Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Giovenale, satira XII: appunti, analisi logica e del periodo e paradigmi, Appunti di Letteratura latina

Appunti delle lezioni integrate alla traduzione, all'analisi grammaticale, logica e del periodo + paradigmi di ogni verbo.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 19/10/2022

__NP
__NP 🇮🇹

4.4

(14)

15 documenti

1 / 17

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Giovenale, satira XII: appunti, analisi logica e del periodo e paradigmi e più Appunti in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! GIOVENALE, SATIRA XII Giovenale esibisce una produzione che si articola in cinque libri. Abbiamo visto che nella prima fase poetica Giovenale incentra la sua poesia sull’indignatio; già a partire dal terzo libro, databile fra il 118 e il 121 d.C. la situazione cambia. Qui troviamo dei temi analoghi ma un approccio diverso: l’atteggiamento del poeta è duplice perché nel momento in cui compiange qualcuno, allo stesso tempo fa ironia. La satira XII rientra nel quarto libro (insieme a X e XI) e dimostra un percorso evolutivo del poeta. La cronologia del quarto libro è estremamente problematica: si colloca tra il 118 e il 121 e il 127 d.C. (cioè tra il terzo e il quinto libro). Ciò che cambia radicalmente è il tono di fondo: il Giovenale indignato aveva fustigato il vizio come un fatto individuale, quindi il vizio diffuso era considerato come un insieme di colpe individuali; ora invece la consapevolezza ddella diffusione del vizio porta a considerar il vizio stesso come universalmente diffuso. Il poeta dedica a questo una satira molto ampia con valore programmatico, cioè la satira X, che è una seconda satira programmatica (quella per eccellenza è la I del primo libro, essendo quella iniziale). All’inizio della satira X il poeta scrive che la nube dell’errore ha ormai pervaso il mondo intero. L’atteggiamento giusto da assumere è quello di Democrito, che di fronte alle miserie umane e al rizio rideva. In un certo modo però questo è un riso della disperazione; il poeta vorrebbe assumere un atteggiamento sapienzale tuttavia questo non è possibile. Il poeta per sopravvivere adotta la tecnica del riso democriteo non proponendosi come un fustigatore bensì come un sapiente. Nel terzo Giovenale del quarto libro ci sono lunghi periodi difficilmente incontrati nelle satire precedenti (laddove l’esempio massimo di indignatio era l’ellissi del verbo, che in un modo o nell’altro tendeva ad accordiare i periodi); troviamo maggiori parentesi di commento, non più di carattere sarcastico ma più che altro di carattere riflessivo e sapienzale, coerentemente con la nuova impronta che il poeta assume. Troviamo anche una forte attenuazione dei procedimenti volti a generare l’indignatio, anche se questa non scompare mai (anzi riaffiora soprattutto verso la fine). Quindi muta l’atteggiamento del poeta, muta come abbiamo visto la sua dizione e diventa più importante l’impronta oraziana. Per Orazio la satira è sermo, è conversazione e riflessione su spunti di filosofia popolare. Se a satira X è di tipo programmatico, la XI e XII si incentrano sul poeta, affrontando due ambiti tematici volti a desemplificare il nuovo approccio annunciato nella satira X. Infatti la satira XI tratta del giusto convivio di quanto sia giusto mangiare, mentre la satira XII affronta la questione della giusta amicizia. Il poeta, con una posizione sapienzale, si pone come esempio di comportamento giusto a fronte di comportamenti sbagliati. La satira XII è relativamente breve (130 vv.) e si presenta articolata in due grandi sezioni, la prima delle quali consta di tre sottosezioni. La prima grande sezione occupa i vv. 1-92, la seconda sezione i vv. 93-130. Il poeta mostra sè stesso mentre incontra Corvino mentre si sta recando sul campidoglio per fare un’offerta relativa al ritorno di un amico (che non è Corvino, è solo un interlocutore) che è riuscito a rientrare in patria dopo un viaggio in nave in cui ha rischiato il naufragio. Giovenale coglie l’occasione per insistere sulla natura disinteressata del suo sacrificio: non fa un favore all’amico per ingraziarselo ma per pura amicizia. Il componimento prende avvio da due tipologie di componimento già codificate nella poesia greca: componimenti di saluto (si saluta qualcuno che arriva oppure ritorna nella terra in cui si trova il poeta) e componimenti di ringraziamento agli Dei (per la salvezza di una persona cara che ha corso un pericolo mortale, tipicamente dopo un viaggio in mare). Come vedremo il componimento non lascia capire in modo esplicito quale sia il perché della sua natura, nel senso che si è discusso a lungo su quale sia l’interpretazione di fondo da dare al componimento. Potrebbe avere ragione uno studioso americano, Ramage, secondo cui il componimento sarebbe volto a evidenziare e distinguere la vera (cioè l’amicizia disinteressata) dalla falsa amicizia. Alcuni fattori interni al componimenti spingono a pensare tutto questo. Alla fine del v.16 c’è un riferimento proprio a questo. Il secondo forte elemento che concorre verso questa interpretazione si colloca ai vv. 28-130, cioè nel finale in cui riecheggia un riferimento al dialogo ciceroniano sull’amicizia (Laelius de amicitia). Vedremo che dal punto di vista del tono complessivo della satira ci sono delle differenze. Innanzitutto Giovenale nell’esordio è quasi gioioso e contento; successivamente questo tipo di impronta resta percettibile anche se vediamo affiorare pur sempre una serie di sue caratteristiche proprie (es: la xenofogia). Il tono comunque ha un’evoluzione nell’arco del componimento: si comincia all’insegna della gioia, poi ci sono puntate eroiche che si fanno via via più corrosive, e nel finale in cui c’è l’allusione a Cicerone c’è un nuovo guizzo di indignatio. Un punto importante riguarda l’interlocutore del poeta, un tale Corvinus. L’identità come sempre nella poesia satirica ed epigrammatica (Marziale) non è precisabile, ma il nome non è nemmeno causale. Gli studiosi legano Corvinus all’immagine del corvus: il nome viene enunciato all’inizio e al v.93. il corvo era visto come un animale che si nutriva di residui, cioè un animale che se ne approfitta, nonchè simbolo dei captatores “cacciatori di eredità”. Infatti il nome ricorre di nuovo al v.93 in un contesto in cui si parla dei captatores, non a caso. Quindi la ratio del nome va ricercata nella seconda ricorrenza del nome nella satira, cioè il v.93. Quindi la vera amicizia è quella che il poeta pratica, facendo sacrifici nei confronti degli amici cari; e la falsa amicizia è quella dei captatores. Ci sono dei riscontri fra la XII satira e altre del quarto libro delle satire. La XII satira è stata da sempre tacciata di alcuni difetti di squilibrio compositivo. vv. 1-9 I vv. 1-16 rappresentano la prima sezione del componimento, in cui viene presentato il contesto in cui avviene la scena. Il tono è sin dall’inizio di tipo festoso e gioioso; viene enunciato subito l’interlocutore (che però resterà sullo sfondo). Il poeta si sta recando presso il Campidoglio perché sta per offrire un sacrificio a Giove, Giunone e Minerva, la triade capitolina. La rappresentazione che sta sul libro sulla triade capitolina è un gruppo scultoreo era stata rubata e poi recuperata dai carabinieri a partire da un braccio di Giove. La regina è Giunone regina (epiteto di Giunone), colei che combatte con la gorgone è Minerva, che adoperava una pelle di capra lègida, uno scialle che Minerva metteva sullo scudo con l’immagine della Gorgone decapitata da Persio. La gorgone è definita Maura perché viveva in Africa. Il 1 secondo e lungo periodo descrive il sacrificio che il poeta sta per fare. Gli animali del sacrificio sono quelli che si può permettere, vale a dire l’agnello e il vitello. Natali, Corvine, die mihi dulcior haec lux, qua festus promissa deis animalia caespes expectat, niveam reginae ducimus agnam, par vellus dabitur pugnanti Gorgone Maura; Sed procul extensum petulans quatit hostia funem Tarpeio servata Iovi frontemque coruscat, quippe ferox vitulus templis maturus et arae spargendusque mero, quem iam pudet ubera matris ducere, qui vexat nascenti robora cornu. Traduzione: Più dolce del mio compleanno, O Corvino, è per me questo giorno, in cui una zolla di festa aspetta gli animali promessi agli Dei. Io sto portando alla regina un’agnella bianca come la neve, uno stesso premio sarà dato a colei che combatte con la gorgone nera (maura), invece la vittima destinata a Giove Tarpeo scuote, irruenta, la fune estesa a distanza (da lontano) e agita la fronte, giacchè è un vitello fiero, maturo per i templi e per l’altare, e destinato ad essere cosparso di vino puro, (vitello) che si vergogna di attaccarsi alle mammelle della madre, e che tormenta le cortecce degli alberi con le corna che stanno spuntando. Haec lux (est): nominativi singolari femminili. La scelta del poetico lux piuttosto che del banale dies concorre al tono gioioso che contraddistingue l’esordio. — mihi: dativo singolare. — dulcior: comparativo di dulcis, dulce. — die natali: ablativo di paragone. — qua: ablativo singolare, introduce relativa. — caespes festus: nominativi singolari maschili (caespes, caespitis; festus, a, um). — expectat: indicativo presente di expecto. — animalia: accusativo plurale neutro animal, animalis. — promissa: agg. participio perfetto congiunto di promitto, promittis, promisi, promissum, prōmittĕre. — deis: dativo plurale. — ducimus: indicativo presente dūco, dūcis, duxi, ductum, dūcĕre. — reginae: dativo singolare. Si tratta di un epiteto culturale di Giunone in ambito etrusco, applicato alla dea a Roma nel contesto della triade capitolina. — agnam: accusativo singolare femminile. — niveam: accusativo singolare. Le vittime alle divinità capitoline sono bianche, come di norma per divinità connesse con il cielo e la luce; la caratteristica è specificata qui per le agnelle offerte alle due dee. Quanto al vitello, questo viene tirato con una fune tesa a distanza: gli antichi aveva l’idea che affinchè un sacrificio riuscisse la vittima doveva essere immolata di sua volontà. Per questo motivo quando si portavano dei grossi animali all’altare si portavano con una fune lunga perché si doveva dare l’impressione che camminasse da solo e non fosse tirato (perché doveva essere immolata di sua volontà). Il vitello stesso è definito petulans non perché fosse realmente petulante ma in senso etimologico del participio presente con valore aggettivale; petulans indica la tendenza dell’animale a dare cornate: il vitello va in giro dando colpi di corna. L’immagine viene precisata al v. 9 dove si dice che con le corna che stanno nascendo dà cornate su tronchi di legno duri. — par vellus: nominativi singolari. Vellus è una sineddoche che sta per agna, pone l’accento sul colore dell’animale, anch’esso bianco come richiesto dal rito. — dabitur: indicativo futuro semplice passivo di do. — pugnanti: participio presente congiunto dativo di pugno. — Gorgone Maura: ablativi singolari strumentali “combattere protetta dall’egida”, “combattere con la gorgone nera”. Il riferimento è al mantello di pelle di capra con cui Atena disperdeva i nemici e si proteggeva, facendone una sorta di scuso, ornato al centro con la testa mozzata di Medusa — la gorgone, appunto —. Sed ostia: nominativo singolare femminile. — servata: part. perf. congiunto di servo. — Iovi Tarpeio: dativo singolare. — quatit: indicativo presente quătĭo, quătis, ssi, quassum, quătĕre. — petulans: petulans, petulantis. — funem: accusativo singolare funis, funis. — extensum: participio perfetto attributivo, accusativo singolare, di extendo, extendis, extendi, extentum, extendĕre. — procul: avv. “a distanza”. — et coruscat: indicativo presente di corusco, as, avi, atum, coruscare. — frontem: accusativo singolare fron, frontis. — quippe: cong. “giacchè”. — vitulus: nominativo singolare. — ferox: ferox, ferocis è falso amico: non ‘feroce’ ma ‘fiero’. — maturus: nominativo singolare. — templis: dativo plurale templum, templi. — et arae: dativo singolare. Arae templis è una endiadi ‘per l’altare dei templi’. — et spargendus: gerundivo che implica l’idea di necessità “da cospargere di vino puro”; sempre più ampiamente nel latino postclassico viene usato con valore di participio futuro passivo (come in questo caso). — mero: merum,i, ablativo singolare “vino puro”. Si usava versare vino puro fra le corna della vittima al momento del sacrificio. — quem: accusativo singolare. — iam pudet: verbo impersonale che si costruisce con l’accusativo della persona che prova e con il genitivo della persona o cosa per cui si prova quel sentimento, es: patrix me pudet “ho vergogna di mio padre”. — ducere: infinito di duco. — ubera: accusativo plurale neutro di uber, uberis. — matris: genitivo singolare. — qui vexat: indicativo presente di vexo. — robora: accusativo plurale di robur, roboris “legno duro”. — nascenti: participio presente di nascor. — cornu: ablativo singolare neutro. vv. 10-16 La prima parte del periodo lungo si concentra sul sacrificio, dichiarando il rammarico del poeta di non possedere beni sufficienti per poter offrire vittime più grosse; se potesse offrire un sacrificio commisurato al suo affetto gli offrirebbe un toro molto grasso e non un vitello. Nella seconda parte (vv. 15-16) si introduce la motivazione del sacrificio, creando 2 Audi et miserere: imperativi rivolti a Corvino, la persona che il poeta incontra mentre va a offrire i suoi sacrifici. Miserère viene da misèreor, miserèris, misereri. In latino classico si costruiva con il genitivo. Nel latino medievale subentrò il latino; audi viene da audio. — iterum: avv. “ancora”. — quamquam: introduce la sub. concessiva. — cetera: agg. prima classe, accusativo plurale neutro. — sint: congiuntivo presente di sum. — pars: nominativo singolare. — sortis eiusdem: genitivi plurali. — quidem: avv. “certamente”. — dira: nominativo singolare femminile dell’agg. dirus, a, um. — sed cogita: participio perfetto di cōgĭto, cōgĭtas, cogitatum, cōgĭtāre. — multis: agg. prima classe, dativo plurale d’agente. — et quam: accusativo singolare del pronome relativo, “la quale parte”. — plurima fana: fanum, i nominativi plurali. — testantur: indicativo presente di testor, testāris, testatus sum, testāri. — votiva tabella: ablativi (la a è lunga), singolari collettivi. Una parte orribile certo ma conosciuta da molti e che moltissimi templi attestano con tavoletta votiva. Il poeta allude a una prassi antica: c’era l’uso per chi scampasse a un naufragio di far realizzare un piccolo dipinto che rievocava le circostanze del naufragio in onore a una divinità. La divinità era Iside, protettrice dei migranti. Forse è una presa in giro e c’è anche una parentesi sardonica contro Iside, ‘foraggiatrice dei pittori’. — quis: pronome interrogativo. — nescit: indicativo presente di nescĭo, nescis, nescii, nescitum, nescīre. — ab Iside: complemento d’agente. — pasci: passivo infinito perfetto di pasco, pascis, pavi, pastum, pascĕre. — pictores: nominativo plurale. Gli editori più antichi mettono la frase tra parentesi perché la considerano l’ennesimo ironico commento parentetico ad un’affermazione appena fatta. Giovenale non rinuncia qui a un’ennesima frecciata contro un culto proveniente dall’Egitto, coerentemente con il suo odio per questo paese: Iside diventa la grande sostentatrice dei pittori, grazie alle tavolette votive che i suoi tanti devoti commissionano loro. vv. 29-36 Descrizione della sciagura; compare il nome dell’amico del poeta. La sintassi persegue un effetto mimetico rispetto al disordine che si sta verificando sulla nave: infatti il periodo è studiatamente complesso e disarmonico; la sofferta decisione di gettare il carico arriva solo dopo una travagliata ecfrasi; la drammaticità del tutto viene sgonfiata dal paragone con il castoro che si evira, fonte di ennesima ironia sulla vicenda rievocata. Accidit et nostro similis fortuna Catullo. Cum plenus fluctu medius foret alveus et itam, alternum puppis latus evertentibus undis, arboris incertae, nullam prudentia cani rectoris cum ferret opem, decidere iactu coepit cum ventis, imitatus castora, qui se eunuchum ipse facit cupiens evadere damno testiculi: adeo medicatum intellegit inguen. Traduzione: Una sventura simile è accaduta anche al nostro Catullo. Quando lo scafo era pieno a metà di flutti e ormai — per le onde che mandavano già ora l’uno, ora l’altro lato della poppa — con l’albero traballante, e non riusciva più d’aiuto l’esperienza del canuto nocchiero, cominciò a scendere a patti con i venti a prezzo del carico, imitando il castoro che si rende eunuco da sè nel desiderio di sfuggire a costo dei testicoli: a tal punto capisce che il suo inguine è dotato di virtù mediche. Similis fortuna: nominativo singolare femminile. — accidit: indicativo perfetto di accīdo, accīdis, accidi, accisum, accīdĕre. — et nostro Catullo: dativo singolare. — cum: introduce la narrativa: cum medius alveus foret plenus fuctu. — alveus: nominativo singolare maschile. — foret: sta per esset; congiuntivo imperfetto. — plenus: predicato nominale con foret; regge il genitivo di qualità alboris incertae. Il groviglio della sintasi riflette lo sconquasso sulla nave in balìa degli elementi, fu lo studioso Madvig a mettere ordine. — medius: nominativo singolare dell’agg. di prima classe. — fluctu: ablativo singolare maschile di IV decl. — et itam: cong. Il verso si conclude con due monosillabi; il doppio monosillabo non è qualcosa di raro se non che il doppio monosillabo in clausola a fine verso dà un’idea di concitazione tuttavia si arresta all’improvviso per la forte pausa che segue, l’indicentale alternum… undis, generando un effetto di cozzo che pare evocare gli stessi colpi delle onde che si stanno descrivendo. — (undis evertentibus: ablativo assouto di circostanza concomitante, una via di mezzo tra il valore temporale e il causale; unda, undae; [ēverto], ēvertis, everti, eversum, ēvertĕre. — latus: accusativo singolare neutro di latus, lateris. — alternum: accusativo singolare neutro. — puppis: genitivo singolare, puppis, puppis). — arboris incertae: genitivo di qualità; arboris è femminile viene da arbor, arboris. — [cum] prudentia: nominativo singolare. il cum è ritardato: il timoniere della nave di Catullo è esperto tuttavia la sua arte non aiutava; il perché è detto al verso precedente: le onde fanno fare su e giù alla poppa, cioè la sede del timoniere, quindi il timone serviva a poco. — cani: genitivo singolare maschile dell’agg. I classe. — rectoris: genitivo singolare maschile. — ferret nullam: congiuntivo imperfetto di fero, fers, tuli, latum, ferre. — coepit: difettivo da coepi. Coepit: da buon mercante Catullo comincia a comportarsi come commerciante anche con i venti, con cui non stipula subito un ‘prezzo’ definitivo per la propria salvezza ma comincia a mercanteggiare offrendo pvia via le sue merci, arrivando alla fine all’offerta decisiva, l’abero della nave. L’ironia viene alla luce con un paragone di tipo pseudomitologico: si fa riferimento a una tradizione antica secondo cui il castoro quando sapeva di essere inseguito dagli uomini, affinchè questi potessero servirsi di una sostanza tratta dai suoi testicoli, e si vedeva messo alle 5 strette, secondo la tradizione si tagliava i testicoli e li lasciava ai servitori pur di potersi salvare. Già il paragone genera deflazione satirica, poi ci sono altri elementi, per esempio imitatus castora: in latino castoro non si diceva castor bensì fiber (bieber viene da fiber e vuol dire ‘castoro’). Con Giovenale c’è da tenere presente che la scelta di parole greche non è casuale: dobbiamo ricordare infatti che è xenofobo per cui l’uso di parole greche ha alle sue spalle un’intenzione critica e questo è probabile anche nell’uso di castora anzichè castorem (e anzichè fibrum), sia di enuchum, altro grecismo che significa ‘enunco’ che sostituisce il termine latino spado, spadonis. — decidere: ‘scendere a patti, patteggiare, accordarsi’. Si costruisce con la persona con cui ci si mette d’accordo e l’ablativo del prezzo in base al quale si stipula l’accordo. Coepit decidere cum iactu (iactu “atto del gettare”, termine tecnico anche legale in latino). — cum ventis: ablativo plurale. — iactu: ablativo singolare del participio perfetto di iăcĭo, iăcis, ieci, iactum, iăcĕre. — imitatus: participio perfetto congiunto imito, imitas, imitare. — castora: castor, castoris, accusativo singolare masc. — qui facit: relativa + indicativo di facio. — se enuchum: accusativi singolari maschili. — ipse: nominativo singolare. — cupiens: part. presente di cŭpĭo, cŭpis, cupii, cupitum, cŭpĕre. — evadere: ēvādo, ēvādis, evasi, evasum, ēvādĕre. — damno: ablativo neutro. — testiculi: genitivo singolare maschile; singolare collettivo. — adeo: avv. “a tal punto”. — intellegit: indicativo presente di intellego. Intèllegit: riferimento a una credenza divulgata dagli stoici, l’idea dell’intelletto animale: gli stoici credevano che l’universo fosse regolato da un Dio e che tutto l’universo fosse creato per realizzare le finalità di questo Dio (si parla cioè di finalismo); in ciò si credeva che gli animali avessero un loro intelletto: ciò che noi chiamiamo ‘istinto’ era per gli stoici un vero e proprio intelletto (da intellègere). L’uso di questo verbo ci fa capire che Giovenale si sta qui richiamando a queste dottrine stoiche, con l’intento di prenderle in giro. — inguen: nominativo singolare. — medicatum: participio perfetto nominativo singolare neutro da medico. Non di rado succedeva che una nave per sfuggire alla tempesta dovesse alleggerirsi e per questo gettava in mare il carico (questo atto si chiamava iactu). La Rex Rhodia de iactu regolamenteva eventi di questo tipo. L’intera louczione è usata in senso figurato, come si legge nella declamazione maggiore falsamente attribuita a Quint. ‘cum tempestate decide’ “scendere a patti con la tempesta”. La scansione dell’ultimo verso è la seguente: tèsticulì adeò medicàt(um) intèllegit ìnguen. Dobbiamo presuppore lo iato al posto della sinalefe altrimenti non torna la scansione. vv. 37-42 Catullo adesso è sempre più al centro dell’azione, il suo nome viene non a caso ripetuto. Il v. 37 ce lo mostra nel corso della trattativa che veniva prefigurata nei versi precedenti. Il v. 37 si traduce ‘gettate le cose che sono mie, tutte!’, laddove ‘tutte’ è predicativo in posizione finale per suggerire il fatto che Catullo esita per un momento, e solo successivamente aggiunge ‘tutte, senza distinzione’; anche l’imperfetto dicebat dà l’idea di questa esitazione, ha valore iterativo ‘andava dicendo’, come se Catullo parlasse più volte per dare ordini, fino all’ordine finale. Per salvare la vita, non esita a gettare in mare i più preziosi fra i beni che sta trasportando; si qualifica come l’opposto del mercante-tipo, che per la sua avidità finisce per portare a naufragio la nave zeppa di preziose mercanzie. Il periodo è ancora una volta lungo (insieme a quello successivo). Sia in questio periodo, sia nel successivo (v.43) abbiamo un primo accusativo generico (pulcherrima e argentum) precisato da una serie di apposizioni epesegetiche: vestem purpuream, atque alias ecc. ‘Fundite quae mea Sunt’ dicebat ‘cuncta’ Catullus praecipitare volens etiam pulcherrima, vestem purpuream teneris quoque Maecenatibus aptam, atque alias quarum generosi graminis ipsum infecit natura pecus, sed et egregius fons viribus occultis et Baeticus adiuvat aer. Traduzione: ‘Gettate le mie cose, tutte!’ Diceva Catullo, deciso a far volare giù anche i pezzi più belli, vesti di porpora adatte anche a raffinati Mecenati, ed altre per le quali è la virtù naturale di una nobile erba a dare colore al bestiame stesso (ma contribuiscono altresì una sorgente straordinaria dai poteri arcani e l’aria della Bètica. Fundite: fundo, fundis, fudi, fusum, fundĕre, imperativo presente. — quae: accusativo plurale neutro di qui, quae, quod. — mea: accusativo plurale neutro di meus, mea, meum. — sunt: indicativo presente di sum. — cuncta: predicativo dell’oggetto in posizione finale. — dicebat: indicativo imperfetto. — Catullus: nominativo singolare. — volens: participio presente di volo. — praecipitare: infinito presente da praecìpito, praecìpitas, praecipitavi, praecipitatu, praecipitare. — etiam pulcherrima: superlativo di pulcher, pulchra, pulchrum, accusativo neutro plurale sostantivato, generico, seguito da vestem purpuream, cioè apposizione (+ alias). — vestem purpuream: vestis, vestis, è singolare collettivo, frequente per i termini di indumento, per cui si usa il singolare in luogo del plurale (si usa ancora oggi). — aptam: accusativo del participio perfetto del deponente ăpiscor, ăpiscĕris, aptus sum, ăpisci. — quoque teneris Maecenatibus: dativi plurali maschili; teneris vuol dire ‘molle’ ma anche ‘affemminato’, in quanto egli era un omosessuale però passivo (perché sposato). — atque alias: correlato a vestem, trattato come se fosse un plurale. — quarum: genitivo plurale femminile riferito a alias. — natura: nominativo singolare femminile. — graminis generosi: genitivo singolare di gramen, graminis è agg. generosus, a, um. — infécit: perfetto di consuetudine (ecco perché si traduce con il presente) di infĭcĭo, infĭcis, infeci, infectum, infĭcĕre. — pecus ipsum: accusativo singolare neutro di pecus, pecoris. (vv. 40-41 atque alias quarum natura generosi graminis infécit pecus ipsum (= ed altre vesti, per le quali 6 la natura di un’erba generosa tinse il bestiame stesso). La distinzione è tra vesti pregiate che erano tali perché erano state tinte di porpora, e vesti variopinte erano tali non perché tinte ma perché provenienti da lane naturalmente colorate e provviste di proprio colore.— sed et: introduce una precisazione aggiuntiva, accessoria. — adiuvat: presente indica. di adìuvo. — egregius fons: nominativi singolari maschili. — viribus occultis: ablativi plurali di qualità (occultis viene da occŭlo, occŭlis, occului, occultum, occŭlĕre). — et Baeticus aer: lane tratte dal bestiame della Bética, regione della Spagna corrispondente all’odierna Andalusia, deriva il nome dal fiume Beti, che corrisponde al moderno Guadalchivir. Le acque di questo fiume erano ricche di oro in sospensione, quindi questo da un lato le rendeva preziose, dall’altro rendeva prezioso il bestiame che pascolava in quelle terre che aveva un colore che oscillava dal giallo oro al rosso, proprio per l’oro che assumeva bevendo nelle acque del Beti, quindi ecco perché le merci sono di grande pregio. Nell’insieme appare chiaro che Catullo è un mercante di prodotti di pregio, infatti da un lato getta in mano vesti di pregio, dall’altro oro. Questo fatto rende tanto più notevole la scelta di Catullo di gettare il carico in mare. vv. 43- 51 Il v. 43 esplicita il tipo di comportamento di Catullo: comportamento tipico del saggio stoico-cinico che non esita nelle circostante difficili a privarsi di tutti i suoi beni. Il comportamento contrario si evince nella Satira 14, 277-302, in cui un mercante naufraga pur di non perdere le sue mercanzie. Si comporta cioè in moodo saggio, analogo a quello che Orazio descrive in Odi 3, 29-57ss. Ille nec argentum dubitabat mittere, lances Parthenio factas, urnae cratera capacem et dignum sitiente Pholo vel coniuge Fusci; adde et bascaudas et mille escaria, multum caelati, biberat quo callidus emptor Olynthi: sed quis nunc alius qua mundi parte, quis audet argento praeferre caput rebusque salutem? [Non propter vitam faciunt patrimonia quidam, sed vitio caeci propter patrimonia vivunt.] Traduzione: Quello non esitava nemmeno a mandare giù l’argento, piatti fatti per Partenio, un cratere della capacità di un’urna e degno dell’assetato Folo o della moglie di Fusco; aggiungi sia cestini, sia mille piatti di portata, molto argento secellato dal quale aveva bevuto l’astuto compratore di Olinto: ma adesso chi e in quale parte del mondo, chi ha il coraggio di anteporre la vita all’argento e la salvezza agli averi? [Alcuni non accumulano i patrimoni per la vita ma vivono per i patrimoni, accecati dal vizio.] Argentum: accusativo singolare neutro, argentum, i; i romani avevano una mania per l’argento, soprattutto per i servizi da tavola; erano cesellati in una maniera straordinaria dagli artigiani greci e romani. Nella zona di Pompei sono anche sopravvissuti servizi da tavola cesellati. Vengono poi precisate alcune tipologie di questi servizi: lances (lanx, lancis = piatto singolo) e cratera. Ille nec dubitabat mittere argentum: sovraordinata con un complemento oggetto, al quale sono unite le apposizioni epesegetiche (lances factas Parthenio, cratera capacem urnae). — lances: lanx, lancis, accusativo plurale. — factas: participio perfetto di facio. — Parhenio: secondo lo scoliasta, Partenio sarebbe stato il nome di un cesellatore, lo si intende come ‘fatti per Partenio’, cioè dativo di fine. Questo è coerente con la mentalità antica perché per gli antichi un oggetto prezioso diventava più prezioso se aveva una storia antica alle sue spalle. In secondo luogo Giovenale non smette di stigmatizzare i liberti delle generazioni precedenti sotto gli imperatori a sua detta ‘nefasti’ come Nerone. — cratera: accusativo plurale di crater, crateris. Era un gosso vaso che serviva a mescolare acqua e vino. Gli antichi ritenevano che il vino si dovesse bere mescolato con acqua e che solo gli ubriaconi bevessero vino puro. I crateri che vediamo di solito sono di terracotta, ma non sono paragonabili a questo cratere di argento e della capacità di un’urna (che conteneva 13 litri). È un oggetto di pregio, enfatizzato prima da un paragone mitologico (il mito di Pholo: centauro, creatura mitica, metà uomo e metà cavallo. Questo mito narrava la lotta tra centauri e làpiti; in occasione delle nozze di Pierito, re dei làpiti, uno dei centuari molestò sua moglie e nacque così una rissa epocale. Alla fine vinsero i làpiti, cioè gli uomini, grazie agli dei, in primis Ercole. In questa tradizione mitica, poco prima dell’inizio della rissa propiziata dall’eccesso di vino, Pholo aveva offerto da bere a Ercole attingendo da un cratere enorme), che viene sgonfiato subito dopo dall’effetto estraniante che genera l’accostamento con la moglie di Fusco, un’ubriacona, quindi deflazione satirica attraverso un paragone tratto dalla vita quotidiana. — capacem: capax, capacis, accusativo riferito a cratera. — urnae: genitivo singolare. — et dignum: accusativo riferito a createra. — sitiente Pholo: abl. del participio presente di sĭtĭo, sĭtis, sitii, sĭtīre. — vel coniuge Fusci: coniux, coniugis, ablativo singolare. — adde: imperativo. — et bascaudas: accusativo plurale; c’è grande dibattito dietro la natura di questo termine di origine celtica. Per metonimia indica il cestino in cui va la palla (=pallacanestro), che in inglese si dice basket (l’oggetto per il gioco). — et mille escaria: espressione iperbolica; escaria è plurale neutro sostantivato, ‘piatti di portata’ vs. lanx ‘piatto singolo’; da edo. — multum celati: partitivo ‘molto di cesellato’ (sottinteso argenti: multum argenti celati = ‘molto di argenti cesellati’). — quo: valore strumentale ‘mediante il quale’. — biberat: piuccheperfetto indic. di bĭbo, bĭbis, bibi, bibitum, bĭbĕre. — 7 ventus adest, inopi, miserabilis arte cucurrit vestibus extentis et, quod superaverat unum, velo prora suo. Traduzione: Ma ecco che, dopo che il mare ristette piatto, dopo che il tempo propizio decretato dal fato del nostro navigante prevalse sull’euro e sul mare aperto, dopo che le Parche, con mano benigna, si mettono a svolgere rocche più favorevoli, serene e dedite a filare (filatrici di) uno stame di lana bianca, e si presenta un vento non molto più forte di una lieve brezza, la nave, degna di commiserazione per i suoi poveri mezzi di fortuna, si mise a correre a vele spiegate e la prua si mise a correre con la sua vela, l’unica che fosse rimasta. Sed postquam iacuit planum mare: proposizione temporale. — mare: nominativo singolare, mare, maris. — iacuit: ind. perfetto da iăcĕo, iăces, iacui, iăcēre. — planum: agg. prima classe, predicativo di mare ‘dopo che il mare ristette, piatto’. — postquam tempora prospera vectoris et fatum vectoris, valentius euro et pelago: prop. temporale «Dopo che il tempo prospero del navigante e il suo destino fu più forte dell’euro e del mare aperto». — tempora prospera: nomin. plurali neutri (tempus, temporis; prosperus, prospera, prosperum). Dottrina della predeterminazione astrale: c’è l’idea per cui il destino dell’individuo dipende dalla posizione degli astri al momento della sua nascita, di conseguenza, tutto quello che accade nel corso della sua vita è già predestinato. — fatum: fatum, fati, nominativo singolare neutro. Quando ci sono più soggetti in latino (tempora prospera e fatum = soggetti in endiadi) ma c’è un solo predicato (fuit sottinteso), esso va concordato con l’ultimo dei soggetti, fatum, seguito dal predicato nominale, valentius.). — valentius: valens, valentis, nominativo singolare neutro. — euro et pelago: Euro è un vento di sud-est. L’idea che si vuole trasmettere è che la nave sia spinta da venti di ogni genere e senza tregua. Eurus, euri, ablativo maschile singolare; pelagus, pelagi, abl. singolare neutro. — postquam Parcae ducunt pensa meliora manu benigna hilares et lanificae staminis alibi: prop. temporale. — Parcae: nominativo plurale. — ducunt: indicativo presente di dūco, dūcis, duxi, ductum, dūcĕre valore ingressivo: indica l’avvio di un’azione ‘si mettono a filare’. Torna qui la tecnica del salto dei tempi verbali, che serve a rendere più vivace la narrazione. — pensa: pensum, pensi, acc. plur. neutro ‘quantità di lana pesata che viene assegnata giornalmente alla schiava da filare’. — meliora: comparativo di maggioranza di bonus. — manu benigna: ablativi singolari. — hilares et lanificae: predicativi del soggetto (Parcae); nominativi plurali femminili. Hilaris, hilare, agg. II classe; lanificus, a, um. — staminis alibi: genitivo oggettivo retto da lanificae perché esprime l’idea del compl. oggetto ‘che fanno lana bianca’. Stamen, staminis, genitivo singolare neutro; alibi avverbio ‘in un altro luogo’. — (et postquam) adest ventus non multum fortior modica aura: proposizione temporale. — adest: indic. presente di àdsum, àdes, àdfui, adèsse. (Ricordati: supèrsum, sùperes, supèrfui, superèsse). — ventus: nomin. singolare. — non multum: gli avverbi che rafforzano il comparativo solitamente hanno la forma ablativale (multo), ma troviamo anche la forma accusativale in -um quando nel contesto sono presenti per esempio troppi ablativi. Nel nostro passo però non è presente un cumulo di ablativi, non c’è nemmeno una spiegazione di tipo prosodico: si tratta piuttosto di un’eccezzione che caratterizza in generale il latino post classico. — fortior: comparativo di maggioranza, fortis. — modica aura: ablativi singolari. Modicus, a, um, agg. I classe; aura, aurae. — prora: prora, ae, nominativo singolare femminile. Al v. 67 è da intendersi come sineddoche, nel senso di ‘nave’ (la parte: la prua, per il tutto: la nave). Invece in relazione ai v. 68-69 prora ritorna ad assumere il suo significato proprio ‘prua’. Quindi prora nello stesso periodo assume più significati. Un riscontro si ritrova in Satira III, vv. 261-262, in cui domus significa prima «gente di casa» poi riprende il suo significato originario di «casa, abitazione». — cucurrit: indicativo perfetto di curro, curris, cucurri, cursum, cùrrere; ha un valore ingressivo ‘si mise a correre’. — miserabilis: miserabilis, e, nominativo singolare. — inopi arte: ablativi singolari. — vestibus extentis: vv. 67-69: anzichè velis extentibus c’è vestis exentibus: Giovenale sta parodiando la locuzione. Infatti dopo il taglio del suo unico albero, la nave è ridotta a procedere con i vestiti dei passeggeri tesi a mo’ di vele, e con la sola piccola vela di prua. La pratica è anche altrimenti nota in situazioni di emergenza (Tac., Ann. 2, 24, 3: Tandem... secundante vento claudae naves raro remigio aut intentis vestibus... revertere); difficile però immaginare che una nave ridotta in tali condizioni potesse realmente «correre»: cucurrit suona ironico. Extentibus è participio perfetto all’ablativo di extendo, extendis, extendi, extentum, extendĕre; vestis, vestis è ablativo plurale femminile. [potrebbe essere ablativo assoluto!] — et prora: nominativo singolare femminile. — superaverat: indicativo piuccheperfetto di supero; ha valore intransitivo, perché viene da sùperesse, quindi sta per superfùerat ‘essere superstite’. — suo velo: ablativi di mezzo. — quod unum: la proposizione relativa è prolettica rispetto all’antecedente della relativa (quod). Di norma, prima viene l’antecedente e poi la relativa, qui essa precede l’antecedente. vv. 69-74 Dopo la tempesta, Catullo si era trovato in corrispondenza della foce del Tevere in corrispondenza di Alba Longa. Tutti questi versi hanno come ipotesto Virgilio, Eneide 8, vv. 81-93: i troiani stanno costeggiando le coste del Lazio e vedono ciò che era stato preannunciato loro due volte: una volta nel libro III dall’indovino Eleno e una seconda volta nel libro VIII dal dio del Tevere. I troiani si sarebbero dovuti fermare nella loro navigazione (costiera) quando avessero visto una scrofa bianca con trenta porcellini dello stesso colore. In corrispondenza di quel luogo, trenta anni dopo, essi avrebbero creato la loro sede (che sarebbe stata poi Roma). Tutte le perifrasi epicizzanti servono a descrivere Alba Longa. La prima città in cui i romani si insidiano è Lavinio, in cui Enea sposa Lavinia. Trent’anni dopo però Iulo (Ascanio, figlio di Enea) fonda la propria città, cioè Alba Longa, da cui deriva la stirpe che popola Roma. Il nome della città Alba Longa deriva da questa scrofa che partorisce trenta porcellini. Questa descrizione, fatta sulla base di Virgilio e ricca di richiami elevati e aulici, finisce per diventare qualcosa di diverso, nel momento in cui troviamo mirabile sumen, che riprende l’Eneide 8, v. 81, in cui la scrofa viene indicata mirabile monstrum ‘mirabile prodigio’. Sumen indicava la 10 mammella piena di latte subito dopo l’allattamento. Per gli antichi la mammella di scrofa era considerata come una vera golosità. Trenta mammelle di scrofa quindi rappresentavano un paradiso vero e proprio, quindi tutta questa descrizione va a esplicitare un trionfo gastronomico; si tratta cioè dell’ennesima messa in atto della tecnica della deflazione satirica. Il v. 74 è volutamente ambiguo. Iam deficientibus Austris spes vitae cum sole redit. Tum gratus Iulo atque novercali sedes praelata Lavino conspicitur sublimis apex, cui candida nomen scrofa dedit, laetis Phrygibus mirabile sumen et numquam visis triginta clara mamillis. Costruzione: Tum conspicitur sublimis apex gratus Iulo atque sedes prelata novercali Lavino. Traduzione: Quando ormai i solfi dell’austro vengono meno, la speranza della vita ritorna insieme al sole. Allora si scorge (viene scorta) l’elevata cima gradita a Iulo e sede preferita alla Lavino della sua matrigna, alla quale (sede) una candida scrofa diede nome, grembo mirabile per i Frigi gioiosi, e (la candida scrofa) illustre per le trenta mammelle mai viste prima. Iam Austris: ablativo plurale maschile, auster, austri. — deficientibus: abl. del participio presente di dēfĭcĭo, dēfĭcis, defeci, defectum, dēfĭcĕre. — spes: nominativo singolare. — vitae: genitivo singolare. — redit: indicativo pres. di rĕdĕo, rĕdis, redii, reditum, rĕdire. — cum sole: abl. singolare. — tum conspicitur: indicativo presente passivo di conspĭcĭo, conspĭcis, conspexi, conspectum, conspĭcĕre. — sublimis apex: nominativo singolare. — sublimis apex gratus Iulo: perifrasi che indica il colle in cui è stata fondata Alba Longa, stesso colle in cui era presente il palazzo di Domiziano. Tuttavia non è mai esistita una collocazione esatta di questi luoghi. C’è una correlazione asimmetrica tra l’aggettivo e il nesso che rappresenta un’apposizione: gratus Iulo (aggettivo) sedes preata Lavino (apposizione). — sedes praelata: nominativi singolari femminili. Praelata è participio perfetto di praefĕro, praefĕrs, praetuli, praelatum, praefĕrre. — Lavino novercali: dativi singolari. — cui: si riferisce a sedes. — candida scrofa: nominativi sing. — dedit: indicativo perfetto di do. — nomen: accusativo singolare neutro. — mirable sumen: nominativi singolari. — laetis Phrygibus: ablativi plurali. — et (candida scrofa) clara: nominativo femm. singolare. Correlazione asimmetrica tra l’aggettivo e l’apposizione: partendo dal sostantivo scrofa, mirabile sumen è l’apposizione, clara è un aggettivo riferito a scrofa. — triginta mamillis: ablativi plurali. — numquam visis: participio perfetto di video. vv. 75-82 La nave di Catullo entra nel grande bacino portuale a nord di Ostia e si mette al sicuro nelle sue acque tranquille, sicché i marinai possono finalmente lasciarsi andare al racconto delle proprie terribili peripezie. La descrizione delle imponenti opere portuali mantiene il tono su un registro elevato, in cui non mancano accenti encomiastici; ma la scena finale dei marinai chiacchieroni getta un velo di ironia, insinuando il sospetto che il resoconto di Catullo sui drammatici eventi fin qui descritti sia in realtà più o meno esagerato (si fa riferimento alla pratica di promettere in voto alla divinità il taglio dei capelli qualora salvasse il richiedente da un pericolo. Ecco perché i naviganti hanno la testa rasata). Il porto di Ostia si insabbiava costantemente, e ciò rendeva problematici gli approvvigionamenti di Roma; Claudio fece perciò realizzare un nuovo bacino artificiale due miglia più a nord (il portus Augusti, o portus Romanus), collegandolo con il Tevere mediante un canale scavato all’uopo. Il bacino era protetto da due lunghi moli che si addentravano in mare e si ripiegavano verso l’interno a mo’ di braccia, cioè a tenaglia; davanti al suo ingresso c’era un’isola artificiale con un alto faro (l’isola di Faro) a imitazione del celebre faro sull’omonima isola presso Alessandria. Ma questa realizzazione portuaria non è sufficiente, tant’è che sotto Traiano si costruisce un bacino portuario doppio: fa di questo doppio la parte iniziale di un bacino più grande (portus Traiani). La situazione vantaggiosa era quella di poter allestire un bacino portuale in condizioni di tranquillità assoluta perché il riparo dal mare era garantito dal preesistente porto di Claudio. Il nuovo bacino interno fu realizzato in forma di esagono, con un lato aperto e con pontili di attracco e magazzini sugli altri cinque: un luogo così protetto, che l’acqua era sempre piatta. Tandem intrat positas inclusa per aequora moles, Tyrrhenamque Pharon porrectaque bracchia rursum quae pelago occurrunt medio longeque relincunt Italiam: non sic igitur mirabere portus quos natura dedit. Sed trunca puppe magister interiora petit Baianae pervia cumbae tuti stagna sinus, gaudent ubi vertice raso garrula securi narrare pericula nautae. 11 Traduzione: Infine (la nave) varca le enormi strutture posate in mezzo alle acque da esse racchiuse, la Faro del Tirreno e le braccia protese a tenaglia, che vanno incontro al mare aperto e si lasciano a distanza l’Italia; non altrettanto, quindi, ammirerai i porti che la natura ci ha dato. Dunque, il nocchiero con la poppa tronca (mutilata) si dirige verso i bacini più interni dell’insenatura sicura, percorribili anche da una barchetta di Baia, lì dove i naviganti, ormai al sicuro, godono di raccontare, con la testa rasata, i pericoli corsi. Intrat: indicativo presente di intro. — moles: accusativo plurale femminile, moles, molis «enormi strutture». — positas: accusativo plurale femminile del participio perfetto di pono, ponis, posui, positum, pònere. — per aequora inclusa: acc. plurali neutri. Aequor, aequoris; inclusa è participio perfetto di includo, inclùdis, inclusi, inclusum, inclùdere. — Pharon Tyrrhenamque et bracchia porrectaque rursum: apposizioni epesegetiche di moles, spiegano cosa fossero le moles. Pharos era un’isoletta nei pressi di Alessandria, celebre per l’imponente torre di illuminazione per naviganti che vi fece costruire Tolomeo II Filadelfo (283-246 a. C.); l’appellativo geografico passò poi a designare per metonimia la struttura stessa, che ancora oggi chiamiamo ‘faro’. Porrecta: participio perfetto di porrĭgo, porrĭgis, porrexi, porrectum, porrĭgĕre. Rursum è un avv. — quae occurrunt pelago medio: prop. relativa; la sinalefe interessa la vocale lunga di pelago. Quando venivano usate, spesso, avevano una finalità specifica. Serve a significare la fusione dei moli rispetto al mare aperto. L’idea soggiacente è che la forza dell’uomo riesce a soggiogare la natura. Occurrunt è indicativo presente di occurro, occurris, occurri, occursum, occurrĕre. Pelago è dativo singolare neutro di pelagus, pelagi. — et relincunt: sta per relinquunt, con semplificazione della labiovelare qu; indic. pres. rĕlinquo, rĕlinquis, reliqui, relictum, rĕlinquĕre. —Italiam: accusativo singolare. — longe: avv. ‘lontano’. — non sic mirabere: equivale a miraberis, futuro passivo ma significato attivo perché è un deponente, da mīror, mīrāris, miratus sum, mīrāri. — portus: accusativo plurale. — quos natura dedit: prop. relativa. — sed: valore resuntivo, poichè riprende il filo di un discorso interrotto precedentemente per un excursus. — magister: nominativo singolare maschile, magister, magistri. — puppe trunca: puppe è ablativo singolare femminile di puppis, puppis; trunca è agg. I classe, abl. singolare femminile. — petit: indicativo presente di pĕto, pĕtis, petii, petitum, pĕtĕre. — stagna interiora: accusativi plurali neutri. — tuti sinus: genitivi singolari maschili. — pervia: agg. I classe, accusativo plurale neutro (riferito a stagna interiora). — cumbae Baianae: genitivi singolari. L’acqua era così tranquilla che potevano andarci pure le barche a remi che si trovavano nella zona di Baia (=la Portofino degli antichi). Cumbae è parola greca latinizzata, indica un particolare tipo di barca lunga e sottile, veloce e leggera. — ubi nauteae: nom. plurale maschile (nauta, nautae) — gaudent: indicativo presente semideponente gaudĕo, gaudes, gavisus sum, gavisum, gaudēre. — narrare: infinito presente. — securi: nominativo plurale maschile. — raso vertice: ablativi singolari; raso è part. perfetto di rado, radis, rasi, rasum, ràdere; vertice viene da vertex, verticis. — pericula garrula: garrula è riferito per ipallage a pericula, anziché, come la logica richiederebbe, a nautae (cf. Mart. 12, 57, 12: naufragus loquax). Vi è certo una motivazione prosodica giacché sia l’aggettivo che l’avverbio sono inammissibili nell’esametro; probabilmente l’ipallage risponde anche a una finalità stilistica: il bizzarro sintagma garrula... pericula genera un’ironica sdrammatizzazione delle peripezie di Catullo, descritte finora con tanta enfasi patetica. «Veniamo invitati a vedere i pericoli come roba da chiacchiere, soggetta alle esagerazioni a gara delle storielle di marinai». vv. 83-92 Si è conclusa la seconda parte della satira. A partire dal v. 83 si apre la sezione dedicata al sacrificio che il peota intende offrire, che aveva promesso in cambio del ritorno dell’amico. È un sacrificio che si compie innanzitutto presso il tempio della triade capitolina dove, da un lato metterà delle ghirlande e offrirà dei sacrifici alle divintà su tre altari temporanei fatti con le zolle di terra, dall’altro ornerà le celle delle divinità con delle corone di fiori. Poi, una volta tornato a casa, celebrerà dei riti di festeggiamento per il ritorno dell’amico. I vv. 87-88 rendono la fretta del poeta di correre a casa. Essi sono tutti dattili tranne l’ultimo piede, che è catalettico. Il ritmo olodattilico (=interamente dattilico) comporta una estrema rapidità del ritmo. Successivamente il poeta precisa il rito che intende ufficiare. In sostanza offrirà sacrificio al Giove di casa sua, forse una statuetta di Giove, e poi ai Lari, le divinità protettrici della casa. Ite igitur, pueri, linguis animisque faventes sertaque delubris et farra inponite cultris ac mollis ornate focos glebamque virentem. Iam sequar et sacro, quod praestat, rite peracto inde domum repetam, graciles ubi parva coronas accipiunt fragili simulacra nitentia cera. Hic nostrum placabo Iovem Laribusque paternis tura dabo atque omnis violae iactabo colores. Cuncta nitent, longos erexit ianua ramos et matutinis operatur festa lucernis. Traduzione: Andate dunque ragazzi, silenziosi e computi, e mettere corone sui santuari e faro sui coltelli, e ornate i molli altari, (cioè) le zolle verdeggianti. Io vi seguirò subito e, portato a termine secondo il rito il sacrificio (che è il) 12 cadde malato, «non mancarono coloro che facevano voti, promettendo di combattere fino alla morte per la salute, o esponendo iscrizioni in cui offrivano la propria vita». In quel caso, quando il malato si riebbe, pretese puntigliosamente che anche simili voti fossero portati a compimento. È paradossale che per due linee di febbre arrivino a promettere l’ecatombe, solo perché non vi erano elefanti in vendita nel Lazio. L’animale non è in grado di riprodursi in Italia. Il richiamo al passato mitico di Roma dà vita a una digressione che fa risaltare la degenerazione del presente: dove un tempo vivevano i forti Rutuli, adesso pascolano bestie importate da terre barbare e lontane. — hecatomben: hecatombe, es, accusativo femminile I decl. — quatenus: cong. causale. — hic non sunt: ‘non’ negazione generale. — nec venales elephanti: nominativi plurali. — nec talis belua: nominativo singolare femminile. ‘Nec… nec’ partitivi. — concipitur: ind. pres. passivo di concĭpĭo, concĭpis, concepi, conceptum, concĭpĕre. — Latio: abl. stato in luogo senza preposizione. — aut usquam sub nostro sidere: sidere, da sidus, sideris, è l’astro che si vede in cielo in una determinata stagione (la nostra è la stella polare), quindi, per metonimia, indica il clima di una data regione. — sed petita: participio perfetto valore congiunto da peto. — furva gente: ablativi di moto da luogo femminili. — pascitur: ind. pres. deponente pascor, pascĕris, pastus sum, pasci. — arboribus: ablativo plurale femminile. — Rutulis et Turni: genitivi singolari. — agro: ablativo singolare. — armentum: apposizione epesegetica di belua; «armento di Cesare». Cesare, l’imperatore, poteva avere gli elefanti, soltanto lui. Non a caso è detto belua in modo sarcastico il gigantesco rombo offerto a Domiziano. — nulli paratum: agg. I classe, concordato con armentum, da păro, păras, paravi, paratum, părāre. — servire: infinito pr. — privato: dativo singolare maschile. — siquidem: introduce una prop. causale, il cui soggetto è maiores horum. La coatruzione è: solebant parere Hannibali et nostris ducibus et regi molosso, ac (solebant) ferre dorso cohortis partem aliquam belli, et turrem in euntem proelia. Quindi, il privilegio di possedere degli elefanti spettava solo all’imperatore: solo a lui potevano obbedire gli animali che un tempo avevano servito degli illustri condottieri come Annibale, Pirro e i grandi generali romani dell’età repubblicana. — maiores horum: nominativo e genitivo plurale. — solebant: indicativo presente sŏlĕo, sŏles, solitus sum, solitum, sŏlēre. — parere: infinito presente. — Habbibali: dat. singolare. — nostris ducibus: dativi plurali. — et regi molosso: dativi singolari. — ac (solebant) ferre: infinito presente. — dorso: dativo sing neutro. — cohortis: cohors, cohortis, genitivo singolare femm. — partem aliquam belli: apposizione di cohortis, accusativo singolare. — et turrem: accusativo singolare da turris, turris. vv. 111-120 Continua il registro ironico-sarcastico che contraddistingue la satira, contrariamente all’inizio giocoso. Il registro sarcastico si nota a partire dalla locuzione nulla igitur mora per «nessun indugio per parte di». Al v. 111 anafora e chiasmo nulla mora, mora nulla, enfatizzano la prontezza sfrontata dei personaggi nel fare le offerte più assurde, pur di raggiungere i propri scopi. Dei personaggi, ci è noto soltanto Novio. Istro non sappiamo chi sia ma un dettagio è importante: i romani avevano tre nomi, prenomen, nomen e cognomen. Il nomen era il nome gentilizio. In questo caso, Histrum è il cognomen, Pacuvium è il nomen, dunque l’ordine è stato invertito. L’inversione si aveva di solito dove esisteva un rapporto di particolare confidenza con il personaggio. Giovenale quindi aveva probabilmente in mente una persona ben precisa, ma noi non possiamo capire di chi sta parlando. Il sarcasmo è anche veicolato da lessico sacrale, per esempio cadat: eufemismo, significa «essere sacrificato». L’idea infatti è che gli animali sacrificati cadano spontaneamente. Altro vettore di ironia è l’uso metonimico di ebur «avorio»: si indica la parte per il tutto (sineddoche), con cui s’indica l’elefante. Successivamente in senso stretto si parla dei Lari di Gallitta, con l’implicazione ironica di come sia spropositato che «a questi dèi minuti si facciano così enormi sacrifici». È però qui chiaramente presupposta l’identificazione dei Lari con la persona sulla cui casa essi vegliano, per cui l’ironia si appunta in realtà sul fatto che a questi ricconi, per interesse, si fanno sacrifici come se fossero chissà quali divinità. Continuano ad essere enunciate le potenziali follie dei captatores pur di procacciarsi l’eredità. È messo in scena un vero e proprio climax. C’è chi sarebbe pronto a immolare addirittura tutti i suoi servi migliori o la propria figlia. E qui scatta il paradigma mitologico di Ifigenia. Nulla igitur mora per Novium, mora nulla per Histrum Pacuvium, quin illud ebur ducatur ad aras et cadat ante Lares Gallittae, victima sola tantis digna deis et captatoribus horum. Alter enim, si concedas, mactare vovebit de grege servorum magna et pulcherrima quaeque corpora, vel pueris et frontibus ancillarum inponet vittas et, si qua est nubilis illi Iphigenia domi, dabit hanc altaribus, etsi non sperat tragicae furtiva piacula cervae. Traduzione: Nessuna incertezza per parte di Novio, nessuna incertezza per parte di Pacuvio Istro, a che quell’avorio sia portato agli altari e cada in sacrificio davanti ai Lari di Gallitta, unica vittima degna di dèi tanto grandi, e di coloro che cercano di ingraziarseli. Pacuvio difatti, ove glielo si permetta, farà voto di sacrificare dal gregge dei servi tutti i corpi più imponenti e belli, ovvero metterà le bende alla fronte di schiavetti (fanciulli) ed ancelle, e, se ha in casa un’Ifigenia in età da marito, la consegnerà agli altari, anche se non spera nel furtivo mezzo espiatorio della cerva della tragedia. 15 Igitur: avv. «allora». — nulla mora: nominativi singolari femminili. È una locuzione negativa «non c’è nessun indugio da parte di Novio e Istro per cui non…» che introduce la completiva sostantiva retta da quin: illud ebur ducatur ad aras et cadet ante Lares Gallittae. — illud ebur: nominativi singolari neutri. — ducatur: congiuntivo presente passivo di duco. — ad aras: complemento di moto a luogo. — et cadet: congiuntivo presente cădo, cădis, cecidi, cădĕre «cadere in sacrificio». — ante Lares: ante + accusat. «davanti a». — Gallittae: genitivo singolare femminile. — victima sola: predicativo del soggetto illud ebur, nominativi femminili. — digna: agg. I classe, nominativo femminile. — tantis deis: ablativi plurali maschili. — et (digna) horum: genitivo plurale del pronome dimostrativo. — captatoribus: ablativo plurale maschile da captator, captatoris. — alter enim: nominativo singolare del pronome indefinito (Pacuvio). — si concedas: protasi di II tipo del periodo ipotetico misto (apodosi di primo tipo). Concedas è il congiuntivo presente di concedo. Riferito a un ‘tu’ generico. — vovebit: verbo dell’apodosi di primo tipo, indicativo futuro semplice di vŏvĕo, vŏves, vovi, votum, vŏvēre. — de grege: ablativo singolare di allontanamento/separazione, da grex, grecis. — servorum: genitivo plurale. — Quaeque: aggettivo indefinito quisque, quique, quidque, accusativo plurale neutro. — corpora: accusativo plurale neutro. Per parlare degli schiavi si parla di corpora: c’è l’idea che lo schiavo non è una persona, bensì una cosa. — magna et pulcherrima: agg. I classe, accusativi plurali neutri. Pulcherrima è il superlativo di pulcher, pulchra, pulchrum. Coordinazione asimmetrica: magna et pulcherrima quaeque corpora «tutti i grandi e più belli»: quisque + grado positivo di un aggettivo = può assumere il valore di un superlativo. È come se al posso di magna ci fosse maxima. Un riscontro lo si ritrova in Tacito, Annales, 1, 48, 3: foedissimum quemque et seditioni promptum «tutti i più spregevoli e più pronti alla ribellione». — vel: cong disgiuntiva «ovvero», «oppure». — imponet: indicativo futuro semplice da impono. — vittas: accusativo plurale femminile. Indica le bende con le quali veniva cinto il capo di vittime sacrificali, simbolo di purezza. L’idea è che tale captator sia capace di mettere le bende sacrificali a ragazzine e ragazzini per sacrificarli. — frontibus: dativo di svantaggio «a svantaggio di». — ancillarum et pueris: genitivi plurali. Pueris è forma abbreviata di puerorum. — nubilis… Iphigenia: antonomasia per «una fangiulla in età da marito» (uso del nome proprio per indicare una categoria generale, cioè quella della figlia in età da marito). È una protasi del periodo ipotetico di primo tipo. Il mito di Ifigenia, figlia di Agamennone, re di Micene e capo della spedizione dei greci contro Troia. Le navi greche non potevano salpare dal porto di Aulide perche non arrivava il vento propizio, in quanto Agamennone aveva ucciso una cerva sacra alla dea Artemide; la dea lo colpì con una maledizione che automaticamente colpiva tutti i greci. Secondo una leggenda, Agamennone avrebbe sacrificato la figlia Ifigenia per placare l’ira di Artemide e poter permettere al suo esercito di salpare. Un’altra leggenda, invece, recepita da Euripide, racconta che Artemide stessa sostituì, sull’altare del sacrificio, Ifigenia con una cerva, portando Ifigenia nel suo tempio. Si definisce “fanciulla in età da marito” se si considera il v.120; anche perché Ifigenia era stata fatta venire per sposare Achille. — dabit: indicativo futuro semplice di do, das, dedi, datum, dare. — hanc: accusativo singolare femminile. — altaribus: altar, altaris, dativo plurale di vantaggio. — etsi: cong. — non sperat: indicativo presente di spero. — furtiva piacula: ablativi singolari femminili. — tragicae cervae: genitivo epesegetico «furtivi mezzi espiatori, costituiti dalla cerva della tragedia». I vv. 117 e 121 sono esametri spondiaci per effetto di due quadrisillabi in clausola: ancillarum e testamento. Alcuni sospettano che, il concentrarsi della presenza di esametri spondiaci, là dove si sta parlando del sovvertimento delle regole operato dai captatores, sia un modo per indicare sul piano prosodico il sovvertimento dell’ordine che nella realtà essi realizzano. vv. 121-130 Fa bene chi, come Pacuvio, sacrificherebbe la propria figlia per un riccone ammalato: se questi guarisce, cambierà il proprio precedente testamento e nominerà appunto Pacuvio suo erede, magari universale. Giovenale assume ormai «un sarcasmo cinicamente provocatorio. Nella realtà attuale, uccidere la propria figlia, a imitazione di ciò che aveva fatto Agamennone con Ifigenia, non è una mostruosità, ma un ottimo affare. Il tono si avvicina sempre di più all’indignatio della prima maniera, e prepara appunto l’indignata velenosità della chiusa. La terzina finale è stata analizzata da uno studioso di Giovenale, Mayor, in un articolo di fine ‘800. Giovenale in questi versi si muove sul modello di Cicerone: «chi c’è chi voglia a condizione di non amare nessuno e non essere amato da nessuno, navigare in un abbondanza di tutti i beni?». In questa maniera c’è da un lato l’opposizione tra l’esordio lieto e la chisua ardua, dall’altro una sorta di legge del taglione conclusiva, perché Pacuvio è un finto amicus, per cui per lui non ci sarà altro, a differenza della vera amicizia che lega Giovenale e Catullo. Questo ci riporta al tema cardine della satira: contrasto tra vera e falsa amicizia. E non è un caso che il componimento si concluda con questo riferimento. Laudo meum civem, nec comparo testamento mille rates; nam si Libitinam evaserit aeger, delebit tabulas inclusus carcere nassae post meritum sane mirandum atque omnia soli forsan Pacuvio breviter dabit, ille superbus incedet victis rivalibus. Ergo vides quam 16 grande operae pretium faciat iugulata Mycenis. Vivat Pacuvius quaeso vel Nestora totum, possideat quantum rapuit Nero, montibus aurum exaequet, nec amet quemquam nec ametur ab ullo. Traduzione: Complimenti al mio concittadino: non c’è paragone fra mille navi e un testamento! (meglio sacrificare una figlia per un solo testamento che non per una spedizione di mille navi); se il malato sarà sfuggito a Libitina, cancellerà il testamento, imprigionato in una nassa dopo quella benemerenza veramente straordinaria, e in due parole lascerà forse tutto al solo Pacuvio; e quello incederà superbo dei rivali sconfitti. Vedi quindi quanto convenga sgozzare una ragazza di Micene. Viva Pacuvio, io prego, anche tutta la vita di Nestore, possieda quanto Nerone rapinò, eguagli le montagne col suo oro... e non ami nessuno, né sia amato da alcuno. Laudo: indicativo presente di laudo. — memum civem: accusativi singolari. Effetto sarcastico enfatizzato dal tono solenne ed epicheggiante, dato dalle clausole di quadrisillabi e da mille rates «mille zattere»: nel linguaggio dell’epica indicava le navi dei greci dirette a Troia, le quali fanno parte del capitolo sul catalogo delle navi dell’Iliade. — nec comparo: ind. presente da comparo. — mille rates: accusativo plurale da ratis, ratis. — testamento: dativo singolare. — nam si aeger: nominativo singolare. — evaserit: indicativo futuro anteriore, evado. — Libitinam: accusativo singolare. Libitina era la dea dei funerali; le imprese di pompe funebri avevano sede presso il suo tempio. — delebit: indicativo futuro semplice, dēlĕo, dēles, delevi, deletum, dēlēre. — tabulas: accusativo plurale. I testamenti erano redatti su tavolette di cera, dunque per modificarli era sufficiente cancellare quanto necessario e scrivere il nome del nuovo/i beneficiari. — inclusus: nominativo singolare del participio perfetto, da includo, inclūdis, inclusi, inclusum, inclūdĕre. — carcere: ablativo singo. di stato in luogo. — nassae: genitivo singolare epesegetico «chiuso nel carcere, costituito da una nassa». La nassa è una sorta di cesto con una imboccatura stretta; si usa per addescare pesci, crostacei e in particolare aragoste. All’immagine della nassa soggiace il plesso metaforico della caccia ai testamenti, come forma di pesca: insieme di metafore che presenta la caccia ai testamenti come una pesca vera e propria. Quindi l’immagine del cacciatore di testamenti come pescatore che cerca di prendere all’amo/in trappola la sua vittima. — post meritum mirandum: accusativi sing. neutri. —- sane: avv. «veramente», marcatore di ironia. — et forsan dabit: indicativo futuro semplice di do. Pacuvio è pronto a immolare sua figlia per la possibilità di essere nominato erede, tuttavia potrà averla uccisa senza per forza diventare erede. — omnia: accusativo plurale neutro. — soli Pacuvio: dativo singolare. — ille superbus: nominativi singolai maschili. — incedet: indicativo futuro da incēdo, incēdis, incessi, incessum, incēdĕre. — victis rivalibus: secondo alcuni è un ablativo assoluto di natura temporale o causale; tuttavia è più plausibile che sia un semplice ablativo di causa. — ergo vides: indicativo presente di video. — quam: avv. «quanto». — faciat: congiuntivo presente; i congiuntivi sono a metà strada tra l’esortativo e il decretativo. Operare pretium faciat: «mi conviene», «vale la pena di». Costrutto personale latino, il quale corrisponde a un costrutto impersonale italiano (+ infinito). — iagulata Mycenis: Mycenis è antonomasia di secondo grado (Iphigenia è di primo grado), unità alla densità del costrutto iagulata mycenis esprime l’orrore enorme di una conclusione di questo genere. Il sarcasmo infatti arriva a un livello con pochi paralleli. È comunque dimostrato che conviene uccidere la propria figlia. — vivat: congiuntivo presente da vivo. — Pacuvius: nominativo singolare. — quaeso: indicativo presente di quaeso, quaesis, quaesère. — vel totum Nestora: sta per Nestorem, è un accusativo greco. È un brachilogismo, poichè sta per Nestoris annis o Nestores vitas. — possideat: è un congiuntivo presente da possĭdĕo, possĭdes, possedi, possessum, possĭdēre. — quantum: accusativo singolare neutro. — Nero rapuit: indicativo perfetto di rapio. — exaquet: congiuntivo pres. exaequo, exaequas, exaequavi, exaequatum, exaequāre. Montibus aurum exaequet: pareggi il suo oro a pari liveoo delle montagne. — aurum: nominativo singolare. — montibus: dativo plurale mons, montis. — nec amet quaemquam: congiuntivo presente. — nec ametur: congiuntivo presente passivo. — ab ullo: complemento d’agente. Ullo viene da ullus, ulla, ullum. La maledizione si spiega in base al principio del taglione: Pacuvio ha leso il fondamento dell’amicitia, poiché ha solo simulato amicizia; perciò egli deve essere punito con la privazione dell’amor, e cioè del sentimento di affetto attivo e passivo. 17
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved