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Giustizia amministrativa, Dispense di Giustizia Amministrativa

Appunti delle lezioni della Professoressa Ramajoli, integrati con il manuale del Professor Clarich "manuale di giustizia amministrativa" (edizione del 2021). Queste dispense sono sostitutive del libro e bastano per l'esame. Voto finale: 27/30

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 14/01/2022

ali_f0
ali_f0 🇮🇹

4.4

(41)

31 documenti

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Scarica Giustizia amministrativa e più Dispense in PDF di Giustizia Amministrativa solo su Docsity! GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA EVOLUZIONE STORICA Dalle origini al Codice del processo amministrativo La giustizia amministrativa, e in particolare il suo processo, è fondamentale nella vita di tutti i cittadini in quanto onnipresente, anche se, in presenza di due fattori (fumus boni iuris e periculum in mora), il giudice può eventualmente decidere di non applicare una determinata legge nei confronti del soggetto richiedente (= sospensione); in questo caso, sarà allora possibile impugnare la decisione dinanzi al Consiglio di Stato (ex. richiesta di sospensione del DPCM disciplinante il c.d. green pass). Lo studio della giustizia amministrativa prevede 3 livelli di attenzione: 1. Rilevanza delle ragioni storiche = intesa come la cultura e l’evoluzione del modo di pensare di un determinato istituto (ex. rapporto fra cittadino ed istituzione). 2. Processo amministrativo = è una disciplina che in Italia, nel 2010, è stata codificata. 3. Rilevanza delle ragioni istituzionali = il processo amministrativo integra una relazione continua fra cittadino ed istituzione, motivo per il quale vi sono molte regole che tutelano il privato (spesso l’istituzione prevale sul singolo). I caratteri fondamentali della giustizia amministrativa sono: a. Rapporto tra diritto amministrativo sostanziale e giustizia amministrativa = esiste un ordine logico che prevede la precedenza delle regole rispetto all’azione vera e propria 3 chi preserva l’integrità delle regole è colui che le identifica; infatti, il ricorso al giudice amministrativo è un processo attraverso il quale l’amministrazione deve attenersi ad ulteriori regole. b. Profilo di ordine costituzionale = si tratta di una dimensione che richiama i principi su cui si regge la nostra Società, perché aiuta a definire il rapporto tra una istituzione pubblica e il cittadino nel tempo > l’importanza dell’amministrazione aiuta a definire due concezioni fondamentali: è logico ammettere una giustizia amministrativa intesa come ridotta perché l’obiettivo fondamentale dev’essere quello di salvaguardare l’amministrazione stessa; la giustizia amministrativa dev’essere rafforzata, cioè in grado di attuare meglio il diritto sostanziale, in virtù del fatto che essendo pubblica, dev’essere sempre rispettosa delle regole. c. Profilo dell’identificazione di un organo che sia deputato ad assicurare la giustizia nei confronti dell’amministrazione = la giustizia amministrativa esiste già dalla Rivoluzione Francese, seppur in chiave diversa. La giustizia amministrativa è data un insieme di mezzi giurisdizionali (= complesso di azioni che un soggetto può far valere dinanzi ad un giudice) e non giurisdizionali (= elargiti da PA e che si articolano in ricorsi gerarchici e ricorsi in opposizione, per i quali ci si rivolge allo stesso apparato che ha emesso quel provvedimento impugnato; infine, vi sono i ricorsi straordinari che sono rivolti al capo di Stato) esperibili dai privati (singoli e multinazionali) per la tutela dei propri interessi legittimi e diritti soggettivi nei rapporti con le PA (sono casi tipizzati); in realtà, anche le PA possono esperire tali strumenti nei confronti di altre PA qualora vi siano dei conflitti di interpretazione (ex. tra Stato e regione). Il sistema della giustizia amministrativa va anzitutto collocato nel contesto dello Stato di diritto, il quale si regge su alcuni elementi strutturali: a. Trasferimento della titolarità della sovranità dal re ad un parlamento eletto da un corpo elettorale. b. Principio della tendenziale separazione dei poteri, necessaria per rompere il monopolio del potere in capo al sovrano assoluto, unita alla previsione di un sistema di pesi e contrappesi che sono volti ad evitare abusi a danno dei cittadini, per i quali le costituzioni riconoscono e garantiscono alcuni diritti fondamentali. c. Inserimento nelle costituzioni di riserve di legge che escludono o limitano il potere normativo del governo. d. Possibilità, per il cittadino, di ottenere la tutela delle proprie ragioni nei confronti della PA innanzi ad un giudice imparziale ed indipendente dal potere esecutivo. Concezione oggettiva e soggettiva della tutela Mario Nigro ha definito, nel 2002, il processo amministrativo come una parentesi (dovuta alla separazione dei poteri dello Stato) tra l’attività amministrativa precedente e quella successiva al processo stesso, ma vi è anche una sorta di inversione poiché nell’800 (nascita della giustizia amministrativa) il legislatore ha introdotto un mezzo di tutela: l’azione di annullamento dei provvedimenti legislativi illegittimi, e solo dopo è nata la situazione giuridica soggettiva oggetto della tutela stessa (= prima il rimedio e poi l’oggetto). Il giudice, dunque, è speciale per 2 motivi: a. Motivo tecnico = il giudice deve avere una specializzazione in questo ambito. b. Motivo politico-ideologico = la giustizia amministrativa è legata allo Stato di diritto, motivo per il quale fondamentale è il principio di legalità, la garanzia della tutela delle situazioni soggettive dei privati nei confronti della PA ed il principio della separazione dei poteri dello Stato; inoltre, con il tempo si è affermata anche l’ideologia dello Stato amministrativo (= Stato in cui le PA sono sottoposte ad un regime particolare: esercitano poteri esorbitanti di tipo autoritativo) > la tutela nei confronti della PA va organizzata in modo da garantire l’interesse del privato e quello della generalità dei soggetti. A livello giuridico vi sono poi 2 tipologie di sistemi: - Sistemi monistici = prevalenza di un ordine giurisdizionale, cioè quello giudice ordinario o quello amministrativo. - Sistemi dualistici = c.d. sistemi del contenzioso amministrativo caratterizzati da giudici distinti, ma non estranei alla PA, con una competenza generale (ex. Italia) 3 qualora il privato faccia valere un diritto soggettivo nei confronti della PA, la giurisdizione spetta al giudice civile ordinario; invece, se il privato lamenta la lesione di un interesse legittimo, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo (TAR e Consiglio di Stato). > Queste due tipologie di sistemi cercano di risolvere il medesimo problema: come tutelare la garanzia del privato e come rendere efficiente la PA, garantendo anche l’interesse della generalità dei consociati. Le fonti normative e il contenzioso amministrativo Nel 1865 l’Italia viene unificata, e con essa anche la politica, grazie anche all’unificazione giuridica; infatti, fondamentale fu la 1.2248/1865 (tutt'ora vigente) che, nell’allegato E, vennero introdotte 2 novità strettamente intersecate: a. Abolizione dei tribunali ordinari del contenzioso amministrativo (una parte del contenzioso continua a rimanere nella giurisdizione del tribunale speciale amministrativo, cioè quello L’art.1CPA afferma che la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo (= comprende i principi del diritto dell’UE all’art.47 e quelli della CEDU, nella quale si afferma che qualsiasi legislatore nazionale deve rispettare i vincoli che derivano dagli obblighi internazionali); in questo contesto, l’art.6par.1CEDU afferma che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente ed imparziale, costituito dalla legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (c.d. diritto ad un processo equo) > quest’ultimo principio può essere soddisfatto non solo da organi giurisdizionali in senso proprio, ma anche da autorità amministrative dotate di caratteristiche di indipendenza e che decidono i casi sulla base di procedure che garantiscano un contraddittorio pieno. In ogni caso, l'ordinamento europeo riconosce il principio di autonomia processuale degli Stati membri; infatti, secondo la stessa spetta agli Stati membri stabilire le regole procedurali dei ricorsi innanzi ai giudici nazionali, purché siano rispettati i 2 principi: il principio di equivalenza (= peri diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione non devono essere previste delle modalità e delle condizioni meno favorev li quelle introdotte per i diritti derivanti dagli ordinamenti interni nazionali) e il principio di effettività della tutela. Sentenza 39343/2003, CEDU, sez. Grande Chambre > contenzioso pubblicistico in merito alla costruzione di una linea ferroviaria, la cui amministrazione ne stabilisce il percorso dopo aver sentito il Consiglio di Stato che esperisce un parere sulla procedura da seguire; alcuni cittadini, tuttavia, impugnano il provvedimento che stabilisce i territori, lamentando la mancanza di indipendenza ed imparzialità del Consiglio di Stato e la decisione giunge così dinanzi alla CEDU per verificare se l’art.6 sia stato violato. Nel caso in esame, 3 membri del collegio decidente avevano preso parte alla fase consultiva, ma il Governo olandese (parte resistente) afferma che il Consiglio aveva fornito un parere solo tecnico e dunque il provvedimento determinante il percorso non era oggetto del parere (= la semplice circostanza che in capo ad un organo vi siano funzioni consultive e giurisdizionali non inficia l’indipendenza/imparzialità dell’organo stesso) + la CEDU si esprime in merito all’indipendenza e all’imparzialità per capire i contorni: 1. Caratteri d’indipendenza = sono diversi: criteri di nomina; durata dell’organo stesso; garanzie avverso le pressioni che possono essere effettuate; apparenza (esterna) d’indipendenza dell’organo. 2. Caratteri dell’imparzialità = vengono individuate 2 diverse tipologie: imparzialità oggettiva (= devono esserci, nell'ordinamento, garanzie sufficienti per escludere il dubbio di parzialità) ed imparzialità soggettiva (= non vi devono essere pregiudizi di carattere personale). La Corte decide allora che tra il parere e il provvedimento non vi sono legami (= non è la stessa decisione) e quindi ritiene non giustificati i timori relativi alla composizione del collegio 3 è sufficiente che l’indipendenza ed imparzialità siano garantiti da meccanismi che assicurano la diversità delle persone fisiche cui è affidata la decisione sul medesimo atto. L’art.47 della Carta di Nizza afferma che ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto ad un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice nel rispetto delle condizioni previste dall’articolo (c.d. diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale), cioè che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente ed imparziale, precostituito per legge > la Carta di Nizza ha lo stesso valore giuridico di un trattato, nonostante non lo sia, e questo articolo è molto simile all’art.6CEDU, anche se ha introdotto una tutela ante causam e ha riconosciuto il principio dell’autonomia procedimentale degli Stati membri (= non fornisce delle indicazioni su quale modello adottare), introducendo il principio di effettività (= garantire che le norme dell’UE siano osservate dagli Stati membri) e quello di equivalenza (= i diritti conferiti dall’ordinamento europeo non devono essere tutelati in maniera più sfavorevole rispetto ai diritti che riconoscono gli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati membri + devono essere garantiti in maniera equivalente). In questo contesto, fondamentale è che vi sia un c.d. dialogo verticale fra i giudici nazionali degli Stati membri e quelli europei, il cui “scambio” può essere ascendente (= consente alle Corti europee di individuare e recepire i principi giuridici che derivano dalle tradizioni dei singoli ordinamenti giuridici nazionali) o discendente (= consente alle Corti europee di influenzare i diritti nazionali e di armonizzare l’applicazione da parte dei giudici nazionali del diritto europeo) e particolare rilevanza assume l’art.267TFUE in merito al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’UE, la quale si pronuncia in modo vincolante sul significato da attribuire alle norme dell’Unione. I principi Costituzionali Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, espressamente previsto dall’art.1 e 7CPA secondo cui è realizzato attraverso la concentrazione, davanti al giudice amministrativo, di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e nell’ambito della giurisdizione esclusiva dei diritti soggettivi, è possibile ricavarlo anche dall’art.24 e 113Cost.: - Art.24Cost. = tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. - Art.113Cost. = contro gli atti della PA è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa (co.1; l’attività della PA è sindacabile); tuttavia, gli atti politici non sono sindacabili (art.7CPA), nonostante siano atti della PA perché difficilmente motivabili per ragioni annesse alla legalità, emanati dal Governo nell’esercizio di funzioni di rango costituzionale. L’art.2CPA (c.d. giusto processo) afferma che il processo amministrativo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo ex. art.111c0.1Cost. (co.1); il co.2 afferma, inoltre, che il giudice amministrativo e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo. La Costituzione contiene poi delle disposizioni più precise volte a definire l’ambito della giurisdizione ordinaria e amministrativa e i rapporti tra esse: a. Giurisdizione amministrativa = l’art.103co.1 stabilisce che il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della PA degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi + il giudice amministrativo è quel giudice naturale degli interessi legittimi e quello naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica. Il co.3 afferma poi che è la legge a determinare quali organi di giurisdizione possano annullare gli atti della PA. b. Giurisdizione ordinaria = il giudice civile va considerato come giudice naturale dei diritti soggettivi. La Costituzione regola anche alcuni aspetti organizzativi della giustizia amministrativa: a. Art.100co.1 = l’articolo definisce il Consiglio di Stato come organo di consulenza giuridico- amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione ed è annoverato tra gli organi ausiliari del governo, confermando così la duplicità di funzioni assunte dallo stesso. b. Art.125co.2 = l’articolo prevede che in ciascuna regione siano istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado (TAR), secondo l’ordinamento stabilito dalla legge della Repubblica, confermando così e perfezionando il principio del doppio grado di giudizio, il quale è costituzionalmente garantito soltanto nei confronti delle pronunce degli organi di giustizia amministrativa di primo grado, ma non esclude che legislatore ordinario possa prevedere ipotesi di competenza in unico grado attribuito al Consiglio di Stato. Inoltre, il co.3 afferma che la legge assicura l'indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti e dei loro componenti del governo, estendendo tale principio a tutti i giudici delle giurisdizioni speciali. I bisogni di tutela e le situazioni giuridiche soggettive Il diritto processuale e i suoi meccanismi più o meno complessi hanno il carattere della strumentalità rispetto al diritto sostanziale, in quanto sono diretti a garantire che la norma sostanziale sia attuata anche nel caso di mancata cooperazione spontanea da parte di chi vi è tenuto; pertanto, l’attività giurisdizionale ha la precisa funzione di intervenire laddove la normativa sostanziale entra in crisi e il processo opera per così dire in seconda battuta a sussidio e ausilio del diritto sostanziale (ex. mancato rilascio di un immobile una volta scaduto il contratto di locazione) + il complesso delle regole processuali deve essere tale da garantire una tutela piena ed effettiva delle ragioni della parte vittoriosa, senza lacune di sorta; inoltre, il diritto processuale è autonomo dal diritto sostanziale, nel senso che ha regole e principi che disciplinano un fascio di rapporti e che non dipendono dal regime posto dalle norme sostanziali relative alle situazioni giuridiche fatte valere in giudizio. In questo contesto si può affermare che il diritto amministrativo si differenzia da quello civile, che è una visione essenzialmente retrospettiva, perché interviene su situazioni di regola ormai cristallizzate, ponendo la regola del caso singolo e senza condizionare futuri comportamenti delle parti; inoltre, il processo amministrativo ha una visione prospettica, in quanto indirizza la futura attività dell’amministrazione che riprende corso in base al principio della doverosità dell’esercizio dei poteri che deve svolgersi all’interno dei limiti tracciati dal giudicato. I bisog tutela I principali bisogni di tutela dei soggetti privati nei rapporti con l’amministrazione e gli strumenti per soddisfarli si distinguono in due tipi di relazioni: quelle regolate da norme di diritto privato (= involgono situazioni giuridiche di diritto soggettivo che rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario e presentano gli stessi problemi che possono sorgere nei rapporti tra soggetti privati, ex. il conducente di un automezzo militare provoca un incidente stradale e il proprietario privato del veicolo danneggiato ha necessità di veder ristorato il danno subito chiedendo allo Stato il risarcimento in tema di responsabilità extracontrattuale ex. art.2043) e quelle regolate da norme di diritto pubblico (= involgono situazioni giuridiche di interesse legittimo che rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo, ex. se un comune espropria in modo illegittimo un terreno di proprietà privata ed esegue il provvedimento spossessando il legittimo proprietario, quest’ultimo ha necessità di ottenere la restituzione del bene occupato, nonché il ristoro del danno subito in conseguenza del mancato godimento del medesimo bene). In sintesi, il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo poggia sul tipo di situazione soggettiva fatta valere: - Diritto soggettivo = ha giurisdizione il giudice ordinario (giudice civile o penale). - Interesse legittimo = ha giurisdizione il giudice amministrativo (TAR e Consiglio di Stato); si parla di tale interesse solo nel nostro ordinamento giuridico e ogni volta che un prendendo in considerazione la situazione giuridica sostanziale fatta valere in giudizio alla luce dello stato di fatto e del quadro delle norme di riferimento e verificando che non residuano in capo all’amministrazione spazi di discrezionalità o spazi in cui l’amministrazione sia rimasta inerte. Tar Toscana 2019 > si tratta di una causa fra un privato e l’Asl Toscana e USL, con oggetto un provvedimento amministrativo che si presume leda il privato ricorrente (= atto di diniego per il proseguimento delle cure all’estero); di fronte a questo diniego, il privato ricorre dinanzi al giudice amministrativo, impugnando il provvedimento e chiedendo una tutela di tipo costitutivo (= azione di annullamento), chiedendo anche l'emanazione dell’ordine all'ASL del rilascio del provvedimento di autorizzazione. Si contesta allora la giurisdizione, ritenendo che la stessa debba essere riconosciuta al giudice ordinario (c.d. eccezione di difetto di giurisdizione); in ogni caso, l’amministrazione, di fronte a controversie del genere, svolge un certo tipo di attività che non è discrezionale: il collegio, consapevole dell’esistenza di un altro orientamento, espresso dal Consiglio di Stato, che darebbe torto alla giurisprudenza pregressa del Tar Toscana (= il diniego nei casi decisi dal Consiglio di Stato era silente ed espresso con semplice inerzia). La controversia, nel concreto, attiene al rapporto tra chi chiede le cure all’estero e l’amministrazione (c.d. rapporto di utenza), nel quale non viene in rilievo alcun profilo autorizzativo: - Nel caso di specie il giudice di primo grado afferma di non essere di fronte né a un procedimento né a un processo, bensì ad un accertamento tecnico. - Ilricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione al giudice ordinario, dinanzi al quale le parti sono rimesse. IV sezione del Consiglio di Stato, 2021 + vicenda analoga a quella del Tar Toscano, in merito all’autorizzazione dello svolgimento di cure in Austria, piuttosto che in Romania; tuttavia, gli viene negata e il soggetto decede, allora i parenti adiscono la Corte di giustizia per una interpretazione del regolamento dei servizi sociali (= circolazione dei pazienti nell’ottica della sanità, all’interno del c.d. mercato comune). La Corte di giustizia afferma dunque che non occorra il parere del medico dello Stato di provenienza del paziente, perché lo stesso può essere fornito anche dal medico dello Stato membro ospitante (= l’autorizzazione non può essere negata in mancanza del parere del medico del paese di provenienza) + quando un privato è leso dall’agire della PA, sotto il profilo della tutela dell’affidamento, il giudice avente giurisdizione in materia dipende dall’art.7co.1CPA, il quale afferma che sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti/atti/accordi/comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da PA. Le fattispecie principali che hanno dato origine a orientamenti giurisprudenziali oscillanti sono essenzialmente 2: 1. Affidamenti ingenerati, anche tramite rassicurazioni informali e scambi di comunicazioni con gli uffici competenti, circa l’esito positivo di procedimenti su istanza di parte conclusi senza l'emanazione di alcun provvedimento. 2. Rilascio illegittimo di una concessione o di un’autorizzazione successivamente annullata in sede di autotutela (con un atto non impugnato o riconosciuto legittimo con sentenza definitiva) o in seguito ad un ricorso giurisdizionale. In questo contesto si deve comprendere se il danno può essere ricollegato all’esercizio del potere, e quindi lesivo di un interesse legittimo che comporta la giurisdizione di un giudice amministrativo, oppure se il danno arrecato è dovuto ad una condotta lesiva della PA nei confronti di un diritto soggettivo e, in quanto tale, di competenza del giudice ordinario. III sezione Consiglio di Stato, 21 ottobre 2020 + originariamente la III sezione svolgeva solo funzioni consultive. L’appellante di questo caso è la Signora Testa Floriana, mentre le parti resistenti sono l’ASL e l’AOUP; la prima, in questo contesto, richiese la riforma della sentenza in primo grado, in quanto si sosteneva che la PA, una volta ricevuta la richiesta di cure all’estero, esercita discrezionalità. Nel caso di specie sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, poiché l’interesse legittimo è una posizione che gode di una tutela analoga a quella del diritto soggettivo (= le situazioni giuridiche essenziali godono nel processo amministrativo di una tutela pienamente satisfattiva). Ordinanza n.17586/2015 della Cassazione a Sezioni Unite > si afferma che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in materia, e non di quello amministrativo, quando si faccia domanda di risarcimento danni da lesione dell’affidamento incolpevole del beneficiario del provvedimento amministrativo emesso illegittimamente e poi rimosso per annullamento in autotutela divenuto definitivo o per annullamento in sede giurisdizionale, avendo la pretesa azionata natura di diritto soggettivo. La base su cui si fonda tale pronuncia dipende dal fatto che il danno non è una conseguenza diretta ed immediata dell’atto illegittimo che è stato annullato e, inoltre, il danno lamentato discende da una fattispecie complessa che richiede una valutazione dell’operato dell’amministrazione in base alla buona fede e diligenza (= non viene in rilievo l’art.7CPA perché l’illegittimità della concessione è già stata accertata in maniera indiscutibile e l’annullamento d’ufficio non è suscettibile di contestazione: viene fatta valere una situazione di diritto soggettivo); tra l’altro, la lesione dell’affidamento incolpevole richiede un quid pluris rispetto alla mera illegittimità, cioè occorre analizzare se il soggetto privato conosceva/aveva un dubbio circa la legittimità del provvedimento ottenuto (ex. comportamenti/atti tenuti dall’ amministrazione) e deve riguardare un diritto soggettivo all’integrità patrimoniale anche se conseguito in maniera illegittima. Ordinanza n.8236/2020 della Cassazione a Sezione Unite + la Cassazione ha affermato che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario non solo nel caso di domande di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento derivante dall’emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato; in tal caso, il privato ha riposto il proprio affidamento in una mera condotta della PA. Gli interessi legittimi oppositivi e pretensivi Sotto il profilo funzionale gli interessi legittimi possono essere suddivise in due sottospecie: gli interessi legittimi oppositivi e quelli pretensivi: a. Interessi legittimi oppositivi = sono correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che incide negativamente e che restringe la sfera giuridica del destinatario, sacrificando l’interesse di quest’ultimo (ex. potere di espropriazione all’irrogazione di una sanzione amministrativa o all’imposizione di un vincolo di inedificabilità) > il rapporto giuridico amministrativo ha una dinamica di contrapposizione, nel senso che il suo titolare cercherà di intraprendere tutte le iniziative volte a contrastare l’esercizio del potere che sacrifica un bene della vita, e sarà soddisfatto nel caso in cui l’amministrazione, all’esito del procedimento, si astenga dall’emanare il provvedimento che produce l’effetto negativo. b. Interessi legittimi pretensivi = sono correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che incide positivamente e che amplia la sfera giuridica del destinatario, dando soddisfazione all’interesse di quest’ultimo (ex. potere di rilasciare una concessione per l’uso di un bene demaniale o un’autorizzazione per l’avvio di un’attività economica) + il rapporto giuridico amministrativo assume una dinamica più collaborativa, nel senso che il titolare dell’interesse legittimo pretensivo cercherà di porre in essere tutte le attività volte a stimolare l’esercizio del potere e orientare la scelta dell’amministrazione in modo tale da poter conseguire il bene della vita, e sarà soddisfatto nel caso in cui l’amministrazione, all’esito del procedimento, emani il provvedimento che produce l’effetto positivo. Quanto al procedimento amministrativo, nel caso degli interessi legittimi oppositivi, esso si apre usualmente d’ufficio e la comunicazione di avvio del procedimento instaura il rapporto giuridico amministrativo; invece, nel caso degli interessi legittimi pretensivi, il procedimento si apre in seguito alla presentazione di un’istanza o domanda di parte che fa sorgere l’obbligo di procedere e di provvedere in capo all’amministrazione titolare del potere e che instaura il rapporto giuridico amministrativo > nel caso degli interessi legittimi oppositivi, il bisogno di tutela è legato all’interesse alla conservazione del bene della vita suscettibile di essere sacrificato/compresso in seguito all'emanazione del provvedimento restrittivo della sfera giuridica del privato; invece, nel caso degli interessi legittimi pretensivi, il bisogno di tutela è legato all’interesse all’acquisizione del bene della vita per mezzo dell’emanazione del provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato. Anche la tutela risarcitoria, che può essere attivata per soddisfare i bisogni di tutela non coperti dalla tutela specifica, si atteggia diversamente con riferimento agli interessi legittimi oppositivi e agli interessi legittimi pretensivi: a. Oppositivi = riguarda i danni derivanti dalla privazione o limitazione del godimento del bene della vita nel caso in cui il provvedimento illegittimo abbia trovato esecuzione; infatti, la sentenza di annullamento con efficacia retroattiva, pur eliminando l’atto e i suoi effetti, non può porre rimedio per il passato a questo particolare profilo di danno. b. Pretensivi = riguarda i danni conseguenti alla mancata o ritardata acquisizione del bene della vita nel caso in cui sia stato emanato un provvedimento di diniego o l’amministrazione sia rimasta inerte; infatti, la sentenza che accoglie l’azione di adempimento, condannando l’amministrazione a emanare il provvedimento richiesto, non riesce a porre rimedio per il passato a questo particolare profilo di danno. La distinzione tra i due tipi di interessi legittimi consente di inquadrare i c.d. provvedimenti a doppio effetto, che producono cioè ad un tempo un effetto ampliativo e uno restrittivo nella sfera giuridica di due soggetti distinti e che danno origine ad un rapporto giuridico trilaterale; in questi casi, la dinamica dei rapporti tra l’amministrazione e soggetti privati titolari di un interesse legittimo pretensivo e oppositivo diventa più articolata, sia nell’ambito del procedimento, sia nell’ambito del processo: nella fase procedimentale le parti private tenderanno a sottoporre all’amministrazione gli elementi istruttori e valutativi che inducano quest’ultimo a provvedere in senso conforme al proprio interesse e contrari all’interesse dell’altra parte privata; nella fase processuale successiva all’emanazione del provvedimento che determina un effetto ampliativo nei confronti di un soggetto e uno restrittivo nei confronti di un altro, accanto alla parte ricorrente che impugna il provvedimento chiedendone l'annullamento e all’amministrazione resistente, interviene come parte processuale necessario il contro interessato. Interessi di fatto, diffusi e collettivi Gli interessi legittimi devono essere distinti non solo dei diritti soggettivi, ma anche dagli interessi di fatto (= interessi di soggetti privati che non assurgono al rango di una situazione giuridica protetta dall’ordinamento per i quali non sono previsti rimedi di tipo giurisdizionale); ad esempio, le norme che disciplinano l’organizzazione e l’attività della PA possono imporre all’amministrazione dei doveri di comportamento, finalizzati alla tutela di interessi pubblici, senza che ad essi corrisponda alcuna situazione giuridica o altro tipo di pretesa giuridicamente tutelata in capo a previsti dalla legge stessa > effettività della tutela significa avere un ventaglio di azioni più ampio possibile in grado di soddisfare ciò che l’amministrazione ha leso; dunque, oltre all’azione di annullamento, si affianca anche quella risarcitoria, anche se può affiancarsi anche un’azione più specifica (adempimento); infatti, l’art.125Cost. afferma che nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’orientamento stabilito dalla legge della Repubblica e, inoltre, possono istituirsi delle sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione. Infine, l’art.111Cost., ultimo comma, afferma che contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti (= svolge funzioni di amministrazione secondaria, ex. funzioni consultive per il Consiglio di Stato, funzioni di controllo delle altre attività svolte da altre PA per la Corte dei conti), il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. La giurisdizione, i criteri di riparto e le tutele La giurisdizione del giudice ordinario è definita in termini generali dalla Costituzione (art.102c0.1) e dal codice di procedura civile, il cui art.1 afferma che la giurisdizione civile è esercitata dai giudici ordinari secondo le norme dello stesso codice salvo speciali disposizioni di legge; l’art.37c.p.c. stabilisce poi che il difetto di giurisdizione nei confronti della PA o dei giudici speciali è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, atteso il carattere inderogabile delle regole sulla giurisdizione. L’art.7co.1CPA devolve alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e anche quelle nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi in particolari materie indicate dalla legge (= riguardano l’esercizio o il mancato esercizio del potere, concernenti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere posti in essere da PA) > il potere amministrativo non si manifesta soltanto in atti e provvedimenti, ma anche in altre forme: a. Accordi = possono essere conclusi dalle PA con soggetti privati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale o in sostituzione di questo; essi, dunque, sono riconducibili a una posizione di autorità della PA, la quale valuta discrezionalmente se sia preferibile nel caso concreto negoziare il punto di equilibrio tra interesse pubblico e interesse privato con il titolare di quest’ultimo da formalizzare in un accordo piuttosto che emanare un provvedimento unilaterale. b. Comportamenti = si dividono in: meri comportamenti, assunti in violazione di una norma di relazione, che ledono un diritto soggettivo e che sono ascrivibili alla categoria della illiceità (= sono equiparabili ai comportamenti posti in essere da soggetti privati non conformi alle norme civilistiche e sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario); comportamenti esecutivi di provvedimenti, che si sostanziano in un’attività materiale esecutiva di un provvedimento per i quali sussiste un collegamento funzionale con un potere amministrativo così che l’attività stessa integri direttamente una violazione della norma attributiva del potere e leda un interesse legittimo (la giurisdizione è del giudice amministrativo). c. Mancato esercizio del potere = si verifica ove l’amministrazione non avvii un procedimento d’ufficio doveroso oppure rimanga inerte nei confronti di un’istanza proposta da un soggetto (c.d. silenzio-inadempimento) in violazione dell’obbligo di procedere e di concludere il procedimento con provvedimento espresso è stabilito dall’art.2, 1.241/1990 > costituisce un comportamento omissivo. Infine, l’art.7co.1CPA, ultimo periodo, esclude dall’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo gli atti o provvedimenti emanati dal governo nell’esercizio del potere politico, poiché essi non incidono in modo diretto su situazioni giuridiche individuali e non sono dunque sottoposte a un sindacato giurisdizionale > gli atti politici sono quelli emanati da un organo costituzionale (in particolare il governo) nell’esercizio di una funzione di governo (ex. deliberazioni del Consiglio dei ministri che approvano il decreto-legge); tuttavia, per essere qualificato in tal modo, la giurisprudenza richiede 2 requisiti: sotto il profilo soggettivo, l’atto deve provenire da un organo preposto all’indirizzo e alla direzione della cosa pubblica al massimo livello; sotto il profilo oggettivo, l’atto deve essere libero nei fini perché è riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici. La giurisdizione generale di legittimità, esclusiva e di merito La giurisdizione può essere: generale di legittimità, esclusiva e di merito: a. Generale di legittimità = disciplinata dall’art.7co.4CPA, interviene ogni qualvolta sorga una controversia nella quale una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo subisca una lesione ad opera di atti, provvedimenti o omissioni delle PA. b. Esclusiva = l’art.7co.5CPA afferma che nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall’art.133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi 3 si distingue a seconda dalle tipologie soggettive fatte valere: in questo caso, si possono far valere sia i diritti soggettivi che gli interessi legittimi; dunque, la tutela dei diritti soggettivi dinanzi al giudice amministrativo è pressoché equivalente a quella offerta dal giudice ordinario. Problema centrale è riconoscere quado si ha giurisdizione esclusiva perché si deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato oggettivo delle materie; tuttavia, tale necessario collegamento delle materie assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive, è espresso dall’art.103 laddove statuisce che quelle materie devono essere particolari rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità (= devono partecipare della loro medesima natura che è contrassegnata dalla circostanza che la PA agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino dinanzi al giudice amministrativo) > art.133: accesso alla documentazione amministrativa; pubblici servizi e contratti pubblici; urbanistica ed edilizia; rapporti di impiego in regime di diritto pubblico; atti delle autorità amministrativa indipendenti. c. Merito = il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito nelle controversie indicate dalla legge e dall’art.134CPA e, nell’esercizio di tali controversie, può sostituirsi alla PA (art.7co.6CPA) > s'intende: attuazione delle pronunce giurisdizionali esecutive o del giudicato; atti e operazioni in materia elettorale; sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta al giurisdizione del giudice amministrativo; contestazioni sui confini degli enti territoriali; diniego di rilascio di nulla osta cinematografico. Nel caso in cui sorgano conflitti tra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa, la soluzione deve essere demandata alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, eventualmente nelle forme del regolamento preventivo di giurisdizione, ovvero attraverso il particolare mezzo di impugnazione del ricorso per cassazione. Le forme di tutela e la tipologia delle azioni Le azioni proponibili nel processo di cognizione sono astrattamente riconducibili a 3 tipologie: 1. Azioni di mero accertamento = mirano a stabilire, in presenza di una contestazione, il modo di essere di un determinato rapporto giuridico e si conclude, in caso di accoglimento, con una sentenza che constata la piena conformità della situazione di fatto alla situazione di diritto. 2. Azioni di condanna = mirano ad indurre la parte soccombente ad attuare un’attività volta a rimuovere una difformità tra situazione di fatto e situazione di diritto accertata dal giudice 3. con un elemento di tipo ordinatorio in quanto è diretta ad eliminare gli effetti della violazione giù effettuata. Azioni costitutive = mirano a costituire, modificare o estinguere le situazioni giuridiche soggettive (diritti o obblighi) delle quali sono titolari le parti e opera una modifica nella configurazione del rapporto giuridico intercorrente tra le parti (a differenza delle sentenze di accertamento e di condanna, volte ad accertare il modo di essere di determinati rapporti giuridici ed eventualmente a conformare la situazione di fatto alla situazione di diritto). Sulla base di ciò, è bene dire che esistono 3 tipologie di tutele: 1. Tutela dichiarativa = dà luogo al processo di cognizione e ha la funzione di risolvere una controversia determinando le regole di condotta alle quali le parti si devono attenere in relazione a un determinato rapporto giuridico sostanziale; dunque, il giudice deve procedere all’accertamento dei fatti (costitutivi, estintivi, impeditivi), in relazione alle prove acquisite, e alla loro valutazione giuridica alla stregua del diritto vigente. Tutela cautelare = consente alla parte che promuove il giudizio di ottenere dal giudice misure adottate d’urgenza volte a impedire che nelle more dell’emanazione della sentenza che conclude il processo di cognizione si verifichino danni gravi e irreparabili in capo al ricorrente tali da rendere inutile o da ridurre l’utilità della sentenza medesima; infatti, la durata del processo non deve danneggiare la parte che ha ragione, motivo per il quale le misure provvisorie cautelari sono emanate prima che sia accertata in modo definitivo la volontà della legge per garanzia della sua futura attuazione pratica. Tutela esecutiva = interviene a valle della pronuncia emanata in sede di cognizione e mira a conformare la situazione di fatto a quella di diritto così come essa è stata accertata dal giudice nei casi in cui la parte soccombente non provveda spontaneamente ad attuare le attività esecutive (c.d. processo di esecuzione); tale tutela può avvenire con 2 modalità: esecuzione forzata diretta (= l’attività alla quale è tenuta la parte soccombente nel giudizio di cognizione svolta in via sostitutiva dal giudice dell’esecuzione o da un suo delegato anche aggredendo il patrimonio della parte soccombente; le azioni proponibili sono 3: mero accertamento, condanna, costitutive) e indiretta (= la parte soccombente può essere indotta ad attuare il suo obbligo attraverso misure coercitive indirette, come la sanzione penale o le c.d. astreintes, che consistono nell’imposizione di pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione). Il processo innanzi al giudice amministrativo In primo luogo, il processo amministrativo è nato come un processo di impugnazione e di annullamento di provvedimenti amministrativi illegittimi lesivi di interessi legittimi, ma ha subito nel corso del tempo un’evoluzione in due direzioni: 1. 2. Ha trovato spazio anche la tutela di diritti soggettivi nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Si è aperto a forme di tutela aggiuntive rispetto a quella di annullamento, volte ad attuare il principio di effettività della tutela giurisdizionale, in relazione al mutamento della fisionomia dell’interesse legittimo, che ormai ha al suo centro un bene della vita, e all’esigenza di soddisfare i bisogni di tutela via via emersi nei rapporti tra soggetti privati e PA. In secondo luogo, la giurisdizione amministrativa si connota come una giurisdizione sul potere amministrativo, in tutte le sue manifestazioni; in terzo luogo, l'evoluzione del processo amministrativo ha portato ad abbandonare progressivamente la concezione oggettiva della tutela che poneva in primo piano l’interesse pubblico a garantire la legittimità degli atti amministrativi. Principi generali 1. Criterio della sede = s’intende la sede dell’amministrazione che ha emanato l’atto: è competente a conoscere la controversia il TAR nella cui circoscrizione è stabilita tale sede. 2. Criterio dell’efficacia dell’atto = s'intendono gli effetti diretti del provvedimento: se questi sono limitati all’ambito territoriale della Regione in cui il tribunale ha sede, la competenza si radica in capo a quest’ultimo, anche se si tratta di atti statali (per gli atti statali aventi efficacia ultraregionale competente è il TAR Lazio, co.3). 3. Criterio del foro del pubblico impiego = si applica alle sole controversie riguardanti i dipendenti pubblici non sottoposti al regime della privatizzazione, e competente è il TAR nella cui circoscrizione è situata la sede di servizio. Sono devolute funzionalmente alla competenza inderogabile del TAR Lazio, sede di Roma, le controversie indicate dall’art.135; inoltre, sono devolute funzionalmente alla competenza inderogabile del TAR Lombardia, sede di Milano, le controverse relative ai poteri esercitati dall’area (art.14CPA) > la logica del principio dell’inderogabilità della competenza del giudice di primo grado è ispirata al fatto che la questione di competenza deve essere sollevata e decisa nei tempi più celeri possibili allo scopo di non ritardare la conclusione del giudizio con una sentenza definitiva; tra l’altro, la Corte costituzionale ha ritenuto non lesiva del diritto di difesa e della ragionevole durata del processo la scelta del codice che vieta al TAR che si ritiene incompetente di esaminare l’istanza cautelare anche se ciò comporta inevitabilmente una dilatazione dei tempi perché consentire ad una parte di adire un giudice incompetente comporterebbe la lesione dei principi enunciati dagli artt.24-111Cost. In questo contesto, il regolamento di competenza può essere richiesto d’ufficio, oppure dalle parti del giudizio che lo promuovono dopo l'emanazione dell’ordinanza che pronuncia sulla competenza (art.16c0.1CPA); in questo caso, il Consiglio di Stato decide con ordinanza in camera di consiglio in contraddittorio con le parti e, se viene indicato come competente un TAR diverso da quello adito, il giudizio deve essere riassunto entro 30 giorni innanzi al TAR competente. Il Consiglio di Stato A norma dell’art.6co. 1CPA, il Consiglio di Stato è definito come l’organo di 2° grado della giurisdizione amministrativa; esso ha subito delle variazioni nel tempo, ma è oggi sia giudice sia amministrazione con funzioni consultive e decide con 5 magistrati, tra i quali un presidente di sezione. Adunanza Plenaria L’adunanza plenaria è composta dal Presidente del Consiglio di Stato e da 12 magistrati provenienti da tutte le sezioni (art.6co. 1CPA); essa svolge una funzione nomofilattica, volta a favorire l’applicazione uniforme del diritto da parte dei giudici amministrativi e indirettamente a deflazionare il contenzioso alimentato anche da orientamenti giurisprudenziali difformi (= ruolo analogo a quello delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nell’ambito della giustizia civile, anche se può svolgere delle funzioni di giudice d’appello) + il deferimento del ricorso all’A dunanza Plenaria può avvenire con tre modalità alternative (art.99CPA): 1. Deferimento su impulso di una sezione qualora rilevi, d’ufficio o su istanza di parte, che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato o possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali + 1’ Adunanza Plenaria non è tenuta a decidere e può anzi restituire per ragioni di opportunità gli atti alla sezione. 2. Deferimento su impulso del presidente del Consiglio di Stato, d’ufficio o su istanza di parte, quando ritenga che la questione da risolvere riguardi questioni di massima di particolare importanza o possa essere opportuno per dirimere contrasti giurisprudenziali, anche se questa modalità potrebbe essere considerata lesiva del principio del giudice naturale precostituito per legge. 3. Deferimento obbligatorio, sempre su impulso di una sezione qualora non condivida un principio di diritto enunciato dall’ Adunanza Plenaria. In generale vige il vincolo del precedente che è però di tipo processuale negativo, nel senso che la sezione non ha l’obbligo di adottare l’interpretazione accolta dall’A dunanza Plenaria, ma non può neppure adottare una pronuncia contrastante. Quanto ai poteri decisionali, 1’ Adunanza Plenaria decide l’intera controversia, ma può anche limitarsi a enunciare il principio di diritto, svolgendo così solo la funzione nomofilattica e restituendo il resto alla sezione remittente (art.99co.4) + in generale alle sue pronunce che enunciano un principio di diritto è riconosciuta la natura essenzialmente interpretativa tesa orientare i giudici amministrativi soprattutto per i casi futuri; essa emerge con evidenza nel caso in cui il giudizio viene restituito alla sezione remittente dopo aver esplicitato il principio di diritto o soprattutto nel caso in cui sia stato enunciato nell’interesse della legge. Astensione e ricusazione Per quanto riguarda l’astensione, l’art.17 si limita a un rinvio al Codice di procedura civile che, all’art.51, individua i casi di sospensione obbligatoria e prevede che il giudice possa chiedere al capo dell’ufficio di astenersi per gravi ragioni di convenienza. Per quanto riguarda la ricusazione, l’art.18co.1 opera un rinvio generale al Codice di procedura civile, secondo il quale le parti possono proporre la ricusazione nei casi in cui il giudice ha l'obbligo di astenersi. Le parti Il processo amministrativo è un processo di parti poiché, in base al principio dispositivo, la sua instaurazione, conclusione e definizione dell’oggetto e del giudizio, sono rimesse all’iniziativa delle parti, le quali si distinguono in parti necessarie, che devono essere evocate in giudizio in modo tale che la sentenza sia emanata a contraddittorio integro (= la garanzia del contraddittorio è condizione di validità della sentenza) e in parti eventuali, che possono invece partecipare al giudizio, ma non vi è l’obbligo di portare a loro conoscenza il ricorso né di integrare rispetto ad essi il contraddittorio: a. Parti necessarie = s'intendono il ricorrente, l’amministrazione resistente e l'eventuale controinteressato (= soggetto titolare di un interesse qualificato che può essere pregiudicato dal ricorso e su cui può avere incidenza diretta il giudicato) > rapporto giuridico trilaterale. b. Parti eventuali = si dividono in intervenienti ad adiuvandum (= fanno proprie le ragioni del ricorrente) e ad opponendum (= fanno proprie le ragioni dell’amministrazione resistente), ma è ammissibile solo la forma dell’intervento adesivo dipendente (ammissibile sia in primo grado che in appello). Ovviamente, per poter stare in giudizio le parti devono avere 2 presupposti: la capacità di essere parte (= corrisponde alla capacità giuridica la quale fa riferimento l’art.1c.c., e spetta ad ogni persona fisica e giuridica) e la capacità processuale (= corrisponde alla capacità di agire alla quale fa riferimento l’art.2c.c. e consiste nella capacità di compiere atti del processo, ma non è riconosciuto ai minori di età, i quali possono stare in giudizio solo se sono rappresentati/assistiti/autorizzati secondo le norme che regolano la loro capacità di agire ex.art.75c.c.). I filtri processuali Il processo costituisce lo strumento messo a disposizione dall’ordinamento al soggetto titolare di una situazione giuridica soggettiva per porre rimedio a una lesione subita; in questo contesto, la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio è l’interesse legittimo e la lesione è causata dall’emanazione di un provvedimento amministrativo illegittimo > il diritto di azione è un diritto soggettivo processuale autonomo (= non dipende dall’esistenza effettiva della situazione giuridica soggettiva sostanziale dedotta nel giudizio) e che, una volta esercitato, tra il punto di partenza del processo (domanda giudiziale) e il punto di arrivo (sentenza pronunciata dal giudice), si interpongono una serie di atti intermedi, correlati ai poteri delle parti e del giudice che danno origine a un fascio di rapporti processuali. Affinché il giudice amministrativo possa pronunciare una sentenza che accolga o rigetti nel merito il ricorso, il processo deve essere instaurato e svolto validamente in conformità alla disciplina processuale, la quale prevede una serie di requisiti, presupposti (= attengono all’esistenza o validità del rapporto giuridico processuale, tra cui giurisdizione e competenza) e condizioni (= necessarie per poter riconoscere all’attore la titolarità del diritto di azione) che attengono ai singoli atti del processo, al giudice e alle parti; queste ultime (c.d. condizioni dell’azione), riguardano: 1. Legittimazione ad agire = principio che trova un riconoscimento nell’art.81c.p.c., secondo cui nessuno può far valere nel processo, in nome proprio, un interesse altrui, tranne nei casi tassativamente stabiliti dalla legge (c.d. legittimazione straordinaria ex lege, che vale anche nel processo amministrativo) > si verifica una correlatività tra il possessore di un diritto sostanziale e la effettiva titolarità del diritto di azione (= devono coincidere), da accertare in limine litis (= nel corso del processo), ad eccezione di 2 categorie: a. Soggetti portatori di interessi diffusi = s'intendono interessi superindividuali non riferibili ad un singolo individuo, bensì alla generalità della collettività (ex. consumatori, WWF) 3 l’ Adunanza Plenaria n.6/2020 ha riconosciuto la legittimazione a ricorrere degli enti esponenziali a tutela degli interessi diffusi, a prescindere da un’espressa previsione legislativa. b. Enti ed apparati pubblici = agire della PA. 2. Interesse ad agire (art.100c.p.c.) = per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse, nel senso che questa condizione tende ad evitare che possano essere proposte domande giudiziali quando il loro accoglimento non produca alcun effetto utile nella sfera giuridica di chi le ha proposte (= l’interesse deve essere concreto ed attuale e non solo teorico e generico, perché non è consentito al giudice di risolvere questioni puramente astratte o accademiche) + la verifica di tale interesse va operata sulla base degli elementi desumibili dal ricorso introduttivo del giudizio, dalle domande in esso formulate a dai motivi dedotti, nel senso che va verificato che la situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una lesione e non che abbia subito una lesione; per quanto riguarda la concretezza dell’utilità o del beneficio (anche morale) derivante dall’accoglimento del ricorso, in molte fattispecie rileva la c.d. prova di resistenza. Entrambe le condizioni devono essere accertate in astratto dal giudice prima dell’esame del merito della controversia (= sulla base di quanto affermato dalla parte che propone il giudizio nella sua domanda), e attengono alla titolarità del diritto di azione in senso formale e astratto (legittimazione a ricorrere) e in senso concreto (interesse a ricorrere). Le azioni Il Codice dedica alcuni articoli alle azioni esperibili nel processo di cognizione, come punto di raccordo e di snodo tra le situazioni giuridiche soggettive e il processo, segnando così un cambiamento netto di prospettiva rispetto all'approccio tradizionale; il Capo II (Azioni di cognizione) inserito nel Titolo III (Azioni e domande), individua così le seguenti azioni esperibili nell’ambito del processo di cognizione: azione di annullamento (è collocata simbolicamente al primo posto, art.29); azione di condanna, avente natura sostanzialmente atipica che razionalizza soprattutto l'evoluzione subita in seguito all’affermarsi del principio della risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo (art.30); azione avverso il silenzio e per la declaratoria della nullità (art.31) > l’azione cautelare e l’azione di ottemperanza sono regolate a parte (artt.55ss. e 112ss.), Sotto il profilo procedurale, il ricorso con il quale si propone tale azione di condanna deve essere notificato anche agli eventuali beneficiari dell’atto illegittimo ex.art.102c.p.c. (litisconsorzio necessario, art.41c0.2). Azione di adempimento L’azione di adempimento, detta anche azione di condanna di tipo pubblicistico, è disciplinata dall’art.84CPA che afferma che l’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio; dunque, ciò è ammissibile in 2 ipotesi: a. Il privato impugna un provvedimento espresso di diniego. b. In caso di silenzio-inadempimento della PA. L’art.31c0.4 afferma che la domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di 180 giorni; la nullità dell’atto può essere sempre opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice, ad eccezione delle nullità di cui all’art.114co.4, lett.b (atti in violazione o elusione di giudicato). In base all’art.34co.1, lett.c, se il giudice accerta che l’amministrazione, tenuto conto delle norme applicabili, delle circostanze del caso e delle allegazioni delle parti, non ha discrezionalità e che dunque l'emanazione dell’atto richiesto è dovuta, può condannare l’amministrazione ad adottare l’atto in questione; altrimenti, può condannare soltanto l’amministrazione a provvedere, tenendo conto degli accertamenti effettuati nell’ambito del processo risultante dalla sentenza. Azione avverso il silenzio L’azione avverso il silenzio costituisce lo strumento tradizionale per la tutela degli interessi legittimi pretensivi in presenza di un comportamento inerte della PA; essa è disciplinata nei suoi aspetti processuali dall’art.117 che configura un rito speciale, e nei suoi presupposti generali dall’art.81CPA che afferma che decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e, negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse (= il soggetto che ha richiesto l'adempimento della PA) può chiedere, al giudice, l'accertamento dell’obbligo amministrativo di provvedere (co.1); tuttavia, tale azione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre 1 anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento + il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari ulteriori adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione (c0.3). Sulla base di questo articolo, il giudice può nominare un commissario ad acta, con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata, per accertare l’effettivo inadempimento della PA (art.117c0.3): - Se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l’intero giudizio prosegue con tale rito. - Sel’azione di risarcimento del danno è proposta congiuntamente all’azione avverso il silenzio, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria. L’art.117CPA introduce un rito speciale, secondo cui il ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato all’amministrazione e ad almeno un controinteressato 3 è deciso con sentenza in forma semplificata e, in caso di totale/parziale accoglimento, il giudice ordina all’amministrazione di provvedere entro un termine non superiore a 30 giorni. In sintesi, la differenza principale rispetto all’azione di adempimento è che il giudice, accertata la fondatezza della pretesa, non può includere nel dispositivo della sentenza una condanna diretta dell’amministrazione al rilascio del provvedimento richiesto, ma può soltanto ordinare all’amministrazione di provvedere entro un termine di norma non superiore a 30 giorni, traendo le conseguenze dall’accertamento contenuto nella sentenza (art.117c0.2CPA). Azione di nullità e azione di accertamento È l’unica azione di mero accertamento tipizzata dal Codice che presenta un problema di carattere giurisdizionale, poiché è esperibile in via esclusiva dal giudice amministrativo (art.31CPA), il quale esercita una giurisdizione di merito ed esclusiva ed interviene qualora venga violato il giudicato del giudice (principalmente in caso di interessi legittimi pretensivi, ex. una concessione amministrativa che lascia indeterminata l’area e le superfici oggetto del provvedimento). Il Codice disciplina l’azione di nullità fissando un termine decadenziale di 180 giorni per la sua proposizione, giustificato dall’esigenza di assicurare certezza ai rapporti di diritto pubblico, il cui decorso del termine non determina però una sanatoria del provvedimento nullo che continua a non produrre effetti (la nullità può essere opposta senza limiti di tempo dalla parte resistente); tuttavia, ove il ricorrente abbia proposto l’azione di nullità senza rispettare tale termine, la stessa non può essere rilevata d’ufficio, perché ciò renderebbe vana la previsione stessa del termine decadenziale per la riduzione del vizio in via autonoma da parte del ricorrente. Nel caso in cui venga eccepita la nullità, il giudice può valutare se limitarsi ad accogliere l’eccezione, ritenendo cioè l’atto affetto da nullità non rilevante nell’ambito del giudizio, oppure procedere a una declaratoria formale della nullità producendo l’effetto della scomparsa dell’atto amministrativo dal mondo giuridico; invece, se la nullità viene rilevata d’ufficio, il giudice deve avvertire le parti e darne atto nel verbale dell’udienza di discussione (ex.art.72c0.3CPA). Esistono, in realtà, altri casi di nullità, il cui atto è privo dei suoi effetti (= autoritarietà/imperatività) e, di conseguenza, è il giudice ordinario a conoscerne gli effetti in via generale, entro un termine di decadenza di 180 giorni o di prescrizione 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza qualora si faccia valere la nullità per elusione del giudicato (art.114CPA), e ciò può essere rilevato sia d’ufficio, sia tramite un eccezione sollevata dalle parti, evocata a scopo difensivo per aggredire la fondatezza della pretesa del ricorrente (ex. il privato ricorrente afferma di essere un concessionario e propone dinnanzi al giudice amministrativo un’azione di condanna al pagamento di alcuni diritti patrimoniali di cui ritiene averne titolo; in questa sede, l’amministrazione può far valere la nullità della concessione e, quindi, la mancanza di un titolo su cui si fondi la pretesa di condanna del privato). Lo svolgimento del processo Il giudizio dinanzi al TAR è introdotto tramite la notifica del ricorso (art.45) alle parti necessarie e solo successivamente viene depositato; il contenuto di questo atto è stabilito dall’art.40CPA, secondo cui dev’essere composto da: a. Elementi identificativi del ricorrente, del suo difensore e delle parti nei cui confronti il ricorso è proposto. b. Indicazione dell’oggetto della domanda, ivi compreso l’atto o il provvedimento eventualmente impugnato, e la data della sua notificazione, comunicazione o comunque della sua conoscenza. c. Esposizione sommaria dei fatti = vengono indicati nel ricorso, sono posti a fondamento delle domande e devono essere provati dal ricorrente (art.64CPA). d. Motivi specifici su cui si fonda il ricorso = consistono nei singoli vizi di legittimità rientranti in una delle tipologie dell’incompetenza, della violazione di legge o dell’eccesso di potere; espressione del principio della domanda e la facoltà riconosciuta al ricorrente di graduare i motivi enucleati nel ricorso, imponendo così al giudice l’ordine dei motivi da esaminare e decidere: ciò avviene generalmente in funzione della maggiore o minore utilità che egli ritiene di poter trarre dalla pronuncia di accoglimento. Inoltre, i ricorrenti, principali e incidentali, possono introdurre con motivi aggiunti delle nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte o domande nuove purché connesse a quelle già proposte (art.43); essi possono essere notificati anche scaduto il termine di 60 giorni per l’impugnazione, in tutti i casi in cui non sarebbe stato possibile inserirli nel ricorso originario (ex. quando ulteriori vizi del provvedimento impugnato emergono in seguito all’esercizio del diritto di accesso e al rilascio di copie di atti istruttori e documenti non conosciuti precedentemente). Sulla base di ciò, negli anni ’60 si è iniziato a dibattere circa l’oggetto del processo: atto o rapporto giuridico controverso? + considerare oggetto del processo il provvedimento (= focus su ciò che ha fatto l’amministrazione) non dà abbastanza rilievo all’interesse legittimo; perciò, ciò che conta oggi è fornire una tutela piena ed effettiva del privato, il cui oggetto del processo è incentrato sul potere amministrativo (= situazione giuridica soggettiva) o sulla legittimità degli atti/comportamenti che ne costituiscono esercizio, in funzione della tutela dell’interesse legittimo. Il ricorso è nullo se manca la sottoscrizione, se vi è incertezza assoluta sulle persone o sull’oggetto della domanda ed è rilevabile d’ufficio (art.44co.4bis); in ogni altra ipotesi, il giudice, se riscontra un’irregolarità, può assegnare un termine alla parte per rinnovare l’atto (art.44c0.2). Per quanto riguarda la PA, qualora decida di costituirsi in giudizio, il suo comportamento processuale è quello che viene generalmente definito come di semplice mera difesa, cioè di contestazione della fondatezza del ricorso, sia in fatto (ex. negare la sussistenza od offrendo una diversa ricostruzione dei fatti allegati dal ricorrente) sia in diritto (ex. offrire una diversa interpretazione delle norme che il ricorrente assume siano state violate); in base al Codice, poi, grava sulla PA il c.d. onere di contestazione perché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite possono essere poste dal giudice a fondamento della propria decisione (art.64c0.2). La PA può anche sollevare le eccezioni di rito tali da escludere il dovere decisorio del giudice adito o di imporre la declaratoria di estinzione del processo (ex. tardività della proposizione del ricorso o mancata notifica ad almeno un contro interessato), per le quali sono rilevabili dal giudice anche d’ufficio. La posizione processuale del controinteressato, destinatario del provvedimento favorevole impugnato, è tendenzialmente allineato a quella dell’amministrazione; infatti, al pari di quest’ultima, il controinteressato mira a far respingere il ricorso, ad evitare l'annullamento del provvedimento ed è così gravato dall’onere di contestazione dei fatti sui quali il ricorrente fonda la propria pretesa e può svolgere mere difese e sollevare eccezioni di rito. Oltre a questi strumenti, il controinteressato ha la possibilità di introdurre il c.d. ricorso incidentale, cioè un rimedio a carattere difensivo che determina un ampliamento dell’oggetto della cognizione del giudice, sottoponendo a quest’ultimo questioni e domande nuove, diverse da quelle proposte nel ricorso principale che sono volte a rendere inammissibile quest’ultimo > viene definito come il mezzo attraverso il quale i contro interessati e l’amministrazione resistente possono proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via incidentale (art.42); inoltre, ha un contenuto analogo al ricorso principale, essendo sottoposto al medesimo termine di decadenza di 60 giorni e deve essere notificato e depositato con le stesse modalità del ricorso principale (art.42co.1-2); tuttavia, la sua specificità è che l’interesse a proporlo sorge solo in seguito alla proposizione del ricorso principale ed è dunque accessorio rispetto a quest’ultimo (= non può essere proposta in via autonoma se non viene instaurato prima l’altro ricorso) e la sua rinuncia o inammissibilità determina in modo automatico il venir meno anche del ricorso incidentale (può essere proposto anche contro atti normativi generali poste alla base del provvedimento impugnato in via principale). Infine, la domanda riconvenzionale è prevista nelle controversie riguardanti diritti soggettivi attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma si devono trattare di domande Nell’istruttoria si ricostruiscono i fatti in virtù della ricerca della realtà degli stessi; in realtà, il CPA non introduce e non disciplina un’autonoma fase istruttoria (= manca un giudice istruttore), ma essa è disposta dal collegio con ordinanza oppure dal Presidente della sezione/magistrato delegato (art.65CPA). Oltre a questo elemento, l’istruttoria ha subito una profonda evoluzione: originariamente l’istruttoria processuale non aveva un ruolo rilevante (dal 1889), ma aveva semplicemente quello di colmare le lacune presenti nell’istruttoria procedimentale (= il procedimento fungeva da schermo fra fatto-realtà-giudice amministrativo) e, conseguentemente, i mezzi di prova erano limitati alla richiesta di documenti o chiarimenti all’amministrazione o alle verificazioni; con il tempo, tuttavia, l’istruttoria è diventata sempre più importante, dando più margine all’importanza del fatto nel processo amministrativo. Sulla base di ciò, l’art.64co.1CPA introduce oggi il principio dell’onere della prova, secondo cui spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni; inoltre, il co.2 afferma che i salvo i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti e il giudice amministrativo può disporre, anche d’ufficio, l'acquisizione di informazioni/documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità della PA (co.3, principio dispositivo con metodo acquisitivo) > a differenza del processo civile, esiste un onere di principio di prova (= l’onere della prova del ricorrente è meno rigoroso rispetto a quello nel processo civile, in quanto attenuato) perché è sufficiente che il ricorrente fornisca un elemento serio in ordine a dei fatti che intende allegare, ma che non ha la possibilità di dimostrare (= il giudice può integrare tal principio qualora la prova non sia nella disponibilità del ricorrente, in virtù del principio di parità delle parti, per mitigare l’asimmetria informativa tipica di questo procedimento, c.d. metodo acquisitivo). In realtà, alcuni sostengono che questo principio dispositivo con metodo acquisitivo ha uno spazio ristretto nel procedimento amministrativo per vari motivi: a. L’amministrazione, all’atto della sua costituzione in giudizio, ha l’onere di produrre l’eventuale provvedimento impugnato e tutti quegli atti che possano essere connessi (art.46), qualora il privato non ne sia provvisto + ciò riequilibra in buona parte l’asimmetria informativa tra PA e ricorrente. b. I soggetti privati, in molti casi, possono procurarsi le prove in vista della proposizione del ricorso esercitando il diritto di accesso ai documenti amministrativi (artt.22ss., 1.241/1990), la cui istanza può essere proposta anche all’interno del processo ove essa abbia per oggetto documenti connessi con l’oggetto del giudizio (art.116c0.2CPA). Oggetto della prova, tra l’altro, sono soltanto i fatti controversi; infatti, il Codice richiama il principio di non contestazione previsto nel processo civile prevedendo che il giudice amministrativo può fondare la propria decisione, oltre che sulle prove proposte dalle parti, sui fatti non specificamente contestati dalle parti costituite (art.64c0.2) + ai fini della specificità della contestazione richiesta della disposizione, può essere sufficiente la narrazione di fatti incompatibili con le affermazioni della parte avversa, purché riferibile in modo specifico anche se non in modo espresso; inoltre, il giudice può desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo (art.64co.4) e può, infine, può porre a fondamento della propria decisione anche i c.d. fatti notori (= fatti che rientrano nella comune esperienza, art.115c0.3c.p.c.) e, in ogni caso, deve valutare le prove acquisite secondo il suo prudente apprezzamento (art.64c0.4). Narrazioni del processo amministrativo Il Consiglio di Stato ha enumerato delle ipotesi per verificare la presenza di inferenze mafiose all’interno di un’azienda, tramite il c.d. metodo abduttivo (= strumento di compensazione); inoltre, si è sviluppato il c.d. modello di sindacato, in merito alla verifica della quaestio facti sotto il profilo della sua intrinseca verità, oltre al criterio della maggiore/minore attendibilità 3 sulla base di ciò, i piani di indagine si sono sviluppati in 2 direzioni: a. Possibile inquadramento del giudizio di fatto nel modello generale di sindacato di legittimità = il dibattito, in ordine al modello di sindacato di legittimità della cassazione, può offrire punti significativi in merito all’estensione della verifica della quaestio facti, anche se ora pare controverso in vista delle ultime modifiche. b. Ricerca di un equilibrio nel rapporto tra poteri-doveri delle parti e ricerca della verità. I mezzi di prova Ai sensi dell’art.63CPA, fermo restando l’onere della prova a loro carico, il giudice può chiedere alle parti, anche d’ufficio, chiarimenti (anche alla PA, inteso anche l’interrogatorio libero delle parti ex.art.117c.p.c.) o documenti; inoltre, il giudice può ordinare anche a terzi di esibire in giudizio i documenti o quanto altro ritenga necessario ex. art.210ss. c.p.c. e può anche disporre l’ispezione ai sensi dell’art.118c.p.c. Su istanza di parte, poi, il giudice può ammettere la prova testimoniale in forma scritta (art.63c0.3) e, qualora reputi necessario l’accertamento di fatti o l’acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche, il giudice può ordinare l’esecuzione di una verificazione (= è volta ad appurare la realtà oggettiva delle cose e si risolve essenzialmente in un accertamento diretto ad individuare la sussistenza di determinati elementi o a conseguire la conoscenza dei fatti la cui coesistenza non sia accertabile o desumibile con certezza dalle risultanze documentali; essa è esperita da un organismo verificatore, estraneo alle parti in causa e munito di specifiche competenze tecniche) o, se indispensabile, disporre una consulenza tecnica (= ha per oggetto una valutazione non meramente ricognitiva di questioni di fatto, ma ha la funzione di fornire al giudice i necessari elementi di valutazione quando la complessità sul piano tecnico- scientifico dei fatti di causa impediscono compiuta comprensione); infine, il giudice può anche disporre l’assunzione degli altri mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, esclusi l’interrogatorio formale e il giuramento (c.d. prove legali). La fase decisoria Affinché il ricorso possa essere esaminato dal giudice, occorre un atto di impulso processuale costituito dall’istanza al presidente di fissazione dell’udienza di trattazione del ricorso stesso (art.71co.1); essa dev'essere presentata entro 1 anno dal deposito del ricorso, a pena di perenzione del giudizio, ma, in caso di urgenza, la parte può chiedere al presidente del TAR di anticipare la fissazione dell’udienza (c0.2). In seguito alla presentazione dell’istanza, il presidente fissa l’udienza di discussione del ricorso, della quale dev’essere data comunicazione alle parti con un preavviso pari di norma ad almeno 60 giorni (co.5); nel corso della stessa, le parti possono discutere sinteticamente (art.73c0.2), dopo aver avuto l’opportunità di presentare documenti/memorie/repliche nei termini stabiliti (co.1) e, dopo la discussione, la causa è trattenuta in decisione, la quale è assunta dalla maggioranza del collegio in camera di consiglio. La pronuncia decisoria collegiale che conclude il giudizio prende la forma della sentenza, la quale può essere di vari tipi: a. Sentenza definitiva = conclude la fase di cognizione. b. Sentenza non definitiva = si pronuncia solo su una parte del giudizio e intercorrono poi altre tipologie di provvedimento che intervengono su altre parti del giudizio (ex. le ordinanze che sospendono il giudizio, o i decreti che sono emessi solo nei casi espressamente previsti dal legislatore). a. Sentenza di rito = sono sentenze di inammissibilità (= interviene quando chi fa ricorso non ha legittimazione a ricorrere oppure manca l’interesse a ricorrere), irricevibilità (= interviene quando non sono rispettate le regole pubblicistiche: il ricorso è proposto tardivamente sia per la notifica che per il ricorso) e improcedibilità (= interviene quando le parti non hanno effettuato l'adempimento indispensabile ex.art.35 in merito all’integrazione del contraddittorio). b. Sentenza di merito = sono sentenze definitive del procedimento (adempimento/annullamento/accertamento/ecc.) che devono essere esperite entro un termine ordinatorio di 45 giorni dall’udienza di discussione. a. Sentenza in forma semplificata b. Sentenza in forma ordinaria Per quanto riguarda le ordinanze, queste vengono disposte per la sospensione del processo nei casi previsti dall’art.79c.p.c., in merito soprattutto alle questioni pregiudiziali. La rimessione alla Corte costituzionale è funzionale a garantire la conformità delle leggi amministrative alla Costituzione e il giudice amministrativo opera da filtro necessario essendo anzitutto tenuto a valutare preliminarmente se sia possibile procedere a una qualche interpretazione della norma da applicare che la renda compatibile con la Costituzione, altrimenti deve accertare se la rilevanza della questione (= il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalità), sia la non manifesta infondatezza della medesima (l’ordinanza di rimessione deve motivare sul punto); quanto alla rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, mentre per i TAR il rinvio pregiudiziale (ex.art.267c0.3) è facoltativo, per il Consiglio di Stato è obbligatorio e la violazione di tale obbligo potrebbe essere fonte di responsabilità dello Stato (a meno che la stessa questione sia già stata risolta dalla Corte europea, oppure quando essa non lascia alcun ragionevole dubbio sull’interpretazione del diritto europeo). L’ordine di trattazione delle questioni Il giudice decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa (art.76CPA che richiama l’art.276c0.2c.p.c.); in questo contesto, l’ Adunanza Plenaria, in merito alla graduazione dei motivi, afferma, nella pronuncia 5/2015 che vi sono delle questioni più importanti di altre e che quando l’amministrazione che ha emesso un provvedimento (ex. diniego del permesso di costruire) è incompetente, allora ricorre l’ipotesi dell’art.34CPA, secondo cui il potere non è ancora stato esercitato. In ogni caso, l’ordine della trattazione delle questioni è condizionato dalla facoltà concessa al ricorrente di proporre i motivi di ricorso in via gradata, vincolando così il giudice; inoltre, rileva il principio secondo il quale il giudice amministrativo non può pronunciarsi su poteri non ancora esercitati (art.34co.2CPA), nel senso che qualora la sentenza accerti un vizio di incompetenza, l’atto deve essere annullato senza che possono essere esaminati altri motivi di ricorso, in modo tale che l’autorità competente possa pronunciarvi in merito. Sulla base di ciò, 2 possono essere i criteri alternativi per stabilire l’ordine delle trattazioni: 1. Soddisfacimento del massimo interesse della parte che richiede al giudice di valutare qual è l’utilità più ampia che può offrire la sentenza di accoglimento (ex. il collocamento in un posto utile della graduatoria di un concorso pubblico, piuttosto che l'annullamento del bando di concorso che travolge l’intera procedura). 2. Radicalità del vizio, che dà priorità ai motivi che sul piano sociale - oggettivo fanno emergere l’illegittimità più grave e passano a considerare altri motivi meno gravi, anche se idonei a determinare l’annullamento del provvedimento, solo se vengono respinti primi. Effetti della sentenza di accoglimento La sentenza di accoglimento, produce 3 tipi di effetti: 1. Annullamento (o caducatorio) = ha efficacia ex tunc, ed elimina tutti gli effetti prodotti dall’atto medio tempore; dunque, l’annullamento ripristina la situazione di diritto, nel rapporto giuridico amministrativo tra amministrazione che esercita il potere e il titolare dell’interesse, preesistente all’emanazione dell’atto; inoltre, tale effetto può propagarsi e. Imezzi di impugnazione debbono essere esperiti entro un termine certo decorrente dalla pubblicazione/notificazione della sentenza (mezzi ordinari), oppure senza termine o con uno decorrente dal momento in cui la parte ha preso conoscenza del vizio (mezzi straordinari). Tra l’altro, i mezzi di impugnazione possono essere previsti non solo per le sentenze che definiscono in tutto in parte il giudizio, ma anche per altri tipi di provvedimenti del giudice, tra cui le ordinanze cautelari collegiali; inoltre, il Codice contiene una disciplina articolata di questi mezzi che in precedenza erano disciplinati in modo incompleto e le varie lacune sono state colmate solamente in via interpretativa dalla giurisprudenza amministrativa e anche dalla Corte costituzionale. Il Titolo III del Codice (impugnazioni) ricalca la struttura del codice di procedura civile, anteponendo la disciplina dei singoli mezzi di impugnazione alcune regole generali: in primo luogo, il Codice enuncia il principio di atipicità dei mezzi di impugnazione tramite un elenco tassativo riconosciuto dall’art.91 (appello, revocazione, opposizione di terzo e ricorso per Cassazione; il regolamento di competenza viene deciso dal Consiglio di Stato su istanza di parte o con ordinanza del TAR); in secondo luogo, così come avviene nel processo civile, il Codice pone una disciplina che si ispira alla direttiva dell’unità oggettiva e soggettiva del processo di impugnazione (persegue l’obiettivo di una tendenziale identità del processo di impugnazione rispetto al processo sfociato nella sentenza impugnata, sia per quanto riguarda le parti coinvolte, sia per quanto riguarda le questioni oggetto della cognizione: la causa è inscindibile quando nel giudizio concluso con la sentenza si è avuta una pluralità di parti intorno a un unico oggetto del processo, mentre è scindibile nel caso in cui l’unica sentenza si pronunci su una pluralità di ricorsi proposti in parallelo da una pluralità di ricorrenti che si ritrovano nella medesima posizione). La legittimazione a esperire il mezzo di impugnazione è legata alla soccombenza, senza la quale non sussiste un interesse processuale; infatti, essa consiste, per la parte ricorrente, nel rifiuto delle proprie domande, mentre per l’amministrazione resistente consiste nell’accoglimento parziale delle domande proposte dal ricorrente o nel rigetto delle proprie eccezioni e domande > può essere totale o parziale e, di fronte a domande o eccezioni incrociate, può essere reciproca (ex. impugnazione incidentale). L’unità oggettiva del processo di impugnazione è garantita in primo luogo dalla regola secondo la quale tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite realizzando così il simultaneus processus (art.96CPA: il giudice si fa carico della riunione che nel giudizio di impugnazione è obbligatoria). In questo contesto, rileva la c.d. impugnazione incidentale, cioè una forma di impugnazione che interviene una volta sia stata proposta la prima (principale) e gli altri soggetti soccombenti debbono utilizzare la forma incidentale, e dunque inserire la loro impugnazione all’interno del processo già aperto dalla prima; essa, si distingue in tempestiva o tardiva a seconda che l’impugnazione incidentale sia proposta prima o dopo la scadenza del termine ordinario di impugnazione e, rileva in modo diverso a seconda che si tratti di un appello incidentale proprio o improprio: a. Appello incidentale proprio = l’impugnazione tardiva mira garantire un termine congruo alla parte che lo propone ove l’appellante principale notifichi il proprio ricorso a ridosso della scadenza del termine ordinario di impugnazione; tuttavia, la sorte dell’impugnazione incidentale è legata a quella dell’appello principale perché l’interesse a ricorrere sorge in conseguenza della proposizione di quest’ultimo (= il carattere tempestivo/tardivo dell’impugnazione è irrilevante). b. Appello incidentale improprio = l’impugnazione tardiva ha la funzione specifica di garantire a ciascuna parte che se l’altro impugna la decisione che è a lei favorevole, essa può rimettere in discussione la decisione che le è sfavorevole; dunque, tale impugnazione è fondamentale perché se non fosse ammessa, le parti si vedrebbero costrette a proporre impugnazione in via tuzioristica, prima ancora di sapere con certezza se le altre parti La impugneranno o meno > se l’appello incidentale è proposto tardivamente esso segue la sorte dell’appello principale e pertanto l’inammissibilità di quest’ultimo determina l’inammissibilità del primo; invece, se l’appello incidentale è tempestivo, la sua sorte non è legata a quella dell’appello principale e quindi il giudice è tenuto in ogni caso a pronunciarsi. ello Il giudizio d’appello (artt.100ss.) attua il principio del doppio grado di giurisdizione enunciato dalla Costituzione (art.125c0.2) e si è realizzato con l’istituzione dei TAR nel 1971; in base alle classificazioni generali dei mezzi di impugnazione, l’appello ha le seguenti specificità: a Può essere proposto solo dalle parti del giudizio di primo grado = le parti legittimate a proporre appello sono quelle fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado (art.102co.1), secondo il criterio formale, cioè legato alle parti evocate nel giudizio di primo grado, e non sostanziale, nel senso che non include eventuali parti necessarie pretermesse nel giudizio di primo grado; inoltre, anche l’interventore può proporre appello se titolare di una posizione giuridica autonoma. La parte soccombente è tenuta a proporre l’appello entro i termini ordinari previsti peri mezzi di impugnazione (art.92), ma nel caso in cui sia stata emanata una sentenza non definitiva, che risolve cioè solo alcuni aspetti della controversia, la parte soccombente può rinviare la proposizione dell’appello a dopo l’emanazione della sentenza definitiva, ma deve notificare entro i termini la c.d. riserva facoltativa di appello (art.103). Investe un giudice sovraordinato = l’art.100CPA precisa che avverso le sentenze dei TAR è ammesso l’appello al Consiglio di Stato, con l’eccezione di quelli proposti nei confronti delle sentenze del TAR per la Sicilia per i quali è competente il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, anche se è un giudice sovraordinato. È a critica tendenzialmente libera = si intende che i motivi possono essere limitati e il giudice di appello ha il potere di conoscere e giudicare intorno allo stesso rapporto sostanziale controverso in primo grado, cioè del potere di decidere ciò che ha già deciso il giudice di primo grado > si manifesta il c.d. effetto devolutivo che determina la ri- emessione del giudizio di appello delle questioni trattate nel giudizio di primo grado (non è automatico, in quanto spetta alla parte appellante delimitare nei motivi di appello l'oggetto e le questioni da sottoporre all'esame del giudice). È strutturato in una sola fase rinnovatoria del giudizio finalizzata a un riesame integrale della controversia e all'emanazione di una nuova sentenza che si sostituisce a quella di primo grado = il giudice di appello risolve la controversia ed emana una sentenza che è simile quanto a possibili contenuti rispetto a quella emanata dal giudice di primo grado (l’appello è una impugnazione sostitutiva che di regola conduce una sentenza che ridefinisce integralmente la causa pendente, riproducendosi sullo stesso oggetto della sentenza di primo grado, sempre nei limiti dei motivi di appello); tuttavia, solo in casi tassativi, il Consiglio di Stato non si pronuncia sulla controversia, ma, rilevato un vizio della sentenza appellata, annulla la sentenza e rimette la causa al giudice di primo grado (art.105CPA, cioè: mancanza di contraddittorio, lesione del diritto di difesa, nullità della sentenza, riforma della sentenza dell’ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza, estinzione). Va proposto entro termini decorrenti dalla pubblicazione o dalla notificazione della sentenza. In questo contesto, l’appellante deve indicare nell’atto non solo la sentenza che si impugna, ma anche le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata (art.101), nel senso che il ricorso deve contenere una critica esplicita della sentenza, individuando gli errori commessi dal giudice di primo grado in relazione ai capi della stessa contestati (l'appello si atteggia come riesame della sentenza piuttosto che nuovo esame della controversia non mediato dalla sentenza). Anche la parte appellata concorre a definire i limiti della devoluzione e l’oggetto del giudizio di appello; infatti, essa può riproporre nel giudizio di appello le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado (art.101c0.2), ampliando così l’oggetto del giudizio di appello (ex. domanda proposta in via subordinata nel caso in cui sia stata accolta con la principale) > la riproposizione deve essere effettuata entro il termine di costituzione in giudizio, decorso il quale le domande e le eccezioni si intendono rinunciate (art.101c0.2), mentre quelle rigettate dalla sentenza devono essere riproposte sotto forma di appello incidentale che va a costituire una vera e propria impugnazione correlata alla soccombenza; inoltre, anche in questo processo vige il divieto di jus novorum, cioè che il principio coerente con il doppio grado di giurisdizione secondo cui l’appello è insieme continuazione della precedente fase e riesame critico di quanto si è già fatto (= non possono essere proposte nuove domande e nuove eccezioni, ma è consentito svolgere nuove argomentazioni tendenti ad evidenziare l’erroneità della sentenza gravata e ad illustrare ulteriormente il motivo di censura già articolato in primo grado), che però non vale per le eccezioni rilevabili d’ufficio (ex. tardività della notifica o del deposito del ricorso introduttivo, art.104). Nel giudizio di appello, di regola, non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti; le uniche eccezioni, tuttavia, sono costituite dai mezzi di prova e dai documenti che la parte dimostri di non aver potuto produrre o proporre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile e tutti quelli che il collegio ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa (art.104c0.3). Anche nel giudizio di appello è prevista una fase cautelare finalizzata alla sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado e all’adozione di altre opportune misure (art.98c0.2); essa è disciplinata quanto a presupposti (in particolare il pregiudizio grave ed irreparabile) e modalità in modo analogo alla fase cautelare nel giudizio di primo grado (art.98c0.2). La revocazione Un secondo mezzo di impugnazione previsto nel processo amministrativo è la revocazione, disciplinata dall’art.106co.1CPA tramite un rinvio agli artt.395-396c.p.c.; essa ha le seguenti specificità: a. È un mezzo di impugnazione a motivi limitati, tassativamente indicati negli artt.395- 396c.p.c. b. Va proposta innanzi allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza revocanda (art.106c0.2CPA). c._ È articolata in una fase discendente che ha per oggetto il motivo di revocazione che si conclude con la decisione della sentenza, in una fase rescissoria che ha per oggetto il rapporto sostanziale su cui si era pronunciata la sentenza impugnata e si conclude con una sentenza che decide nel merito della causa. d. Deve essere proposta entro il termine decorrente dalla pubblicazione o notificazione della sentenza, nei casi in cui il vizio sia palese (= conoscibile sin dal momento della pubblicazione della sentenza, c.d. revocazione ordinaria), oppure nel caso di vizi occulti (= conoscibili dalla parte solo in seguito all’emersione di fatti in precedenza non conosciuti, decorrente dalla scoperta del vizio, c.d. revocazione straordinaria nei casi di cui ai nn.1-2-3- 6 art.396c.p.c.). e. I motivi della revocazione sono tassativamente elencati nelle due disposizioni del Codice di procedura civile: dolo di una delle parti; prove riconosciute o dichiarate false; ritrovamento di documenti decisivi che non è stato possibile produrre in giudizio; errore di fatto (= svista o abbaglio dei sensi che ha provocato l’errata percezione del contenuto degli atti del giudizio, che abbia indotto il giudice a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere come un fatto documentalmente provato un fatto che invece documentalmente escluso o inesistente + deve riguardare un punto non controverso sul soggettivi e cronologici (art.2909c.c., secondo cui la sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa); invece qualora la situazione giuridica verta sull’interesse legittimo, il processo amministrativo si basa sulla lesione dello stesso ad opera di un provvedimento illegittimo (= il giudice amministrativo non opera una qualificazione dei fatti alla luce delle norme fissando in via diretta e autonoma la disciplina giuridica del rapporto, ma si limita ad appurare se il provvedimento impugnato ha fissato in modo corretto la regola del rapporto). Quanto alle sentenze di rigetto, è dubbio se esse diano luogo a un giudicato in senso proprio e se precludano al ricorrente la proposizione di un nuovo ricorso per motivi diversi da quelli già rigettati; inoltre, la questione, stante la perentorietà del termine di 60 giorni per la proposizione del ricorso, riveste un importanza essenzialmente teorica, ma, in ogni caso, dalla sentenza di rigetto non sorge alcun dovere in capo all’amministrazione di porre in essere un’attività esecutiva, piuttosto sorge una preclusione a esercitare il potere di annullamento d’ufficio in relazione ai vizi fatti valere nel ricorso e che la sentenza di rigetto ha ritenuto insussistenti. Infine, è bene dire che il processo amministrativo conosce anche il fenomeno del c.d. giudicato interno, il quale si forma quando una sentenza non definitiva che abbia pronunciato su questioni di rito o di merito non sia stata impugnata con la conseguenza che si determina una preclusione endoprocedimentale che impedisce allo stesso giudice di riesaminare la questione; invece, quanto al giudicato implicito, questo può formarsi in relazione alla questione di giurisdizione (art.9CPA), mentre il giudicato parziale si forma in base al principio espresso dall’art.329co.2c.p.c. secondo il quale l’impugnazione parziale comporta acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata > su di esse è precluso al giudice di appello di pronunciarsi. ettivi e cronologici del giudicato La sentenza di accoglimento del giudice amministrativo determina non soltanto un effetto di annullamento, ma anche altri due tipi di effetto: l’effetto ripristinatorio (= volto a riprodurre per quanto possibile lo stato di fatto e di diritto che si sarebbe verificato ove l’amministrazione non avesse emanato il provvedimento annullato) e l’effetto conformativo (o ordinatorio, rilevante soprattutto con riferimento agli interessi legittimi pretensivi, tendente a condizionare il successivo esercizio del potere da parte dell’amministrazione); infatti, essi concorrono a definire i limiti oggettivi del giudicato e vanno considerati come elementi del contenuto di accertamento della sentenza idonea a fare stato a ogni effetto tra le parti ai sensi dell’art.2909c.c. Il contenuto di accertamento della sentenza del giudice amministrativo, suscettibile di fare stato tra le parti, può essere più o meno ampio a seconda delle scelte processuali delle parti e del giudice: a. Il possibile contenuto di accertamento della sentenza è condizionato già dall’andamento del procedimento e dal contenuto del provvedimento impugnato = se il provvedimento è stato assunto all’esito di un’istruttoria completa con la partecipazione attiva dei soggetti interessati (= attraverso la presentazione di memorie e documenti) e dà conto in modo esaustivo dei fondamenti del potere esercitato dalle risultanze dell’istruttoria, il ricorrente è in grado di formulare una gamma più completa di motivi in modo tale da sottoporre al giudice un più ampio materiale di cognizione. b. L’individuazione dei motivi enucleati dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio condiziona l'ampiezza dell’oggetto del giudizio = l’omessa deduzione di uno o più profili di vizio restringe l’oggetto del giudizio e dunque l’oggetto del giudicato (in particolare per l’effetto conformativo). c. Il giudice amministrativo è tenuto a esaminare tutti i motivi di ricorso, senza operare il c.d. assorbimento improprio dei motivi che riduce il contenuto di accertamento della sentenza. Anche alle sentenze del giudice amministrativo si applica la regola secondo la quale il giudicato vale solo tra le parti, i successori e gli aventi causa (art.2909c.c., c.d. limiti soggettivi); infatti, è da tempo che è stata superata la tesi secondo cui il giudicato amministrativo abbia efficacia erga omnes, la quale trovava giustificazione nella concezione oggettiva della giurisdizione amministrativa, secondo la quale quest’ultima è finalizzata, più che alla tutela della situazione giuridica fatta valere in giudizio, al ripristino della legalità violata > in generale, da una sentenza di annullamento pronunciata a favore di un ricorrente non possono trarre beneficio altri soggetti che pur si trovano in una situazione identica a quella del ricorrente, ma che non abbiano proposto ricorso autonomo nel termine decadenziale. Il principio secondo il quale il giudicato vale solo inter partes incontra alcune eccezioni in relazione all’inscindibilità degli effetti del provvedimento impugnato o dell’inscindibilità del vizio dedotto che sono state individuate via via della giurisprudenza; infatti, i principali casi di sentenze che producono effetti ultra partes individuati dalla giurisprudenza hanno per oggetto l'annullamento dei seguenti tipi di atti: a. Regolamenti o atti generali. b. Atti plurimi inscindibili (ex. decreto di espropriazione di un bene in comunione tra più proprietari). c. Atti plurimi scindibili ove il ricorso viene accolto per un vizio comune alla posizione di tutti i destinatari (ex. decreto di approvazione di una graduatoria di un concorso travolto per un vizio del bando). d. Atti che provvedono in modo unitario nei confronti di un complesso di soggetti (ex. decreto di scioglimento di un consiglio comunale). Quanto ai limiti cronologici del giudicato, questi riguardano le sopravvenienze di fatto e di diritto e sollevano la questione di come operare una composizione tra interessi opposti: quello del ricorrente nei confronti del quale la sentenza che ha riconosciuto fondate le sue ragioni rischia di perdere ogni utilità e quello dell’amministrazione che in sede di nuovo esercizio del potere deve tener conto, al fine della miglior cura dell’interesse pubblico, del quadro fattuale e normativo esistente in quel momento + la giurisprudenza ritiene che possano essere considerate rilevanti ai fini dell’esercizio del potere soltanto le sopravvenienze intervenute prima del passaggio in giudicato o della notifica della sentenza di annullamento; peraltro, le statuizione della sentenza coperta dal giudicato sono insensibili alle sopravvenienze solo nel caso in cui riconoscono diritti puntuali, suscettibili di un’unica attuazione in relazione ai quali il giudice può agevolmente determinare lo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sentenza; invece, se la sentenza riconosce l’esistenza di diritti a prestazioni a carattere periodico, essa non può disporre per il futuro, affermando l’insensibilità di riconoscimento del diritto qualsiasi modifica, così precludendo la possibilità di modifiche normative (in realtà la rilevanza delle sopravvenienze è giustificata per il fatto che esse determinano una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica medesima). La tutela esecutiva nei confronti della PA In termini generali, la tutela giurisdizionale esecutiva può essere prevista in forme indirette, consistenti misure coercitive (sanzioni di natura civile e penale), oppure dirette, consistenti nella sostituzione dell’inattività dell’obbligato con l’attività dell’ufficio esecutivo che attua ciò che la parte soccombente in giudizio avrebbe dovuto fare e non ha fatto. In questo contesto, il Codice di procedura civile contiene, nel Libro III, una disciplina articolata del processo di esecuzione incentrata essenzialmente su 3 tecniche di tutela esecutiva diretta: l’espropriazione forzata in relazione ai crediti in danaro; l’esecuzione per consegna o rilascio relativo al trasferimento del possesso su beni mobili e immobili; l'esecuzione forzata di obblighi di fare fungibili e di non fare. La tutela esecutiva nei confronti della PA solleva però un problema specifico: nelle controversie tra soggetti privati, il giudice, espressione di uno dei poteri dello Stato, attribuisce il torto e la ragione a due soggetti privati; invece, nelle controversie ove è una parte la PA, queste involgono due poteri dello Stato (potere giudiziario e potere esecutivo), che in base al principio della separazione dei poteri, godono tendenzialmente di ambiti e prerogative proprie + il nostro ordinamento si è mosso sin dall’inizio lungo la direttrice di privilegiare il c.d. giudizio di ottemperanza che garantisce un livello elevato di effettività consentendo al giudice (o al suo delegato) di adottare alcune misure di tipo sostitutivo anche laddove residuano in capo all’amministrazione spazi di discrezionalità. Il Codice dedica al giudizio di ottemperanza il Titolo I del Libro IV (artt.112ss.) che disciplina anche i riti speciali; rispetto al quadro normativo precedente, il Codice valorizza il giudizio di ottemperanza, in particolare prevedendo ulteriori casi nei quali il ricorso è esperibile, prevedendo che in esso possono essere proposte anche alcune azioni di condanna, ampliando la tipologia delle misure che il giudice può disporre; inoltre, il Codice instaura anche un nesso più stretto tra giudizio di cognizione e giudizio di esecuzione poiché in caso di accoglimento del ricorso il giudice può disporre subito anche le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato, imponendo all’amministrazione modalità più precise su come eseguire la sentenza (art.34co.1, lett.e) 3 in ogni caso, il giudizio di ottemperanza si atteggia in modo diverso a seconda che si tratti di sentenze emesse dal giudice ordinario o dal giudice amministrativo. Le sentenze del giudice ordinario Nel caso delle sentenze del giudice ordinario, il giudizio di ottemperanza costituisce rimedio specifico per rendere effettivo l’obbligo di conformarsi al giudicato posto dall’art.4c0.2, 1.2248/1865, allegato E, cioè di rimuovere l’atto amministrativo illegittimo. Il giudizio di ottemperanza previsto dall’art.112c0.2, lett.c CPA costituisce un rimedio che si aggiunge ed integra gli ordinari strumenti esecutivi previsti nel Libro III del Codice di procedura civile; infatti, per l'esecuzione delle sentenze civili di condanna aventi per oggetto il pagamento di somme di denaro o altre prestazioni specifiche, sono azionabili rimedi esecutivi ordinari; tuttavia, l’ordinamento prevede a favore della PA norme speciali e deroghe al diritto comune (ex. divieti di pignoramento di somme di denaro aventi destinazioni particolari) e comunque in molti casi l’esecuzione della sentenza del giudice ordinario richiede da parte dell’amministrazione l'adozione di provvedimenti amministrativi + in questi casi gli strumenti dell’esecuzione civile si rivelano inidonei a garantire l'attuazione del giudicato a causa dei limiti che gravano sul giudice ordinario, motivo per il quale è sorta la necessità di ammettere il giudizio di ottemperanza che consente al giudice amministrativo, direttamente o tramite un commissario ad acta, di porre in essere, in luogo dell’amministrazione, gli adempimenti e gli atti necessari per soddisfare le pretese della parte privata. In definitiva, con riguardo alle sentenze del giudice ordinario, esecuzione civile e giudizio di ottemperanza operano in concorso per realizzare un sistema di doppia tutela; infatti, il giudizio di ottemperanza è un rimedio esecutivo facoltativo che integra e completa la tutela esecutiva offerta dal giudice ordinario e che non può essere sospettata di incostituzionalità. In ogni caso, presupposto indispensabile per poter instaurare il giudizio di ottemperanza è che la sentenza del giudice ordinario sia passata in giudicato; tuttavia, la Corte costituzionale ha ritenuto che rientra comunque nella discrezionalità del legislatore la mancata previsione di questo rimedio nei confronti delle sentenze esecutive, ancorché non passata in giudicato. Le sentenze del giudice amministrativo Per quanto riguarda le sentenze del giudice amministrativo, esse devono trattarsi di sentenze di accoglimento delle diverse tipologie di azioni proponibili nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità o nell’ambito della giurisdizione esclusiva (ex. annullamento di provvedimenti amministrativi); peraltro, non necessitano di un giudizio di ottemperanza le sentenze di annullamento autoapplicative (= immediatamente satisfattive della pretesa del ricorrente che non richiedono alcuna attività esecutiva da parte dell’amministrazione soccombente), perché queste determinano soltanto un effetto preclusivo, in quanto l’amministrazione non può emanare un nuovo provvedimento con lo stesso contenuto sulla base dei medesimi presupposti giustificativi del provvedimento annullato. b. Emanare una sentenza che si limita a reiterare l’ordine all’amministrazione di dare esecuzione alla sentenza, fissando un termine per provvedere. c. Fissare una nuova udienza al fine di valutare il comportamento dell’ amministrazione e, nel caso in cui questo non abbia ottemperato in modo compiuto, assumere i provvedimenti sostitutivi necessari. d. Dichiarare nulli gli eventuali atti assunti in violazione o elusione del giudicato o li può dichiarare inefficaci nel caso in cui il giudizio ha ad oggetto una sentenza non passata in giudicato (art.114co.4, lett.b-c, il giudice è investito di giurisdizione esclusiva). e. Condannare la parte inadempiente al pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione (c.d. astreintes, art.114co.4, lett.e), ma viene emanata solo su richiesta di parte nei casi in cui non sia manifestamente iniqua. Quanto alle modalità di esercizio del potere sostitutivo, il giudice dell’ottemperanza può emanare direttamente gli atti necessari per eseguire il giudicato, oppure nominare un commissario ad acta (art.114co.3, lett.d), che può avvenire già con la sentenza che definisce il giudizio di cognizione (art.34co.1, lett.e): per un verso, il commissario è un delegato (ausiliario) del giudice e opera come Alter Ego di quest’ultimo; per altro verso, invece, il commissario svolge una funzione sostanzialmente amministrativa > l’art.21CPA lo definisce come un ausiliario del giudice al quale si applicano anche le regole sulla ricusazione poste dall’art.51c.p.c. e, in quanto delegato del giudice, deve attenersi alle indicazioni fornite nella sentenza emanata dallo stesso e svolge la propria funzione sotto il suo controllo immanente. Il Codice contiene poi la disciplina sull’impugnazione degli atti posti in essere dal commissario ad acta, distinguendo tra le contestazioni sollevate dalle parti nei cui confronti è stata emanata la sentenza da eseguire e dai soggetti estranei al giudicato: le prime possono proporre reclamo esclusivamente al giudice dell’ottemperanza, mentre i secondi possono proporre impugnazione innanzi al giudice amministrativo nell’ambito di un giudizio di cognizione ordinario. Cenni ad altre forme di tutela esecutiva Forme speciali di tutele esecutive sono poi previste per alcune fattispecie particolari: a. Controversie relative al silenzio della PA = il giudice, in caso di accoglimento del ricorso, ordina all’amministrazione di provvedere entro un termine non superiore a 30 giorni e nomina un commissario ad acta, la cui nomina può essere richiesta anche successivamente con istanza presentata dalla parte interessata. b. Tutela cautelare = il Codice contiene una disposizione sull’esecuzione delle ordinanze (art.59), che attribuisce al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza; in particolare, il giudice può disporre le opportune disposizioni attuative, indicandone le modalità e nominando un commissario ad acta. c. Domanda di risarcimento del danno = il Codice consente al giudice amministrativo di limitarsi ad accertare positivamente l’an debeatur, definendo soltanto i criteri per la quantificazione del danno da parte dell’amministrazione e, in caso di mancato accordo con l’interessato è esperibile un ricorso al giudice dell’ottemperanza che provvede a liquidare il danno in sostituzione dell’ amministrazione (art.34c0.4). Il processo innanzi al giudice ordinario Il processo innanzi al giudice ordinario è ancora oggi disciplinato nelle sue caratteristiche fondamentali dalla 1.2248/1865, AI1.E; in particolare, l’art.2 traccia i limiti esterni della giurisdizione del giudice ordinario, incentrata sulla tutela dei diritti soggettivi, mentre gli artt.4-5 segnano i limiti interni del potere del giudice, in particolare il divieto di annullamento degli atti amministrativi (= questi limiti valgono esclusivamente con riferimento alle funzioni e ai poteri attribuiti dalla legge alla PA per la cura di interessi pubblici e non per la sua attività di tipo meramente materiale, cioè i comportamenti non riconducibili neppure mediatamente all’esercizio di un potere, da qualificare in termini di liceità o illiceità) 3 la ratio di questa legge è il frutto di un bilanciamento tra l'esigenza di garantire una tutela piena ed effettiva dei diritti soggettivi anche nei confronti della PA e la necessità di tutelare le prerogative di quest’ultima (potere esecutivo), anche di fronte al potere giudiziario. Inizialmente vennero ritenuti ammissibili soltanto 2 tipi di sentenze: quella di mero accertamento del diritto soggettivo (= non possono avere incidenza sul potere, incluse quelle relative alla nullità degli atti amministrativi e quelle relative all’accertamento della natura demaniale di un bene) e quelle di condanna al pagamento di somme di denaro (ex. in relazione all’inadempimento di obblighi contrattuali o al risarcimento del danno), per le quali si ritenne che trattandosi di questioni meramente patrimoniali, la condanna non incidesse in alcun modo sull’attività amministrativa discrezionale, ma traesse soltanto le conseguenze della illegittimità di quest’ultima. La tipologia di azioni e di sentenze In più occasioni, il legislatore ordinario ha attribuito espressamente al giudice ordinario in materia specifica il potere di emanare sentenze in deroga agli artt.4-5, 1.2248/1865, AI1.E (ex. il giudice ordinario può annullare l’ordinanza di ingiunzione che irroga una sanzione amministrativa pecuniaria, oppure può modificare l’entità della sanzione); tuttavia, al di fuori di questi casi di deroga legislativa espressa, più problematico è il potere del giudice ordinario di emanare sentenze costitutive di condanna a un facere specifico dell’amministrazione, che sembrano ricadere nel divieto posto dall’art.4 > la giurisprudenza ha affermato, dunque, che i limiti posti dall’articolo possono trovare applicazione solo ove la pronuncia del giudice amministrativo incide in via immediata e diretta su poteri amministrativi in senso proprio conferiti dalla legge; in base a questo criterio, quindi, il giudice ordinario può, ad esempio, emanare sentenze costitutive per l’adempimento coattivo di un contratto preliminare in presenza di un rifiuto dell’amministrazione a stipulare il contratto definitivo. Oltre ad ammettere le sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro, la giurisprudenza ha riconosciuto poi la possibilità di condannare la PA a un facere specifico laddove l’attività da realizzare si sostanza in comportamenti materiali non collegati in via diretta, né in via indiretta all’esercizio di un potere (ex. il giudice ordinario può condannare una PA ad eseguire opere di manutenzione o di sistemazione di una strada o di un suolo pubblico in modo da prevenire danni a carico di un soggetto privato e giacché la domanda non investe scelte di atti autoritativi dell’amministrazione ma un’attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere). Inoltre, il giudice può inibire immissioni che superano la normale tollerabilità a danno del proprietario di un fondo da un fondo vicino (art.844c.c., ex. i proprietari di un’abitazione situata sul terreno confinante in una scuola elementare e dell’infanzia possono ottenere dal giudice ordinario una sentenza inibitoria che limiti entro orari prestabiliti il gioco e la presenza nell’aria esterna all’edificio scolastico); tra l’altro, lo stesso criterio consente di risolvere la questione dell’esperibilità delle azioni possessorie (di reintegrazione e di manutenzione, artt.1168ss. c.c.; è ormai consolidato il principio secondo il quale esse sono esperibili davanti al giudice ordinario nei confronti della PA quando il comportamento della medesima non si ricollega ad un formale provvedimento amministrativo, ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale, non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali) e delle azioni cautelari (art.700c.c. o il sequestro giudiziale e conservativo). La disapplicazione Il potere di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi è attribuito al giudice ordinario dall’art.5, 1.2248/1865, AII.E, secondo il quale le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi e regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi; ciò vale sia nell’ipotesi disciplinata dall’art.4, cioè quella del diritto leso da un provvedimento amministrativo in relazione al quale il giudice si limita a conoscere gli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, sia come precisa l’art.5 in ogni altro caso, cioè quando il provvedimento non esplica i suoi effetti in modo diretto nella sfera giuridica del privato. Sulla base di ciò, secondo alcune ricostruzioni la disapplicazione principale opererebbe nel caso di provvedimento nullo; in realtà l’atto nullo non produce alcun effetto e dunque non è rinvenibile alcun effetto da far venir meno, che riguarda la sfera giuridica del destinatario diretto, attraverso la disapplicazione; ancora, una fattispecie di disapplicazione principale può riguardare i provvedimenti che incidono su diritti fondamentali non degradabili (= il giudice ordinario opera un sindacato diretto sull’atto emanato e, se ne accerta l’illegittimità, risolve la controversia non tenendo conto ai fini della decisione). Maggior rilievo teorico e pratico ha poi la disapplicazione incidentale che interviene nell’ipotesi in cui nella catena delle questioni che il giudice ordinario deve risolvere per decidere una controversia, vi è anche la questione di legittimità di un provvedimento amministrativo (= il provvedimento viene in rilievo non come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì quale mero antecedente teologico, sicché la questione della sua legittimità si prospetti con il pregiudiziale in senso tecnico e non come principale); in generale, essa può essere disposta dal giudice nel contesto di controversie instaurate tra soggetti privati e più precisamente quando l’uno faccia valere una pretesa fondata su un atto amministrativo o sul regolamento, e l’altra si difende eccependo l’invalidità di tali atti; a questo punto, il giudice ordinario per risolvere la controversia accerta in via pregiudiziale- incidentale se gli atti in questione siano legittimi o illegittimi (nell’ultimo caso dovrà decidere la controversia ricostruendo il modo di essere del rapporto giuridico senza tener conto del provvedimento) > una fattispecie è prevista per legge nelle controversie relative al pubblico impiego privatizzato devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, le quali possono riguardare l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali, l'indennità di fine rapporto; invece, è discusso se costituisca un caso di disapplicazione incidentale il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità (art.650c.p.). La disapplicazione, in sintesi, presuppone che il giudice sia tenuto a prendere in considerazione l’atto, e nel caso in cui accerti la sua illegittimità, decidere il caso senza tener conto degli effetti da esso prodotto (ex. caso di una controversia relativa alla tariffa di erogazione dell’acqua contestata dall’utente al gestore del servizio in cui il giudice può disapplicare l’atto amministrativo generale che la determina ove la ritenga illegittima). I giudici speciali La Corte di Conti L’art.100co.2Cost. include la Corte dei conti tra gli organi ausiliari dello Stato e le attribuisce funzioni di controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo, di controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato e di controllo sulla gestione finanziaria degli enti ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria. Ad esso è garantita l'indipendenza di fronte al governo (co.3), che è assicurata da un Consiglio di presidenza con funzione di organo di autogoverno; inoltre, accanto alle funzioni di controllo, la Corte dei conti esercita funzioni propriamente giurisdizionali nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge, mentre il processo dinanzi a questo è disciplinato dal Codice della giustizia contabile approvato con d.lgs.174/2016. Per quanto riguarda il giudizio in materia di responsabilità amministrativa e contabile a carico dei dipendenti pubblici che nell’esercizio delle loro funzioni abbiano causato con dolo o colpa grave un danno all’erario, trattandosi di un danno pubblico, il giudizio è promosso dalla procura regionale della Corte dei conti nel termine di prescrizione di 5 anni (art.66c0.1CPA) all’esito di un’istruttoria aperta d’ufficio o in seguito ad esposti e denunce (quelle dei privati, contenente la notizia di danno, devono essere specifiche, concrete e non riferibili a fatti ipotetici e indifferenziati). Prima di emettere il decreto di citazione in giudizio, il procuratore notifica al presunto responsabile Questo ricorso va presentato entro 120 giorni dalla data di notificazione o comunicazione dell’atto ed è costruito come un rimedio generale, parallelo e alternativo rispetto al ricorso giurisdizionale: a. Generale = può essere proposto nei confronti di tutti gli atti amministrativi definitivi (= atti per i quali non è più possibile proporre ricorso ordinario gerarchico), esclusi i provvedimenti in materia di procedure per l’assegnazione di contratti pubblici e di operazioni elettorali. b. Parallelo = offre una tutela molto simile a quella giurisdizionale. c. Alternativo = al ricorrente, una volta proposto il ricorso giurisdizionale, non è ammesso il ricorso straordinario e viceversa. Il principio di alternatività comporta altresì che ove sia proposto ricorso straordinario contro un atto presupposto esso deve essere proposto anche nei confronti dell’atto emanato successivamente e legato al primo da un rapporto di presupposizione, pregiudizialità o dipendenza e non può essere scelta invece la via del ricorso giurisdizionale e ciò al fine di evitare il frazionamento della tutela. Il ricorso straordinario può essere esperito esclusivamente per motivi di legittimità (art.8c0.1), deve essere notificato ad almeno un contro interessato e deve essere presentato con la prova dell’eseguita notificazione all'organo che emanato l’atto o al ministero competente; in esso può essere poi formulata una domanda di sospensione cautelare dell’atto impugnato e sono previste adeguate garanzie del contraddittorio. Il ministero competente cura l’istruttoria e trasmette tutti gli atti al Consiglio di Stato che esprime il suo parere, emesso da una sezione consultiva o dall’adunanza generale o da commissioni speciali, ma non è prevista udienza di discussione + il parere del Consiglio di Stato è vincolante, nel senso che non può essere superato con una delibera motivata del Consiglio dei Ministri; infine, la decisione finale è adottata con decreto dal presidente della Repubblica su proposta del Ministro competente. Quanto alla tipologia di decisioni, accanto all’annullamento del provvedimento impugnato, può essere disposta la condanna al rilascio del provvedimento richiesto, ma non possono essere emanate pronunce dichiarative di pretese patrimoniali e di condanna al risarcimento del danno che presupporrebbero un’assimilazione ancora più piena di ricorso straordinario a un rimedio giurisdizionale; inoltre, sempre in base alla 1.69/2009, il Consiglio di Stato in sede di esame del ricorso straordinario può sospendere l’emanazione del parere e rimettere alla Corte costituzionale una questione di costituzionalità ritenuta rilevante e non manifestamente infondata (art.69c0.1). La parte contro la quale è rivolto il ricorso straordinario (amministrazione resistente o contro interessato) può proporre opposizione entro 60 giorni chiedendo che il ricorso sia trasposto nella sede giurisdizionale, innanzi al TAR competente (art.10), recuperando in questo modo anche il doppio grado di giurisdizione; a questo punto, il ricorrente, entro 60 giorni dal ricevimento dell’atto di opposizione, può depositare l’atto di costituzione innanzi al TAR dandone avviso mediante notificazione alle parti; invece, nel caso in cui in sede di ricorso straordinario sia stata emessa una pronuncia cautelare, essa perde di efficacia dopo 60 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione in giudizio, ma il ricorrente può proporre l’istanza cautelare innanzi al TAR, il quale se ritiene inammissibile l'opposizione, dispone la restituzione del fascicolo per la proposizione del giudizio in sede straordinaria + i decreti che decidono i ricorsi straordinari possono essere impugnati con ricorso per Cassazione per motivi di giurisdizione e con ricorso per revocazione ai sensi dell’art.395c.p.c. In definitiva, questo ricorso è stato valorizzato dal legislatore dalla giurisprudenza soprattutto per il fatto di poter essere presentato entro un termine più lungo di quello del ricorso giurisdizionale, per essere meno costoso, non essendo richiesta la difesa tecnica di un avvocato, ed investendo direttamente al Consiglio di Stato, senza che sia necessario sottoporre la controversia ad un giudice di primo grado. Altri rimedi di tipo non giurisdizionale Il legislatore ha poi introdotto alcuni rimedi di tipo non giurisdizionale che si attivano innanzi alle PA e in particolare alle autorità amministrative indipendenti, tendendo a deflazionare il contenzioso di competenza in alcuni casi del giudice amministrativo, più frequentemente del giudice ordinario. In materia di diritto di accesso ai documenti amministrativi, l’art.25c0.4, 1.241/1990 prevede, come alternativa al ricorso giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo contro il diniego di accesso di cui all’art.116CPA, la possibilità di un ricorso al difensore civico o, per le amministrazioni statali, alla commissione per l’accesso ai documenti amministrativi regolata dalla stesse legge > il ricorso va proposto nel termine di 30 giorni e deve essere deciso entro ulteriori 30 giorni, decorsi i quali si intende respinto; ove il diniego di accesso sia ritenuto illegittimo, il difensore civico o la commissione ne informano il richiedente e lo comunicano all’autorità alla quale è stata presentata in origine l’istanza di accesso che può confermare il diniego entro 30 giorni motivando, ma se non si pronuncia l’accesso è consentito; contro la decisione assunta in relazione al ricorso è ammesso il ricorso giurisdizionale. Rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale del giudice amministrativo e dell’ordinario sono poi previsti dal codice dei contratti (artt.205ss.): 1. Parere di precontenzioso dell’ ANAC = è volto a prevenire il contenzioso in sede giurisdizionale amministrativa, e avviene su iniziativa della stazione appaltante o di una delle parti in relazione a questioni insorte durante lo svolgimento della procedura di gara (art.211); ove le parti si siano obbligate ad attenersi al parere, assunto entro 30 giorni all’esito di un contraddittorio, il parere acquista carattere vincolante, ma può essere impugnato innanzi al giudice amministrativo. 2. Accordo bonario = può essere promosso per poter risolvere controversie che sorgono tra l’impresa e la stazione appaltante nella fase di esecuzione del contratto, soprattutto per quanto riguarda i Lavori Pubblici (art.205); le contestazioni dell’impresa formalizzate per iscritto sono comunicate dal direttore dei lavori al responsabile unico del procedimento che valuta l’ammissibilità e la non manifesta infondatezza della pretesa, svolge un’istruttoria, eventualmente incaricando un esperto di formulare una proposta di accordo bonario che, se viene accettato, viene redatto un verbale che ha natura di transazione, altrimenti può essere instaurato un contenzioso innanzi al giudice ordinario che avvia un arbitrato. 3. Arbitrato = è previsto per le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei contratti (art.209) > la clausola compromissoria può essere inserita nel contratto e deve essere menzionata nel bando/avviso di gara; il Collegio arbitrale è composto da 3 membri nominati dalla Camera arbitrale per i contratti pubblici istituita presso l’ Autorità nazionale anticorruzione e il lodo arbitrale è depositato presso la Camera e può essere impugnato dinanzi al giudice ordinario nel termine di 90 giorni per motivi di nullità o per violazione delle regole di diritto. 4. Ricorsi innanzi alle autorità indipendenti = rimedi non giurisdizionali sono poi attivabili presso autorità indipendenti preposte a settori regolati e a servizi pubblici, le quali hanno il compito di esaminare i reclami e ricorsi proposti da utenti o clienti nei confronti delle imprese che erogano i servizi che hanno per oggetto errori nella fatturazione, ritardi nell’attivazione di servizi e altri inadempimenti contrattuali 3 questi rimedi mirano a prevenire contenziosi da instaurare dinanzi a un giudice ordinario e in genere sono preceduti da reclami da proporre direttamente alle imprese che erogano il servizio. 5. Arbitro bancario finanziario = è un sistema di risoluzione delle controversie tra clienti e istituti di credito a livello bancario, allo scopo di prevenire l’instaurazione di controversie innanzi al giudice ordinario; il sistema fa capo all’Arbitro bancario finanziario che opera con 7 collegi giudicanti distribuiti sul territorio nazionale che si avvalgono di una segreteria tecnica messa a disposizione dalla Banca d’Italia presso le proprie sedi.
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