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Giulio Ferroni-Storia della letteratura italiana, il novecento e il nuovo millennio-Luigi Malerba, tutti i testi-Riassunto, Appunti di Letteratura Italiana

Questo riassunto contiene gli autori, le riviste e i movimenti letterari principali del manuale Ferroni, sintetizzati secondo quanto sottolineato da me, e i riassunti e varie riflessioni dei testi di Malerba argomento dell'esame: La scoperta dell'lfabeto, Le rose imperiali, Dopo il pescecane, Il serpente, Salto mortale, Simmetrie naturali. Potrebbero essere presenti errori di battitura, essendo stato scritto con la funzione "dettatura" di word.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 25/06/2021

Cecilia.Maselli
Cecilia.Maselli 🇮🇹

4.6

(188)

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Scarica Giulio Ferroni-Storia della letteratura italiana, il novecento e il nuovo millennio-Luigi Malerba, tutti i testi-Riassunto e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Il Crepuscolarismo Nel 1910 il critico Giuseppe Borgese definisce con il termine crepuscolarismo un gruppo di autori che condividevano lo stesso pensiero letterario, le stesse tematiche con le stesse forme, ma che in effetti non formavano una vera e propria scuola o un circolo letterario. Il termine indicava la letteratura nel periodo di sua maggior crisi: l'arte non riusciva ad andare al passo con la mentalità capitalistica caratteristica della società industriale, che basava la propria concezione sul culto del denaro e dei fatti; l'arte veniva vista come debolezza e come vuoto, come nullità, come malattia, perché il poeta non riusciva a identificarsi con l'uomo dedito al denaro della società industriale. Il poeta crepuscolare si oppone nettamente al poeta vate di D'Annunzio, Pascoli e Carducci, che basavano la loro poetica sulla riscoperta dei classici sulla funzione etica, didattica ed eroica della poesia. Il poeta crepuscolare, invece, subisce una diseroicizzazione, perché basa la sua concezione sulla negazione della potenza del passato, concentrando le sue forze e la sua attenzione alla descrizione del presidente quotidiano nei suoi più squallidi e malinconici aspetti, attraverso uno stile del tutto atipico: le cose andavano descritte così come sono, non rivelano nulla, per questo non esistono cose poetiche e cose prosastiche, da qui la tendenza del verso libero, commistione di prosa e poesia. I modelli che il crepuscolarismo prendeva in considerazione si ritrovavano nella scapigliatura, ma questi venivano spogliati dalla tendenza ribelle, lasciando come punto di riferimento l'assenza delle finalità pratiche del poeta e della poesia. Guido Gozzano Interessatosi alle letture di Nietzsche e Shopenhauer, ne inserì i temi nelle sue opere:  Al 1907 risale “La via del rifugio”, in cui Gozzano identificava nell'arte nella poesia una sorta di rifugio dai turbamenti mondani, che per lui erano rappresentati dalla malattia e dall'assenza di un'occupazione fissa, ma soprattutto una via di fuga dalla materialistica vita torinese nella quale egli era immerso; l’atto di fuga non doveva basarsi su una motivazione eroica, come invece era per i poeti vate dell'Ottocento, ma doveva comportare la rinuncia alla vita e al ruolo stesso del poeta.  Nel 1911 pubblica “I Colloqui”, segnato da un continuo dal dualismo contenutistico e formale con D'Annunzio. Dal punto di vista dei contenuti, in un primo momento Gozzano ne riprende la vitalità, la forza e l'eroicità, attraverso le quali il poeta può distaccarsi dalle angosce in modo eroico, ma in un secondo momento Gazzano sente anche gli aspetti negativi nella vita, la malattia, le debolezze, la morte, e va a svanire tutto l'eroismo dannunziano. Dal punto di vista formale invece, Gozzano inizialmente riprende le formule auliche, belle e classiche che si trovavano in D'Annunzio, per poi abbandonare anche stilisticamente il modello estetico per preferire formule quotidiane banali (un esempio è la scadenza della rima, cioè la sua svalutazione: camicie-Nietzsche).  Ne “La cuna del mondo” del 1912 Gozzano racconta l’esperienza del suo viaggio in India alla ricerca di climi favorevoli alla sua malattia. Qui inizia una profonda riflessione sulla natura primigenia e sulla sua incontaminazione dalla società industriale, e giunge la triste conclusione che l'uomo occidentale non potrà mai farvi ritorno, poiché è troppo corrotto ha lavorato dalla vita capitalistica basata sul denaro e sull'utilità. La cultura del fascismo Nel 1925, a cura di Giovanni Gentile, venne pubblicato il “Manifesto degli intellettuali fascisti”. Durante gli anni del fascismo, il sistema totalitario svolgeva una forte opera di controllo della cultura e della letteratura: in primo luogo la lotta contro le parole straniere portò alla modifica dei titoli e dei nomi propri di persona nei libri scolastici e di intrattenimento, come anche nella scuola il fascismo veniva promosso attraverso delle letture caratteristiche che esaltavano il regime. Il ritorno al classicismo e all'equilibrio che in fascismo proponeva, trovava espressione nel movimento di Strapaese, rappresentato dalle riviste “Il selvaggio” di Maccari e “L'italiano” di Longanesi, che incentivavano il ritorno ad un'Italia rurale, contadina, campestre e cattolica (ma non clericale), opposto al movimento di Stracittà, rappresentato dalla rivista “900” di Bontempelli, che promuoveva la sprovincializzazione dell'Italia. Benedetto Croce A partire dal 1903 la rivista “La critica”, fondata in collaborazione con Giovanni Gentile, divenne strumento di diffusione dei nuovi orientamenti idealistici crociani e gentiliani, diffondendo presso coloro che si occupano di letteratura e presso la scuola una serie di nozioni di base, di formule e modi di interpretazione della poesia. Con l'adesione di Gentile al regime fascista, tra i due avviene una profonda rottura, che porterà Croce a fondare, nel 1925, il “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, che, in netta opposizione con quello di Gentile, contrastare condannava profondamente il fascismo definendolo una malattia morale, oppure andassi anche alle leggi razziali. La voce Per iniziativa di Prezzolini, conquistato dalla filosofia crociana, la rivista “La voce” (il cui primo numero uscì nel 1908) divenne strumento di intervento attivo dell'idealismo nella cultura italiana e diede spazio alle collaborazioni più diverse, spesso tra loro contrastanti, ma sempre con l'intento di dare voce ad una nuova cultura e di venire incontro alle aspirazioni dei giovani intellettuali. Utilizzava la tecnica del frammentismo, la quale, nel primo decennio del 900, mise in crisi il romanzo, proponendo un linguaggio nella sostanza più particolare, immediato ed essenziale, la cui narrativa si basa su episodi slegati tra loro, e dell’autobiografismo morale. La prima fase della rivista fu quella originaria, sotto la guida di Prezzolini, in cui veniva promosso un rinnovamento culturale, che doveva avvenire attraverso l'impegno civile politico dell’intellettuale. La seconda fase della rivista si svolse sotto la direzione di Papini, e promuoveva l'abbandono dei temi civili a favore di una letteratura pura. I dissensi tra le varie posizioni diedero luogo a vera e propria scissione come quelle di Papini e Soffici, che si distaccarono per fondare la rivista “Lacerba”. Durante la terza fase la rivista torna la linea editoriale originaria e assume posizioni interventiste, che procurò altri contrasti tra interessi politici e interessi letterari, contrasti che furono risolti con la quarta fase della rivista, sotto la direzione di De Robertis, in cui “La voce” assume un carattere ad uso solo letterario. La Ronda Tra il 1919 e il 1923, A Roma viene fondata la rivista letteraria “La ronda”, inizialmente diretta da un'equipe redazionale di sette persone, tra cui Cardarelli e Soffici. Sulla copertina era riportato il disegno di un tamburino che chiama a raccolta, questo per richiamare alla ronda militare e simboleggiare il proposito poliziesco di riportare l'ordine nel caos letterario dell'epoca. Il modello assunto dalla rivista era Leopardi, e mirava ad una letteratura fondata sulla tradizione e al superamento dell’estetismo e del frammentismo, proponendo un classicismo moderno che si facesse portavoce della cultura del fascismo. Luigi Pirandello I caratteri antiborbonici e risorgimentali della sua famiglia si scorgono anche in Luigi, che è sempre nelle sue opere cerca di esaltare valori del Risorgimento contro la mediocrità del presente, spinto da un irrefrenabile voglia di fuggire da ogni nostalgia. Ed è proprio con il teatro che Pirandello cercava di fuggire dalle sue origini, e i rapporti con Mussolini gli permisero di farlo al meglio, visto che ti rende allora iscritto al partito fascista sin dal 1923: Mussolini mi permise di lavorare in numerosi teatri e così l'autore divenne uno dei letterati più importanti di questa fase storica. Nel comporre le sue opere Pirandello si distanzia totalmente dal modello di D'Annunzio, rappresentando situazioni concrete tra gli uomini e cercando di dare una raffigurazione dei turbamenti e delle sofferenze che si possono generare verosimilmente nella realtà. in Pirandello è cruciale il tema delle maschere: secondo l'autore la vita degli uomini è inesorabilmente condizionata dalla propria apparenza esterna ed estetica, che nasconde reali e autentici comportamenti interni. I modelli da cui attinge sono:  Il mondo contadino della sua Agrigento, un mondo dove ognuno lotta contro sé stesso per rispettare le tradizioni, le superstizioni delle credenze popolari  Il mondo borghese e capitalistico della Roma dei suoi tempi, ti apporto agli uomini ad appiattirsi ed alienarsi e in cui ognuno si conforma al buon costume  Le teorie psicoanalitiche di Freud, secondo cui il malessere psicologico i traumi interiori possono sorgere dall'infanzia Queste correnti vedevano l'esistenza di un uomo suddivisa in vita e forma: la vita è il carattere interiore, il comportamento più spontaneo ed autentico, mentre la forma è il carattere esterno, la maschera, il modo in cui ognuno appare. Inevitabilmente la forma finisce sempre per schiacciare la vita, rendendo gli uomini insoddisfatti perché non possono autoaffermarsi nella realtà.  Al centro delle sue opere vi è indubbiamente “Il fu Mattia Pascal”, pubblicato in varie edizioni tra il 1904 e il 1910. La vicenda parla della storia del giovane Mattia Pascal, che a causa di molte disgrazie come la morte delle sue bambine e della madre, decide di tentare la fortuna al casinò, e inverosimilmente ci riesce. Nel viaggio di ritorno legge sul giornale la notizia del suicidio di un certo Mattia Pascal e che la moglie aveva riconosciuto il cadavere come suo; a questo punto decide di non fare più ritorno e di trasferirsi a Roma con lo pseudonimo di Adriano Meis. Egli sceglie autonomamente di rinunciare alla maschera sociale costretto a portare, illudendosi di poter essere sé stesso con quest'altra identità, ma riscontrando voi l'impossibilità di tale libertà, perché è costretto a non poter raccontare la sua storia e a non poter sposare la donna di cui si innamora, quindi apportare un'ulteriore maschera sociale. Decide così di tornare nel suo paese Natale, ritornando “Il fu Mattia Pascal” decidendo di lavorare in una biblioteca e diventando il narratore di sé stesso: il terzo passaggio di personalità e così la totale rassegnazione all'impossibilità di autoaffermarsi nella vita.  “Uno, nessuno, centomila” è invece la storia di Vitangelo Moscarda. Una mattina sua moglie gli fa un’osservazione in sé innocua, ma che lo fa sprofondare in una profonda crisi esistenziale. La donna, infatti, gli fa scoprire una lieve pendenza del naso, un piccolo difetto di cui egli non aveva coscienza. Si accorge così che lui pensava di conoscersi e di sapere chi fosse, ma non è così: gli altri vedono in lui una moltitudine di difetti e di caratteristiche di cui lui non è a conoscenza. Lui non è “uno”, come credeva di essere, ma è “centomila”: ogni persona con cui entra in contatto lo vede in molto diverso. Il suo io è fratturato in un’infinità di maschere in cui lui non si riconosce. Considerato da tutti un usuraio, decide di infrangere platealmente questa maschera. La moglie inizia a complottare per rinchiuderlo in manicomio, ma Vitangelo è avvertito della macchinazione da Anna Rosa, un’amica della moglie. Vitangelo, riconoscente, prova quindi a renderla partecipe della sua scoperta esistenziale, ma la donna, spaventata, per lo shock gli spara. Ora tutti sono convinti che Vitangelo abbia avuto una relazione illegittima con Anna Rosa, cosa non vera. Ma Vitangelo decide di sopportare questa maschera, non vera, come dopotutto non sono vere tutte le altre. Fa mostra di pentimento, come se fosse davvero colpevole, dona tutti i suoi averi e costruisce un ospizio per i poveri, dove lui stesso va a vivere. Solo, povero, creduto pazzo da tutti, Vitangelo in qualche modo ne esce vincitore: ora non è più costretto a essere “qualcuno”, può essere “nessuno”, rifiutare ogni identità e rinnegare il suo stesso nome, abbandonarsi allo scorrere puro dell’essere e disgregarsi nella natura, vivendo attimo per attimo senza cristallizzarsi in nessuna maschera. Ora è nuvola, ora è vento, ora albero…  La visione umoristicamente pessimista della realtà viene tutta concentrata in un unico saggio, chiamato “L'umorismo”: in esso, dopo una rivalutazione della letteratura umoristica opposta alla letteratura del sublime, per renderlo spiega cosa è l'umorismo: fare comicità significa raggiungere con la mente l'esatto contrario di ogni situazione: quando avviene un fatto quando si pronunciano delle parole il comico finisce subito con la mente a idealizzare l'opposto di questa parola o azione.  Nel corpus di “Novelle per un anno”, Pirandello intendeva inserire una novella per ogni giorno dell'anno, sul modello del Canzoniere di Petrarca, ma nella sistemazione dato dall'autore le novelle sono estremamente interscambiabili e anti-temporali, inseriti in un intenzionale caos narrativo. Inoltre, mentre nel canzoniere di Petrarca le novelle avevano un finale con scopo etico e morale, nelle novelle di Pirandello il protagonista continua a sbagliare e a cadere nelle continue trappole della società capitalistica. Le novelle di Pirandello sono ambientate principalmente nell'ambiente agricolo siciliano, in cui prevalgono le credenze retrograde e superstiziose, o nell'ambiente impiegatizio romano, in cui prevalgono le maschere del buon senso del costume e della serietà professionale. Italo Svevo Negli ultimi anni dell'Ottocento erano apparsi i primi due romanzi di un autore che, sotto lo pseudonimo di Italo Svevo, nascondeva la persona dell’ebreo triestino Ettore Schmits. La natura dell'ambiente triestino lo portò lontano da ogni tradizione classicistica o estetizzante della letteratura: nella coperta della letteratura egli cercò sin da subito di rappresentare vicende umane sullo sfondo di una concreta e specifica società, quasi sempre triestina.  Il primo è un romanzo di Svevo venne pubblicato nel 1892 con il titolo di “Una vita”. E la storia in terza persona dell'intellettuale fallito Alfonso Nitti, che lavora come corrispondente in una banca di Trieste. La rappresentazione, legate a modelli naturalistici e realistici, si concentra sul punto di vista del personaggio ed il senso che egli ha di sé e del proprio valore. Nella sua condizione di subalterno, egli viene ammesso a frequentare la casa del direttore della banca dove finisce per possedere la figlia Annetta, ma quando sembra porsi il problema di superare gli ostacoli sociali che si opporrebbero ad un matrimonio, Alfonso si trova a rinunciare a questa possibilità di scalata sociale, rinunciando definitivamente alla lotta suicidandosi, ma anche nel suicidio non c'è nulla di eroico.  Anche in “Senilità” la narrazione è in terza persona e si concentra sulle vicende e sul punto di vista di un personaggio inetto, i cui atteggiamenti sono complicati da un senso precoce di vecchiaia. Emilio Bentrani è un intellettuale fallito che conduce una vita inerte di impiegato, e ogni suo gesto sembra mancare di energia vitale. La sua esistenza è sempre in attesa di occasioni che non si realizzano e la sua fallimentare esperienza finisce per dimostrare che la vita non può essere afferrata, non si può farla propria: quella di Emilio è la condizione dell'uomo moderno, perduto dietro desideri illusori e fantasmi artificiali, mentre la realtà sembra sfuggirli.  “La coscienza di Zeno”, a differenza di due romanzi precedenti, si svolge in prima persona: si tratta di un personaggio fittizio, Zeno Cosini, che non coincide direttamente con l'autore: è un ricco triestino che, per liberarsi da una nevrosi che si manifesta nei rapporti con se stesso e con gli altri, che si riconosce innanzitutto nell'impossibilità di liberarsi dal vizio del fumo e nel continuo fallimento dei propositi di fumare “l'ultima sigaretta”, si è sottoposto ad una cura psicanalitica e ha ricevuto dal dottor S. l'incarico di ripercorrere per iscritto il proprio passato, in funzione della cura. Ma questa ricostruzione si interrompe ad un certo punto, come risulta interrotta la sua cura psicanalitica a causa dell’insofferenza del paziente nei confronti del medico e del suo metodo. Svevo finge che l'iniziativa di pubblicare il romanzo si debba allo stesso dottor S., che intende vendicarsi del tiro giocatoli dal malato, il quale, grazie ad un'interpretazione adeguata di quelle memorie, avrebbe potuto avvicinarsi alla guarigione. Tutto il discorso di Zeno si sviluppa in unisce l'azione continua tra malattia e salute e tra coscienza e inganno, ma, a differenza di Alfonso Nitti e Emilio Bentrani, egli non è uno sconfitto: sai di non poter essere un personaggio serio e inciampa sulle cose sulle persone come un personaggio comico, vive aggredito e deriso come una marionetta, ma cade sempre in piedi, vede, con sua stessa sorpresa, risolversi la sua inferiorità in una serie di successi, che culmina nei successi commerciali che gli toccano in coincidenza con i tragici eventi della guerra. La psicanalisi si rivela strumento essenziale per la costruzione di questo personaggio malato: in molti momenti del suo racconto si sente l'effetto dello sguardo del tutto nuovo che Freud aveva portato sulle tensioni nascoste di ogni atto psichico, e la presenza di Freud si sente particolarmente nella rappresentazione dei sogni del protagonista e nel suo continuo incorrere in lapsus e di equivoci. Federigo Tozzi In contrasto con il padre, un uomo violento, retrogrado, ignorante è improntato sull'etica del lavoro manuale, fu sempre mosso da grande desiderio di dedicarsi alla vita letteraria, ma alla morte del padre abbandonò gli studi aderì al socialismo, anche se successivamente condusse una vita mondana, disordinata ed erotica. I suoi modelli possono essere ricondotti al realismo ottocentesco, in particolare Verga, da cui riprende la narrazione in chiave naturalista, ma lascia alle veritiere immagini il compito di evocare il fatto più che alla suona razione, e in William James, da cui riprende una voce frammentata e una narrazione che va avanti per illuminazioni lampo ed immagini repentine ed imprevedibili.  In “Con gli occhi chiusi”, pubblicato nel 1919, egli vuole mettere in evidenza il mondo contadino, sul quale compare la storia d'amore dei protagonisti, il sentimento di oppressione delle persone che è li circondano, in primo luogo il padre. La reazione del protagonista e la chiusura in sé stesso, la “chiusura degli occhi”, la scelta di non accettare la realtà. Ma con la chiusura non sia nulla solo l'io del protagonista, ma anche tutto il mondo circostante gli sembra perdere di senso.  “Tre croci”, pubblicato nel 1920, presenta ancora un protagonista martire, ma con un risvolto religioso: i protagonisti sono tre fratelli che rappresentano la triade cattolica e che incarnano il capro espiatorio del male in una visione pessimistica del mondo sociale. Tozzi raffigura la Siena in pieno passaggio dal mondo rurale e contadino verso la nuova società borghese, ed egli raffigura l'esempio del senso di estraneità dell'uomo che non sempre ha saputo adagiarsi. La lirica del 900 speranza si esprime anche attraverso la figura angelo della donna, che salva il poeta non tanto dall'angoscia e dal male di vivere, ma dalla mediocrità del presente. Carlo Emilio Gadda  Nella sua esperienza al fronte Gadda documenta e riporta gli eventi della sua esistenza relativa alla guerra in tanti diari scritti dal 1915 al 1919, che confluirono nel volume “Giornale di guerra e di prigionia” del 1950. Il memoriale bellico era diviso in tre sezioni: “Preparazione alla guerra”, in cui Gadda è legato al vitalismo eroico e vede nella guerra un'opportunità con quell'uomo può erigersi ad un livello superiore, “Disfatta di caporetto”, in cui è narrata la disfatta italiana e la carcerazione di Gadda da parte degli austriaci, e “Prigioni austriaca”, in cui Gadda racconta il suo periodo di prigionia alla sua liberazione e la guerra si è rivelata come un inutile spreco umano.  Nel 1963 Gadda pubblica il romanzo “La cognizione del dolore”, in cui riversa nel protagonista Gonzalo la sua vicenda autobiografica del periodo fascista in cui Gadda è vissuto. Il titolo “cognizione” significa viaggio di coscienza: Gad intende svolgere un'opera di introspezione del suo dolore attuale e infantile, palesemente mosso dalle teorie psicoanalitiche di Freud. Gonzalo abita nel paese fittizio di Maradagal, recentemente uscito vincitore dalla guerra con il paese vicino Paradagal. Ma il paese fittizio inventato da Gadda non è altro che lo specchio dell’ Italia borghese del dopoguerra: un paesaggio campestre e cittadino popolato da villette borghesi e intriso di schemi falsi, di maschere e di artificialità rappresentato in tutto il suo carattere grottesco e caricaturale, e gli scontri tra i due paesi fittizi rappresentano lo scontro tra fascisti e socialisti, entrambi condannati da Gadda poiché i primi suona i cavalcatori della scia borghese e si ricoprono di menzogne, mentre i secondi sono inseriti nella logica del possesso del materialismo. Da qui si nota tutta la misantropia di Gadda, un odio indistinto verso tutta l'umanità.  Nel 1946 Gadda pubblica il romanzo “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, che segue in apparenza la struttura del giallo con un delitto avvenuto in un palazzo borghese e con lo svolgersi delle relative indagini: ma si tratta in realtà di un giallo impossibile in cui varie voci si sovrappongono tra loro, anche attraverso la commistione di varie lingue e dialetti (Il Veneto, il napoletano, il fiorentino,…), che mantiene una suspense continua e si perde in mille particolari e in una ricerca ossessiva delle molteplici facce della realtà e tutto si configura nei termini di un inestricabile pasticcio. La sviluppo del romanzo si dà tutto nel complicarsi delle indagini e nella totale assenza di un centro: non ci sono punti di vista privilegiati né un vero protagonista che possa identificarsi con la posizione dell'autore. La società borghese rappresentata e la forma più marcia e putrescente del male della stupidità che dominano il mondo è la storia. Solo l'ispettore Ingravallo rivela qualche somiglianza con la posizione dello scrittore e col suo proposito di imporre al caos un ordine e una conoscenza impossibili. Il neorealismo Il realismo si sviluppa nel nuovo clima del dopoguerra e, proprio Vittorini e Pavese, con la loro rappresentazione del mondo popolare e con il loro impegno democratico e antifascista, vengono considerati gli autori più rappresentanti del movimento. Il momento più autentico del neorealismo è quello della resistenza dell'immediato dopoguerra, quando si diffonde un nuovo modo di rappresentazione della realtà popolare e si afferma il nuovo cinema neorealistico, ovvero tra il 43 e il 50, fino alla crisi del 56 e oltre. Alla base del linguaggio del neorealismo, che mira ad essere la voce di un popolo che agisce come protagonista, vi sono le vicende della guerra e della lotta partigiana espresse proprio attraverso il linguaggio medio e comune alla vita quotidiana. Gli autori neorealisti sentono l'esigenza di una letteratura legata all'ideologia delle classi popolari, capace di dare espressione alle loro lotte e indicare la prospettiva di uno sviluppo della società verso il socialismo. A dare voce a questa esigenza fu il cinema, che indicò un nuovo modo di raccontare, rapido ed essenziale, legato alla diretta osservazione della vita popolare e di tutte le drammatiche situazioni quotidiane vissute da personaggi semplici e dimessi. Tra i più celebrati capolavori del cinema neorealista ci sono “Roma città aperta” e “Paisà” di Rossellini e “Ladri di biciclette” e “Sciuscià” di Vittorio De Sica: agli eroi tradizionali, fittizi artificiosi, questo cinema sostituiva uomini comuni, operai, contadini, disoccupati, che trovavano la loro verità nel rapporto con l'ambiente sociale, e agli attori professionisti venivano spesso preferite persone comuni, trovate direttamente nella strada. L'esperienza neorealista fu però brevissima, arrestata dalle molteplici contraddizioni della situazione del dopoguerra e dallo stesso rivelarsi dei caratteri della produzione cinematografica e del peso che su di essa aveva nei meccanismi dell'industria capitalistica. Cesare Pavese Tema centrale ricorrente dell'opera di Pavese è un continuo ritorno al passato e all'ambiente rurale della sua campagna piemontese, nella quale trova i valori tradizionali su cui basare la sua esistenza e vede nel ciclo del lavoro contadino l'inesorabile ciclicità della vita e della morte, e nell'ambiente cittadino vede l'angoscia la minaccia di una continua riduzione alla maschera e all'inganno nella città.  Nel 1936 pubblica la sua raccolta di poesie “Lavorare stanca”, nelle quali riproduce questo dualismo tra la pericolosità della natura selvaggia e gli ambienti urbani e lavorativi della vita cittadina: i personaggi di queste liriche cercano di trovare sé stessi ma finiscono nel trovare solo un cupo grigiore in entrambi i mondi. Ma c'è anche una componente ermetica del linguaggio essenziale, di versi lenti e ripetitivi che creano un vortice che ritorna a sé stesso, ottenendo un risultato cantilenante che allude simbolicamente alla inesorabile ripetitività e ciclicità degli eventi della storia.  Legato al mito e il rapporto tra uomo natura e l'insieme dei dialoghi contenuto nei “Dialoghi di Leucò”, in cui vari eroi della mitologia discutono tra loro, divenendo simbolo della prevaricazione di un uomo sull'altro senza possibilità di compromessi etici e dell'impossibilità di creare una società civile.  Nel 1948 viene applicato il romanzo “La casa in collina”, in cui emerge il tema della guerra e dell'indifferenza del protagonista nei confronti di essa: egli si rifugia nella sua casa in collina per sfuggire dalle responsabilità del conflitto, e qui cerca solitudine riflessività: su ogni uomo in guerra pensa sia l'angoscia della sua morte che della sua vita, perché se si sopravvive in quel male estremo è grazie alla morte del vicino e grazie al fatto che ha fatto morire chi è vicino a te e non te stesso.  Con “La luna e i falò” si chiude la produzione letteraria di Pavese, nel 1950: il tema centrale è sempre quello della guerra, che stavolta sconvolge la mente del protagonista, il quale, tornato nel suo paese d'origine al termine del conflitto, cerca di ricostruire la sua infanzia perduta, rievoca immagini del passato, tra cui le gioie dei falò propiziatori che si tenevano a metà agosto. Ma viene a scoprire che coloro che li facevano erano morti e adesso questi falò sono di morte, e giunge la consapevolezza che il velo dell’annientamento e della distruzione ha preso anche il suo paesino Natale e che la morte arriva inevitabilmente ovunque, cancellando ogni possibilità di fuga. Beppe Fenoglio Le opere di Fenoglio sono intrise della sua vicenda autobiografica: egli, infatti, si arruolò tra i partigiani, prima in un gruppo comunista e poi in un gruppo monarchico. L'atteggiamento di Fenoglio si colloca agli antipodi del neorealismo: la sua rappresentazione della Resistenza non ha carattere documentario e non presume di offrire modelli di comportamento positivo, ma è legata alle dirette radici autobiografiche e la condizione partigiana diventa un segno rivelatore della condizione umana. Forte e l'influenza della letteratura inglese, a cui Fenoglio era particolarmente appassionato, con la traduzione “The rime of the ancient mariner” è la trasposizione teatrale di “Wuthering heights”. Le sue vicende autobiografiche si denotano nei testi che hanno al centro la figura autobiografica di Johnny:  “Primavera e di bellezza” che narra i giorni trascorsi ad Alba, la sua vita di allievo ufficiale, il suo servizio militare.  “Il partigiano Johnny” narra il ritorno di Johnny a casa, il suo arruolamento con i partigiani rossi e la sua morte. Tra “Primavera di bellezza” e “Il partigiano Johnny” c'è un’ essenziale differenza di tipo linguistico: nel primo romanzo si tende ad un italiano levigato, dalla forma essenziale dalla misura quarti classica, mentre nel secondo c'è una fortissima presenza della lingua inglese, con intere frasi, termini e battute che si inseriscono nella narrazione nei discorsi di Johnny; ma questo plurilinguismo non tende a dare effetti di parlato o a creare conflitti con la base linguistica italiana, ma semplicemente a dare sfogo alla passione per la letteratura inglese dello scrittore.  “Una questione privata”, a centro della quale c'è un altro partigiano, stavolta con un nome inglese: Milton. Durante una visita a una villa in cui ha frequentato e amato Fulvia, viene a sapere degli incontri tra questa ragazza e l'amico Giorgio: preso da un'assurda volontà di sapere cosa sia effettivamente accaduto tra i due, Milton inizia a cercare Giorgio, che fa parte di un'altra brigata partigiana. Venuta a sapere che Giorgio è fatto prigionieri dai fascisti, cerca di catturare un fascista per poterlo scambiare con Giorgio ma poi è costretto a uccidere il prigioniero. Mentre tento la nuova visita alla villa di Fulvia viene mortalmente ucciso dai fascisti. Tutti i movimenti di questo personaggio in mezzo alla guerra e alla violenza sono segnati dal bisogno assoluto di “sapere”, dalla ricerca disperata di afferrare qualcosa che è già accaduto: si annulla qualsiasi altro scopo e la sua ossessione lo spinge a muoversi in totale solitudine in un mondo già per sé privo di senso. Giorgio Caproni La poesia di Caproni e caratterizzata da immediatezza e spontaneità, da una leggerezza lontana da ogni intellettualismo che mantiene sempre una grazia musicale e una cordialità comunicativa.  Nella raccolta che ha avuto il titolo definitivo di “Il passaggio di Enea”, la poesia di Caproni si afferma in tutta la sua originalità, sotto l'effetto del trauma della guerra e delle sofferenze personali da essa determinate, e dal distacco dall’amatissima città di Genova. La violenza e la distruzione rendono più forte la vicinanza del poeta alla vita quotidiana e al mondo cittadino proletario, espressione dell'Italia povera immersa nel lavoro: Genova si configura come il simbolo di una civiltà urbana carica di umanità, dove le cose gli oggetti industriali hanno ancora funzioni umane, è un mondo caratterizzato dalla presenza di biciclette, treni, funicolari, e la guerra carica su questo mondo un segno di sofferenza e ne rende precaria la bellezza. La prima sezione, “Gli anni tedeschi”, descrive proprio questo mondo cittadino, questa realtà povera e fragile che ha resistito in mezzo alla violenza della guerra, la seconda sezione “Le stanze” contiene uno dei testi più celebri di Caproni, “Le stanze della funicolare”, in cui il viaggio su quel mezzo di trasporto usuale in una città in salita come Genova appare come un viaggio allucinato verso lo un oltretomba mitico, l'ultima sezione “In appendice” è dominata dal motivo della partenza e del rimpianto per Genova e dalla fascinazione del suo paesaggio delle sue presenze umane.  Nel “Congedo del viaggiatore cerimonioso e altre prosopopee”, Caproni tende a congedarsi dalla vita sociale, proiettandosi in prosopopee, cioè in figure di personaggi che parlano e delicatamente esprimono il loro essere ai margini. Nella raccolta lirica la voce narrante è quella di un viaggiatore che si appresta a scendere dal treno dopo aver partecipato alla conversazione dello scompartimento: rimpiange la gioia del contatto e dello scambio avuto con gli altri, ma si congeda da loro e da tutti i valori sociali che essi rappresentano. La neoavanguardia Tra il 1945 e il 1968 avviene il passaggio dal tempo del neorealismo quello della neoavanguardia, legato alle radicali trasformazioni sociali, allo sviluppo industriale e alla crisi della cultura di sinistra. Scrittori tra loro anche molto diversi si indirizzarono verso atteggiamenti sperimentali e aspiravano ad una letteratura che non ripetesse i valori e modelli precostituiti. Sullo scorcio finale degli anni 50, le riviste “Officina” e “Menabò” propongono uno sperimentalismo in relativa continuità con la recente tradizione della sinistra italiana. La neoavanguardia, che esce allo scoperto all'inizio degli anni 60, soprattutto con il gruppo 63, rifiuta radicalmente gli indirizzi della letteratura e del dopoguerra e pone l'esigenza di una letteratura rivolta verso le forme più avanzate della modernità e verso le grandi avanguardie del primo 900. Un la neoavanguardia si lega così all'orizzonte di una società in espansione, sulla spinta del progresso e del benessere. Lo sperimentalismo da “Officina” e “Menabò”  L'attività della rivista “Officina” si svolse per tre anni, sotto la redazione di Leonetti, Pasolini e Roversi, che si conoscevano sin dai tempi del liceo, e che iscrissero subito la loro iniziativa sotto il segno di un'insoddisfazione per la situazione letteraria e politica italiana, conducendo una polemica sia verso la tradizione novecentesca sia verso le recenti esperienze del neorealismo. Si schierò dalla parte di una libertà stilistica priva di sicurezze ideologiche predeterminate e sulla poliedrica ricerca di un linguaggio nuovo. proponeva, oltre ai testi dei suoi redattori e dei collaboratori, testi di Gadda, Caproni, Volponi, Ungaretti, Calvino, Rebora.  “Menabò” stimolò un dibattito sul rapporto tra letteratura e industria e promosse un progetto di rivista internazionale: un notevole spazio vi ricevettero anche le prime esperienze della neoavanguardia. Il saggio di Calvino “La sfida al labirinto” definì il proposito sperimentale del Menabò: l'attenzione alla complessa realtà del mondo industriale si legava alla ricerca di una letteratura aperta a tutti i linguaggi possibili al fine di costruire una mappa del labirinto culturale contemporaneo. Tra il 1959 e il 1967 uscirono dieci numeri della rivista della quale l'ultimo numero pubblicava molti testi inediti e testimonianze su Vittorini che era morto l'anno prima: i primi tre numeri della rivista fecero il bilancio della situazione del periodo, e vennero pubblicati anche i testi della neoavanguardia, malgrado la scarsa simpatia per essi da parte di Calvino, continuando la riflessione sulla lingua e il dialetto, sul rapporto letteratura - società e sulla letteratura industriale. Elio Vittorini Elio Vittorini ha sempre espresso nella sua vita e nelle sue opere un bisogno di intervenire attivamente alla realtà. Egli ha agito a fondo sulla letteratura italiana ed è stato un intellettuale capace di sentire l'aspetto politico della cultura. In ogni momento della sua attività, ha concepito la cultura come forza capace di creare un mondo dinamico e vitale. Nei primi anni sente il bisogno di entrare nel vortice della vita, e in questo si sente la cultura della “Voce”. Distaccandosi dal fascismo, pone l'attenzione alla realtà popolare, sdegnando l'ingiustizia e l'oppressione: ma si interessa al popolo più che altro per la ricerca delle proprie radici siciliane. Egli scrive il bisogno di produrre una cultura che partecipa a un processo rivoluzionario: infatti, “Il Politecnico” diventa lo strumento di battaglia per una nuova cultura.  Le opere narrative di Vittorini ricercano qualcosa che possa essere essenziale e risolutivo. Le prime opere narrative sono costituite da racconti giovanili come “Piccola borghesia”, formato da 8 racconti e apparso nelle edizioni di Solaria nel 1931, in cui si scorge la guerra vista con gli occhi incantati dell'infanzia, le fantasticherie di un modesto impiegato, i sogni di fuga della moglie di un capostazione… si avverte la capacità di approfondire la psicologia dei personaggi il tema dell'amore e si avverte l'influenza di Svevo.  Poi abbiamo “Il garofano rosso”, pubblicato in 8 puntate sul Solaria tra il 1933-36. L'interesse di questo romanzo risiede nell'incontro tra la passione vitale dell’adolescenza e le contraddizioni politiche. Il romanzo, narrato in prima persona dal protagonista, si svolge principalmente a Siracusa (terra Natale dello scrittore), dove il giovane attraversa le esperienze formative dell'adolescenza come l'amicizia, l'amore, la passione politica. Il protagonista ha uno spiccato sapore autobiografico: l'ingenuo “fascismo di sinistra” del protagonista è lo stesso vissuto dallo scrittore nella sua giovinezza. A differenza dell'autore, proveniente da una famiglia di modestissime condizioni, il protagonista è un giovane liceale di agiata famiglia borghese.  Tuttavia, l'opera di maggiore risonanza fu “Conversazione in Sicilia”, dopo la rottura col fascismo è un periodo di abbandono della narrativa. Questo testo apparve in cinque puntate su “Letteratura” e fu sentito come una nuova forma di narrazione lirica. Il romanzo si presenta al lettore come il viaggio di un uomo che ritorna alla sua terra natia. L'identità del viaggiatore è incerta, ma è lo stesso autore ad avvisare che racconto non è autobiografico. È possibile leggere il romanzo sotto il segno di una chiave onirica, che è giustificherebbe il tono bizzarro inconsueto della narrazione; un'altra possibile interpretazione legge l'opera in chiave simbolica: Vittorini, per non incorrere nella censura del regime mussoliniano, avrebbe mascherato le sue reali intenzioni antifasciste dietro un romanzo i personaggi i dialoghi hanno significato che va oltre l'apparenza. Nell'opera è presente il motivo del viaggio, attraverso cui l'autore recupera una dimensione umana. Il Politecnico Il Politecnico fu una rivista di politica e cultura fondata da Elio Vittorini A Milano nel 1945, fino al 1947. Fu uno tra i più famosi settimanali che uscirono In Italia nell'immediato dopoguerra e nei primi anni della ricostruzione. Nel foglio vi era sempre spazio per molte questioni, che venivano affrontate polemicamente: articoli cronachistici, documentari, storico politici, letterari, con validi interventi sulla cultura di massa e sulle arti figurative: frequente era anche l'inserimento di materiali fotografici, immagini e disegni (da Cézanne a Picasso, Goja, Guttuso, Dalí). Vittorini scelse per il suo periodico lo stesso titolo della rivista ottocentesca di Carlo Cattaneo e delineò un programma analogo, molto antiaccademico, pragmatico e divulgativo pur senza cedere al "popolare". La rivista presentava articoli di fondo, spesso di Vittorini, articoli di politica, storia, economia, critica d'arte, filosofia. Ma questa rivista è anche un'occasione per aprirsi alle esperienze della cultura internazionale. Questa apertura lo spingeva cercare nuovi processi sociali in atto, e poi lo portò a porre la sua attenzione alla realtà industriale, fino ad abbandonare ogni nostalgia per gli aspetti popolari e contadini e cercare una cultura scientifica e tecnica. Pier Paolo Pasolini La tensione sperimentale di Pier Paolo Pasolini si riconosce non soltanto in una costante attenzione ai problemi linguistici, ma anche in un inesauribile confronto con il mondo: da una parte egli sente il richiamo di una purezza assoluta, di un'umanità povera e legata alle tradizioni contadine, dall'altra, per la sua esperienza di omosessuale, e vive il rapporto con la realtà sotto il segno dell’impurità e dello scandalo. Pasolini esordisce come poeta nel dialetto di Casarsa, luogo dei suoi soggiorni estivi, un dialetto del Friuli occidentale privo di qualsiasi tradizione letteraria.  Ne “Le ceneri di Gramsci”, pubblicato nel 1957, c'è un essenziale aspetto teatrale, quasi una volontà di esibizione: l'autore sembra voler tradurre in forma scenica anche i dati più laceranti e viscerali ed i più problematici elementi sentimentali ed intellettuali. Tra i vari componimenti ricordiamo “Il canto popolare”, chi è, identificando nel popolo un valore assoluto e vitale, vi riconosce l'incoscienza pronta a tradursi in coscienza. Le ceneri di Gramsci mette in scena un drammatico colloquio con l'urna funebre di Gramsci, in cui si esprime una disperata passione di essere nel mondo.  Un nuovo orizzonte nasce dalla sua appassionata immersione nella vita delle borgate della capitale, e ne è l'esempio il romanzo “Ragazzi di vita”: in un mondo sospeso, provvisorio e fatiscente, ai margini della vita cittadina, si svolgono esistenze giovanili, tra piccole avventure e altri teppisti ci e tentativi di soddisfare i bisogni più elementari. La voce del narratore si serve di un italiano assai schematico ed elementare, mentre personaggi parlano direttamente in un romanesco pieno di elementi spuri e carico di deformazioni. Nel romanzo manca un protagonista, ed esso si regge su una serie di personaggi, ridotti spesso a puri i nomi, intercambiabili tra loro, quasi come marionette, condannati tutti a un tragico destino, a cui vanno incontro con quasi totale incoscienza, salvo Riccetto, che sceglie il lavoro, integrandosi nella nuova società consumistica.  Immensa la febbrile attività degli ultimi anni di Pasolini si distingue il romanzo “Petrolio”, la cui edizione (1992) è stata estratta da un vastissimo insieme di appunti e di carte a cui egli aveva lavorato fino agli ultimi giorni. Quest'opera si presenta come una riscrittura di tante opere possibili, che intende risalire alle matrici del narrare occidentale, riprendendo lo schema dell'avventura di viaggio (sul modello dell'Odissea). Il viaggio moderno verso l'oriente, dove si conquista il nuovo vello d’oro, che è appunto il petrolio, ripete e distorce il viaggio mitico degli Argonauti, stravolge  “Il visconte dimezzato”: È la vicenda del visconte dimezzato Medardo di Terralba, diviso letteralmente in due dopo lo scontro con i turchi: da questa scissione sorgono due personaggi: il Buono e il Gramo, che rappresentano ciascuno un aspetto parziale dell'umanità, fino alla ricomposizione della persona di Medardo, che diventerà giusto governatore delle sue terre.  “Il barone rampante”: La storia è ambientata nel Settecento ed è narrata da Biagio, fratello minore del protagonista, Cosimo Piovasco di Rondò. Il giovane, rampollo di una famiglia nobile ligure di Ombrosa, all’età di dodici anni, in seguito a un litigio con i genitori per un piatto di lumache, si arrampica su un albero del giardino di casa dichiarando di non voler scendere da esso per il resto della vita. Spostandosi solo attraverso boschi e foreste e costruendosi a poco a poco una dimensione quotidiana anche sugli alberi. Lo stile di vita alternativo di Cosimo si traduce col tempo in un percorso di formazione e maturazione, e il romanzo si chiude allora con l'ultimo colpo di scena: anziano e provato dagli anni sugli alberi, Cosimo non si arrende e non scende a terra, rispettando fino all’ultimo la propria promessa. Al passaggio di una mongolfiera, si aggrappa alla cima penzolante dell'ancora e scompare all'orizzonte gettandosi in mare Il postmodernismo il concetto di post-moderno mostra come all'orizzonte attuale sia dominato da una comunicazione vuota, televisiva, informatica, pubblicitaria, basata sul riciclaggio, sulla ripetizione di elementi già elaborati. Il dominio assoluto delle immagini e delle registrazioni fa sì che non sia più possibile distinguere l'originale dalla copia. Artisti e movimenti artistici post-moderni non fanno altro che registrare l'esaurimento dell'avanguardia. Anche in Italia si è affermato negli ultimi decenni, sulla scia del modello americano, il dominio incontrastato delle forme della cultura di massa: la pubblicità, le formule tecniche legate all'uso di più diversi oggetti tecnologici, i residui del linguaggio amministrativo e burocratico hanno esercitato un ruolo essenziale in un processo di omogenizzazione della lingua in tutto il mondo. Andrea Zanzotto Nevroticamente fedele alle sue origini, radicato nella sua particolarissima provincia, questo poeta ha avuto la singolare capacità di confrontare questo suo orizzonte con gli infiniti linguaggi che durante il postmodernismo percorrevano il mondo.  La prima raccolta di Zanzotto, “Dietro il paesaggio”, in linea con le tendenze ermetiche, si attraversano paesaggi naturali, reali o fittizi, nei quali il poeta di cerca protezione, un rifugio materno e infantile: ma non trova una immediata identificazione, si limita piuttosto a guardarlo da una prospettiva laterale, e il titolo stesso mostra questo carattere lontano del paesaggio.  Con le “IX Ecloghe”, Zanzotto rompe i rapporti con la tradizione novecentesca: esse partono da un confronto con l'antica poesia pastorale, con numerosi riferimenti alla dimensione bucolica e all'identificazione della poesia con la ricerca di un paesaggio perfetto, con il fittizio splendore dell'arcadia letteraria. Ma sul paradiso dell’ecloga piovono tracce molteplici della modernità e le voci si intrecciano.  In “La beltà” il linguaggio diventa diretto protagonista della poesia: ci ritroviamo davanti a frammenti di linguaggi culturali e comunicativi contemporanei, in primo luogo quelli della televisione e della pubblicità, che qui incidono con i frammenti dell’inconscio. Paolo Volponi L'opera e l'esperienza di Paolo Volponi testimoniano un vigoroso rapporto con la realtà contemporanea, con i suoi aspetti essenziali e determinanti: ai paesaggi della sua città Natale, Urbino, egli associa un forte impegno costruttivo, con una visibile attenzione alle forme della modernità. Convinto nella possibilità di uno sviluppo democratico della civiltà industriale, vedeva nella tradizione di sinistra il riferimento più autentico di questa utopia razionale, ma più tardi si confronterà e prenderà atto della sconfitta che non solo la sinistra, ma anche la razionalità democratica e riformista hanno subito di fronte al trionfo del postmoderno, a un'espansione economica aggressiva e incontrollata.  Pubblicato nel 1962, “Memoriale” è legato strettamente all'attività dell'autore presso l'azienda Olivetti, che allora era molto attenta a seguire le difficoltà degli operai e a regolare i conflitti con l'intervento di medici, psicologi e assistenti sociali. Seguendo direttamente la vita della fabbrica, Volponi si trova a toccare da vicino allo scontro tra le aspirazioni degli individui e l'organizzazione aziendale: il romanzo segue il conflitto tra l'operaio che parla in prima persona e l'universo della fabbrica in cui è stato assunto e poi allontanato. Le visite a cui viene sottoposto dai medici della fabbrica rivelano la sua cattiva salute lo costringono a periodi di convalescenza di cura; la fabbrica, con le fasi di lavoro i periodi in cui ne è escluso, rappresenta per lui qualcosa di assoluto. La rappresentazione della vita di fabbrica si svolge dal punto di vista di questo personaggio solitario, dalla personalità alterata, pronto a vedere nemici dappertutto, che ha il desiderio di condurre una vita diversa e felice, rappresentata dalla fabbrica e dal lavoro.  Nel successivo romanzo “La macchina mondiale”, la voce narrante è quella di un contadino marchigiano, che, risalendo alle radici di un'antica Sapienza popolare, ha concepito un sistema pseudoscientifico, in cui il mondo è visto come una grande macchina, e gli uomini, anch'essi macchine, aspirano a perfezionamento attraverso il lavoro. Ma quest’utopia viene insidiata dal mondo che circonda il protagonista, dei vicini di casa che vedono nella sua utopia di sfuggire al dominio dell'infelicità e dell'ingiustizia una pazzia, e lo tormentano con varie persecuzioni, a quel protagonista si sottrarrà suicidandosi. Luigi Malerba La narrativa di Luigi Malerba è dominata da una spontanea disposizione e sperimentale: i romanzi di Malerba hanno come protagonisti personaggi folli e solitari, che riconoscono sé stessi e conoscono il mondo attraverso la menzogna e la beffa. L'unica strategia di svelamento dell'assurdità del mondo, l'unica possibilità di conoscenza adeguata in un universo che sembra sfuggire a qualsiasi chiave interpretativa è il comico.  “La scoperta dell’alfabeto”, apparso nel 1963, è il capolavoro d'esordio di Malerba e comprende ventidue racconti ambientati nelle terre parmensi dell'Appennino, che hanno dato origine allo scrittore: la culla della cultura contadina arcaica, che per secoli è rimasta immune a ogni rinnovamento e alla cultura e finalmente toccata e distrutto dalla civiltà dei consumatori. (da qui il titolo). Malerba però non canta la fine di questa società come la fine dell'idillio, anzi, è ben consapevole di ciò che rappresenta. Dietro le figure paradossali e caricaturali, quasi marionette che dipinge, si può effettivamente vedere una feroce lotta contro la fame e la fatica, la violenza dei rapporti interpersonali basati sulla necessità di sopravvivere, il dolore dell'esistenza di un ricordo molto lontano rinchiuso qui in storie di grande originalità. Il racconto eponimo non solo racchiude il senso dell'intero libro, ma dà anche il tuono a tutta la produzione di Malerba. Nessuno protagonisti il vecchio contadino Ambanelli e il figlio del padrone di undici anni. Ambanelli vuole imparare a leggere e a scrivere e il ragazzino li fa da maestro, insegnandogli in primo luogo l'alfabeto. Egli vuole procedere per ordine, dalla A alla Z, come hai imparato a scuola; Ambanelli vorrebbe invece sovvertire la successione meccanica e convenzionale e riscrivere a piacere l'ordine dell'alfabeto e del mondo. Questa rivoluzione genetica e alfabetica è stata per tutta la vita la meta innovativa e perturbante di Malerba.  Per quanto concerne “Le rose imperiali”, si tratta di un testo assolutamente atipico, sfuggente come è, si sottrae ad una coerente tematizzazione dei temi che percorrono questa operetta al tempo stesso lieve e leggera, ed intrisa di temi abissali, grondante sangue, esecuzioni sommarie e teste che rotolano praticamente ad ogni pagina. Con la sua capacità di mescolare con maestria stili e registri, Malerba propone ciò che è reale come fosse finzione e viceversa. Racconto storico e scorribande fantastiche vengono fusi in storie ad altissimo potenziale morale, portando il lettore in una Cina antica e fantastica, una Cina imperiale dominata da un potere che si mostra feroce e spesso terribilmente ottuso, un potere che scuote per la sua pervasività e la sua capacità di far saltare persino limiti e confini temporali, investendo e gettando inquietanti ombre sul presente. Pagina dopo pagina ci troviamo di fronte un imperatore che cerca la chiave per l’immortalità e che per questo esercita tutto il potere di cui dispone; un uomo che vuole farsi Dio e che quindi fa e disfa calendari e concezioni del cosmo, mette in dubbio teorie astronomiche ritenute fin lì addirittura sacre, obbliga gli scienziati di corte a presentare prove inconfutabili a favore della sfericità della terra, contravvenendo alla naturale credenza a proposito del suo esser piatta. Malerba si concentra sui sistemi di potere investigando nel passato per capire il presente: allocchi rivolto verso il passato si alterna quello dell'utopia futura, con ambientazioni posticipate di secoli e millenni, a tentare di ritrarre da lontano le ridicole miserie umane. “Le rose imperiali” presentano molto è finita con “Il sistema della potatura dei campi” immaginato da Calvino, in cui prevale l'aspetto topico del movimento, che in Malerba si identifica nella cinica efficienza del potere.  Il terzo volume di racconti si intitola “Dopo il pescecane”. Dopo l'ambientazione contadina de “La scoperta dell'alfabeto” e quella cinese delle “Rose imperiali”, Malerba sceglie quella borghese dell'Italia contemporanea. Con il ritratto dell'Italia industriale, politica, burocratica, televisiva, Malerba compie un brusco ritorno al proprio tempo e alla propria età anagrafica. Il “pescecane” del titolo rinvia i poteri assoluti dell'imperatore della raccolta precedente. Nel caso specifico non si tratta di poteri totali, tuttavia, nei nuovi tempi caratterizzati dal potere delle società industriali e finanziari, c'è ancora un padrone, Il ritratto perfetto del pescecane borghese. Alcuni argomenti sono in anticipo sui tempi: ad esempio le questioni ecologiche ambientali del racconto “Gli avvoltoi”, centrato sullo scandalo dei rifiuti ospedalieri che vengono lavorati e venduti come mangime per il pollame; oppure il tema della mafia, esplicato nel racconto “Il mafioso”, in cui uno scaltro avvocato penalista tenta ostinatamente di iscriversi alla mafia senza riuscirci; ho anche il tema dei rapporti familiari, come nel racconto “Il mostro”, in cui la protagonista è una donna di casa, inventrice di copiatissimo ricette, che subisce l'ira del marito, la quale accentua il senso di frustrazione umana e sociale. Lei sarebbe tentata dalla tragedia, dal suicidio spettacolare. Ma nell'ambito di una prudente etica borghese della finzione la donna di rata e tuttavia disponibile a più miti e realistici obiettivi, fino all'estremo di ottenere il divorzio; oppure il tema dello sfruttamento aziendale tecnologico, dell’individualismo e del mobbing, presente nel racconto “La risata”, in cui il protagonista e un caposervizio senza nessuno alle sue dipendenze, costretto a fare il lavoro da solo dalla mattina alla sera; o anche il ribaltamento delle tradizioni nel racconto “Cento scudi d’oro”, in cui la Lucia manzoniana è dotata di piena autonomia sessuale, che concede tranquillamente all’Innominato. Quelli di “Dopo il pescecane” sono racconti di un’Italia borghese degli anni 60 e 70, stretta tra il boom economico, l'esistenza della mafia, gli scandali politici e finanziari, il terrorismo, i diritti civili, romanzo esce nell’anno fatidico del Sessantotto, un momento in cui non solo si accende l’utopia rivoluzionaria dei giovani, ma anche gli esperimenti della neoavanguardia si fanno più radicali, proprio per reggere la concorrenza con la contestazione sociale e politica.  Nel 1966, vincitore del premio Campiello risulta il romanzo “Il serpente”, un libro anomalo. Si può dire di averne afferrato, almeno in parte, il significato soltanto quando, giunti all'ultima pagina, raggiungiamo la certezza di non aver acquisito nelle pagine precedenti neppure una certezza. È una storia che nega sé stessa, pian piano, e alla fine si dissolve: non può essere realmente assimilata, viscida e salterina com'è. Il serpente è un serpente che implacabilmente fagocita sé stesso. Tuttavia, ad un livello più superficiale, e ingannevole, dei fatti che accadono ci sono. Non mancano neppure colpi di scena, dialoghi ottimamente costruiti, e persino un po' di tradizionale “suspence” da romanzo giallo. Attraverso l’umorismo, l'autore scuote dalle fondamenta ogni “verità di fede”, ogni sistema di pensiero ritenuto immutabile e passivamente accettato in modo acritico. Un altro dato costante che si palesa in pressoché ogni periodo del romanzo è una decisa allergia per la logica, beffata spesso e più spesso non calcolata, gettata ai margini e sepolta dall'ammucchiarsi continuo di paralogismi, sofismi, giochi linguistici e non sensi. Il Gruppo 63, formatosi a Palermo appunto nel 1963, non è passato invano per lo scrittore. Tuttavia, Malerba mantiene una leggibilità che lo rende un caso quasi unico all'interno della schiera degli “sperimentalisti radicali”. Quanto alla trama, è relativamente semplice riassumerla per sommi capi. Il protagonista e narratore cerca in ogni modo di superare il malessere dì un'esistenza solitaria e la noia di un matrimonio infelice, iscrivendosi a un coro: «all'età di trentatré anni il Figlio dell'Architetto è morto sulla croce, io invece ho scoperto il canto che è un modo di esprimersi anche quello e la mia vita è cambiata». Ma, svanito il piacere iniziale di cantare in un gruppo, si sente insoddisfatto delle proprie doti vocali. Volendo, perciò, superarne i limiti, inventa il «canto mentale», il modo con cui far risuonare infinite volte dentro di sé, con la perfezione di un'esecuzione solo virtuale, le melodie più difficili. Entusiasta della scoperta, rinuncia a cantare in modo "tradizionale" e perciò anche a partecipare al coro: «Perché cantare in modo mediocre, perché zoppicare quando potevo correre e volare?». Il «canto mentale», incompreso dal mondo, diviene l'emblema delle modalità comunicative del protagonista che, lungo la narrazione, si scoprirà capace di ottenere, «con il pensiero», «risultati strabilianti», come, per esempio, indirizzare i propri sogni e chiamare a sé, con l’immaginazione, fatti e persone. Raccoglie ossessivamente francobolli e guarda da una prospettiva straniante e straniata i suoi giorni trascorrere. Nella palestra dove si riunisce il coro, il protagonista incontra Miriam, che diviene la sua amante. Nel descrivere il loro rapporto, frutto della sua fantasia onirica, indugia lungamente su scene impossibili e paradossali, quali il bacio prolungato per una notte intera, e «l'erotismo puro» ritmato su composizioni musicali. Presto, però, comincia a sospettare della donna e, preso dalla gelosia, la incalza con domande. Immagina, poi, il suo unico amico, l’odiato collezionista di marmi Baldasseroni intento a sedurla e, se arriva a pensarli insieme, è sopraffatto dal dolore: «Un serpente si è insinuato nel mio corpo, cammina, morde ora qui ora là. Mi fermo ad ascoltare il dolore, non riesco a localizzarlo». Costringe Miriam a fare una radiografia, alla ricerca dei «segni di tradimento. Corpuscoli, bacilli estranei, segni di una intrusione dall'esterno, materia vivente eterogenea». Offesa, la donna si allontana. Dopo un tempo indefinito, incontra casualmente la donna sul Lungotevere: la porta nel negozio, la avvelena con «un bicchiere d'acqua», e la mangia. «Io ero vivo, lì davanti a lei morta, che cosa avevo dunque lì davanti a me? Non era Miriam quella, era un po' di sostanza naturale, un po' di carne, un po' di ossa. Questo non si poteva chiamare Miriam perché Miriam era morta dopo aver bevuto un bicchiere d'acqua». Prova «pietà e meraviglia insieme» per l'accaduto, per essersi scoperto cannibale, ma tenta di consolarsi, pensando ai cannibali africani, che «disprezzano i bianchi perché non sono cannibali», Osservando la realtà contemporanea, fatta di omicidi efferati e di stranezze incomprensibili, giunge a concludere: «ci sono uomini ancora più strani», «sta' tranquillo c'è posto anche per te in questo mondo». Ossessionato dal ricordo di Miriam, crede di vederla ovunque, e di sentire la sua voce chiamarlo e invitarlo a raggiungerla nel mondo dei morti, un luogo freddo e tremendo. Segue la confessione a un commissario incapace di tener dietro alle ricostruzioni sghembe dell'assassino, che gli chiede quindi di scrivere la sua confessione: e da qui scaturisce il romanzo, che altro non è che la confessione del protagonista. Quando il romanzo si avvia alla conclusione, il protagonista vaga in un cimitero, con i resti di Miriam sottobraccio: incapace ormai di sopportare il peso della propria immaginazione e della propria percezione della realtà, desidera solo «restare fermo, immobile, in posizione orizzontale, con gli occhi chiusi, senza tirare il fiato, senza sentire voci e campanelli, senza parlare. Al buio». Il punto, però, è che questa altro non è che una delle infinite realtà, non dotata di maggior peso e consistenza rispetto ad altre mille possibili. È infatti prima negata l'esistenza di una ex moglie («Quando ho detto di esser stato sposato ho mentito»), poi quella del ragazzo all'origine della gelosia del protagonista («Quel tipo peloso non era mai esistito»), e alla fine persino l'esistenza della stessa narrazione («Adesso la storia è finita. Ma non so nemmeno se è proprio una storia»). Tutta la storia è invenzione di un mitomane che costruisce supposizioni, le nega, esterna i suoi propositi contraddittori e parla, parla incessantemente per sfuggire, forse, al silenzio che implacabilmente lo attende. Curiosi sono i brani in carattere corsivo a chiusura di ciascun capitolo, ma la loro posizione sembra essere piuttosto tra un capitolo e l'altro, tant'è che l'ultimo capitolo manca di corsivo. Sono brani brevi che non raggiungono la durata di una pagina, puntati su strani aneddoti, riflessioni pseudoscientifiche, annunci di pericoli inverosimili, che interrompono la narrazione già di per sé poco lineare. A tutta prima, parrebbero corpi estranei ai portatori di discontinuità e quindi di sconcerto per il lettore. Ma bisogna andare più a fondo, cercando di capire se questi corsi vi sono scritti dallo stesso soggetto del racconto oppure da un altro: la risposta non è semplice, perché lo stile non cambia e la paradossalità del contenuto è analoga al resto del testo, ma non vi compare nessun riferimento al personaggio protagonista o alle vicende. Una buona parte dei corsivi si rivolgono a un tuo esterno e hanno funzione, se non didascalica, illustrativa di un senso, oppure esortativa ha un comportamento di avvertita attenzione e di diffidenza. Pare dunque possibile vedere in questi brani un'apertura del soliloquio compiuta da una voce anonima e impersonale che, ampliando gli spunti del racconto oppure divagando di suo, si dirige verso il lettore con l'intento di tenerlo in allenamento durante le pose del racconto. Abbiamo a che fare con un personaggio non soltanto dedito al commercio di un genere superfluo, il francobollo, ma poco integrato nel suo stesso ruolo, visto che tratta con freddezza la clientela. Il suo sostentamento economico, proveniente da un affare fortunato, è un serbatoio di continuo sperpero; in questa riproduzione del capitale e dei valori sociali fuori dal sistema, si pone il soliloquio, fuori dalla rete degli scambi comunicativi. La sfiducia del protagonista verso il parlare comune della chiacchiera ha radici in un ricordo di guerra, scena che emerge due volte, con particolari variati ma identiche connotazioni: un uomo costretto dai bombardamenti in un rifugio buio insieme a stranieri di cui non comprende la lingua. Rifiutare la circolazione delle parole, motivo prossimo alla critica dell'ideologia del linguaggio delle avanguardie in quegli anni, comporta qui il ripiegamento verso il dialogo interiore. Lo stimolo del nuovo paradiso tecnologico avvertito da Malerba si mostra sul litorale (già deturpato dal catrame), dove lo svago festivo volge in una brutale concorrenza, come una “corrida” in cui qualcuno “muore schiacciato”: descrivendo la Roma marcia dell’Italia contemporanea. Simmetrie naturali  Malerba novelliere – Romano Luperini: Malerba Sceglie di rappresentare la società contemporanea più moderna e sviluppata, in cui personaggi ordiscono beffe e non a danno degli altri ma a danno proprio. A narrare è una voce monologante in prima persona che ha perduto i suoi tradizionali caratteri fisici e psicologici per configurarsi come un semplice punto di vista. In “Dopo il pescecane” ci sono due eccezioni: “Favoloso Andersen, in cui l'uso della terza persona è dovuto alla ripugnanza politica, e “Cento scudi d'oro”, dove la prima voce narrante viene conservata, ma a parlare non è un personaggio inventato inserito nei ruoli sociali e familiari del mondo contemporaneo, ma è la Lucia manzoniana, che vive nel mondo di oggi ed è dotata di una intraprendenza anche sessuale che la lontana dall' eroina dei promessi sposi. È l'unico caso di parodia nei due racconti, ma non in tutta la produzione di Malerba, perché ci sono anche parodie di Virgilio e di Dante (in Salto mortale) e il riferimento della conclusione dell'Odissea in “Italia per sempre”. In “Cento scudi d'oro” Lucia fugge dalla prigione dove era rinchiusa, entra nella camera dell’innominato e finisce per entrare nel suo letto: alla fine accetta cento scudi d'oro in cambio della sua prestazione eroica. Questa novella è molto interessante perché dimostra quanto malerba sia ancora lontano dal postmodernismo con cui sì avvicinerà dieci anni dopo con il suo romanzo storico “Il fuoco greco”. Il racconto Cento scudi d'oro, invece, riconosce i principi cari alle avanguardie e lontani dal postmodernismo: il principio di contraddizione e il principio di autorità.  Domande, giri a vuoto e ritorni: Salto mortale - Silvana Cirillo: Dalle prime 15 righe del romanzo, il lettore è messo in guardia su ciò che succederà dopo. Il procedere attraverso ripetizioni, un parlato diretto libero a due voci, frasi in maiuscolo, l'incrocio di lingue diverse, fa presagire dalla lettura chissà quali sorprese. Salto mortale sembra appartenere proprio al filone della narrativa poliziesca e si apre con la notizia di un delitto. Poco dopo compare Giuseppe detto Giuseppe che racconta, incespicando tra parole e ricordi, la scoperta di un cadavere in mezzo al Prato, dando il via ad una serie di indagini private in concorrenza con la polizia. Si viene poi a scoprire che tutti i personaggi maschili portano lo stesso nome, Giuseppe detto Giuseppe e mammano che si trovano indizi, sono tutti interscambiabili tra di loro. Il giallo resta irrisolto: ma allora si può parlare di giallo? In realtà le regole del genere giallo sono state contraddette già dalle prime pagine della narrazione, scompigliate da giochi imprevedibili e contraddittori di parole. Non è l'opera che interessa Malerba, ma l’operare, uno sperimentare aperto. La narrazione procede dunque a “salti” e decreta la morte di qualunque verità, in cui il soggetto deve fare salti mortali per non essere sopraffatto dalla società; non per niente il romanzo si chiama Salto mortale. Giuseppe detto Giuseppe è uno, è doppio, è tanti: tutti e nessuno. È uno che con un piede va avanti e con l'altro scivola indietro, ma intanto, anche con questo meccanismo, procede e va avanti. Non trova mai una risposta soddisfacente alle 1000 domande che si pone, ma soltanto micro-risposte paradossali. Non solo il monologo nevrotico e martellante che si dipana per tutto il libro, ma un complesso di voci tra interlocutori infiniti e tutti con lo stesso nome. Tutto ciò disorienta anche il lettore, e questo disorientamento è acuito dalla mancanza di punteggiatura che indica il passaggio da un interlocutore all'altro. Senza pretese di logica, la stupidità è il vero motore della narrazione, in quanto Giuseppe ha detto Giuseppe “fa un ragionamento elementare e dice” partendo da questa base, Giuseppe mette in moto un cervello che accumula e associa: allora Giuseppe, che è tutti i Giuseppe del mondo, salta, rimbalza, nega e contraddice, perché in fondo gli manca un centro, ovvero il luogo per antonomasia dove si raccordano fatti, tempi, storia e significati. Dunque, se i vari Giuseppe non sono altro che comparse sul palcoscenico del romanzo, il vero protagonista che
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