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Gli archetipi dell'inconscio, Appunti di Filosofia Teoretica

Cos'è l'archetipo? scarica e scoprilo!

Tipologia: Appunti

2014/2015

Caricato il 05/09/2015

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Scarica Gli archetipi dell'inconscio e più Appunti in PDF di Filosofia Teoretica solo su Docsity! Gli archetipi dell’inconscio collettivo Carl G. Jung (integrati con appunti di lezione prof. Bonvecchio) L’ INCONSCIO è una situazione incontrollabile che in qualsiasi momento può straripare ed impadronirsi delle persone. La vita è infatti dominata per ¼ dal conscio e per i restanti ¾ dall’inconscio, un mondo misterioso che sfugge al nostro controllo e di cui noi siamo agenti inconsapevoli, ma la cui dimensione si attiene alla nostra vita. Più nel dettaglio possiamo concepire l’ INCONSCIO come una sorta di “magazzino” sia PERSONALE cheCOLLETTIVO. INCONSCIO PERSONALE È un deposito personale (riguarda la nostra vita), in cui si ripone ciò che non si è voluto portare con sé: situazioni rimosse della nostra infanzia. Si manifesta nell’insicurezza (timidezza o aggressività) o tramite il sogno, in quanto lì non ha né vincoli né limiti o cesure sulla nostra vita. I propri contenuti sono i COMPLESSI. Questo concetto è anche la filosofia ed il pensiero di Freud, che indica appunto col termine INCONSCIO, la situazione di contenuti dimenticati o rimossi. In questo modo si conferisce però all’ INCONSCIO una natura esclusivamente PERSONALE! In realtà possiamo vedere l’ INCONSCIO come un qualcosa a “strati”: quello più superficiale è PERSONALE, quello più profondo (che non deriva da esperienze o acquisizioni personali - è cioè innato -) è il cosiddettoINCONSCIO COLLETTIVO. INCONSCIO COLLETTIVO Luogo in viene immagazzinato il vissuto dell’umanità che non è immediatamente conscio. È definito “collettivo” perché costituisce un “substrato” psichico che ha contenuti e comportamenti che sono uguali per tutti gli individui: è cioè innato, di natura soprannaturale ed ereditaria. Riguarda gruppi sociali ma anche la nostra vita e si manifesta in maniera simbolica. Come si riconosce l’esistenza psichica dell’inconscio collettivo? Semplicemente perché i propri contenutisono poi in grado di divenire consci. Quindi si può parlare di “inconscio” solo quando siamo in grado di indicarne i CONTENUTI, ovverosia gli ARCHETIPI. ARCHETIPI: La parola ARCHETIPO ha origini antichissime ed è formata da due termini: 1. Immagine preesistente! Arché = principio, origine 1. Typos = forma, immagine I Contenuti dell’inconscio collettivo sono quindi gli ARCHETIPI, ovvero immagini primordiali di comportamenti. Queste “immagini primordiali” sarebbero altresì “autoctone”, capaci cioè di generarsi per forza autonoma, percepibili dalla coscienza, ma provenienti da una matrice inconscia comune a tutti i popoli, senza distinzioni di tempo né di luogo. Noi abbiamo strutture di comportamento identiche perché tutti passiamo dall’infanzia all’adolescenza. È fisiologico ma è presente anche a livello psichico. Il passaggio da infanzia ad adolescenza ha delle caratteristiche ben precise: rifiuto del mondo precedente, disagio nei confronti dei propri genitori. Questo passaggio è una morte simbolica, come se si passasse da un mondo ad un altro. Ma non tutti però sono in grado di lasciarsi “morire” ossia di “lasciarsi andare”. Da qui l’archetipo dell’Eroe: una persona in grado di morire tranquillamente per consentire la propria rinascita. È costante in tutti gli esseri viventi ma diverso in ciascuno. Una struttura formale in cui ci sono i nostri problemi di coraggio, di “lasciarsi andare”. In merito ai contenuti dell’inconscio collettivo, abbiamo detto che si riferiscono a immagini comuni fin dai tempi remoti. L’espressione “représentations collectives” che viene usata per designare le figure simboliche delle prime visioni del mondo, si potrebbe usare senza difficoltà per i contenuti inconsci, poiché riguarda quasi la stessa cosa. Le “dottrine primitive delle origini” per esempio, trattano gli archetipi in speciali accezioni : queste, attraverso “dottrine segrete”, trasmettono e tramandano i contenuti dell’inconscio collettivo, in una forma già ELABORATA dal conscio. Simile cosa accade anche per un’altra e ben nota espressione degli archetipi, ossia il MITO e la FAVOLA. Anche qui si tratta di credette che ciò stava accadendo a causa della perdita del loro significato. Ma la domanda da porsi è se effettivamente avessero mai avuto un significato o se invece nessuno avesse mai avuto la più pallida idea di che cosa fossero. Dato che le immagini archetipiche sono così cariche di significato, nessuno ha mai avuto la necessità di riflettere su cosa realmente potevano voler dire; di conseguenza l’uomo ha fatto un’importante scoperta: che alle proprie immagini non ha riflettuto affatto. Il problema sorge a questo punto. Le immagini sacre si sgretolano, il Cristianesimo perde il suo potere e l’uomo che non si accontenta di simboli e dogmi orientali perché non ne è il legittimo erede, brancola nel buio più completo. Cerca di riempire il suo vuoto interiore con ideologie di ogni genere, dalle sociali alle politiche, senza per altro colmare il baratro. Si aggrappa ai beni materiali di ogni tipo senza provare alcuna soddisfazione e infine lascia che lo spirito si trasformi da “fuoco” in “acqua”, che sprofondi nell’oscurità interiore e che l’intelletto, la mente, prenda il suo posto. L’acqua è il simbolo più corrente dell’inconscio ovvero qualcosa che giace al di sotto della coscienza, identificato anche come subconscio. Psicologicamente l’acqua significa “spirito divenuto inconscio”. Chi guarda nello specchio dell’acqua, vede per prima cosa l’immagine di sé stesso e andare verso sé stessi presuppone un incontro con sé stessi. È una prova di coraggio non indifferente dato che questo incontro è una delle esperienze più sgradevoli per l’uomo ma, se si riuscisse a farlo, si sarebbe per lo meno riusciti a far affiorare l’inconscio personale. Quest’ultimo però non è così comprensibile se non ci poniamo in un ottica più ampia: dobbiamo prestare attenzione a quelle che sono le basi su cui poggia e cioè l’inconscio collettivo. Poiché l’uomo moderno conosce molto poco di sé, rimane molto spazio per l’inconscio ma dobbiamo imparare a conoscere noi stessi se vogliamo sapere chi siamo. Se oltre a specchiarsi nel lago però, si vuole andare più a fondo, se ci si vuole immergere nelle acque della profonda sorgente, ecco che si spalanca una vastità senza confine in cui è sospesa ogni vita, dove l’anima di tutto ciò che è vivo si incontra, dove l’io è inseparabilmente questo e quello, dove ci si sente collegati con il mondo intero e ci si “perde in sé stessi”. Questo è il pericolo primigenio, la paura dell’uomo che un’ondata dell’inconscio lo travolga, che faccia cose inconsce nelle quali non ci si riconosce. Per questo gli sforzi dell’umanità sono stati sempre rivolti al consolidamento di una coscienza tramite la quale costruire delle muraglie per arginare l’inconscio. Queste muraglie, innalzate sin dalle epoche più lontane, divennero poi i fondamenti della Chiesa e sono le stesse che crollano quando i simboli invecchiano. Finché si parla di coscienza, l’uomo si sente artefice, pensa riflette e agisce. Ma quando si parla di inconsciosi sente impotente e insufficiente, sa che il pericolo maggiore che lo minaccia sta nel non poter prevedere le reazioni della psiche. Sappiamo oggi che gli dei sono archetipi dell’inconscio e lo sappiamo semplicemente perché, da quando questi sono impalliditi assieme ai loro simboli, abbiamo dovuto spiegare diversamente il mistero dell’anima. Prendersi cura dell’inconscio è quindi una questione vitale: essere spiritualmente o non essere. Tra l’altro, la complessità dell’anima, è aumentata con la despiritualizzazione della natura. Ciò significa che eventi naturali, non più simboli archetipici, hanno dovuto essere spiegati e giustificati diversamente o semplicemente rinominati da termini nuovi. Per esempio la conturbante “ondina” (sirena) che nuota nelle acque del lago e talvolta rimane intrappolata nella rete del pescatore, viene definita da Jung come Anima. Ora dobbiamo fare una distinzione tra “anima”, che è la parte vivente dell’uomo, e “Anima”, termine latino che sta ad indicare la parte femminile dell’uomo. La prima (anima) è una forza viva che con la sua agitazione e la sua complessità stimola l’uomo a vivere la vita e per questo dal DOGMA è sempre stata minacciata di sovrumani castighi e propiziata da sovrumane benedizioni. La seconda invece (Anima), non è un concetto filosofico, ma un ARCHETIPO NATURALE, un “fattore” (artefice) nel senso vero e proprio della parola. Il solo fatto che l’Anima sia indicata con un termine femminile, fa perlomeno pensare che ce ne sia un altro maschile: Animus (parte maschile della donna). Un aspetto non ancora trattato fin qui dell’Anima è la SAGGEZZA. Quest’ultima al primo impatto, non sembra essere una caratteristica dell’Anima in quanto mal si sposa con l’impeto irrazionale che la caratterizza; ma a chi si confronta profondamente con lei, e con i contenuti dell’inconscio, appare come se fosse un segreto ben celato che corrisponde a una conoscenza superiore dei segreti della vita. È proprio il caos improvviso scatenato dall’impeto dell’Anima a far scorgere un significato più profondo. Ci si accorge che pian piano sorgono dighe atte ad arginare queste ondate e ciò che ha significato, si separa da ciò che non ne ha. Senso e non senso si separano e questa è la prova che saggezza e follia sono una cosa sola, due facce della stessa medaglia. Questo concetto è stato per lungo tempo incomprensibile per l’uomo che si è svegliato in un mondo che non comprendeva e perciò a cercato di interpretarlo. Ma se si riesce a dare un significato a ciò che si comprende, si deduce che la vita di significato non ne ha perché è incomprensibile e non offre interpretazione. Possiamo dire che l’interpretazione umana viene meno poiché alla caotica situazione vitale non si adatta nessuna interpretazione tradizionale. Appare in questo frangente un altro archetipo: quello del SIGNIFICATO che si affianca a quello dell’Anima che è l’archetipo della VITA. Anche se l’uomo è convinto di essere l’artefice del significato, ovvero di essere lui stesso ad attribuirlo alle cose e agli eventi, lo fa utilizzando termini e parole derivanti da immagini primigenie e quindi non una sola parola utilizzata è priva di antecedenti storici. Possiamo quindi dire che i SIGNIFICATI che l’uomo attribuisce, derivano da forme archetipiche primigenie di quando la coscienza umana ancora non pensava ma percepiva. Il simbolo del VECCHIO SAGGIO, invece, rappresenta l’ARCHETIPO DELLO SPIRITO, ossia il Significatopreesistente nella vita caotica: è il padre dell’Anima. I due vecchi saggi presenti nel sogno di Jung sono il mago bianco e il mago nero: rappresentano il bene e il male e lo scambio delle vesti rappresenta l’interdipendenza dei due opposti. L’esistenza e l’interdipendenza di contrasti morali (il bene e il male, il razionale con l’inconscio) è una verità naturale che, mentre in oriente è stata riconosciuta molto presto, ancora oggi ripugna alla mentalità cristiana. Nota: Il sorgere di miti e la rivalutazione delle religioni orientali, preannunciano il riemergere degli archetipi dell’inconscio collettivo. Il messaggio di Jung è inequivocabile a riguardo: non sono gli archetipi in sé portatori di disagio, è l’uomo che deve mutare il suo atteggiamento cosciente, accettando il confronto (se pur doloroso) con l’inconscio. importanti procedimenti di esplorazione e trasformazione dei blocchi psichici. Si resero conto che per tracciare una mappa adeguata dei reali confini della coscienza umana non era più possibile trascurare le medicine tradizionali e le filosofie orientali, le pratiche dello yoga e della meditazione, le conoscenze tribali e sciamaniche, gli stati di trance, le esperienze mistiche ed estatiche e ogni altra forma di autentica e immediata canalizzazione di informazioni dalla dimensione spirituale e dall'inconscio collettivo. Si comprese l'importanza del rivivere il periodo della gestazione e il momento della nascita, del rivisitare esperienze di vite passate attraverso regressioni e ipnosi, del lasciare emergere elementi archetipici nella coscienza attraverso sogni guidati, dello sperimentare l'unione mistica ed estatica con il cosmo. Apparve chiaro infine che molti stati di alterazione della coscienza, normalmente diagnosticati come sintomi di gravi malattie mentali (nevrosi e psicosi) e sistematicamente soppressi con psicofarmaci, potevano rappresentare esigenze di maggiore apertura spirituale finalizzati a una più profonda guarigione e trasformazione della personalità e delle abitudini di vita. Archetipi e Inconscio Collettivo Jung definì Archetipi gli elementi strutturali dell'inconscio sostenendo che essi corrispondono a elementi strutturali collettivi dell'anima umana, considerandoli veri e propri organi psichici dal cui funzionamento dipende la salute dell'individuo e la cui lesione può dare origine a disturbi e sintomi fisici o mentali. "Essi sono, infatti, moventi infallibili dei disturbi nevrotici e anche psicotici, dato che essi si comportano esattamente come gli organi del corpo o i sistemi funzionali organici trascurati o lesi" (Jung-Kerenyi). Anche per Erich Neumann, medico e filosofo allievo di Jung, l'archetipo è una immagine interiore che agisce attivamente sulla psiche umana operando una progressiva evoluzione della personalità esattamente come le strutture biologiche promuovono il metabolismo e lo sviluppo fisico Neumann considerava i valori collettivi e filogenetici di importanza straordinaria nello sviluppo dell'individuo e della specie attribuendo grande rilevanza ai fattori transpersonali dello sviluppo psichico. Ecco quindi che dalla nascita alla morte, dall'infanzia alla vecchiaia, dall'adolescenza alla maturità, ogni aspetto della nostra vita può essere portato alla consapevolezza, esplorato, vissuto e realizzato grazie al supporto della Teoria degli Archetipi. Questa Teoria si basa sull'assunto che la coscienza di ogni essere umano contenga una pluralità indeterminata di "immagini primordiali" atemporali, collettive e immutabili, chiamate Archetipi che lo collegano alla storia dell'universo, del pianeta e dell'umanità. Gli Archetipi sono almeno dodici e nella successione dei loro stadi, rappresentano ciascuno precisi passaggi nel processo evolutivo della nostra esistenza e li ritroviamo nei miti, nelle leggende, nelle fiabe, nei sogni, nelle visioni e nelle espressioni religiose e artistiche di tutti i popoli della terra, dalla Grecia antica all 'Egitto, dall'India alla Cina e al Giappone, dall'Africa all'Oceania. Il Grande Padre Creatore, la Grande Madre, Il Bambino Divino, il Drago, il Serpente, l'Orco, la Fanciulla Prigioniera, l'Eroe Salvatore, il Cavaliere Nero e molti altri affollano l'immaginario personale e collettivo e spesso vengono rappresentati come antenati divinizzati del genere umano. Il concetto che sta alla base della Teoria degli Archetipi è che la nostra vita può essere considerata in ogni suo aspetto alla stregua di una Impresa Eroica (La Ricerca del Graal, Il Mito di Excalibur) che va affrontata e vissuta con fiducia (Innocente), autonomia (Orfano), coraggio (Guerriero), amore (Angelo Custode), entusiasmo (Amante), determinazione (Cercatore), consapevolezza (Saggio), gioia (Folle)... Gli Archetipi sono i depositari di questi poteri e corrispondono a precise tappe evolutive della nostra personale esistenza, che è poi il nostro Viaggio nella Vita...
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