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Giovanni Verga e "I Malavoglia", Sintesi del corso di Italiano

La figura di Giovanni Verga, scrittore italiano del XIX secolo, e la sua evoluzione letteraria verso il Verismo. Si analizza la concezione di impersonalità e l'approccio alla rappresentazione della realtà sociale, caratterizzati dalla totale immersione del narratore nel testo e dal linguaggio povero e spoglio dei personaggi. Si evidenzia la differenza tra il Verismo di Verga e il Naturalismo di Zola, in particolare nella concezione della letteratura e nell'approccio ai personaggi.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 25/06/2022

pit8
pit8 🇮🇹

20 documenti

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Scarica Giovanni Verga e "I Malavoglia" e più Sintesi del corso in PDF di Italiano solo su Docsity! VERGA Giovanni Verga nacque a Catania nel 1840 da una famiglia di agiati proprietari terrieri. Dai suoi primi studi privati assorbì un forte patriottismo e il tipico gusto letterario romantico. Successivamente, però, non proseguì gli studi di Legge per dedicarsi al lavoro letterario e al giornalismo politico. Sarà proprio questa formazione irregolare a segnare profondamente la sua fisionomia di scrittore che si discosta dalla tradizione di autori letteratissimi e di profonda cultura umanistica. La sua cultura è segnata anche dalla lettura dei testi francesi moderni e dei romanzi storici italiani. Nel 1865 Verga si reca per la prima volta a Firenze dove, in un momento successivo, vi si soggiornerà più a lungo convinto che per divenire scrittore autentico debba liberarsi dei limiti della sua cultura provinciale ed entrare in contatto con la vera società italiana. Nel 1872 si trasferisce a Milano dove entra in contatto con gli ambienti della Scapigliatura e dove produrrà “Eva” (1872), “Eros” (1875) e “Tigre reale” (1875) che risultano ancora legati ad un clima romantico. Nel 1878 avviene la svolta capitale verso il Verismo con la pubblicazione de “Rosso Malpelo”. Nel 1893 torna definitivamente a Catania. Dopo il 1903, lo scrittore si chiude in un silenzio praticamente totale durante il quale si dedica solamente alla cura delle proprietà agricole delle sue ossessioni economiche. Muore poi nel gennaio del 1922. Posizioni politiche chiuse e conservatrici e nazionaliste dopo Prima Guerra Mondiale. Tra i romanzi preveristi verghiani ricordiamo: “Una peccatrice” (1866), di carattere autobiografico; “Storia di una capinera” (1871), sentimentale e lacrimevole; “Eva”, attuo a denunciare la corruzione di una società “materialista”; “Eros” e “Tigre reale”, Che presentano un carattere ancora tardoromantico in quanto scritti con un linguaggio enfatico ed emotivo. Nel frattempo stava maturando in Verga una crisi che lo porterà poi ad abbracciare il Verismo. La svolta avviene nel 1878 con la pubblicazione di “Rosso Malpelo” che si presentò per la prima volta con un linguaggio estremamente crudo e scabro e caratterizzato da una rigorosa impersonalità. Verga si era sempre, anche prima della svolta verista, proposto di presentare il vero solo che disponeva ancora di strumenti approssimativi e inadatti, poco personali e inquinati da una convenzionale maniera romantica. L’approdo al Verismo è quindi una chiarificazione progressiva della concezione materialistica della realtà e dell’impersonalità. Con la conquista del metodo verista, quindi, Verga inizia la sua opera di studio dei meccanismi della società che, partendo dall’analisi delle basse sfere sociali, mira ad analizzare anche i ceti superiori. Alla base del Verismo verghiano è posto il concetto di impersonalità, cioè il processo espressivo che mira a porre il lettore faccia a faccia con il fatto nudo e schietto procedendo ad un eclissamento dello scrittore stesso che non deve comparire nel narrato. Così procedendo il lettore avrà l’impressione di assistere direttamente ai fatti narrati, venendo anche introdotto nel mezzo degli avvenimenti e, quindi, acquisendo informazioni soltanto procedendo con la lettura e con la conoscenza dei vari personaggi attraverso essi stessi e le loro azioni. A narrare i fatti non è più, quindi, il tradizionale narratore onnisciente, che riproduceva anche il livello culturale, i valori, i principi morali e il linguaggio dello scrittore stesso, ma si fonde totalmente con il testo facendo scomparire la voce e il punto di vista dello scrittore. Questo nuovo tipo di narratore non offre nessun tipo di descrizione dei personaggi e/o dei luoghi in quanto parla come se si rivolgesse ad un pubblico appartenente a quello stesso ambiente e se la voce narrante giudica i fatti lo fa solamente in base alla visione elementare e rozza della collettività popolare che non riesce a conoscere le motivazioni psicologiche autentiche delle azioni e le deforma. Di conseguenza anche il linguaggio non è quello che potrebbe essere dello scrittore, ma un linguaggio povero e spoglio caratterizzato dai modi di dire popolari. Verga ritiene dunque che l’autore debba eclissarsi dall’opera perché non ha il diritto di giudicare la materia che rappresenta. Di conseguenza, partendo dalla posizione radicalmente pessimistica dello scrittore per la quale la società umana è dominata da maccanismi crudeli di egoismo, interesse economico e lotta per la vita, ogni intervento giudicante appare inutile e privo di senso e allo scrittore non resta che rappresentare la realtà così com’è, totalmente governata da questa universale e crudele legge di natura. La letteratura non può contribuire a modificare la realtà ma può solo avere la funzione di studiarla. Ma è proprio questo pessimismo a premettere a Verga di cogliere con grande lucidità ciò che è negativo nella realtà. Infatti, anche se non presenta giudizi correttivi, Verga rappresenta con grande acutezza l’oggettività delle cose che riescono a presentarsi da solo per quello che sono realmente. Anche se le opere veriste di Verga hanno per gran parte al centro la vita del popolo, non si riscontra in esse alcun atteggiamento populistico di pietà verso i bassi ceti sociali. Infatti, pur sottolineando la negatività del processo moderno, Verga non contrappone ad esso il mito della campagna, intesa come antidoto dalla corrotta società cittadina, perché anch’esso è governato dalle stesse crudeli leggi di natura che pongono gli uomini in costante conflitto tra loro. Vi è una profonda differenza che separa il verismo verghiano dal naturalismo di Zola. Infatti, i due autori differiscono innanzitutto nella concezione che hanno della letteratura: da una parte Zola attribuisce alla letteratura i compiti della scienza concependo lo scrittore come un vero e proprio scienziato naturalista, dall’altra parte Verga, al contrario, rivendica il valore puramente artistico della scrittura letteraria. Di conseguenza notiamo come, a differenza di Verga, Zola opera un netto distacco tra i personaggi e il narratore il quale, infatti, introduce spesso diversi giudizi e punti di vista appartenenti al suo codice morale borghese. Inoltre, Zola ripropone il gergo popolare dei personaggi solamente in episodi isolati mentre in Verga questo processo è totalizzante. Di conseguenza vi è una profonda distinzione tra l’impersonalità di Zola, il semplice distacco dello scienziato dalla materia trattata, e quella di Verga, l’immersione e l’eclissarsi nell’oggetto. Inoltre, Zola e Verga aderiscono a due ideologie completamente diverse: Zola, essendo di fatto uno scrittore borghese democratico che ha di fronte a sé una realtà dinamica, ha piena fiducia nella funzione progressiva della letteratura; al contrario Verga, essendo in origine un proprietario terriero conservatore, ha ereditato una visione fatalistica del mondo andando, quindi, a creare un forte pessimismo di fronte all’immutabilità della realtà che sfocia nella concezione che la letteratura può solo portare a conoscere la realtà ma non a modificarla. Nonostante la grande svolta verista, in Verga rimangono comunque tracce dell’atteggiamento romantico passato che si possono ritrovare nel suo vagheggiamento nostalgico di quell’ambiente arcaico come di una sorta di paradiso perduto di autenticità e di innocenza. Nelle sue novelle ricorre anche un altro motivo tipicamente romantico come il conflitto fra l’individuo “diverso” e il contesto sociale che lo rifiuta e lo espelle. Perciò è chiaro come in Verga rimane vivo il conflitto tra le tendenze romantiche della sua formazione e le nuove tendenze veristiche. I MALAVOGLIA Il primo romando del ciclo dei vinti è “I Malavoglia” (1881). È la storia di una famiglia di pescatori siciliani, i Toscano ma chiamati “Malavoglia”, che vivono nel piccolo paesino di Aci Trezza conducendo una vita pressoché felice e tranquilla. Una svolta avviene ad inizio romanzo quando il giovane ‘Ntoni deve partire per il servizio militare. La famiglia si ritrova, quindi, senza braccia e perciò in difficoltà anche a causa di una cattiva annata di pesca e della difficile situazione prematrimoniale di Mena. Perciò, padron ‘Ntoni decide di avviare un piccolo commercio che, però, non avrà fortuna. Seguono quindi una serie di sventure che disgregano il nucleo familiare (es.: ‘Ntoni non si sa più adattare alla vita contadina dopo aver conosciuto quella agiata cittadina; Lia, disonorata, fugge; Mena non si può più sposare a causa del disonore abbattutosi sulla famiglia; …). I Malavoglia rappresentano un mondo rurale arcaico che viene sconvolto dai mutamenti storici e sociali che ne disgregano la compattezza e l’equilibrio. Ed è proprio questo insieme di rapide trasformazioni della società italiana che porta le difficoltà economiche e la crisi della famiglia che subisce un processo di declassamento all’interno del sistema sociale del villaggio che appare, quindi, immobile sono perché i fatti
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