paesaggio: vengono infatti descritti i colori (grigio, nero, il biancore del vapore). Nella seconda strofa prevale invece l'aspetto uditivo (i tonfi, lo sciabordare, le cantilene). Nell'ultima strofa, invece, viene messo in luce il paragone fra l'aratro e le lavandaie.  Il poeta descrive sia un fenomeno naturale che il suo stato d’animo, tormentato.  Ce lo dicono le parole che ha scelto (rosso "affocato", dal nero "di pece", dagli "stracci" di nubi); ce lo dice, anche l’utilizzo di brevi frasi senza verbo; inoltre ce lo dice il ritmo dei versi, in particolare i versi finali che hanno una più forte foga. Problematica Affrontata  Le problematiche riprese sono quelle della sua vita, nido, senso di rifiuto e volere di protezione  Tema principale: la tristezza IL LAMPO E cielo e terra si mostrò qual era: la terra ansante, livida, in sussulto; il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto una casa apparì sparì d'un tratto; come un occhio, che,largo,esterrefatto, s'aprì si chiuse, nella notte nera. LE CARATTERISTICHE FORMALI DOMINANTI DELLA POESIA: Metrica: Due strofe (un verso-strofa e una sestina); Rima: Rime libere (A;B;C;B;C;C;A); Figure retoriche d’ordine: -Climax ascendente: ansante, livida in sussulto, ingombro, tragico, disfatto, largo esterrefatto -Anastrofe: bianca bianca nel tacito tumulto, una casa apparì… -Enjambement (v 6-7); Figure timbriche : -Paranomasia: apparì sparì Figure retoriche di significato: -Similitudine: come un occhio s’aprì si chiuse -Ossimoro: tacito tumulto; -Metafora: terra ansante, cielo tragico -Anafora: bianca bianca (l'accostamento dei due aggettivi ha valore di superlativo) -Antitesi: apparì sparì i due verbi sono accostati senza nessun segno di punteggiatura. 3. INTENZIONE COMUNICATIVA In questa poesia Pascoli parla di un lampo che rompe il silenzio e la notte con una luce violenta tale che mette a nudo la vera realtà del mondo: la sua tragicità e il caos che la contraddistingue. La sua stessa casa è scossa dalla forza del lampo e, agli occhi del Pascoli, perde almeno in parte la sicurezza e il senso di protezione che aveva fino ad un momento prima anche se rimane connotata positivamente dal colore bianco in antitesi con il nero circostante. Ed in questa situazione d’angoscia e paura Pascoli sente la sua vita in bilico tra il voler restare in un “nido” ormai distrutto e l’affrontare una vita piena d’inganni. In questa poesia viene descritta la casa attraverso il colore bianco, per segnarne l'aspetto positivo come rifugio di fronte al temporale. Alla casa e al colore bianco che la differenzia, si contrappone il nero della notte con sensazioni opposte di paura e angoscia. La descrizione della casa accerchiata dal nero della notte durante un temporale con le sensazioni di paura e di terrore che gli vanno dietro, si trova anche nel "Temporale” sempre dello stesso autore. La natura confusa dal temporale, il lampo illumina la notte, scoprendo cielo e terra, mostrando d'un tratto una casa nel buio. Viene messo in evidenza l'effetto visivo del lampo, come un'improvvisa apparizione della percezione illusoria e dell'angoscia e la percezione del dolore. All'inizio della poesia, cielo e terra compaiono legati, ma nel secondo verso, tra di loro si avverte una rottura. La casa è un posto sicuro, racchiuso in un momento di stabilità nello sconvolgimento della natura e del paesaggio. Esso è breve, in quanto dura solo per un istante e poi sparisce nell'oscurità. Essa viene paragonata ad un occhio che si apre e si chiude per ricevere una tragica realtà, e mostra lo stupore ed il timore per la natura I tre aggettivi, presenti nei versi due e tre, sono la proiezione dello stato d'animo dell'autore. Questi aggettivi danno vita ad un climax ascendente che conferisce alla realtà un clima più umano e sconvolto: tormentato, triste. In questa poesia domina il senso visivo; le altre immagini sono utilizzate per dare una rappresentazione umana e psicologica della natura. 4.PROBLEMATICA AFFRONTATA Il poeta Pascoli sente il bisogno di torcersi nel proprio io, per osservarlo, comprenderlo e cercare una vita interiore reale. Egli fondò le sue poesie sull’enigma che circonda l'uomo, sulla sensibilità delle piccole cose, sulla musicalità della poesia, sulla quasi continua presenza della morte. Molte delle sue poesie prendono spunto dalle piccole cose della vita comune, avvolta nel mistero e nella sofferenza. Pascoli cerca di evidenziare il doppio significato delle cose, adottando un linguaggio ricco di sinonimi e somiglianze. Spesso le parole assumono un significato fonosimbolico. Una delle raccolte di poesie più significative del Pascoli è Myricae. I temi principali trattati nell'opera sono quello di una natura rappacificatrice e amichevole, quello dell'infanzia, del nido distrutto ed il tema della morte. Varie poesie del Pascoli hanno come sfondo elementi atmosferici, come la nebbia, i tuoni, i fulmini… Possiamo trovare fenomeni di questo tipo nelle poesie come "Temporale", "Il lampo" ed "Il tuono”. In queste poesie, il poeta presenta tali fenomeni come un qualcosa di pauroso anche per la terra stessa. Infatti per il poeta, il mondo all'esterno del nido familiare è indefinito e pericoloso, e viene pertanto temuto dal poeta. 5. COLLEGAMENTO CON ALTRE POESIE Il tuono o il temporale IL TUONO E nella notte nera come il nulla, .a un tratto, col fragor d'arduo dirupo .che frana, il tuono rimbombò di schianto: rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo, .e tacque, e poi rimareggiò rinfranto, e poi vanì. Soave allora un canto s'udì di madre, e il moto di una culla. CARATTERISTICHE FORMALI Titolo: è informativo perché leggendo la parola "Il tuono" si capisce che si riferisce a un tema spaventoso come appunto la potenza di un tuono che ci rende atterriti. Il titolo informativo, infatti, permette l'acquisizione di notizie e informazioni a priori, da parte del lettore riguardanti il contenuto del testo poetico. Strofe – Versi – Rime : è una piccola ballata di 7 versi endecasillabi, il cui primo verso costituisce la ripresa. La “e” iniziale rende la continuità fra il filo del suo pensiero e l’evento, e dà l’idea che il poeta volesse continuare un discorso aperto in precedenza. Lo schema delle rime è A BCBCCA. Come si può notare la chiave interpretativa è la rima fra “nulla” (= spavento, collera della natura, vuoto, assenza) e “culla” (= rifugio contro le avversità, mondo degli affetti familiari). L’anticlimax più la rima di “schianto”, “rifranto” e “canto” dà il passaggio dal negativo al positivo, infatti il simbolo del tuono diventa canto. Inoltre è presente una cesura “e poi vanì” (v.6) e un enjambement “soave allora un canto s’udì di madre (v.6-7). Figure di timbro: Allitterazione per consonanza in “n” (v.1); Paronomasia fra “nella” e “nulla” che da un senso d’attesa iniziale (v.1); Allitterazione per consonanza in “r” e per assonanza in “u” ed “o” (v.2); Allitterazione per consonanza in “r” e per assonanza in “o” che riproduce il suono del tuono (v.4); Allitterazione in RIMB - RIM con funzione onomatopeica Onomatopea “il tuono rimbombò di schianto: rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo”. Figure retoriche di significato: Similitudine “nera come il nulla” paragonando il colore nero come l’ assenza e il vuoto; Sinestesia (v.2); il tuono rimbombò, rimbalzò, rotolò (v.4) associando a quest’ultima la percezione uditiva a quella visiva. Figure retoriche d’ordine: Enumerazione: - Sinestesia : “soffi di lampi”( vengono associate ai lampi silenziosi). - Similitudine : “com’eco d’un grido che fu” ( paragona il sussulto alla voce ad un grido che gli evocava un dolore lontano). - Antitesi : tra “nero e bianco”, infatti, Pascoli parla di “un nero di nubi “ e “nebbia di latte“. - Doppio climax ascendente : riguarda il verso dell’uccello rapace:”chiù”, che passa da grido (nella prima strofa) a singhiozzo (nella seconda strofa), fino ad arrivare in fine ad un pianto di morte (terza strofa). Il secondo invece riguarda la negatività che cresce da ogni strofa, che è legata alla percezione del poeta. Infatti, se analizziamo la poesia notiamo che gli elementi positivi contenute in essa diminuiscono da strofa in strofa; nella prima abbiamo quattro versi, nella seconda tre e nell’ultima solo due. Da tutto ciò notiamo che emergono sensazioni e riflessioni negative. LO STILE In questa poesia Pascoli utilizza delle frasi circolari, infatti, notiamo che ogni strofa termina con il verso dell’assiuolo, “chiù”, una voce desolata che infonde tanta tristezza. IL LESSICO Il lessico, che il nostro poeta utilizza, è quello dell’ottocento, quindi è abbastanza comprensibile. Il linguaggio poetico è fortemente connotativo, infatti, oltre a trasmetterci informazioni precise, suscita suggestioni e allusioni significative. Dalla lingua utilizzata emerge il senso del mistero, dell’angoscia e dello sgomento che incombe sul nostro poeta e lo tormenta. Come vediamo nella poesia, Pascoli utilizza parole ed espressioni che creano un’atmosfera di mistero. Infatti, ha scelto parole che appartengono allo stesso campo semantico (“cielo... alba…lampi…nubi… nebbia…vento…nero di nubi”) al cielo, ai colori (“nero di nubi…bianco di latte”). Utilizza, inoltre, un linguaggio analogico, per rendere l’immagine più intensa e suggestiva, trasformando gli aggettivi in sostantivi ( come ad esempio “alba di perla” invece di “alba chiara”, “soffi di lampi” al posto di “lampi minacciosi”, “nero di nubi” e non invece “nubi cupe”, “nebbia di latte” molto più coinvolgente di “nebbia fitta”, “sospiro di vento” piuttosto che “vento leggero”). IL TITOLO In questo caso il titolo ha un ruolo informativo, perché permette l’acquisizione d’informazioni riguardanti il contenuto del testo poetico. Infatti, se il nostro poeta non avesse intitolato la poesia “l’assiuolo” non saremmo stati in grado di comprendere la voce che proviene dai campi: “chiù”. PAROLE-CHIAVE La parola chiave è “chiù”, il verso dell’uccello rapace, perché questo è il suono con cui Pascoli evoca i suoi sentimenti. CAMPI SEMANTICI - Il cielo, il quale racchiude alba…lampi…nubi…nebbia…vento…stelle. - I suoni, che includono il chiù, lo sciacquio delle onde del mare, il fruscio dei cespugli, il suono stridulo che emettono le cavallette e il loro tintinnio delle ali. INTENZIONE COMUNICATIVA Con questa poesia Pascoli descrive un paesaggio notturno dove all’inizio prevale il sentimento dell’estasi, difatti dice che la notte è meravigliosa, il cielo è chiaro come l’alba e perfino gli alberi sembrano sporgersi per vedere meglio la luna che è nascosta tra le nubi. Il paesaggio descrittivo è reso ancora più incantevole dalla melodia del mare e dai fruscii dei cespugli che sembrano quasi rasserenare l’anima. Tutto quest’ambiente è disturbato non dai lampi, dalle nubi e dalla nebbia, ma solamente da una voce triste che si leva nei campi: il chiù. Una voce che all’apparenza sembra di passaggio, ma di strofa in strofa diventa più angoscioso, fino ad arrivare ad un pianto di morte. Questo suono, per lui, è come un sussulto, una scossa al cuore che gli fa emergere ricordi tristi e pensieri tormentati. Il suono dell’uccello notturno pare quasi la voce stessa del suo cuore angosciato. Con tutto il suo componimento poetico, Pascoli vuole esprimere l’incombere dei ricordi e della morte, che impedisce al poeta di godere pienamente la magia di una notte di luna perché è avvolto dal mistero e dall’angoscia della morte. PROBLEMATICA AFFRONTATA I principali problemi che il poeta affronta sono il mistero e l’angoscia della morte. Contribuiscono a creare un’atmosfera di mistero il contrasto tra immagini minacciose e serene. Questo tema è caratterizzato dalla domanda che il poeta fa: “tintinni a invisibili porte: che forse non si aprono più?”. L’interrogazione che Pascoli pone, mette in rapporto il dato fisico, cioè il suono delle cavallette, con una realtà metaforica, ovvero le invisibili porte, aprendosi, potrebbero spiegare il mistero della vita. Il passaggio dal suono reale alla sua interpretazione metaforica, è molto importante perché apre una riflessione sulla morte e sull’impossibilità per l’uomo di affidarsi alla speranza di un'altra vita dopo la fine dell’esistenza. Questa sensazione negativa è data dalla voce dell’uccello notturno, che per le credenze popolari di allora è considerato un annuncio di disgrazia e di morte. NOVEMBRE Gémmea l’aria, il sole così chiaro Che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, e del prunalbo l’odorino amaro senti nel cuore. Ma secco è il pruno, e le stecchite piante Di nere trame segnano il sereno, e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante sembra il terreno. Silenzio, intorno: solo, alle ventate, odi lontano da giardini ed orti, di foglie un cader fragile. E’ l’estate, fredda, dei morti. 1. CARATTERISTICHE FORMALI La poesia è costituita da 12 versi suddivisi in tre strofe, le quali sono composte da tre endecasillabi e un quinario ciascuna. La rima è di tipo alternata, infatti: ABAB CDCD EFEF. Come figura di timbro troviamo soltanto l’allitterazione per assonanza in “e” e “o” e per consonanza in “s” e in “r”. e in f r g nell'ultima strofa che tende a riprodurre il suono delle foglie (funzione onomatopeica) Le figure retoriche di significato sono: - sinestesia: “cader fragile” e “odorino amaro” - ossimoro: “estate fredda” Le figure retoriche d’ordine sono: - iperbato: “secco è il pruno”, “stecchite piante”, “vuoto il cielo”, “sembra il terreno”, “di foglie un cader fragile” - anastrofe: “gemmèa l’aria”, “l’dorino amaro senti” Il lessico non è né complicato e né ingenuo, lo si può individuare in una fascia media. Il titolo è di tipo interpretativo perché dietro ad una parola si nascondono aspetti che non si comprendono alla prima lettura della poesia, poiché si comprende subito che il titolo si riferisce ad una collocazione nel tempo mentre significa anche il mese nel quale si ricordano i propri cari che sono venuti a mancare. 2. INTENZIONE COMUNICATIVA Una serena e tersa giornata di novembre può per un attimo suggerire un'illusione di primavera e riportare quasi il profumo degli albicocchi in fiore. Ma si tratta di un'illusione che presto scompare, e alle iniziali impressioni subentra la constatazione di un inverno che non è solo indicazione stagionale ma metafora dell'esistenza. In questa poesia, come spesso accade in Pascoli, il paesaggio mostra un duplice aspetto. Sotto un'apparenza di armonia e di positività possono nascondersi la presenza e la minaccia della morte. Quindi una giornata mite e serena può trasmettere per un attimo la sensazione di vivere il tepore della primavera, mentre in realtà è novembre. In questo mese cade la cosiddetta "estate di San martino", termine con il quale Pascoli ha voluto fondere due caratterizzazioni particolari, quali: la presenza frequente di giornate calde, quasi estive, e la ricorrenza dei morti che cade agli inizi di novembre. Nella prima strofa vi è inizialmente un'immagine primaverile (gemmea l'aria - il sole è così chiaro), l'immagine di una giornata soleggiata nel mese di novembre, durante la cosiddetta "estate di S. Martino". Ma ciò che il poeta vuole realmente rappresentare è la breve illusione della felicità. Nella bella giornata autunnale, la luce del sole e l'aria limpida danno per un istante l'illusione che sia primavera. Ma subito ci si rende conto che le piante sono secche e spoglie, lo si può dedurre dal fatto che questi elementi aprono la seconda strofa. Quindi inutilmente si cerca di scoprire gli alberi in fiore e di percepire il profumo intenso del biancospino, perché è tutto un’illusione, infatti, Pascoli ha voluto iniziare con un “Ma”, che segna un netto rovesciamento della situazione precedente, è il ritorno alla realtà dopo l'illusione di dolcezza primaverile, quindi della delusione; ciò è evidenziato dalle parole chiave "secco – stecchite – nere – vuoto – cavo", le quali danno la sensazione di vuoto, di silenzio. Nella terza strofa viene confermata la realtà di morte, infatti, la poesia si conclude con la parola “morti”, preceduta da parole chiave (campo semantico della morte dalla seconda strofa) che contengono un significato di vuoto, solitudine: “silenzio – solo – lontano – fragile - fredda” . 3. PROBLEMATICA AFFRONTATA Novembre è una delle composizioni più suggestive dell'intera produzione poetica pascoliana. Come la maggior parte delle poesie di Myricae, anche questa più che a descrivere la natura in un particolare momento, come si può intuire dal titolo, è rivolta a penetrare nel segreto senso delle cose, e a scoprire in esse un messaggio di morte o un precario senso di fragilità, di vuoto. Pascoli ha voluto qui accostare due elementi fondamentali che danno il senso alla poesia: il fascino della vita e il mistero della morte. La meraviglia della vita la si può comprendere, poiché essa è unica, quindi di per sé è un dono che assume valori supremi, ma più in particolare nalla poesia, questa sensazione trabocca grazie alla descrizione incantevole dell’autunno sotto sembianze primaverili, quindi anche in un periodo cupo, dove il sole è chiaro ma non cocente, dove l’aria è limpida ma non afosa, dove le piante sono spoglie e non in fiore, si può ritrovare la bellezza della natura nel veder cadere le foglie e nell’assaporare il profumo del biancospino, il quale lo si può vedere solo in questo periodo. Sono tutte caratteristiche positive dell’autunno, che rendono più lieve la lontananza dalla bella stagione. l'odore di fragole rosse (sensazione visiva "rosse" + sensazione olfattiva "profumo") va col suo pigolio di stelle (sensazione visiva "luce intermittente" + sensazione olfattiva "pigolio pulcini") Metafore: Un'ape tardiva sussurra (rappresenta il poeta escluso dall'attività amorosa di quella casa) La Chioccetta per l'aia azzurra dentro l'urna molle e segreta (l'utero appena fecondato) LA MIA SERA Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c’è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi! Che pace la sera! Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo. Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell’aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell’umida sera. È, quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d’oro. O stanco dolore, riposa! La nube del giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell’ultima sera. Che voli di rondini intorno! che gridi nell’aria serena! La fame del povero giorno prolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi nel giorno non l’ebbero intera. Né io… e che voli, che gridi, mia limpida sera! Don… Don… E mi dicono, Dormi! mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi! là, voci di tenebra azzurra… Mi sembrano canti di culla, che fanno ch’io torni com’era… sentivo mia madre… poi nulla… sul far della sera. La mia sera di Giovanni Pascoli è contenuta nella raccolta Canti di Castelvecchio. Dal punto di vista espressivo, la lirica è caratterizzata sia dalla presenza di diverse immagini e di diverse impressioni, più accostate le une alle altre che logicamente collegate, sia da continui e complicati passaggi dal piano naturalistico (la «sera» come parte del giorno) al piano simbolico (la «sera» come parte della vita del poeta). La lirica comprende cinque strofe costituite ciascuna di sette novenari e di un senario a rima alternata ABABCDCd. Il v. 19 e il v. 34 hanno una sillaba in più (ipermetri). Da notare:  la rima interna («stelle» ai vv. 2-3);  il ripetersi, in ogni strofa, della rima del sesto e ottavo verso;  il concludersi di ogni strofa col termine «sera», come un’eco costante che riporta al tema di fondo della lirica;  la ripresa di termini e motivi che legano una strofa all’altra (v. 4 «ranelle» ripreso a v. 11; v. 12 «rivo» ripreso a v. 18);  il ricorso a terminazioni sdrucciole (v. 19 «restano»; v. 34 «sussurrano») che dilatano quasi il novenario;  numerosi in tutto il componimento i simbolismi e le onomatopee (v. 4 «gre gre di ranelle», v. 11 «allegre ranelle», vv. 5-6 «tremule foglie… trascorre leggiera», v. 13 «tutto… cupo tumulto», v. 14 «aspra bufera», v. 19 «fulmini fragili», v. 28 «garrula», vv. 33-35 «Don… Don… Dormi), che impongono ai versi un’intensa musicalità. COMMENTO Dopo il violento temporale che, durante il giorno, ha sconvolto ogni cosa, la natura si rasserena nella calma del crepuscolo. Il poeta contempla il paesaggio serale pacificato e stabilisce un confronto tra la vicenda naturale e la propria vita: anche la sua vita, infatti, segnata da tanti dolori e da tanti lutti, sembra aver trovato, giunto all’età matura (alla «sera» della sua vita) una sorta di malinconica pace. Ma la pace ritrovata si identifica, attraverso l’immagine del «nido», simbolo della famiglia intatta, con il regresso all’infanzia e ai canti della madre, che lo cullavano – come fa ora il suono delle campane – finché si abbandonava al sonno. GIORNO= momento di depressione SERA= momento di maturità in cui si rasserena con le riflessioni sul giorno (giovinezza) NOTTE=ricordo della morte con serenità
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved