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Giovanni Pascoli: vita, visione del mondo, poetica e l'opera Myricae, Appunti di Italiano

Pascoli: vita, visione del mondo, poetica, tecnica e opere. Analisi delle poesie: "X Agosto", "L'assiuolo", "Temporale", "Novembre, "Lampo", "Lavandare"

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 10/01/2021

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Scarica Giovanni Pascoli: vita, visione del mondo, poetica e l'opera Myricae e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! PASCOLI Giovanni Pascoli nasce nel 1855 nella provincia di Forlì, quarto di dieci fratelli. La sua infanzia fu segnata dall’assassinio del padre il 10 agosto 1867, che verrà impunito e cercherà personalmente i colpevoli e il motivo, ma invano. Morti anche due fratelli e la madre, lascia il collegio di Urbino e si trasferisce a Rimini per occuparsi degli altri fratelli. Dopo aver vinto una borsa di studio all’università di Bologna, partecipa a una manifestazione contro il Ministro della pubblica istruzione, che provocherà la perdita della borsa e quindi abbandonerà gli studi. Dopo aver partecipato ad un’altra manifestazione nel 1879, passa alcuni mesi in carcere a Bologna. Poi riprenderà gli studi e si laureerà in letteratura greca nel 1882. dopo la morte del fratello maggiore, diventa il capofamiglia e punta alla costruzione del nido famigliare. Si stabilisce a Massa con le due sorelle Ida e Maria, per le quali nutrirà una gelosia morbosa, tanto che andrà ad abitare a Castelvecchio con Maria, la quale, dopo la morte di Pascoli, diventerà la curatrice degli inediti e l’erede letteraria. Mentre insegna in diversi licei pubblica Myricae, Poemetti, Canti di Castelvecchio. Nella prima raccolta ricordiamo alcune poesie quali: La mia sera,  Novembre, Lavandare, X Agosto ed Arano. Prende la cattedra di Carducci a Bologna, suo maestro. Muore nel 1912. Pascoli trascorre una vita apparentemente tranquilla, dedita allo studio, alla poesia e agli affetti della famiglia. In realtà la sua esistenza fu profondamente segnata dall’uccisione del padre e della perdita di quasi tutti gli altri familiari, traumi che lo spinsero a instaurare un legame morboso con le due sorella rimastigli e gli impedirono di realizzarsi pienamente nella vita di relazione,  esterna al “nido” domestico. Questa condizione di fragilità psicologica costituisce il punto di partenza della sua poesia, che sotto l’apparente candore fanciullesco cela una sensibilità tormentata e tipicamente decadente. Inizialmente il giudizio sul poeta fu negativo, a causa proprio del giudizio di D'Annunzio che ha avuto un certo peso nei primi decenni del 900'; Pascoli era visto inizialmente come il poeta delle "piccole cose". Successivamente fu rivalutato come un grande poeta simbolista. LA VISIONE DEL MONDO La formazione di Pascoli fu positivistica; tale matrice è ravvisabile nell’ossessiva precisione con cui, nei suoi versi, egli usa la nomenclatura ornitologica e botanica (seppur permettono anch'essi di scoprire l'essenza segreta delle cose), e di impianto positivisti o sono spesso i protagonisti di tanti suoi componimenti poetici.  Ma in Pascoli si riflette quella crisi della scienza che caratterizza la cultura di fine secolo, segnata dall’esaurirsi del Positivismo e dall’affermarsi di tendenze spiritualistiche e idealistiche. Anche in lui insorge una sfiducia nella scienza come strumento di conoscenza, dunque come molti altri intellettuali del tempo, si apre l’ignoto, il mistero, l’inconoscibile, verso cui l’uomo si protende ansioso di conoscere. Questa tensione verso ciò che trascende il dato sensibile in Pascoli non si concentra in una fede religiosa positiva. Il fascino esercitato dal cristianesimo resta sempre nei limiti del messaggio morale di fraternità e non giunge mai alla sfera teologica.  Alla crisi del Positivismo segue una visione di un mondo che appare frantumato e disgregato e dunque privo di qualsiasi forma di ordine fra gli oggetti.  Non esistono dunque gerarchie d’ordine fra gli oggetti: il piccolo si mescola a ciò che è grande, il minimo, che è apparentemente trascurabile, può essere ingigantito e viceversa. Tutte le cose che descrive sono fenomeniche, ma nascondono dietro altri aspetti. Gli oggetti materiali hanno un ruolo importante nella poesia pascoliana, ma questi vengono filtrati attraverso la visione soggettiva del poeta e in tal modo si caricano di valore simbolico,  rimandando sempre a qualcosa che è al di là di essi.  A questa soggettivazione del reale può accostarsi senza contraddizioni una percezione visionaria, onirica: il mondo è visto attraverso il velo del sogno e perde ogni consistenza oggettiva. La conoscenza del mondo avviene così, attraverso strumenti comunicativi non razionali. La sfera dell’io si confonde con quella della realtà oggettiva, le cose si caricano di significati umani. Si instaurano così legami segreti tra le cose, che possono essere colti solo attraverso l’abbandono delle convinzioni della visione corrente, logica e positiva. LA POETICA Nel saggio “Il fanciullino”, pubblicato nel 1897, traspare perfettamente la sua visione del mondo. L’idea centrale è che il poeta coincide col fanciullo che sopravvive al fondo di ogni uomo: un fanciullo che vede tutte le cose “come per la prima volta”, con ingenuo stupore e meraviglia. In tutto ciò la poesia pascoliana è lo strumento che ci fa sprofondare immediatamente nell’abisso della verità, saltando il processo del ragionamento logico e della ricerca scientifica. Il fanciullino scopre dunque somiglianze e relazioni più ingegnose presenti nella realtà, scoprendo una rete di simboli che sfugge alla percezione immediata plagiata dalle convenzioni sociali. Il poeta appare come un veggente dotato di una vista più acuta di quella degli uomini comuni, colui che per un oscuro privilegio può spingere lo sguardo oltre le apparenze sensibili, tingere all’ignoto ed esplorare il mistero.  Emerge così la concezione della poesia “pura”, cioè una poesia che non deve avere fini estrinseci, pratici, morali. E’ infatti una poesia assolutamente spontanea e disinteressata che non si propone obiettivi civili, morali, pedagogici e propagandistici. Il fanciullino induce alla bontà, alla fratellanza e all’amore, placano gli odi e gli impulsi violenti, e quel desiderio di accrescere i propri interessi che spinge gli uomini a sopraffarsi a vicenda. L’ideale della fratellanza sociale si traduce, sul versante dello stile, nella scelta di dare spazio e dignità letteraria anche a quelle realtà umili che il classicismo aristocratico aveva sempre ripudiato.  Ricchi di poesia per lui non sono solo gli argomenti elevati e sublimi, ma anche quelli più umili e dimessi. La poesia è anche nelle piccole cose, che hanno una dignità non minore di quelle  auliche. Pascoli si propone sia come cantore delle realtà umili e dimesse (in particolare il mondo contadino), sia come celebratore delle glorie naziona. Il "Fanciullino" e il "Superuomo": due miti complementari protesta contro le ingiustizie risalivano ad un clima ancora romantico, ma avevano anche più concrete motivazioni sociali, quali le inquietudini di un gruppo che si sentiva minacciato nella sua identità dall'avanzata della civiltà industriale moderna. A ciò si univa il risentimento e la frustrazione per i processi di declassazione da cui gli intellettuali erano particolarmente colpiti.   L’adesione di Pascoli al socialismo lo fece scontrare con la repressione poliziesca. Arrestato per una manifestazione antigovernativa, il giovane studente venne tenuto mesi in carcere e  processato. Fu per lui un'esperienza terribile: quando uscì assolto dal processo, abbandonò  definitivamente ogni forma di militanza attiva .  Tale distacco non avvenne solo dopo l'esperienza del carcere ma anche dopo che il socialismo romagnolo si accostò all’ideologia marxista. Il socialismo marxista si fondava sul concetto di lotta di classe, sullo scontro violento, rivoluzionario tra capitalismi e proletariato, con il trionfo di quest’ultimo. Egli abbracciò allora una generica fede umanitaria, nutrita di morale evangelica. Socialismo per lui era un appello alla bontà, all'amore, alla fraternità, alla solidarietà fra gli uomini. Alla base vi era un radicale pessimismo, la convinzione che la vita umana non è che dolore e sofferenza. Quest’ultima però, secondo Pascoli, ha un valore morale poichè purifica ed eleva. Per questo, pur dinanzi ai soprusi e alle ingiustizie, non bisogna abbandonarsi al desiderio di vendetta: il dolore, perfezionando il nostro animo, deve insegnare il perdono.   Egli non auspica più un cambiamento radicale dell'assetto sociale, ma un utopica armonia tra le classi. A questo fine era necessario evitare la bramosia di ascesa sociale, che poteva generare  scontri e sopraffazioni. Di fronte all’affermazione di un capitalismo cinico e aggressivo, egli idealizza in particolare la classe dei piccoli proprietari terrieri, baluardo dei valori fondamentali come la famiglia, la solidarietà, la laboriosità.  Il fondamento dell’ideologia di Pascoli è la celebrazione del nucleo familiare, cementato dai  dolori, dai legami di sangue e dagli affetti. Ma nella celebrazione del nucleo familiare come  “nido” chiuso ed esclusivo, Pascoli arriva a inglobare l'intera nazione ed è qui che trae origine il suo nazionalismo. Per questo egli sente con tanta partecipazione il dramma dell'emigrazione e non esita a giustificare le guerre condotte dalle nazioni proletarie (come l’Italia) per le conquiste  coloniali, che possano dar terra e lavoro ai diseredati. Sulla base di questi principi, nel 1911 Pascoli celebra la guerra in Libia come un momento di riscatto della nazione italiana.   --->Pascoli fonde insieme socialismo umanitario + nazionalismo colonialistico. I TEMI DELLA POESIA PASCOLIANA La poesia pascoliana rivela una sensibilità squisitamente decadente. Tuttavia Pascoli è l’esatto contrario del poeta “maledetto”, che ostenta atteggiamenti provocatori, di rottura totale nei confronti dei suoi valori. Pascoli incarna esemplarmente l’immagine dell’uomo comune, appagato dalla sua modesta vita. Una parte cospicua della sua poesia ha intenti pedagogici, morali e civili ed è destinata alla celebrazione del piccolo proprietario rurale. Vi è quindi l’invito ad accontentarsi del poco e l'ideale utopistico di una società senza conflitti tra le varie classi sociali, in un clima di cooperazione e di concordia fraterna (umanità affratellata) → la solidarietà fornisce una consolazione al male di vivere. Pascoli oltre ad essere il cantore della vita comune, può allargare la sua predicazione a temi più vasti, che investono l'umanità intera. Per questo può anche assumere la funzione del poeta ufficiale, del poeta “vate”, che canta le glorie della patria.   Decisamente più interessante è il Pascoli inquieto, tormentato, visionario, che ben si inserisce nel panorama del contemporaneo Decadentismo europeo. E’ il Pascoli che proietta nella poesia le sue ossessioni profonde, portando alla luce i mostri, le zona scure e torbide della psiche. Si delinea un grandissimo poeta dell'irrazionale, capace di raggiungere, nell'esplorazione di questa zona inedita ed affascinante della realtà, profondità inedite. In questo, Pascoli e ben più radicale di D'annunzio, le cui intuizioni geniali sono spesso soffocate dal peso degli intenti ideologici e propagandistici, dal bisogno di compiacere i gusti del mercato. Le due figure del Pascoli sono strettamente collegate: la consapevolezza dei processi contemporanei dei conflitti imperialistici delle potenze, che minacciano una prossima apocalisse bellica e il pericolo dell’instaurarsi dei regimi totalitari, suscitano nel poeta paure che lacerano la coscienza della modernità e fanno affiorare i “mostri” nascosti nel profondo. Chiudersi entro i confini ristretti del “nido”, assume la funzionalità di neutralizzare ciò che il poeta avverte oscuramente muoversi al fondo della sua anima. Pascoli sa inoltre analizzare tale buio, lasciandolo affiorare in tutta la sua forza dirompente in alcuni dei suoi componimenti. LE SOLUZIONI FORMALI •La sintassi La sintassi di Pascoli si distacca da quella tradizionale italiana. Nei suoi testi prevale la coordinazione, la struttura sintattica si frantuma in serie paratattiche di brevi frasi allineate senza rapporti gerarchici tra di loro, collegate spesso non da congiunzioni ma per asindeto; di frequente uso sono le frasi ellittiche in cui manca il soggetto o il verbo, quindi conseguentemente assumono la forma dello stile nominale. La frantumazione pascoliana rifiuta la rigorosa rete di rapporti logici, il prevalere della sensazione immediata, dell’intuizione, dei rapporti analogici, allusivi, suggestivi, che indicano una trama di segrete corrispondenze tra le cose, al di là del visibile. In tale sintassi si rispecchia perfettamente la visione fanciullesca del mondo. Fra le caratteristiche più tipiche della sua letteratura è il relativismo: gli oggetti quotidiani e comuni appaiono in un’atmosfera visionaria o di sogno, e, non essendovi più gerarchie, spariscono i punti di riferimento esterni e oggettivi. •Il lessico   A caratterizzare il lessico è la mescolanza di codici linguistici diversi, allinea fianco a fianco termini tratti da settori più disparati. Paradossalmente non nascono scontri di registri: come le cose convivono senza gerarchie così avviene delle parole che le designano. In ciò si rispecchia il principio formulato nel Fanciullino: il poeta come vuole abolire la lotta fra le classi sociali, così vuole abolire la lotta fra le classi di oggetti e di parole. Troviamo quindi nei suoi testi: termini preziosi e aulici, provenienti dalla lingua dotta, o ricavati dai modelli antichi (es: epiteti e formule omeriche); termini gergali e dialettali estrapolati dalla realtà campestre; una minuziosa terminologia botanica e ornitologica; termini dimessi e quotidiani del parlato colloquiale; parole provenienti da lingue straniere; il gusto per i nomi propri e antichi.  •Gli aspetti fonici L’autore si differenzia anche sul piano fonico. Sono in prevalenza le riproduzioni onomatopeiche, di versi di uccelli o suoni di campane, che si caricano di più intenso valore simbolico assumendo come un senso oracolare. Tali onomatopee indicano l’esigenza di aderire immediatamente all’oggetto, di penetrare nella sua essenza segreta evitando le mediazioni logiche del pensiero e della parola codificata. Al di sotto delle vere e proprie onomatopee si scorge il valore fonosimbolico: i suoni tendono ad assumere un significato di per se stessi senza rimandare al significato della parola. Tra questi suoni si crea una trama sotterranea di echi e rimandi, che viene a costituire la vera architettura del testo e che dunque rimpiazza le strutture logico-sintattiche. Con stesso fine sono utilizzate le assonanze e le allitterazioni. •La metrica La metrica è apparentemente tradizionale. Ritroviamo infatti l’utilizzo di endecasillabi, decasillabi, novenari, settenari ecc., rime baciate, alternate, incatenate e così via. In realtà tali caratteristiche sono piegate dal poeta in direzioni personalissime, con il gioco degli accenti Pascoli sperimenta cadenze ritmiche e inedite. Anche il verso è di regola frantumato, interrotto da numerose pause, da incisi, parentesi e puntini di sospensione- Tale frantumazione è accentuata dal frequente uso degli enjambements, che spezzano i sintagmi strettamente uniti, come soggetto-verbo, aggettivo- sostantivo. •Le figure retoriche Caratteristico delle figure retoriche è il linguaggio analogico. Fra le più utilizzate troviamo la metafora, la sostituzione del termine proprio con uno figurato, che ha con il primo un rapporto di somiglianza. Nel Pascoli tale rapporto non è però facilmente riconoscibile. Egli infatti accosta in modo impensato e sorprendente due realtà tra loro differenti, eliminando per di più tutti i passaggi logici intermedi, costringendo così ad un volo vertiginoso dell’immaginazione. Altra figura retorica caratteristica è la sinestesia, che possiede un’intensa carica allusiva e suggestiva, fondendo insieme diversi ordini di sensazioni. Il carattere allusivo del Pascoli punta sempre più a una maggiore indefinitezza, arrivando quasi al limite dell’enigmatico e del cifrato. Myricae (1891) La prima raccolta fu Myricae, uscita nel 1891, contenente 22 poesie dedicate alle nozze di amici. Il volume cominciò ad assumere la sua fisionomia definitiva solo a partire dalla quarta edizione, del 1897, in cui vi erano 116 testi. Il titolo è una citazione virgiliana, tratta dall’inizio della IV bucolica, in cui il poeta proclama di voler elevare il tono della narrazione. Pascoli assume invece le umili piante proprio come simbolo delle piccole cose che vuole porre al centro della poesia. Si tratta in prevalenza di componimenti molto brevi, che all'apparenza si presentano come quadretti di vita campestre. Ma in realtà i particolari su cui il poeta fissa la sua attenzione non sono non sono dati oggettivi, ma si caricano di sensi misteriosi e suggestivi, sembrano alludere ad una realtà ignota. Spesso le atmosfere che avvolgono queste realtà La poesia è la descrizione di un notturno lunare, ma come sempre il quadro  apparentemente impressionistico si rivela immerso in un’atmosfera arcana, gravida di sensi  suggestivi: la prima quartina propone immagini quiete; nella seconda invece iniziano a delinearsi immagini inquietanti che sfocia nella terza strofa dove predomina un motivo di dolore e angoscia.  LA PRIMA STROFA: all’inizio della prima strofa viene colto un momento fuggevole, il momento in cui sta per sorgere la luna; il cielo è invaso da un chiarore perlaceo, ma l’astro non è ancora apparso. La natura è protesa nell’aspettazione della sua comparsa (il mandorlo e il melo si ergono per meglio vederla), come dinanzi ad un’apparizione divina. A contrasto con questa calma pienezza, nella seconda parte della strofa si delinea un’immagine inquietante, il “nero” delle nubi, che si profilano in lontananza, ed ancora più inquietanti sono i silenziosi lampi. Il negativo implicito nelle notazioni visive si precisa poi nel verso dell’assiuolo. La voce dell’uccello, in questo caso, non nasconde un messaggio gioioso e sereno, ma, col suo tono malinconico e misterioso e il risuonare nelle tenebre notturne, ha qualcosa di lugubre, di vagamente funebre.  LA SECONDA STROFA: L’inizio della seconda strofa si apre con immagini serene come quella delle stelle, il rumore del mare associato a immagini rilassanti. Il rumore indistinto che proviene dalle fratte introduce già una nota più misteriosa e segna il passaggio al clima della seconda quartina: succede infatti il “sussulto” del cuore del poeta al sorgere di un’eco di dolore. Il “grido” che risuona nell’interiorità è ripreso dalla voce dell’uccello.  LA TERZA STROFA: All’inizio della terza strofa ritorna l’immagine della luce lunare, ma poi subito si inseriscono notazioni più negative, il “sospiro” del vento che trema, i “sistri” delle cavallette, il “fru fru tra le fratte”. L’incertezza è di nuovo sottolineata dalle “invisibili porte” che forse non si riapriranno più. Questi sono i simboli che prefigurano l’angoscia della morte che non consente la rinascita della vita. A conferma del valore simbolico dei “sistri” delle cavallette e delle “invisibili porte”, in chiusura di strofa e della poesia il verso dell’assiuolo si concreta in un “pianto di morte”; riaffiora alla memoria del poeta il pensiero della sua tragedia personale, dei lutti che hanno funestato la sua vita. Ma tutto ciò non è detto esplicitamente, in un discorso logicamente strutturato: è alluso attraverso una rete di immagini indefinitamente suggestive. Temporale, Myricae Un bubbolìo lontano... Rosseggia l'orizzonte, come affocato, a mare: nero di pece, a monte, stracci di nubi chiare: tra il nero un casolare: un'ala di gabbiano. Questo componimento a prima vista è un quadretto impressionistico, tracciato da una serie di rapide notazioni uditive e visive. Il termine bubblìio, utilizzato da Pascoli ha un valore  onomatopeico, ma è evidente come questa non miri alla riproduzione del dato oggettivo; è una forma di espressione prelinguistica che si carica di valore evocativo e suggestivo. Il dato materiale assume indefinite valenze simboliche, sembra alludere a qualcosa di minaccioso, accentuato dal senso di indeterminata lontananza spaziale.  Seguono poi “rosseggia, affocato, nero di pece, tra il nero”, tutte notazioni visive che sembrano intense pennellate di colore. Queste si collocano tutte all’inizio o alla fine del verso. Sullo sfondo nero delle nubi temporalesche spicca la nota bianca del casolare a cui, con ardito, si associa l’immagine dell’ “ala di gabbiano”. Tra il casolare e l’ala di gabbiano vi è un rapporto di somiglianza, dovuto al colore bianco e al fatto che entrambi si tagliano sul cielo, l’analogia accosta due oggetti fra loro remoti, bruciando tutti i passaggi logici intermedi, costringendo ad un volo dell’immaginazione. Il secondo termine è accostato al primo semplicemente come forma appositiva. E’ un discorso che punta sul non detto, arrivando al limite dell’enigmaticità. Novembre, Myricae La poesia inizialmente fu pubblicata nel 1891 su “Vita Nuova”, mai poi venne inclusa nella prima edizione di “Myricae”.   Gèmmea l'aria, il sole così chiaro che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, e del prunalbo l'odorino amaro senti nel cuore... Ma secco è il pruno, e le stecchite piante di nere trame segnano il sereno, e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante sembra il terreno. Silenzio, intorno: solo, alle ventate, odi lontano, da giardini ed orti, di foglie un cader fragile. È l'estate, fredda, dei morti. In apertura si ha apparentemente un quadretto di natura, con immagini nitide e vivide e colto con notazioni visive ed olfattive. Ma in realtà quel paesaggio primaverile si colloca in un’altra dimensione: il reale non è quello che appare; la primavera è solo illusoria, il tutto è solo frutto dell’immaginazione. Si conferma così subito come la poesia di Pascoli sia evocativa ed illusionistica, non si fermi mai al dato fisico, oggettivo, ma rimandi sempre a un “di là” delle cose.  Apparentemente in contrasto con questo carattere illusorio è la nomenclatura botanica, tipica della poesia pascoliana.   Nella seconda strofa si inserisce una nuova dimensione: all’ illusoria primavera subentra la reale stagione autunnale. Tornano immagini fortemente visive, ma anche questo quadro di natura, che dovrebbe restituire il vero volto della realtà contro l’illusione, non è realistico; anche qui si sovrappone un’altra dimensione: dietro il paesaggio si designa l’immagine simbolica della morte. Immagini di morte sono, ad esempio, il silenzio che apre l’ultima strofa ed il rumore delle foglie secche che cadono.   Questo quadretto, quindi, cela un sistema complesso di significati che rivelano una sensibilità tormentata, torbida e complicata, una visione del mondo angosciata e stravolta. Il Male è un tema ulteriore. Esso è dovuto alla malvagità degli uomini stessi. Sono essi che procurano i più grandi dolori a se stessi, con la loro violenza animalesca, con la perfidia, con l’ingiustizia sociale. Ma il Male finisce poi per diventare entità astratta opposto alla natura di Dio stesso. Di fronte alla violenza degli uomini il poeta però si rifugia nella legge cristiana del perdono. La natura è concepita da Pascoli come una presenza misteriosa e complessa che il poeta deve interpretare attivando l'immaginazione. Inoltre, condividendo le posizioni antipositiviste e negando l'idea che la scienza abbia portato la felicità, Pascoli crede che la società industriale soffochi l'uomo condizionandolo pesantemente. Per questo contrappone la società alla Natura, alla campagna Lampo, Myricae E cielo e terra si mostrò qual era: la terra ansante, livida, in sussulto; il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto      una casa apparì sparì d'un tratto; come un occhio, che,largo,esterrefatto, s'aprì si chiuse, nella notte nera. In questa poesia Pascoli parla di un lampo che rompe il silenzio e la notte con una luce violenta tale che mette a nudo la vera realtà del mondo: la sua tragicità e il caos che la contraddistingue. La sua stessa casa è scossa dalla forza del lampo e, agli occhi del Pascoli, perde almeno in parte la sicurezza e il senso di protezione che aveva fino ad un momento prima anche se rimane connotata positivamente dal colore bianco in antitesi con il nero circostante. Ed in questa situazione d’angoscia e paura Pascoli sente la sua vita in bilico tra il voler restare in un “nido” ormai distrutto e l’affrontare una vita piena d’inganni. In questa poesia viene descritta la casa attraverso il colore bianco, per segnarne l'aspetto positivo come rifugio di fronte al temporale. Alla casa e al
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