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gli archetipi nelle fiabe, Tesine universitarie di Psicologia Dinamica

indagine sulle diverse figure archetipiche che popolano l'immaginario fiabesco europeo, facendo riferimento particolare ai fratelli Grimm. Approfondimento sull'inconscio collettivo di Jung e descrizione di alcune teorie psicoanalitiche legate a questo argomento (freud, Von-Franz)

Tipologia: Tesine universitarie

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Scarica gli archetipi nelle fiabe e più Tesine universitarie in PDF di Psicologia Dinamica solo su Docsity! 1. Inconscio interpersonale e inconscio collettivo Jung, allievo di Freud, si discostò da quest'ultimo nel momento in cui sostenne la necessità di fare interloquire la psicoanalisi con la più alta tradizione filosofica e teorica, facendola uscire dal ghetto della tradizione ebraica e ambulatoriale. Pur continuando ad adottare il metodo del maestro nel trattamento delle psicosi e nella diagnosi, Jung reintrodusse sulla scena psicoanalitica, quella distinzione tra salute e patologia che Freud aveva negato. La critica di Jung nei riguardi di Freud fu in riferimento al concetto di libido da lui elaborato, quale energia psichica di natura sessuale, radicata nel corporeo e frammentata in pulsioni parziali mai completamente governabili. Il riduttivismo freudiano per Jung, non farebbe che porre in secondo piano la polarità spirituale per esaltare quella biologica, conseguenza al quale egli tenterà di rimediare su due piani distinti: pars destruens: dove viene ridimensionata la figura di Freud e relativizzato il suo pensiero, abbattendo il velo dogmatico della sua scuola psicoanalitica. La psicoanalisi per Jung, non può dire nulla di vero e di giusto sulla psiche, ma solo qualche cosa di veritiero, di inerente ad un'esperienza soggettiva. L'obbiettività scientifica dunque, si raggiunge solo tenendo conto di ciò, con il riconoscimento della relatività di ogni apporto del sapere.1Il pensiero di Freud è dunque veritiero ma contestualizzato, da riconoscere quale testimone del suo luogo e della sua epoca, pars costruens: qui vengono poste le basi per creare un nuovo edificio di conoscenza, denominato da Jung psicologia analitica. Freud elaborò una tecnica e una teoria per la terapia delle affezioni psichiche, denunciando gli aspetti repressivi della società del XIX secolo. Jung critica il maestro per non aver tenuto conto da dove effettivamente trovavano origine tali idee. “Esse sorgono da una regione atemporale, da un essere-sempre-esistente, da un terreno psichico primordiale su cui lo spirito effimero del singolo individuo cresce come una pianta che porta fiori, frutti e semi, appassisce e muore. Le idee provengono da qualcosa che è più grande della persona singola. Non siamo noi a produrre le idee, sono piuttosto le idee che producono noi”. (Jung) Qui Jung fa riferimento a un inconscio distinto da quello soggettivo e personale sul quale poggia. Un inconscio che accomuna gli individui della stessa specie in una sorta di memoria collettiva: l'inconscio collettivo. Questo mondo delle idee junghiano, diverso dall'inconscio interpersonale elaborato da Freud, è indipendente dai soggetti mediante i quali si manifesta, è universale, ha 1 Finzi S.V. (1986), Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano, cit., p. 134 1 contenuti e comportamenti che sono gli stessi dappertutto e per tutti gli individui. I contenuti dell'inconscio personale sono i cosiddetti “complessi e tonalità affettiva”,2(l'intimità personale della vita psichica) mentre i contenuti dell'inconscio collettivo sono gli “archetipi”, fattori formali che coordinano processi psichici inconsci. Sono patterns of behaviur3con una carica specifica che si manifesta mediante gli affetti, che elevano un certo contenuto a un livello di chiarezza superiore al normale, sottraendo al contempo altri possibili contenuti della coscienza, in modo da renderli così inconsci. Tale effetto restrittivo esercitato sulla coscienza dagli affetti, è accompagnato da un calo dell'orientamento cosciente che corrisponde alla durata dell'affetto, calo che offre all'inconscio la possibilità di inserirsi nello spazio lasciato vuoto. 2 Jung C.G., (1980), Gli archetipi e l'inconscio collettivo, in Opere vol. 9*, Bollati Boringhieri, Torino, cit., p. 4 3 Jung C. G., (1980), La sincronicità, Bollati boringhieri, Torino, cit., p., 33 2 3. Libido e malattia psichica La libido che in Freud rappresentava l'energia sessuale da investire su se stessi o verso l'esterno, in Jung è un concetto dinamico, all'origine di evoluzioni (stadi libidici) e regressioni (nevrosi). L'uomo per Jung, è attraversato da questa forza, e quella sessuale ne è una componente. In questo senso, la nevrosi non è considerata quale conseguenza di avvenimenti da far risalire all'infanzia, ma da conflitti attuali, dovuti all'incapacità dell'individuo di adattarsi alle richieste del suo ambiente o di trasformarlo in base alle sue esigenze evolutive. Quando questi non vengono superati, la libido ad essi applicata regredisce a forme più arcaiche. In questo movimento a ritroso incontra in complesso edipico e lo investe, riattualizzandolo. Il conflitto edipico dunque vi è solo nel momento in cui si attua tale regressione libidica che sollecita ricordi latenti. Per individuare le cause della nevrosi dunque, serve rivolgere l'attenzione non al passato, ma al presente e al futuro del soggetto, luogo dove trova possibilità di maturazione. La malattia psichica dunque, trova terreno florido in quelle menti governate dall'elemento mitologico, prevalente dei bambini, nei primitivi e negli animali. Sostiene Jung: come l'uomo mitologico è riuscito a svincolarsi dallo stadio primordiale con l'aiuto dei simboli religiosi e filosofici, così anche il nevrotico può sottrarsi alla sua malattia.6 La psicosi si configura infatti come l'irruzione destrutturata delle immagini archetipiche. Serve dunque operare nell'intenzione di rivisitare tali immagini che attraversano l'inconscio per trascriverne gli effetti sulla storia individuale. Allargare i confini della psiche a un divenire continuo, permette a tali immagini di fluire e la coesistenza dei contrari. In terapia dunque, l'analista ha il compito di assecondare il naturale flusso di immagini (di cui il prototipo è il sogno) che il paziente porta. Ed è proprio dallo spazio interattivo del transfert che si generano le produzioni immaginarie nelle quali l'inconscio collettivo si rivela. Il transfert con Jung assume un significato diverso rispetto a quello che deteneva con Freud, divenendo la proiezione di contenuti inconsci sull'analista. 6 Ibidem, cit., p., 136 5 6 4. Le fonti narrative degli archetipi Jung farà dialogare la sua disciplina con i materiali culturali più eterogenei: dalla cultura e i simboli orientali e la filosofia indiana, fino a giungere al nesso riconosciuto tra la sua disciplina analitica e l'alchimia medievale (mezzo con cui amplificare il Sé, con la differenza di farlo sull'esterno, sulla materia). L'alchimia esprimerebbe, come i miti, ciò che altrimenti resterebbe inconscio. Nei sogni invece, è richiesta un'interpretazione in quanto i contenuti archetipici qui si mostrano solo parzialmente e in modo frammentato. Più che la storia dell'analizzato, nei sogni Jung fa ricorso a discipline affini alla psicologia, quali la storia delle religioni, l'etnologia, l'antropologia capaci di ampliare l'inconscio personale e trovare nessi con ciò che condivide del suo tessuto sociale d'appartenenza. Tra i sogni, prodotti involontari, spontanei e non falsificati da un'intenzione cosciente, andranno scartate quelle immagini che potrebbero essere note al soggetto, in quanto viziate dalla coscienza. Parlando di inconscio collettivo, Jung tratta anche fattori biologici più generali, da non considerare caratteristiche meramente personali, in quanto elementi che gli esseri umani condividono con gli animali: gli istinti. Essendo fattori impersonali, diffusi universalmente, ereditati, di natura dinamica, gli istinti spesso non riescono a raggiungere la coscienza, così che la psicoterapia ha il compito di aiutare il paziente a divenirne cosciente. Essi mostrano diverse analogie con gli archetipi, al punto da poter considerare questi ultimi delle immagini inconsce degli stessi istinti, “modelli di comportamento istintuali”.7Jung evidenzia ciò che abbiamo a livello fisico, ovvero istinti definiti quali azioni, o tipi di azioni che, mentre vengono eseguite, creano in noi immagini mentali, emozioni che viviamo dall'interno e che condividiamo con i nostri simili. Nella sua riflessione sulla psiche, Jung la paragona alla scala dei colori, allo spettro luminoso compreso tra i due estremi: uno (raggi infrarossi) rappresentante il corpo con il suo equilibrio istintivo, l'altro (raggi ultravioletti) gli archetipi, lo spirito ordinante.8 7 Jung C.G., (1980), Gli archetipi e l'inconscio collettivo, cit., p. 44 8 Von Franz M. L., (1986), Le fiabe del lieto fine. Psicologia delle storie di redenzione, Red Edizioni, Como, cit., p. 77 7 10 5. Gli archetipi nelle fiabe e l'identificazione del Sé Fino agli inizi del diciassettesimo secolo, oltre ai bambini, anche gli adulti erano interessati al mondo fantastico delle fiabe. Successivamente, con l'avvento di una mentalità sempre più razionale che tendeva ad eliminare ogni suo contrario, di conseguenza la fiaba, il mito e i racconti fantastici in generale vennero riconsiderati in maniera negativa, come mere invenzioni rivolte solo ai più piccoli. Solo recentemente esse si sono rimpossessate nuovamente di dignità, grazie all'interesse scientifico dimostrato nei numerosi tentativi di individuarne le origini e i significati. La psicologia analitica di Jung ha fornito alcuni strumenti concettuali che permettono di penetrare il senso delle fiabe e di accogliere gli insegnamenti che hanno avuto, in ogni tempo, il compito di trasmettere. Jung non si è mosso nell'intento di fornire un'interpretazione scientifica delle fiabe (questo impossibile a causa, sia delle innumerevoli versioni che ogni fiaba presenta nelle diverse parti del mondo, sia perché gli autori delle versioni scritte, non sempre hanno mantenuto fedeltà alle originali versioni orali, in quanto spesso omettevano elementi per inserirne di altri). In realtà lo scopo delle analisi fu quello di mostrare quanto i motivi fiabeschi, per definizione junghiana, le immagini archetipiche, abbiano grande attinenza con la vita pratica di ognuno. Nella sua riflessione sugli archetipi, Jung si rivolge al folklore, quale riserva di archetipi che accomunano gli individui. I racconti fantastici, inizialmente tramandati oralmente e poi trascritti, possono essere intesi nelle diverse fasi con cui vengono presentati al pubblico, quali metafore della vita della psiche, avendone in comune vicende, tormenti e dolori mediante i quali alla fine il protagonista giunge alla piena maturazione. “Le fiabe sono l'espressione più pura dei processi psichici dell'inconscio collettivo e rappresentano gli archetipi in forma semplice e concisa”.10 L'analisi delle fiabe secondo i principi della psicologia analitica junghiana fu portata avanti da Marie-Louise von Franz, analista e stretta collaboratrice di Jung che dedicò al tema cinque saggi. Individuando forti nessi tra psicologia e racconto favolistico, l'autrice paragona la condizione nevrotica, a quella dei personaggi fiabeschi vittime di malefici, in quanto coloro in preda a nevrosi tendono ad agire in modo inopportuno e distruttivo verso se stessi e gli altri, come se vivessero una sorta di maleficio. Le fiabe che descrivono protagonisti vittime di incantesimi, non si soffermano più di tanto sulle motivazioni per cui vengono attuati i malefici, ma insistono bensì sul metodo di 10 Von Franz M. L., (1980), Le fiabe interpretate, Bollati Boringhieri, Torino (citazione ripresa dall'opera di Jung: Freud e la psicoanalisi, cit., p., 355) 11 redenzione, detto in termini psicoanalitici: sulle procedure terapeutiche e il processo di guarigione.11Le cause, ove ci siano, appaiono sempre di natura minore rispetto alla punizione conseguente. Alcune narrazioni iniziano senza neppure spiegare i motivi della maledizione dei personaggi, che all'inizio della vicenda sono già stregati. La Von Franz riporta la situazione di perenne timore di malefici da parte delle società primitive, le quali spiegano con i malefici, le diverse sfortune che capitano loro. Essere stregati, significa per la studiosa, che una particolare struttura della psiche è paralizzata o danneggiata nella sua funzione, facendo soffrire l'individuo nella sua globalità, poiché tutti i complessi vivono all'interno di un ordine sociale determinato dalla totalità della psiche.12La scuola junghiana di cui l'autrice fa parte, ha sempre affermato che per tali disturbi, non esiste un solo metodo d'intervento. Non avendo regole precise a cui affidarsi, è bene dunque intervenire interpretando accuratamente il materiali onirico, i sogni, per poter vedere il trattamento proposto dall'inconscio. Trattando fiabe e miti, si adotta uno sguardo generalizzato in quanto trattasi di rappresentazioni dei processi istintivi della psiche, con validità generale.13A questo proposito, la Von Franz pone una netta distinzione tra come vengono percepiti i protagonisti delle vicende mitologiche e quelli delle fiabe. I primi appaiono molto più “umani” dei secondi in quanto facilitano l'immedesimazione del lettore grazie ai comportamenti e agli stati d'animo mostrati. Nelle fiabe invece, l'eroe, o l'eroina sono privi della vita interiore umana, della psiche. Non dimostrano mai paura, non sono mai indecisi ne hanno reazioni umane: sono sprezzanti del pericolo e non si ritraggono di fronte a minaccia alcuna. Essi sono esempi, ideali umani, archetipi che non possono essere paragonati direttamente all'Io umano in quanto, tali immagini si identificano con quello che Jung chiama gli archetipi del sé, estremamente diversi dall'Io. Della personalità umana intesa come unità, l'Io rappresenta solo una parte. Jung arriverà ad identificarlo quale complesso con cui ci si identifica per tutta la vita.14Una buona parte della psiche è diversa da esso. Il Sé archetipico definito da Jung, è quindi l'attività di autoregolazione dell'intera psiche. È il pensare per immagini, che va al di là della nostra volontà cosciente. Freud accusò di misticismo e religioso questa modalità di pensiero, l'”oppio dei popoli”. In realtà, come spiegò Jung, Freud non seppe coglierne il simbolismo, che gli garantisce la stessa validità e dignità del pensiero indirizzato. Questa diversa impostazione concettuale, fu il frutto di un periodo d'inquietudine vissuto da Jung, che lo porterà ad allontanarsi dal maestro e dal dogmatismo nel quale dovette crescere a causa della fede religiosa del padre protestante. La crisi esistenziale fu causata dall'incapacità di Jung di 11 Von Franz M. L., (1986), Le fiabe del lieto fine., cit., p. 14 12 Ibidem, cit., p. 24 13 Ibidem, cit., p. 15 14 Ibidem, cit., p. 16 12 Le quattro funzioni psicologiche di Jung (pensiero, sentimento, sensazione e intuizione) risultano fondamentali per lo studio del simbolismo delle fiabe. Tali funzioni simboliche descrivono le varie figure archetipiche presenti nelle fiabe e contraddistinguono le caratteristiche della psicologia maschile e femminile. Nel dettaglio le quattro funzioni si dividono in due coppie contrapposte: • pensiero e sentimento → funzioni “razionali” in quanto sono precedute dalla valutazione. Il pensiero valuta attraverso deduzioni logiche e razionali ciò che è vero e ciò che è falso. Il sentimento invece, valuta attraverso le emozioni in base al criterio piacevole/spiacevole. Esso ha subito una maggiore deformazione e rimozione rispetto al pensiero, sarebbe dunque auspicabile un suo recupero, o almeno una rivalutazione che gli riconsegni dignità. • Sensazione e intuizione → sono definite funzioni “irrazionali” in quanto valutano non con giudizi, ma con mere percezioni. La sensazione percepisce le cose in maniera oggettiva, per quelle che sono (capacità di analisi), l'intuizione invece si basa su una valutazione “interiore” inconscia, andando al di là delle cose percepite oggettivamente, per coglierne il senso globale (capacità di sintesi). Ciascuna funzione tende ad appoggiarsi a quella che le sta vicina, ma non a quelle che si trovano agli antipodi. Per esempio, la funzione del pensiero può appoggiare all'intuizione o alla sensazione, ma non al sentimento, che rappresenta la sua funzione opposta. Pensiero Intuizione Sensazione Sentimento Sebbene ciascun individuo presenti tutte e quattro le funzioni, ve ne è sempre una prevalente detta funzione differenziata o superiore, che determina il tipo psicologico a cui appartiene l'individuo. Ciascuna di queste funzioni può accompagnarsi con un certo tipo di atteggiamento: estroverso (aperto al mondo esterno e alle persone, si comporta positivamente nei confronti dell'oggetto. Qui la funzione “pensiero” viene usata dal soggetto verso l'oggetto e la realtà esterna) o introverso 15 (orientato verso il proprio mondo interiore, i propri pensieri. Il soggetto qui si comporta in modo astrattivo: estraendo continuamente la libido dall'oggetto. La direzione è dunque dall'oggetto al soggetto. L'oggetto è in funzione del soggetto che viene costantemente nutrito dalle impressioni esterne, rivisitate e rielaborate nell'interiorità, risultandone un pensiero più auto-riflessivo). I tipi sono distribuiti in maniera indiscriminata, a dimostrazione che il tipo di atteggiamento non può essere effetto di un giudizio o di un'intenzione cosciente, ma deve la sua esistenza a una base inconscia e istintuale. La contrapposizione tra i tipi deve dunque avere, in quanto fenomeno psicologico generale, antecedenti biologici.17In base al tipo di atteggiamento sviluppato dalla coscienza, l'inconscio assumerà quello opposto. Così, alla funzione superiore che determina il nostro atteggiamento conscio, corrisponde una funzione inferiore opposta. Un intellettuale introverso ad esempio, sarà, inconsciamente, un sentimentale estroverso. I due aspetti devono potersi equilibrare, dovrebbe esserci un'alternanza, un'oscillazione tra i due poli. Oltre alla funzione superiore, l'uomo si serve anche di una ausiliaria, che appartiene all'altra coppia dialettica, in cui non rientrano la funzione superiore ed inferiore. La funzione opposta a quella ausiliaria sarà quindi prevalentemente inconscia e andrà ad affiancarsi alla funzione inferiore. Le figure archetipiche che esprimono l'Io maschile e l'Io femminile si ripartiscono secondo queste quattro funzioni, dando luogo a otto personaggi maschili e ad otto femminili (otto e non quattro in quanto ciascuna funzione può assumere una valenza positiva o negativa). In tutto risultano dunque sedici personaggi archetipici ai quali vanno aggiunte due archetipi sintetici: il Vecchio Sapiente, che esprime la totalità del principio maschile e spirituale, e la Madre Terra, che esprime la totalità del principio femminile e materiale. A queste figure archetipiche sono riconducibili i vari personaggi che incontriamo nelle fiabe. 17 Jung C. G. (1969), Tipi psicologici, in Opere Vol. 6*, Bollati Boringhieri, Torino, cit., p. 335 16 Amazzone/cacciatrice Eroe/cattivo pensiero, intelletto Madre/terrificante Sacerdotessa/strega padre/orco imbroglione/mago nero sensazione intuizione Principessa/seduttrice giovane/vagabondo emozione/sentimento 5.1. L'Io di un uomo È la personificazione del principio del Logos e della ragione. L'uomo “civilizzato” ha la tendenza a perdersi nell'iperdistinzione, nell'ipercritica. Questa tendenza avviene dal momento in cui ogni individuo si distacca dal grembo materno generatore (la totalità unita con la natura) fino a giungere a una rottura con la madre. È opportuno non negare il grande valore dell'intelligenza e della ragione, ma di integrarle nel mondo dell'inconscio. È necessario discriminare nella sfera interiore tutto ciò che è veramente maschile prima che il principio cosciente trovi la possibilità di riallacciarsi all'inconscio, per non esserne sommerso in modo regressivo. I pericoli di questa situazione sono spesso descritti nei sogni. Il Vecchio Sapiente È l'archetipo dell'integrità dell'Io di un uomo, le forze vitali che giungono a un compromesso con lo spirito cosciente. Quando l'ammirazione per il padre (essere inizialmente idealizzato, quasi al punto da disumanizzarlo) viene meno (periodo questo che coincide con l'adolescenza, momento in cui si 17 pronunciate da adulti potrebbero causare imbarazzo. Rivolgendosi alla nonna un bambino potrebbe esclamare senza alcuna inibizione: “ma come sei vecchia!” manifestando la sua spontanea genuinità. Questa situazione di poter parlare liberamente, spesso coinvolge anche persone adulte, il che rende a rischio le relazioni. È qui che insorge il bambino che sta in noi, nel momento in cui percepiamo questa sensazione irrefrenabile di dire la nostra, dimostrando che nella nostra psiche, vi è ancora presente una parte non del tutto prigioniera, ma ancora genuina e spontanea che può agire in modo costruttivo. Il bambino è dunque un simbolo del Sé. Negli scritti alchimisti, il Bambino “divino” è talvolta caratterizzato come ermafrodita. Nei miti e nelle fiabe invece, a simboleggiare l'unione degli opposti, del maschile e del femminile, compare sempre una coppia, un fratellino e una sorellina, che insieme formano la totalità ermafrodita del Sé. Il Vagabondo: colui che è errante (chi è stato visto in un sogno, aggrappato a un pezzo di legno trasportato dalla corrente) privo di ogni altra influenza, questo aspetto delle forze vitali interiori evita ogni impegno, rifiuta di diventare adulto e finisce col restare sempre infantile, anche nella vecchiaia, piuttosto che accettare la sua condizione di uomo. Il Cacciatore: accentuata la passione per la novità e l'avventura, che contrasta con la pazienza, il sacrificio, la dedizione. • L'Eroe/Cattivo L'audacia e lo spirito di iniziativa dell'individuo, la sua volontà e il suo potere di comando. Attitudine maschile questa aggressiva, esaltata in tutti i campi. Il Cattivo: rappresenta le radici dell'inconscio. Questo archetipo ha una propensione all'egoismo che può portare alla megalomania. Se l'individuo si identifica con questa forza interiore dell'Io (o se al contrario la trascura al punto da farla esplodere con il prendere possesso della sua personalità) il disprezzo nei confronti della sfera femminile del suo inconscio e la mancanza di rispetto verso gli altri deformeranno le sue azioni. • L'Imbroglione (o Mago Bianco)/Mago Nero Questa figura richiama quella del vecchio sapiente, ma ne vede ribaltate le caratteristiche. Qui il vecchio assume le caratteristiche di un elfo. Mentre nel vecchio sapiente è l'incarnazione del bene, qui personifica il male, è il mago cattivo, che per egoismo attua il male per amore del male. 20 5.2. L'Io di una donna Ogni donna rappresenta il mondo dell'energia femminile incarnata. È l'archetipo della natura e della vita. Vi sono quattro aspetti principali del potenziale femminile, che si ricollegano alle quattro funzioni della mente: la Madre (sensazione) la Principessa (emozione, sentimento) l'Amazzone (pensiero, intelletto) la Sacerdotessa (intuizione). La Madre Terra L'archetipo della madre si mostra in una serie infinita di aspetti, tra cui: la madre e la nonna, la matrigna e la suocera, qualsiasi donna con cui esista un rapporto, la nutrice o la bambinaia, l'antenata e la Dama Bianca (personaggio del folklore popolare di vari paesi dell'area germanica, la cui immagine appare nell'imminenza della morte di una persona). In un senso trascendentale: la dea, la Vergine, la Chiesa, l'università, la città, la patria, il cielo, la terra, il bosco, la materia, il mondo sotterraneo e la luna (simbolo dell'eterno mutamento, a fasi alterne si oscura e risplende. Essa presiede alle mestruazioni, alle maree e in genere a tutte le modificazioni naturali. Sua prerogativa è l'argento, in contrasto con l'oro del sole, maschile. È un metallo corruttibile: si annerisce facilmente per cui deve essere continuamente lucidato, dunque in continuo mutamento). Altra forma archetipica è l'acqua, per la psicoanalista Von Franz richiamante l'inconscio. Entrare e uscire dall'acqua pare avere un certo legame con il penetrare nell'inconscio. Il fonte battesimale nel Cristianesimo è spesso paragonato all'utero della Madre Chiesa, e ha quindi un aspetto materno in quanto vi si entra e vi si esce sotto nuova forma. Colui che riceve il battesimo, si garantisce il pieno accesso alla Grazia divina, che permetterà l'ingresso al Paradiso e vedere Dio. Molti pazienti della Von Franz ammettevano di aver fatto sogni dove facevano il bagno,20il che portò l'analista a individuare nella sporcizia dal quale erano intenti a liberarsi mediante il bagno, i condizionamenti psicologici che hanno contaminato le loro personalità originarie. In senso più stretto, archetipo della Madre lo si riscontra nei luoghi di nascita o di procreazione, il campo, il giardino, la roccia, la grotta, l'albero, il pozzo profondo, il fiore come ricettacolo (rosa e loto), il cerchio magico (il mandala come padma: il loto, simbolo del sesso femminile nelle culture buddhiste) l'utero, ogni forma cava che richiami il femminile (la yoni, la forma del triangolo rappresentante l'organo genitale femminile) il forno, il recipiente. Questo, per l'alchimista ha eguale significato dell'acqua, in quanto contenitore e contenuto vengono fusi insieme. Essendo un oggetto 20 Franz M. V., (1986), Le fiabe del lieto fine, cit., p. 30 21 creato dall'uomo, il recipiente è collegato dalla funzione della coscienza: essere in grado di gestire il contenuto (in questo caso l'acqua) è una prerogativa della coscienza umana e pone l'accento sulle sue attività come simbolo. La Chiesa può essere intesa quale recipiente, che consente di “tenere insieme” idee e valori religiosi cristiani per mezzo di un sistema dogmatico. Il recipiente permette di contenere sentimenti, idee, valori impedendo che rischiano di fuggire o di andare persi. Esso è un mezzo per divenire coscienti. Simboli nefasti sono: la strega, il drago, (o animali che divorano come il grosso pesce o il serpente) la tomba, il sarcofago, le acque profonde, la morte e l'incubo. Tra le caratteristiche positive ed essenziali dell'archetipo della madre vi è il “materno”: la saggezza e l'elevatezza spirituale, ciò che è benevolo, protettivo, tollerante che favorisce la nascita, la crescita e la fecondità. È l'aspetto materno proiettivo della donna, le sue qualità legate alla casa e alla famiglia: colei garante di protezione e di tenerezza, che rappresenta il rifugio e l'accudimento. È l'aspetto della femminilità richiesto nella nostra società, che sottovaluta di conseguenza la compiutezza individuale della donna, al punto da riconoscerla esclusivamente per il ruolo sociale di madre che ricopre, che fa riferimento a terzi, mettendo in disparte se stessa. Serve che la donna riscopri e valorizzi l'aspetto più importante di sé e del suo potenziale. Ella potrà diventare un essere completo, solo nel momento in cui rivaluterà il suo Io, svincolandolo dalle altre figure che fanno parte della sua vita (quali marito, i figli, la famiglia d'origine). Ci sarà sempre un conflitto tra quello che vuole da lei la società (l'appartenenza al formicaio comunitario che la identifica come moglie, madre, figlia, sorella) e lo sviluppo del suo potenziale interiore. Jung designò come “madre amorosa” e “madre terrificante” i due attributi più estremi dell'archetipo della madre. Storicamente, tra le figure di riferimento vi sono la Vergine Maria per noi occidentali, e l'ambivalente Kali nella cultura indiana. Uno dei sistemi filosofici indiani ammette due principi eterni dove è racchiuso l'archetipo della madre: nel concetto di prakrti (materia) continuamente mutevole, e un'infinita quantità di anime individuali racchiuse nel concetto di purusa, eternamente immutabili ma provvisoriamente legate alla materia e trasmigranti da un corpo all'altro. Gli elementi costitutivi della materia sono i tre guna: bontà, passione, tenebre, i tre aspetti essenziali della madre: la sua bontà che alimenta e protegge, la sua emotività, e la sua infera oscurità. • La Madre/terrificante La Madre Terrificante è l'aspetto possessivo, invadente e divoratore della maternità. Esso può insorgere anche nella madre comprensiva e iperprotettiva che però, ad un certo punto prende il 22 ruba i bambini e tenta di farli arrostire, dopo di che si ha la liberazione di questi e la loro fuga, e la maga guerriera: essa entra volando e combatte con/contro i protagonisti.22La maga ha comunque nessi più o meno specifici con la morte, sia quando la sua azione è benevola nei confronti del protagonista (quando si mobilita nella ricerca di antidoti “salvavita” o pozioni magiche per ricorrere in suo aiuto) sia quando attua malefici per invalidare o porre fine alla vita degli altri personaggi. 22 Ibidem, cit., p. 84 25 26 6. L'analisi di Jung sugli archetipi della fiaba “La principessa sull'albero” Oltre agli archetipi in forma umana, in molte fiabe appaiono anche personaggi in forma animale. Questi sono rivestiti dello stesso significato psicologico che hanno gli dèi e i demoni. Le caratteristiche degli archetipi di animali mostrano aspetti sia umani che sovrumani, nel bene e nel male. L'archetipo dell'animale non va considerato quale prova di regressione ad uno stadio inferiore o primitivo della coscienza, al contrario, l'animale viene per la maggior parte considerato nettamente superiore all'uomo, con caratteriste che lo elevano ad un grado più elevato. In lui, la forza che lo governa non è ancora vincolata da un Io limitante. La sua volontà domina in lui in modo ostinato.23Nella fiaba gli animali sono identificati come soccorritori dell'uomo, suoi alleati “umanizzati” (condividono con l'uomo il linguaggio) intervengono in suo aiuto (come il vecchio soccorrevole). Si comportano umanamente e mostrano una prudenza e una saggezza superiore. Nella fiaba tedesca La principessa sull'albero24analizzata da Jung nella sua opera Gli archetipi e l'inconscio collettivo, compaiono figure di animali che intervengono in aiuto del protagonista, e altri che gli vincolano il percorso. Oltre questi personaggi, nella fiaba sono presenti anche altre figure archetipiche già descritte quali: la strega, la principessa, il giovane/eroe e il cacciatore. “La storia narra di un giovane che, mentre custodisce i suoi porci nel bosco, scopre un grande albero i cui rami si perdono tra le nubi. Decide di arrampicarsi fino in cima per vedere il mondo da lassù. L'arrampicata si protrae fino al giorno dopo quando, giunge in un villaggio costruito tra i rami. Il giorno seguente riprende la scalata fino a raggiungere a un castello dove abita una fanciulla, figlia di un re, imprigionata da un mago cattivo. Il giovane rimane nel castello, dove può entrare in tutte le stanze eccetto una. Non potendo contenere la curiosità decide di entrarci comunque. Qui trova un corvo inchiodato a una parete che lamenta di aver sete. Il giovane, impietosito gli da dell'acqua e man mano i chiodi cadono, permettendo al corvo di volare fuori dalla finestra. La fanciulla, accortasi del fatto rivela al ragazzo che quel corvo era in realtà il mago cattivo che l'aveva precedentemente rapita, e che sarebbe tornato di nuovo per ripetere il gesto, cosa che fece subito dopo la liberazione. Il giovane parte alla sua ricerca e nel viaggio incontra un lupo, un leone e un orso che gli donano parte del loro pelo per mezzo del quale il giovane potrà chiamarli per chiedere aiuto. Il leone gli svela che la principessa è tenuta prigioniera li vicino, nella casa di un cacciatore. Una volta giunto in quella casa, il giovane scopre che la fuga è impossibile poiché il cacciatore possiede un cavallo bianco a tre gambe il quale sa 23 Jung C.G., (1980), Gli archetipi e l'inconscio collettivo, cit., p. 222 24 Ibidem, cit., p. 223 27 crocifissione rappresenta la tormentosa conseguenza, il castigo per colui che ha osato inoltrarsi, come Prometeo, nella sfera del principio opposto. Analogamente all'immagine cristiana del messia, salvatore dell'anima umana, è sceso in un mondo che in realtà non gli appartiene, e qui trova la morte. Altra analogia col Cristianesimo la si trova del divieto palesato al giovane riguardo l'interdizione di una delle stanze del castello. Proprio come il primo uomo abitante della Terra che cadde in tentazione cogliendo la mela, egli è inevitabilmente attratto dal divieto di accedere in quella stanza dove si trova il corvo: l'origine delle sciagure prossime. Lo spirito maligno qui liberato, si trasforma ora in cacciatore, allo stesso modo di come il paradiso terrestre mutò forma dopo la trasgressione di Adamo. Il cacciatore rapisce nuovamente la principessa nella sua capanna sulla terra. Ciò è reso possibile dunque dalla disobbedienza umana, ancor prima del concorso dello spirito malvagio. L'eroe deve nuovamente intervenire, sottraendo alla strega il cavallo per spezzare il potere del mago. Le due triadi opposte, l'una che condanna il maligno e l'altra che rappresenta la sua potenza, corrispondono alla struttura funzionale della nostra psiche cosciente e incosciente. La fiaba dunque, ha l'obiettivo di sviluppare la coscienza. Il giovane che, dal basso della sua condizione di guardiano di porci si arrampica sul gigantesco albero e in cima a questo, scopre la sua anima, la principessa, simbolo della coscienza, la cui visione è possibile solo attraverso l'ampliamento dell'orizzonte cosciente. Giunto a questa elevazione, si scopre tale “inconscio” superiore, che non è in realtà una “supercoscienza”: colui che l'ha raggiunta, il giovane, può beneficiarne solo dopo essersi spinto oltre il “subconscio”, in quanto l'Anima alta e superiore, la principessa-anima, è lassù stregata. La sua anima è in ostaggio del potere di uno spirito maligno, di una tenebrosa immagine paterna infernale in forma di corvo che impedisce al giovane di scoprire il segreto della sua prigionia, mediante il divieto d'accesso alla stanza, ma proprio attraverso questo, ve lo conduce. Come se l'inconscio avesse due mani che fanno una il contrario dell'altra. La principessa vorrebbe e non vorrebbe essere liberata. Il castigo però, lo subisce anche lo spirito maligno, in quanto seppur appartenente all'oscurità, ha la bramosia di luce e si inoltra in un luogo che non gli è proprio. Commettendo il peccato di disobbedienza, il giovane favorisce la fuga del predone e cagiona un nuovo ratto della principessa. Il gesto comporta un altro risultato: la principessa viene sulla terra e anche il corvo diabolico assume le sembianze umane del cacciatore. Divenendo in forma umana, entrambi risultano accessibili. L'onnisciente cavallo a tre gambe rappresenta la potenza propria del cacciatore, quale simbolo della funzione inferiore. Inoltre l'eroe diviene simile a quest'ultimo in quanto, come costui, si procura il cavallo dalla strega, imparando dalla negligenza del cacciatore (che si dimenticò di farsi consegnare gli agnelli, causando così la perdita della gamba del suo cavallo, divorata dai dodici lupi). Qui il 30 numero dodici, probabilmente è un simbolo temporale col significato di dodici imprese, di cui l'inconscio esige l'esecuzione prima che ci si possa affrancare ad esso. Il cacciatore, in questo senso rappresenta il primo tentativo di entrare in possesso della propria anima mediante la rapina e la violenza. La conquista dell'anima implica in realtà un'opera di pazienza e sacrificio volontario. L'eroe invece ottiene il cavallo con quattro gambe, la quaternità è dimostrata qui quale potenza maggiore poiché integra, nella sua totalità la componente che ancora le mancava per essere completa. Eroe e cacciatore infine si assimilano, anche se in superficie appare una lotta selvaggia tra i due, in realtà l'uno favorisce l'interesse dell'altro (dimostrato nel momento in cui il giovane libera il corvo che, in un secondo momento, divenuto cacciatore, decide di risparmiarlo, ricambiandogli il favore). Il nodo infine si scioglie nel momento in cui l'eroe riesce a conquistare la quaternità, aggregando la funzione inferiore al sistema triadico. La principessa sul cavallo a tre gambe, personifica la regione dello spirito che era prima al servizio del cacciatore cattivo, mentre il taglio della testa dei due cavalli, fa ritrovare loro l'originale natura umana. Il tema della decapitazione, è un tema assai diffuso in alchimia, dove ha a che fare con la separazione dell'intelletto dall'aspetto istintivo. Se si separa l'intelletto dagli impulsi istintivi ne risulta un certo distacco mentale, grazie al quale si possono osservare gli istinti, gli impulsi e i pensieri senza pregiudizi. L'intelletto si distacca dal legame inconscio esistente con il resto della personalità, limitandosi a rispecchiare, come nell'immaginazione attiva, dov'è richiesto distacco unito a coraggio. In questo caso, dove ad essere decapitati sono degli animali, la testa è solo relativamente la parte più intellettuale del corpo, (anche se qui, in modo particolare il cavallo a tre teste incarna la sapienza) poiché nell'animale, nonostante gli venga riconosciuta l'intelligenza necessaria per la pianificazione, non si può affermare che essa sia seguita da consapevolezza. 31 32 divoramento del fanciullo a opera di animali favolosi. Si immaginava che egli venisse inghiottito da questo animale e, dopo aver trascorso qualche tempo nello stomaco del mostro, ritornasse alla luce, fosse sputato fuori o vomitato.29 Tenendo conto della descrizione che Propp fa dei riti di iniziazione, si individuano facilmente analogie tra questi e le vicende narrate nel racconto di Perrault, come in quello dei Grimm. Allo stesso modo, la fiaba di Cappuccetto Rosso, indipendentemente dalla versione che si sceglie di analizzare, narra la vicenda in sequenza di una bambina che esce di casa, si inoltra nel bosco dove incontra il lupo, è da lui divorata ed infine (considerando alcune versioni) è salvata per estrazione da un attore estraneo. 7.2. L'influenza della psicoanalisi: tra i contributi... Presso germanisti e psicoanalisti, si collaudò col tempo la preferenza dell'interpretazione delle fiabe dei fratelli Grimm rispetto ad altre fonti. Ciò è evidente dal momento in cui si osserva che i fondatori e i primi praticanti della psicoanalisi erano tedeschi, e fu quindi per loro naturale affidarsi ai canoni dei Grimm per la stesura di esempi per tutti i casi in cui analizzavano gli spunti offerti dal folklore negli studi psicoanalitici. Questo modo d'agire non rese il lavoro immune da difficoltà. Protendere verso un solo racconto (in questo caso dei Grimm) porta alla inevitabile conseguenza di adottare una visione miope del fenomeno “fiaba”, in quanto la valutazione appare limitata, in un campo dove invece, le influenze sono innumerevoli e, non considerarle, pone al repentaglio la validità dell'intero lavoro interpretativo. Un secondo problema risiede nel fatto che le fiabe stese in forma scritta, per definizione, si discostano necessariamente dalla tradizione orale. Gli stessi Grimm, soprattutto Wilhelm, iniziarono a divulgare versioni differenti della stessa fiaba, asserendo tale azione come voluta. Le letture di Cappuccetto Rosso in chiave mitica possono essere distinte in due categorie: la prima sostiene che la storia riflette un rito stagionale in cui solitamente la primavera sconfigge l'inverno, in una lotta ciclica, in cui Cappuccetto Rosso è la primavera che riesce a fuggire dal lupo-inverno. La seconda categoria di interpretazione rituale asserisce come si è già detto, che la fiaba costituisca una parte o un riflesso di riti di iniziazione adolescenziali. La vicenda assume una certa ciclicità, che ricorda le diverse fasi di crescita di una donna: Cappuccetto Rosso lascia la casa della madre, dove è nata, per inoltrarsi nel bosco, verso un cammino oscuro e incerto. 29 Ibidem, cit., p. 89 35 • Dicotomia natura/cultura Tra le ipotesi interpretative, vi sono quelle funzionaliste che suggeriscono come la storia rappresenti semplicemente un racconto per mettere in guardia le bambine sulle insidie dell'allontanamento da casa e sui rischi della permanenza dei boschi. L'opposizione tra casa e bosco la si ritrova anche in quelle interpretazioni che individuano nella casa, rispettivamente la “cultura”, mentre il mondo esterno del bosco la “natura”. La dicotomia tra natura e cultura rievoca il sistema interpretativo dei racconti folkloristici, quelle analisi che si basano sulla dottrina antroposofica, una scuola di scienza spirituale fondata da Rudolf Steiner. Analogamente alle teorie junghiane, tale dottrina sostiene la originale condizione umana in diretto contatto con la natura, che però si è andata offuscando ed è stata violata dalla civiltà. Per ristabilire il legame con la realtà archetipica, occorre riscoprire le fiabe per poter beneficiare della loro saggezza spirituale. L'analisi su Cappuccetto Rosso condotta da Glas, asserisce che le fiabe raccolte dai fratelli Grimm rappresentano una fonte inesauribile di immagini di avvenimenti che accadono nell'animo umano. Attualmente, in seguito alla meccanizzazione dei modi di vita e a un'infanzia trascorsa nelle città, diventa sempre più difficile comprendere pienamente i moti intimi dell'animo e dello spirito.30 • L'analisi di Freud A livello psicoanalitico, Sigmund Freud si dedicò agli studi sul folklore, sfruttandone le opportunità per meglio capire i suoi pazienti, nello stesso modo in cui la psicoanalisi rappresentava uno strumento per comprendere il folklore. Freud studiò la fiaba di Cappuccetto Rosso in chiave psicoanalitica, nel saggio del 1913 Materiale fiabesco nei sogni,31in cui descrisse il caso di un giovane paziente che raccontava di un sogno ricorrente in cui dei lupi bianchi comparivano su un albero. Freud, vi individuò nel lupo del sogno, non tanto il lupo di Cappuccetto Rosso, bensì quello della fiaba de Il lupo e i sette capretti, opera anch'essa dei Grimm. A prova di ciò fu il colore bianco, che in questa favola compare nel momento in cui il lupo, per ingannare i capretti e per far si che aprissero la porta di casa, aveva imbiancato la sua zampa per far credere fosse quella della madre. Le due fiabe, condividono molti elementi basilari: l'essere divorato, il taglio della pancia, il salvataggio dei personaggi divorati, la loro sostituzione con delle pietre e infine la morte del lupo. 30 Calabrese S., Feldracco D., (2008), Cappuccetto Rosso. Una fiaba vera, cit., p. 84 31 Ibidem, cit., p. 86 36 Freud, riconobbe nel lupo apparso in sogno al suo paziente, il primo surrogato della figura del padre. A livello generale dunque, riconobbe nel lupo delle fiabe (che divora i capretti e Cappuccetto Rosso), la paura del padre vissuta durante l'infanzia. • La lettura di Thomas Mintz in chiave onirica Riprendendo le tre istanze freudiane, Thomas Mintz invita a considerare la fiaba alla pari di un sogno, dove i diversi protagonisti altro non sarebbero che la stessa persona, autore del sogno: il lupo starebbe a simboleggiare l'Es, le attrattive del sesso e i desideri di cannibalismo, che vengono sconfitti dal cacciatore, il Super-io, in modo che la bambina, l'Io, non venga sopraffatta. • L'analisi di Jung e Fromm sulla figura maschile nella fiaba Anche Jung contribuì all'analisi psicoanalitica di Cappuccetto Rosso. Nel 1912, periodo questo in cui iniziò a prendere le distanze da Freud e dalle teorie psicoanalitiche, pubblicò un saggio in cui identificava nella figura del lupo il padre, che suscitava il timore di essere divorati in quanto espressione della paura del rapporto sessuale. Analisi psicoanalitica più significativa però fu elaborata da Erich Fromm, il quale dichiarò il palese simbolismo del cappuccio rosso, quale simbolo delle mestruazioni di una ragazzina, ormai divenuta donna, di fronte alla nuova esperienza del sesso. L'avvertimento della madre, di non lasciare il sentiero e non avventurarsi nel bosco “per non rompere la bottiglia del latte”, è un chiaro avvertimento contro i pericoli del sesso e contro quelli di perdere la verginità, simboleggiata appunto dalla bottiglia. Per Fromm la fiaba non è da ridurre a una storia moralistica, al contrario vi ci vede il profondo antagonismo della figura maschile, rappresentata dal lupo famelico che, nella sua interpretazione alluderebbe alla brama di sesso, dove l'atto sessuale è descritto come un atto di cannibalismo, dove la figura femminile viene divorata. L'antagonismo nei confronti del maschio, per Fromm, verrebbe accentuato soprattutto alla fine quando il lupo viene sbeffeggiato, nel momento in cui tenta di recitare la parte di una donna incinta, portando nel suo ventre esseri vivi. Cappuccetto Rosso mette nel suo ventre delle pietre, simbolo di sterilità, e il lupo si accascia a causa del loro peso, e rimane ucciso proprio per aver usurpato la parte della donna gravida. L'interpretazione di Fromm fu criticata dallo studioso Robert Darnton a partire dalle fonti. I simboli identificati e interpretati infatti, (la bottiglia del latte, l'ammonimento materno, le pietre, il cacciatore) in realtà non esistevano nelle versioni note ai contadini del Seicento e del Settecento. 37 anale in Cappuccetto Rosso non è mai stata presa in considerazione dagli studiosi. Nell'esperienza infantile, il piccolo associa l'evacuazione a letto con la privazione e l'assenza del genitore. La sequenza con cui si presentano la fase orale, anale e genitale nelle versioni orali della fiaba di Cappuccetto Rosso rende appropriata la lettura in chiave psicoanalitica. 40 Bibliografa Calabrese S., Feltracco D., (2008), Cappuccetto Rosso: una fiaba vera, Meltemi Editore, Roma Finzi, S. V., (1986), Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano Jung C. G. , (1980), Gli archetipi e l'inconscio collettivo, in Opere, Vol 9*, Boringhieri, Torino Jung C. G., (1980), La sincronicità, Bollati Boringhieri, Torino Jung C. G., (1969), Tipi psicologici, in Opere Vol 6*, Bollati Boringhieri, Torino Propp V. Ja., (1985), Le radici storiche dei racconti di fate, Bollati Boringhieri, Torino Von Franz M. L., (1986), Le fiabe del lieto fine. Psicologia delle storie di redenzione, Red edizioni, Como Von Franz M. L., (1980), Le fiabe interpretate, Bollati Boringhieri, Torino Von Franz M. L., (1987), L'individuazione nella fiaba, Boringhieri, Torino Sitografia https://www.google.it/url? Consultato il 22.11.14 41
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