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Giovenale, Satira III: appunti, analisi logica e sintattica e paradigmi, Appunti di Letteratura latina

Appunti delle lezioni integrate alla traduzione, all'analisi grammaticale, logica e del periodo + paradigmi di ogni verbo.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 19/10/2022

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Scarica Giovenale, Satira III: appunti, analisi logica e sintattica e paradigmi e più Appunti in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! Giovenale, Satira III La satira romana e Giovenale La satira in ambito romano è un genere molto diverso dagli altri, non perché come dice Quintiliano è genere tota nostra, esclusivamente latino, ma perché più che genere letterario, è da considerarsi una varietà di generi: unione di più temi e forme espressive in un unico genere. Il primo a scrivere satire è Ennio (III-II sec a.C), di cui restano solo pochi frammenti. Dal punto di vista contenutistico il genere si caratterizza per la sua varietà: favole, allegorie, note di carattere personale (fr. salve poeta Ennio che offre ai mortali versi infuocati che provengono dal cuore), inoltre lascia spazio a un certo soggettivismo del poeta, insieme al racconto di episodi divertenti e a varie scene di vita. Sul piano espressivo, Ennio sviluppa la polimetria (il metro più usato resta il senario giambico: metro più importante nella poesia latina arcaica). A Ennio segue Lucilio (II sec a.C), figura di svolta nella letteratura latina innanzitutto perché è il primo cittadino romano a dedicarsi esclusivamente all’attività letteraria in virtù della propria ricchezza, che non lo costringe a lavorare per sopravvivere. Elementi cardine della satira di Lucilio sono: la centralità del poeta e la varietà di temi e di metro. Tuttavia cambia il focus, poichè il poeta fa della satira lo strumento ideale per descrivere il suo rapporto con la società: scrive note positive sui suoi amici ma si scaglia al tempo stesso contro i nemici, fustigando i vizi della società e non risparmiandosi l’attacco personale. L’obiettivo della sua satira è infatti smarcherare la falsa onestà: egli afferma di agire non per malvagità ma per puro desiderio di verità. Anche di Lucilio restano pochi frammenti: perìcopi di tradizione indiretta (=ritagli, uno o più versi), citati da altri autori (per esempio dai grammatici di età imperiale, ma anche da Cicerone). Si tratta tutto sommato di reliquie limitate, perché nel caso di Ennio rimangono solo una ventina di frammenti, invece di Lucilio un centinaio di versi. Sul piano formale Lucilio effettua una svolta decisiva, poichè se gli ultimi libri rispettano ancora la varietà di metro, da un certo momento in poi sceglie di comporre solo satire in esametri dattilici. Continuatore del genere satirico è Varrone (I sec. a.C), autore di centocinquanta libri di satire menippee in cui si sviluppa la polimetria. Già gli antichi distinguevano due grandi filoni: il primo si riconduce alla satira luciliana, il secondo alla satira menippea (da Menippo di Gàdara, scrittore ellenistico che parla di filosofia nella forma della diàtriba “conversazione che finisce male”). Di Menippo non sopravvive nulla, mentre delle satire menippee di Varrone rimane qualcosa di slegato, tuttavia nessun frammento ci permette di comprendere nè la struttura, nè l’articolazione di questi testi. Alcune presentano aspetti fantastici, altre invece sono incentrate sull’insegnamento. Sul piano espressivo la menippea consiste in una miscela di prosa e versi, che oggi prende il nome di prosimetro. In età augustea la satira raggiunge il suo massimo splendore con Orazio, che usa solo una volta il termine satura (usato da Lucilio), ma piuttosto chiama le le sue produzioni sermones (da sermo “discorso che scorre in modo fluido”). Compone tre satire programmatiche, nelle quali prende posizione nei confronti di Lucilio, rispetto al quale enuncia alcune differenze: lo accusa di aver composto opere estremamente lunghe, dispersive e poco elaborate (anche Callimaco propugnava una poesia breve ma curata nei minimi dettagli): al contrario, Orazio si serve del labor limae, cioè un lavoro continuo di limatura di versi; al contempo si scusa di non poter attaccare i propri nemici come invece Lucilio fa in virtù della sua posizione sociale (attacca dei personaggi ma in modo velato, quasi con il sorriso). Egli carica i propri sermoni di una dimensione conversevole nella quale la filosofia epicurea ha un ruolo importante: il principio fondamentale è l’autosufficienza del saggio, la quale consiste in una vita di privazioni, limitazione dei desideri in virtù del raggiungimento di una fecilità interiore. Nella satira Orazio parla di sè e prende spunto da situazioni di vita vissuta per approfondire determinate tematiche, ponendosi come maestro di morale: guida i propri lettori verso il corretto comportamento, offrendo loro come modello la sua stessa vita. Orazio dunque rappresenta per i suoi successori (Giovenale) una tappa principale nella storia della satira romana. In età imperiale il primo a comporre satire è Persio (prima metà I sec. d.C.), che proviene da una famiglia nobile etrusca. Egli è allievo di Anneo Cornuto, uno dei maestri dello stoicismo rigoristico a Roma e di cui praticava i precetti. Nelle sei satire superstite, precedute da un proemio in quattordici trimetri giambici scazonti (colhiambi “giambo zoppo”), egli fustiga la realtà del tempo, osservata dalla prospettiva dello stoicismo rigoristico, in virtù dell’esigenza etica di smascherare il vizio e la corruzione. Egli affronta in ogni satira una determinata tematica. Per quanto riguarda l’aspetto espressivo combina un linguaggio fatto di parole di vita quotidiana di per sé banali, combinate tra loro in modo ingegnoso: secondo Persio infatti il poeta deve usare verba togae “parole della toga”. Giovenale nasce ad Aquino, una grande città situata al confine tra Lazio e Campania. Tale provenienza non è sicura tuttavia possiamo validarla facendo riferimento ad alcuni dettagli (es. l’invito, nel finale dell’opera, a ritornare ad Aquino). Un’altra fonte che possiamo considerare, seppur con cautela, proviene dalle biografiche tardoantiche preposte al poeta. La fonte non è assolutamente sicura poichè può contenere una notizia tratta dal testo stesso. Anche il prenomen dell’autore, Decimo, non è sicuro. Una fonte più sicura riguarda nomen e cognomen: nel 1700 è stata pubblicata l’iscrizione Iunus Iuvenalis, che ricopriva una magistratura locale e di rango equestre. La cronologia di questa iscrizione rende difficile pensare che essa si riferisse al nostro poeta, tuttavia quasi certamente si trattava di un parente. Un altro problema riguarda la cronologia di Giovenale, perché l’autore parla poco di sé. Nacque forse nel 55 d.C. e morì entro il 135 d.C., cioè all’epoca di Adriano. Marziale lo menziona in tre epigrammi, ma Giovenale non lo menziona mai. Il primo libro di satire va datato intorno al 110 d.C., ma come mai il poeta pubblicò tardi il suo primo libro di satire? La motivazione ha a che fare anche sul perché Giovenale non nomina mai Marziale. Infatti l’autore evitò di pubblicare finchè il tiranno fu in vita, 1 cominciò solo quando le cose cominciarono a cambiare e quindi i tempi lo permisero. Non pubblica le sue satire in un’unica volta, ma dividendole in cinque libri. Questa spartizione in libri è di estrema importanza perché a questa corrispondono le tappe di un percorso evolutivo del poeta. Ma perché Giovenale non parla mai di Marziale? Egli era stato un poeta di corte di Domiziano. Ucciso quest’ultimo, Marziale aveva tentato invano di ingraziarsi Nerva e Traiano poiché messo al bando, e Giovenale non aveva alcuna intenzione di legare con un personaggio visto in modo ostile dai potenti. Giovenale parla poco di sé, poichè vuole presentarsi come il portavoce di una indignatio diffusa, che trascende l’individuo in quanto singolo individuo, ma è espressione di un disagio diffuso di cui il poeta satirico è solo portavoce. Giovenale non godette sin da subito gdi rande successo, anzi con la sua morte per un po’ la sua figura e le sue opere furono addirittura dimenticate. Agli inizi del IV sec. comincia a godere fortuna. La svolta si ha dal V secolo d.C. quando Servio, un grande grammatico dell’antichità, inserisce Giovenale tra gli idonei auctores, cioè quegli autori che meritano di essere studiati a scuola. Gli elementi della poetica giovenaliana si evolvono nell’arco dei cinque libri. Il primo libro consta di cinque satire, componimenti legati attraverso tematiche ben individuabili. Fulcro di questi libri è la crisi del rapporto clientelare: la società romana si basa su dei rapporti interpersonali fondati sulla segmentazione e stratificazione sociale, il che vuol dire che chi apparteneva a un ceto sociale inferiore si poneva come cliens nei confronti di un patronus. Questo rapporto clientelare generava una serie di obblighi reciprici: il cliens andava a salutare il patronus (ogni mattina, come sostiene Giovenale) con addosso la toga, per ricevere da lui la sportula, cioè inizialmente un cestino con beni di prima necessità, poi trasformato in un cestino di denaro. Durante la mattina il cliens doveva accompagnare il patronus in giro a fare svariati servizi, e in cambio il patronus doveva offrirgli assistenza legale e favorirlo in ogni modo possibile. La seconda e la quarta satira si focalizzano sui vizi e gli eccessi dei patroni. La terza e la quinta satira affrontano il problema dalla prospettiva dei clienti, che nella terza per esempio sono costretti a scappare da Roma perché ormai non si può più vivere. Le satire Giovenale dichiara di fare satira per rappresaglia perché non ce la fa più ad ascoltare senza potersi esprimere. Non ne può più delle pubbliche recitazioni di poesia elevata (poemi epici e tragedie). Al v.15 dice che pure lui ha frequentato la scuola per diventare grammatico e anche lui ha composto declamazioni, cioè ha frequentato le scuole di retorica. Ciò che lo tormenta non è solo la degenerazione poetica, bensì la degenerazione sociale. Il sentimento che guida Giovenale è quindi l’indignatio. La materia viene enunciata nei versi 85-86: i vizi umani nel presente hanno raggiunto un limite oltre il quale non si può più andare. Non c’è niente di peggio che i posteri non possano fare, chi verrà dopo si comporterà allo stesso modo dei presenti perché il vizio non può precipitare oltre, è arrivato al punto più basso. Il poeta dichiara di voler colpire la società presente (quella di Traiano), ma verso la fine della satira subentra il cosiddetto schema apologetico: un interlocutore fittizio entra in gioco e consiglia a Giovenale di non continuare in questa direzione, perché altrimenti può finir male. Nei versi 170-171 Giovenale ammette che proverà a parlare contro i morti per vedere ciò che succede. Che s’intende per indignatio? Indignatio è un procedimento retoricamente codificato: insieme di tecniche volte a conferire enfasi e persuasività ad un discorso, laddove si vuole essere persuasivi non con una dimostrazione razionale ma attraverso un impeto emozionale, cioè laddove si vuole convincere non con il ragionamento ma con l’erompere dei sentimenti. Un insieme di procedimenti stilistici realizza l’indignatio. Per esempio all’inizio della satira I c’è domanda retorica che nasconde un tono indignato: semper ego auditor tantum? “sempre io ero soltanto l’uditore?”. L’ellissi del verbo, anche il reggente, è una caratteristica tipica della domanda retorica. Il linguaggio è spesso sopra le righe: Orazio usa nelle epistole un linguaggio quotidiano. Giovenale usa lo stesso linguaggio della poesia elevata, stile sublime, ma satirico, poiché crea una climax attraverso delle immagini e un lessico estremamente elevati, salvo poi, alla fine del periodo, introdurre una parola banale, che si rifà alla vita quotidiana, ma non volgare, o un concetto fuori luogo in quel momento, che stona con ciò che precede. Proprio la deflazione del reale è un modo per mostrare la degradazione del reale. Questo è Giovenale nel suo primo periodo, che comprende il primo libro di satire (satire 1,2,3,4,5) e il secondo libro di satire (satira 6). A partire dal terzo (satire 7,8,9) le cose cambiano in modo radicale perché Giovenale, pur mantenendo l’enfasi sul rapporto di degradazione clientelare, cambia tono. Delinea un affresco della situazione penosa in cui si trovano innanzitutto i poeti, ma pure grammatici, avvocati e mecenati in un epoca in cui è venuto meno il mecenatismo e non c’è più rispetto per le attività intellettuali. Accanto all’indignatio, Giovenale sviluppa in questo libro l’ironia, vista come un’arma a doppio taglio (secondo una studiosa anglosassone), la quale fa riferimento alla duplicità di atteggiamento con cui il poeta, da un lato compiange i miseri (gli intellettuali) e attacca i malvagi, dall’altro ironizza sia sugli uni, sia sugli altri. Questo caratterizza l’intero libro. La satira ottava riguarda la degenerazione dei nobili. Nel quarto libro (satire 10,11,12) c’è una satira programmatica (10) che assume una nuova fisionomia in cui il vizio appare connaturato all’animo umano: non c’è più niente da attaccare ma bisogna prendere consapevolezza e ridere di questo, al punto che si entra in una fase democritea, che si rifà a Democrito. Con il quarto libro ritorna in campo l’etica diatribica, cioè il fare satira attraverso modi e contenuti tipici della filosofia popolare. La satira 11 affronta il tema di come si dovrebbe mangiare, la 12 tratta della questione del rapporto con gli amici, e quindi della falsa amicizia. Il quinto libro (satire 13, 14, 15, 16, questa mutila per quanto riguarda le ultime pagine) presenta vari elementi d’interesse. La 2 PROPOSIZIONI CONCESSIVE Le prop. concessive esprimono una circostanza nonostante la quale si compie quanto detto nella prop. reggente. Le prop. concessive oggettive o reali si limitano a una semplice constatazione. Sono introdotte dalle congiunzioni quamquam “sebbene”, etsi “anche se”, tametsi “quantunque, benché” con l’indicativo. Es. Etsi eramus in cursu, tamen suscipiendum aliquid spatii putavi. (Cic.). «Anche se eravamo di fretta, tuttavia ritenni di dovermi prendere un po’ di tempo (“pur essendo”)». Le prop. concessive soggettive si presentano come una supposizione o come il punto di vista del parlante. Sono introdotte dalle congiunzioni quamvis, ut “quanto vuoi, sebbene, per quanto”, licet “sia pure”, etiamsi (etiam si) “anche se” con il congiuntivo. Es. Quamvis pauci Eos audire audent.« Benchè pochi, osano assalirli.» Le prop. concessive implicite e relative possono essere espresse in forma implicita con il participio congiunto e l’ablativo assoluto. Es. haec ego admirans, referebam tamen oculos ad terram. «Pur ammirando tutte queste cose, tuttavia rivolgevo gli occhi a terra. » Usi particolari: Quamquam e etsi possono anche essere usati: — come avverbi, per correggere quanto si è detto in precedenza; in tal caso introducono una proposizione indipendente: Quamquam confirmatur amor et beneficio accepto et consuetudine adiuncta “del resto l’affetto è rinsaldato sia dal bene ricevuto sia dalla familiarità aggiunta”. — con aggettivi, participi congiunti o ablativi assoluti con valore concessivo: etsi aliquo accepto detrimento, tamen summa exercitus salva erat “pur avendo tuttavia ricevuto qualche perdita, tuttavia il grosso dell’esercito era salvo”. vv 6-9 I versi costituiscono una lunga interrogativa retorica. In testa al catalogo degli urbis incommoda (svantaggi della città), il poeta pone gli incendi e i crolli delle case, problemi di urgente attualità. Il poeta sostanzialmente dice al suo pubblico che non esiste luogo, pur se inospitale e deserto (com’era cioè Procida all’epoca), che non sia da preferirsi ai disagi di Roma. La lettura è incalzante, grazie alla presenza di una sequenza di enjambement tra i versi. L’unica incisione, seppur lieve, è tra incendia e lapsus. Anche attraverso gli enjambement Giovenale vuole creare l’indignatio. Nam quid tam miserum, tam solum vidimus, ut non deterius credas horrere incendia, lapsus tectorum adsiduos ac mille pericula saevae urbis et Augusto recitantes mense poetas? Traduzione: Che abbiamo visto mai infatti di tanto misero, di tanto desolato, che non si possa ritener peggio di aver paura degli incendi, dei crolli delle case, dei mille altri pericoli di questa terribile città e dei poetastri che recitano nel mese d’agosto? Quid: pronome interrogativo, nominativo neutro singolare, che introduce la proposizione interrogativa diretta. — vidimus: indicativo presente, prima persona plurale, video, vides, visi, visum, videre. — miserum: aggettivo prima classe, nominativo singolare. — solum: aggettivo prima classe, nominativo singolare. — tam… tam: nesso correlativo che anticipa la subordinata consecutiva negativa con verbo al congiuntivo (ut non credas). — credas: congiuntivo presente seconda persona singolare di credo, crēdis, credidi, creditum, crēdĕre. — deterius: avv. “peggio”. — horrere: infinito presente, horrĕo, horres, horrui, horrēre. L’infinito regge gli accusativi incendia, lpasus tectorum, adsiduos, mille pericula, poetas recitantes. — incendia: incendium, i, accusativo plurale neutro. — lapsus: lapsus, lapsus, accusativo plurale. — adsiduos: aggettivo prima classe, accusativo plurale maschile (concorda con lapsus). — tectorum: tectum, i, genitivo plurale. Tectorum è una sineddoche, sta per case ed è usata come variante poetica di domus (non crollano solo i tetti, ma le case vere e proprie). — mille pericula: periculum, i, accusativo plurale neutro. Mille sta per “mille altri pericoli” che Roma presenta. — urbis: genitivo singolare. — saeve: aggettivo prima classe, genitivo singolare. Tra saeve e urbis c’è un enjambement enfatizzante. — poetas: accusativo plurale. — recitantes: aggettivo participio presente con valor congiunto, accusativo plurale. — mense Augusto: mensis, is, ablativo singolare. Augusto recitantes mense poetas: doppio iperbato intrecciato (poetas recitantes, mense Augusto). Si tratta dell’ultima voce del catalogo dei pericoli: i poeti che recitano al pubblico le proprie opere nel mese di agosto. Siamo di fronte a un anticlimax, ovvero un climax discendente, con finalità umoristica: Giovenale passa da problemi concreti che rendono impossibile la vita del cittadino a Roma, all’insulsa questione delle recitazioni nel mese afoso e caldo di agosto, inscenando così la deflazione satirica. Queste recitazioni rispondevano al gusto dell’epoca e consentivano agli scrittori di sottoporre un’opera appena composta a un piccolo pubblico di esperti. 5 PROPOSIZIONI CONSECUTIVE Le prop. consecutive si rendono in latino con ut + congiuntivo e si fanno precedere nella frase reggente da avverbi come tam, uta, sic, eo, adeo, tatum, tantioere, totiens, o da aggettivi/pronomi come talis, tantus, tot, is. Es. Tantus in curia clamor factus est, ut populus concurreret. “Nella curia si fece tanto clamore, che il popolo accorse”. Usi particolari: - La proposizione consecutiva può essere introdotta dal relativo qui, quae, quod seguito dal congiuntivo. Es. Neque tu is es qui, quis sis, nescias. “Tu non sei tale da non sapere (che tu non sappia) chi tu sia. - In dipendenza da una rggente negativa la prop. consecutiva è introdotta da quin, equivalente a qui, quae, quod. - Se nella reggente è presente un comparativo che denota sproposizione, la consecutiva è introdotta da quam ut. Es. Ista res maior est quam ut credit possit. “Codesta cosa è troppo grande perché possa essere creduta” - La consecutiva con valore restrittivo è quella che poine una condizione all’azione della reggente; è costruita con il nesso ea condicione ut (non). - Nell’espressione impersonale tantum abest ut… ut “tanto manca che.. che”, il primo ut introduce una completiva, il secondo una consecutiva. vv. 10-16 Uscendo da porta Capena ci si trova nei pressi di un bosco sacro, arricchito dalla fonte di Egeria. Questa ninfa era stata un tempo la consigliera di Numa Pompilio, secondo re di Roma e di cui fu amante. Alla sua morte la ninfa si sciolse in lacrime e fu mutata in una fonte: a lei sacrificavano le donne gravide per ottenere un parto facile. Nel paesaggio descritto c’è la sacra fonte di Egeria, il boschetto e il tempio. Il poeta lamenta la profanazione di un luogo altrimenti sacro ad opera dei mendicanti ebrei che, con le loro masserizie, hanno occupato il bosco, la sacra fonte e il tempio dellle dee Camene, determinandone la scomparsa (il contrasto tra passato e presente è sottolineato dall’iterazione della sillaba iniziale in Numa… nunc). Gli ebrei infatti hanno affittato questi luoghi, provocando la scomparda delle Camene e la successiva degradazione del luogo. La parentesi che conclude il pezzo è un commento satireggiante. Sed dum tota domus raeda componitur una, substitit ad veteres arcus madidamque Capenam. hic ubi nocturnae Numa constituebat amicae, nunc sacri fontis nemus et delubra locantur Iudaeis, quorum cophinus fenumque supellex (omnis enim populo mercedem pendere iussa est arbor et eiectis mendicat silva Camenis). Traduzione: Ma mentre la sua intera casa veniva caricata su un unico carro, si fermò presso i vecchi archi dell’umida porta Capena. Qui dove Numa dava appuntamento alla sua amica notturna, ora il bosco della sacra fonte e il tempio vengono affittati ai giudei, le cui masserizie sono solo un cestello e della paglia (infatti è stabilito che ogni arbito paghi un frutto all’erario, e così, cacciate le camene, la selva chiede l’elemosina). Sed: congiunzione dal valore spiccatamente avversativo che, rompendo con la precedente rassegna degli urbis incommoda, espressione del personale punto di vista dell’autore, avvia la descrizione della location. Dum: introduce una subordinata temporale il cui verbo è componitur. Come mai abbiamo una sovraordinata al tempo storico e una subordinata al tempo presente? Dobbiamo ricordare che dum nel senso di “mentre” regge sempre e solo il presente indicativo, indipendentemente dal tempo della sovraordinata. — tota: aggettivo numerale, nominativo singolare. — domus: domus, domus, nominativo singolare. Tota domus si riferisce alla totalità delle masserizie di Umbricio, una totalità misera al punto che può essere caricata su di un solo carro. — componitur: indicativo presente in luogo dell’imperfetto, terza persona singolare di compōno compōnis, composui, compositum, compōnĕre. Instaura con il verbo al passato della sovraordinata un rapporto di contemporaneità. — una: avv. — raeda: ablativo singolare. Parola derivante dal celtico. Tota domus raeda una: i termini hanno una disposizione chiastica, atta a sottolineare la miseria di Umbricio. È pure presente un’allitterazione interposta variabile (dum tota domus). — substitit: indicativo perfetto terza persona singolare, subsisto, subsistis, substiti, subsistĕre. — ad arcus: arcus, arcus, accusativo plurale. ad + accusativo, complemento di moto a luogo. La legislazione romana stabiliva che, ad eccezione dei veicoli che trasportavano materiale edile per le costruzioni pubbliche, nessun carro poteva circolare in città dall’alba al tramondo, quindi i bagagli di Umbricio vengono caricati fuori dalle mura cittadine, nei pressi degli archi della porta Capena. — Capenam: accusativo singolare. La porta si apriva sulla via Appia, aperta nel 312 a.C. dal censore Appio Claudio Cieco, che prolungò fino a Capua il tracciato che univa Roma ai colli Albani. — hic: avv. “qui”. — ubi: avv. C’è un contrasto tra passato e 6 presente espresso dall’asindeto avversativo hic ubi…. nunc, in merito al fatto che Numa ha perduto la sacralità che godeva in passato. In questo luogo infatti un tempo erano state definite le norme e i riti della religio romana. Giovenale menziona Numa in modo regolare come emblema di un lontano passato di austerità e semplicità dei costumi. — constituebat: indicativo imperfetto terza persona singolare, constĭtŭo, constĭtŭis, constitui, constitutum, constĭtŭĕre. Non ha l’oggetto espresso ed è usato col significato assoluto di “dare appuntamento”. — amicae: dativo singolare. — nocturnae: aggettivo prima classe, dativo singolare. Allitterazione nella nasale (nocturnae Numa). L’aggettivo nocturnae è un’enallage, che consiste nell’utilizzare una parte del discorso diversa da quella che per logica ci saremmo attesi, infatti l’aggettivo equivale a una determinazione notturna. — nunc: avv. — nemus: nemus, nemoris, nominativo singolare. — sacri: aggettivo prima classe, genitivo singolare. — fontis: fons, fontis, genitivo singolare. — delubra: delubrum, i nominativo plurale. È un plurale poetico (uso del plurale per il singolare). — locantur: indicativo presente passivo terza persona plurale, loco, locare. — Iudaeis: Iudaei, Iudaeorum, dativo plurale. — quorum: genitivo plurale. — supellex: supellex, supellectis, nominativo singolare. — cophinus: nominativo singolare. — fenum: nominativo singolare. Il cesto e la paglia servivano a tener caldo il cibo per il sabato. Il fatto che gli Ebrei oziassero un giorno su sette (il sabato) era per i Romani inconcepibile. Nella XIV satira Giovenale lo dirà espressamente. All’epoca gli Ebrei erano stati una spina nel fianco per Roma per molti anni: Vespasiano e Tito avevano dovuto combattere per sconfiggere le loro sollevazioni durante ben quindici anni, fino a poi sconfiggere il tempio di Gerusalemme e cacciare gli ebrei. Inoltre Vespasiano per punire gli ebrei per tutti i soldi che Roma aveva consumato impose loro una tassa particolare (fiscus Iudaicus). Per questo motivo viene detto che gli ebrei stanziatisi nella zona del bosco e della fonte delle Camene pagavano l’affitto. Giovenale qui crea una metonimia degli alberi e del bosco, che diventano cioè personificazione degli ebrei: sono gli alberi stessi a pagare la tassa, e ormai la selva per colpa loro chiede l’elemosina. — enim: rinvia a locantur del v.13. — iussa est: indicativo perfetto passivo iubeor. Il verbo iubeo ha al passivo la costruzione personale, per cui il passivo personale “è comandato” si trasforma in un passivo impersonale “a qualcuno viene ordinato”. Iubeo è un verbum voluntatis che anticipa la subordinata completiva infinitiva (oggettiva), il cui verbo è pendere. — omnis: nominativo singolare. — arbor: nominativo singolare. C’è un iperbato forte: nel nesso nome-attributo, quando il nome o l’attributo sono spostati alla fine del periodo si parla di traiectio oppure rejet. — pendere: infinito presente di pendo, pendis, pependi, pensum, pendĕre. — mercedem: merces, mercedis, accusativo singolare. — populo: populus, i, dativo singolare. — et: congiunzione conclusiva “e così”. È un e intensivo poichè ha un significato preciso. — eiectis: participio perfetto di ēĭcĭo, ēĭcis, eieci, eiectum, ēĭcĕre. Eiectis Camenis: ablativo assoluto.— silva: nominativo singolare. — mendicat: indicativo presente, terza persona singolare di mendico, are. PROPOSIZIONI INFINITIVE La prop. infinitiva ha il soggetto all’accusativo e il verbo all’infinito. La prop. infinitiva soggettiva completa la sovraordinata costituendone il soggetto. Es. è bello che tu legga un libro. Si ha dopo: - Verbi impersonali, quali opus est “bisogna”, decet “si addice”, licet “è lecito”, interest “importa” e con le forme passive dei verbi “dire, dichiarare, tramandare” usate impersonalmente, come nuntiatum est, traditum est. - Locuzioni impersonali costituite da una voce del verbo sum in unione con un aggettivo neutro (verisimile est) o con un sostantivo (mos est) o con un genitivo di pertinenza (patris est “è proprio della patria”). NB. Alcune espressioni come mos est, lex est, oportet, necesse est ammettono anche una completiva espressa al congiuntivo, con o senza ut: est mos hominum, ut nolint eundem pluribus rebus excellere. “È costume degli uomini non volere che la stessa persona eccella in più cose”. La prop. infinitiva oggettiva completa la sovraordinata costituendone il compl. oggetto. Es. vedo che ti diverti. Si ha dopo: - Verba sentiendi (sentio, animadverto, accipio,, comperio, intellego, cognosco, arbitror, censeo, credo, puto). - Verba dicendi/declarandi (dico, aio, affirmo, confirmo, nego, respondeo, confiteor, nuntio, scribo, minor). - Verba voluntatis (volo, nolo, malo, cupio, opto, studeo, iubeo, veto, prohibeo, statuo, constituo). - Verba affectum (gaudeo, laetor, glorior, miror, admiror, doleo, queror, conqueror). La prop. infinita epesegetica “esplicativa” serve a completare la sovraordinata svolgendo un ruolo affine a quello dell’apposizione, ossia spiegando un pronome neutro anticipato in prolessi come hoc o illus, un sostantivo o un avverbio come sic o ita. Es. Illud perlibenter audivi, te esse Caesari familiarem. “Questo ho sentito dire con enorme piacere, che tu sei amico di Cesare”. In italiano la prop. infinitiva si può rendere in forma esplicita o implicita. In forma esplicita - L’infinitiva si introduce con che; - L’accusativo diventa soggetto; 7 dum superest Lachesi quot torqueat et pedibus me porto meis nullo dextram subeunte bacillo. Traduzione: Qui allora Umbricio disse: dal momento che a Roma non c’è alcun posto per i mestieri onesti, nessun posto per le fatiche, (dal momento che) il patrimonio di oggi è minore di quanto sia stato ieri, e quello stesso domani raschierà via qualcosa dal poco che resta, intendiamo andare lì, dove Dedalo depose le ali stanche, fintanto che la canizie è recente, e fintanto che agli inizi la vecchiaia è dritta, e finché a Lachesi rimane da filare ed io mi porto sui miei piedi senza che nessun bastoncino vada sotto la mia destra. Hic: avv. — tunc: avv. — Umbricius: nominativo singolare. — inquit: verbo difettivo, indicativo perfetto teza persona singolare. — quando: avverbio con valore causale. Ha valore temporale nelle frasi interrogative e valore causale nelle frasi affermative. — in urbe: ablativo di stato in luogo. — nullus: aggettivo di prima classe, nominativo singolare. — locus: nominativo singolare. — honestis: aggettivo di prima classe, ablativo plurale. — artibus: ablativo plurale. Il sintagma nominale honestis artibus indica genericamente le professioni moralisticamente ritenute oneste, come l’attività clientelare, la sola che Umbricio ritiene onorevole, a patto che venga svolta nel rispetto delle tradizioni romane, e in generale le professioni liberali e intellettuali. — nulla: nominativo plurale. La ripetizione in anafora (stesso termine a inizio membro), con poliptoto (prima lo troviamo al nominativo maschile singolare, poi al nominativo neutro plurale), dell’aggettivo negativo (nullus… nulla) conferiscono una maggiore coloritura espressiva al contesto. — emolumenta: nominativo plurale. Questo è un termine tecnico e non poetico che indica, soprattutto in contesti legali, un vantaggio o un beneficio di ordine finanziario e di solito è accompagnato da un genitivo. Si nota pure la ripetizione dei fonemi /u/ e /o/, che fornisce al verso un velo di cupa oscurità (nullus in urbe locus, nulla emolumenta laborum). — laborum: genitivo plurale. — res: nominativo singolare. Sta per res familiaris. — hodie: avv. “di oggi”. — est: indicativo presente terza persona singolare. — minor: aggettivo comparativo. — quam: introduce il secondo termine di paragone: fuit here. — fuit: indicativo perfetto terza persona singolare. — here: avv. “ieri”. Ieri in latino si poteva dire here o heri (in italiano diciamo ieri).— atque: cong. — eadem: idem, eadem, idem, pronome dimostrativo, nominativo femminile singolare. Si riferisce a res. — cras: avv. “domani”. — deteret: congiuntivo imperfetto terza persona singolare dētĕro, dētĕris, detrivi, detritum, dētĕrĕre. Ha valore attivo: il patrimonio non viene rappresentato mentre viene decurtato ma è il patrimonio che decurta se stesso. Quindi è il patrimonio stesso a raschiare qualcosa da quel poco che già c’era prima. — aliquid: aliquis, aliquid, pronome indefinito, accusativo singolare neutro. — exiguis: aggettivo prima classe, ablativo complementare retto dalla preposizione de di detere, laddove de significa “via dalle cose esigue”. Ha valore sostantivato nel senso di rex esiguae. Il significato generale del periodo è questo: “i soldi di oggi sono meno di quelli di ieri e di più di quelli di domani”. — proponimus: indicativo presente prima persona plurale, prōpōno, prōpōnis, proposui, propositum, prōpōnĕre. — ire: infinito presente eo, is, itum, ire. — illuc: avv. Per ossitonia secondaria si pronuncia illùc (da illuce). — Dedalus: nominativo singolare. Dedalo, rinchiuso da Minosse nel labirinto che egli stesso aveva costruito a Creta per nascondervi il Minotauro, riesce a fuggire insieme a Icaro dopo aver costruito delle ali di cera. Se tuttavia Icaro arriva fin troppo vicino al sole, si scioglie e precipita in mare, morendo, Dedalo, invece, giunge salvo a Cuma e lì, appena arrivato, vuole ringraziare Apollo, per cui consacra le ali che lo avevano condotto in salvo e fonda sul luogo un santuario in onore di Apollo. Questa pericope giovenaliana è tributaria di Virgilio 6, 14, 19. Nel momento in cui Umbricio si trasferisce a Cuma e richiama alla memoria la precedente storia di Dedalo, mette in scena una vera e propria similitudine tra le due storie: la Roma di Umbricio diventa il labirinto di Dedalo, una prigione mostruosa nella quale si rischia di perdere anche se stessi. Ne consegue che Roma è descritta come città mostruosa e feroce. — exuit: indicativo perfetto terza persona singolare exŭo, exŭis, exui, exutum, exŭĕre. — alas: accusativo plurale. — fatigatas: agg. participio perfetto accusativo plurale di fatigo, fatigare. Depose le ali affaticate è un’ipallage, figura retorica che consiste nel riferire un attributo a un termine diverso da quello a cui appartiene logicamente. Infatti in realtà dobbiamo intendere: Dedalo, stanco, depose le ali. Il participio stanco con valore aggettivale anziché riferirlo a Dedalo, Giovenale lo fa riferire alle ali. Questa ipallage personifica le ali, quindi si parla di ipallage personificante. Si parla di enallage quando si usa una parte del discorso invece di un’altra: “corro veloce” è un esempio di enallage poichè sto usando un aggettivo, veloce, al posto di un avverbio, velocemente. Si parla di ipallage, invece, quando riferisco una stessa parte del discorso a un termine diverso quello che per logica andrebbe riferito: “Dedalo depose le ali affaticate”, anzichè “Dedalo, stanco, depone le ali”. Un’altra posizione, però, parla di enallage in entrambi i casi. — dum: vv. 26-28 triplice anafora di dum, forte generatore di pathos. — canities: canities, canitiei, nominativo singolare. — nova: aggettivo di prima classe, nominativo femminile singolare. Qui c’è l’ellissi del verbo sum, laddove l’ellissi del verbo è un altro strumento tipico per rendere l’indignatio. — prima: avv. — senectus: senectus, senectutis, nominativo singolare. Personificazione di una vecchiaia che è retta.— recta (est): aggettivo participio perfetto di rego, rĕgis, rexi, rectum, rĕgĕre. — superest: indicativo presente terza persona singolare, supersum, superes, superfui, superesse. — Lachesi: dativo singolare. — quot: agg. indefinito. — torqueat: congiuntivo presente, terza persona singolare di torquĕo, torques, torsi, tortum, torquēre. Con questa espressione Giovenale essenzialmente sta dicendo: finchè mi resta un po di vita prima che sia troppo tardi (la parte che resta del filo da filare). — porto: indicativo presente prima persona singolare. Porto vuol dire “trasportare”, ferre è 10 più generico perché vuol dire “portare”. — me: ego, mei, pronome personale accusativo singolare. — meis: ablativo plurale. — pedibus: pes, pedis, ablativo plurale. — nullo: aggettivo prima classe, ablativo singolare. — bacillo: bacillum, i, ablativo singolare. — subeunte: participio presente, subiens, subeuntis, ablativo singolare, da subeo, subis, subii, subitum, subire. Nullo bacillo subeunte: abl. ass. con valore di circostanza concomitante, cioè oscillante tra valore temporale e causale. — dextram: accusativo singolare. vv. 29-33 Giovenale si scaglia contro gli arricchiti che, partendo da un livello sociale infimo, hanno saputo farsi strada grazie alla loro abilità di trasformare il nero in bianco, arricchendosi cioè mediante mestieri da poco e infimi. Si avvia una serie di lavori configurabile come climax ascendente: si parte da mestieri più dignitosi, fino ad arrivare a quelli più spregevoli. Cedamus patria. Vivant Artorius istic et Catulus, maneant qui nigrum in candida vertunt, quis facile est aedem conducere, flumina, portus, siccandam eluviem, portandum ad busta cadaver, et praebere caput domina venale sub hasta. Traduzione: Andiamocene dalla patria. Vivano lì artorio e Carlo, restino quelli che trasformano il nero in bianco, quelli per i quali è facile prendere in appalto templi, fiumi, porti, clocahe da sporgare, cadaveri da portare al rogo e offrire la testa in vendita all’asta. Cedamus: congiuntivo esortativo, cēdo, cēdis, cessi, cessum, cēdĕre. — patria: ablativo di allontanamento. Il primo emistichio del v. 29 ci ricorda un verso di Verg., Bucoliche, 1,4 nos patria fugimus. L’uso di patria in Giovenale si riferisce non all’impero nel suo complesso ma alla città di origine vera e propria. — Vivant: congiuntivo esortativo, vīvo, vīvis, vixi, victum, vīvĕre. —istic: avv. “lì”. — Artorius et Catulus: Artorius e Catulus erano forse due figure spregevoli note all’epoca di Giovenale, ma ora non più identificabili. Il modello in questo caso è Ov., Metamorfosi 11, 314-315, candida de nigris et de candentibus astra / qui facere adsuerat. (Si era abituato a trasformare in bianco il nero e le cose candide in oscure). — maneant: congiuntivo esortativo, mănĕo, mănes, mansi, mansum, mănēre. Gli esortativi reggono due subordinate relative (qui vertunt… ; quis facile est… ). — qui: nominativo plurale, introduce la subordinata relativa (dovrebbe essere: ii qui “quelli che”). — vertunt: indicativo presente terza persona plurale di verto, vertis, verti, versum, vertĕre. — nigrum: niger, i, accusativo singolare. — in candida: ablativo singolare di stato in luogo figurato. — aedem: singolare collettivo. — quis: sta per ii quibus (coloro per i quali) laddove il determinativo ii è assorbito dal relativo quibus. Dativo plurale di qui, quae, quod. — facile: facilis, e, nominativo singolare. — est: indicativo presente. — conducere: infinito presente di condūco, condūcis, conduxi, conductum, condūcĕre. “Prendere in appalto”. — aedem: aedes, is singolare collettivo, accusativo singolare. Il verbo regge tutta la serie di mestieri sgradevoli che Umbricio sta per elencare. — flumina: accusativo plurale. Questo sostantivo si riferisce alla pulitura del tetto dei fiumi. In Gell., Notti Attiche 11, 17, 3 si parla di quelli che hanno preso in pubblico appalto le pulizie dei fiumi. I Romani erano molto attenti a pulire ogni residuo dai tetti dei fiumi, poiché se non vengono puliti periodicamente possono causare le inondazioni, per esempio. — portus: accusativo plurale. Il termine fa riferimento al dragaggio dei porti, mestiere molto spiacevole, — eluviem: eluvies, eluviei, accusativo singolare. È un sostantivo astratto, indica il contenuto che viene trasportato nelle cloache. — siccandam: gerundio da sicco, siccare. Bisognava in sostanza purgare le fogne. Qui si allude alla purgatio cloacarum, che per Traiano era considerata una pena e affidata per questo ai condannati. — cadaver: nominativo singolare. — portandum: gerundio acccusativo, porto, portare. — ad busta: accusativo plurale (rogos). Giovenale si riferisce ai cosiddetti libitinarii, gli addetti alle pompe funebri e quindi coloro che, grazie al contratto di appalto potevano organizzare i funerali. Il loro nome deriva da quello di Libitina, cioè la dea della sepoltura. Anche questo lavoro risultava sgradevole, contrariamente nel Satiricon di Petronio è considerato una honesta negotiatio. Giovenale presuppone come normali le sepolture per incinerazione; a Roma per tutta l’età repubblicana fino a questi anni era una pratica usuale. Dall’età di Adriano, pochi anni dopo,d iventa usuale l’inumazione e infatti cominciano a svilupparsi anche nell’arte i sarcofagi. L’espressione ha dato filo da torcere agli interpreti: la giusta interpretazione è quella della Manzella: il riferimento è all’auctoratio: un uomo libero se aveva problemi economici poteva diventare auctoratus, cioè gladiatore, e andare a combattere esattamente come facevano gli schiavi. A fare i gladiatori infatti non erano solo gli schiavi, ma anche uomini liberi che facevano questa scelta per guadagnare qualche soldo in assenza di altre possibilità. Il mondo dei gladiatori per Giovenale è il più infimo e per questo è collocato alla fine dell’elenco. — praebere: infinito presente praebĕo, praebes, praebui, praebitum, praebēre. Il verbo ha come oggetto caput, come predicativo venale. — caput: caput, capitis, accusativo singolare. Il significato letterale è testa, ma vuole dire vendere se stessi. — venale: venalis, e, aggettivo seconda classe, nominativo neutro singolare, funge da predicativo di praebere. (Offrire la testa come 11 venale = offrire la testa in vendita). — sub hasta: ablativo singolare, sub+ablativo “ai piedi di”. — domina: ablativo singolare. vv. 34-40 I versi aprono uno spiraglio sul passato di questi pessimi homines, ricostruendo, nelle tappe fondamentali, la loro carriera: da suonatori di corno (cornicines), a coloro che offrono spettacoli pubblici. Essi avevano cominciato la propria carriera presso le compagnie di lanisti. Il lanista era un impresario, cioè l’allenatore delle compagnie di gladiatori, che erano spesso itineranti, andavano cioè di municipio in municipio e possedevano anche dei suonatori di corno. Ne consegue che questi suonatori erano conosciuti in tutti i borghi e grazie a questo mestiere avevano raggiunto il censo da cavaliere: potevano organizzare spettacoli gladiatori e, se richiesto dal popolo, uccidere. Nei versi 39-40 Giovenale accenna al cosiddetto locus de fortuna, un antico luogo comune, ampiamente sfrutttato dai retori e relativo alla mutevolezza della sorte: la fortuna spesso si diverte ad aiutare chi non lo merita e a colpire chi ovviamente non lo merita, capovolgendo l’ordine normale delle cose. Quondam hi cornicines et municipalis harenae perpetui comites notaeque per oppida buccae munera nunc edunt et, verso pollice vulgus cum iubet, occidunt populariter; inde reversi conducunt foricas, et cur non omnia? Cum sint quales ex humili magna ad fastigia rerum extollit quotiens voluit Fortuna iocari. Traduzione: Questi, un tempo suonatori di corno, presenze fisse dell’arena municipale, abituali accompagnatori, e bocche note per tutti i borghi, adesso offrono spettacoli pubblici e, quando il popolo lo ordina con il pollice verso, uccidono in modo da piacere ad esso; tornati da lì, prendono in appalto latrine, e perché non tutto il resto? Essendo di quelli che dal basso la fortuna eleva ai più grandi successi, ogni volta che ha voluto scherzare. Hi: pronome dimostrativo, nominativo plurale. — quondam: avv. “un tempo”. — cornicines: cornicen, cornicinis, nominativo plurale. — perpetui: nominativo plurale. — comites: nominativo plurale, comes, comitis. — municipalis: genitivo singolare. — harenae: genitivo singolare. — buccae: nominativo plurale. Si riferisce ancora a cornicines. — notae: nominativo plurale. — per oppida: oppidum, i, accusativo singolare, moto per luogo. Il sostantivo indica il borgo, la piccola città provinciale. — nunc: avv. “ora”. L’avverbio pone in evidenza ciò che questi ex-musicisti ambulanti sono con il tempo diventati. — edunt: indicativo presente, terza persona plurale, edo, ēdis, edidi, editum, ēdĕre. — munera: accusativo plurale, munus, muneris “spettacolo gladiatorio”. — cum iubet: indicativo presente, terza persona singolare, iŭbĕo, iŭbes, iussi, iussum, iŭbēre, “ordinare”. Cum + indicativo subordinata temoporale. Cum vulgis iubet verso pollice: anastrofe ed enjambement: cum dovrebbe essere in prima posizione, ma per anastrofe (ed enjambement) è ritardato in quarta posizione. — vulgus: vulgus, vulgi, nominativo singolare. Il satirico pone l’accento sul peso dell’opinione popolare quando si trattava di decidere della vita o della morte di un gladiatore vinto ma non ancora colpito mortalmente: la decisione spettava di norma all’editor muneris che faceva appello al pubblico degli spettatori e dava poi il segnale al vincitore. — verso: participio perfetto di verso, versare, letteralmente vale “con il pollice capovolto”. — pollice: pollex, pollicis, ablativo singolare. Complemento di strumento. — occidunt: indicativo presente terza persona plurale occīdo, occīdis, occidi, occisum, occīdĕre; è un verbo causativo. — populariter: avv. “democraticamente, secondo il favore del popolo”. — reversi: aggettivo participio perfetto del deponente rĕvertor, rĕvertĕris, reversus sum, rĕverti — inde: avv. “di là”. — conducunt: indicativo presente terza persona plurale, condūco, condūcis, conduxi, conductum, condūcĕre. — foricas: fòrica, fòrice, “diarrea” (=latrine). Prendevano in appalto le latrine perché Vespasiano intervenne per mettere fine a questo fenomeno. Egli da un lato promosse la creazione di bagni pubblici, dall’altro dichiarò che lo stato doveva trarre profitto anche da questo, dunque diede l’appalto alle latrine, nacquero compagnie che si occupavano della loro manutenzione e introdusse addirittura una tassa sull’urina, che veniva raccolta e ritirata dalle botteghe dei tintori, che se ne servivano per il loro lavoro. Giovenale sta dunque criticando la presa in appalto dei “cessi”. — omnia: omnis, e, accusativo plurale. Et cur non omnia? Interrogativa retorica con l’ellissi del verbo. — cum sint: cum narrativo, congiuntivo presente da sum. — quales: pronome relativo “come” nominativo plurale. — rerum: res, rei, genitivo plurale. — ex humili: is, e, “basso”, ablativo singolare di moto da luogo. — fortuna: nominativo singolare. — extollit: extollo, is, extollĕre. — ad magna fastigia: accusativi plurali neutri, complemento di moto a luogo “ai più grandi successi”. Humili/magna: giustapposizione contrastiva basso/alto. — quotiens: avv. “ogni volta” introduce subordinata temporale quotiens voluit iocari. L’azione della subordinata è anteriore alla 12 participem qui te secreti fecit honesti; Carus erit Verri qui Verrem tempore quo vult accusare potest. Tanti tibi non sit opaci omnis harena Tagi quodque in mare volvitur aurum, ut somno careas ponendaque praemia sumas tristis et a magno semper timearis amico. Traduzione: Chi adesso è apprezzato se non colui che si fa complice e al quale palpitante il cuore ribolle per segreti nascosti che andranno sempre taciuti? Chi ti ha fatto partecipe di un onesto segreto, nulla pensa di doverti, non ti regalerà mai nulla, invece sarà caro a Verre colui che è in grado di accusare Verre in qualunque momento voglia. Ma tutta la sabbia dell’ombreggiato Tago e quel che di oro vi viene trasportato in mare, non valga per te tanto da far sì che tu resti privo di sonno ed accetti premi destinati a essere lasciati triste, e da far sì che tu sia sempre temuto da un amico potente. Quis: pronome interrogativo, introduce interrogativa retorica. — nunc: avv. “adesso”. — diligitur: indicativo presente passivo di dīlĭgo, dīlĭgis, dilexi, dilectum, dīlĭgĕre. — nisi: cong. “se non”. — conscius: aggettivo prima classe, nominativo singolare “complice”. — cui: pronome relativo, dativo singolare. — feruens: aggettivo participio presente da ferueo. — animus: animus, animi, nominativo singolare “cuore”. — aestuat: indicativo presente terza persona singolare di aestŭo, aestŭas, aestuavi, aestuatum, aestŭāre. — occultis: aggettivo participio perfetto da occulto, occultare., ablativo plurale. — et semper: cong. — tacendis: gerundio da taceo, taces, tacui, tacitum, tacere. — qui: pronome relativo, nominativo singolare. — fecit: indicativo perfetto di facio. — te: ego, mei, accusativo singolare. — partecipem: particeps, participis aggettivo seconda classe, accusativo singolare. — secreti: genitivo singolare. — honesti: genitivo singolare. — nil: nihil, nullus rei, accusativo singolare. — putat: indicativo presente terza persona singolare da puto, putare. — se: pronome personale. — debere: infinito presente da dēbĕo, dēbes, debui, debitum, dēbēre. — conferet: indicativo futuro semplice di confĕro, confĕrs, contuli, collatum, confĕrre. — umquam: avv. “mai”. — erit: indicativo futuro semplice. — carus: aggettivo prima classe, nominativo singolare. — Verri: Verres, Verris, dativo singolare. — qui: propnome relativo nominativo singolare. — potest: indicativo presente. — accusare: infinito presente. — Verrem: accusativo singolare. Poliptoto: Verri… Verrem.— quo: avv. “in qualunque momento”. — vult: indicativo presente terza persona singolare di volo. — omnis: omnis, e, nominativo singolare. — harena: nominativo singolare. — opaci: genitivo singolare. L’aggettivo opacus sta per “ombreggiato”, poichè il Tago corre tra i boschi, oppure per “torbido”, con il riferimento alle sue acque. — Tagi: genitivo singolare. — quod: nominativo singolare neutro. — aurum: aurum, i, nominativo singolare. Il Tago è il fume più lungo e importante della penisola Iberica, la cui acqua è ricca di pagiuzze d’oro (come attestato in numerose fonti). — volvitur: indicativo presente passivo di volvo, volvis, volvi, volutum, volvĕre. — in mare: mare, maris, ablativo di stato in luogo. — non sit: congiuntivo presente esortativo. L’uso di non in luogo di ne + congiuntivo sta nel colloquialismo, dunque nel fatto che in ambito romano a un certo putno l’uso di ne soccombe a favore di non. — tibi: pronome personale dativo singolare. — tanti: aggettivo prima classe, nominativo plurale. — ut: ha un valore consecutivo e regge i tre cingiuntivi: careas, sumas, timearis. — careas: congiuntivo presente seconda persona singolare di cărĕo, căres, carui, cărēre.— somno: somnus, i, ablativo singolare. — sumas: congiuntivo presente da sūmo, sūmis, sumpsi, sumptum, sūmĕre. — praemia: accusativo plurale neutro. — ponenda: gerundio con valore finale da pōno, pōnis, posui, positum, pōnĕre. — tristis: tristis, e, nominativo singolare. — timearis: congiuntivo presente passivo, timeor, da tĭmĕo, tĭmes, timui, tĭmēre. — amico: amicus, i, dativo singolare. — magno: aggettivo prima classe dativo singolare. vv. 58-66 Nei vv. 57-125 c’è una parte che si configura come una polemica xenofoba: Giovenale per bocca di Umbricio attribuisce la colpa dell’invivibilità di Roma agli stranieri provenienti dall’Oriente e dalla Grecia che raggiungono a Roma ricchezza e prestigio sociale, diventando per il nativo italico una minaccia sul piano professionale ed economico. In modo particolare i versi 58-60 consistono in una propositio, in una breve presentazione dell’argomento che si sta per trattare. Giovenale molte volte procede secondo questa maniera tipica delle scuole di declamazione: in questo modo spiega l’intenzione di enunciare chi siano questi stranieri che a Roma si arricchiscono. Lo stile è elevato ma anche indignato (la cifra caratteristica del primo Giovenale è infatti proprio l’indignatio). Un tratto di stile elevato è la clausola al v. 59 properabo fateri, sintagma epico e solenne; notiamo anche la ridondanza nec pudor obstabit. Ci sono anche vettori stilistici di indignatio, come l’ellissi del verbo reggente: quae gens nunc sit acceptissima nostris divitibus; quamvis quota portio faecis sunt Achei? Giovenale usa la metafora del Tevere, principale fiume della Siria, che diventa metaforicamente il simbolo della capitale. Così i costumi, la lingua e tutti gli elementi tipici ei popoli orientali si riversano nel Tevere, quasi contaminandone le acque e compromettendone la purezza. Comincia a elencare gli stranieri che secondo lui minacciano Roma, cominciando dall’Oriente e passando subito alla Grecia, intesa nel senso ampio 15 del termine. L’Oriente viene considerato fonte di mollezze individuabili nella musica, nella danza e nel sesso. Come simbolo dell’Oriente viene indicato il fiume principale della Mesopotamia, l’Oronte. Già il poeta ellenistico Callimaco nei suoi Inni aveva chiamato in causa l’Eufrate con un’immagine di tipo poetologico, relativa al fiume che porta con sè molte scorie. Properzio nell’Elegia 2. 3, 31-22 parla dell’Eufrate e dell’Oronte. Notevoli i tre enjambement che si susseguono ai vv. 62-65: l’assenza qui di una pausa forte ha a che fare con il fatto che il poeta è così indignato al punto che la sua indignazione non si può fermare. Quae nunc divitibus gens acceptissima nostris et quos praecipue fugiam, properabo fateri, nec pudor obstabit. Non possum ferre, Quirites, Graecam Urbem. Quamvis quota portio faecis Achei? iam pridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes et linguam et mores et cum tibicine chordas obliquas nec non gentilia tympana secum vexit et ad circum iussas prostare puellas. Ite, quibus grata est picta lupa barbara mitra. Traduzione: Quale sia oggi la gente più gradita ai nostri ricchi, e quali quelli che io soprattutto intendo fuggire, mi affretterò a dirlo, e il pudore non mi sarà d’ostacolo. Non posso sopportare, o Quiriti, una Roma greca. Eppure quanta porzione di questa feccia sono gli Achei? Già da un pezzo l’oronte di Siria si è riversato nel Tevere, ha portato con sé la lingua, i costumi e le arpe orientali insieme con i flautisti e pure i timpani della sua gente e le ragazze costrette a prostituirsi presso il circo. Andateci voi a cui è gradita una puttana barbara dal turbante variopinto. Quae (sit): pronome interrogativo nominativo singolare. — gens: nominativo singolare. — nunc: avv. “oggi”. — acceptissima: superlativo assoluto di acceptus, accepta, acceptum, nominativo singolare, participio perfetto di accipio. — nostris: aggettivo possessivo, dativo plurale. Allitterazione della nasale: nunc… nostris.— divitibus: aggettivo seconda classe, dives, divitis, dativo plurale. — quos: pronome interrogativo accusativo plurale. Anafora con poliptoto: quae…. quos — praecipue: avv. “specialmente”. — fugiam: congiuntivo presente di fŭgĭo, fŭgis, fugi, fugitum, fŭgĕre. — properabo: indicativo futuro semplice di propero, properare. Allitterazione: praecipue… properabo. — fateri: infinito presente del verbo deponente fătĕor, fătēris, fassus sum, fătēri. — pudor: nominativo singolare. — nec obstabit: indicativo futuro semplice da obsto, obstare. — non possum: indicativo presente di possum, potes, potui, posse. Duplice allitterazione della nasale e dell’occlusiva bilabiale sorda: nec pudor… non possum.— ferre: infinito presente di fero, fers, tuli, latum, ferre. — Quirites: Quiris, Quiritis, vocativo plurale. Sta a significare “cittadini romani” in generale, come discendenti di Quirino, cioè Romolo. — urbem: urbs, urbis, accusativo singolare. — graecam: aggettivo di prima classe accusativo singolare. — quamvis: avverbio con valore correttivo/avversativo “tuttavia, eppure” che introduce l’interrogativa. — quota: aggettivo di prima classe, nominativo singolre femminile. Allitterazione “a ponte della cesura”: quamvis… quota.— portio: portio, portionis, nominativo singolare femminile. Il poeta da un lato usa il termine elevato achei, dall’altro la forma quotidiana quota portio (a scapito della regolare forma poetica quota pars). — faecis: faex, faecis, genitivo singolare. Il termine è usato metaforicamente con intento spregiativo per definire la marmaglia degli immigrati. — iam pridem: avv. “già da un pezzo”. — Orontes: nominativo singolare. — Syrius: aggettivo prima classe, nominativo singolare. — defluxit: indicativo perfetto terza persona singolare di dēflŭo, dēflŭis, defluxi, dēflŭĕre. — in Tiberim: complemento di moto a luogo. — vexit: indicativo perfetto terza persona singolare di vĕho, vĕhis, vexi, vectum, vĕhĕre. — secum: cum+se, ablativo singolare, complemento di compagnia. — et linguam: accusativo singolare. — et mores: mos, moris, accusativo plurale “costumi”. — et chordas: accusativo plurale. — obliquas: aggettivo prima classe accusativo plurale. Con chordas obliquas s’intendono gli strumenti che prevedono che le corde siano disposte obliquamente rispetto al telaio. Questo era visto come elemento di deviazione rispetto agli strumenti canonici. — cum tibicine: tibicen, tibicinis, ablativo singolare complemento di unione, funge da singolare collettivo. — nec non: congiunzione che esprime un senso affermativo, introdotta nella poesia classica in forma separata da Cicerone (nec… non) e nella forma non separata da Varrone. Significa “nonchè” — tympana: accusativo plurale neutro. — gentilia: gentilis, gentile, accusativo plurale. Con tympana gentilia s’intende il tamburello usato dalla dea Cibele, tipico dei culti orgiastiche, cioè cerimonie a ritmo di musica in cui venivano elogiate divinità non canoniche, eccetto che per Dionisio. — et puellas: accusativo plurale. — iussas: aggettivo participio perfetto da iubeor. Iubeo è in latino un verbo transitivo, ne consegue che al passivo si costruire personalmente. — prostare: infinito presente di prosto, prostare, “mettere in vendita”. — ad circum: circus, circi, accusativo singolare “nei pressi di”. Per circum Giovenale intende il Circo Massimo, destinato alle corse dei carri; spesso presso il circo, e nei fornici in modo particolare, si sistemavano delle prostitute. — ite: imperativo presente di eo, is, ii, itum, ire, “andate a quel 16 paese”. Questo imperativo a inizio verso contrappone il verso corrente all’intera sequenza precedente: non a caso è marcato dalla cesura al primo trocheo e a inizio verso, che rimarca la potenza del concetto espresso dall’imperativo. — quibus: dativo plurale. — grata: aggettivo prima classe nominativo singolare. — est: indicativo presente. — lupa: nominativo singolare. Lupa indica la prostituta, cioè colei che è rapace e si avventa come un lupo. — barbara: aggettivo prima classe nominativo singolare. — mitra: ablativo singolare di qualità. Con questo termine i greci indicavano una fascia in tessuto, cuoio e metallo laminato che i guerrieri avvolgevano attorno ai fianchi a scopo difensivo, nonchè poi la fascia di lana o di tela che le donne utilizzavano per tenere ferma l’acconciatura. A Roma con questo termine s’indicava un originale e stravagante copricapo. — picta: aggettivo participio perfetto da pingo, pingis, pinxi, pictum, pingĕre. C’è iperbato che separa l’aggettivo picta dal sostantivo di riferimento mitra. vv. 67-72 Il focus passa subito sul mondo greco e su coloro che mantengono usanze greche, contaminando così Roma. Viene formulato un elenco geografico che comprende tutte le parti del mondo greco. Notiamo l’uso di una serie di grecismi tecnici tratti dalla vita quotidiana e al posto delle parole latine corrispondenti nel tentativo di stigmatizzare i concetti legati alle parole stesse. Quirino è il nome con cui Romolo fu divinizzato dopo la morte. C’è contrapposizione giocata su due livelli: livello immediato, basata sul contrasto tra il termine greco trechedipna e la parola latina Quirino e, sul livello metrico bisogna notare che -dipna realizza una cesura trocaica al quinto piede. Al sesto piede, invece, si trova l’emblema della mascolinità romana: Quirino, cioè Romolo. Un punto centrale in questo contesto è che per Giovenale i greci erano l’emblema dei cialtroni affemminati, mentre i romani emblemi di sanità e virilità. Primo esempio di mollezza dei greci è che vanno in giro indossando scarpe da banchetto e portano al collo degli amuleti di vittoria, indossati dagli atleti per indicare la vittoria. Il poeta prende in giro il fatto che gli atleti si ungessero, soprattutto coloro che partecipavano a gare di pugilato, nel tentativo di sfuggire alla presa dell’avversario. L’immagine del greco è ridicola e il ridicolo nasce, a livello lessicale, dall’accostamento di termini che afferiscono a realtà tra loro in contrasto: il mondo romano della campagna (rusticus, Quirinus) e quello opposto della palestra greca (ceromatico, niceteria), cui gli intellettuali guardano sempre con sospetto perché ritenuto alieno dall’impegno che si accompagnava agli esercizi sportivi romani, quali la caccia e l’equitazione, preopedeutici alle attività militari. Ceromaticus, trechedipna e niceteria sono un esempio di hapax assoluto in latino: si trovano solo in questo passo di Giovenale. Al v. 69 ha inizio l’enumerazione geografica: Sicione, città del Peloponneso, Amidone, città della Macedonia, Andro, isola delle Cicladi, Samo, isola delle Sporadi, infine Tralle e Alabanda, città della Caria (attuale Turchia). A queste si contrappongono due colli di Roma: Esquilino, in realtà un colle che ingloba tre alture, tra cui il principale Oppio, e il colle che prende il nome dal vimine. Questa è una perifrasi che serve sì a elevare lo stile ma che ha le sue ragioni nel fatto che il nome del colle in questione, Viminalis, è un cretico (lunga-breve-lunga), e in quanto tale non può far parte dell’esametro. Dunque i poeti per menzionare il colle Viminale dovevano necessariamente ricorrere a circonlocuzioni come questa: “colle che prende nome dal vimine”. Rusticus ille tuus sumit trechedipna, Quirine, et ceromatico fert niceteria collo. Hic alta Sicyone, ast hic Amydone relicta, hic Andro, ille Samo, hic Trallibus aut Alabandis, Esquilias dictumque petunt a vimine collem, viscera magnarum domuum dominique futuri. Traduzione: Quel tuo contadino si mette le scarpe da parassita, o Quirino, e porta al collo impomatato gli amuleti di vittoria. Questo, lasciata l’alta Sicione, quest’altro invece lasciata Amidone, questo Andro, quello Samo, questo Tralle o Alabanda, si dirigono verso l’Esquilino e al colle che prende nome dal vimine, destinati a essere le viscere e i padroni delle grandi case. Ille: nominativo singolare maschile. Il dimostrativo è qui utilizzato in senso temporale e con riferimento a un passato antico di perduta grandezza, sentito ora come irrecuperabile e irripetibile. — tuus: aggettivo possessivo nominativo singolare. — rusticus: nominativo singolare. — sumit: indicativo presente di sūmo, sūmis, sumpsi, sumptum, sūmĕre. — trechedipna: trechedipnum, i, accusativo plurale. — Quirine: vocativo singolare. — fert: indicativo presente terza persona singolare di fero, con il significato specifico di “portare addosso”. — collo: collus, colli, dativo singolare. — ceromatico: aggettivo prima classe, dativo singolare. — niceteria: niceteria, niceteriorum, plurale tantum, accusativo plurale neutro. Si pronuncia con l’occlusiva k (nicheteria). — Hic: nominativo singolare. — relicta: participio perfetto da relinquo, rĕlinquis, reliqui, relictum, rĕlinquĕre. — alta: epiteto epico per le città. — Sicyone: Sicyon, onis, ablativo singolare femminile. — Ast hic: ast usato in luogo 17 incisa nel cavo dell’oro dell’anello che ogni cittadino romano portava al dito. In queste operazioni si firmava in ordine decrescente di status sociale, dunque per un romano era una vergogna trovarsi a firmare dopo un greco. Rebcumbet è un termine che si riferisce alla cena romana e all’assegnazione dei posti a sedere, dettata da un’etichetta che teneva conto del prestigio economico e sociale di ciascun convitato, e che spesso era causa di liti e rancori. Anche nella cena il nativo romano correva il rischio di vedersi scavalcato da chi, a dispetto di una inferiorità razziale, aveva saputo guadagnarsi l’approvazione dei ricchi patroni. Inizialmente la tavola era quadrata, su tre dei quattro lati erano disposti dei letti conviviali, (i romani e anche i greci non usavano mangiare seduti ma semi distesi) chiamati, procedendo in senso antiorario, da destra verso sinistra, summus, medius e imus; ciascuno di essi comprendeva a sua volta tre posti, ciasciuno dei quali era separato da un cuscino: il posto d’onore era collocato di fronte al lato del tavolo lasciato libero per il servizio e dinnanzi al quale non vi era nessuno. Sin dal I secolo a.C. si cominciò a preferire una tavola rotonda, in cui i lecti furono sostituiti da un lectus unico detto sigma, che disegnava attorno alla mensa la sagoma di un ferro di cavallo e che poteva ospitare nove convitati; in questo caso i posti d’onore erano riservati alle due estremità. Il punto cardine è che Umbricio rifiuta l’idea che possa occupare nel banchetto un posto più illustre del suo uno che è stato advectus, cioè trasportato a Roma con lo stesso vento con cui si trasportano prugne e fichi. Le prugne arrivavano infatti dal medioriente e i fichi dalla Grecia e dall’oriente. — fultus: participio perf. di fulcĭo, fulcis, fulsi, fultum, fulcīre. Il termine occorre spesso in contesti conviviali e fa riferimento alla persona appoggiata al cuscino, dal momento che i romani usavano mangiare semi distesi appoggiati al cuscino. — toro: torus, i, ablativo singolare. Il termine indica lo strapunto che ricopre il telaio del letto. — meliore: aggettivo comparativo di bonus, ablativo singolare. — advectus: participio perfetto con valore congiunto di adveho, advĕhis, advexi, advectum, advĕhĕre. Il suo referente è ille. — Romam: complemento di moto a luogo. — eo: pronome determinativo, ablativo singolare. — vento: ablativo singolare maschile. Eo vento: complemento di strumento. — quo(advehuntur): pronome relativo, ablativo singolare. — pruna: prunum, i, nominativo plurale neutro. — cottana: cottana, orum, plurale tantum, nominativo plurale neutro. Il termine indica fichi piccoli e particolarmente dolci. La traduzione del v.83 è: trasportato a Roma con lo stesso vento con cui vengono trasportati prugne e fichi; inoltre l’intero verso è una perifrasi epicizzante, un sublime satirico, poichè sebbene formalmente costruita secondo i moduli dell’epica, serve a denigrare, ha cioè intento satirico. — usque: avverbio “fino a”. — adeo: avverbio “fino a là”. — nihil est: indicativo presente terza persona singolare di sum. Il soggetto di est è l’intera proposizione che segue: quod nostra infantia hausit caelum Aventini. La copula è est, nihil è il predicato nominale. — quod: congiunzione che assolve il determinativo eo (con lo sesso vento…). — nostra infantia: nominativi singolari femminili. — hausit: indicativo perfetto terza persona singolare di haurĭo, hauris, hausi, haustum, haurīre. — caelum: accusativo singolare neutro. — Aventini: Aventinum, i, genitivo singolare. È il più meridionale dei sette colli di Roma, connesso con la plebe di cui, specie in età repubblicana, fu sede privilegiata, poiché teatro della secessione del 494 conclusasi grazie a Menenio di Agrippa. — nutrita: participio passato di nūtrĭo, nūtris, nutrii, nutritum, nūtrīre. — bacca Sabina: ablativi singolari femminili, laddove bacca significa “oliva”. vv. 86-93 Nei vv. 86-108 notiamo sfruttrati gli elementi rientranti nella cosiddetta topica del colax, cioè dell’adulatore: c’era infatti una topica già elaborata dalla scuola di Aristotele che preveddeva la descrizione di una serie di aspetti e tratti dell’adulatore greco; già presente non a caso in un’operetta di Teofrasto, successore di Aristotele a capo della scuola peripatetica. Tale topica trova uno sviluppo anche nella tradizione successiva e viene anche prelevata dalla commedia. Giovenale mette a nudo un eufenismo ipocrita in relazione al rapporto di “amicizia” che il patronus e il cliens pensano di intrattenere l’uno nei confronti dell’altro, al punto da definirsi vicendevolmente “amici”. Il rapporto che esiste tra patronus e cliens è asimmetrico, invece l’amicizia di per sé richiede rapporto di parità. Si fa riferimento ai greci che non si fanno scrupoli nel prendere in giro la presunta eloquenza di patroni che in realtà sono ignoranti, la presunta bellezza e forza fisica di patroni che in realtà sono brutti e mezzi storpi, e la presunta armoniosità di voce di patroni che in realtà hanno la voce peggiore di quella di un gallo. Il patronus in tribunale, per esempio, doveva presentarsi di bello aspetto, ben curato, forte e dalla voce possente. L’adulatore fa leva dunque sulla vanità del patronus. Da questo punto di vista, il collo era uno dei simboli principali di forza. Si parlava di collo taurino (collo di toro): corto e robusto. Il contrario era un collo lungo e sottile, associato a debolezza e addirittura a deformità. L’adulatore quindi pone sullo stesso piano, equiparandoli, il collo lungo ed esile del patrono e quello tozzo e grosso di Ercole: la lusinga è falsa alle orecchie del pubblico, come una burla ai danni del patronus ingenuo, vittima dello scaltro adulatore e talmente sciocco da credere a tali menzogne. Quid quod adulandi gens prudentissima laudat sermonem indocti, faciem deformis amici, et longum invalidi collum cervicibus aequat Herculis Antaeum procul a tellure tenentis, 20 miratur vocem angustam, qua deterius nec ille sonat quo mordetur gallina marito? Haec eadem licet et nobis laudare, sed illis creditur. Traduzione: Che dire poi del fatto che gente espertissima nell’adulare loda l’eloquio di un illetterato, l’aspetto di un amico deforme, e paragona il lungo collo di un invalido alla cervice di Ercole che tiene Anteo lontano dalla terra, e ammira una voce esile peggio della quale non risuona neppure quello che da consorte becca la gallina? Anche a noi è concesso lodare queste stesse cose, ma a loro si crede. Quid quod: locuzione prosecutiva, serve a proseguire un discorso precedentemente interrotto che viene ora portato avanti. È una locuzione di natura ellittica poichè sta per quid dicam quod “che cosa dovrei dire in relazione al fatto che”, “che dire del fatto che”. Il quod ha valore di complemento di relazione. — gens: gens, gentis, nominativo singolare. Si riferisce ai greci. — prudentissima: superlativo di prudens, prudentis. — adulandi: genitivo del gerundio di adulo, adulare. Tale verbo in latino classico era usato in relazione ai cani che fanno moine, quindi con una connotazione negativa. Gens prudentissima adulandi: genitivo di relazione “gente espertissima in relazione all’adulare”. — laudat: indicativo presente terza persona singolare. — sermonem: sermo, sermonis, accusativo singolare. — indocti: indoctus, i, genitivo singolare maschile. — faciem: facies, faciei, accusativo singolare. — deformis: deformis, e, genitivo singolare maschile. — amici: amicus, i, genitivo singolare maschile. È il termine con cui viene indicato il patronus. — et aequat: indicativo presente, terza persona singolare di aequo, aequare. — longum: longus, a, um, accusativo singolare neutro. — collum: collum, i, accusativo singolare neutro. — invalidi: aggettivo di prima classe, genitivo singolare. — cervicibus: cervix, cervicibus, dativo plurale. Uso del plurale in luogo del singolare cervice per ragioni metriche. C’è contrapposizione contrastiva tra collum e cervicibus, dove il primo termine appartiene a un registro basso, il secondo invece a un registro alto. — Herculis: Hercules, is, genitivo singolare. — tenentis: participio presente riferito a Herculis, da tĕnĕo, tĕnes, tenui, tentum, tĕnēre. — Antaeum: Anteo, secondo la tradizione, era gigante figlio di Gea, la Terra, che faceva il brigante: costringeva i passanti a lottare con lui, li sconfiggeva e uccideva. Ercole secondo la tradizione lottò con lui, lo strinse sollevandolo dalla terra e così lo soffocò. L’effetto viene intensificato dall’allitterazione tellure tenentis. — procul: avv. “lontano”. — a tellure: tellus, telluris, ablativo singolare di moto da luogo. — miratur: indicativo presente del deponente mīror, mīrāris, miratus sum, mīrāri. — vocem: vox, vocis, accusativo singolare femminile. — angustam: aggettivo prima classa, accusativo singolare femminile “stridula, corta, misera”. — deterius: comparativo di deter. — qua: ablativo di causa efficiente, secondo termine di paragone. — nec sonat: nec è un intensito “neppure”; sonat: indicativo presente, terza persona singolare di sono, sonare. — ille: pronome dimostrativo “quello”. — quo: pronome relativo, ablativo singolare. — marito: maritus, mariti, ablativo singolare, predicativo rispetto a quo “in qualità di consorte”. — mordetur: indicativo presente passivo terza persona singolare di mordĕo, mordes, momordi, morsum, mordēre. — gallina: nominativo singolare. La costruzione dei vv. 90-91 è: deterius qua sonat nec ille quo marito gallina mordetur, “peggio della quale non risuona neppure quello dal quale come consorte viene rimossa la gallina”; riferimento al gallo e all’abitudine di tenere con il becco la gallina nel momento dell’accoppiamento. C’è però un gioco di parole relativo a Gallus sacerdote dei Galli, che erano castrati e avevano per questo voce stridula, e gallus animale. Da un lato si paragona la voce del patrone/amico a quella di un gallo animale; dall’altro lo si mette sullo stesso piano della voce di un Gallus sacerdote. Allitterazione apofonica: mordetur marito. — eadem: pronome dimostrativo con valore di “anche”. — nobis: dativo del pronome personale. — licet: verbo impersonale. — laudare: infinito presente. — haec: pronome dimostrativo, accusativo neutro plurale. — sed illis: pronome dimostrativo dativo plurale. — creditur: indicativo presente passivo terza persona singolare di crēdo, crēdis, credidi, creditum, crēdĕre. vv. 93-97 Si sta parlando della capacità dei greci di adulare: i greci che si intrufolano nelle famiglie romane sono più bravi di qualunque attore. Essi con la stessa disinvoltura con cui interpretano i più diversi ruoli, anche quelli femminili, risultando comunque credibili, assumono, sul palcoscenico della vita autentica, le più diverse personalità, secondo le circostanze e in accordo alla convenienza. Il riferimento di Umbricio va qui alle tre principali figure femminili della palliata, ovvero la commedia latina di ambientazione greca, vale a dire Taide, la cortigiana vissuta nell’Atene del IV sec a.C. e dotata di estrema bellezza, la moglie e Doride, l’ancella, la quale in scena non usava portare il mantello, bensì la tunica. In realtà qui c’è un gioco poichè Doride non ha addosso nessun mantello, nonostante sia un personaggio della palliata. An melior cum Thaisa sustinet aut cum uxorem comoedus agit vel Dorida nullo cultam palliolo? Mulier nempe ipsa videtur, 21 non persona, loqui: vacua et plana omnia dicas infra ventriculum et tenui distantia rima. Traduzione: C’è un attore più bravo quando interpreta Taide o quando impersona una moglie, o Doride di nessuna mantellina vestita? Sembra proprio che sia una donna vera, non una maschera a parlare. Diresti che al di sotto della pancetta tutto è sgombro e piatto e diviso da una sottile fessura. An: particella interrogativa equivalente al num delle domande retoriche. In età imperiale si afferma sempre più l’uso di an che conferisce un tono più forte ed esasperato alle domande retoriche. In questo caso è usata da sola al principio dell’interrogativa diretta semplice. — comoedus: nominativo singolare maschile. — melior: comparativo di maggioranza di bonus. Si riferisce a comoedus. — cum: cong. “quando”. — sustinet: indicativo presente terza persona singolare di sustĭnĕo, sustĭnes, sustinui, sustentum, sustĭnēre. Usato con il significato di “sostenere, interpretare”. — aut cum agit: indicativo presente terza persona singolare di ăgo, ăgis, egi, actum, ăgĕre. — uxorem: uxor, uxoris, accusativo singolare femminile. — cultam: participio perfetto di cŏlo, cŏlis, colui, cultum, cŏlĕre. Si riferisce a Dorida. — palliolo: ablativo singolare neutro di seconda declinazione. Indica un mantello di piccola taglia. — videtur: indicativo presente terza persona singolare del verbo deponente vĭdĕor, vĭdēris, visus sum, vĭdēri. — nempe: avv. “proprio”. — mulier: nominativo singolare. — ipsa: pronome dimostrativo nominativo singolare. — non persona: nominativo singolare femminile, significa in generale “maschera” ma è usato metonimicamente per indicare l’attore. Questo tipo di metonimia ci fa capire “persona” sia diventato in italiano “individuo”. — loqui: infinito presente del deponente lŏquor, lŏquĕris, locutus sum, lŏqui, retto da videtur “sembra parlare”. — dicas: dīco, dīcis, dixi, dictum, dīcĕre, congiuntivo potenziale espresso con un tu generico: “tu potresti dire”. — omnia: accusativo plurale neutro. — infra: prep. di luogo “al di sotto di”. — ventriculum: accusativo singolare neutro, seconda declinazione. — vacua: accusativo plurale neutro. — plana: accusativo plurale neutro. — distantia: participio presente di disto, distas, distare, accusativo neutro plurale. Vacua, plana e distantia si riferiscono tutti a omnia. — tenui: tenuis, tenue, aggettivo di seconda classe, ablativo singolare femminile. — rima: ablativo singolare femminile, sta per “fessura”. vv. 98-103 I personaggi che vengono menzionati nei vv. 98-100 sono attori famosi al tempo. Di questi, abbiamo traccia solo di Stratocle e Demetrio, dei quali Quintiliano nell’Institutio Horatoria 11. 3. vv. 178-179 ne parla come “massimi attori sotto Domiziano”. Di Stratocle il retore ricorda la dolcezza della voce e il modo di ancheggiare; di Demetrio ricorda invece il modo di correre, l’agilità e la fragorosa risata. Giovenale continua con la critica del presente attraverso esempi tratti da un passato in realtà non troppo remoto. Nec tamen Antiochus nec erit mirabilis illic aut Stratocles aut cum molli Demetrius Haemo: natio comoeda est. Rides, maiore cachinno concutitur; flet, si lacrimas conspexit amici, nec dolet; igniculum brumae si tempore poscas, accipit endromidem; si dixeris “aestuo”, sudat. Traduzione: E tuttavia lì, fra i greci, non potrà destare meraviglia Antioco, Stratocle o Demetrio con l’effeminato Emo: è una razza di commedianti. Tu ridi, quello è squassato da una risata più forte; piange, se le lacrime dell’amico ha visto, né tuttavia soffre; se nella stagione della bruma tu chiedi un po’ di fuoco, lui si fa dare un mantello pesante; se dici “ho caldo”, lui suda. Nec tamen: cong. “e tuttavia”. La ripetizione poco dopo della congiunzione crea un’anafora (c’è anche anafora di aut). — illic: avv. “là”. — nec erit: indicativo futuro semplice terza persona singolare di sum. — mirabilis: aggettivo di seconda classe, nominativo singolare. Erit mirabilis: futuro di probabilità, usato da Giovenale perché , quando egli scrive, Demetrio e Stratocle sono già morti. (Esempio: Che sta facendo Giovanni? starà dormendo: “starà dormendo “non vuol dire che tra poco Giovanni dormirà, ma che in questo preciso momento sta dormendo). — cum molli: mollis, e, aggettivo di seconda classe, ablativo singolare di unione. — est: indicativo presente, — natio: natio, nationis, nominativo singolare. — comoeda: aggettivo di prima classe, nominativo singolare. Natio comoeda est: espressione famosa. Comoedus è di per sé usato come sostantivo “attore comico”, ma in questo caso è adoperato come aggettivo nel senso di “razza commediante”. L’uso di comoeda come aggettivo è un esempio di hapax, ricavato dal sostantivo comoedus. — rides: indicativo presente, seconda persona singolare di rīdĕo, rīdes, risi, risum, rīdēre. — concutitur: indicativo presente passivo terza persona singolare di concŭtĭo, concŭtis, concussi, concussum, concŭtĕre. — cachinno: ablativo singolare di 22 che viene spostato in seconda posizione quando la sua vera posizione è la prima. — resupinat: indicativo presente terza persona singolare di resupino, resupinare. Significa “far cadere all’indietro”, da Giovenale usato in senso metaforico con l’allusione all’atto sessuale. — aviam: avia, aviae, accusativo singolare. — amici: genitivo singolare e metonimia che sta a indicare il patrono. — volunt: indicativo presente terza persona plurale di volo. — scire: infinito presente di scĭo, scis, scii, scitum, scīre. — secreta: accusativo plurale. — domus: genitivo singolare. I manoscritti della vulgata non leggevano aviam, ma aulam nel senso di “palazzo”. In questo caso la traduzione è: “manda in rovina il palazzo dell’amico”. La lezione originaria però, conservata dal manoscritto P, presenta aviam. Così il verso appare come una interpolazione e per questo deve essere espunto. — timeri: infinito passato di tĭmĕo, tĭmes, timui, tĭmēre. vv. 114-118 Giovenale passa dal generale al particolare, illustrando l’assunto su cui Umbricio si sta soffermando, mediante un esempio specifico con nomi e cognomi, non del tempo presente in cui sta pubblicando le sue poesie, bensì dell’epoca precedente cioè dell’età di Nerone. Il riferimento è a un episodio del 66 d.C. il delatore stoico di cui si parla è Egnazio Celere, filosofo stoico di origine greca, nato in Asia Minore a Tarso (località culturalmente greca), il quale aveva falsamente denunciato Barea Sorano, una delle persone più in vista nella Roma del tempo. Era un nobile che si sforzava di seguire i dettami della filosofia stoica e aveva accolto Egnazio presso la propria abitazione, ecco perché Giovenale definisce Barea amico di Egnazio. Egnazio tuttavia fu autore di una delazione ai danni di Bareo: lo accusò falsamente di congiura contro l’imperatore Nerone. Bareo fu mandato così a morte e come ricompensa Egnazio ottenne un quarto delle sostanze di Bareo. Nei versi non è casuale l’accostamento di delator con amicum, teso a enfatizzare l’estrema gravità della colpa di Celere che testimoniò contro un uomo a cui era legato dal sacro vincolo dell’amicizia e da un rapporto di clientela. In questo modo il satirico spiega come i greci si insinuino nelle case dei potenti per impossessarsi dei propri beni per interessi strettamente personali. Et quoniam coepit Graecorum mentio, transi gymnasia atque audi facinus maioris abollae. stoicus occidit Baream delator amicum discipulumque senex ripa nutritus in illa ad quam Gorgonei delapsa est pinna caballi. Traduzione: E giacché è cominciata la menzione dei greci, metti da parte (passa oltre) i ginnasi e ascolta il delitto di un manto più autorevole (di un pezzo più grosso). Il delatore stoico ha ucciso l’amico e discepolo Barea, lui (il delatore), un vecchio, educato in quella terra sulla quale cadde la penna del cavallo nato dalla Gorgone. Et quoniam: cong. “e giacchè”. — coepit: verbo difettivo, indicativo perfetto terza persona singolare. — mentio: nominativo singolare. — Graecorum: Graecus, i, genitivo plurale. — transi: imperativo presente di transeo, transis, transii, transitum, transire. — gymnasia: accusativo plurale neutro. Il termine indica le pubbliche palestre ove i greci si addestravano nudi e unti, il che era assurdo per i romani; Giovenale nella sua ottica xenofoba e antigreca parla dei ginnasi come luoghi ridicoli. C’è qui un riferimento ai vv.67-68 dove Umbricio aveva fatto un’allusione sarcastica al mondo dell’atletica e della palestra. Si mettano ora da parte i ginnasi e le loro nefandezze, pur gravi che siano, e si predisponda l’animo a sopportare il racconto di delitti più gravi. — atque audi: imperativo presente di audĭo, audis, audii, auditum, audīre. — facinus: facinus, facinoris, accusativo singolare neutro. — abollae: genitivo singolare femminile. Il termine identifica un mantello originariamente grossolano che divenne poi con il tempo articolo di lusso decorato con porpora.— maioris: comparativo di magnus. — delator: nominativo singolare. — stoicus: aggettivo di prima classe nominativo singolare. — occidit: indicativo perfetto terza persona singolare di occīdo, occīdis, occidi, occisum, occīdĕre. — amicum: accusativo singolare.— discipulum: accusativo singolare. Giovenale usa questo termine perché Barea aveva ospitato Egnazio presso la propria abitazione quindi si supponeva che egli fosse una specie di maestro per Egnazio. — senex: senex, senis, nominativo singolare. Si riferisce a Egnazio. È apposizione di stoicus delator, a sua volta soggetto. — nutritus: participio perfetto di nūtrĭo, nūtris, nutrii, nutritum, nūtrīre. Il satirico aggiunge un particolare alla caratterizzazione del personaggio di Egnazio Celere, con l’indicazione del luogo in cui fu nutritus, nel senso di “educato”, cioè Tarso, centro di studi rinomato e sede di illustre scuole. — in illa ripa: ablativo singolare di stato in luogo. Il termine identifica la riva del fiume Cydnus, che scorreva attraverso la città di Tarso. Secondo la leggenda in questa zona cadde Pegaso, il cavallo alato nato dal collo della Gorgone Medusa dopo che fu decapitata da Perseo. — ad quam: pronome relativo, accusativo di moto a luogo. — delapsa est: indicativo perfetto del verbo deponente dēlābor, dēlābĕris, delapsus sum, dēlābi.— pinna: nominativo singolare femminile. Il termine significa “ala” e insieme a caballi si riferisce a Pegaso. — caballi: caballus, i, genitivo 25 singolare. L’ultimo verso è un esempio di deflazione satirica: lo stile è alto e ricercato, tuttavia l’ultima parola è tipica del linguaggio popolare: il termine standard per indicare il cavallo, infatti, è equos. — Gorgonei: genitivo singolare. vv. 119-125 Nei versi successivi fino al v.125 sono illustrate le conseguenze di un tale modo di procedere sul clientes romano. Se un potente ha come cliente un greco, per i romani quest’ultimo arriverà a garantirsi l’esclusiva, cioè la sua amicizia e i suoi benefici. Sono menzionati dei liberti, nessuno dei quali però risulta concretamente identificabile. Insomma ormai non c’è più tanto da aggiungere e Umbricio finsice per citare se stesso: se a Roma non c’è più posto per le arti oneste, è tempo di riconoscere che non c’è più posto neppure per il nativo romano, e come le attività truffaldine e sordide hanno reso impraticabile l’esercizio dei mestieri onesti, allo stesso modo i greci, naturalmente predisposti all’adulazione e all’inganno, hanno fatto fuori l’onesto cittadino romano. Il solo modo dunque per continuare ad essere romani e ad essere se stessi, è arrendersi all’esilio volontario. Non est Romano cuiquam locus hic, ubi regnat Protogenes aliquis vel Diphilus aut Hermarchus, qui gentis vitio numquam partitur amicum, solus habet. Nam cum facilem stillavit in aurem exiguum de naturae patriaeque veneno, limine summoveor, perierunt tempora longi Servitii; nusquam minor est iactura clientis. Traduzione: Non c’è posto qui (a Roma) per un romano, dove regna un Protogene o Difilo o Ermarco che per un vizio di razza giammai condivide l’amico, solo lo tiene per sé. Infatti una volta che abbia stillato nel credulo orecchio un po’ del veleno proprio della sua indole e della sua patria, io sono messo alla porta (sono scalzato dalla soglia), ecco venire meno gli anni di lungo servizio; in nessun luogo la rovina di un cliente conta meno. Hic: avv. “qui”. — non est locus: indicativo presente di sum; locus, loci, nominativo singolare. — cuiquam: pronome indefinito quisquam, quaequam, quidquam, dativo singolare. — romano: dativo singolare, apposizione di cuiquam. — ubi: avv. “dove”. — regnat: indicativo presente terza persona singolare. Il verbo assume una connotazione negativa “tiranneggiare”. — aliquis: pronome indefinito aliquis, aliquid, nominativo singolare. — Protegenes vel Diphilus aut Hermarchus: l’accumulo dei nomi di tali liberti esprime il senso di quella ingombgrante presenza straniera che soffoca il nativo romano fino a schiacciarlo. Un’indagine prosopografica rivela l’impossibilità di dare un’identità precisa ai seguenti nomi. Quanto al primo, colui che è nato per primo”, i commentatori sono concordi nel menzionare uno schiavo dell’imperatore Caligola, tale Protogenes, giustiziato da Claudio perché coinvolto nelle sanguinarie esecuzioni capitali perpetrate dal suo folle predecessore a danno della cittadinanza romana. Nulla invece sappiamo degli altri due. — qui: pronome relativo, nomintivo singolare. Si riferisce a aliquis protegenes vel Diphilus aut Hermarchus. — vitio: vitium, i, ablativo singolare di causa. — gentis: gens, gentis, genitivo singolare. Il nesso gentis vitio è di grande forza espressiva e ad esso il satirico affida l’idea di un difetto, di una colpa profondamente radicata in seno alla razza greca. — numquam: avv. “mai”. — partitur: indicativo presente del deponente partĭor, partīris, partitus sum, partīri. — amicum: accusativo singolare. — habet: indicativo presente di habeo. — solus: aggettivo numerale nominativo maschile singolare. Il nesso solus habet indica la tendenza dei greci ad incatenare il patronus in un rapporto esclusivo che non ammette aperture verso l’esterno. C’è qui un chiaro riferimento a Lucano 1. 290-291: partiri non potes orbem, / solus habere potes “codividere il mondo non puoi, averlo da solo puoi”. — nam cum stillavit: indicativo perfetto terza persona singolare di stillo, stillare. Cum+indicativo subordinata temporale. Giovenale ricorre qui al simplex pro composito, ossia all’uso del verbo semplice stillare in luogo del verbo composto instillare. — in aurem: auris, auris, accusativo singolare. — facilem: aggettivo di seconda classe, accusativo singolare. Facilem è un’ipallage personificante: significa “credulo” e si riferisce grammaticalmente all’orecchio ma logicamente a patronus. Ipallage consiste nel riferire a un termine quel che è proprio di un altro termine; è personificante perché dire che l’orecchio è credulo vuol presupporre che l’orecchio sia personificato. — exiguum: accusativo singolare. — de veneno: ablativo singolare neutro di seconda declinazione. Si tratta di un costrutto preposizionale in luogo del genitivo partitivo; avremmo infatti dovuto avere exiguum veneno. Il partitivo poteva esprimersi in tre modi: con il genitivo, con e/ex+ablativo e con e+ablativo. Di questi costrutti, nelle lingue romanze è prevalso de+ablativo, che dunque anticipa gli esiti romanzi. — naturae: genitivo singolare di pertinenza “proprio della natura”. — patriae(que): genitivo singolare di pertinenza “proprio della patria”. — summoveor: indicativo presente passivo di summovĕo, summoves, summovi, summotum, summovēre. Il termine assume il significato di “scalzare”. — limine: ablativo singolare. — perierunt: indicativo perfetto di pĕrĕo, pĕris, perii, pĕrire. — tempora: accusativo plurale neutro. — longi: aggettivo di prima classe genitivo 26 singolare. — servitii: genitivo singolare neutro. Tempora longi servitii: enjambement enfatizza la lunga durata del tempo in cui il cliens era stato a servizio del patronus. — nusquam: avv. “in nessun luogo”. — iactura: nominativo singolare femminile. — clientis: genitivo singolare. — est minor: minor, minus, aggettivo comparativo. I vv. 124-125 sono due proposizioni coordinate per asindeto: ego summoveor limine | tempora longi servitii perierunt, ove la prima è al presente, la seconda è al perfetto. In origine quelli che per noi sono i tempi latini non avevano valore temporale bensì aspettuale, indicavano cioè la qualità dell’azione, non il tempo dell’azione. Ci sono dei casi in cui sopravvivono residui dell’originaria valenza aspettuale. In latino per esprimere un comando si può ricorrere a due modi: il comando più garbato: noli/nolite + infinito (Esempio: noli falsum dicere“non dire cose false”); il comando più deciso: ne+congiuntivo perfetto (Esempio: “ne falsa dixeris” non dire cose false). Questo congiuntivo è di tipo auristico: mantiene l’originario valore istantaneo e auristico, a prescindere dal momento in cui l’azione si è svolta. In italiano l’idea di immediatezza si rende con ecco+infinito (Esempio: “ecco venire meno”). vv.126-130 Si apre la quarta sezione della satira, che occupa i vv.126-189 ed enumera le sofferenze di un pauper, non semplicemente di Umbricio. Il termine pauper richiede qualche precisazione. Esso corrisponde solo in parte al nostro “povero”, infatti colui che è privo di mezzi si definisce in latino con l’aggettivo inops, inopis. Pauper è un termine che ricopre più significati: indica sia colui che è privo di mezzi di sussistenza, sia colui che fa parte di una classe media (dei lavoratori salariati, artigiani, mendicanti) che non arriva a raggiungere il censo minimo richiesto per entrare nella classe dei cavalieri (400.000 sesterzi). Giovenale e Umbricio stessi sono pauperes, non inopses. Giovenale lamenta le fatiche del cliens costretto a svegliarsi ancor prima dell’alba per andare a fare salutationes al patronus. Consisteva nel porgere ad esso il proprio saluto, sebbene nella maggior parte dei casi non solo rispondeva appena al saluto ma addirittura non ricordava i nomi degli amici che numerosi attendevano nell’atrio: ciò rendeva necessaria la presenza del nomenclator, una sorta di schiavo che seguiva il padrone per suggerirgli il nome delle persone e al cui appello i clienti si facevano avanti per ricevere, in cambio del saluto, la sportula, cioè una gratificazione in denaro che con il tempo venne fissata a 6 sesterzi al giorno. La salutatio si faceva di solito in prima persona, tuttavia i potenti potevano mandare dei messi con il compito di svolgere la salutatio al posto loro. Il pretore si avvaleva del littore, funzionario incaricato di accompagnare il magistrato nelle uscite pubbliche: portava il fascio littorio, simbolo del potere del magistrato. Quod porro officium, ne nobis blandiar, aut quod pauperis hic meritum, si curet nocte togatus currere, cum praetor lictorem inpellat et ire praecipitem iubeat dudum vigilantibus orbis, ne prior Albinam et Modiam collega salutet? Traduzione: E inoltre (dico questo) per non lasciare illusioni a noi clienti, cosa conta qui il servigio di un povero, o cosa il suo merito, se di notte si deve curare di correre con addosso la toga quando il pretore dà fretta al littore e gli ordina di avviarsi a precipizio perché le vedove sono sveglie da un pezzo, affinché non sia il collega a salutare per primo Albina e Modia? Quod: cong. “e perciò”. — porro: avv. “inoltre”. — ne blandiar: indicativo futuro semplice del deponente blandĭor, blandīris, blanditus sum, blandīri. Il verbo si costruisce con il dativo: “blandire a qualcuno”. — nobis: nos, nostri, pronome personale dativo singolare. Ne nobis bldandiar è una subordinata finale negativa “affinché io non crei illusioni a noi” che dipende dalla sovraordinata sottintesa hoc dico; si tratta di un’ellissi tipica dell’oratoria e declamazione. — quod: qui, quae, quod, aggettivo interrogativo, nominativo singolare. — hic: avv. “qui”. — officium: nominativo singolare neutro. Il termine ha a che fare con l’ambito delle relazioni clientelari e indica azioni (es: salutatio) e obblighi per mezzo dei quali si realizza l’amicitia, che implica rapporto di reciprocità tra le due parti protagoniste del rapporto clientelare. — pauperis: pauper, pauperis, aggettivo seconda classe. — meritum: nominativo singolare neutro. Il termine indica il diritto alla stima, alla gratitudine e al compenso morale e materiale che spetta in seguito all’adempimento ai propri doveri, come la sportula nel caso del cliens. — si curet: congiuntivo presente terza persona singolare di cŭro, cŭras, curavi, curatum, cŭrāre. Curo+infinito. — currere: infinito presente di curro, curris, cucurri, cursum, currĕre. Si curet currere è una paranomasia. C’è inoltre l’allitterazione curet currere. — nocte: nox, noctis, ablativo singolare. — togatus: aggettivo di prima classe, nominativo singolare, predicativo di pauper “vestito ti toga”. Riferimento a Marziale 3. 46,1, che definisce la salutatio un’opera togata, ossia un lavoro portato avanti vestendo di toga. — cum inpellat: congiuntivo presente di inpello, inpellis, inpuli, inpulsum, inpellĕre. Cum narrativo con valore temporale, con il significato di “in un tempo in cui”, che sottolinea il contrasto morale-temporale tra un passato idealizzato e un presente degradato e corrotto: l’opposizione è stabilita tra l’età repubblicana, quando l’officium e il meritum di un cliente valevano ancora qualcosa, e l’età imperiale, in cui essi sono sempre compromessi 27 stata persa. Allora si gettò tra le fiamme e secondo la tradizione salvò la statua e divenne cieco a causa dell’atto erocio. Vengono poi menzionali tre elementi sulla base dei quali viene stimata la ricchezza di un individuo, vale a dire il numero dei servi, le eventuali proprietà terriere, il lusso della tavola. Gli ultimi due versi coincidono con una chiusa gnomica che sugella il concetto espresso e che sarà sviluppata meglio nei versi successivi. Giovenale ha qui presente un passo di Seneca, Epistola 115, 14, in cui si dice: ubique tanti quisque, quantum habuit, fuit. “Tutti chiediamo se uno sia ricco, nessuno se sia da bene”. E poi: “Dappertutto ognuno vale tanto quanto ha”. Si possono formulare giuramenti sugli altari più sacri, comunque si penserà che un povero non sia attendibile. Da testem Romae tam sanctum quam fuit hospes numinis Idaei, procedat vel Numa vel qui servavit trepidam flagranti ex aede Minervam: protinus ad censum, de moribus ultima fiet quaestio. “Quot pascit servos? Quot possidet agri iugera? Quam multa magnaque paropside cenat?” Quantum quisque sua nummorum servat in arca, tantum habet et fidei. Iures licet et Samothracum et nostrorum aras, contemnere fulmina pauper creditur atque deos dis ignoscentibus ipsis. Traduzione: Cita a Roma un testimone tanto pio quanto lo fu l’ospite della divinità del monte Ida, si faccia avanti o Numa o colui che salvò dal tempio in fiamme Minerva terrorizzata: [si verrà] subito al censo, l’indagine sui costumi si farà per ultima. “Quanti schiavi mantiene? Quanti iugeri di campo possiede? Con quanti piatti cena e di quale grandezza?” Quanto ciascuno di denaro conserva nella propria cassaforte, altrettanto ha anche di credito. Per quanto tu possa giurare, vuoi sugli altari dei Samotraci, vuoi sui nostri, si crede che un povero disprezzi i fulmini e gli dei con gli dei stessi perdonando. Da: imperativo presente di do, das, dedi, datum, dare. — testem: testis, testis, accusativo singolare. Da testem costituisce la protasi (si dabis testem) di un periodo ipotetico costruito mediante la coordinazione paratattica. — Romae: locativo di stato in luogo. — tam… quam: comparativo di uguaglianza. — sanctum: sanctus, i, accusativo singolare. Nel senso di “pio, virtuoso”. — fuit: indicativo perfetto terza persona singolare. — hospes: hospes, hospitis, nominativo singolare maschile. — numinis: numen, numinis, genitivo singolare. — Idaei: aggettivo di prima classe, genitivo singolare. — procedat: congiuntivo esortativo di prōcēdo, prōcēdis, processi, processum, prōcēdĕre. — vel Numa: Numa, ae, nominativo singolare. — vel qui: pronome relativo, nominativo singolare. — servivat: indicativo perfetto, terza persona singolare da servo, servare. — ex aede: aedes, aedis, ablativo di moto da luogo. — flagranti: aggettivo di seconda classe, genitivo singolare, da flagro, flagrare. — Minervam: accusativo singolare. — trepidam: aggettivo di prima classe, accusativo singolare. — protinus: avv. “subito”. — ad censum: census, census, accusativo singolare di moto a luogo. Protinus ad censum: c’è l’ellissi del verbo reggente, venietur “si verrà”. — quaestio: quaestio, quaestionis, nominativo singolare. — de moribus: mos, moris, ablativo di argomento. — fiet: indicativo futuro semplice di fĭo, fis, factus sum, fieri. — ultima: predicativo di quaestio. — quot: aggettivo interrogativo. — servos: accusativo plurale maschile. — pascit: indicativo presente di pasco, pascis, pavi, pastum, pascĕre. — iugera: iugerum, i, accusativo plurale neutro. — agri: genitivo singolare. — possidet: indicativo presente terza persona singolare di possĭdĕo, possĭdes, possedi, possessum, possĭdēre. Anaforza con zoccolo allitterante: quot p, quot p. — quam: avv. interrogativo. — multa: aggettivo di prima classe, ablativo singolare, “molti di numero”. — paropside: paropsis, paropsidis, ablativo singolare “piatto da portata”.— cenat: indicativo presente terza persona singolare. — et magna: aggettivo di prima classe, ablativo singolare “grandi di dimensioni”. La costruzione è: quam mlta et magna paropside cenat? Uso dei singolati in luogo dei plurali multis magnisque paropsidibus.— quantum: aggettivo interrogativo. — quisque: quisque, quaeque, quodque, pronome indefinito. — nummorum: nummus, i, genitivo plurale partitivo. — servat: indicativo presente di servo. — in sua arca: ablativo singolare di stato in luogo. — tantum: avv. “tanto”. — habet et fidei: fides, fidei, genitivo singolare partitivo “credibilità, fama, stima”. Et è intensivo. — licet: verbo intransitivo impersonale. Il verbo è usato con valore di congiunzione subordinativa, che introduce la proposizione concessiva “benché tu possa… “ — iures: congiuntivo presente seconda persona singolare iuro, iuras, iuravi, iuratum, iurare. È presente l’anastrofe: abbiamo iures licet anziché licet iures. — et… et: congiunzione correlativa “sia… sia”. — aras: accusativo plurale. Samothracum: riferimento ai Cabiri, servitori di Cìbele e ricordati come vendicatori e punitori delle false testimonianze e dei falsi giuramenti. — nostrorum: pronome possessivo genitivo plurale. — creditur: passivo di crēdo, crēdis, credidi, creditum, crēdĕre. In italiano il verbo si costruisce impersonalmente “si crede che” ma in latino il verbo ha una costruzione personale, per cui ha una costruzione di questo tipo: nominativo+infinito: “il povero è creduto disprezzare”. — pauper: pauper, pauperis, aggettivo di seconda classe, nominativo singolare. — 30 contemnere: infinito presente di contemno, contemnis, contempsi, contemptum, contemnĕre. — fulmina: fulmen, fulminis, accusativo plurale. Il fulmine è la punizione contro gli spergiuri. — atque deos: accusativo plurale. — dis: deus, dei, ablativo plurale. C’è poliptoto contrastivo deos dis, che consiste nella presenza di due casi diveersi dello stesso lessema deus. — ipsis: pronome dimostrativo ablativo plurale, concorda con dis. — ignoscentibus: aggettivo participio presente ignosco, ignoscis, ignovi, ignotum, ignoscĕre. Dis gnoscentibus ipsis è un ablativo assoluto di circostanza concomitante, laddove ipsis ha un uso intensivo, teso cioè a enfatizzare il soggetto dell’ablativo assoluto (dis). Sono dunque i ricchi a credere che gli dei perdonino il povero spergiuro, o perché, in fondo, non gli importa nulla di ciò che questi possa fare, o perché, comprensivi delle difficoltà in cui versa, hanno pietà di lui. Il duplice atteggiamento degli dei è incarnato dal poliptoto. vv. 147-153 Segue un altro spunto argomentativo tipico della fiolosofia popolare ellenistica. Emerge l’idea che il povero, oltre ad essere tale, è costretto a subire gli scherni che la sua povertà genera: il suo abbigliamento infatti suscita liralità dei signori; mentre passa con il suo mantello sporco e stracciato, con la sua toga sudicia e con le scarpe rattoppate alla meglio, si sente umiliato e oppresso sotto il peso dello sfarzo e della ricchezza altrui. Un riscontro è Orazio, che nelle Satire parla di uno sciattone che viene deriso perché la toga che indossa gli scende male lungo il corpo e perché il piede gli balla nelle scarpe: rideri possit eo quod / rusticius tonso toga defluit et male laxus / in pede calceus haeret… Emerge una differenza importante: in Orazio c’è mero riso, in Giovenale il riferimento al riso nasconde un tono polemico: emerge cioè l’indignatio di Umbricio, tipica di Giovenale. Segue una chiusa sentenziosa della seguente sezione, che ha un riscontro significativo in un filosofo vissuto tra IV e III sec. a.c, di nome Cràntore di Soli. Il filosofo dice: “nella vita non c’è sventura più crudele della povertà: difatti, quand’anche per natura tu fossi serio, ma povero, saresti oggetto di scherno”. All’interno di verso, dopo la dieresi bucolica del v.153 si snoda un nuovo spunto argomentativo: si tratta di una tipica tecnica giovenaliana dal momento che di solito la trattazione di nuovi argomenti si apre a inizio verso. Quid quod materiam praebet causasque iocorum omnibus hic idem, si foeda et scissa lacerna, si toga sordidula est et rupta calceus alter pelle patet, vel si consuto volnere crassum atque recens linum ostendit non una cicatrix? nil habet infelix paupertas durius in se quam quod ridiculos homines facit. Traduzione: Che dire poi del fatto che egli stesso offre a tutti materia e motivi di scherzi, se il mantello è sudicio e sdrucito, se la toga è un po’ sporca e una delle scarpe, laceratosi il cuoio, si apre, o se, cucito lo strappo, più di una cicatrice mostra il filo grossolano e recente? L’infelice povertà non ha in sé nulla di più duro del fatto che rende ridicoli gli uomini. Quid: quis, quid, pronome interrogativo. — quod: congiunzione con valore di relazione “in relazione al fatto che”. Quid dicam quod è una locuzione prosecutiva (vd. v.86). — hic: pronome dimostrativo, nominativo singolare. — idem: pronome determinativo, nominativo singolare. Hic idem è il soggetto della subordinata dichiarativa il cui verbo è praebet. Hic idem è un nesso pleonastico (vd. v.92). — praebet: indicativo presente terza persona singolare di praebĕo, praebes, praebui, praebitum, praebēre. — omnibus: omnis, e, dativo plurale. — materiam: accusativo singolare. — causas: accusativo plurale. — iocorum: iocus, ioci, genitivo plurale. Seguono tre subordinate condizionali (con anafora di si) che descrivono molteplici possibilità di manifestazione di povertà del pauper. Si lacerna (est): nominativo singolare femminile “mantello”. Si trattava di un mantello maschile originariamente proprio dei soldati ma poi divenuto d’uso presso i borghesi. Simile alla clamide greca, la lacerna era tenuta chiusa da una fibula che si appuntava sulla spalla o sul petto; era normalmente confezionata con tessuto spesso e pesante, in tinte scure e, provvista di un cappotto, era in genere utilizzata per ripararsi dal freddo e dalla pioggia. Ne esistevano anche versioni finissime in tessuto più leggero e dai colori sgargianti, talora costotissime. — foeda: aggettivo di prima classe, nominativo singolare femminile. — scissa: aggettivo participio perfetto, nominativo singolare femminile, da scindo, scindis, scidi, scissum, scindĕre. — si toga est: nominativo singolare femminile. Costume nazionale dei romani in età repubblicana e al principio dell’impero. Si trattava di un panno di lana bianca, rettangolare ma arrotondato agli angoli e tagliato a forma di semicerchio che richiedeva lavaggi frequenti: non riuscire a mantenerne il candore appariva un segno di sciatteria. — sordidula: diminutivo affettivo dell’aggettivo di prima classe sordidus, nominativo singolare femminile “sporco, sudicio”; ha funzione commiserante. Si noti il chiasmo: scissa lacerna / toda sordidula. — alter: alter, altera, alterum, pronome indefinito, nominativo singolare “uno dei due”. — calceus: celceus, calcei, nominativo singolare maschile. — patet: indicativo presente terza persona singolare, pătĕo, pătes, patui, pătēre. — rupta: 31 aggettivo participio perfetto, ablativo singolare, rumpo, rumpis, rupi, ruptum, rumpĕre. — pelle: pellis, pellis, ablativo singolare. Rupta pelle: ablativo assoluto. — vel si: cong. “oppure se”. — consuto: agg. participio perfetto, ablativo singolare, consŭo, consŭis, consui, consutum, consŭĕre. — volnere: volnus, volneris, ablativo singolare. Consuto volnere: ablativo assoluto. È metaforico l’uso di questo termine, usato in senso traslato con riferimento alla lacerazione di una delle scarpe. — non una cicatrix: cicatrix, cicatricis, nominativo singolare. La penultima sillaba di cicatrix è lunga per positio debilis. La cicatrice a cui si riferisce Giovenale non è altro che il segnale della riparazione dello strappo sulla scarpa, qualificato inizialmente come volnere (ferita). Giovenale ricorre a realizzare rapporti metaforici di questo tipo per conferire un’enfasi ironico-patetica ai suoi versi. — ostendit: indicativo presente terza persona singolare di ostendo, ostendis, ostendi, ostentum, ostendĕre. — linum: linum, lini, accusativo singolare neutro. — crassum: aggettivo di prima classe, accusativo singolare neutro. — atque recens: aggettivo di seconda classe, recens, recentis, accusativo singolare neutro. — infelix: infelix, infelicis, aggettivo di seconda classe, nominativo singolare. — paupertas: nominativo singolare femminile. — nil habet in se durius quam quod: “non ha in sé nulla di più duro del fatto che”. Durius è comparativo di maggioranza di durus, a, um; il secondo termine di paragone è introdotto da quam ed è la congiunzione dichiarativa quod. — facit: indicativo presente di facio. Il soggetto del verbo è infelix paupertas. — homines: accusativo plurale. — ridiculos: agg. di prima classe, accusativo plurale. vv. 153-159 Giovenale si scaglia contro la cosiddetta lex Roscia theatralis, così chiamata perché caldeggiata dal tribuno Lucio Roscio Otone nel 67 a.C. La legge stabiliva che nei teatri i senatori dovessero sedere nell’orchestra e che le prime quattordici file di un qualunque teatro romano fossero riservate a coloro dotati di un censo equestre, cioè non inferiore ai 400.000 sesterzi. Domiziano nell’ambito del suo progetto di restaurazione dei costumi della Roma più integra fece riapplicare in modo rigoroso questa legge, al punto che nei teatri vennero addirittura introdotti dei sorveglianti addetti ad assicurarsi che chi sedeva nelle prime quattordici file avesse il censo adatto. Segue un discorso diretto che assume le caratteristiche di un’etopea, cioè discorso che si immagina pronunciato in questo caso da uno dei sorveglianti. Il soggetto del verbo inquit non viene espresso, così i commentatori fanno supposizioni su colui che parla; secondo il professore queste potrebbero essere le parole di Otone stesso, dal momento che poi si legge: “così piacque allo sciocco Otone”. Nei vv.156-158 Umbricio svela l’origine dubbia di coloro che beneficiano del privilegio accordato dalla lex Roscia: sono i figli dei lenoni, dei banditori, dei gladiatori, meretrici ecc: gente spregevole che ha raggiunto il requisito patrimoniale della dignità equestre per mezzo di affari deprecabili ed è per questo indegna, priva di quelle doti morali e di quei requisiti richiesti, invece, nell’ordine equestre. Costoro erano colpiti dall’infamia, nome con cui si indicava una categoria generale di minoranza della capacità giuridica: erano interdetti dal rivestire le cariche pubbliche. Il v.159 presenta una constatazione che porta in sé il sapore della rassegnazione, insieme ad un’attribuzione di colpa a Otone, considerato l’autore della lex Roscia. “Exeat” inquit, “si pudor est, et de pulvino surgat equestri, cuius res legi non sufficit, et sedeant hic lenonum pueri quocumque ex fornice nati, hic plaudat nitidus praeconis filius inter pinnirapi cultos iuvenes iuvenesque lanistae”. sic libitum vano, qui nos distinxit, Othoni. Traduzione: “Se ne vada” dice “se c’è decenza: si alzi dal cuscino riservato ai cavalieri colui il cui patrimonio non è all’altezza della legge e siedano qui i figli dei lenoni (proprietari dei bordelli) da qualunque bordello siano nati, qui applauda il figlio elegante di un banditore tra i ragazzi azzimati di uno strappapenne e i ragazzi di un lanista”. Così piacque allo sciocco Otone che ci ha distinti (che ha messo tra noi delle distinzioni, barriere). Exeat: congiuntivo esortativo, da exĕo, exis, exii, exitum, exire. — inquit: verbo difettivo inquam; introduce il discorso diretto. — si pudor: pudor, pudoris, nominativo singolare. — est: indicativo presente terza persona singolare. Si pudor est: è forma cristallizzata “se esiste il pudore”. Si tratta di un appello al senso del decoro, ovvero alla consapevolezza di ciò che si conviene alle proprie condizioni. — et: in questo caso non è copulativo perché non introduce qualcosa di nuovo rispetto a ciò che precede ma, anzi, spiega ciò che precede. Ne consegue che ha funzione esplicativa/epesegetica e si può rendere in vari modi, in questo caso per esempio con i due punti: “se ne vada: si alzi dal cuscino dei cavalieri”. — surgat: congiuntivo esortativo da surgo, surgis, surrexi, surrectum, surgĕre; concorda con exeat. — de pulvino: ablativo singolare maschile di moto da luogo. 32 addirittura d’oro. Giovenale al v.169 riprende Virgilio, Georgiche 2. 167: Marsos pubemque Sebellam. Virgilio cita questi popoli come esempio di virtù guerriere. In Giovena l’antitesi tra realtà urbana e campestre è posta mediante il riferimento alle popolazioni italiche che agli occhi di Giovenale appaiono come le sole e ultime custodi della sobrità e semplicità di costumi che è stata la cifra più autentica della romanità. Giovenale cita quindi i Marsi, i Sabelli e i Veneti. I Marsi erano una delle popolazioni pià forti dell’Italia centrale: celebrati di solito per la loro forza bellica, associata con il dio Marte. I Sebelli invece erano un popolo stanziatosi nel territorio montuoso retrostante la Campania e comprendente Abruzzo e Molise. Altro elemento indicativo di contrasto è l’indumento, cucullus, semplificato con il cappuccio ruvido, cioè l’opposto della toga. Plinio il Giovane nelle Epistole 5. 6. 45 diceva che fuori Roma non c’era la necessitas togae, cioè non esisteva la necessità della toga. Invece da una serie di fonti sappiamo che a Roma c’era l’abitudine, da defunto e nella tomba di indossare il vestito d’abito migliore, cioè la toga. Fictilibus cenare pudet, quod turpe negabis translatus subito ad Marsos mensamque Sabellam contentusque illic Veneto duroque cucullo. Pars magna Italiae est, si verum admittimus, in qua nemo togam sumit nisi mortuus. Traduzione: Si prova vergogna nel cenare con i piatti di terracotta, cosa che negherai esser turpe se all’improvviso sarai trasportato presso i Marsi o alla tavola dei Sabelli, e contento lì di un cappuccio ruvido di lana veneta. C’è una gran parte d’Italia, a dire il vero, in cui nessuno indossa la toga se non da morto. Pudet: verbo impersonale, viene da pudeo, pŭdes, pudui, puditum, pŭdēre. — cenare: infinito presento da ceno. — fictilibus: ablativo strumentale neutro. È l’ablativo sostantivato dell’aggettivo fictilis, fictile. Dovremmo avere fictilia. La sostantivazione dell’aggettivo neutro è nel latino classico ammessa soltanto per i casi retti. Tuttavia già a partire dalla fine della repubblica la sostantivazione degli aggettivi neutri si trova anche per i casi obliqui. Il termine indica un tipo di vaso da tavola in argilla, dalla fattura grossolana, prodotto nei laboratori del ceto medio e contrapposto al lusso sfrenato delle tavole dei ricchi presso le quali l’argento, l’oro e il cristallo erano ormai diventati la norma al tempo di Giovenale. — quod: pron. relativo, nominativo singolare neutro. Si riferisce a fictilibus. — negabis: indicativo futuro semplice nĕgo, nĕgas, negavi, negatum, nĕgāre. — turpe: turpis, e, nominativo singolare neutro. — translatus: participio e congiunto dotato di valore ipotetico “se sarai trasferito”, da transfĕro, transfĕrs, transtuli, translatum, transfĕrre. Sta per si translatus eris. — subito: avv. “improvvisamente”. — marsos mensamque sabellam: accusativi di moto a luogo “presso i marsi o alla tavola dei Sabelli”. Subito Marsos mensam Sebellam: allitterazione a chiasmo: subito ad Marsos || mensamque Sebellam (con cesura eftemimere che pone in rilievo i due termini a cavallo della stessa). Infine l’enclitica -que ha valore disgiuntivo “presso i Marsi o alla tavola dei Sabelli”. — contentusque: participio perfetto di contendo, contendis, contendi, contentum, contendĕre. L’aggettivo sottolinea la serenità di un uomo che, dimenticatosi degli obblighi cittadini, si accontenta di ruvidi e rozzi abiti, in contrasto con il romano del v.165: pone l’accento sull’opposizione spaziale tra città e provincia, riconoscendo a quest’ultima, per la sua distanza dall’urbe, un valore aggiunto. — illic: avv. “là”. — cucullo: cucullus, i, ablativo singolare. Indica il cappuccio di lana che, poggiato sulla lacerna, copriva spalle e testa riparandole da vento e pioggia. — duroque: aggettivo di prima classe, ablativo singolare. Il termine si riferisce alla lavorazione grossolana della lana che doveva risultare piuttosto ruvida al tatto. — veneto: dalle fonti si ricava che, almeno fino al II sec. d.C., l’aggettivo venetus è un termine d’uso che compare in riferimento agli Azzurri, cioè una delle quattro fazioni del circo (insieme ai rossi, bianchi e verdi), che si contendevano il tifo degli spettatori in occasione delle corse dei carri) e così chiamati o perché i loro cocchieri, che indossavano una casacca di questo colore, erano di origine veneta, oppure perché i loro abiti provenivano dalla provincia veneta. Il termine è passato a indicare genericamente il blu scuro. In questo caso il termine, scritto in maiuscolo, si riferisce a un cappuccio di lana grezza e perciò “scuro”, “blu”, di media qualità (donde il successivo durus). — est: indicativo presente. — magna: aggettivo di prima classe, nominativo singolare. — pars: pars, partis, nominativo singolare. — Italiae: genitivo singolare. — in qua: doppio monosillabo in clausola (prep + pronome relativo) che risponde alla volontà di creare un effetto di varietà ritmica che imiti la libertà del linguaggio parlato. — nemo: nemo, neminis, pronome indefinito. — sumit: indicativo presente sūmo, sūmis, sumpsi, sumptum, sūmĕre. — togam: accusativo singolare. — nisi: cong. “se non”. — mortuus: aggettivo prima classe, nominativo singolare. — si admittimus: indicativo presente prima persona plurale admitto, admittis, admisi, admissum, admittĕre. — verum: verum, i, accusativo singolare. vv. 172-179 Giovenale per bocca di Umbricio delinea nei seguenti versi la vita in provincia. Il v.172 comincia dopo una dieresi bucolica. La formula si quando suggerisce che nella vita di provincia le feste non sono eventi che si organizzano normalmente, come invece a Roma; si tratta di eventi occasionali tanto che durante questi viene 35 celebrato il significato stesso della festa (ipsa maiestas). L’evento viene festeggiato in un teatro definito “erboso” poichè per lo scarso uso che veniva fatto del teatro, usava spontaneamente crescere l’erba. Ipsa dierum festorum herboso colitur si quando theatro maiestas tandemque redit ad pulpita notum exodium, cum personae pallentis hiatum in gremio matris formidat rusticus infans, aequales habitus illic similesque videbis orchestram et populum; clari velamen honoris sufficiunt tunicae summis aedilibus albae. Traduzione: Se qualche volta si celebra in un teatro erboso la solennità stessa dei giorni festivi e finalmente è tornata sulle scene la farsa già nota, allorché il bimbetto di campagna in grembo alla madre si spaventa al ghigno della pallida maschera, lì vedrai comunque abiti uguali, cioè l’orchestra e il popolo vestono allo stesso modo; quale veste dell’illustre carica bastano lì per i sommi edili delle tuniche bianche. Costruzione: si quando ipsa maiestas dierum festorum colitur theatro herboso tandemque exodium notum redit ad pulpita cum rusticus infans in gremio matris formidat hiatum pallentis personae, illic videbis habitus aequales et orchestram et populum similes; velamen clari honoris sufficiunt summis aedilibus tunicae albae. Si quando: avv. con valore indefinito nel senso di aliquando “se di tanto in tanto”. È protasi con verbi colitur e redit. L’apodosi ha il verbo videbis. — colitur: indicativo presente passivo di cŏlo, cŏlis, colui, cultum, cŏlĕre. — in theatro herboso: ablativo di stato in luogo. — ipsa: pronome dimostrativo, nominativo singolare femminile. — maiestas: maiestas, maiestatis, nominativo singolare femminile. — dierum: dies, diei, genitivo plurale. — festorum: aggettivo di prima classe, genitivo plurale. — tandemque: avv. “finalmente”. — redit: indicativo perfetto contratto di rĕdĕo, rĕdis, redii, reditum, rĕdire. — ad pulpita: pulpitum, i, accusativo plurale; è un plurale poetico, cioè plurale per singolare “palcoscenico”. — exodium: exodium, i, nominativo singolare neutro. — notum: aggettivo di prima classe, nominativo singolare. Exodium è propriamente un piccolo spettacolo improvvisato e conclusivo perché si tiene dopo una rappresentazione più impegnativa, tipo tragedia o commedia. Viene in origine messo in scena da giovani romani non professionisti ma ben presto finisce per coincidere con un’atellana, cioè un genere di commedia. Una delle maschere è quella di Manducus “il mangione”: la radice è dell’italiano mang- cioè “mangiare”, dal latino manducare “masticare”, verbo espressivo che va a soppiantare il verbo edere, il cassico termine per indicare l’atto di mangiare. Manducus era rappresentato con una grande bocca poiché mangiava e divorava rumorosamente. Evidentemente da come si evince dal passo la sua maschera era bianca e pallida al punto da incutere timore nei bambini. Infatti agli spettacoli teatrali prendevano parte come spettatori anche bambini e donne. Notum: per un pubblico di campagna, pure uno spettacolo già noto è comunque un evento importante e motivo per tornare in teatro. — cum: è cum temporale che introduce una proposizione che interrompe la continuità sintattica del periodo ipotetico. — infans: aggettivo di seconda classe, infans, infantis, nominativo singolare. — rusticus: aggettivo di prima classe, nominativo singolare. — in gremio: gremium, i, ablativo di stato in luogo. — matris: mater, matres. — formidat: indicativo presente terza persona singolare, di formido, formidare. — hiatum: hiatus, hiatus, accusativo singolare. Il termine si riferisce alla grossa bocca che caratteriza la maschera di Manducus. — pallentis: agg. participio presente, genitivo singolare, di palleo, palles, pallui, pallēre. — personae: genitivo singolare “maschera”. Viene dal greco pròsopon > passa all’etrusco come phersu > giunge al latino come persona. Si notino l’omeoteleuto a cornice exodium… hiatum, e l’allitterazione a ponte della cesua eftemimere, personae || pallentis. — illic: avv. “in quell’occasione”. — videbis: indicativo futuro semplice da video, verbo dell’apodosi. — habitus: habitus, habitus, accusativo plurale. — aequales: aequalis, aequale, aggettivo di seconda classe, accusativo plurale. — orchestram et populum: accusativi singolari. Orchestram in senso figurato indica i senatori o meglio i decurioni, che siedono subito dopo il palcoscenico, seguiti dalle quattordici file dei cavalieri e poi da tutto il resto del popolo, cioè la maggioranza del pubblico. Quindi il termine è una metonimia. In questi versi Umbricio ritorna sul motivo della semplicità dell’abito, ponendo l’accento sull’uguaglianza che vige tra gli spettatori, i quali, diversamente da quanto avviene nella capitale, non fanno del teatro il luogo dell’ostentazione e dell’apparenza, ove esibire rango e collocazione sociale mediante la ricercatezza esteriore (mentre a Roma l’uso della toga per recarsi a teatro era obbligatoria). Che si tratti dei membri dell’alta borghesia locale, di magistrati, di cavalieri, o di semplici cittadini, tutti si accontentano della medesima veste, senza distinzione tra latus clavus (nastro verticale color porpora, largo circa 10 cm, che ornava sul davanti la tunica, dal collo alle ginocchia, appannaggio dei senatori), angustus clavuus (più stretto, circa 3 cm di larghezza, era appannaggio dei cavalieri) e toga praetexta (toga orlata di porpora, indossata a Roma da magistrati e sacerdoti). — similes(que): similis, e, accusativo plurale. L’enclitica -que in questo caso ha valore 36 esplicativo “cioè orchestra e popolo vestono allo stesso modo”. — velamen: velamen, velaminis, nominativo singolare neutro, predicativo del soggetto. — clari: aggettivo di prima classe, genitivo singolare neutro. — honoris: honor, honoris, genitivo singolare. — sufficiunt: indicativo presente di suffĭcĭo, suffĭcis, suffeci, suffectum, suffĭcĕre. — summis: aggettivo prima classe, ablativo plurale. Si trova un’allitterazione bifonica che marca i due termini chiave: sufficiunt… summis. — aedilibus: aedilis, e, ablativo plurale. — tunicae: genitivo singolare. Dopo la toga, la tunica rappresentava presso i romani il più importante capo d’abbigliamento; si trattava di una camicia di lino senza maniche (poiché le maniche erano considerate poco virili), fermata sui fianchi da una cintura e lunga fino al ginocchio per gli uomini e fino alla caviglia per le donne, usata tanto di giorno, quanto di notte. — albae: aggettivo prima classe, genitivo singolare. Tunicae albae è soggetto di sufficiunt. Sotto il profilo stilistico, il v. 179 si segnala per la disposizione di aggettivi e sostantivi in tunicae summis aedilibus albae, così da enfatizzare, mediante l’iperbato, gli elementi lessicali su cui il poeta vuole che si fermi l’attenzione del lettore/ascoltatore. vv.180-185 Giovenale passa da un aspetto all’altro della tematica di fondo, le offese che un pauper a Roma deve mandar giù. A Roma il pauper per mantenere uno status di vita adeguato al sistema di valori dell’urbe è costretto addirittura a contrarre debiti, chiedendo prestiti altrui che spesso non si riesce nemmeno ad onorare. Con ambitiosa paupertate, Giovenale allude al fatto che a Roma infatti si cerca di vivere al di sopra dei propri mezzi. Il problema tuttavia è che a Roma si paga ogni cosa, addirittura si deve pagare per poter salutare i nobili. Dalle fonti sappiamo che per poter entrare a casa di un nobile per potergli anche semplicemente porgergli il saluto mattutino bisognava lasciare una mancia salatissima al portinaio, all’usciere, ai servi. Così l’attenzione si sposta dal povero cliente al patrono e alla sdegnosa reazione che questi ha dinnanzi al saluto, limitandosi semplicemente a uno sguardo: non una parola, quindi, né un accenno di sorriso. Così un pauper come Umbricio è costretto a versare una mancia al portinaio di Veientone affinché quest’ultimo si limiti unicamente a girarsi e a guardarlo, senza nemmeno aprire bocca. Hic ultra vires habitus nitor, hic aliquid plus quam satis est interdum aliena sumitur arca. Commune id vitium est: hic vivimus ambitiosa paupertate omnes. Quid te moror? Omnia Romae cum pretio. Qui das, ut Cossum aliquando salutes, ut te respiciat clauso Veiiento labello? Traduzione: Qui lo sfarzo dell’abito supera i mezzi di ciascuno, qui qualcosa di più di quanto sarebbe sufficiente viene talvolta preso in prestito dal forziere altrui. Questo è un vizio comune: qui viviamo tutti in una povertà pretenziosa. Ma perché ti faccio perdere tempo? A Roma tutto ha un prezzo. Che cosa dai per porgere una buona volta il tuo saluto a Cornelio Cosso, perché Veientone si volga a guardarti pur col labbruzzo serrato? Hic: avv. “qui”. — nitor: nitor, nitoris, nominativo singolare. — habitus: genitivo singolare retto da nitor. — (est) ultra: avv. “di più”, “aldilà”. C’è l’ellissi di est, il che è marcatore ancora una volta di indignatio. — vires: vis, roboris, accusativo plurale. — hic: avv. “qui”. Iterazione anaforica del deittico hic…. hic, così da porre l’accento sull’elemento spaziale. — aliquid: aliquis, aliquid, pronome indefinito, nominativo singolare. — plus: plus, pluris, con valore comparativo, seguito da quam. — satis est: “è sufficiente”. È un indicativo con valore di congiuntivo potenziale che rendiamo in italiano con il condizionale “più di quanto sarebbe sufficiente”, quindi falso condizionale. — interum: avv. “talvolta”. — sumitur: indicativo presente passivo di sūmo, sūmis, sumpsi, sumptum, sūmĕre. — arca: ablativo singolare “cassaforte”. Sumitur arca: ablativo di provenienza. A Roma le cassaforti erano cassapanche che venivano esibite e non occultate come avviene oggigiorno; venivano esposte nell’atrio della casa per ostentare la potenza del padrone. — aliena: ablativo singolare. — id: pronome dimostrativo, nominativo neutro singolare. — est: indicativo presente. — vitium: nominativo singolare neutro. — commune: communis, e, nominativo neutro singolare. — hic: avv. “qui”. — vivimus: indicativo presente vīvo, vīvis, vixi, victum, vīvĕre. — omnes: omnis, e, nominativo plurale. — ambitiosa: aggettivo prima classe, ablativo singolare. — paupertate: paupertas, atis, ablativo singolare. Si tratta di un’espressione ossimorica potenziata dall’enjambement: una povertà infatti non può essere pretenziosa. Il senso è che gli uomini cercano sempre di vivere al di sopra dei mezzi che hanno a disposizione. Tale espressione ha riscontri in Quintiliano 2. 4. 29: pauperes ambitiosi “poveri pretenziosi”. Non è escluso però che possa aver agito sul passo anche Lucano 4. 376: ambitiosa fames, nel contesto di una critica al lusso, a sua volta richiamato da Marziale 10. 96. 9: pretiosa fames, “un appetito che costa caro”. — quid: quis, quid, pronome interrogativo, nominativo singolare neutro. — 37 Giovenale un centro agricolo importante. Viene rimenzionato nella satira VII. — simplicibus: aggettivo di secona classe simplex, simplicis, ablativo singolare di stato in luogo. L’aggettivo si carica di una valenza positiva in opposizione al lusso e allo sfarzo ostentati nella realtà cittadina: un uso non dissimile è in Virgilio, Georgiche, 3. 528, dove viene detto dall’erga di cui si cibano gli animali in opposizione allo sfarzo dei banchetti, in un passo in cui si celebra il mondo della campagna. — aut arce: arx, arcis, ablativo di stato in luogo. — proni: aggettivo di prima classe, genitivo singolare. — Tiburis: genitivo singolare. Celebrata per la sua frescura, anche la cittadina di Tivoli si richiama all’immagine del locus amoenus. — nos: pronome personale, nos, nostri. Ha valore avversativo poichè segna il passaggio alla realtà cittadina. — colimus: indicativo presente, da colo. — urbem: accusativo singolare. — magna parte: ablativi singolari. — sui: pronome personale, genitivo singolare “di lei (della città)”. — fultam: participio perfetto di fulcĭo, fulcis, fulsi, fultum, fulcīre. — tibicine: tibicen, tibicinis, ablativo singolare (singolare collettivo). La città si erge su puntelli molto esili. — tenui: agg. seconda classe tenuis, tenue, ablativo singolare. Allitterazione: tenui… tibicine. — nam sic obstat: indicativo presente, da obsto. — labentibus: agg. participio presente da labor, laberis, lapsus sum labi. È un dativo neutro plurale “le cose (case, edifici) che crollano”. — vilicus: nominativo singolare “amministratore”. — et cum texit: indicativo presente da tĕgo, tĕgis, texi, tectum, tĕgĕre. Cum texit: subordinata temporale. — hiatum: hiatus, i, accusativo singolare. — rimae: genitivo singolare “crepa”. — veteris: aggettivo di seconda classe, vetus, veteris, genitivo singolare. — iubet: indicativo presente di iŭbĕo, iŭbes, iussi, iussum, iŭbēre. — dormire: dormĭo, dormis, dormii, dormitum, dormīre. — securos: aggetivo di prima classe, accusativo plurale. — pendente: participio presente di pendeo, pendes, pependi, pendēre. — ruina: ablativo singolare. Pendente ruina: ablativo assoluto con valore temporale “mentre il crollo è imminente”. RIEPILOGO DELL’USO DI CUM cum + INDICATIVO, ‘quando’, temporale cum interim, cum interea + ind. ‘e frattanto, ma invece’, nel senso di ‘ed ecco che’ cum repente + ind., nel senso di ‘quand’ecco che’ (cum inversum) cum iterativum, `quando’, nel senso di `tutte le volte in cui’. cum + CONGIUNTIVO cum narrativum, con il cong. impf. o ppf. in dipendenza da tempi storici (con valore causale-temporale, talvolta con il gerundio); cum causale, ‘poichè’, con tutti i tempi del cong.; cum concessivo, ‘sebbene’; cum avversativo ‘mentre’ (invenit Caeres frumenta, cum antea glande uescerentur, «Cerere scoprì il grano, mentre prima (gli uomini) si nutrivano di ghiande»). vv. 197-202 Attraverso la formula di transizione (vv.197-198) si passa dalla questione dei crolli all’altra degli incedi, alla quale è dedicato maggior spazio. Il tema pone l’accento sulla realtà della discriminazione sociale tra ricco e povero, e sulla sorte differente che tocca ora all’uno, ora all’altro dinnanzi al dramma di un analogo incidente. C’è inoltre una reminiscenza all’incendio di Troia. Infatti proprio i vv. 198-199 rinviano a Virgilio, Eneide, 2. 311-312 Iam proximus ardet / Ucalegon, “già è in fiamme il vicino Ucalegonte”. Ucalegonte è un nome mitologico ricordato unicamente per questo verso virgiliano. Si noti che la iunctura dei versi coincide (ardet / Ucalegon; transfert / Ucalegon). Dall’essere personaggio mitologico, poiché nobile troiano, nei versi di Giovenale diventa un uomo comune che si affretta a salvare il salvabile mentre l’insula in cui vive va in fiamme. L’incendio evocato è come se fosse seguito da una macchina da presa secondo i commentatori: sale gradualmente dal primo fino all’ultimo piano e giunge nella soffitta dove abita il protagonista dei versi che seguono. Infatti la soffitta era spesso affittata ai più poveri. Si noti che la soffitta descritta nei vv. 201-202 non è al terzo piano bensì sopra esso. Vivendum est illic, ubi nulla incendia, nulli nocte metus. Iam poscit aquam, iam frivola transfert Ucalegon, tabulata tibi iam tertia fumant: tu nescis; nam si gradibus trepidatur ab imis, ultimus ardebit quem tegula sola tuetur a pluvia, molles ubi reddunt ova columbae. Traduzione: Bisogna vivere lì dove non ci sono incendi, né timori durante la notte. Già grida “al fuoco”, già trasferisce le sue cianfrusaflie Ucalegonte, già il terzo piano sotto i piedi ti fuma: ma tu non lo sai; infatti se il panico dilaga a partire dai piani più bassi brucerà per ultimo quello che solo le tegole proteggono dalla pioggia, lì dove delicate colombe depongono le uova. 40 Vivendum est illic: perifrastica passiva che indica l’insieme delle necessità: il poeta non dice esplicitamente dove sarebbe meglio vivere ma va da sé che debba trattarsi della campagna laziale (Palestrina, Bolsena, Gabi e Tivoli), lì, appunto, dove non ci sono incendi né pericoli di altra natura. Vivendum: gerundio di vīvo, vīvis, vixi, victum, vīvĕre. Est: indicativo presente. Illic: avv. “lì”. — ubi: avv. “dove”. — nulla (sunt): aggettivo numerale, nominativo plurale. Sum è sottinteso. L’ellissi del verbo, unita alla geminazione di nullus enfatizzano il concetto espresso dal satirico. — incendia: nominativo plurale neutro. — nulli: aggettivo numerale, nominativo plurale maschile. — metus: metus, metus, nominativo plurale maschile. — nocte: nox, noxtis, ablativo singolare con valore temporale. Allitterazione: nulli nocte metus. — iam: avv. “già”. C’è una triplice anafora di iam, anche detta anafora trimembre,(Iam poscit, iam frivola, iam tertia fumant). La triplice anafora ha funzione patetizzante, sottolinea inoltre l’incalzare degli avvenimenti, la frenesia, concitazione del momento, conferisce maggiore forza drammatica alla rappresentazione. — poscit: indicativo presente terza persona singolare, posco, poscis, poposci, poscĕre. — acquam: accusativo singolare femminile. Iam poscit aquam: a Roma non si gridava “al fuoco”, bensì “acqua sia portata!”. Traduciamo tale espressione latina con l’espressione idiomatica italiana corrispondente. — transfert: indicativo presente del verbo anomalo transfĕro, transfĕrs, transtuli, translatum, transfĕrre. — frivola: aggettivo di prima classe, accusativo plurale neutro. Il termine indica genericamente ciò che è fragile, di poco valore, misero; in questo caso “cianfrusaglie”. — Ucalegon: soggetto di transfert. — tertia: nominativo femminile singolare, tertia, tertiae. — tabulata: nominativo neutro plurale “piano di appartamento”. — fumant: indicativo presente da fumo, fumare. — tibi: pronome personale, dativo singolare. —- nescis: indicativo presente da nescĭo, nescis, nescii, nescitum, nescīre. Si tratta di un asindeto avversativo: attraverso l’asindeto viene enunciata un’opposizione tra ciò che accade, cioè che il terzo piano sotto i piedi brucia e il “tu” non meglio precisato. — nam: ha un valore dichiarativo. Introduce la proposizione successiva, che spiega la ragione dell’inconsapevolezza del povero e che è immediatamente connessa con la natura stessa della sua abitazione, una soffitta, compresa tra l’ultimo piano dell’edificio e il tetto, perciò lontanissima dall’origine dell’incendio. Si: valore causale piuttosto che ipotetico: “poichè il panico dilava a partire dai piani più bassi brucerà per ultimo…” è la protasi di un periodo ipotetico dell’obiettività, con il verbo all’indicativo. — trepidatur: impersonale passivo, viene da trepidor, trepidaris, trepidatus sum, trepidari. — gradibus: gradus, gradus, ablativo plurale “passo”, “gradino”. — ab imis: imum, i, ablativo plurale di moto da luogo. — ardebit: indicativo futuro semplice da ardĕo, ardes, arsi, ardēre. — ultimus: aggettivo di prima classe, nominativo singolare. È una metonimia perché a bruciare non sarà il pauper in persona ma la sua abitazione. “Brucerà per ultima la casa di…” — quem: pronome relativo, accusativo singolare. — sola: aggettivo di prima classe, nominativo plurale neutro. — tegula: nominativo plurale neutro. Tegula sola: singolare collettivo. Inoltre tegula si tratta di una formazione diminutiva da tego, che, indicando propriamente la “tegola”, passa per metonimia a indicare il tetto di un’abitazione. Allitterazione: Tegula sola tuetur. — tuetur: indicativo presente del deponente tueor, tueris, tuitus sum, tŭēri. — a pulvia: ablativo singolare d’agente. — ubi: avv. “là dove” — molles: mollis, e, nominativo plurale. — columbae: nominativo plurale. — reddunt: indicativo presente da reddo, reddis, reddidi, redditum, reddĕre. — ova: accusativo plurale neutro. vv. 203-207 Si passa dalla descrizione generale alla trattazione di un esempio specifico il cui protagonista è Cordo. Questo personaggio era evidentemente un poeta che conduceva una vita bohemienne in una povera soffitta. Giovenale ci introduce nell’umile abitazione di questo poeta, colto nella quotidianità della sua esistenza: lo sguardo di Giovenale si sofferma sulla descrizione di ogni angolo di questo interno, prima che il fuoco. L’elenco dei beni dal poeta posseduti è il seguente: letto, sei brocchette, un cantaro piccolino, un Chirone di marmo e una cesta che custodisce libri greci illustri. Lectus erat Cordo procula minor, verceoli sex ornamentum abaci, nec non et parvulus infra cantharus et recubans sub eo de marmore Chiron, iamque vetus Graecos servabat cista libellos et divina opici rodebant carmina mures. Traduzione: Cordo aveva un letto troppo piccolo anche per Procula, sei brocchette come ornamento della credenza, e anche sul ripiano inferiore un cantaro piccolino e accasciato sotto di esso un Chirone di marmo, ormai vecchia poi una cesta custodiva libri greci e topi barbari ne rodevano i carmi divini. Cordo erat lectus: costruzione dativo di possesso che indica quello che il povero Cordo possiede, “Cordo aveva un letto ecc.”. Tutto ciò che Cordo possiede lo troviamo in latino al nominativo (brocche, cantaro, Chirone di marmo, la cesta piena di libri ecc.). — lectus: nominativo singolare maschile. La tradizione manoscritta si divide tra Cordus e Codrus, rispettivamente nomen romano e nomen greco, entrambi noti al pubblico e 41 largamente diffusi nell’antichità. Gli editori più recenti, a partire da Courtney, preferiscono Cordus. — minor: aggettivo comparativo, minor, minus. Seguito dall’ablativo di comparazione (o di paragone) significa “troppo piccolo per”; quindi sia maior che minor, uniti all’ablativo di comparazione, significano rispettivamente “troppo grande per”, “troppo piccolo per”. — Procula: si tratta di una nana famosa ai tempi di Giovenale, il che è suggerito dalla presenza dell’antifrasi onomastica: gli antichi avevano l’abitudine di chiamare coloro che avevano deformazioni fisiche con dei nomi che per antifrasi evocavano le loro caratteristiche, per esempio se uno era un nano lo chiamavano Atlante, il gigante che reggeva sulle proprie spalle il peso del mondo. Proculus significava “lontano”, ma in questo senso va inteso con “alto”, “lungo”. È probabile che Procula fosse il nome di una nana famosa, chiamata così per antifrasi onomastica. Il significato che attribuiamo al termine è quindi “stalungona”. — sex: aggettivo numerale. — abaci: abacus, abaci, nominativo plurale. Questo è un termine generico per indicare quegli oggetti dotati di una superficie piana. In questo caso il termine indica la mensola e per sineddoche un’intera credenza (indicante cioè una parte per il tutto). — ornamentum: ornamentum, i, apposizione di verceoli sex. — nec non te: “e anche”, è una congiunzione pomposa che eleva lo stile generando deflazione. — infra: prep. “sotto”, “sul piano inferiore”. — cantharus: nominativo singolare maschile. Si tratta di un boccale a doppia ansa, che avevano la forma delle orecchie. — parvulus: aggettivo di prima classe, nominativo singolare. Si tratta di un diminutivo che si colora di un valore sentimentale che sottolinea ancora una volta la paupertas di Cordo. — et recubans: participio presente di recubo, recubas, recubare. — sub eo: sub+ablativo del pronome personale. — Chiron: Chirone, centauro saggio. Secondo la tradizione sarebbe stato addirittura l’educatore di Achille. — de marmore: ablativo singolare. Il v. 206 presenta un doppio iperbato incrociato inervato su un predicato verbale unico. Lo schema del verso è abvab, cioè: due aggettivi, verbo e due sostantivi. È un verso aureo, cioè elegante e ricercato. Non a caso il verso porta con sé un riferimento alla cesta di libri illustri greci di Cordo C’è in questo verso un intento di elevazione di stile nel momento in cui si parla di contenuti elevati. Tuttavia segue la deflazione poichè bisogna pensare alla fine che fanno questi libri (all’epoca rotoli), distrutti dai topi. — iamque vetus: aggettivo di seconda classe vetus, veteris, nominativo singolare femminile. — cista: nominativo singolare. — servabat: indicativo imperfetto da servo, servare. — libellos: accusativo plurale maschile. È il diminutivo di tipo affettivo di liber. — graecos: aggettivo di prima classe, accusativo plurale. — et mures: mus, muris, nominativo plurale “topi”. — opici: aggettivo di prima classe, nominativo plurale “rozzi”, “barbari”. Opici era l’antica denominazione per gli osci, popolazione italica e una delle prime contro cui i romani si scontrarono. L’aggettivo sopravvisse a indicare gli “ignoranti”, “rozzi”. I topi infatti sono definiti ignoranti perché non hanno né conoscenza né rispetto della cultura e della poesia greca. Dopo il verso aureo segue la deflazione satirica: questi libri vengono rosicchiati dai topi. Il contrasto tra l’elevatezza della cultura di Cordo e la situazione che egli vive è iconizzato da una giustapposizione contrastiva: divina / opici collocati vicini, sono due concetti antitetici. — rodebant: indicativo presente da rōdo, rōdis, rosi, rosum, rōdĕre. — divina: aggettivo di prima classe, accusativo plurale neutro. — carmina: carmen, carminis, accusativo plurale. vv. 208-214 Cordo non solo rimane privo dei suoi beni, ma non beneficia del soccorso di nessuno perché è un poveraccio. Quindi dalla descrizione minuziosa della mansarda in cui vive si passa all’immagine sconsolata di un uomo tutto solo che con la sua miseria è costretto ad elemosinare, tra l’indifferenza dei passanti, una sistemazione per la notte e un pezzo di pane. Giovenale impiega termini elevati per elevare cioè lo stile (ultimus autem aerumnae cumulus), salvo poi sgonfiare il tutto con ciò che segue (quod nudum et frusta rogantem). Asindeto avversativo all’inizio del v.212 segna un’ennesima transizione argomentativa mediante contrapposizione antitetica. Giovenale spesso procede da un argomento a un altro mediante contrapposizione dell’argomento successivo rispetto a quello precedente. Non di rado questa contrapposizione è affidata a un asindeto avversativo. La solitudine di Cordo entra infatti in contrapposizione contro il diffuso senso di solidarietà e la commossa partecipazione che avvolgono lo “sciagurato” Asturico. Le conseguenze della caduta della domus di Asturico sono enunciate con nessi asindetici (horrida mater [est], pullati proceres [sunt]); il verbo è omesso per dare alla lettura un ritmo incalzante. Asturico non è un personaggio identificabile, suona come uno di quei cognomen ex virtute, cioè cognomina che i generali prendevano dopo imprese particolarmente rinomate (es: Publio Cornelio Scipione detto “l’Africano) ma non c’è modo di sapre chi egli sia stato. Quello che è certo è la differenza che sussiste tra il pauper Cordo che vive nella piccola soffitta dell’insula e il ricco e benestante Asturico che abita la domus, termine con cui si vuole indicare, appunto in contrapposizione all’insula, l’alloggio privato, abitato cioè dalla sola famiglia del proprietario. Nil habuit Cordus, quis enim negat? Et tamen illud perdidit infelix totum nihil. Ultimus autem aerumnae cumulus, quod nudum et frusta rogantem nemo cibo, nemo hospitio tectoque iuvabit. 42 2) ‘come è naturale, dato che’ (valore dichiarativo): possum falli, ut homo (si intende che gli uomini sono naturalmente soggetti all’errore); 3) ‘per quanto è possibile dato che’, ‘in relazione al fatto che’ (valore limitativo): Sp. Maelius, ut illis temporibus, praediues (ricchissimo in relazione a quei tempi, in cui si immagina che non ci fossero grandi patrimoni). c) in dipendenza da un conop. di uguaglianza, con tam... quam, di regola, tanto... quanto, dopo un comp.; d) il confronto tra due affermazioni è fatto con: magis quam, potius quam + ind., se si intende: «non è vero a, ma b», «non tanto a, quanto b»; potius quam, citius quam + cong., se si intende: «non si deve fare a, ma b». Es. hostes cunctantur magis quam resistunt: «i nemici, più che resistere, prendono tempo»; cioè: «non è vero che resistano, ma piuttosto prendono tempo»; capillum Indi pectebant saepius quam tondebant, «gli Indiani, più spesso che tosarsi i capelli, li pettinavano»; depugna potius quam seruias, «combatti fino alla fine piuttosto che essere schiavo»; omnia pertulit potius quam fidem proderet, «sopportò ogni tortura piuttosto che tradire la parola data». Queste ultime proposizioni, se si vengono a trovare in dipendenza da un infinito o un congiuntivo: - nel caso di potius quam + indicativo, la comparativa ha lo stesso tempo e modo della sovraordinata: Es. scio hostes cunctari magis quam resistere, non dubito quin hostes cunctentur magis quam resistant; - nel caso di potius quam + congiuntivo, il congiuntivo si mantiene, tranne che in dipendenza da un infinito futuro: statuit omnia perferre potius quam fidem proderet, «stabilì di sopportare ogni tortura piuttosto che tradire la parola data»; II) comparative suppositive a) introdotte da ut si, tamquam si, perinde ac si, ‘come se’, con i vari tipi di periodo ipotetico; b) introdotte da tamquam (senza si): seguono la consecutio temporum. vv. 223-231 Nei vv. 223-231 si apre una nuova sezione intitolata “parentesi georgica” in cui, in contrapposizione alla miseria e ai pericoli della città, viene idealizzata la vita in campagna e di coloro che coltivano la terra, cioè i contadini. Di qui segue la proposta di un modello esistenziale alternativo a quello urbano, rivolta a un “tu” generico e indistinto. Il poeta dice che quello che costa affittare un tugurio in una città, permette di acquistare allo stesso prezzo una bella casa nelle cittadine quali Sora, Fabrateria o Frosinone, tutte e tre vicine ad Aquino. In altre parole Giovenale dice che il prezzo di un tugurio in città equivale al prezzo di una bella casa in campagna. Il poeta dice poi che occorre saper apprezzare la vita in campagna perché in questo modo si è in grado di vivere più che dignitosamente e si è padroni di sé stessi: non importa che si sia padroni solo di una lucertola, ciò che conta è che non si è schiavi di nessuno, anzi si vive liberamente. I versi consistono in un elogio della vita campestre e della vita degli agricoltori. Si potes avelli circensibus, optima Sorae aut Fabrateriae domus aut Frusinone paratur quanti nunc tenebras unum conducis in annum. Hortulus hic puteusque brevis nec reste movendus in tenuis plantas facili diffunditur haustu. Vive bidentis amans et culti vilicus horti unde epulum possis centum dare Pythagoreis. est aliquid, quocumque loco, quocumque recessu, unius sese dominum fecisse lacertae. Traduzione: Se ce la fai a staccarti dai giochi circensi, una casa splendida a Sora, a Fabrateria o a Frosinone è comprata allo stesso prezzo con cui ora tu prendi in affitto per un solo anno una buia stamberga. Qui c’è un orticello e un pozzo poco profondo che si usa senza fune, se ne sparge l’acqua sulle tenere piante, attingendovi facilmente. Vivi amante della zappa e fattore di un orto curato da cui tu possa imbandire un banchetto per cento Pitagorici. Significa qualcosa, in qualunque luogo, in qualunque recesso, l’aver fatto se stessi padroni anche di una sola lucertola. Si potes: indicativo presente da possum. — avelli: perfetto da āvello, āvellis, avelli, avulsum, āvellĕre. — circensibus: circensis, circense, aggettivo di seconda classe che in questo caso viene sostantivato “giochi circensi”, ablativo plurale. — optima domus: nominativi femminili singolari. — paratur: indicativo presente passivo terza persona sinolare, “è comprata”. Giovenale ricorre qui all’uso del verbo semplice paratur (da paro, 45 parare) in luogo del composto composto comparatur (da comparo, comparare). — Sorae aut Fabrateriae aut Frusinone: locativi coordinati dalla disgiuntiva (aut… aut). Fabriateria è da alcuni identificata con l’odierna Falvaterra. — (tanti) quanti: genitivo di prezzo con ellissi del correlativo tanti, “si compra a tanto a quanto tu prendi in affitto per un solo anno una stamberga buia”. — nunc: avv. “ora”. — tu conducis: indicativo presente da condūco, condūcis, conduxi, conductum, condūcĕre, “prendi in affitto”. — in unum annum: accusativi singolari, complemento di tempo indeterminato. — tenebras: è una metonìmia (attenta alla pronuncia), indica l’astratto per il concreto; usato per indicare vari luoghi bui, come carceri e nascondigli, stamberghe e topaie. — hic: avv. “qui”. Il deittico realizza un effetto di presa diretta sulla realtà, definendo una precisa dimensione spaziale, contrapposta a quella metropolitana dell’urbe.— hortulus: nominativo singolare maschile. — et puteus brevis: nominativi singolari maschili, “pozzo poco profondo”. — nec reste: restis, restis, ablativo singolare. — movendus: gerundio di mŏvĕo, mŏves, movi, motum, mŏvēre. Nec reste movendus significa “e da non muovere con la fune”. — diffunditur: indicativo presente passivo da diffundo, diffundis, diffudi, diffusum, diffundĕre. Il soggetto è puteus. Letteralmente significa: “viene sparso il pozzo sulle tenere piante”. Si tratta di una metonimia che sostituisce il contenente al contenuto prchè noi non spargiamo il pozzo, bensì l’acqua. Quindi in italiano traduciamo così: “viene sparsa l’acqua sulle tenere piante”. — in tenuis plantas: accusativi plurali femminili. Tenuis sta per tenues. Per quanto riguarda la terza declinazione e gli aggettivi della seconda classe devi ricordare che la desinenza standard dell’accusativo plurale è -es ma anche -is per quei sostantivi e gli aggettivi della seconda classe che hanno il genitivo plurale in -ium. Inoltre l’aggettivo si riferisce qui alla tenerezza delle piantine ancora giovani, per questo “tenere”. — facili haustu: ablativi singolari maschili, “con facile attingimento”. — vive: imperativo presente seconda persona singolare di vīvo, vīvis, vixi, victum, vīvĕre. — amans: participio presento congiunto di amo. “Vivi mentre ami…” — bidentis: bidens, bidentis, genitivo singolare maschile. Il termine indica lo strumento agreste dotato di due denti di ferro, utilizzato comunemente per dissodare le zolle di terra. — et vilicus: nominativo singolare maschile. Il termine indica il fattore di una villa intesa come una sorta di fattoria da amministrare. — horti culti: genitivi singolari maschili; culti è participio perfetto di cŏlo, cŏlis, colui, cultum, cŏlĕre. — unde: avv. “da cui”. — possis dare: possis è congiuntivo presente; mentre dare è inteso nel senso di “allestire”, “imbandire”. — epulum: accusativo singolare neutro. Indica il banchetto per le divinità, qui destinato ai Pitagorici. — centum Pythagoreis: centum è aggettivo numerale indeclinabile. Pythagoreis: Pitagora predicava il vegetarianesimo sia perché credeva nella metempsicosi (cioè nella reincarnazione delle anime: si evitava cioè l’uccisione degli animali perché si credeva che gli animali stessi potessero essere una reincarnazione degli esseri umani), sia per la volontà di promuovere norme dietetiche, abituando cioè gli uomini a un sostentamento frugale, nonché per l’intendo di distoglierli dal commettere gesti di estrema crudeltà, quale per esempio l’uccisione di un animale. Per i romani, infatti, l’uccisione del bue da lavoro era ritenuta un assassinio, al pasi di quella di un cittadino. — est: ha valore premiante, “vale qualcosa”, “significa qualcosa”.— aliquid: pronome indefinito, nominativo neutro singolare. È il predicato nominale: “significa qualcosa”, seguito dall’infinito fecisse. — quocumque loco, quocumque recessu: ablativi singolari di stato in luogo. Quocumque è l’indefinito relativo in luogo dell’indefinito assoluto quolibet. — fecisse: infinito perfetto di facio. — sese: pronome personale, accusativo singolare, “se stessi”. — dominum: accusativo singolare maschile. — unius lacertae: genitivi singolari femminili. Soggetto della frase è la proposizione infinitiva: sese fecisse dominum unius lacertae quocumque loco quocumque recessu. Iperbato a cornice: unius… lacertae. Si può notare anche l’inizio spondiaco: il verso inizia in modo lento e solenne con la presenza di spondei e si conclude con la dichiarazione che si possiede solo una lucertola, quindi ancora una volta si crea la deflazione satirica. vv. 232-235 Segue l’enunciazione del contenuto della sezione. Umbricio denuncia l’ingiustizia di una città il cui sonno è appannaggio dei soli ricchi, laddove i poveri muoiono a causa dell’insonnia. Il sintagma moritur vigilando vede l’insonnia come un male che può condurre anche alla morte: dalla cattiva digestione si arriva all’insonnia, dall’insonnia si passa alla malattia e dalla malattia alla morte. Nam segna il passaggio a un ulteriore argomento, dei rumori della strada che non permettono il sonno. L’ennesima domanda retorica tradisce l’indignazione di Umbricio: quali case concedono il sonno in città? Dormire è un lusso che si paga caro a Roma, concesso a chi possiede tante ricchezze da potersi permettere delle abitazioni sontuose. Plurimus hic aeger moritur vigilando (sed ipsum languorem peperit cibus inperfectus et haerens ardenti stomacho); nam quae meritoria somnum admittunt? Magnis opibus dormitur in Urbe. Traduzione: Qui la maggior parte dei malati muore d’insonnia (e comunque la malattia stessa la provoca il cibo non digerito e che ristagna nello stomaco infiammato); infatti quali appartamenti in affitto consentono il sonno? Solo con grandi ricchezze si dorme a Roma. 46 Hic: avv. “qui”. — plurimus aeger: singolare collettivo, “la maggior parte degli ammalati” e letteralmente “moltissimo malato”. Il singolare collettivo dà l’idea dell’unitarietà del destino di tutti: tutti quanti condividono il medesimo destino di morte legato all’insonnia. — moritur: indicativo presente terza persona singolare del deponente mŏrĭor, mŏrĕris, mortuus sum, mŏri. —vigilando: ablativo del gerundio di vigilo, vigilare, “restando insonni”. Di solito l’ablativo del gerundio ha valore strumentale, in questo caso ha più che altro valore causale “a causa del vigilare”, “a causa dell’insonnia”. — sed: ha valore additivo, serve cioè ad aggiungere enfasi a qualche aspetto del termine precedente, in questo caso dell’insonnia: “e proprio parlando d’insonnia”. — ipsum languorem: ipsum è un pronome dimostrativo; languorem viene da languor, languoris; si tratta di due accusativi singolari maschili. — peperit: indicativo perfetto di părĭo, păris, peperi, partum, părĕre. È perfetto gnomico che traduciamo con il presente; letteralmente significa “partorire”. — cibus inperfectus: nominativi singolari maschili. Inperfectus è un aggettivo di prima classe. — et haerens: participio presente con valore congiunto da haerĕo, haeres, haesi, haesum, haerēre. — stomacho: ablativo singolare maschile. — nam quae meritoria: nominativo plurale neutro; quae introduce l’interrogativa retorica. Meritoria sta per meritoria cenacula, “appartamenti a pagamento” per i quali il proprietario meret un compenso, cioè merita un compenso. È aggettivo di prima classe nominativo neutro plurale con valore sostantivato. — somnum: accusativo singolare neutro. — admittunt: indicativo presente da admitto, admittere. — magnis opibus: ablativi plurali femminili, “solo mediante grandi ricchezze”, “solo se si hanno grandi ricchezze”. — dormitur: indicativo presente passivo di dormĭo, dormis, dormii, dormitum, dormīre. vv. 236-242 Ancora una volta viene messa in scena la contrapposizione tra ricchi e poveri. Questi ultimi non riescono a dormire durante la notte a causa del transito di carri pesanti che era stato interdetto durante il giorno. Dalla Lex Iulia municipalis del 45 a.C., apprendiamo che per volontà di Cesare nessun carro poteva circolare per le strade di Roma se non di notte: dall’alba al tramonto nessun carro aveva accesso alla città, con la sola eccezione di quei veicoli atti al trasporto dei materiali per le costruzioni pubbliche. Il provvedimento cesariano, che Claudio estese dalla capitale ai municipi, fu inasprito ulteriormente da Adriano, che limitò la portata dei carri autorizzati ad entrare a Roma, per essere infine allentato nel III secolo quando ad alti funzionari e senatori fu concesso di spostarsi per le strade di Roma a bordo di eleganti carrozze con rifiniture in argento. Ricordiamo che le strade urbane erano generalmente strette, equivalenti dei nostri vicoli, perché si cercava di edificare il più possibile palazzi. A partire dal v. 239, fino al v. 267, Umbricio si sofferma sulla difficoltà di transitare per le strade di Roma durante il giorno ma, prima di mettere in scena il dramma del pauper che cerca di farsi largo tra la folla, inducia per un momento sulla privilegiata condizione del ricco. Quando infatti un impegno lo chiama, il ricco vede aprirsi dinnanzi a sé la folla di pedoni e, trasportato nel chiuso della sua lettiga, qui vi trova riposo. Inde caput morbi: raedarum transitus arto vicorum in flexu et stantis convicia mandrae eripient somnum Druso vitulisque marinis. Si vocat officium, turba cedente vehetur dives et ingenti curret super ora Liburna atque obiter leget aut scribet vel dormiet intus; namque facit somnum clausa lectica fenestra. Traduzione: Da qui l’origine della malattia: il via vai dei carri nella stretta curvatura dei vicoli e gli schiamazzi della mandria che non si muove strapperanno il sonno persino a Druso e ai vitelli marini. Se un impegno lo chiama, il ricco sarà trasportato tra la folla che gli fa largo e correrà su una grande Liburna sopra le teste e lungo la strada leggerà o scriverà o vi dormirà dentro; infatti, una volta chiusa la finestra, la lettiga concilia il sonno. Inde: avv. “da qui”. — caput: nominativo singolare neutro, caput, capitis. — morbi: morbus, morbi, genitivo singolare. Inde caput morbi: ellissi del verbo sum, uno dei tratti più caratteristici dell’indignatio di Giovenale. — transitus: transitus, transitus, nominativo singolare maschile. — raedarum: genitivo plurale, “carro”. In latino più termini indicavano il “carro”, tutti di origine gallica, desunti solo in un secondo momento dai romani. — in flexu arto: artum, arti, ablativo singolare. Giovenale si riferisce qui alla natura accidentata e tortuosa dei vicoli romani. Si noti l’iperbato arto… in flexu che, con la collocazione dell’aggettivo alla fine del v. 236, pone l’accento sull’angustia delle strade, laddove il sostantivo flexus si riferisce al loro aspetto toruoso. — vicorum: vicus, vici, genitivo plurale maschile. — et convicia: nominativo plurale neutro. — mandrae: genitivo singolare. — stantis: aggettivo participio presente con valore congiunto da sto, stare. Il sintagma convicia stantis mandrae può significare due cose: esso si può intendere con i versi della mandria bloccata o con gli impropéri della gente per la mandria bloccata. Ne consegue che mandrae si può intendere in due modi: genitivo soggettivo “gli 47 inpositas capiti quas recto vertice portat servuulus infelix et cursu ventilat ignem. Traduzione: Non vedi con quanto fumo si celebra il cestino? (ci sono) 100 convitati, la sua cucina segue ciascuno, perfino Corbulone porterebbe a stento vasi tanto grandi, tanti utensili posti sul capo che, a testa dritta porta un povero schiavetto, mentre correndo ravviva il fuoco. Nonne: particella che di solito introduce interrogative retoriche che presuppongono risposta affermativa. Da questa particella dipende l’interrogativa diretta in cui verbo è celebretur. — vides: indicativo presente da video. — quanto fumo: ablativi singolari maschili. — sportula: nominativo singolare femminile. — celebretur: indicativo presente passivo di cĕlĕbro, cĕlĕbras, celebravi, celebratum, cĕlĕbrāre. — centum convivae (sunt): convivae è nominativo plurale. — quemque: quisique, quaeque, quodque, pronome indefinito, accusativo singolare. — sequitur: indicativo presente del deponente sĕquor, sĕquĕris, secutus sum, sĕqui. — sua culina: nominativi singolari femminili. letterlamente: la sua propria cucina segue ciascuno (sua culina sequitur quemque). Seneca in Lettere a Lucilio. 78, 23 dice: cenam culina proséquitur, “la cucina segue la cena”, quindi la cucina segue il padrone che porta con sé la propria cucina, come se fosse un suo servitore. Questo a proposito dei vizi dei ricchi. Inoltre il termine, come in Seneca, sta precisamente per foculus, “fornello portatile”. — Corbulo: riferimento a Domizio Corbulone, grande generale che sotto Nerone ottenne grandi vittorie contro i Parti, storico nemico di Roma, addirittura ottenendo la sottomisione di costoro. Purtroppo però, quando egli tornò a Roma, era talmente popolare che suscitò le invide di Nerone, preoccupato che egli potesse rovesciare il suo dominio. Nel 67 d.C. lo accusò ingiustamente di cospirazione e lo mandò a morte. Egli era noto anche per essere dotato di forza leggendaria, era infatti grande e grosso e in questi passi, nonostante ciò, avrebbe avuto difficoltà a trasportare sulle proprie spalle vasi così grandi e tanti utensili. Il suo nome inoltre è legato a un gioco etimologico poichè viene da corbis, corbis = cesto. — ferret: congiuntivo imperfetto con valore di irreale nel presente, da fero, ferre. — vix: avv. “a stento”. — tot… tot: l’iterazione lessicale dell’aggettivo indefinito , “tanti”, sottolinea il pesante lavoro dello schiavo: finalità analoga sembra avere l’asindeto (tot vsasa ingentia, tot res) che traduce l’accumulazione degli oggetti sulle spalle del servulus. Si noti sul versante metrico il doppio monosillabo, tot res. — tot vasa: accusativo plurale neutro. — ingentia: ingens, ingentis, “smisurati”, “grandi” accusativo plurale neutro, si riferisce a vasa. — res: accusativo plurale di V decliazione. — inpositas: participio perfetto con valore congiunto da inpōno, inpōnis, inposui, inpositum, inpōnĕre. È accusativo plurale, si riferisce a res e vasa. — capiti: caput, capitis, ablativo singolare neutro. — quas: pronome relativo, si riferisce a tot vasa ingentia, tot res. — infelix servulus: nominativi singolari maschili. Servulus può essere diminutivo effettivo, commiserante o tutti e due insieme, “povero piccolo schiavo”. A volte invece è un diminutivo depotenziato, cioè che ha lo stesso valore del primitivo (=positivo), perdendo cioè il valore di diminutivo (equivarrebbe così a servus). — portat: indicativo presente, “trasportare”. — recto vertice: recto è participio perfetto di rĕgo, rĕgis, rexi, rectum, rĕgĕre, ablativo singolare; vertice è ablativo singolare di vertex, verticis. È un ablativo assoluto “mentre tiene dritta la testa”. — et cursu: supino passivo di curro, curris, cucurri, cursum, currĕre. — ventilat: indicativo presente da ventilo, ventilare. — ignem: accusativo singolare da ignis, ignis. Il verso esplicita un’espressione temporale mediante una proposizione principale coordinata con la precedente. vv. 254-261 L’affollamento per le strade di Roma non è solo fonte di disagio ma causa di pericoli ancor più gravi. Giovenale, come spesso accade, imposta una scena con un elemento e la conclude con un altro elemento (cf. esempio Asturico e Persico). In questo caso, per esempio, i carri trasportano inizialmente gli alberi e poi pietre e marmi. Gli alberi qui citati, come pietre e marmi, sono probabilmente materiali da costruzione. Si tratta di una polemica contro i ricchi che non fanno altro che costruire nuove ville e abitazioni di lusso (polemica che tornerà nella XIV satira). In queste strade affollate Umbricio, malgrado tutto, prosegue il proprio cammino: ma ecco che, nella calca che lo strattona, le tuniche, appena rammendate, si riducono in brandelli. Sui carri viaggiano un pino e un abete, i quali ondeggiano dall’alto minacciando la folla sottostante. La minaccia che incombe sul popolo dei pedoni si concretizza poi nel ribaltamento di un veicolo che trasporta marmi di Luni. Seguono tre interrogative retoriche. Scinduntur tunicae sartae modo, longa coruscat serraco veniente abies, atque altera pinum plaustra vehunt; nutant alte populoque minantur. Nam si procubuit qui saxa Ligustica portat axis et eversum fudit super agmina montem, quid superest de corporibus? Quis membra, quis ossa 50 invenit? Obtritum volgi perit omne cadaver more animae. Traduzione: Si strappano le tuniche appena rammendate, lungo oscilla sul carretto che avanza un abete, un altro casso trasporta un pino; ondeggiano dall’alto e minacciano la folla. Infatti se un carro che trasporta massi liguri si è sfasciato e, una volta ribaltato, ha riversato una montagna di pietre sulla folla, che cosa resta dei corpi? Chi riesce a trovare le membra, chi riesce a trovare le ossa? Schiacciato, il cadavere del volgo (dei poveracci) si perde tutto come il loro soffio vitale. Scinduntur: indicativo presente passivo di scindo, scindis, scidi, scissum, scindĕre. — tunicae: nom. plurale femminile.— modo: avv. “appena”. — sartae: participio perfetto di sarcio, sarcis, sarsi, sartum, sarcire. — longa: agg. di prima classe, nominativo signolare femminile. Si rifesce ad abies. — abies: abies, abietis, nominativo singolare femminile. — coruscat: indicativo pres. da corusco, coruscare, “guizzare”, “fare movimenti rapidi”. È chiaro che il verbo suggerisce il movimento di un essere vivente per cui l’abete viene descritto come un pesce sul bancone che ancora manifesta gli ultimi guizzi vitali. — serraco: serracum, i ablativo singolare neutro. Si tratta di un tipo di carretto trainato da buoi e asini, è cioè una parola celtica entrata nella lingua latina per designare una tipologia di carri. — veniente: ablativo neutro del part. presente di vēnĕo, vēnis, venii, venum, vēnire. Serraco veniente: ablativo assoluto. Il sintagma potrebbe confondersi con un complemento di stato in luogo ma a tal proposito ricordiamo che l’ablativo del participio presente esce in -e quando esso ha valore verbale, in -i quando ha valore aggettivale. In questo caso ha valore verbale, è cioè un participio assoluto. Longa coruscat serraco veniente abies: Giovenale ricorre a un duplice espediente: all’iperbato (longa… / …. abies) che apre e chiude l’incidentale (l’aggettivo longa all’inizio e il sostantivo abies alla fine), e all’enjambement (coruscat / serraco). Ponendo al primo posto l’attributo, di per sé dotato di maggiore coloritura emotiva, il poeta crea nel lettore un senso di attesa che dura finché l’immagine dell’oggetto che ondeggia paurosamente sul carro non si definisce nei contorni niditi di un abete. — atque altera plaustra: nominativi singolari neutri. Plaustra è un altro termine adoperato da Giovenale per indicare il carro. Il poeta cioè alterna termini di derivazione celtica (serraco) a termini latini (plaustra). È un plurale poetico, cioè plurale per il singolare. — vehunt: indicativo presente di vĕho, vĕhis, vexi, vectum, vĕhĕre. — pinum: pinus, i, accusativo singolare femminile. — nutant: indicativo presente da nuto, nutare. Il termine suggerisce una personificazione poichè letteralmente vuol dire “fare un cenno con il capo”; in questo caso significa “oscillare”, in riferimento al movimento del capo che il fare un cenno comporta. L’immagine degli alberi che ondeggiano dall’alto e minacciano la folla ha un riscontro in Virgilio, Eneide, 2, versi 626 e seguenti, in cui c’è la similitudine di Troia che crolla come un albero secolare: l’albero infatti, assalito dai taglialegna e dopo una lunga resistenza, oscilla e viene giù rotolando per il monte. — alte: avv. “dall’alto”. — et minantur: indicativo presente del deponente mĭnor, mĭnāris, minatus sum, mĭnāri. — populo: populus, i, ablativo singolare maschile. — nam si axis: axis, axis, nominativo singolare maschile, soggetto di fudit e procubuit. Si fudit e si procubit sono due proposizioni ipotetiche. Axis è sineddoche indicante una parte per il tutto: asse del carro > intero carro. In pochi versi si affollano tre termini diversi per designare la stessa cosa (serraco, plaustra, axis). — qui portat: introduce una proposizione relativa con verbo portat, da porto, portare. — saxa Ligustica: accusativi plurali neutri; sono letteralmente i “massi liguri”, cioè quei blocchi che venivano cavati nelle cave di Luni, dalle parti dell’odierna Carrara, nelle zone di confine tra Liguria e Toscana. In origine Luni veniva attribuita alla Liguria, ecco perché si parla di massi liguri, poi Augusto fece rientrare questa zona nell’Etruria, corrispondente all’odierna Toscana. — et eversum: participio perfetto accusativo singolare riferito a montem, da ēverto, ēvertis, everti, eversum, ēvertĕre. — fudit: indicativo perfetto di fundo, fundis, fudi, fusum, fundĕre. — montem: mons, montis, accusativo singolare. Eversum… montem: il nesso si configura come una iperbole satirica volta a sottolineare tanto la mone enorme dei blocchi marmorei quando la spregiudicatezza criminale di chi, per nulla preoccupato delle misere condizioni in cui versa il popolo, contente che tali incidenti si verifichino. — super agmina: accusativo plurale. Il termine suggerisce l’idea del gregge per cui la folla viene paragonata al gregge per indicare una moltitudine di uomini. Il significato del verso è: ed ha riversato una montagna di marmi sula folla. — quid: pronome interrogativo, nominativo neutro. — supérest: indicativo presente, composto di sum, da supèrsum supèrest, supèrfui, superèsse. — de corporibus: corpus, corporis, ablativo plurale partitivo. — quis: pronome interrogativo, nominativo singolare. — invenit: indicativo perfetto terza persona singolare da ìnvĕnĭo, ìnvĕnis, inveni, inventum, invĕnīre. Presente o perfetto? La certezza ci viene data dalla scansione: ci serve per forza lunga (lunga-breve-breve). — membra: accusativo plurale neutro. — ossa: accusativo plurale neutro. — cadaver: nominativo sing. neutro. — volgi: genitivo singolare maschile. — obtritum: agg. participio perfetto di òbtĕro, òbtĕris, obtrivi, obtritum, obtĕrĕre. — perit: indicativo presente da pĕrĕo, pĕris, perii, pĕrire. — omne: omnis, e, aggettivo seconda classe, nominativo singolare neutro. La Manzella e altri commentatori sostengono che il corpo, una volta schiacciato, scompare e muore, allo stesso modo dell’anima. In realtà il professore non è d’accordo con tale interpretazione e sostiene che omne non sia attributivo rispetto a cadavere bensì predicativo: con il cadavere perisce tutto indistintamente, dunque pure l’anima. — more animae: il poeta introduce una similitudine, “alla maniera dell’anima”. Giovenale, anche se in un momento tragico, coglie l’occasione per fare satira: qui probabilmente sta irridendo una dottrina stoica di cui parla Seneca nell’Epistola 57. 6-7: “adesso 51 pensi che io segua gli stoici che ritengono che l’anima di un uomo rimasto schiacciato da un grande peso non possa permanere e si disperda subito perché non ha avuto la libertà di uscire liberamente? Ma io in realtà non li seguo: quelli che dicono ciò mi sembrano sbagliare”. Seneca aveva enunciato una parte della dottrina della scuola stoica secondo cui chi rimane schiacciato non riesce a far uscire l’anima (il soffio vitale) dal proprio corpo e per questo l’anima stessa si disgrega. Giovenale riprende questa dottrina facendo finta di credervi, ma in realtà la irride. vv. 262-267 Questa scena è stata paragonata a Omero, Iliade, 22. 442-445, in cui si ha la descrizione delle ancelle che preparano il bagno per Ettore, che in realtà è morto. Quindi alla tranquillità e del clima della casa familiare si contrappone la tragica realtà che vede l’eroe morto. Nei versi di Giovenale l’uomo che è morto è evidentemente un romano di medio livello che dispone di qualche servitore e che a casa ha una famiglia che lo attende. Si noti che i romani, una volta tornati a casa, usavano fare il bagno con gli strigili, cioè dei raschetti. Lo strigile era propriamente uno strumento di metallo ricurvo, provvisto di una lama e utilizzato per lavare gli uomini e raschiar via dal loro corpo l’olio, il sudore e la sporcizia (usato anche per lavare i cavalli). La particella avversativa at segna il cambio di soggetto, che diviene il defunto padrone di casa. Emerge dunque un contrasto drammatico tra la vita terrena e quella nell’oltretomba. La scena ha come suo ipotesto Virgilio, Eneide 6. 296 e seguenti, cioè la descrizione delle anime nell’oltretomba, in attesa di essere traghettate da Caronte, e nelle quali s’imbatte Enea durante la sua discesa negli Inferi. Tuttavia Giovenale attribuisce alla scena una connotazione parodica, tesa a deridere le credenze popolari. I questa direzione spinge anche il gioco dell’antitesi stilistica tra termini poetici di stile elevato (porthmea, caenosi, gurgitis, alnum) e termini prosastici (novicius, trientem). Caronte è definito pòrthmeus, termine greco equivalente del latino portitor. Non è un grecismo tecnico bensì grecismo dotto (utilizzato per la prima volta nell’Alcesti di Euripide), presente anche in Virgilio, Eneide. 6, 298: portitor horrendus, letteralmente “il traghettatore orrendo” (il traghettatore di cui aver paura”). Giovenale immagina l’ombra dell’uomo che siede tremante sulla riva del fiume, già rassegnato all’idea di non poter varcare la soglia degli inferi. In nec sperat c’è infatti la triste consapevolezza di chi sa di non aver diritto nemmeno a sperare di giugere agli inferi poichè morto prematuramente, di morte violenta per giunta e perché privato di una sepoltura. Lo stesso Virgilio in Eneide 6. 325 e seguenti descrive una massa di anime a cui Caronte nega il passaggio dall’altra parte del fiume perché morti di una morte prematura, di morte violenta e rimasti insepolti dopo la morte. L’antica usanza prevedeva infatti che la famiglia del caro defunto ponesse nella sua bocca una monetina (il cosiddetto obolo) da cedere a Caronte come offerta per il viaggio sulla barca, tuttavia qui il padrone ne è privo perchè è rimasto insepolto e quindi non può viaggiare sull’imbarcazione di Caronte. Giovenale riprende la credenza popolare non per fare polemica sociale, giacché il padrone di cui si parla doveva appartenere a un ceto sociale più o meno medio in grado di mantenere al suo servizio un certo numero di servi. La scena sembra piuttosto voler deridere quell’antica credenza sorta in Grecia e diffusasi poi a Roma attorno al destino dell’uomo dopo la morte, credenza secondo cui il mancato adempimento dei riti di sepoltura o il sopraggiungere improvviso della morte proibivano l’ingresso agli inferi. Domus interea secura patellas iam lavat et bucca foculum excitat et sonat unctis striglibus et pleno componit lintea guto. haec inter pueros varie properantur, at ille iam sedet in ripa taetrumque novicius horret porthmea nec sperat caenosi gurgitis alnum infelix nec habet quem porrigat ore trientem. Traduzione: La casa, intanto, tranquilla già lava i piatti e ravviva il focherello soffiando e la casa risuona di unti raschetti e, una volta riempita l’ampolla dell’olio, piega i teli da bagno. Queste faccende vengono affrettate in vario modo tra gli schiavi, ma quello già siede sulla riva e novizio teme lo spaventoso barcaiolo e non spera nel battello del gorgo fangoso, infelice, non avendo il terzo di asse da offrire. Domus: nominativo singolare femminile. Per metonimia è da intendersi con “servitù”; il suo significato oscilla fino a ricoprire poi quello di “casa” con sonat. Domus fa da soggetto a: lavat, excitat, sonat e componit. — interea: avv. temporale “intanto”; esso stabilisce il rapporto di tragica contemporaneità tra la vicenda interna e quella esterna. — secura: aggettivo di prima classe, nominativo singolare femminile. — iam lavat: indicativo presente terza persona singolare. — patellas: accusativo plurale femminile. — et excitat: indicativo presente da excito. — foculum: accusativo singolare neutro. — bucca: ablativo singolare. — et (domus) sonat: indicativo presente da sŏno, sŏnas, sonui, sonitum, sŏnāre. — unctis: aggettivo participio perfetto ablativo plurale femminile, da ungo, ungis, unxi, unctum, ungĕre. — strigilibus: forma sincopata di strigilis, strigilis, ablativo 52 femminili. Pelves viene da pelvis, pelvis. C’è l’allitterazione della bilabiale sorda che potenzia l’effetto dell’immagine evocata. vv. 278-285 (escludi il v. 281, non è di Giovenale!) C’è un riferimento a giovani di famiglie di un certo livello che di notte si ubriacano e picchiano i passanti. Un riscontro si ritrova nel passo di Apuleio che racconta proprio di giovani che addirittura derubano coloro che passano, a volte ammazzandoli pure. Tuttavia Giovenale a differenza di Apuleio parla di un unico giovane ubriaco insolente e attaccabrighe che riesce a dormire solo grazie a una rissa. I romani non godevano della luminosità notturna, le vie non erano illuminate e per questo era pericoloso circolare. Per quanto riguarda i vv. 280-282, i manoscritti recano un verso che fu sospettato di essere interpolato. Ci sono varie ragioni che fanno pensare ciò. Quella di partenza che rese sospettoso lo studioso Heinecke, che per primo ne suggerì l’espulsione, rigettandolo perché non autenticamente giovenaliano, è il fatto che ergo venga letto come spondiaco con arsi sulla prima sillaba. A partire da dopo Virgilio , la -o desinenziale, tranne che per gli ablativi, viene normalmente misurata come breve in tesi, quando cioè non porta l’ictus. Quindi il verso va contro le abitudini metriche dell’epoca di Giovenale. Un altro sospetto deriva dal fatto che il verso abbia un intento esplicativo, tipico delle interpolazioni: “dunque non potrà dormire in altro modo”. Terzo e ultimo indizio è relativo al fatto che sia tutto al singolare fatta eccezione per l’unico plurale, quibusdam. ebrius ac petulans, qui nullum forte cecidit, dat poenas, noctem patitur lugentis amicum Pelidae, cubat in faciem, mox deinde supinus: [ergo non aliter poterit dormire; quibusdam] somnum rixa facit. sed quamuis inprobus annis atque mero feruens cauet hunc quem coccina laena uitari iubet et comitum longissimus ordo, multum praeterea flammarum et aenea lampas. Traduzione: Un ubriaco e insolente, che per caso non ha trovato nessuno da picchiare, si affligge, patisce una notte come quella del Pelìde che piange l’amico, giace bocconi, subito dopo supino: è una rissa che concilia il sonno! Ma, benché insolente per l’età, e acceso dal vino, si tiene alla larga da questi che un mantello scarlatto e una lunghissima fila di accompagnatori raccomandano di evitare, così come (raccomandano di evitare) molte fiaccole e lampade di bronzo. Ebrius: agg. di prima classe, nominativo singolare maschile, “ubriaco”. — ac petulans: petulans, petulantis, agg. di seconda classe, nominativo singolare. I due aggettivi forniscono in modo sintetico il ritratto dell’aggressore: il primo indica uno stato di ubriachezza transitoria, laddove il secondo indica un’inclinazione all’aggressività e un’insolenza connesse tanto con la giovanile età dell’uomo, quanto con il suo stato di ubriachezza. — qui: pron. relativo, nominativo singolare maschile. — forte: avv. “per caso”. — nullum: accusativo singolare. — cecidit: indicativo perfetto di caedo, caedis, cecidi, caesum, caedĕre. — dat: indicativo presente di do, das, dedi, datum, dare. — poenas: accusativo plurale femminole. Dat poenas è locuzione stereotipata che significa genericamente “si affligge”. — patitur: indicativo presente del deponente pătĭor, pătĕris, passus sum, păti. — noctem: accusativo singolare. — lugentis Pelidade: lugentis è un aggettivo participio presente, genitivo singolare, da lūgĕo, lūges, luxi, luctum, lūgēre, che significa “compiangere qualcuno morto”. — amicum: accusativo singolare maschile. Al v. 279, noctem patitur lugentis amicum Pelidade:, c’è la ripresa parodica di Omero, Iliade, 24, 9-12, in cui Patroclo, amico e amasio di Achille, è stato ucciso e per questo l’eroe passa una notte terribile. Conseguenza di ciò sarà la sua furia devastante. È una ripresa parodica perché si paragola lo stato d’animo di un ubriaco con quello di un valoroso guerriero, Achille. Sul versante stilistico la parodia è resa dall’iperbato in enjambement: patitur lugentis amicum Pelidade. — cubat: indicativo presente da cŭbo, cŭbas, cubui, cubitum, cŭbāre. — in faciem: accusativo singolare femminile di V declinazione. — mox deinde: avv. “subito dopo”. — supinus: aggettivo di prima classe, nominativo singolare. — somnum: accusativo singolare maschile. — rixa: nominativo singolare femminile. — facit: indicativo presente da facio. L’inizio del v. 282 lo rendiamo con una frase scissa: quando il latino vuole evidenziare un termine poteva affidarsi solo all’enfasi nella pronuncia, mentre in italiano utilizziamo la frase scissa proprio per dare enfasi al soggetto “rissa”. — sed: l’allitterazione in somnum… sed sottolinea l’introduzione di una obiezione al pensiero espresso nella frase scissa, giacché, se è vero che per un pesonaggio siffatto una rissa concilia il sonno, è altre vero che questi, nonostante i bollori della gioventù e quelli del vino, si mostrerà molto cauto nella scelta del bersaglio contro il quale sfogare la 55 propria aggressività. — quamvis: avv. “per quanto”. Regge sia inprobus che il participio fervens. — inprobus: agg. di prima classe, nominativo singolare maschile, “sfrontato”, cioè atteggiamento di persone il cui comportamento si rivela contrario al comune senso di pudore e del decoro. — annis: annus, i, ablativo plurale di causa. — atque mero: merum, meri, ablativo singolare neutro. — fervens: aggettivo participio presente di ferveo, ferves, ferbui, fervēre. Letteralmente mero fervens vuol dire “ribollente per il vino puro”. Il vino puro era bevuto dagli ubriaconi, le persone normali lo bevevano mescolato all’acqua. Il participio dà proprio l’idea di qualcuno che ribolle per il vino talmente è gonfio e pieno. La disposizione chiastica in inprobus annis / atque mero fervens permette al poeta di porre l’accento su due elementi, l’età giovanile e lo stato di ebrezza che, in una miscela esplosiva, concorrono a fare dell’uomo una concreta minaccia per chi abbia la sfortuna di capitargli tra i piedi. — cavet: indicativo presente da căvĕo, căves, cavi, cautum, căvēre. — hunc: accusativo singolare maschile del dimostrativo hic, haec, hoc. — quem: pronome relativo, accusativo singolare maschile, si riferisce a quem. — coccina laena: laena è nominativo singolare femminile; coccina è agg. di prima classe, nominativo singolare femminile, “scarlatto”. L’aggettivo proviene da coccum, “bacca”, indicava la sostanza naturale da cui veniva tratto il colorante. Invece la laena era un mantello confezionato con una lana spessa e villosa, un pesante capo invernale corrispondente al soprabito indossato dagli eroi omerici e utilizzato a Roma in epoca imperiale da uomini e donne, ricchi e poveri che fossero. Esso però se colorato con tinte pregiate come la cocciniglia o la porpora diventava molto costoso. — et longissimus ordo: ordo viene da ordo, ordinis, nominativo singolare maschile. Longissimus è il nominativo singolare maschile del superlativo dell’aggettivo di prima classe. — comitum: comes, comitis, genitivo plurale. Longissimus ordo comitum è un iperbato. Giovenale fa qui riferimento ai cosiddetti clientes o comites. La clausola inoltre rinvia a Virgilio, Eneide, 11. 94, comitum praecesserat ordo. Nei vv. 283-285 si innesta, accanto al tema della criminalità di strada, il solito motivo del contrasto tra ricchezza e povertà. Giovenale dipinde l’ennesima ingiustizia sociale, in cui lo sfavillio dell’apparizione del ricco, splendente nel suo mantello scarlatto, avvolto dalla luce delle fiaccole e protetto da una fitta schiera di accompagnatori, contrasta con la misera immagine del povero, così piccolo e indifeso nella propria solitudine. — iubet: indicativo presente di iŭbĕo, iŭbes, iussi, iussum, iŭbēre. Il verbo non vuol dire unicamente “obbligare”, ma “consigliare”, “raccomandare”. Ha come soggetti coccina laena e longissimus ordo comitum. Il verbo inoltre regge l’infinito che segue. — vitari: infinito perfetto passivo di vito, vitare. — multum flammarum: flammarum è genitivo partitivo rispetto alla quantità in dipendenza da un aggettivo di prima classe usato in funzione di sostantivo. — aenea lampas: aenea è un aggettivo di prima classe che deriva da aes, aeris, “bronzo”. Si legge con la dieresi. Lampas è un accusativo plurale femminile. Aenea lampas è un singolare collettivo. Il sintagma fa riferimento alla scarsa illuminazione stradale, da cui la necessità di munirsi di lampade o, nel caso degi cittadini più benestanti, di farsi precedere da schiavi provvisti di fiaccole e candelieri. Aenea rivela, in accordo alla tinta del mantello e alla fitta schiera di accompagnatori, lo straordinario benessere di cui l’uomo gode, giacchè solo i ricchi potevano permettersi costosissime lampade realizzate in metallo. vv. 286-296 Il monosillabo che apre il verso ci dice subito l’irrimediabile solitudine in cui versa il pauper a cui mancano il calore della lampada e soprattutto la compagnia di uno schiavo. L’ubriacone non si fa scrupoli quando vede che la persona che gli si pone davanti è di basso ceto sociale. L’impianto sintattico del discorso dell’ubriaco è ironicamente solennizzante (unde venis). Le interrogative rispondono di per sè a moduli che possiamo ritrovare nel modulo dell’epica dunque non sono altro che una degradazione intenzionale dei modelli epici. me, quem luna solet deducere uel breue lumen candelae, cuius dispenso et tempero filum, contemnit. miserae cognosce prohoemia rixae, si rixa est, ubi tu pulsas, ego uapulo tantum. stat contra starique iubet. parere necesse est; nam quid agas, cum te furiosus cogat et idem fortior? “unde uenis” exclamat, “cuius aceto, cuius conche tumes? quis tecum sectile porrum sutor et elixi ueruecis labra comedit? nil mihi respondes? aut dic aut accipe calcem. ede ubi consistas: in qua te quaero proseucha? 56 Traduzione: Di me invece, che la luna suole scortare o la fioca fiamma di una candela, di cui regolo e risparmio lo stoppino, non ha riguardo. Apprendi gli esordi di una sventurata rissa, se rissa è, quando tu le dai e io le prendo soltanto. Si ferma davanti e ordina di fermarsi: bisogna obbedire; che cosa potreste fare, infatti, quando a costringerti è un pazzo ed è pure più forte? “Da dove vieni” esclama “dell’aceto di chi, delle fave di chi sei gongio? Quale ciabattino si è ingozzato con te, quale porro tagliato e muso di castrato bollito ha mangiato? Non mi rispondi? O parli o ti prendi un calcio. Dimmi dove abiti: in quale sinagoga ti devo venire a cercare?” Me: asindeto avversativo. — quem: pronome relativo, accusativo singolare. — luna: luna, lunae, nominativo singolare. — solet: indicativo presente da sŏlĕo, sŏles, solitus sum, solitum, sŏlēre. — deducere: infinito presente dēdūco, dēdūcis, deduxi, dēdūcĕre. — vel: avv. “oppure”. — breve: brevis, e, nominativo singolare neutro. — lumen: nominativo singolare neutro. — candelae: genitivo singolare. — cuius: pronome relativo, genitivo singolare. — filum: accusativo singolare neutro. — dispenso: indicativo presente da dispenso, dispensare. — tempero: indicativo presente da tempero, temperare. Dispenso et tempero: pleonasmo che pone l’accento sulla miseria dell’uomo. — contemnit: indicativo presente da contemno, contemnis, contempsi, contemptum, contemnĕre. — cognosce: imperativo presente da cognosco, cognoscis, cognovi, cognitum, cognoscĕre. contemnit… cognosce: allitterazione del suono gutturale. — prohoemia: prohoemium, i, nominativo plurale neutro. Il termine si riferisce all’inizio di qualcosa. — miserae: miser, misera, miserum, genitivo singolare femminile. — rixae: genitivo singolare. Miserae… rixae: iperbato. — si rixa est: proposizione condizionale con verbo all’indicativo presente. — ubi: cong. “quando”. — tu: Giovenale si riferisce a un tu generico, che è invitato ad ascoltare l’esordio della zuffa, un’incalzante successione di domande che si traducono in offese e ingiurie tese ad umiliare il povero. — pulsas: indicativo presente da pulso, pulsare. — ego vapulo: indicativo presente da vāpŭlo, vāpŭlāre, “prendere botte”. — tantum: avv. “soltanto”. — stat: indicativo presente da sto, stare. — contra: avv. “di fronte”. Stare contra significa in questo caso “opporsi”. — et iubet stari: “e ordina di fermarsi”. Iubet è indicativo presente da iŭbĕo, iŭbes, iussi, iussum, iŭbēre. Stat… stari: poliptoto che enfatizza la contrapposizione dell’aggressore che si pianta dinanzi alla vittima prescelta, la quale resta immobile. — est parere necesse: necesse è un aggettivo indeclinabile, “necessario”. Regge l’infinito parere, da pārĕo, pāres, parui, paritum, pārēre. Parere necesse è una clausola già presente in Catullo, 62. 61 ipse pater cum matre quibus parere necesse est, con riferimento alla necessità di obbedire ai propri genitori, in accordo ai più importanti valori della tradizione romana; in Lucano, 6. 494 e seguenti, parere necesse est / an iuva?, ove si tratta di obbedire ai comandi delle streghe. La clausola racchiude in sè il senso di rassegnazione della povera vittima. — nam quid agas: quid è il pronome interrogativo, mentre agas è congiuntivo presente di ăgo, ăgis, egi, actum, ăgĕre. L’interrogativa retorica introduce un concetto di antica matrice sapienzale: è infatti nutile opporsi contro chi è più forte. Il concetto lo si trova già in Esiodo, Opere e Giorni, 210-211, stolto colui che vuole opporsi ai più forti: della vittoria resta privo e alla vergogna aggiunge dolori. Si guardi poi Giovenale Satira IV, 14 e seguenti, che cosa potresti fare quando si tratta di una persona crudele e più spregevole di qualunque accusa che le si potrebbe muovere? — cum: cong. con valore temporale, “quando”. — cogat: congiuntivo presente da cōgo, cōgis, coégi, coactum, cōgĕre. Composto di cum+ago. — te: pronome personale, accusativo singolare. — furiosus: aggettivo di prima classe, nominativo singolare maschile. — et fortior: comparativo di maggioranza, da fortis, e, nominativo singolare maschile. — idem: ha valore enfatico, “e per di più, più forte di te”. — unde: avv. “Da dove”. — venis: indicativo presente da venio, venire. — exclamat: indicativo presente da exclamo, exlamare. Il verbo introduce una fitta serie di interrogative. Si è voluto vedere un richiamo al tradizionale scambio di battute tra eroi omerici i quali, sul campo di battaglia, si presentano ripercorrendo brevemente la storia della propria famiglia; ma il motivo ricorre anche nell’Odissea, in contesti non ostili, in scene di ospitalità, quando l’estraneo, dopo il banchetto, è invitato a presentarsi. — cuius: pronome interrogativo, cuius, cuia, cuium, genitivo singolare maschile. — aceto: acetum, i, ablativo singolare neutro. Si tratta di una domanda ingiuriosa con la quale l’aggressore offende non solo il povero ma anche l’ospite presso il quale egli ha forse cenato (dato che sta tornando a casa a quell’ora): una cena miserabile degna di un miserabile individuo e del suo miserabile ospite. Lo stesso termine aceto allude forse a un vino di pessima qualità oppure alla posca, cioè a una bevanda particolarmente diffusa tra il popolino e i soldati, come surrogato del vino, composta di aceto misto ad acqua. — conche: conchis, conchis, ablativo singolare femminile. Singolare collettivo, declinato alla maniera greca, è un grecismo. Significa “fava” e sta per “fave”. Le fave sono un cibo frugale, particolarmente diffuso tra i poveri, i contadini e tra le persone di bassa estrazione sociale. È un cibo che causa gonfiore di stomaco, sonnolenza e flatulenza, non a caso i pitagorici raccomandavano di astenervisi poichè nocive alla concentrazione. — tumes: indicativo presente da tumeo, tumes, tŭmēre. — quis: pronome interrogativo, nominativo singolare maschile. — sutor: sutor, sutoris, nominativo singolare maschile. Si tratta di un insulto evidentemente giacché il termine, riferendosi a un artigiano di basso rango, un ciabattino, è usato con intento spregiativo a designare gente di bassa estrazione sociale. — comedit: indicativo perfetto da còmedo, còmedis, comédi, comésum, comèdere. Composto di edo, edis, édi, esum, édere, “mangiare”. Il paradigma del verbo edo si caratterizza per apofonia quantitativa fra il tema del presente e del perfetto: è sempre ed- ma con la e breve nel tema del presente e con la e lunga nel tema del perfetto. Il verbo latino designa il mangiare in spagnolo e portoghese (comer). In questo caso il preverbio cum- ha significato intensivo, vuol dire cioè 57 subeo, sŭbis, subii, subitum, sŭbire, “subito”, “all’improvviso”, “in modo repentino”. Si riferisce a grassator, “l’improvviso bandito”. Il senso è “all’improvviso un bandito”. Uso dell’aggettivo in luogo dell’avverbio subito e si parla di enallage (una parte del discorso, l’aggettivo, è usata in luogo di quella logicamente attesa, in questo caso l’avverbio). Costruzione: Quotiens et pomptina palus et gallinaria pinus, tenentur tutae armato custode, inde omnes sic currunt huc tamquam omnes ad vivaria. — quotiens: avv. con valore relativo, “ogni volta che”. — et… et: correlazione, “sia… sia”. — pomptina palus et gallinaria pinus: Umbricio imputa la responsabilità della presenza dei banditi a Roma all’azione repressiva e al potenziamento militare cui il potere centrale sottopone tutti quei territori che, circostanti la capitale, offrono rifugio alle bande, un provvedimento tutt’altro che risolutivo, in conseguenza del quale, militarizzato il contado e rese più sicure le aree più a rischio, l’urbe, rimasta priva di guarnigioni, diviene facile preda delle orde dei briganti. Il concetto è enfatizzato da accorgimenti stilistici, quali l’iperbato armato… custode e l’allitterazione della dentale sorrda, tutae… tenentur. Il sostantivo pinus è femminile come sono femminili in latino i nomi di alberi e piante. È un singolare collettivo, “pino gallinario”. È una sineddoche perché il pino indica la pineta, quindi una parte per il tutto. La pineta gallinaria era situata in una zona compresa tra Cuma e la foce del Volturno. Giovenale allude a ciò che avvenne all’epoca di Sesto Pompeo in quella zona: quando suo padre, Pompeo Magno, fu ucciso da Cesare, egli continuò la guerra facendo della Sicilia la propria base militare. Lo storico Strabone, vissuto nell’età di Augusto, dice che in quegli anni la pinera era stata un luogo di raccolta delle truppe per Sesto Pompeo, che nella propaganda augustea era stato declassato al ruolo di capo dei pirati anzichè avversario politico. Per quanto riguarda, invece, la palude Pontina, si trattava di una zona malsana e ricca di vegetazione che fu oggetto, sin dall’antichità, anche da parte di Cesare e Augusto, di numerosi tentativi di bonifica che permisero la costruzione di alcuni centri abitati lungo la via Appia che attraversava l’area. — tenentur: indicativo presente passivo da tĕnĕo, tĕnes, tenui, tentum, tĕnēre. — tutae: agg. participio perfetto, nominativo plurale (si riferisce a pomptina palus et gallinaria pinus); deriva dal deponente tùeor, tŭēris, tuitus sumt, tŭēri, “protetto”, “difeso”. — custode: custos, custodis, ablativo singolare. — armato: agg. participio perfetto, ablativo singolare; deriva da armo, armare. Armato custode è singolare collettivo ed è un ablativo strumentale in luogo del complemento d’agente. È un uso non casuale ma che comporta la reificazione di un determinato individuo. Giovenale è abile in questo processo per indicare determinati individui che vengono trattati come cose e oggetti, espediente funzionale all’intento satirico dell’autore. A proposito di ciò, Cf. Satira 1. 54 mare percussum fuero. Si sta parlando di Icaro che cade in mare, quindi il mare colpito dal ragazzo, se non fosse che Icaro diventa un sasso che va a colpire il mare. Altra espressione celebre è in 630, dove si parla di Messalina, moglie dell’imperatore Claudio, che di notte esce dal palazzo e va a preostituirsi. Torna a casa estenuata dagli uomini ma non ancora saziata. In una frase di questo genere gli uomini sono rappresentati come strumenti, per cui anche qui la reificazione ha una chiara potenza stilistica. — inde: avv. di luogo, “di là”. — omnes: nominativo plurale. — currunt: indicativo presente da curro, curris, cucurri, cursum, currĕre. — sic…. tamquam: correlazione “così come”. Tamquam introduce una comparazione ipotetica. — omnes ad vivaria: vivarium, vivarii, ad+accusativo plurale neutro. Si noti il paradosso che viene messo in luce da Giovenale al v. 308: poichè si è deciso di andare a presidiare i territori dei briganti, fuori dall’Urbe, questi si sono adesso riversati su Roma, rendendo le sue strade insicure dato che sono rimaste incontrollate. Emerge un’intenzione polemica da parte del poeta, resa con l’immagine dei banditi che corrono in massa a Roma, tamquam vivaria, cioè come se Roma fosse una riserva di pesca e di caccia. vv. 309-314 Nei vv. 309-311 c’è la ripresa in chiave satirica di un motivo che era stato reso celebre da Virgilio, Georgiche 1, 506-508: nessun onore è degno dell’aratro, i campi restano squallidi una volta portati via i coloni, e così le urbe falci vengono fuse per ricavarne dure spade. Virgilio sta qui criticando l’abbandono degli strumenti agricoli per la corsa agli armamenti. L’immagine viene portata da Giovenale fino all’estremo, al paradosso: in un giorno si fabbricano così tante catene per i banditi che c’è da temere che non resti più ferro per la fabbricaziine di zappe, raschielli e marre, strumenti di pace che sono gli arnesi agricoli. La lunga lamentela di Umbricio su Roma si conclude con un luogo comune: laus temporis acti. Il motivo è quello della “lode del passato” che, alla celebrazione della felicità di un personaggio unisce l’elogio del buon tempo antico; essa viene impostata in forma di beatitudine, cioè: “beati quelli che…”. L’esempio più celebre risale a Orazio, Epodi, 2, 1, beato colui che lontano dalle faccende. Solo e sdradicato, Umbricio volge per un’ultima volta lo sguardo indietro, a un remoto e perduto passato di innocenza, inneggiando alle generazioni degli avi che vivevano nel rispetto delle leggi, contente di un solo carcere. Sul motivo della lode del passato cala però un velo di pessimismo che pervade di per sè la satira giovenaliana e, lungi dall’essere incorrotti, gli antichi si rivelano solo meno corrotti, secondo una visione disfattista che legge nella storia dell’uomo le tappe di una progressiva e crescente degenerazione morale. 60 qua fornace graues, qua non incude catenae? maximus in uinclis ferri modus, ut timeas ne uomer deficiat, ne marra et sarcula desint. felices proauorum atauos, felicia dicas saecula quae quondam sub regibus atque tribunis uiderunt uno contentam carcere Romam. Traduzione: Su quale fucina, su quale incudine non si forgiano/non ci sono pesanti catene? Una enorme quantità di ferro se ne va in ceppi (vi è in catene), così da temere che venga a mancare il vomere, che vengano meno la marra e i raschielli. Felici gli antenati degli avi, felici potresti dire le generazioni che un tempo sotto i re e i tribuni videro Roma contenta di un unico carcere. Qua: pronome relativo, ablativo singolare di stato in luogo, “su quale fucina, su quale incudine”. Anafora del pronome. — fornace: ablativo singolare. — incude: incus, incudinis, ablativo singolare. — non (sunt): la negazione è dislocata (ritardata), si riferisce sia a fornace, sia a incude. — catenae: nominativo plurale femminile. — graves: aggettivo di seconda classe, nominativo plurale femminile. Graves è associato alla prima interrogativa; catenae è associato alla seconda interrogativa. — maximus: aggettivo di prima classe, nominativo singolare maschile. — modus: nominativo singolare maschile, “quantità”. — ferri: genitivo singolare neutro. — in vinclis: forma sincopata di vinculis, ablativo plurale neutro, da vinculum, i. — ut timeas: proposizione consecutiva riferita a un tu generico, “tanto che tu temi che venga a mancare il vomere”. Timeas è congiuntivo presente di tĭmĕo, tĭmes, timui, tĭmēre. — ne deficiat: congiuntivo presente di dēfĭcĭo, dēfĭcis, defeci, defectum, dēfĭcĕre. — vomer: vomer, vomeris, nominativo singolare maschile; soggetto di deficiat. — ne desint: congiuntivo presente di desum. — marra: nominativo singolare femminile. — sarcula: nominativo neutro plurale. Marra e sarcula sono soggetti di desint. Si noti la variazione di numero, con vomer e marra al singolare e sarcula al plurale. Precisamente con marra s’intende una sorta di zappa dentellata, utilizzata prima del sarchiello per rompere il terreno. Il sarculum, con una o due punte, è una zappa usata per riversare la terra sui semi appena piantati, per smuovere il terreno in superficie attorno alle radici delle piante, nonché come sostituto, sui terreni poco profondi, dell’aratro. — felices: agg. di seconda classe, accusativo plurale. — atavos: accusativo plurale maschile. — proavorum: genitivo plurale maschile, “bisavolo” (= quadrisnonno). — felicia: agg. di seconda classe, accusativo plurale neutro. — dicas: congiuntivo potenziale riferito a un tu generico. Deriva da dico, dīcĕre. — saecula: accusativo plurale neutro. — quae: nominativo plurale neutro. Introduce una proposizione relativa il cui verbo è viderunt. — quondam: avv. “un tempo”. — sub regibus atque tribunis: ablativi plurali maschili rispettivamente di terza (rex, regis) e di seconda (tribunus, tribuni) declinazione. — viderunt: indicativo perfetto da vĭdĕo, vĭdes, vidi, visum, vĭdēre. — Romam contentam: accusativi singolari femminili. Contentam è aggettivo participio perfetto da contendo, contendis, contendi, contentum, contendĕre. — uno carcere: ablativi singolari maschili. Carcere viene da carcer, carceris. Il satirico intende qui riferirsi al complesso del carcere Mamertino, la più antica prigione di Roma, situata al Clivio Argentario, alle pendici meridionali del Campidoglio, ove, secondo la tradizione, fu costruito nel VII sec. a.C. per volontà di Anco Marzio, che così voleva opporsi al diffondersi degli atti criminosi. Nell’ambiente sottostante c’era il Tulliano, una segreta e temuta cella sotterranea, che la tradizione collega all’iniziativa di Servio Tullo e nella quale si tenevano le esecuzioni capitali: la pena della reclusione era infatti estranea all’ordinamento penale romano, ed era prevista solo per coloro che fossero in attesa di giudizio. Il Tulliano è descritto con dovizia di particolari da Sallustio, nel quadro della più ampia trattazione della prigionia e dell’esecuzione dell’ex console Lentulo, Cetego, Statilio, Gabinio e Cepario, che qui furono soffocati dai carnefici con un laccio alla gola. vv. 315-322 Dopo che Umbricio ha spiegato al poeta le ragioni che lo inducono a lasciare Roma per stabilirsi nella cittadina campana di Cuma, egli rivolge all’amico il suo ultimo saluto: ormai si fa sera, le bestie sono impazienti e il mulattiere fa cenno di sbrigarsi. È giunta l’ora di andare. Ma i due amici si vedranno ancora: non a Roma ove Umbricio non ha intenzione di mettere più piede, bensì ad Aquino, nella casa di famiglia del poeta. Il brano presenta una complessa rete di richiami al prologo, in una composizione ad anello che rivela la cura scrupolosa con la quale il poeta ha atteso alla composizione della satira. Si noterà innanzitutto la menzione delle bestie da soma e del mulio, rispettivamente ai vv.316-317, un esplicito richiamo al v.10 (raeda… una); ancora, il riferimento a Cerere e Diana nel v.320, le divinità femminili che presiedono alla campagna, la cui presenza nella cittadina di Aquino ci riporta alla Sibilla e a Cuma (v. 321, cf. v.2); infine si noti il riferimento ai vv. 321-322, alle satire e a una possibile recitatio dinnanzi al pubblico di ascoltatori, un’allusione alle recitationes dei poetastri nel caldo mese di agosto (v. 9). L’ipotesto parrebbe essere rappresentato dal finale della prima ecloga virgiliana, cui la scena descritta da Giovenale si richiama in 61 modo palese per il riferimento al tramonto che fa da sfondo dell’addio (in virtù di una convenzione pastorale e bucolica). his alias poteram et pluris subnectere causas, sed iumenta uocant et sol inclinat. eundum est; nam mihi commota iamdudum mulio uirga adnuit. ergo uale nostri memor, et quotiens te Roma tuo refici properantem reddet Aquino, me quoque ad Heluinam Cererem uestramque Dianam conuerte a Cumis. saturarum ego, ni pudet illas, auditor gelidos ueniam caligatus in agros.’ Traduzione: A queste potrei aggiungere altre e più numerose ragioni, ma i muli chiamano e il sole tramonta. È tempo di andare; già da tempo infatti, il mulattiere mi fa cenno, agitando il frustino. Addio dunque, ricordati di me e, ogni volta che Roma ti restituirà, desideroso di ristorarti, alla tua Aquino, fa’ tornare indietro anche me da Cuma alla Cerere Elvina e alla vostra Diana. Delle satire io, se esse non se ne vergognano, verrò come ascoltatore, con gli scarponi, nelle fresche campagne. His: pronome dimostrativo, dativo plurale femminile. — poteram: indicativo imperfetto da possum. Esprime l’irreale nel presente. Si noti prò che nel latino di età repubblicana l’imperfetto indicativo veniva usato piuttosto per esprimere l’irrealtà nel passato. Già a partire da Lucrezio e sempre più spesso nell’età imperiale viene usato con valore di irrealtà nel presente: “potrei” piuttosto che “avrei potuto”, dunque il suo valore dipende dall’epoca in cui ci troviamo. — subnectere: infinito presente di subnecto, subnectis, subnexui, subnexum, subnectĕre. — alias et pluris causas: accusativi plurali femminili. L’aggettivo alias viene da alius, alia, aliud. Pluris: -is sta per -es, viene da plures, plura ed è il plurale di plus, pluris, a sua volta comparativo di multus. L’ampiezza dell’iperbato tra l’aggettivo alias e il sostantivo causas, in posizione finale, mira a porre l’accento sull’infinità di motivi che spingono Umbricio a partir. Si noti l’omeoteleuto in his… pluris e l’allitterazione a ponte in poteram et || pluris. — sed iumenta: nominativo plurale neutro. — vocant: indicativo presente da voco, vocare. — et sol: nominativo singolare maschile. — inclinat: indicativo presente da inclino, inclinas, inclinavi, inclinatum, inclinare. — eundum est: accusativo del gerundio di eo, is, ii, itum, ire. Ha valore impersonale, “bisogna andare”. — nam iamdudum: nam è cong. “infatti”, iamdudum è avv. “da molto tempo”. — mulio: nominativo singolare maschile. — adnuit: indicativo presente da adnŭo, adnŭis, adnui, adnŭĕre. — mihi: dativo singolare. — commota virga: ablativi singolari femminili. Il sintagma è un ablativo assoluto, di cui commota è l’aggettivo participio perfetto di commŏvĕo, commŏves, commovi, commotum, commŏvēre. Si riferisce all’azione del mulattiere che, agitando la frusta, fa segno a Umbricio di sbrigarsi. — ergo: cong. “allora”. — vale: imperativo presente da vălĕo, văles, valui, valitum, vălēre, “sii capace di ricordarti di me”. — memor: agg. di seconda classe, memor, memoris, nominativo singolare. — nostri: pronome possessivo, genitivo plurale. Uso della prima persona plurale in luogo della prima persona singolare, “ricordati di me”. La formula è un’eco Oraziana, da Carmina 3. 27. 14, et memor nostri, Galatea, vivas, laddove, nel contesto di un carme augurale per il viaggio di Galatea sull’Adriatico, Orazio esprime all’amica tutto il suo affetto e la sua premura, ora consigliandola caldamente, ora ammonendola sui rischi del viaggio per mare. — et quotiens te: avverbio relativo, “ogni volta che”. La clausola isola in posizione finale il monosillabo te, ponendo l’accento su Giovenale che, muto interlocutore di Umbricio, torna ora a dominare la scena con il richiamo al suo conflittuale rapporto con Roma, al suo amore per la campagna e la residenza di Aquino e, sopra ogni altra cosa, alla sua attività di poeta satirico. —- reddet: indicativo presente da reddo, reddis, reddidi, redditum, reddĕre. Soggetto è Roma, complemento oggetto è te. — tuo Aquino: dativi singolari. La conclusione che si trae è che Giovenale fosse di Aquino, zona di campagna situata nel Lazio meridionale. In questa direzione spinge reddet, spiegabile solo ammettendo un’originaria appartenenza del poeta ad Aquino, e che s’attaglia perfettamente al caso di una Roma che “restituisce” alla sua città natale il figlio precedentemente sottrattole; nonché il successivo vestramque Dianam, che attesta piuttosto chiaramente l’appartenenza del poeta alla comunità locale. Il dato biografico trova infine conferma in una epigrafe di età Flavia, rinvenuta nel territorio di Aquino, nella quale c’era la dedica di un altare a Cerere da parte di un certo Iuvenalis, che tuttavia non è da identificare con il nostro poeta ma quasi certamente con un membro della sua famiglia. — properantem: agg. participio presente, accusativo singolare riferito a te, da prŏpĕro, prŏpĕras, properavi, properatum, prŏpĕrāre. — refici: infinito presente passivo da rĕfĭcĭo, rĕfĭcis, refeci, refectum, rĕfĭcĕre, “trovare ristoro”. — me quoque: quoque è una cong. “anche”, anticipa ciò che si dice nel verso successivo e va per questo inteso come “starà anch’io nel tuo pubblico”. — converte: imperativo presente da converto, convertis, converti, conversum, convertĕre. Equivale a retroverte, termine tipico del linguaggio miliare che indica l’infersione di marcia e si spiega qui perché per risalire da Cuma ad Aquino occorreva percorrere a ritroso prima la via Campana e da un certo punto in poi la via 62
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