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Giuseppe Parini e Vittorio Alfieri: vita e opere., Dispense di Italiano

Vita e opere di Giuseppe Parini e Vittorio Alfieri: Opere politiche, Della Tirannide, Vivere e morire sotto la tirannide, Dalla virtù sconosciuta, Del Principe e delle Lettere, Satire e Commedie, Poetica Tragica, Titanismo e Saul; Le odi, La salubrità dell'aria, Il giorno, Il giovin signore inizia la sua giornata, La favola del piacere, La vegine cuccia, Ultime odi e La musa.

Tipologia: Dispense

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Caricato il 13/05/2021

giosimigliaccio
giosimigliaccio 🇮🇹

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Scarica Giuseppe Parini e Vittorio Alfieri: vita e opere. e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! VITTORIO ALFIERI Nasce ad Asti nel 1749 da una famiglia della ricca nobiltà terriera. Nel 1758 studia presso la Reale Accademia di Torino dove è educato in stampo militaresco e si confronta con un ambiente culturale arretrato. Terminati gli studi, dal 1767 al 1772 compie il Grand Tour per l’Europa, tuttavia questi sono anni tormentati in cui Alfieri necessita di trovare uno scopo sublime che dia un senso alla sua esistenza. Ritornato a Torino, rifiuta le attività politico-militari proprie della nobiltà per condurre ritirarsi a leggere gli illuministi. Nel 1772 forma una società letteraria con alcuni amici e compone delle opere di tono satirico sui difetti della nobiltà. Esordisce drammaturgo nel 1775 esibendo al teatro Carignano di Torino una tragedia intitolata “Antonio e Cleopatra”. Il successo lo convince a seguire la vocazione di poeta tragico e, nello stesso anno, compone il Filippo e la Polinice. Alfieri, però, si accorge di non possedere un’adeguata cultura, così inizia a studiare i classici latini e italiani, applicandosi maggiormente allo studio dell’italiano. Proprio per imparare la lingue e “spiemontizzarsi”, si trasferisce in Toscana dove conosce Louise Stolberg, Contessa di Albany, con cui stringe un legame affettivo. L’anno successivo rinnega i doveri dovuti al Re di Sardegna rinunciando ai suoi titoli nobiliari, donando tutto alla sorella in cambio di una rendita vitalizia. Tra il 1781 e 1785 vive tra Roma e Alsazia con la Contessa che nel frattempo aveva ottenuto la separazione dal marito. In seguito si trasferiscono a Parigi dove stampa con i prestigiosi fratelli Didot un’edizione completa delle sue opere. Nel 1789 giudica positivamente lo scoppio della Rivoluzione Francese ma presto si accorge che dietro al capovolgimento dell’ordine sociale si cela la tirannia borghese. Fugge da Parigi e si ristabilisce a Firenze. Vive i suoi ultimi anni in solitudine, provando odio sempre più profondo verso i francesi che con le campagne Napoleoniche si sono impadroniti dell’Italia. Muore a Firenze nel 1803. OPERE POLITICHE DELLA TIRANNIDE È un trattato politico composto nel 1777 in cui l’autore condanna il dispotismo illuminato e riformatore, e si accanisce contro le componenti della società che lo sostengono (nobiltà, clero ed esercito). Alfieri suggerisce al “libero uomo” di insorgere contro il tiranno e guadagnare la vera libertà. VIVERE E MORIRE SOTTO LA TIRANNIDE L’autore prende in esempio l’antico regime settecentesco per spiegare che la tirannide, per quanto inattaccabile sia, deve essere minacciata dall’uomo libero, il quale deve cercare al minimo di non farsi compromettere da essa e astenervisi da ogni partecipazione. Alfieri, poi, si mostra sprezzante verso chi, invece, si adatta alla tirannide. Egli spiega come l’istintiva ricerca della purezza deve portare l’uomo libero a scontrarsi con il tiranno anche a costo della morte. Infatti, proprio nell’accettazione della morte l’uomo libero trova il senso di grandezza. DALLA VIRTU’ SCONOSCIUTA È un dialogo pubblicato nel 1786 dove Alfieri consiglia all’uomo libero di rinunciare ad ogni atto eroico per ritirarsi in una sdegnosa solitudine. Quest’opera è esempio di come la voglia di lottare di Alfieri sia sfumata nel corso degli anni. DEL PRINCIPE E DELLE LETTERE Terminato nel 1786, Alfieri analizza il rapporto tra l’intellettuale e il potere assolutistico monarchico. Il dovere dell’uomo libero, spiega l’autore, è l’abbandonare l’impegno politico per dedicarsi esclusivamente alla poesia, e rivendicare indipendenza e distacco dalla realtà. LIBERTA’ DELL’INTELLETTUALE E CONDIZIONAMENTO ECONOMICO Si affronta il problema della liberta dell’intellettuale da condizionamenti esterni come quelli imposti dal potere, oppure quelli derivanti dalla necessità di guadagnarsi da vivere. Alfieri ripugna la figura dell’intellettuale cortigiano, costretto a sottostare al signore, come Virgilio e Tasso che potevano diventare autori migliori se solo fossero stati liberi. Lo scrittore ideale, dunque, è quello che opera sciolta da ogni secondo fine. LE SATIRE E LE COMMEDIE Nella produzione satirica, Alfieri affronta temi politici a anti-illuministici. Più volte ribadisce la supremazia della classe nobiliare, seppur ridotta all’ozio e la frivolezza, contro la neo classe borghese. Per quanto riguarda la critica illuministica, Alfieri difende ad oltranza la religione che ha un importante ruolo consolatorio nella vita dell’uomo. Negli ultimi anni di vita, Alfieri scrive quattro commedie politiche in cui mette a nudo le autentiche motivazioni materiali dell’agire umano che si celano dietro generosità. Le commedie diventano una satira allegorica delle varie forme di governo (L’uno, I pochi, I troppi L’Antidoto) a cui si contrappone proprio l’antidoto, ovvero un governo misto che comprenda le tre precedenti. Tuttavia, lo scrittore relega l’elaborazione delle leggi solo all’aristocrazia. LA POETICA TRAGICA Il modo che Alfieri trova più congeniale per esprimere il suo mondo interiore è la tragedia. Egli muove una polemica nei confronti della tragedia classica francese a cui rimprovera la prolissità, il patetismo sentimentale e il carattere romanzesco. Alfieri, invece, elabora un nuovo stile tragico caratterizzato da un ritmo incalzante, pochi personaggi principali, con uno scorrimento conciso, spezzato, antimusicale e rapido, capace di esprimere grande intensità drammatica. Secondo Alfieri, alla base della composizione poetica ci deve essere un veemente slancio passionale che si deve manifestare nel dinamismo dell’azione e nella tensione incalzante, e un’attenta elaborazione stilistica che si basa sul rispetto delle norme classiche. Le tragedie alferiane, infatti, osservano le tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione sottoposto ad un attento lavoro di lima, inteso come controllo razionale della fantasia creativa. Alfieri disprezza il pubblico borghese e il teatro contemporaneo frivolo e volgare, così decide di rappresentare le proprie tragedie in gruppi di amici, persone colte e aristocratici. Il suo obiettivo Nel 1799 gli austriaci tornano a Milano e prima di morire Parini scrive un sonetto (Predaro e i Filistei l’Arca di Dio) in cui loda Dio per aver restituito Milano agli austriaci ma ammonisce quelli di non compiere nuovi scempi sullo stampo francese. I RAPPORTI CON L’ILLUMINISMO Già dalla biografia, emerge la figura di intellettuale impegnato nella battaglia civile. Si può dire che in linea di massima, Parini è favorevole all’illuminismo e alle sue idee (soprattutto le posizioni ostili verso ogni forma di fanatismo religioso). D’altro canto però, respinge anche le posizioni antireligiose dell’illuminismo francese. Si parla quindi di idee equilibrate alle quali si connette un altro aspetto tipicamente illuministico, ovvero l’amore per l’umanità in quanto tale. LE ODI L’ode è un genere lirico che riprende modelli della poesia greca e latina che assumeva contenuti elevati e toni solenni. Parini era solito leggere i suoi componimenti poetici durante le sedute dell’Accademia dei Trasformati, dopo le sue odi sono state raccolte prima nelle Rime degli Arcadi e poi nelle Opere di Giuseppe Parini. Le odi possono essere divise in tre gruppi: - Dal 1756 a 1769, sono composti i testi legati alla battaglia illuministica. - Dal 1777, Parini compone La laurea e Le nozze. - Dal 1783, viene composto un ultimo gruppo di odi ispirate al classicismo. LA SALUBRITA’ DELL’ARIA Il testo è costruito sull’opposizione tra campagna e città. Si alternano, infatti, immagini positive della prima e negative della seconda. Parini elogia la campagna, non più arcadica e dunque generica, bensì una campagna concreta studiata con lo spirito illuminista. La negtività dell’ambiente cittadino si compendia di dati concreti, fisici: le acque stagnanti delle risaie, il fango fetido, gli effetti nocivi che ne derivano sulla salute dei coltivatori che sono pallidi e languenti. IL GIORNO È un poema in endecasillabi sciolti che mira a rappresentare satiricamente l’aristocrazia del tempo attraverso la descrizione tipo della giornata di un giovin signore della nobiltà milanese. Il progetto doveva articolarsi di tre parti: il Mattino, il Mezzogiorno e la Sera. Tuttavia, l’ultima parte non viene portata a termine e viene sdoppiata dallo stesso Parini in Vespro e Notte. Nel Mattino il nobile viene colto nel momento in cui si corica, all’alba, in seguito ad una notta passata a bighellonare. Vengono quindi descritti il risveglio e l’uscita con la dama. Viene espresso così il fenomeno del cicibismo per cui ogni donna aveva un cavalier servente che l’accompagnasse in luogo del marito e viceversa. Questo rapporto però finiva in adulterio e proprio il costume sociale serviva a legittimarlo. Durante il pranzo, si intrecciano conversazioni di argomenti vari tra cui anche temi filosofici. Infine, la coppia si reca al corso, cioè al passeggio delle carrozze dove si ritrovava la nobiltà cittadina. Nella descrizione della giornata, si inseriscono altre prospettive. Alla nobiltà rammollita contemporanea, Parini contrappone la nobiltà rude del passato pronta a combattere per i propri concittadini e lungi dall’adagiarsi nelle mollezze. Così Parini celebra la nobiltà guerriera. Nel presente stesso si apre un altro piano di rappresentazione: quello delle classi popolari che, con la sua vita operosa e ispirata ai valori della vita, si contrappone anch’essa alla nobiltà. L’inserzione di questi due piani seve a rompere la continuità di una rappresentazione soffocante dell’aristocrazia. Al medesimo fine, serve l’inserimento delle cosiddette favole, ossia brevi racconti di carattere mitologico che illustrano le origini di certi costumi sociali. Nel Vespro il precettore accompagna il giovin signore e la sua dama, dopo il corso, in visita ad un amico malato dove essi si limitano a lasciare il biglietto da visita; e ad un amica cha ha avuto un attacco di nervi, suscitando dei pettegolezzi. Nella Notte, i due amanti si recano ad un ricevimento serale. Il narratore rassegna i vari personaggi che popolano il salone, indugiando particolarmente su una serie di imbecilli e sulle loro sciocche manie per descrivere infine i tavoli da gioco e il divertimento di quei personaggi. IL GIOVIN SIGNORE INIZIA LA SUA GIORNATA Nel proemio, il poeta si presenta come un amabile precettore che vuole insegnare qualcosa all’aristocratico per riempire i giorni di oziosità passati alle case gioco. Questo preambolo intende colpire la corruzione e l’inutilità della classe aristocratica attraverso l’ironia pariniana che si basa sull’antifrasi, ossia l’affermare il contrario di ciò che si vuol far intendere. Dopo il proemio entra in scena il giovin signore dall’aspetto trasandato dopo una notte passata a divertirsi e una mattinata trascorsa a dormire. Parini utilizza una contrapposizione tra la descrizione del risveglio del giovin signore ed il risveglio di contadini e artigiani che appaiono portatori di valori positivi che servono la società, al contrario della figura del giovin signore che è ozioso e inutile alla società. LA FAVOLA DEL PIACERE La fiaba affronta il tema della diseguaglianza degli uomini. La causa della distinzione fra classi sociali è indicata in un dato biologico: la maggiore o minore sensibilità degli organi del senso degli uomini, ossia il fatto che per natura alcuni siano più o meno dotati di altri in un campo; mentre in età remota non vi era distinzione in classi e tutti gli uomini erano soggetti solo al bisogno, con l’arrivo del Piacere sulla terra, coloro che avevano organi più sensibili furono in grado di provare i suoi stimoli e di gustare le cose belle e piacevoli dando origine alla nobiltà. Coloro con gli organi più ottusi, continuarono a obbedire solo al bisogno, dando origine alla plebe. LA VERGINE CUCCIA La narrazione viene condotta dal punto di vista aristocratico. La Dama ricorda il giorno in cui un servo, morso da una cagnolina osò darle un calcio. Ai guaiti della cagnolina fecero accorrere tutta la servitù che è spaventata dalle conseguenze di tale azione. La Dama, dopo essere svenuta chiama la cagnolina che si rifugia nel suo grembo e licenzia seduta stante il servo che va a mendicare per strada con tutta la sua famiglia. Nella prospettiva della dama il fatto viene presentato con una smaccata simpatia per la cagnetta e una totale incomprensione verso l’uomo. La cagnetta viene così quasi divinizzata, richiamando le Grazie mitologiche. LE ULTIME ODI Nelle ultime odi, il poeta non affronta più temi civili e sociali bensì si concentra sull’educazione dell’uomo in generale, di tutti i tempi e di tutti i luoghi. ALLA MUSA L’ode è composta per il marchese Febo d’Adda, che era allievo del poeta ed era poeta egli stesso. Il giovane, sposato da poco e prossimo a diventare padre, stava trascurando la poesia par la famiglia. Parini lo invita a conciliare i due affetti che non sono tra loro contrastanti, e coglie l’occasione per esprimere la propria concezione di poesia. Nonostante la maturità, la poesia di Parini conserva una funzione morale ma la sua efficacia è più rivolta verso aspetti universali. L’ode diviene così un’esaltazione del valore della poesia, intesa come l’attività più alta e nobile dell’uomo.
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