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Giovanni Pascoli (vita, pensiero, opere), Temi di Italiano

Vita: giovinezza travagliata, nido famigliare. Visione del mondo, la poetica, il fanciullino. Analisi testo: una poetica decadente. Ideologia politica: adesione al socialismo, nazionalismo. Temi della poesia: intento pedagogico, i miti, angosce, sintassi, lessico, aspetti fonici, metrica. Raccolte poetiche, Myricae, i canti di Castelvecchio. Analisi testi: Lavandare, X Agosto, L’assiuolo, Il gelsomino notturno. Riassunto dal libro di testo “Il piacere dei testi”

Tipologia: Temi

2018/2019

In vendita dal 24/09/2019

GGiadArte
GGiadArte 🇮🇹

4.5

(19)

45 documenti

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Scarica Giovanni Pascoli (vita, pensiero, opere) e più Temi in PDF di Italiano solo su Docsity! Giovanni Pascoli PREMESSA L’immagine di Pascoli è quella del poeta delle piccole cose, viste con lo sguardo ingenuo e innocente del “fanciullino”, degli affetti famigliare, del dolore. Egli è un poeta inquieto, tormentato, visionario che sa conferire straordinaria intensità alla visione e alla sensibilità decadenti. È il poeta proteso verso il mistero che si cela oltre la realtà visibile, che sa caricare le cose più comuni e apparentemente insignificanti di sensi simbolici, che proietta nella poesia le sue ossessioni, conferendo ad esse un significato universale. Pascoli disgrega l’ordine del reale dilatando il minimo particolare o miniaturizzando ciò che è grande, dando vita a una visione onirica e allucinata. Le soluzioni formali della poesia pascoliana sono radicalmente innovative. La sua sintassi frantumata esprime il rifiuto di una sistemazione logica e gerarchica del mondo, il prevalere di corrispondenze segrete fra le cose. A livello del lessico, si offre una pluralità di livelli. Anche la metrica sperimenta soluzioni personalissime; il verso è frantumato; frequente è l’uso del linguaggio analogico, che accosta realtà lontanissime e che crea intorno alle parole un magico alone; così è spesso usato la sinestesia, la fusione delle sensazioni e che evoca la misteriosa unità di tutte le cose. LA VITA LA GIOVINEZZA TRAVAGLIATA Giovanni Pascoli nacque nel 1855 a San Mauro di Romagna, da una famiglia della piccola borghesia rurale: era una tipica famiglia patriarcale molto numerosa: Giovanni era il quarto di dieci figli. La vita sostanzialmente serena di questo nucleo familiare venne però sconvolta da una tragedia, destinata a segnare profondamente l’esistenza del poeta: mentre tornano a casa da Cesena, il padre fu ucciso a fucilate. Sicari e mandanti non furono però mai individuati e ciò diede al giovane Giovanni il senso di un’ingiustizia bruciante. La morte del padre creò difficoltà economiche alla famiglia, che dovette lasciare la tenuta e trasferirsi. Al primo lutto in breve giro di anni ne seguirono altri, in una successione impressionante: morirono la madre, la sorella maggiore e due fratelli. Giovanni ricevette una rigorosa formazione classica, che costituì la base essenziale della sua cultura. In seguito dovette lasciare il collegio per problemi economici, ma, grazie alla generosità di uno dei suoi professori, poté proseguire gli studi a Firenze, dove terminò il liceo. Grazie al brillante esito di un esame, ottenne una borsa di studio presso l’Università di Bologna, dove frequentò la facoltà di Lettere. Negli anni universitari Pascoli subì il fascino dell’ideologia socialista. Partecipò a manifestazioni contro il governo, fu arrestato e dovette trascorrere alcuni mesi in carcere. L’esperienza fu però per lui traumatica e determinò il suo definitivo distacco dalla politica militante. Riprese con impegno gli studi, si laureò e iniziò subito dopo la carriera di insegnante liceale, prima a Matera poi a Massa. Qui chiamò a vivere con sé le due sorelle, Ida e Maria, ricostituendo così idealmente quel “nido” familiare che i lutti avevano distrutto. IL “NIDO” FAMILIARE La chiusura gelosa del “nido” familiare e l’attaccamento morboso alle sorelle rivelano la fragilità della struttura psicologica del poeta, che cerca entro le pareti del “nido” la protezione da un mondo esterno. A questo si unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti, inibendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna, ogni vita di relazione, che viene sentita come un tradimento nei confronti dei legami oscuri del “nido”. Questa serie di legami inibisce anche il rapporto con l’altro: non vi sono relazioni amorose nell’esperienza del poeta, che conduce una vita forzatamente casta. C’è in lui lo struggente desiderio di un vero nido, in cui esercitare una funzione di padre, ma le esigenze affettive del poeta sono interamente soddisfatte dal rapporto con le sorelle, che rivestono un’evidente funzione materna. Si può capire allora perché il matrimonio di Ida fu sentito da Pascoli come un tradimento, una profanazione della sacralità del nido e determinò in lui una reazione spropositata con vere manifestazioni depressive. Questa complessa e torbida situazione affettiva del poeta è una premessa indispensabile per penetrare nel mondo della sua poesia, perché costituisce il punto d’avvio della sua esperienza letteraria. L’INSEGNAMENTO UNIVERSITARIO E LA POESIA Dopo il matrimonio di Ida, Pascoli prese in affitto una casa nella campagna lucchese. Con la fedele sorella Mariù, trascorreva lunghi periodi, lontano dalla vita cittadina che detestava e di cui aveva orrore, a contatto con il mondo della campagna che ai suoi occhi costituiva un Eden di serenità e pace, di sentimenti semplici e puri. La sua vita era quella appartata e senza grandi avvenimenti. Una vita esteriormente serena, ma in realtà turbata nell’intimo da oscure angosce e paure. Nel 1895, Pascoli aveva ottenuto la cattedra di Grammatica greca e latina all’Università di Bologna e, dopo vari spostamenti, subentrò infine al suo maestro Carducci nella cattedra di Letteratura italiana a Bologna. Negli ultimi anni volle gareggiare con il maestro Carducci e con d’Annunzio (come egli lo definì) nella funzione di poeta civile, dei destini della patria e celebratore delle sue glorie, con una serie di componimenti. Al poeta schivo, chiuso nel suo limitato ambito domestico, si affiancò il letterato ufficiale, che si assunse il compito di diffondere ideologie e miti. Celebrò la guerra coloniale in Libia. Il poeta però era ormai minato dal male, un cancro allo stomaco. Si spense nel 1912. LA VISONE DEL MONDO LA CRISI DELLA MATRICE POSITIVISTICA La formazione di Pascoli fu essenzialmente positivistica, dato il clima culturale che dominava negli anni in cui egli compì i suoi studi liceali e universitari. Tale matrice è ravvisabile nell’ossessiva precisione con cui egli usa la nomenclatura ornitologica e botanica e di impianto positivistico sono spesso le fonti da cui trae le osservazioni sulla vita. In Pascoli si riflette quella crisi della scienza che caratterizza la cultura di fine secolo, segnata dall’esaurirsi del Positivismo. Anche in lui insorge una sfiducia nella scienza come strumento di conoscenza e di ordinamento del mondo: al di là dei confini limitati raggiunti dall’indagine scientifica, per lui, si apre l’ignoto, il mistero, l’inconoscibile, verso cui l’anima si protende ansiosa, tesa a captare i messaggi enigmatici che ne provengono, non traducibili in nessun sistema codificato. Il mondo, nella visione pascoliana, appare frantumato, disgregato. Non esistono neppure gerarchie d’ordine fra gli oggetti: ciò che è piccolo si mescola a ciò che è grande, il minimo, apparentemente trascurabile particolare può essere ingigantito come attraverso una lente di ingrandimento. Tutto ciò ha riflessi sulla costruzione formale dei testi I SIMBOLI Gli oggetti materiali hanno un rilievo fortissimo nella poesia pascoliana: i particolari fisici, sono filtrati attraverso la peculiare visione soggettiva del poeta e in tal modo si caricano di valenze simboliche, rimandano sempre a qualcosa che è al di là di essi, sono come messaggi misteriosi e affascinanti. Alla nettezza vivida delle impressioni e della terminologia botanica e ornitologica, può accostarsi senza stridori né contraddizioni, una percezione visionaria: il mondo è allora visto attraverso il velo del sogno e perde ogni consistenza oggettiva. Si instaurano così legami segreti fra le cose, che solo abbandonando le convezioni della visione corrente possono essere colti. La conoscenza del mondo viene attraverso strumenti interpretativi e non razionali. Tra io e mondo esterno, tra io e soggetto, non sussiste per Pascoli un vera distinzione. La sfera dell’io si confonde con la realtà oggettiva. La visione pasco liana si colloca entro le coordinate del mondo decadente e presenta affinità con la visione dannunziana. IL NAZIONALISMO Il fondamento dell’ideologia di Pascoli è la celebrazione del nucleo familiare, che si raccoglie entro la piccola proprietà. Ma questo senso geloso della proprietà, del “nido” chiuso ed esclusivo, si allarga agevolmente ad inglobare l’intera nazione. Si collocano qui le radici del nazionalismo pascoliano. Per questo egli sente con tanta partecipazione il dramma dell’emigrazione, che proprio in quegli anni tocca proporzioni impressionanti: l’italiano che è costretto a lasciare il suolo della patria è come colui che viene strappato dal nido. Per Pascoli esistono nazione ricche e potenti, “capitalistiche”, e nazioni “proletarie”, povere, deboli, oppresse. Tra queste vi è l’Italia, che non riesce a sfamare i suoi figli e deve esportare mano d’opera. Pascoli arriva dunque ad ammettere la legittimità delle guerre condotte dalle nazioni proletarie per le conquiste coloniali, in modo da dar terra e lavoro ai loro figli più poveri. In tal caso, per il poeta, si tratta di guerre non di offesa, ma di difesa. Sulla base di questi principi, nel 1911, Pascoli arriva a celebrare la guerra in Libia come un momento di riscatto della nazione italiana. Pascoli fonde in questo modo socialismo umanitario e socialismo coloniale. I TEMI DELLA POESIA PASCOLIANA GLI INTENTI PEDAGOGICI E PREDICATORI Si è sottolineato come la poesia pascoliana riveli una sensibilità squisitamente decadente. Non è facile stabilire quanto Pascoli conoscesse direttamente la letteratura decadente e simbolista europea di fine Ottocento, ma comunque l’affinità col clima culturale del Decadentismo europeo è evidente. Tuttavia, Pascoli è l’esatto contrario del poeta “maledetto”, che rifiuta radicalmente la normalità borghese e ostenta atteggiamenti di rottura totale nei confronti dei suoi valori. Nel suo vissuto, Pascoli incarna l’immagine del piccolo borghese, appagato dalla sua mediocrità di vita, chiusa nella sfera limitata e protettiva degli affetti domestici, degli studi, del lavoro di insegnante. Dal punto di vista letterario, l’immagine del poeta corrisponde perfettamente a quella dell’uomo: Pascoli si presenta come il celebratore della realtà piccolo borghese e dei suoi valori. È la celebrazione del piccolo proprietario rurale, pago del suo campetto, che gli garantisce la dignità e la libertà e pago del calore degli affetti familiari. In questo ambito di poesia pedagocica rientra l’invito ad accontentarsi del poco, senza conflitti con gli altri ceti, in un clima di cooperazione. Alla poesia pascoliana appartiene anche la predicazione sociale e umanitaria, il sogno di un’umanità affratellata, che nella solidarietà trovi una consolazione al male di vivere, ai dolori e alle miserie. I MITI Questa predicazione si avvale di miti, impiegati per il valore suggestivo, che trovano immediato eco in un pubblico di lettori appartenenti allo stesso ambito sociale: il “fanciullino” che è al fondo di ognuno di noi, che rappresenta la nostra parte naturalmente ingenua e buona e può garantire la fraternità degli uomini, al di là degli odi e dei conflitti violenti di interessi; il nido familiare caldo e protettivo, in cui i componenti si possono stringere per trovare conforto e riparo dall’urto di una realtà esterna minacciosa e paurosa. Col nido si collega il motivo ossessivamente ricorrente del ritorno dei morti. Anche qui, la tragedia familiare scaturita dall’assassinio del padre è trasformata da Pascoli in una vicenda esemplare, da cui si può ricavare l’idea del male che alligna tra gli uomini, la necessità del perdono. Pascoli, oltre a farsi cantore della modesta realtà borghese, può allargare la sua predicazione a temi più vasti, che investono l’umanità intera. Per questo, assumere le funzioni del poeta ufficiale, del poeta “vate”, che canta le glorie della patria. Mentre d’Annunzio offriva alle masse piccolo borghesi un sogno evasivo di gloria, di lusso e di lussuria, che le strappava alla mediocrità, Pascoli radicava invece nel pubblico la fede in alcuni valori elementari ma fondamentali: la proprietà, la famiglia, accontentarsi del poco. Questa immagine del Pascoli fu accolta anche dalla critica, che a lungo parlò di poeta delle piccole cose, degli affetti famigliari, del poeta fanciullino cantore della bontà, dell’innocenza. IL GRANDE PASCOLI DECADENTE Le trasformazioni del clima culturale hanno portato alla luce un Pascoli diverso, scoprendone la straordinaria novità e forza d’urto, un Pascoli inquieto, tormentato, morboso, visionario, che ben si inserisce nel panorama del contemporaneo Decadentismo europeo. Pascoli è in perenne ricerca del mistero che è al di là delle cose più usuali, che sa rendere la presenza di questa inquietante dimensione caricando gli oggetti più comuni, di sensi allusivi e simbolici; che proietta nella poesia le sue ossessioni, portando alla luce i mostri, le zone oscure e torbide della psiche, la consapevolezza della duplicità della psiche; che sa esprimere le sconfitte esistenziali e le delusioni dell’anima moderna, il senso di inadeguatezza della realtà rispetto al sogno; che sente ovunque, in ciò che lo circonda la presenza della morte; che trasforma i dati oggettivi, offerti dalle sensazioni, in un gioco di parvenze illusorie; che disgrega l’odine del reale, dilatando il minimo particolare, ma che può egualmente miniaturizzare ciò che è grande. Si delinea così un grandissimo poeta dell’irrazionale, capace di raggiungere profondità inaudite. In questo Pascoli è ben più radicale di d’Annunzio, le cui intuizioni geniali sono spesso soffocate dal peso degli intenti ideologici e propagandistici. Perciò il poeta fanciullino può essere ritenuto lo scrittore più autenticamente decadente, riconoscendo al termine un valore culturale del tutto positivo, che s scoprire aspetti inediti del reale e soprattutto un modo nuovo di rappresentarlo. LE ANGOSCE E LE LACERAZIONI DELLA COSCIENZA MODERNA I due Pascoli hanno ovviamente una radice comune, sono connessi da legami profondi: la celebrazione del “nido”, delle piccole cose, della mediocrità appagata del piccolo borghese, della fraternità umana, è proposta proprio per erigere un baluardo rassicurante dinanzi all’urgere di forze minacciose, che Pascoli avverte con inquietudine, sgomento e paura. In un discorso del 1900, Una sagra, il poeta ha ben chiari i processi contemporanei della concentrazione monopolistica, i conflitti imperialistici tra le potenze che minacciano una prossima apocalisse bellica, il pericolo dell’instaurarsi di regimi totalitari, e ne prova orrore. Sono queste paure che fanno affiorare i “mostri” nascosti nel profondo. Chiudersi entro i confini ristretti degli affetti domestici, assume il valore di un esorcismo, al fine di neutralizzare ciò che il poeta avverte muoversi al fondo della sua anima. Però non tutta la sua poesia obbedisce a questo bisogno di rimozione: Pascoli sa scandagliare quel fondo buio, lasciarlo affiorare sulla pagina con tutta la sua forza dirompente, guardare in faccia i “mostri”, è questa la sua grandezza. LE SOLUZIONI FORMALI Il nuovo modo di percepire il reale si traduce in soluzioni formali fortemente innovative, che aprono la strada alla poesia novecentesca. LA SINTASSI L’aspetto che colpisce di più è quello sintattico: nei suoi testi poetici la coordinazione prevale alla subordinazione, di modo che la struttura sintattica si frantuma in serie paratattiche di brevi frasi allineate senza rapporti gerarchici tra di loro, spesso collegate per asindeto. Di frequente le frasi sono ellittiche, mancano del soggetto o del verbo, o assumono la forma dello stile nominale (successione di semplici sostantivi o aggettivi). In opposizione alla volontà classica di racchiudere i dati del reale in una rete di rapporti logici, la frantumazione pascoliana rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell’esperienza, il prevalere della sensazione immediata, dei rapporti analogici, suggestivi, che indicano una trama di segrete corrispondenze tra le cose. È una sintassi che traduce perfettamente la visione del mondo pascoliana, una visione “fanciullesca”, che mira a rendere il mistero, l’alone che circonda le cose e a scendere nel profondo dell’essenza e quindi svaluta i rapporti gerarchici tradizionali. La conseguenza è che gli oggetti più quotidiani e comuni, visti attraverso quest’ottica, appaiono come immersi in un’atmosfera visionaria o di sogno. IL LESSICO Pascoli mescola tra loro codici linguistici diversi, allinea fianco a fianco termini tratti dai settori più disparati. Il poeta vuole abolire la “lotta” fra le classi di oggetti e di parole. Troviamo quindi termini preziosi e aulici, della lingua dotta, o ricavati dai modelli antichi, termini gergali e dialettali, una minuziosa e precisa terminologia botanica e ornitologica, termini dimessi e quotidiani del parlato colloquiale, parole provenienti da lingue straniere, dove spesso ricorrono espressioni inglesi o un inglese italianizzato. GLI ASPETTI FONICI Grande rilievo hanno poi, gli aspetti fonici, cioè i suoni che compongono le parole. Sono in prevalenza riproduzioni onomatopeiche di diversi uccelli o suoni di campane, non a caso i suoni che in Pascoli si caricano di più intenso valore simbolico, assumendo come un senso oracolare, di comunicazione di arcani messaggi. Queste onomatopee indicano un’esigenza di aderire immediatamente all’oggetto, di penetrare nella sua essenza segreta evitando le mediazioni logiche del pensiero e della parola codificata. Al di là delle vere e proprie onomatopee, costantemente i suoni usati da Pascoli possiedono un valore fonosimbolico, tendono ad assumere un significato per sé stessi, senza rimandare al significato della parola. Allo stesso fine occorrono assonanze ed allitterazioni. LA METRICA La metrica pascoliana è apparentemente tradizionale, nel senso che impiega i versi più consueti della poesia italiana, endecasillabi, decasillabi, novenari, settenari ecc., e gli schemi di rime e le strofe più usuali. Con il gioco degli accenti Pascoli sperimenta cadenze ritmiche inedite, anche il verso è di regola frantumato al suo interno, interrotto da numerose pause, segnate dall’interpunzione, da incisi, puntini di sospensione. La frantumazione del discorso è accentuata dal frequentissimo uso degli enjamblements, che spezzano sintagmi strettamente uniti. LE FIGURE RETORICHE Al livello delle figure retoriche, Pascoli usa largamente il linguaggio analogico. Il meccanismo è quello della metafora. Ma l’analogia pascoliana accosta in modo impensato e sorprendente due realtà tra loro remote, eliminando per di più i passaggi logici intermedi e identificando immediatamente gli estremi, costringendo così ad un volo vertiginoso dell’immaginazione. Un procedimento affine all’analogia, è la sinestesia, che possiede un’intensa carica allusiva e suggestiva, fondendo insieme, diversi ordini e sensazioni. LE RACCOLTE POETICHE I componimenti pascoliana, spesso comparsi su periodici o riviste,i furono raccolti dal poeta in una serie di volumi, pubblicati tra il 1891 e il 1911. Il loro ordine di uscita non coincide con quello della composizione dei testi singoli. Nel corso degli anni Novanta Pascoli lavora contemporaneamente a vari generi poetici, affronta temi diversi, con soluzioni formali anche lontane fra loro: le poesie nate nello stesso periodo confluiranno poi in raccolte che usciranno scaglionate nell’arco di almeno 15 anni, in Myricae, nei Poemetti, nei Canti di Castelvecchio. La distribuzione nelle varie raccolte obbedisce a ragioni formali, di natura stilistica e metrica. Nelle successive edizioni le raccolte si arricchiscono di nuovi testi oppure presentano rielaborazioni profonde dei testi più antichi. Sono riconoscibili arricchimenti e approfondimenti di temi, mutamenti di soluzioni stilistiche nel corso del tempo, ma svolte veramente radicali, che possano legittimamente far parlare di fasi diverse e distinte, non possono essere individuate. MYRICAE Pascoli cominciò a pubblicare le sue poesie nel corso degli anni Ottanta, su riviste o edizioni per nozze. La prima raccolta vera e propria, Myricae, uscita nel 1891, contenente 22 poesie dedicate alle nozze di amici. Il volume si ampliò già nella seconda edizione del 1892, che conteneva 72 componimenti, ma cominciò ad assumere la sua fisionomia definitiva solo a partire dalla quarta, nel 1897, in cui i testi salivano a 116. Il titolo è una citazione virgiliana, tratta dall’inizio della IV Bucolica, in cui il poeta latino proclama l’intenzione di innalzare un poco il tono del suo canto; Pascoli assume invece le umili piante proprio come simbolo delle piccole cose che egli vuole porre al centro della sua poesia. Si tratta in prevalenza di componimenti molto brevi, che all’apparenza si presentano come quadretti di vita campestre. Ma in realtà i particolari su cui il poeta fissa la sua attenzione non sono dati oggettivi, ma si caricano di sensi misteriosi e suggestivi. Spesso le atmosfere che avvolgono queste realtà evocano l’idea della morte ed uno dei temi più presenti nella raccolta è il ritorno dei morti familiari. Pascoli delinea quindi quel romanzo familiare che è il nucleo doloroso della sua visione del reale. Compaiono poi quelle soluzioni formali che costituiscono la profonda originalità della poesia pascoliana: l’insistenza sulle onomatopee, il valore simbolico dei suoni, l’uso di un ardito linguaggio analogico, la sintassi frantumata. Pascoli sperimenta anche una varietà di combinazioni metriche inedite, utilizzando in genere versi bravi, in particolare il novenario. L’ASSIUOLO da Myricae La lirica fu pubblicata su Marzocco nel 1897, poi fu raccolta nella quarta edizione di Myricae. L’assiuolo è un piccolo uccello rapace notturno che emette un verso monotono e malinconico, che sembra un lamento e che Pascoli rende con l’onomatopea “chiù”. La poesia è divisa in doppie quartine di novenari con rime alternate: abab, cdcd; l’ultimo verso di ogni strofa è il richiamo monosillabico dell’assiuolo. La poesia è la descrizione di un notturno lunare, reso attraverso una serie di sensazioni visive e uditive, ma si rivela immerso in un’atmosfera arcana, gravida di sensi suggestivi. Tutt’e tre le strofe si strutturano secondo un analogo schema: la prima quartina propone immagini di quiete, serena e di pace, mentre nella seconda si delineano immagini più inquietanti: un’atmosfera iniziale incantata e sospesa si converte poi in un motivo di angoscia, di dolore e di morte, che si materializza nel verso lugubre dell’assiuolo. All’inizio della prima strofa viene colto il momento in cui sta per sorgere la luna; il cielo è invaso da un chiarore perlaceo, ma l’astro non è ancora apparso. La natura è protesa è protesa nell’aspettazione della sua comparsa dinnanzi ad un’apparizione che sembra possedere una magica funzione rasserenante e purificatrice, a cui allude sia la nota di biancore, sia l’idea di nascita. A contrasto con questa calma pienezza, nella seconda parte della strofa si delinea un’immagine inquietante, di vaga e imprecisata minaccia: il “nero” delle nubi, che si profilano in una lontananza remota e indeterminata (“laggiù”), si contrappone al biancore perlaceo dell’alba lunare ed ancora più inquietanti sono i silenziosi lampi di calore che da esse scaturiscono, per cui l’impressione visiva di luce è assimilata a quella tattile del soffio. Il negativo implicito nelle notazioni visive si precisa nel verso dell’assiuolo che viene da uno spazio indefinito, nella notte. La voce degli uccelli, in Pascoli, ha il valore di un messaggio arcano, pieno di sensi simbolici. All’inizio della seconda strofa si presentano immagini quiete e serene, le stelle che rilucono nel chiarore diffuso, il rumore del mare, il rumore indistinto che proviene dalle fratte introduce già una nota più misteriosa e segna il passaggio al clima della seconda quartina: al guizzo dell’imprecisato essere tra la vegetazione risponde il “sussulto” nel cuore del poeta al sorgere di un’eco di dolore. Il “grido” che risuona nell’interiorità dell’io lirico è ripreso dal verso dell’assiuolo. All’inizio della terza strofa ritorna l’immagine della luce lunare, che colpisce le cime degli alberi, ma si inseriscono notazioni più negative, il “sospiro” del vento, il suono delle cavallette. Il “fru fru fra le fratte” indica un messaggio misterioso. L’incertezza e l’ambiguità sono di nuovo sottolineate da una domanda, che ipotizza il valore simbolico di quel suono. Si comprende la vaga angoscia che pervade tutte le sensazioni del notturno lunare: è l’angoscia della morte che non consente la rinascita della vita, non permette il ritorno dei cari scomparsi. In chiusura della strofa e della poesia il verso dell’assiuolo si concreta in un “pianto di morte”. L’atmosfera inquietante che pervade tutto il componimento assume nella sua conclusione una fisionomia più precisa: evocato dai rumori misteriosi della notte e dal grido lontano dell’assiuolo, riaffiora alla memoria del poeta il pensiero della sua tragedia personale, dei lutti che hanno funestato la sua vita, l’idea dei suoi morti che non possono più tornare, della morte che incombe anche su di lui. Tutto ciò è alluso attraverso una rete di immagini indefinitamente suggestive ed è questo che costituisce il fascino incomparabile della poesia. L’atmosfera indefinita e magica si riflette in una serie di espressioni dal carattere suggestivamente analogico: “alba di perla”, “soffi di lampi”, “nero di nubi”. Per capire il funzionamento del linguaggio analogico vi è implicita tutta una serie di paragoni. L’effetto è una maggior densità del linguaggio poetico: la cancellazione dei passaggi logico- discorsivi accresce la sua forza suggestiva, che sembra alludere a segreti legami tra le cose, inattingibili ad una visione puramente razionale. All’effetto suggestivo del linguaggio analogico si associa ancora il simbolismo fonico: l’allitterazione “frufru tra le fratte”, accresce il carattere misterioso e inquietante dell’immagine indeterminata. La poesia è un affollarsi di sensazioni, in cui si delinea qualcosa di misteriosamente angoscioso: il processo è reso attraverso una struttura verbale prevalentemente anaforica, che dà appunto l’idea di un affollarsi ripetitivo, incalzante. Si noti la collocazione dei verbi tutti all’inizio del verso. Su 24 versi 12 iniziano col verso. L’effetto è ribadito dalla costruzione sintattica, fondata sulla paratassi: si ha l’allinearsi in parallelo di brevi membri tra loro coordinati, quasi tutti collegati per asindeto, cioè senza congiunzione. Il reale si frantuma in impressioni isolate e il legame che le unisce non è logico ma analogico, simbolico, allusivo e segreto. IL GELSOMINO NOTTURNO dai Canti di Castelvecchio La poesia fu composta per le nozze dell’amico Gabriele Briganti e fu raccolti nei Canti di Castelvecchio nel 1904. La poesia è composta da quartine di novenari a rime alternate: abab. A una prima lettura il componimento sembra una serie di notazioni impressionistiche che non hanno fra loro legami, se non quello di creare una suggestiva atmosfera notturna. Il componimento è dedicato alle nozze dell’amico Gabriele Briganti ed evoca, in termini simbolici e allusivi, la prima notte di nozze, in cui è stato concepito il piccolo Dante. Si chiariscono le immagini riferentisi alla casa che sola “bisbiglia” nel silenzio della notte, al lume che splende nella sala e che poi si spegne: esse rivelano il vagheggiamento del rito di fecondazione che si svolge nella casa nuziale e da cui deve nascere la nuova vita. Assume anche significato l’immagine del fiore che apre il suo calice al calar della sera e per tutta la notte esala il suo profumo: il fiore si schiude anch’esso per il processo di fecondazione, quindi l’immagine vegetale è allusiva all’altro rito, quello che si svolge nel mondo umano. L’aprirsi della corolla e l’esalare del profumo appaiono come un invito all’amore, con l’insistere sulle intense sensazioni olfattive e cromatiche: il colore rosso, che allude ad un’accesa sensualità, si fonde con il profumo dolce e invitante che ricorda le fragole. Ma all’alba, compiuta la fecondazione, i petali dei fiori si chiudono “un poco gualciti”. Il rito amoroso è trepidante ma anche turbato: Pascoli non può concepire il rapporto sessuale e lo vede come violenza inferta sulla carne. Quello di Pascoli non è un inno alla fecondità. La contemplazione del rito avviene da parte di chi è escluso. Il punto di osservazione si colloca all’esterno della casa, dove avviene il rapporto amoroso, una distanza incolmabile separa l’osservatore dall’oggetto, come indica la ripetizione insistita dell’avverbio di luogo “là”: il poeta vuole celebrare la fecondazione, ma sa che non può personalmente avere il suo “nido”, coi suoi “quattro rondinotti”, che non può essere il sereno e appagato pater familias. È l’“ape tardiva” che è rimasta esclusa dall’alveare e si aggira nella sua desolata solitudine. Si chiarisce allora il significato delle immagini mortuarie che si alternano in immediata contiguità con quelle del fiore che invita all’amore. La tragedia familiare che ha distrutto il “nido” ha bloccato il poeta alla condizione psicologica infantile, lo ha tenuto prigioniero del “nido” ormai impossibile, impedendogli di uscirne. In luogo del legame adulto e maturo col mondo esterno, ossia la donna, si instaura il legame viscerale, ossessivo con i morti, che continuano a vivere come lugubri presenze fantasmatiche coi superstiti del “nido” costruito dal poeta insieme con la sorella. La fedeltà ai morti gli impedisce di uscire da quel cerchio chiuso, geloso, protettivo, ma anche soffocante di rispondere al richiamo dell’amore: quando i fiori si aprono in un invito sensuale, egli pensa ai suoi cari. Legarsi alla donna, generare, sarebbe un tradimento ad un vincolo sentito come sacro, inviolabile. Si chiarisce in tal modo l’ordine delle immagini che si alternano con quelle della casa, del fiore, dei morti, quelle appunto che si riferiscono al “nido”. Esse riproducono tutte l’immagine chiusa, gelosa, rassicurante del nido originario, quello andato perduto e che deve essere ricostituito dai superstiti, quello dove i piccoli sono protetti dal calore dei grandi, in cui vi sono solo i rapporti affettivi tra genitori e figli. Si crea dunque una contrapposizione tra queste immagini del “nido” e quella della casa in cui avviene il rito d’amore della notte nuziale. Il quadro notturno che sembra così idillico e armonico è dunque percorso da segrete tensioni. Esse prendono forma nel sistema delle opposizioni strutturali che legano i quattro nuclei della poesia: 1. i fiori che si aprono in un’offerta d’amore, 2. la casa in cui si consuma il rito della fecondazione, 3. la presenza inibitrice dei morti, 4. il “nido” geloso che esclude dalla vita adulta di relazione e rappresenta la regressione infantile. Il riferimento ai traumi individuali è indispensabile per capire la poesia, perché essi sono materiali di cui il poeta si serve. Proprio quella psicologia è il punto d’avvio e la condizione indispensabile di una straordinaria avventura conoscitiva nelle zone più segrete e oscure della realtà e di un altrettanto straordinaria avventura poetica, che approda alla costruzione di un messaggio di sottile, affascinante suggestione. Il componimento è uno dei grandi esempi del simbolismo pascoliano. Anche qui vi è una magica notte, pullulante di esistenze, di movimenti, di eventi.
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