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Giovanni Verga: vita e opere, Appunti di Italiano

La vita e le opere di Giovanni Verga, uno dei maggiori esponenti del verismo italiano. Si descrivono i suoi studi, i suoi spostamenti tra Catania, Firenze e Milano, la sua produzione letteraria e la sua poetica dell'impersonalità. Si analizza inoltre l'ideologia verghiana, basata su una visione pessimistica della società umana e sulla concezione della lotta per la vita come legge universale. utile per comprendere la figura di Verga e il contesto culturale e storico in cui si inserisce.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 06/09/2022

IreneLuchetti
IreneLuchetti 🇮🇹

19 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Giovanni Verga: vita e opere e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Giovanni Verga La vita Nacque a Catania nel 1840 da una famiglia di agiati proprietari terrieri, con ascendenze nobiliari e compì i primi studi presso maestri privati da cui assorbì il fervente patriottismo e il gusto letterario romantico I suoi studi superiori non furono regolari: iscrittosi a 18 anni alla Facoltà di Legge a Catania, non terminò i corsi, preferendo dedicarsi al lavoro letterario e al giornalismo politico Questa formazione irregolare segna la sua fisionomia di scrittore che si discosta dalla tradizione di autori letteratissimi e di profonda cultura umanistica: testi su cui si forma il suo gusto in questi anni, più che classici italiani e latini, sono gli scrittori francesi moderni di vasta popolarità, ai limiti con la letteratura di consumo, come Dumas padre e figlio Nel 1865 lascia la provincia, si reca una prima volta a Firenze, allora capitale del Regno e vi torna nel 1869 deciso soggiornarvi a lungo, consapevole del fatto che per divenire scrittore autentico doveva liberarsi dei limiti della sua cultura provinciale e venire in contatto con la vera società letteraria italiana Nel 1872 si trasferisce a Milano, che era allora il centro culturale più vivo della penisola e qui entra in contatto con gli ambienti della Scapigliatura Nel 1878 avviene la svolta capitale verso il verismo, con la pubblicazione del racconto Rosso Malpelo A Milano soggiorna per lunghi periodi, alternati con ritorni in Sicilia e dal 1893 torna a vivere definitivamente a Catania Dopo il 1903 lo scrittore si chiude in un silenzio pressoché totale, la sua vita è dedicata alla cura delle sue proprietà agricole, è ossessionato dalle preoccupazioni economiche e le sue posizioni politiche si fanno sempre più chiuse e conservatrici Allo scoppio della prima guerra mondiale è fervente interventista, nel dopoguerra si schiera sulle posizioni dei nazionalisti, pur però in un sostanziale distacco da ogni interesse politico militante e muore nel gennaio del 1922 I romanzi previsti Lasciando da parte i tre romanzi giovanili, la sua produzione significativa ha inizio con i romanzi composti a Firenze e poi a Milano Ancora a Catania aveva pubblicato il romanzo “Una peccatrice” poi ripudiato, fortemente autobiografico e che narra la storia di un intellettuale piccolo borghese siciliano che conquista il successo e la ricchezza ma vede inaridirsi l’amore per la donna sognata e adorata e ne causa il suicidio A Firenze finisce “Storia di una capinera” che narra di un amore impossibile e di una monacazione forzata A Milano finisce il romanzo “Eva”, storia di un giovane pittore siciliano che brucia le sue illusioni e i suoi ideali artistici nell’amore per una ballerina, simbolo della corruzione di una società materialista La protesta per la nuova condizione dell’intellettuale, emarginato e declassato, è molto vicina all’accesa polemica anticapitalistica che caratterizza la Scapigliatura A questo romanzo polemico, seguono romanzi che analizzano sottili passioni mondane: “Eros”, storia del progressivo inaridirsi di un giovane A tal fine il lettore deve essere introdotto nel mezzo degli avvenimenti, senza che nessuno gli spieghi gli antefatti e gli tracci un profilo dei personaggi: man mano che gli “attori” si fanno conoscere con le loro azioni e le loro parole, attraverso di esse il loro carattere si rivela al lettore e solo così si può eliminare ogni artificiosità letteraria La teoria dell’impersonalità non è per Verga una definizione filosofica ma è solo un suo personale programma di poetica, la definizione di un procedimento tecnico, di un modo di dar forma all’opera e di conseguire determinati effetti artistici Verga sa bene che l’impersonalità è solo un procedimento espressivo, adottato per ottenere certi effetti artistici e che dietro c’è pur sempre l’artista che mette in atto questi procedimenti in modo da dare quella particolare impressione e che anzi proprio attraverso di essi imprime all’opera il sigillo della sua personalità creatrice Verga applica coerentemente i principi di questa sua poetica nelle opere verista composte dal 1878 in poi, all’interno delle quali si eclissa, si cala nella pelle dei personaggi, vede le cose con i loro occhi e le esprime con le loro parole e a raccontare i fatti non è quindi il narratore onnisciente tradizionale Il punto di vista dello scrittore non si avverte mai: la voce che racconta si colloca tutta all’interno del mondo rappresentato, allo stesso livello dei personaggi, si mimetizza nei personaggi stessi, adotta il loro modo di pensare e di sentire, si riferisce agli stessi criteri interpretativi ed è come se a raccontare fosse quindi uno di loro, che però non compare direttamente nella vicenda e resta anonimo Il linguaggio non è quello che potrebbe essere dello scrittore, ma è spoglio e povero, punteggiato di modi di dire, paragoni, proverbi, in cui traspare la struttura dialettale (anche se Verga non usa mai direttamente il dialetto e se deve citare un termine dialettale lo isola mediante il corsivo) L’ideologia verghiana Che cosa induce Verga a formulare il principio dell’impersonalità e ad applicarlo così rigorosamente? Una risposta è data dall’autore stesso in un passo fondamentale della Prefazione ai Vinti Egli ritiene che l’autore debba eclissarsi dall’opera perché non ha il diritto di giudicare la materia che rappresenta e il presupposto di una simile affermazione è proprio la sua concezione generale del mondo Alla base della visione di Verga stanno posizioni radicalmente pessimistiche: la società umana è per lui dominata dal meccanismo della lotta per la vita, un meccanismo crudele per cui il più forte schiaccia necessariamente il più debole Gli uomini sono mossi quindi non da motivi ideali, ma dall’interesse economico, dalla ricerca dell’utile, dall’egoismo e dalla volontà di sopraffare gli altri Questa è una legge di natura, universale, che governa qualsiasi società non solo umana, ma anche animale e vegetale e, in quanto tale, è immodificabile Per questa ragione Verga ritiene che non si possono dare alternative alla realtà esistente, né nel futuro, in un’organizzazione sociale diversa e più giusta, né nel passato, nel ritornare a forme superate dal mondo moderno e neppure nella dimensione del trascendente Se è impossibile modificare l’esistente, ogni intervento giudicante appare inutile e privo di senso e allo scrittore non resta che riprodurre la realtà così com’è La letteratura, quindi, non può contribuire a modificare la realtà ma può solo avere la funzione di studiare ciò che è dato una volta per tutte e di riprodurlo fedelmente In conclusione, la tecnica impersonale usata da Verga scaturisce coerentemente dalla sua visione del mondo pessimistica ed è per lui il modo più adatto per esprimerla È chiaro che un simile pessimismo ha una connotazione fortemente conservatrice e vi si associa infatti un rifiuto esplicito e polemico per le ideologie progressiste contemporanee, democratiche e socialiste, che egli giudica fantasie inutili o interessati inganni Però questo pessimismo conservatore non implica affatto un’accettazione acritica della realtà esistente anzi proprio questo, pur impedendo di indicare alternative, consente a Verga di cogliere con grande lucidità ciò che vi è di negativo in quella realtà Anche se non dà giudizi correttivi, egli rappresenta con grande acutezza l’oggettività delle cose e queste parlano da sé eloquentemente Il pessimismo, dunque, è la condizione del suo valore conoscitivo e critico e proprio questo assicura a Verga l’immunità da quei miti che trionfano in tanta letteratura contemporanea e la trasformano in mediocre veicolo di grossolana mitologia: innanzitutto il mito del progresso e poi il mito del popolo Anche se le opere veriste di Verga hanno per gran parte al centro la vita del popolo, non si riscontra in esse quell’atteggiamento populistico che affligge la letteratura del secondo Ottocento, che consiste nella pietà sentimentale per le miserie degli umili e dal paternalismo benefico dei ceti privilegiati e che si traduce in una rappresentazione patetica della realtà popolare davanti a sé una realtà dinamica in cui i conflitti tipici del mondo capitalistico moderno hanno ormai raggiunto uno stadio avanzato, in cui esistono una borghesia attiva e consapevole ed un proletariato dalla coscienza sociale matura e di conseguenza lo scrittore progressista si sente il portavoce di esigenze ben vive intorno a lui e sa di potersi rivolgere ad un pubblico in grado di recepire il suo messaggio e di reagire Il rifiuto di Verga dall’impegno politico della scrittura rimanda ad una situazione economica, sociale e culturale ben diversa da quella francese poiché l’autore è il tipico “galantuomo” del sud, proprietario terriero conservatore, estraneo alla visione dinamica del capitalismo moderno e ha di fronte a sé una borghesia ancora parassitaria e delle masse contadine estranee alla storia Il fatalismo del galantuomo poteva poi trovare conferma nella realtà attuale dell’Italia, in cui l’inizio dello sviluppo capitalistico non faceva che ribadirne l’esclusione e l’oppressione e rendere ancora più dura la loro vita: lo scrittore poteva facilmente concludere che nulla era mutato realmente e ricavare la convinzione che nulla mai può mutare in assoluto nella storia degli uomini e che quindi la letteratura può solo portare a conoscere la realtà senza modificarla I valori artistici, però, non sono conseguenza immediata e meccanica dell’ideologia di uno scrittore anzi, proprio la carica progressista è in buona parte responsabile dei vistosi difetti della narrativa di Zola mentre il pessimismo, la visione arida e desolata della realtà dà alla narrativa di Verga la sua secchezza ed essenzialità e gli conferisce il suo valore altamente conoscitivo e critico Vita dei campi La brusca svolta fra romanzi come Eros e Tigre reale da un lato e un racconto come Rosso Malpelo dall’altro, lascia sorpresi e induce a chiedersi quale percorso abbia condotto Verga a quel tipo di approdo Certamente sull’adozione dei nuovi moduli narrativi esercitò un influsso determinante la lettura di Zola (soprattutto dell’Assommoir, dove talora la voce narrante diviene l’interprete del coro dei personaggi popolari, riproduce la loro mentalità e il loro modo di esprimersi) che giocò un ruolo decisivo anche nel suggerire a Verga la tecnica della regressione Un’influenza determinante nella chiarificazione dei nuovi principi di Verga esercitò pure Capuana, che con le sue recensioni contribuiva a diffondere la conoscenza di Zola La nuova impostazione narrativa inaugurata nel 1878 con Rosso Malpelo è continuata da Verga in una serie di altri racconti, pubblicati su varie riviste tra il 1879 e il 1880 e raccolti nel volume Vita dei campi: Cavalleria rusticana, La lupa, L’amante di gramigna Anche in questi racconti spiccano figure caratteristiche della vita contadina siciliana e viene applicata la tecnica dell’impersonalità Accanto alla rappresentazione veristica e pessimistica del mondo rurale, in queste novelle si può trovare ancora traccia di un atteggiamento romantico, di vagheggiamento nostalgico di quell’ambiente arcaico come di una sorta di paradiso perduto di autenticità ed innocenza o come il conflitto fra l’individuo diverso e il contesto sociale che lo rifiuta e lo espelle In Verga, è ancora in atto una contraddizione tra le tendenze romantiche della sua formazione e le nuove tendenze veristiche, pessimistiche e materialistiche che lo inducono invece a studiare scientificamente le leggi del meccanismo sociale e a riconoscere che anche il mondo rurale è dominato dalla stessa legge della lotta per la vita che regola la società contadina (questa contraddizione si risolverà nei Malavoglia) Il ciclo dei Vinti Parallelamente alle novelle Verga concepisce anche il disegno di un ciclo di romanzi è il primo accenno a questo disegno è in una lettera del 1878 all’amico Salvatore Paola Verdura In questo suo disegno prevedeva di non porre al centro del ciclo l’intento scientifico di seguire gli effetti dell’ereditarietà, bensì esclusivamente la volontà di tracciare un quadro sociale passando in rassegna tutte le classi, dei ceti popolari alla borghesia di provincia all’aristocrazia Il criterio unificante è il principio della lotta per la sopravvivenza, che lo scrittore ricava dalle teorie di Darwin ed applica alla società umana: tutta la società è dominata da conflitti di interesse ed il più forte trionfa, schiacciando i più deboli Verga però non intende soffermarsi sui vincitori di questa vera universale e sceglie come oggetto della sua narrazione i “vinti” Al ciclo viene premessa una prefazione, che chiarisce gli intenti generali dello scrittore: nel primo romanzo, i Malavoglia, si dice che “il movente dell’attività umana che produce la fiumana del progresso è preso alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali, si tratta della semplice lotta per i bisogni materiali; in quelle basse sfere il meccanismo è meno complicato e potrà quindi osservarsi con maggiore precisione” Nei romanzi successivi sarà analizzata questa “ricerca del meglio” nel suo progressivo elevarsi attraverso le classi sociali, dall’avidità di ricchezza nella borghesia di provincia (Mastro-Don Gesualdo), alla vanità aristocratica (La duchessa di Leyra), all’ambizione politica (l’Onorevole Scipioni) e artistica (L’uomo di lusso) sono abituati a concepirla Ma la loro visione deforma, tradisce la realtà effettuale, mentre il montaggio narrativo la mette chiaramente in evidenza Il personaggio in cui essenzialmente si incarnano le forze disgregatrici della modernità è il giovane ‘Ntoni in quanto egli, una volta uscito dall’universo chiuso del paese, non riesce più ad adattarsi ai ritmi di vita ancestrali del paese, ad accettare il suo fatalismo immobilista e a rassegnarsi pazientemente ad un’esistenza di fatiche Emblematico è il suo conflitto con il nonno che rappresenta invece lo spirito tradizionalista per eccellenza, l’attaccamento ad una visione arcaica e ai suoi valori Sotto l’azione di tutte queste forze innovatrici la famiglia si disgrega ed è proprio ‘Ntoni, con la coltellata alla guardia doganale con cui tocca il fondo il processo di degradazione a cui l’ha portato la sua inquietudine, a darle il colpo di grazia È vero che alla fine Alessi riuscirà a ricomporre un frammento dell’antico nucleo familiare, ma ciò non implica un ritorno perfettamente circolare alla condizione iniziale: il romanzo non si chiude affatto con questa parziale ricomposizione dell’equilibrio, bensì con la partenza di ‘Ntoni dal villaggio È un finale emblematico: il personaggio inquieto si distacca da quel sistema per sempre, allontanandosi verso la realtà del progresso e il suo percorso sarà continuato da Gesualdo, l’esponente più tipico del moderno, con il suo dinamismo e la sua intraprendenza di self-made man I Malavoglia sono stati spesso interpretati come la celebrazione di un mondo primordiale e dei suoi valori però, in realtà, se si tiene presente quanto si è visto sopra il romanzo presenta, al contrario, la disgregazione di quel mondo e l’impossibilità dei suoi valori Il romanzo non è solo un congedo accorato bensì la lucidità di Verga va ben oltre: lo scrittore, approdato ad un verismo duramente pessimistico, sa bene che quello non è semplicemente un mondo che scompare, ma un mondo mitico che non è mai esistito e che non è mai stato un Eden di serenità poiché dominato al suo interno dalla stessa legge della lotta per la vita che regola il mondo del moderno e del progresso e lo era da sempre perché questa regola ogni tipo di società, in ogni tempo e ad ogni livello sociale La fisionomia del mondo popolare dei malavoglia è data anche dalle caratteristiche caratteriali dei personaggi La vita popolare ormai vista da Verga nelle sue componenti reali, l’idealizzazione investe solo alcuni particolari personaggi e non il mondo rurale nella sua totalità Lo scrittore non sa ancora rinunciare del tutto certi valori e li proietta in alcuni personaggi privilegiati, ritagliando una zona franca, immune dalle sue tensioni ; ma dall’altro lato sa bene che quei valori sono puramente reali Quel mondo arcaico che scompare sotto l’urto della modernità risulta dissimile da quello creato dal progresso, già lacerato al suo interno dagli stessi conflitti e dalle stesse tensioni Ne risulta una particolare configurazione della struttura romanzesca e si tratta di un romanzo corale, fittamente popolato di personaggi: questo coro si divide nettamente in due parti poiché da un lato si collocano i Malavoglia, caratterizzati dalla fedeltà ai valori puri; dall’altro la comunità del paese, pettegola, cinica e mossa solo dall’interesse Se quindi da una parte Verga non sa rinunciare al vagheggiamento dei valori autentici e li sovrappone ancora in parte alla realtà popolare, è anche tanto lucido da sapere che essi non trovano posto nella realtà e a prendere distanze dalle sue tendenze all’idealizzazione, negandole con l’analisi impietosa della realtà di fatto Dall’altro lato però il punto di vista ideale dei malavoglia vale a fornire un metro di giudizio di meccanismi spietati che dominano l’ambiente del villaggio, senza interventi giudicanti del narratore Il romanzo ha quindi una costruzione molto problematica: le due componenti della visione verghiana, l’idealizzazione romantica della realtà arcaica e il verismo pessimistico reagiscono l’uno contro l’altra, in un gioco dialettico Le Novelle rusticane, Per le vie, Cavalleria rusticana Tra il primo ed il secondo romanzo del Ciclo dei Vinti passano ben otto anni e in questo intervallo Verga pubblica un altro romanzo che non rientra nel disegno preannunciato, il marito di Elena (1882) Nel 1883 escono le Novelle rusticane che ripropongono personaggi e ambienti della campagna siciliana, in una prospettiva più amara e pessimistica, che porta in primo piano il dominio esclusivo dei movimenti economici nell’agire umano e rivela come la fame la miseria soffochino ogni sentimento disinteressato Un’indagine analoga viene condotta anche sul proletariato cittadino nelle novelle di Per le vie Nel 1884 poi Verga tenta l’esperienza del teatro con il dramma Cavalleria rusticana, che ottiene un clamoroso successo di pubblico Il Gesualdo ha al centro una figura di protagonista, che si stacca dallo sfondo popolato di figure ed è infatti la storia di un individuo eccezionale, della sua epica scesa e della sua caduta Per gran parte la narrazione è focalizzata sul protagonista: il punto di osservazione dei fatti coincide con la sua visione, cioè noi vediamo i fatti attraverso i suoi occhi e lo strumento per eccellenza di questa focalizzazione interna è il discorso indiretto libero, mediante cui sono riportati i suoi pensieri Scompare anche la bipolarità tra personaggi depositari dei valori e rappresentati dalla legge della lotta per la vita, che caratterizzava i malavoglia e il conflitto tra i due poli qui si interiorizza Pur dedicando tutta la sua vita e tutte le sue energie alla conquista della roba, Gesualdo conserva tutto sommato in sé un bisogno di relazioni umane autentiche: il culto della famiglia, rispetta il padre e aiuta i fratelli e vorrebbe essere amato da loro Ma non arriva mai a praticare fino in fondo i valori, non è mai veramente un personaggio malavogliesco in quanto gli impulsi generosi i bisogni affettivi sono sempre soverchiate dall’attenzione gelosa l’interesse economico: la “roba” è il fine primario della sua esistenza A negare i valori è il personaggio stesso che potrebbe esserne importatore e ciò ci fa capire che in Verga non vi è più alcuna tentazione idealistica, non può più introdurre a forza personaggi interamente positivi in cui i residui di idealismo romantico che si trovano nelle altre opere sono qui del tutto scomparsi Verga è approdato ad un verismo rigorosamente conseguente ed il suo pessimismo è divenuto assoluto, al punto da non consentirgli di rappresentare in atto nessuna alternativa ideale ad una realtà dura Il frutto della scelta di Gesualdo in favore della logica della roba è una totale sconfitta umana Dalla sua lotta epica per la roba e dalla sua ascesi, Gesualdo non ha ricavato che odio e amarezza e proprio perché conserva in sé un’esigenza di affetti autentici e di modi generosi, può assumere coscienza di questo totale fallimento del suo ambizioso disegno e di tutta la sua esistenza e trarre alla fine un desolato bilancio Russo, per il Gesualdo, ha parlato di celebrazione di una nuova religione, ossia la “religione della roba” e non più quella della famiglia Lo scrittore non celebra l’accanimento del suo eroe nell’accumulare ricchezza, ma al contrario lo presenta in una luce duramente critica e negativa: qui Verga non ha un atteggiamento moralistico schematico e univoco, riconosce quanto vi è di eroico nello sforzo di Gesualdo poiché il personaggio dimostra una volontà ferrea e una capacità di sacrificio personale degna di un’asceta Però rappresenta soprattutto il rovescio negativo di tutto ciò: l’alienazione nella roba, le sofferenze provocate e l’insensatezza di una fatica che attira solo odio e dolore e ha come unico sbocco la morte Gesualdo è un vincitore materialmente, ma è un “vinto” sul piano umano Verga, dopo il mondo arcaico della campagna messo in crisi dal progresso, rappresenta proprio un eroe tipico di quel progresso ossia un self-made man che si costruisce da sé il proprio destino Nella sua onestà, mette in evidenza anche quanto vi è di grande in questa figura moderna: ma il suo giudizio sul meccanismo del progresso è negativo e nel suo pessimismo riconosce che il processo che lo porta alla modernità è inevitabile, e non indica alternativa alla sua negatività
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