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Elementi di prova in diritto: prova rappresentativa, indizio e onere della prova, Appunti di Diritto Processuale Penale

PeriziaDiritto Penale ItalianoProcedura penaleProva scientificaOnere della prova

Sulla distinzione tra prova rappresentativa e indizio in diritto. La prova rappresentativa è un procedimento logico per dimostrare l'esistenza di un fatto attraverso una rappresentazione, mentre l'indizio è un procedimento per ricavare un fatto storico attraverso le massime di esperienza o leggi scientifiche. Inoltre, viene discusso l'onere della prova, che può essere inteso in senso formale e sostanziale.

Cosa imparerai

  • Quali sono le funzioni della perizia in diritto penale italiano?
  • Quali sono le differenze tra la perizia e la consulenza tecnica di parte in diritto penale italiano?
  • Quali sono i criteri per l'ammissione della prova scientifica in diritto penale italiano?
  • Quali sono i limiti del perito in diritto penale italiano?
  • Che cosa significa l'onere della prova in diritto penale italiano?

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 05/09/2018

rosaria_fuccio
rosaria_fuccio 🇮🇹

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Scarica Elementi di prova in diritto: prova rappresentativa, indizio e onere della prova e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! GLI ATTI e PATOLOGIE NEL PROCEDIMENTO PENALE. ATTO nel procedimento penale: – è quell’atto compiuto da uno dei soggetti (giudice , pm, PG, parti private ecc..) – finalizzato alla pronuncia di un provvedimento penale (es. sentenza, ordinanza, decreto) Verbale: – è l’atto con il quale l’ausiliario del giudice, descrive quanto è avvenuto in sua presenza Un atto è invalido, solo nei casi in cui la legge prevede espressamente tale vizio. DIFFERENZA TRA ATTO INVALIDO ED ATTO IRREGOLARE. ?? Cos’è un atto invalido ? ?? – È l’atto che non è conforme al modello legale. – È invalido, quando la singola difformità rientra in uno dei 4 casi di invalidità previsti come causa di decadenza, inammissibilità, nullità o inutilizzabilità. ?? Cos’è un atto irregolare ? ?? L’atto è irregolare se non rientra in una delle cause di invalidità previste dalla legge. È quindi, qualsiasi vizio formale, che il giudice deve provvedere ad eliminare. E’ previsto l’obbligo per il giudice, pena responsabilità disciplinari. ATTO INVALIDO. Le cause di invalidità dell’atto sono 4: 1) inammissibilità — impedisce al giudice di esaminare nel merito una richiesta presentata da una parte, quando la richiesta stessa non ha i requisiti di legge 2) decadenza — comporta l’invalidità dell’atto che sia stato compiuto dopo che è scaduto un termine perentorio 3) nullità — è un vizio che colpisce l’atto del procedimento, che sia stato compiuto senza l’osservanza di determinate disposizioni stabilite dalla legge a pena di nullità (art. 177). 4) Inutilizzabilità — è un’invalidità che colpisce direttamente il valore probatorio di un atto: il giudice non può basarsi su di esso per emettere una decisione. (1) INAMMISSIBILITA’. – È il vizio che colpisce un atto di parte (di regola una richiesta) – Impedisce al giudice di valutarla nel merito. Un atto è inammissibile quando : • è privo dei requisiti previsti dalla legge a pena di inammissibilità Può trattarsi di : a) requisiti soggettivi — soggetti legittimati b) requisiti oggettivi — elementi necessari o rispetto dei termini perentori – l’inammissibilità per mancato rispetto di un termine perentorio, è strettamente collegata alla decadenza. • L’inammissibilità è rilevata dal giudice d’ufficio o su eccezione di parte o La dichiara con ordinanza o sentenza e non decide sul merito della stessa (2) DECADENZA. – E’ la perdita del potere di compiere un atto a seguito della scadenza di un termine perentorio. – Alla scadenza del termine, il soggetto decade dal potere di compiere l’atto. – Se egli compie ugualmente l’atto, dopo la scadenza del termine, l’atto è inammissibile. ** Termini perentori: ** Sono perentori, quelli che: prescrivono il compimento di un atto entro e non oltre un determinato periodo di tempo. + se tale periodo è superato — il soggetto decade dal potere compierlo validamente + • il legislatore ha sancito che si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto quei termini previsti dalla legge o questo perché le conseguenze sono gravi. • i termini perentori non possono essere prorogati, salvo che la legge disponga altrimenti. ** Termini ordinatori : ** Sono ordinatori, quelli che : fissano il periodo di tempo entro il quale un determinato atto deve essere compiuto. + se tale periodo è superato però, — non deriva alcuna conseguenza di tipo processuale + (+) semmai il soggetto che lo ha compiuto oltre il termine, può subire conseguenze di tipo disciplinare. – I termini si distinguono altresì in dilatori o acceleratori Sono dilatori: • quei termini con i quali si prescrive che un atto non può essere compiuto prima del loro decorso o (es. tra la data del decreto che dispone il giudizio e la data fissata per il giudizio medesimo, deve intercorrere un termine non inferiore a 20 giorni) Sono acceleratori: • quando la legge prevede un termine entro il quale quell’atto deve essere compiuto o (es. termine per impugnare provvedimento del giudice). ** Restituzione in termine : ** – Strumento di carattere eccezionale – Riassegna alle parti la possibilità di esercitare un potere che si era estinto per decadenza – Art. 175 cpp La materia prevede 2 istituti : quello di carattere generale, e quello di carattere speciale: 1) Restituzione generica : permette la restituzione in termini di decadenza, purchè sia provato che l’interessato non ha potuto osservarli per caso fortuito o forza maggiore 2) Restituzione specifica : era previsto nei confronti della sentenza contumaciale e del decreto penale di condanna. – infatti — se era stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l’imputato è restituito , a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che egli abbia avuto effettiva conoscenza del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire o ad impugnare. ** Con la nuova legge 67/14, che ha sostanzialmente cancellato l’istituto della contumacia si porrà il problema di come ci si dovrà comportare nei confronti degli imputati contumaci che sono in attesa della notifica della sentenza di condanna o per quegli imputati che sono già in fase dibattimentale e per i quali è stata dichiarata la contumacia. Sarebbe quindi opportuno che il governo intervenisse approvando una norma di attuazione transitoria con la quale si stabilisse che la nuova norma non si applichi ai procedimenti in corso per i quali sia stata già dichiarata la contumacia. ** La richiesta di restituzione generica, deve essere presentata al giudice entro 10 giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore. Restituzione specifica è di 30 giorni. Il giudice si pronuncia con ordinanza. (3) NULLITA’. – è il vizio che colpisce l’atto del procedimento – il quale è stato compiuto senza l’osservanza di determinate disposizioni espressamente stabilite dalla legge a pena di nullità (ex art. 177 cpp). L’inosservanza si distingue tra nullità speciale e generali. MODALITA’ DI PREVISIONE: Le nullità speciali — sono quelle previste per una determinata inosservanza Le nullità generali — sono quelle previste per ampie categorie di inosservanza. Art. 178 cpp Le nullità inoltre, si distinguono in 3 tipi: 1) nullità assolute 2) nullità intermedie 3) nullità relative NULLITA’ ASSOLUTA (+) sono colpite da nullità assoluta, le inosservanze più gravi previste dall’art. 179 cpp (+) riguardano i soggetti necessari del procedimento penale. (+) le nullità assolute sono rilevabili, anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento penale. (-) sono sanate solo dalla irrevocabilità della sentenza – l’art. 179, indica quali fra le nullità di ordine generale, previste dal 178, sono nullità assolute. 1) le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario 2) la violazione delle disposizioni concernenti l’iniziativa del pubblico ministero (rinvio a giudizio sottoscritta dal segretario) 3) omessa citazione dell’imputato 4) assenza del difensore dell’imputato quando è obbligatoria la presenza. 5) Le nullità definite assolute da specifiche disposizioni di legge. Il giudice esamina la legge penale e ricava da essa il fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice; il ragionamento svolto dal giudice è di tipo giuridico perché ha ad oggetto le disposizioni di legge e perché usa il metodo dell’interpretazione per chiarire il significato esatto della legge e per ricostruire il fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice. Giudizio di conformità Il giudice valuta se il fatto storico ricostruito mediante prove è conforme al fatto tipico previsto e sanzionato dalla norma penale incriminatrice Prova rappresentativa e indizio Il termine prova può avere almeno quattro diversi significati: • fonte di prova sono le persone ce le cose che forniscono un elemento di prova, cioè le persone o le cose dalle quali possono essere tratte le informazioni utili per ricostruire il fatto di reato • mezzo di prova è lo strumento col quale si acquisisce al processo un elemento che serve per la decisione (ad es. mezzo di prova è una testimonianza); • elemento di prova è l’informazione (intesa come dato grezzo) che si ricava dalla fonte di prova, quando ancora non è stata valutata dal giudice; • risultato probatorio è l’elemento di prova valutato in base ai criteri della credibilità e della attendibilità Si distingue tra prova rappresentativa ed indizio: • con il termine prova rappresentativa (definita anche prova storica) si fa riferimento a quel procedimento logico che dal fatto noto ricava, per rappresentazione, l’esistenza del fatto da provare; il giudice accertato il grado di credibilità della finte ed il grado di attendibilità della rappresentazione, valuta quanto della rappresentazione fornita è accettabile razionalmente • con il termine indizio (definito anche prova critica) si allude a quel procedimento (detto ragionamento inferenziale) mediante il quale, partendo da un fatto provato (la circostanza indiziante), si ricava, attraverso massime di esperienza o leggi scientifiche, l’esistenza di un fatto storico da provare, che può essere sia il fatto principale (il fatto storico addebitato all’imputato), sia un fatto secondario (un’altra circostanza indiziante) dal quale, con una ulteriore inferenza, si può ricavare l’esistenza del fatto principale La massima di esperienza è una regola di comportamento che esprime quello che avviene nella maggior parte dei casi; più precisamente essa è una regola che è ricavabile da casi simili al fatto noto (circostanza indiziante); la massima di esperienza è una regola, cioè non appartiene al mondo dei fatti e di conseguenza dà luogo ad un giudizio di probabilità e non di certezza. Riteniamo che il meccanismo con cui è costruita la prova indiziaria (detta anche critica) debba essere configurato nel modo seguente: il giudice applica un ragionamento di tipo induttivo quando esamina casi simili e formula una regola di esperienza (cioè da casi particolari ricava l’esistenza di una regola generale); successivamente il giudice svolge un ragionamento deduttivo, cioè applica al caso in esame la regola generale che ha ricavato in precedenza. Anche le leggi scientifiche c.d. universali che appartengono al patrimonio conoscitivo comune dell’uomo medio possono essere usate dal giudice nel suo ragionamento sul fatto. Viceversa, in materie che richiedono specifiche competenze tecniche, il giudice deve affidarsi a persone che hanno conoscenze specialistiche in quella determinata disciplina, i quali valuteranno quale legge della natura è applicabile ad un determinato fatto, al fine di individuarne le cause. Nel processo penale sono utilizzate anche leggi probabilistiche (ad esempio le leggi della scienza medica); non bisogna però confondere la probabilità statistica con la probabilità logica (denominata anche certezza processuale al di la del ragionevole dubbio), apprezzata dal giudice sulla base degli elementi di prova raccolti in un determinato processo. Le leggi scientifiche universali hanno la caratteristica della generalità (non ammettono eccezioni o comunque il margine di errore è esattamente conosciuto), della sperimentabilità (il fenomeno scientifico è riconducibile ad esperimenti misurabili quantitativamente) e della controllabilità (la loro formulazione è sottoposta alla critica della comunità di esperti); mentre le regole di comune esperienza sembrano essere carenti dei predetti caratteri: non sono generali perché le regole del comportamento umano ammettono eccezioni, non sono sperimentabili in quanto il reato è un fatto umano che per sua natura non è ripetibile, non sono controllabili perché non ci sono tecnici del diritto in grado di seguire il nascere di una regola di esperienza ed il suo livello di generalità; per questi motivi sia nella formulazione di una regola di esperienza, sia nella sua applicazione il giudice deve essere molto cauto. L’indizio comunque non è una prova minore, bensì una prova che deve essere verificata. Esso è idoneo ad accertare l’esistenza di un fatto storico di reato solo quando sono presenti altre prove che escludono una diversa ricostruzione dell’accaduto. Il principio è formulato nel 192.2: L’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti. • la gravità degli indizi attiene al grado di convincimento: è grave l’indizio resistente alle obiezioni. • gli indizi sono precisi quando non sono suscettibili di altre diverse interpretazioni. • gli indizi sono concordanti quando convergono tutti verso la medesima conclusione. Gli indizi devono essere gravi precisi e concordanti solo quando tendono a dimostrare l’esistenza di un fatto; viceversa se l’oggetto della prova è un fatto incompatibile con la ricostruzione del fatto storico operata nell’imputazione (ci si riferisce all’alibi), è sufficiente anche un solo indizio; naturalmente la circostanza indiziante su cui si basa l’alibi deve essere sottoposta al vaglio di attendibilità da parte del giudice come ogni altro elemento di prova. Il procedimento probatorio e il diritto alla prova Il procedimento probatorio è regolamentato dal codice nei fondamentali momenti della ricerca, dell’ammissione, dell’assunzione e della valutazione della prova; i poteri in materia di prova risentono del principio della separazione dei poteri: • alle parti spetta esclusivamente il potere di ricerca e di domanda • al giudice spetta il potere di decidere l’ammissione e di emettere una valutazione sulle prove Tutti i poteri sono comunque regolati dalla legge, affinché i soggetti non ne abusino; in proposito si può affermare che esiste un vero e proprio “principio di legalità processuale in materia probatoria” La RICERCA DELLA PROVA. La ricerca delle fonti di prova spetta alle parti: • in primo luogo al p.m., sul quale incombe l’onere della prova, e cioè l’onere di convincere il giudice della reità dell’imputato; • successivamente spetta all’imputato, al fine di confutare le tesi dell’accusa, ricercare sia quelle prove che possano convincere il giudice della non credibilità della fonte o della inattendibilità dell’elemento di prova a carico, sia quelle tendenti a dimostrare che i fatti si sono svolti diversamente. L’AMMISSIONE DELLA PROVA. L’ammissione del singolo mezzo di prova, di regola, deve essere chiesta dalle parti al giudice (principio di dispositivo in materia probatoria); il giudice deve provvedere sulla richiesta di ammissione senza ritardo con ordinanza motivata; ciò significa che egli deve motivare l’eventuale rigetto della richiesta e soprattutto deve provvedere subito, senza poter riservarsi di decidere successivamente sull’ammissione (ciò perché le parti hanno il diritto di affrontare l’istruzione dibattimentale avendo ben chiaro il quadro probatorio di cui possono disporre). Il giudice decide di ammettere la prova in base a quattro criteri. 1) la prova deve essere pertinente, cioè essa deve tendere a dimostrare l’esistenza del fatto storico enunciato nell’imputazione o l’esistenza di uno dei fatti indicati nell’articolo 187 Oggetto della prova: “Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali. Se vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato” 2) Il diritto alla prova contraria: ove siano stati ammessi i mezzi di prova richiesti dall’accusa, l’imputato ha il diritto all’ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico; il medesimo diritto spetta al p.m. in ordine alle prove a carico dell’imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico; quindi il codice prevede che la prova contraria sia sempre pertinente. 3) Limiti al diritto all’ammissione della prova: il diritto di ottenere l’ammissione della prova di tipo dichiarativo è stato limitato nelle ipotesi di imputazione avente ad oggetto il delitto di associazione mafiosa, delitti ad esso collegati o alcuni reati in materia di violenza sessuale e di pedofilia; se la persona che una parte vuole sentire in dibattimento ha già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio l’esame è ammesso soltanto in due casi: 1) se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni 2) se il giudice o una delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze 4) Poteri di iniziativa probatoria del giudice: nella fase dell’ammissione della prova il giudice, di regola, non può assumere un mezzo di prova d’ufficio e ha soltanto il potere di decidere se ammettere o meno il mezzo di prova chiesto da una delle parti; la legge tuttavia prevede dei casi in cui le prove sono ammesse d’ufficio, in deroga al principio dispositivo in materia probatoria; ad esempio nel corso del dibattimento il giudice, se risulta assolutamente necessario, ha un potere di supplenza della inerzia delle parti e può disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova L’ASSUNZIONE DELLA PROVA. L’assunzione della prova avviene, se si tratta di dichiarazioni, col metodo dell’esame incrociato; spetta alle parti (al p.m. e ai difensori) il compito di rivolgere le domande al dichiarante; il presidente ha il potere di porre domande soltanto dopo che le parti hanno concluso l’esame incrociato e successivamente alla domande poste dal giudice le parti possono riprendere l’esame. L’acquisizione della prova. Il termine acquisizione riferito alla prova è utilizzato in due significati: - in senso stretto il termine acquisizione indica l’ammissione della prove precostituita, cioè formata prima o fuori del dibattimento - in senso lato il termine acquisizione è utilizzato per ricomprendere anche l’ammissione della prova non precostituita qual è la dichiarazione La VALUTAZIONE DELLA PROVA. Le parti hanno il diritto di argomentare, cioè di offrire al giudice la valutazione degli elementi di prova; ciò avviene al momento della discussione finale, quando le parti illustrano le proprie conclusioni in un ordina che rispetta le cadenze dell’onere della prova (al p.m. seguono i difensori dell’eventuale parte civile e dell’imputato). Al diritto delle parti spetta il dovere del giudice di dare una valutazione logica degli elementi di prova raccolti; infatti il codice, per rendere effettivo il diritto alla valutazione, prescrive che il giudice nella sentenza debba indicare le prove poste a base della decisione e le ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie. Il principio del libero convincimento. Questa espressione significa che il giudice è libero di convincersi in relazione alla attendibilità degli elementi di prova ed alla credibilità delle fonti, nonché in merito all’idoneità di una massima di esperienza o di una legge scientifica a sostenere l’inferenza sulla quale si basano le ricostruzioni dell’accusa e della difesa; tale principio tuttavia deve passare attraverso le norme che disciplinano la valutazione delle prove e la motivazione della sentenza e da ciò deriva che il convincimento del giudice deve consistere in una valutazione razionale delle prove e in una ricostruzione del fatto conforme ai canoni della logica ed aderente alle risultanze processuali. La non configurabilità della prova legale. Nel processo penale non esiste l’istituto della prova legale; quindi la confessione è sempre liberamente valutabile dal giudice, che può ritenerla non attendibile. Il codice di regola attribuisce al giudice penale il potere di risolvere ogni questione da cui dipende la decisione sia sull’esistenza del reato, sia sull’applicazione di una norma processuale. Quando la questione pregiudiziale ha per oggetto una controversia sullo stato di famiglia e di cittadinanza, il giudice penale è vincolato ai limiti di prova stabiliti dalle leggi civili; quando la questione pregiudiziale ha un qualsiasi altro oggetto, il giudice penale non è vincolato ai limiti di prova posti dalla relativa materia e quindi applica soltanto le regole probatorie del processo penale. I MEZZI DI PROVA Con l’espressione “mezzo di prova” si vuole indicare quello strumento processuale che permette di acquisire un elemento di prova. Il codice prevede sette mezzi di prova tipici, per i quali le modalità di assunzione sono predisposte in maniera tale da permettere al giudice ed alle altre parti di valutare nel modo migliore la credibilità della fonte e l’attendibilità dell’elemento di prova che si ricava dall’esperimento del singolo mezzo; pertanto i mezzi di prova tipi sono considerati dal codice idonei a permettere l’accertamento dei fatti; essi sono: • la testimonianza • l’esame delle parti • i confronti • le ricognizioni • gli esperimenti giudiziali • la perizia • i documenti. Il codice tuttavia non impone la tassatività dei mezzi di prova e a determinate condizioni prevede la possibilità di mezzi di prova atipici, cioè dei mezzi di prova aventi una componente non regolamentata dalla legge; in particolare l’articolo 189 stabilisce che la prova atipica può essere ammessa soltanto se presenta due requisiti: 1) deve essere idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti, cioè deve essere in concreto capace di fornire elementi attendibili e di permettere una valutazione sulla credibilità della fonte di prova 2) deve assicurare la libertà morale della persona – fonte di prova, cioè deve lasciare integra la facoltà di determinarsi liberamente rispetto agli stimoli Inoltre occorre che il giudice senta le parti sulle modalità di assunzione della prova prima di decidere con ordinanza sulla richiesta di ammissione e sulle modalità di assunzione della prova; l’ordinanza del giudice che accoglie o respinge la richiesta è controllabile mediante l’impugnazione della sentenza. Configurabilità dei mezzi di ricerca della prova atipici: le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che è possibile configurare mezzi di ricerca della prova atipici e a tal fine occorre procedere ad una interpretazione adeguatrice dell’articolo 189: qualora si tratti di mezzi di ricerca della prova atipici, anziché configurare un contraddittorio anticipato sulla ammissione nel corso delle indagini preliminari si potrà svolgere un contraddittorio successivo sulla utilizzabilità degli elementi acquisiti. LA TESTIMONIANZA Testimoni e parti sono in grado di dare un rilevante contributo conoscitivo al processo penale; essi sono esaminati sui fatti che costituiscono oggetto di prova e cioè sulla responsabilità dell’imputato e sui fatti che servono a valutare la credibilità delle fonti e l’attendibilità degli elementi di prova. La loro deposizione avviene nella forma dell’esame incrociato, ma il codice distingue pone una netta distinzione tra i due mezzi di prova: la testimonianza (art. 194 ss.) e l’esame delle parti (art. 208 ss.), distinzione che riguarda aspetti sia di diritto processuale, sia di diritto penale sostanziale: • il testimone ha l’obbligo penalmente sanzionato di presentarsi al giudice e di dire la verità. • viceversa l’imputato, e più in generale le parti private, quando vengono esaminate ai sensi del 208 non hanno l’obbligo di presentarsi, né l’obbligo di rispondere alle domande, né l’obbligo di dire la verità. Infatti la qualità di testimone è di regola incompatibile con la qualità di parte privata e, in particolare, di imputato; un’eccezione è la parte civile, che può esser sentita come testimone coi relativi obblighi penali. Le altre parti private (responsabile civile e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) non possono essere chiamate a deporre come testimoni, né possono offrirsi spontaneamente in tale ruolo. La qualità di testimone la qualità di testimone può essere assunta dalla persona che ha conoscenza dei fatti oggetto di prova ma che al tempo stesso non riveste una delle qualifiche alle quali il codice riconduce l’incompatibilità a testimoniale; tale persona diventa testimone soltanto se e quando su richiesta di parte (o d’ufficio nei casi previsti) è chiamata a deporre davanti ad un giudice. Gli obblighi del testimone: il testimone ha i seguenti obblighi: • l’obbligo di presentarsi al giudice; se non si presenta senza un legittimo impedimento, il giudice può ordinare il suo accompagnamento coattivo e può condannarlo al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende nonché alle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa. • l’obbligo di attenersi alle prescrizioni date dal giudice per le esigenze processuali; • l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte: se tace ciò che sa, afferma il falso o nega il vero, commette il delitto di falsa testimonianza. Divieto probatorio circa le modalità di assunzione della prova dichiarativa Ex articolo 188 non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata (il divieto opera oggettivamente) metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione (tortura) o ad alterare la capacità di ricordare i fatti (narcoanalisi e l’ipnosi) o di valutare i fatti (macchina della verità); tale divieto se violato comporta l’invalidità dell’atto acquisitivo La deposizione La deposizione è resa in dibattimento. Forma della deposizione ® la deposizione è resa in dibattimento con le forme dell’esame incrociato. Oggetto della deposizione ® il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova. In particolare le domande devono: • essere pertinenti, e cioè devono riguardare sia i fatti che si riferiscono all’imputazione, sia i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali. • avere ad oggetto “fatti determinati”; di conseguenza, il testimone di regola non può esprimere valutazioni né apprezzamenti personali (salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti) e non può deporre su voci correnti nel pubblico. Inoltre: • l’esame del testimone può estendersi ai rapporti di parentela o di interesse che lo legano alle parti o ad altri testimoni • l’esame del testimone può avere ad oggetto le circostanze che servono ad accertare la credibilità sia delle parti, sia dei testimoni • le deposizioni sulla moralità dell’imputato sono ammesse ai soli fini di qualificare la personalità dello stesso in relazione al reato ed alla pericolosità e sempre che si tratti di fatti specifici. Le domande che riguardano la persona offesa dal reato incontrano due limiti: • il primo consiste nel fatto che la deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona offesa dal reato è ammessa solo quando il fatto dell’imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona; • il secondo riguarda i procedimenti per i delitti di violenza sessuale, di prostituzione minorile e di tratta di persone: le domande aventi ad oggetto la vita privata o la sessualità della persona offesa dal reato sono di regola vietate; sono consentite se sono necessarie alla ricostruzione del fatto. La testimonianza indiretta Dei fatti da provare il testimone può avere una conoscenza diretta o indiretta: • si ha una conoscenza diretta quando il testimone ha percepito personalmente il fatto da provare con uno dei cinque sensi • si ha una conoscenza indiretta quando il testimone ha appreso il fatto da una rappresentazione che altri ha a lui riferito a voce, per iscritto o con altro mezzo; Quindi si ha una testimonianza indiretta quando il fatto da provare non è stato percepito personalmente dal soggetto che lo narra, ma costui è stato rappresentato da un’altra fonte; la persona dai cui il testimone si è sentito dire è comunemente indicata con l’espressione “teste di riferimento”; egli può avere percepito personalmente il fatto (e allora è chiamato teste diretto) oppure può averlo sentito dire da un’altra persona (e allora è chiamato teste indiretto) Il problema della testimonianza indiretta sta nel fatto che quando il fatto è conosciuto dal testimone per sentito dire occorre che sia possibile accertare l’attendibilità sia del testimone indiretto, sia del testimone diretto (cioè della persona da cui si è sentito dire); per questo motivo il codice pone alcune condizioni all’utilizzabilità della deposizione indiretta che permettono di effettuare il controllo sulla credibilità del teste diretto e sull’attendibilità di quanto è stato riferito: 1) il testimone indiretto deve indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame; quando non è individuato il teste diretto o comunque la fonte da cui si è appreso il fatto riferito la testimonianza non è utilizzabile 2) quando una delle parti chiede che venga sentita nel processo la persona che ha avuto conoscenza diretta del fatto, il giudice è obbligato a disporne la citazione; se questa norma non è osservata la testimonianza indiretta di regola non è utilizzabile; in via eccezionale è utilizzabile quando l’esame del testimone diretto risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità; l’irreperibilità presuppone che sia stato impossibile notificare la citazione a comparire al testimone già identificato (l’identificazione compito della polizia giudiziaria). Comunque il giudice può disporre la citazione del testimone diretto anche d’ufficio, senza che vi sia stata richiesta da alcuna delle parti. Divieto di testimonianza indiretta sulla dichiarazioni dell’imputato o dell’indagato: la prova delle dichiarazioni rese dall’imputato e dall’indagato in un atto del procedimento deve ricavarsi unicamente dal verbale che deve essere redatto ed utilizzato con le forme ed entro i limiti previsti per le varie fasi del procedimento; per quanto riguarda l’ambito del divieto: • in primo luogo, il divieto ha natura oggettiva, e cioè pare riferirsi a chiunque riceva le dichiarazioni. • in secondo luogo, il divieto ha per oggetto dichiarazioni in senso stretto, e cioè espressioni di contenuto narrativo: risultano quindi riferibili per sentito dire quelle dichiarazioni che costituiscono espressioni di volontà o meri comportamenti. • in terzo luogo, le dichiarazioni nei cui confronti opera il divieto sono quelle rese nel corso del procedimento: l’espressione deve essere intesa nel senso di “in occasione” di un atto tipico e non “durante la pendenza” del procedimento. • infine, il divieto riguarda le dichiarazioni dell’imputato che abbiano una valenza di prove, e non quelle che siano rilevanti come fatti storici di reato (che devono essere accertati mediante un processo penale). La testimonianza indiretta della polizia giudiziaria: gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre • sul contenuto delle sommarie informazioni assunte da testimoni o imputati connessi, • sul contenuto delle denunce, querele o istanze, Quando appare che il testimone violi l’obbligo di rispondere secondo verità (rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite), solo il giudice può rivolgergli l’ammonimento a rispettare l’obbligo di dire il vero (le parti non possono ammonire il testimone, ma possono sollecitare il giudice ad esercitare tale potere); ove il p.m. non prenda un’immediata iniziativa (cioè non chieda subito copia del verbale d’udienza) il giudice potrà attivarsi soltanto alla fine del dibattimento; in particolare con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il giudice, se ravvisa indizi del reato di falsa testimonianza, ne informa il p.m. trasmettendogli i relativi atti. Quando il testimone rifiuta di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, il giudice provvede ad avvertirlo sull’obbligo di deporre secondo verità; se il testimone persiste nel rifiuto, il giudice dispone l’immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge. Il segreto professionale Alcuni testimoni con determinate qualifiche di tipo privatistico hanno la facoltà di non rispondere a determinate domande quando la risposta comporti la violazione dell’obbligo del segreto professionale; tali soggetti sono i c.d. “professionisti qualificati” espressamente indicati dall’articolo 200: il professionista “qualificato” può rifiutarsi di rispondere alla singola domanda che lo induca a narrare un fatto segreto appreso per ragione del proprio ministero, ufficio o professione. Possono opporre il segreto professionale, quando sono sentiti in qualità di testimoni: a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano; b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai; c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale (cioè accaduto in relazione ai consulenti del lavoro, ai dipendenti dei servizi pubblici o privati convenzionati che si occupano del recupero dei tossico dipendenti, ai dottori commercialisti, ai ragionieri e periti commerciali, agli assistenti sociali iscritti all’albo professionale. Il segreto professionale è poi esteso ai giornalisti, con alcuni limiti: • esso può essere mantenuto relativamente ai nomi delle persone dalle quali è stata appresa una notizia di carattere fiduciario nell’esercizio della professione; • possono opporre questo segreto solo i giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale; • il giornalista è comunque obbligato ad indicare al giudice la fonte delle sue informazioni quando le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia. Il professionista comune (non rientrante nelle categorie indicate nel 200) ha l’obbligo di deporre nel processo penale anche se al di fuori di questo è tenuto al segreto professionale; egli è penalmente tenuto a non rivelare senza giusta causa i segreti dei quali è venuto a conoscenza per ragione della propria professione, arte, stato od ufficio quando ciò possa nuocere al cliente, ma deve rispondere secondo verità quando è sentito come testimone nel processo penale (giusta causa). Per “segreto” si intende una notizia che non deve essere portata alla altrui conoscenza e che, pertanto, non è già di per sé notoria. Il segreto d’ufficio e di Stato Il segreto d’ufficio vincola il pubblico ufficiale e l’incaricato di un pubblico servizio e mantenere il segreto su alcune specie di notizie che concernono lo svolgimento del servizio pubblico; ad essi è imposto di non rispondere alle domande sui fatti coperti dal segreto, ma l’obbligo di astenersi viene meno quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio hanno l’obbligo di riferire all’autorità la notizia di reato (e cioè in sostanza quando hanno l’obbligo di denuncia); quindi tali soggetti non possono mantenere segreti sui quei fatti che concernono reati. Se il testimone (pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio) oppone il segreto d’ufficio, il giudice valuta se tale eccezione è fondata e ove non lo sia ordina al testimone di deporre. Una particolare specie di segreto d’ufficio è il segreto di Stato, che copre gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno alla integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, all’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato ; i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato. Quando la persone che ha una delle predette qualifiche e che è sentita in qualità di testimone oppone l’esistenza del segreto di stato, l’autorità giudiziaria procedente (p.m. o giudice) ha due obblighi: • deve informare il presidente del consiglio dei ministri, chiedendo l’eventuale conferma del segreto • deve sospendere ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto Se entro 30 giorni dalla notificazione della richiesta il presidente del consiglio dei ministri non da una conferma del segreto l’autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l’ulteriore corso del procedimento; viceversa l’opposizione del segreto di Stato confermata con atto motivato dal presidente del consiglio dei ministri inibisce all’autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto di Stato e se la prova è essenziale per la definizione del processo, il giudice deve dichiarare di non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato. Un’altra specie di segreto il segreto di polizia che consente di non rivelare i nomi degli informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza (ma tutto quello che si afferma di aver “sentito dire” da loro non può essere acquisito né utilizzato, se non quando l’informatore sia stato esaminato). L’ESAME DELLE PARTI È denominato esame delle parti il mezzo di prova mediante il quale le parti private possono contribuire all’accertamento dei fatti nel processo penale. Alcune norme del codice forniscono una regolamentazione generale dell’esame delle parti; possono definirsi “generali” le seguenti regole: a) il dichiarante non ha l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità, né di essere completo nel narrare i fatti; inoltre egli ha la facoltà di non rispondere alle domande; b) le dichiarazioni sono rese secondo le norme sull’esame incrociato; pertanto le domande sono formulate di regola dal p.m. e dai difensori delle parti private nell’ordine indicato nel 503.1 (parte civile, responsabile civile, persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e imputato); c) le domande devono riguardare i fatti oggetto di prova. Altre norme del codice riguardano specificatamente determinati soggetti, per cui l’esame delle parti è sottoposto a regimi giuridici diversi in ragione della persona che rilascia la dichiarazione: • il primo regime giuridico riguarda l’esame dell’imputato nel proprio procedimento • il secondo regime giuridico riguarda le parti private diverse dall’imputato • il terzo regime giuridico riguarda gli imputati in procedimenti connessi o collegati L’esame dell’imputato L’esame dell’imputato nel proprio procedimento ha luogo solo su richiesta o consenso dell’interessato; il mancato consenso non può essere valutato dal giudice in senso negativo per l’imputato. L’imputato che ha chiesto l’esame (o vi ha consentito) non è vincolato all’obbligo di rispondere secondo verità (infatti egli non è testimone); l’imputato può dire il falso senza incorrere in conseguenze penali finché è coperto dalla causa di non punibilità prevista dal 384.1 c.p.; viceversa, è punibile se incolpa di un reato un’altra persona, sapendola innocente (368 c.p.: Calunnia) o se afferma falsamente essere avvenuto un reato che nessuno ha commesso (367 c.p.: Simulazione di reato); tuttavia il dire il falso può provocare delle conseguenze dal punto di vista processuale: se durante l’esame incrociato o successivamente risulta che l’imputato ha mentito, da quel momento egli può essere ritenuto non credibile. Nel corso dell’esame l’imputato può rifiutarsi di rispondere ad una qualsiasi domanda (e cioè, su di un fatto proprio o altrui); del suo silenzio deve essere fatta menzione nel verbale. L’imputato ha il privilegio di poter affermare di aver “sentito dire” qualcosa, senza essere vincolato alle condizioni di utilizzabilità poste dal 195 (Testimonianza indiretta); infatti egli può non indicare la fonte (persona o documento) da cui ha appreso l’esistenza di un fatto. L’esame delle parti private diverse dall’imputato L’esame del responsabile civile, del civilmente obbligato per la pena pecuniaria e della parte civile che non debba essere esaminata come testimone si svolge con regole identiche a quelle che valgono per l’imputato, salvo un particolare: se le parti private diverse dall’imputato affermano di aver “sentito dire”, valgono le ordinarie condizioni di utilizzabilità previste dal 195. Occorre sottolineare che la parte civile, quando è chiamata a testimoniare, è obbligata a deporre in tale qualità e non come parte privata; di conseguenza, assume l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. L’esame di persone imputate in procedimenti connessi o collegati Possiamo definire “imputato connesso o collegato” l’imputato di quel procedimento che ha rispetto al procedimento principale un rapporto di connessione (12: Casi di connessione) o di collegamento probatorio (371.2 lett. b) a prescindere dalla circostanza che i rispettivi procedimenti siano riuniti o separati. L’esame dell’imputato concorrente nel medesimo reato L’imputato di un procedimento connesso nelle ipotesi di concorso nel medesimo reato e situazioni assimilate (cooperazione colposa o unico evento causato da condotte indipendenti), che d’ora in poi chiameremo “imputato concorrente”, è incompatibile con la qualifica di testimone fino a che nei suoi confronti non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. In linea generale l’imputato concorrente gode delle stesse garanzie riconosciute all’imputato principale. Tuttavia egli è chiamato a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui e sotto questo profilo l’imputato concorrente viene assimilato al testimone perché ha l’obbligo di presentarsi; quindi l’imputato del procedimento connesso è sottoposto all’esame senza che sia necessario il suo consenso (ciò che conta è che il suo esame sia stato richiesto da una delle parti del procedimento principale o, nei casi previsti dalla legge, sia stato disposto d’ufficio dal giudice). Nel caso in cui l’imputato del procedimento connesso non si presenti il giudice ne ordina l’accompagnamento coattivo a mezzo della forza pubblica. Per tutto il resto l’imputato concorrente è assimilato alla figura base dell’imputato: • ha la facoltà di non rispondere; l’imputato concorrente è avvisato che ha la facoltà di non rispondere, salvo che si tratti di una domanda sulla sua identità personale; da sottolineare che l’imputato concorrente può tacere anche se la domanda non è suscettibile di assumere un significato autoincriminante • se decide di rispondere, non ha l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità (restano punibili solo la calunnia e la simulazione di reato) • è obbligatoriamente assistito da un difensore. L’esame dell’imputato connesso teleologicamente o collegato Gli imputati connessi teleologicamente o collegati che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato sono avvisati che hanno la facoltà di non rispondere e sono altresì avvertiti che, se renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, assumeranno la qualifica di teste limitatamente a tali fatti (tali soggetti, se hanno reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri, possono essere chiamati a deporre come testimoni assistiti). L’imputato connesso teleologicamente o collegato ha facoltà di tacere e, se parla, non ha obbligo di verità. Tuttavia, se rende dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altro imputato (collegato o connesso teleologicamente), da quel momento La RICOGNIZIONE è il mezzo di prova mediante il quale ad una persona che abbia percepito coi propri sensi una persona o una cosa si chiede di riconoscerla individuandola tra altre simili. L’atto può essere compiuto nel corso del dibattimento o nell’incidente probatorio e si svolge nel rispetto del contraddittorio. Accertamenti sull’attendibilità: il giudice invita chi deve eseguire la ricognizione (c.d. ricognitore) a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi: a) se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento b) se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere c) se la stessa gli sia stata indicata o descritta d) se vi siano altre circostanze che possano influire sull’attendibilità del riconoscimento Nel verbale deve essere fatta menzione degli adempimenti previsti e delle dichiarazioni rese, il tutto a pena di nullità della ricognizione. La predispostone della scena: Allontanato colui che deve eseguire la ricognizione, il giudice procura la presenza di almeno due persone (c.d. distrattori) il più possibile somiglianti, anche nell’abbigliamento, a quella sottoposta a ricognizione. Invita quindi quest’ultima a scegliere il suo posto rispetto alle altre, curando che si presenti, sin dove è possibile, nelle stesse condizioni nelle quali sarebbe stata vista dalla persona chiamata alla ricognizione. Il tentativo di riconoscimento: Nuovamente introdotta la persona chiamata alla ricognizione, il giudice le chiede se riconosca taluno dei presenti e, in caso affermativo, la invita a indicare chi abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa. Se vi è fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla ricognizione possa subire intimidazione o altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a ricognizione il giudice dispone che l’atto sia compiuto senza che quest’ultima possa vedere la prima. Quando occorre procedere alla ricognizione del corpo del reato o di altre cose pertinenti al reato, si osservano modalità analoghe a quelle esposte (per cui il giudice dispone che siano procurati almeno due oggetti simili a quello da riconoscere) L’ESPERIMENTO GIUDIZIALE è ammesso quando occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un determinato modo. L’esperimento consiste nella riproduzione, per quanto è possibile, della situazione in cui il fatto si afferma o si ritiene essere avvenuto e nella ripetizione delle modalità di svolgimento del fatto stesso; ovviamente il fatto storico di reato è irripetibile: scopo dell’esperimento è quello di valutare la verosimiglianza della ricostruzione dello stesso riproducendone le modalità di svolgimento. Questo mezzo di prova può essere disposto in dibattimento, ma può essere condotto anche durante le indagini preliminari con lo strumento dell’incidente probatorio, quando debba svolgersi su di una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile. Il giudice dirige lo svolgimento delle operazioni; può anche d’ufficio designare un esperto per l’esecuzione di quelle tra esse che richiedono specifiche conoscenze. L’attendibilità dell’esperimento è subordinata alla possibilità di riprodurre esattamente e a posteriori tutte le condizioni nelle quali si afferma essere avvenuto il fatto da ricostruire e che abbiano ragionevolmente influito sulla dinamica dello stesso; l’impossibilità di riprodurre fedelmente siffatte condizioni potrebbe costituire il limite naturale dell’esperimento. Tuttavia oggi è possibile ricostruire un fatto naturale mediante computer nella realtà virtuale sulla base delle prove raccolte (computer generated evidence); l’animazione sostituisce la rappresentazione vivente del fatto da provare e permette di simulare la successione degli accadimenti secondo le medesime regole fisiche che governano il mondo reale. Tale strumento può essere comunque ammesso solo se sussistono le condizioni richieste per l’assunzione della prova atipica; infatti occorre garantire che siano controllate in contraddittorio: • l’accuratezza e completezza dei dati reali raccolti • l’affidabilità dell’hardware e del software utilizzati • la qualificazione professionale dell’operatore che inserisce i dati e li elabora Inoltre il giudice deve determinare sentire le parti quali modalità di assunzione siano adatte. LA PROVA SCIENTIFICA Il diritto alla prove scientifica: il concetto di diritto di difesa, ricavabile dalla Costituzione, deve essere ampliato: oggi si accetta una concezione post-positivistica secondo la quale la scienza non rappresenta più una verità inconfutabile, essendo essa limitata, incompleta e fallibile; di conseguenza il diritto di difesa si deve estendere a quel particolare tipo di prova che è la prova scientifica (non può essere accettata la tesi secondo cui il contraddittorio per la ricerca e l’acquisizione della prova opera soltanto in razione alla prova orale e dichiarativa) e le parti devono potersi avvalere di esperti che si trovino in condizioni di parità con il perito. Le parti (p.m., indagato/imputato e offeso/parte civile) possono: • nel corso delle indagini preliminari e in dibattimento richiedere al giudice la nomina di un perito e designare i propri consulenti tecnici all’interno della perizia; in dibattimento il giudice può procedere alla nomina di un perito anche d’ufficio, mentre nella fase delle indagini preliminari il giudice non ha poteri di iniziativa probatoria d’ufficio e non può quindi nominare un perito senza richiesta di parte • fin dalle indagini preliminari direttamente nominare un consulente tecnico di parte al fine di svolgere indagini al di fuori della perizia e anche se non è stata disposta la perizia; egli sarà poi sentito in dibattimento con lo strumento dell’esame incrociato; quindi la consulenza tecnica di parte è oggi un vero e proprio mezzo di prova L’ammissione della prova scientifica. Il legislatore non fornisce al giudice un criterio espresso che indichi quando una prova è scientifica e, di conseguenza, quando questa può essere introdotta nel processo; in altre parole il codice non indica al giudice il criterio per valutare in positivo o in negativo la scientificità di un metodo proposto da un tecnico nominato dal giudice medesimo o da una parte. Il vuoto dell’articolo 220 è stato tradizionalmente colmato con il criterio del “consenso della comunità scientifica”; ma questo criterio pone dei problemi quando si tratta di ammettere un medito nuovo sul quale ancora non si è formata una generale accettazione da parte della comunità scientifica. Nella giurisprudenza americana il criterio tradizionale è stato superato nel 1993 dalla sentenza Daubert, in cui sono stati elaborati i criteri sulla base dei quali il giudice deve valutare quando un determinato metodo scientifico costituisce o meno una conoscenza scientifica; la sentenza indica questi criteri di affidabilità: 1) verificabilità del metodo: una teoria è scientifica se può essere controllata mediante esperimenti 2) falsificabilità: la teoria scientifica deve essere stata sottoposta a tentativi di falsificazione i quali, se hanno avuto esito negativo, la confermano nella sua credibilità 3) sottoposizione al controllo della comunità scientifica: il metodo deve essere stato reso noto in riviste specializzate in modo dal essere controllato dalla comunità scientifica 4) conoscenza del tasso di errore: occorre che al giudice sia resa nota la percentuale di errore accertato o potenziale 5) generale accettazione: il giudice deve tener conto, come criterio ausiliario e non indispensabile, se il metodo proposto doge di una generale accettazione nella comunità di esperti Un orientamento dottrinale propone di colmare la lacuna del nostro ordinamento mediante lo strumento dell’integrazione analogica: ci sarebbe identità di ratio tra il mezzo di prova atipico e il nuovo metodo scientifico per cui i nuovi metodi scientifici devono essere ammessi dal giudice sulla base dei criteri dell’articolo 189; di essi il primo (idoneità del mezzo di prova ad assicurare l’accertamento del fatto) è cosi generale che può essere integrato dai criteri elaborati dalla sentenza Daubert; sono stati quindi proposti questi criteri, che il giudice deve valutare quando ammette il mezzo di prova scientifico: • se il metodo è in astratto valido per ottenere un elemento utile • se il metodo in concreto è idoneo a ricostruire il fatto da provare • se il metodo è controllabile nei momento dell’assunzione e valutazione • se l’esperto è qualificato • se lo strumento è comprensibile, perché il giudice e le parti devono poterlo dominare LA PERIZIA La perizia è un mezzo di prova finalizzato ad integrare le conoscenze del giudice con quelle di un esperto; essa è infatti disposta quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche; sono quindi tre le sue funzioni: 1) svolgere indagini per acquisire dati probatori 2) acquisire dati probatori selezionandoli e interpretandoli 3) acquisire valutazioni sui dati assunti La perizia non è l’unico strumento che permette di raggiungere le finalità indicate: esiste anche la consulenza tecnica di parte entro e fuori dei casi di perizia: sia il p.m. sia le parti private possono avvalersi dell’opera di esperti fin dalla fase delle indagini preliminari. Quindi il giudice si trova di fronte ad una alternativa: • utilizzare le valutazioni operate da un consulente tecnico di parte ovvero • disporre una perizia. La perizia si caratterizza per essere un mezzo di prova particolarmente garantito: sin dalla fase del conferimento dell’incarico si instaura un contraddittorio tra il perito ed i consulenti delle parti, i quali possono assistere alle operazioni ed avanzare osservazioni e richieste (tuttavia ogni potere decisionale e valutativo compete unicamente al perito) L’ammissione della perizia Di regola la perizia è disposta a richiesta di parte; può essere però disposta d’ufficio nel dibattimento. Durante le indagini preliminari la perizia può essere svolta nella forma dell’incidente probatorio e quindi soltanto a richiesta di parte (p.m. o indagato); essa è disposta dal giudice per le indagini preliminari: • quando la persona, le cose o i luoghi da esaminare sono soggetti a modificazione non evitabile • quando si prevede che la perizia durerà più di sessanta giorni • quando l’accertamento tecnico determina esso stesso modificazioni delle cose o delle persone tali da rendere l’atto non ripetibile • La scelta del perito Il giudice sceglie il perito in base a precisi vincoli: tra gli iscritti negli appositi albi o (al di fuori di tali albi) tra persone fornite di particolare competenza (sulla quale dovrà dare congrua motivazione). Sono previste situazioni di incompatibilità, simili a quelle previste per il giudice; in particolare non può prestare ufficio di perito, a pena di nullità: • il minorenne, l'interdetto, l'inabilitato e chi è affetto da infermità di mente; • chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici ovvero è interdetto o sospeso dall'esercizio di una professione o di un'arte; • chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione; Il codice non contiene una definizione espressa di “documento”, ma fornisce due requisiti: • requisito positivo: perché vi sia un documento è sufficiente in alternativa che si tratti di uno “scritto” o di un oggetto comunque “idoneo a rappresentare” un fatto, una persona o una cosa; non è rilevante l’operazione mediante la quale la rappresentazione è incorporata e che quindi può essere “la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo” • requisito negativo: l’oggetto rappresentato deve essere un atto compiuto “fuori” dal procedimento nel quale si chiede o si dispone che il documento faccia ingresso: infatti, se l’oggetto rappresentato è un atto del medesimo procedimento, il codice non utilizza il termine “documento”, bensì il termine “documentazione”. Per “atto del procedimento” si intende comunemente quell’atto che persegue le finalità del procedimento e che è compiuto da uno dei soggetti legittimati. Dal codice può comunque ricavarsi una definizione: può essere definito documento quella rappresentazione di un fatto che è incorporata su di una base materiale con un metodo analogico o digitale; quindi il concetto di documento comprende quattro elementi: 1) il fatto rappresentato; nel concetto di fatto rappresentato devono essere ricompresi sia i “fatti persone o cose”, sia i contenuti che sono espressi nelle dichiarazioni di scienza o di volontà; quindi il fatto rappresentato è tutto ciò che può essere oggetto di prova 2) la rappresentazione; essa è la riproduzione di un fatto; le modalità possono essere le più varie (parole, immagini suoni ecc.) 3) l’incorporamento; esso è l’operazione mediante la quale la rappresentazione è fissata su di una base materiale; il codice prevede le forme più varie di incorporamento (scrittura, fotografia, cinematografia, fonografia o qualsiasi altro mezzo); visti i progressi della tecnica possiamo affermare che oggi i metodi di incorporamento sono due: analogico e digitale 4) la base materiale; essa può essere la più varia: è sufficiente la idoneità a conservare la rappresentazione al fine di riprodurla quando occorra Il documento anonimo La prova documentale può esser valutata dal giudice nella sua attendibilità quando è noto l’autore del documento, il quale viene chiamato a deporre al fine di valutare la sua credibilità; un tale accertamento non è possibile quando l’autore del documento è ignoto; ma il codice fa una distinzione: • documento anonimo contenente una dichiarazione: il codice prevede la sanzione dell’inutilizzabilità • documento anonimo contenente una rappresentazione diversa dalla dichiarazione: il codice non dà alcuna regolamentazione; poiché vale la regola generale del libero convincimento del giudice, da cui deriva che le ipotesi di inutilizzabilità di elementi di prova devono essere previste espressamente, i documenti anonimi che siano diversi dalle dichiarazioni possono essere utilizzati dal giudice. Sono però previste due eccezioni al divieto di utilizzare il documento anonimo contenente dichiarazioni: 1) sono utilizzabili le dichiarazioni che costituiscono corpo del reato, cioè le dichiarazioni mediante le quali o sulla quelli è stato commesso il reato oppure le dichiarazioni che ne costituiscono “il prodotto, il profitto o il prezzo” 2) sono utilizzabili le dichiarazioni che provengono comunque dall’imputato, nel senso di dichiarazioni che sono presentate (“prodotte”) dall’imputato; ovviamente il valore probatorio sarà limitato poiché sarà difficile dimostrare l’attendibilità della dichiarazione Verifica della provenienza: l’autore della rappresentazione può essere identificato attraverso: • riconoscimento espresso; il documento cessa di essere anonimo quando il suo autore ne riconosce la paternità; in particolare il documento (che sia anonimo) può essere sottoposto alle parti private o ai testimoni se occorre verificarne la provenienza • un mezzo di prova (es. una perizia) Si porrà ovviamente un problema di credibilità della fonte e di attendibilità della rappresentazione quando si tratti di una dichiarazione non sottoscritta dall’autore con il proprio nome. La disciplina di determinati documenti Il codice vieta l’acquisizione di documenti aventi determinati oggetti. La violazione del divieto comporta l’inutilizzabilità dell’elemento di prova che se ne potrebbe ricavare. Documenti dei quali è vietata l’acquisizione: è vietata l’acquisizione di: • documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti dei quali si tratta nel processo • documenti concernenti la moralità delle persone che partecipano al processo; sono tuttavia previste delle eccezioni Documenti dei quali è obbligatoria l’acquisizione: • il codice pone l’obbligo di acquisire i documenti che costituiscono corpo del reato qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga; inoltre è consentita l’acquisizione, anche di ufficio, di qualsiasi documento proveniente dall’imputato, anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto; tale disposizione trova un limite nel divieto di sequestro in presenza di segreti tutelati dal codice di procedura penale (quale è ad es. il segreto professionale) e nel divieto di sequestrare presso il difensore carte o documenti relativi all’oggetto della difesa e la corrispondenza tra l’imputato ed il proprio difensore. L’uso di atti di altri procedimenti Il codice permette alle parti di ottenere, a determinate condizioni, che siano acquisite le prove e gli atti che sono stati assunti in un altro procedimento penale o civile; in tal caso la “documentazione” delle prove e degli atti viene considerata dal codice come “documento”, poiché è stata assunta in un altro procedimento; essa è valutata dal giudice ad quem in base ai consueti criteri di credibilità e attendibilità. Diritto di esaminare l’autore delle dichiarazioni: le parti del procedimento ad quem hanno il diritto di ottenere l’esame della persona le cui dichiarazioni sono state acquisite. Vige un regime differente a seconda della ripetibilità o meno nel procedimento ad quem: • se gli atti assunti nel procedimento a quo non sono ripetibili nel procedimento ad quem, i relativi verbali sono utilizzabili in due ipotesi: • se si tratta di impossibilità di ripetizione originale; • se si tratta di non ripetibilità sopravvenuta, purché essa sia dovuta a circostanze non prevedibili nel momento in cui l’atto è stato compiuto. • se gli atti assunti nel procedimento a quo sono ripetibili nel procedimento ad quem: • i verbali degli atti di indagine o i verbali degli atti assunti in udienza preliminare sono utilizzabili in due ipotesi: 1) se l’imputato del procedimento ad quem vi consente; 2) se la persona che ha reso le dichiarazioni viene esaminata nel procedimento ad quem e risulta che essa è stata sottoposta a condotta illecita; • i verbali delle dichiarazioni assunte in incidente probatorio o in dibattimento sono utilizzabili sia nelle due ipotesi appena menzionante (consenso dell’imputato o minaccia sul dichiarante), sia, in assenza di tali condizioni, se il difensore dell’imputato del procedimento ad quem ha partecipato all’assunzione della prova; Un principio peculiare è stato stabilito in merito alle prove formate in un giudizio civile chiuso con sentenza irrevocabile: se si tratta di dichiarazioni, esse sono utilizzabili contro l’imputato, se nei suoi confronti fa stato la sentenza civile (il giudicato civile fa stato tra le parti, i loro eredi e aventi causa) Infine si consente che le sentenze irrevocabili possano essere acquisite allo scopo di accertare l’esistenza di fatti oggetto di prova; naturalmente le parti sono ammesse a provare il contrario. I documenti illegali Il codice prevede la sanzione dell’inutilizzabilità rafforzata dall’obbligo di distruzione in relazione a due categorie di documenti, che in sintesi possiamo definire spionaggio e dossieraggio illegali: • ciò che definiamo spionaggio illegale è indicato con la seguente espressione: “dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti”; ci si riferisce alle intercettazioni non autorizzate dall’autorità giudiziaria, quindi non rientrano non rientrano in questa definizione quelle intercettazioni che sono disposte dall’autorità giudiziaria e che sono illegittime in quanto compiute al di fuori dei casi previsti dalla legge. • ciò che definiamo dossieraggio illegale è indicato con la seguente espressione: “documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni”; dall’oggetto della condotta (raccolta di informazioni) si ricava che si tratta del trattamento illecito di dati personali che è punito dagli articoli 167 – 171 del codice della privacy Il p.m. deve disporre l’immediata decretazione e custodia in luogo protetto dei documenti illegali; è vietato effettuare copie in qualunque forma e in qualunque fase del procedimento. Il p.m. poi entro 48 ore deve chiedere al giudice per le indagini preliminari di disporre la distruzione dei relativi documenti, supporti ed atti; le operazioni di distruzione si svolgono nel contraddittorio tra le parti. Il giudice per le indagini preliminari, entro 48 ore dalla richiesta del p.m. fissa un’udienza in camera di consiglio da tenersi entro dieci giorni con la partecipazione facoltativa delle parti interessate. Sentite le parti comparse, il giudice per le indagini preliminari legge il provvedimento in udienza e, qualora ne ravvisi i presupposti, dispone la distruzione e vi da esecuzione subito dopo alla presenza del p.m. e dei difensori delle parti; nel verbale di distruzione si da atto dell’avvenuta intercettazione o detenzione o acquisizione illecita, delle sua modalità e dei soggetti interessati, senza alcun riferimento al contenuto delle stesse. La distruzione del corpo del reato: la normativa in esame dispone la distruzione dei materiali illegali senza contemplare alcuna eccezione per il corpo del reato; la distruzione è automatica: una volta accertata l’illegalità, il giudice è obbligato a disporre la distruzione senza alcuna valutazione discrezionale sulla utilità probatoria dei dati contenuti. I MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA Il codice denomina mezzi di ricerca della prova: • le ispezioni • le perquisizioni • i sequestri • le intercettazioni di comunicazioni Tali atti si distinguono dai mezzi di prova sotto numerosi profili: • l’elemento probatorio si forma in seguito all’esperimento del mezzo di prova, mentre attraverso il mezzo di ricerca della prova entra nel procedimento un elemento probatorio che preesiste allo svolgersi del mezzo stesso; • i mezzi di prova possono essere assunti solo davanti al giudice nel dibattimento o nell’incidente probatorio; i mezzi di ricerca della prova possono essere disposti dal giudice, dal p.m. e, in alcune ipotesi, possono essere compiuti dalla polizia giudiziaria; • i mezzi di ricerca della prova si basano di regola sul fattore “sorpresa” e quindi non consentono il preventivo avviso al difensore dell’indagato quando sono compiuti nella fase delle indagini; • mentre i mezzi di prova possono essere assunti durante le indagini preliminari solo con la piena garanzia del contraddittorio mediante l’istituto dell’incidente probatorio. L’ISPEZIONE possono proporre richiesta di riesame, sulla quale decide in composizione collegiale il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento. Quando invece sorge la questione sulla necessita di mantenere o meno il sequestro (in quanto si discute se questo è ancora utile a fini probatori), durante le indagini preliminari la persona interessata può presentare al p.m. richiesta motivata di restituzione della cosa sequestrata; il p.m. decide con decreto motivato, contro il quale l’interessato può presentare opposizione al giudice per le indagini preliminari, che provvede in camera di consiglio; è possibile infine impugnare il provvedimento del giudice con ricorso per cassazione ex articolo 127 comma VII. La cose sequestrate sono affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria; quando ciò non è possibile o non è opportuno, l’autorità giudiziaria dispone che la custodia avvenga in luogo diverso, determinandone il modo e nominando un altro custode, idoneo a norma dell’articolo 120. L’INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI Per intercettazione si intende quell’attività che si effettua mediante strumenti tecnici di percezione e che tende a captare il contenuto di una conversazione o di una comunicazione segreta in corso tra due o più persone, quando l’apprensione medesima è operata da parte di un soggetto che nasconde la sua presenza. L’intercettazione può avere ad oggetto sia le conversazioni o comunicazioni telefoniche e altre forme di telecomunicazione, sia il flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici i telematici ovvero intercorrente tra più sistemi. Differiscono dalle intercettazioni perché non hanno per oggetto una comunicazione: • il pedinamento mediante apparecchiatura satellitare GPS, che può essere disposto dalla polizia giudiziaria come mera attività atipica • l’acquisizione di tabulati del traffico telefonico I requisiti per disporre intercettazioni L’articolo 15 della Costituzione tutela la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, segretezza la cui violazione è ammessa soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge (riserva di legge e riserva di giurisdizione); di conseguenza le intercettazioni di comunicazioni e di conversazioni sono ammesse con molti limiti: • le intercettazioni possono essere disposte in procedimenti relativi ai soli reati previsti nell’articolo 266 • l’intercettazione di comunicazioni tra presenti (da parte di una persona non presente) è ammessa di regola fuori del domicilio privato; in via eccezionale l’intercettazione di comunicazioni tra presenti è consentita anche nel domicilio privato se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa devono essere autorizzate dal giudice su richiesta del p.m. • sono ammesse solo quando vi sono gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini • sono previsti divieti di utilizzazione e garanzie in favore dei difensori, consulenti tecnici e loro ausiliari (ad esempio è vietata l’intercettazione relativa a comunicazioni dei difensori o a comunicazioni tra i medesimi e le persone da loro assistite Il procedimento Il p.m. chiede al giudice per le indagini preliminari l’ autorizzazione a disporre le intercettazioni; l’autorizzazione è data dal giudice con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini. Una volta ottenuto il provvedimento, il p.m. emana un decreto col quale regola le modalità e la durata delle operazioni; tale durata non può superare i 15 giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di 15 giorni qualora permangono i presupposti. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, l’intercettazione è disposta dal p.m. con decreto motivato che deve essere comunicato al giudice per le indagini preliminari non oltre 24 ore. Il giudice entro le 48 ore successive decide sulla convalida con decreto motivato. In caso di mancata convalida, l’intercettazione non può essere proseguita ed i risultati non possono essere utilizzati. Utenze intercettabili: in base ai requisiti previsti dal codice sono intercettabili: • sia le utenze riferibili agli indagati • sia quelle riferibili ai testimoni • sia infine le utenze riferibili a persone estranee ai fatti, quando queste ultime possono essere destinatarie di comunicazioni provenienti da indagati o da testimoni. Esecuzione delle operazioni: 1. registrazione: le comunicazioni intercettate sono registrate; delle operazioni è redatto verbale, in cui è trascritto anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate (si tratta dei “brogliacci d’ascolto”, utilizzabili già durante le indagini preliminari per chiedere al giudice le misure cautelari). La registrazione delle intercettazioni ed i verbali sommari sono trasmessi immediatamente al p.m. e devono essere depositati in segreteria; una volta effettuato il deposito, deve essere dato avviso ai difensori che possono ascoltare le registrazioni ed esaminare gli atti. 2. udienza di stralcio: il giudice ha un limitato potere di filtro, si limita infatti a: • stralciare le registrazioni di cui è vietata l’utilizzazione • disporre l’acquisizione delle registrazioni indicate dalle parti che non appaiano manifestamente irrilevanti (spetta infatti alle parti indicare le conversazioni da acquisire); le registrazioni non rilevanti sono conservate dal p.m. 3. trascrizione delle registrazioni: successivamente il giudice dispone la trascrizione delle registrazioni con le garanzie previste per la perizia; i difensori sono avvisati delle operazioni e possono ottenere copia dei verbali Divieti di utilizzazione Il codice dispone l’inutilizzabilità delle intercettazioni che sono state compiute: • fuori dei casi consentiti • senza osservare i presupposti e le forme del provvedimento di autorizzazione • senza redigere il verbale delle operazioni • eseguendo le operazioni al di fuori degli impianti installati nella procura della Repubblica, senza motivare le ragioni di urgenza Le registrazioni di cui è vietata l’utilizzazione sono distrutte su ordine del giudice, salvo che costituiscano corpo del reato (ad es. calunnia od ingiuria mediante telefono). I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza. Divieti concernenti il segreto di Stato Quando accade che l’autorità giudiziaria abbia acquisito, tramite intercettazioni, comunicazioni di servizio di appartenenti ai servizi segreti, la medesima autorità deve disporre l’immediata segregazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, sei supporti e degli atti concernenti tali comunicazioni. Deve essere chiesto al presidente del consiglio dei ministri se le informazioni ottenute diano coperte dal segreto di Stato; in caso di risposta positiva è inibita all’autorità giudiziaria l’utilizzazione delle notizie coperte dal segreto. I NUOVI STRUMENTI DELLA TECNICA: i tabulati telefonici e le videoriprese Per quanto riguarda i tabulati telefonici: • periodo di conservazione: i tabulati relativi al traffico telefonico sono conservati dal fornitore per 24 mesi dalla data in cui la comunicazione ala quale essi si riferiscono è intervenuta; i dati relativi al traffico telematico sono conservati per 12 mesi • procedura di acquisizione: entro i predetti termini il p.m. dispone con decreto motivato la acquisizione dei dati presso il fornitore, anche su istanza dell’imputato, dell’indagato, dell’offeso e delle altre parti private; il difensore dell’imputato o dell’indagato può chiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al proprio assistito Per quanto riguardale videoriprese, in assenza di una espressa regolamentazione legislativa, la Corte Costituzionale e la Sezioni unite della Cassazione hanno regolato la materia in questo modo: • la ripresa di comportamenti comunicativi costituisce una forma di intercettazione e quindi ne segue la disciplina • la rispesa di comportamenti non comunicativi • se effettuata in un luogo pubblico, si tratta di un atto non ripetibile della polizia giudiziaria che nel dibattimento può essere utilizzato come prova atipica; • se effettuata in un luogo non pubblico bisogna distinguere: a) se si tratta di luoghi rientranti nel concetto di domicilio, le riprese devono considerarsi vietate in assenza di una espressa regolamentazione legislativa dei casi e modi di tale apprensione b) se si tratta di luoghi diversi dal domicilio, ma comunque caratterizzati da una particolare aspettativa di riservatezza, la videoripresa è utilizzabile come prova atipica, purché sia autorizzata con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria LE MISURE CAUTELARI Le misure cautelari sono quei provvedimenti provvisori, ma immediatamente esecutivi, che tendono ad evitare che il trascorrere del tempo possa provocare uno dei seguenti pericoli, definiti dal codice “esigenze cautelari” • il pericolo per l’accertamento del reato; • il pericolo per l’esecuzione della sentenza; • il pericolo che si aggravino le conseguenze del reato o che venga agevolata la commissione di ulteriori reati. Le principali CARATTERISTICHE DELLE MISURE CAUTELARI sono: 1. strumentalità rispetto al procedimento penale: le misure cautelari hanno lo scopo di evitare che si verifichino determinati pericoli per il procedimento penale (le esigenze cautelari di cui sopra); 2. urgenza: essa ricorre quando un ritardato intervento rende probabile il verificarsi di uno dei fatti temuti (che sono sempre le esigenze cautelari di cui sopra); 3. prognosi di colpevolezza allo stato degli atti: l’applicazione di una misura cautelare personale richiede l’accertamento di “gravi indizi di colpevolezza” basato sugli elementi di prova che l’accusa è riuscita a raccogliere sin dall’inizio delle indagini; tale accertamento non deve essere sommario, anzi il codice impone che esso sia fondato su elementi di prova e adeguatamente motivato; 4. immediata esecutività: il provvedimento è immediatamente esecutivo (e rimane tale anche nel caso in cui contro di esso sia stata proposta impugnazione); ciò significa che la polizia giudiziaria ha il potere di adempiere al relativo comando in modo coercitivo, cioè anche contro la volontà di colui che vi si oppone; 5. provvisorietà: gli effetti del provvedimento sono provvisori, cioè non condizionano la decisione finale del giudice; da tale caratteristica derivano due corollari: • in primo luogo, il provvedimento cautelare mantiene la sua esecutività fino a che non sia divenuta esecutiva la sentenza definitiva; • in secondo luogo, il provvedimento cautelare è revocabile o modificabile in attesa della sentenza definitiva. 6. previsione per legge: la Costituzione esige che la legge preveda espressamente i casi ed i modi nei quali il provvedimento dell’autorità giudiziaria può porre limiti alle libertà personale e domiciliare (articoli 13 e 14 Cost.), si tratta dei principi di riserva di legge e di passività; (in ragione del principio della presunzione di innocenza) devono prospettare come molto probabile la reità dell’indagato. • la punibilità in concreto del delitto: nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità o se sussiste una causa di estinzione del reato ovvero una causa di estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata. Passando alle esigenze cautelari, le misure personali possono essere applicate solo quando esiste in concreto almeno una delle esigenze cautelari indicate tassativamente dal 274, cioè: • il pericolo di inquinamento della prova: il p.m. deve dimostrare che vi sono in concreto situazioni di attuale pericolo sia per l’acquisizione della prova (pericolo di occultamento), sia per l’acquisizione in modo genuino (pericolo di alterazione); la situazioni di pericolo deve essere fondata su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità • il pericolo di fuga: questa esigenza ricorre quando l’imputato di è dato alla fuga o vi è in concreto il pericolo che si dia alla fuga; occorre tuttavia che il giudice ritenga possibile che all’imputato possa essere irrogata con la sentenza una pena superiore a due anni di reclusione; • il pericolo che vengano commessi determinati delitti: •.i. gravi delitti con l’uso di armi o di altri mezzi di violenza personale; •.ii. gravi delitti diretti contro l’ordine costituzionale; •.iii. delitti di criminalità organizzata; •.iv. delitti della stessa specie di quello per il quale si procede (tuttavia la custodia cautelare, in carcere o agli arresti domiciliari, può essere disposta soltanto quando per tali delitti è prevista la pena della reclusione di almeno quattro anni nel massimo Il pericolo deve essere desunto da specifiche modalità del fatto di reato e dalla personalità pericolosa dell’autore del fatto, con il limite che la pericolosità deve essere ricavata dai precedente penali e da comportamenti o atti concreti, che devono essere specificatamente indicati Passando ai criteri di scelta delle misure, il giudice, dopo aver ricevuto la richiesta del p.m. e dopo aver accertato che esistono sia i gravi indizi di reità, sia almeno una delle esigenze cautelari, dispone la misura con ordinanza; tuttavia il suo potere è vincolato dalla legge a limiti formali e sostanziali: • sotto un profilo formale, il giudice non può disporre una misura più grave di quella richiesta dal p.m. • da un punto di vista sostanziale, egli ha il potere-dovere di scegliere la misura cautelare in base ai criteri che sono espressamente indicati nel 275 La misura da applicarsi deve essere: 1) “adeguata” alle esigenze cautelari presenti in concreto; in base al principio di adeguatezza il giudice deve valutare la specifica idoneità ci ciascuna misura in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto: una volta che il p.m. ha adempiuto all’onere di provare l’esistenza di una determinata esigenza cautelare, occorre che vi sia piena corrispondenza funzionale tra la misura da adottare e il pericolo che si vuole evitare; 2) “proporzionata” alla gravità del fatto e della sanzione che potrà essere irrogata; in base al principio di proporzionalità ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata; 3) “graduata”; in base al principio di gradualità la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo quando ogni altra misura risulti essere inadeguata; nella motivazione dell’ordinanza il giudice deve esporre le concrete e specifiche ragioni per la quali le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con altre misure. Deroga per i delitti di criminalità mafiosa: in un caso il principio di gradualità va incontro ad un’eccezione: si tratta dei delitti di criminalità mafiosa, per i quali è previsto un regime speciale: • presunzione relativa: il codice presume esistente almeno una delle esigenze cautelari; tale presunzione può essere superata quando siano già stati acquisiti elementi che dimostrino che non ne sussiste neanche una • presunzione assoluta: il codice impone di applicare obbligatoriamente la custodia in carcere, perché presume che nessun’altra misura risulterebbe adeguata. Situazioni incompatibili con la custodia in carcere: la custodia in carcere non può essere disposta quando l’imputato è affetto da malattia che si trova in una fase così avanzata da non rispondere più ai trattamenti disponibili e alle terapie curativa; vi sono poi delle situazioni che di regola impediscono la custodia in carcere, salvo che sussistano esigenza cautelari di eccezionale rilevanza (donna incinta, madre di prola di età inferiore a tre anni con lei convivente, padre in analoghe condizioni, se la madre è assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, persona che ha superato l’età di sessantenni. L’APPLICAZIONE DELLE MISURA CAUTELARI PERSONALI L’applicazione delle misure cautelari personali avviene in due fasi. 1) nella prima vi è una decisione del giudice fondata su una richiesta che viene presentata dal p.m. senza che sia sentita la difesa; 2) nella seconda fase il g.i.p. deve interrogare l’indagato ed il difensore ha diritto di esaminare i verbali degli atti che sono stati valutati dal giudice. All’indagato non è riconosciuto il diritto alla prova ed il giudice decide solo su atti e documenti scritti. La prima fase: la richiesta del pubblico ministero e la decisione del giudice La prima fase del procedimento applicativo ha inizio quando il p.m. chiede per scritto al gip. l’adozione di una misura cautelare personale, presentandogli gli elementi su cui la richiesta si fonda (cioè i verbali degli atti delle indagini preliminari) e termina quando il giudice prende una decisione sulla richiesta (il giudice provvede con un’ordinanza. La procedura è segreta, e cioè deve svolgersi all’insaputa dell’indagato e del suo difensore. Correttivi introdotti dalla legge 322/1995: • il p.m. ha l’obbligo di presentare al giudice gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate • il giudice ha un limite al suo potere di decidere sulla richiesta presentata dal p.m.: non può applicare una misura più grave di quella richiesta; viceversa, il giudice può applicare sia la misura richiesta, sia una misura meno grave; ma può anche non applicare misura alcuna, se ritiene che non sussistano le esigenze cautelari o le condizioni di applicabilità • la motivazione dei provvedimenti cautelari deve essere esaustiva e deve rispettare una struttura prefissata: l’ordinanza deve contenere: ■ l'esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli specifici indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza; ■ l'esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti rilevanti gli elementi a carico e dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa; l’ordinanza è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico ed a favore dell’imputato ■ in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con altre misure; Esecuzione del provvedimenti cautelare: • l’ordinanza che dispone la custodia cautelare è eseguita, su incarico del p.m., dalla polizia giudiziaria mediante consegna all’imputato di copia del provvedimento, con avvertimento della facoltà di nominare un difensore di fiducia. • l’ordinanza che dispone una misura non custodiale è notificata all’imputato. La seconda fase: l’interrogatorio di garanzia La seconda fase del procedimento applicativo ha inizio nel momento in cui la misura cautelare personale è eseguita; si conclude con l’interrogatorio davanti al giudice che ha deciso l’applicazione della misura cautelare coercitiva o interdittiva. In seguito all’interrogatorio dell’indagato, il giudice valuta se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari e quando ne ricorrono le condizioni, deve provvedere alla revoca o alla sostituzione della misura disposta. Il gip. deve depositare immediatamente, insieme all’ordinanza applicativa della misura, anche la richiesta del p.m. e gli “atti presentati con la stessa”. Un avviso di deposito deve essere notificato al difensore, che può esaminare gli atti in cancelleria. L’interrogatorio condotto dal giudice deve avvenire entro un termine breve: • 5 giorni se è disposta la custodia in carcere; • 10 giorni per tutte le altre misure); inoltre, deve svolgersi entro 48 ore se il p.m. ne fa istanza nella richiesta di custodia cautelare. LE VICENDE SUCCESSIVE Il codice prevede tre ipotesi nelle quali può esser modificata la misura cautelare applicata: 1) la revoca, che deve essere immediatamente disposta: • quando si accerti che le condizioni generali di applicabilità (gravità del delitto, gravi indizi di reità, punibilità in concreto del delitto) risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti; • quando si accerti che siano venute meno completamente le esigenze cautelari (pericolo di inquinamento delle prova, pericolo di fuga o pericolo del compimento di gravi delitti) 2) la sostituzione in melius della misura (o la sua applicazione con modalità meno gravose), che deve esser disposta: • quando le esigenze cautelari, pur non essendo venute meno, risultano “attenuate”; • quando la misura non appare più proporzionata all’entità del fatto od alla sanzione che si ritiene potrà essere inflitta; La revoca e la sostituzione in melius di regola possono essere disposte dal giudice su richiesta dell’imputato o del p.m. ed eccezionalmente possono essere disposte anche d’ufficio nel corso dell’interrogatorio di garanzia, oppure in udienza o in situazioni ad essa equiparate. 3. la sostituzione in peius della misura (o la sua applicazione con modalità piu gravose), che può esser disposta dal giudice solo su richiesta del p.m.; ciò avviene: • quando le esigenze cautelari risultano essersi aggravate • quando l’imputato ha trasgredito alle prescrizioni che concernono la misura. LE CAUSE DI ESTINZIONE DELLE MISURE CAUTELARI PERSONALI Le misure cautelari personali si estinguono in due modi differenti: • ope iudicis, cioè in seguito ad un provvedimento del giudice che accerta il modificarsi dei presupposti applicativi (un provvedimento di revoca o di sostituzione) • ope legis, cioè per perdita di efficacia dovuta al verificarsi di determinati eventi previsti dalla legge; l’estinzione del diritto si verifica in vari casi, questi i principali: • quando per il medesimo fatto e nei confronti della medesima persona, alla quale è stata applicata la misura, intervenga un provvedimento anche non definitivo che esclude l’addebito (decreto o ordinanza di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o sentenza di proscioglimento) • quando sia decorso il termine massimo di durata della singola misura cautelare prima della definizione del procedimento con sentenza di condanna irrevocabile; • quando una misura disposta per esigenze probatorie non sia rinnovata entro il termine fissato dal giudice nel provvedimento con sentenza di condanna irrevocabile; • quando, disposta la misura cautelare coercitiva o interdittiva, l’imputato non sia stato interrogato dal giudice nel termine indicato dalla legge; o dalla notificazione del provvedimento, per il difensore dalla notifica dell’avviso di deposito dell’ordinanza che dispone la misura • il presidente fa dare immediato avviso all’autorità procedente (che durante le indagini preliminari è il p.m.), la quale entro cinque giorni dalla richiesta di riesame deve trasmettere al tribunale sia gli atti presentati quando aveva chiesto la misura cautelare, sia tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini; inoltre il difensore può presentare direttamente al tribunale delle libertà i risultati delle indagini private • l’ udienza si svolge in camera di consiglio, cioè con un contraddittorio facoltativo: il p.m. e il difensore dell’imputato devono essere preavvisati e possono (non devono) partecipare all’udienza; se presenti, essi hanno il diritto di esporre oralmente le proprie conclusioni. • entro 10 giorni dalla ricezione degli atti il tribunale deve depositare il dispositivo della sua decisione; il tribunale ha un potere cognitivo limitato poiché decide sulla base degli atti scritti e dei documenti presentati (e non su tutti gli atti di indagine raccolti fino a quel momento); non si può quindi disporre l’audizione di persone, né l’assunzione di prove non rinviabili, né imporre al p.m. di svolgere determinate indagini. Il tribunale valuta i presupposti della misura coercitiva tenendo conto sia degli atti che erano conosciuti dal giudice che ha emanato il provvedimento, sia degli atti e documenti che le parti hanno presentato successivamente al tribunale stesso Il tribunale della libertà può pronunciare quattro tipi di decisione: 1) può dichiarare l’inammissibilità della richiesta di riesame (ad es. se è stata presentata oltre i termini); 2) può annullare l’ordinanza per carenza di uno degli elementi essenziali o per vizi di merito; 3) può riformare, e cioè modificare la misura, ma solo in modo più favorevole all’imputato; 4) può confermare la misura coercitiva anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento originario. L’appello L’appello è ammesso nei confronti di tutti gli altri provvedimenti in tema di misure cautelari personali; quindi l’appello è un mezzo di impugnazione residuale rispetto al riesame e riguarda tutte quelle ordinanze che non applicano per la prima volta una misura coercitiva. L’appello può essere proposto dall’imputato, dal suo difensore e dal p.m.: • il p.m. (che non dispone dello strumento dei riesame) può presentare appello contro l’ordinanza del giudice che aveva negato l’applicazione di una misura cautelare ovvero contro l’ordinanza che aveva applicato una misura cautelare meno grave di quella da lui richiesta ovvero contro l’ordinanza che ha concesso la revoca o la sostituzione della misura su richiesta dell’imputato • l’imputato e il suo difensore possono presentare appello contro i provvedimenti cautelari diversi da quelli che applicano per la prima volta una misura Competente a decidere è sempre il “tribunale della libertà”. L’appello è una impugnazione ad effetto parzialmente devolutivo, in quanto il controllo esercitabile dal tribunale è limitato a quei punti del provvedimento che sono oggetto dei motivi di doglianza esposti nella dichiarazione di impugnazione dall’imputato o dal p.m. Procedimento: • l’appello deve essere proposto entro 10 giorni dall’esecuzione o notificazione del provvedimento, a pena di inammissibilità; la dichiarazione con cui le parti redigono l’appello deve precisare (a pena di inammissibilità) i motivi per i quali il soggetto interessato ritiene che il provvedimento debba essere annullato o modificato • le modalità di svolgimento del procedimento di appello ed i poteri di cognizione del tribunale sono in buona parte simili a quelli previsti per il riesame. • il tribunale della libertà decide sull’appello entro 20 giorni dalla ricezione degli atti (i termini sono ordinatori e non perentori: il loro eventuale superamento non comporta l’inefficacia della misura cautelare impugnata). Il ricorso per cassazione Il ricorso per cassazione costituisce una impugnazione esperibile contro le decisioni che il tribunale della libertà ha pronunciato sulla richiesta di riesame o sull’appello; i motivi sono quelli previsti dall’art. 606 (tra cui la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione) Legittimati a proporre il ricorso sono: l’imputato, il suo difensore, il p.m. che ha richiesto l’applicazione della misura e il p.m. presso il tribunale della libertà. E’ possibile anche il ricorso per cassazione per saltum contro le sole ordinanze che dispongono una misura coercitiva, ma tale impugnazione è concessa soltanto all’imputato e al suo difensore. Costoro, invece di presentare la richiesta di riesame al tribunale della libertà, possono direttamente proporre il ricorso per cassazione contro l’ordinanza che applica per la prima volta una misura coercitiva: i motivi possono riguardare soltanto la “violazione di legge”. La Corte decide in camera di consiglio entro 30 giorni dalla ricezione degli atti osservando le forme previste dall’art. 127. Il giudicato cautelare Dal momento che il legislatore non ha riconosciuto all’imputato il diritto di ottenere un controllo in contraddittorio sulla persistenza delle esigenze cautelari e della gravità degli indizi, alla difesa è consentito solo di sollecitare il giudice ad emettere un provvedimento de plano e di impugnare il diniego di revoca o di modifica migliorativa della custodia cautelare: ma questo sistema avrebbe consentito all’imputato di impugnare ripetutamente il diniego pronunciato dal giudice con conseguente intasamento dell’organo delle impugnazioni. ↓ La giurisprudenza, per evitare questo problema, ha esteso per analogia l’applicabilità dell’art. 649, disposizione eccezionale che prevede l’effetto preclusivo del giudicato. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha elaborato una inedita figura di “giudicato cautelare” al fine di garantire una qualche forma di stabilità per le ordinanze nella materia in oggetto; l’effetto di tale giudicato consiste nell’impedire al giudice, adito successivamente, di valutare nuovamente le questioni già esaminate in una precedente impugnazione cautelare: si tratta di giudicato “allo stato degli atti” nel senso che non produce un effetto giudicato in senso proprio (che coprirebbe anche il deducibile) bensì di un effetto preclusivo non definitivo, superabile in presenza di elementi nuovi rispetto alla situazione di fatto o di diritto su cui è basata la precedente decisione. La riparazione per l’ingiusta custodia cautelare All’imputato è riconosciuto il diritto ad ottenere un’equa riparazione per l’ingiusta custodia cautelare. La domanda di riparazione è presentata dall’imputato dopo che la sentenza è divenuta irrevocabile; sulla richiesta decide la Corte d’appello con un procedimento in camera di consiglio. Il presupposto del diritto ad ottenere l’equa riparazione consiste nell’ingiustizia sostanziale o formale della custodia cautelare subita (nelle due forme della custodia in carcere o dell’arresto domiciliare). Il codice non impone di accertare se essa sia dovuta ad un atto illecito compiuto dall’autorità giudiziaria: ciò avrebbe comportato un onere della prova molto pesante per il richiedente; per questo motivo la somma di denaro è chiamata riparazione e non risarcimento. La prima ipotesi, di tipo sostanziale, è prevista dal 314.1: Chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. Alla sentenza di assoluzione sono parificati: • la sentenza di non luogo a procedere pronunciata al termine dell’udienza preliminare - il provvedimento di archiviazione emesso all’esito delle indagini preliminari La seconda ipotesi, di tipo formale, è prevista dal 314.2: Lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità. Tuttavia il codice pone al diritto alla riparazione alcuni ostacoli. 1) Il primo ostacolo consiste nel fatto che: Il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determinazione della misura di una pena ovvero per il periodo in cui le limitazioni conseguenti l’applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo. 2) Il secondo è dato dal fatto che l’imputato non ha diritto alla riparazione se ha “dato causa” o ha “concorso a dare causa” all’ingiusta custodia cautelare per dolo o colpa grave. Procedimento • la domanda di riparazione deve essere proposta alla Corte d’Appello entro 2 anni dal giorno in cui la sentenza è diventata irrevocabile (o è stato notificato il provvedimento di archiviazione). • la corte decide in via equitativa in considerazione del fatto che si tratta di una somma indennitaria e non risarcitoria; si ritiene che siano applicabili i criteri dettati dall’art. 643 comma 1. LE MISURE CAUTELARI REALI Le misure cautelari reali comportano un vincolo di indisponibilità su cose mobili od immobili. Le misure in oggetto possono esser disposte, di regola, solo dal giudice. Il codice prevede due tipi di misure reali: il sequestro preventivo ed il sequestro conservativo, applicabili nei procedimenti per qualsiasi genere di reato: quindi anche per le contravvenzioni. Il sequestro conservativo Il sequestro conservativo ha lo scopo di garantire l’adempimento delle obbligazioni civili sorte in conseguenza sia del compimento del reato, sia del costo del procedimento penale; esso mira ad evitare che nell’attesa della condanna definitiva si disperdano le garanzie patrimoniali, e cioè i beni mobili od immobili. Soggetti legittimati a chiedere al giudice il sequestro conservativo sono il p.m. e la parte civile. Il sequestro conservativo ha la caratteristica di poter essere richiesto solo contro l’imputato od il responsabile civile; e cioè dopo che l’azione penale è già stata esercitata. Procedimento: il sequestro è disposto dal giudice con ordinanza, senza che venga sentita la controparte; egli valuta se la pretesa del richiedente è fondata e se sussiste l’esigenza cautelare (cioè vi sia il pericolo che vengano a disperdersi le garanzie patrimoniali); il sequestro è eseguito dall’ufficiale giudiziario. Dopo l’esecuzione del provvedimento chiunque vi abbia interesse può proporre richiesta di riesame; su di essa decide in composizione collegiale il tribunale del capoluogo della provincia in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento. Revoca: il sequestro conservativo può essere revocato, come avviene per tutte le misure cautelari, se ne vengono meno i presupposti. Il sequestro preventivo Il sequestro preventivo pone su di una cosa mobile od immobile un vincolo di indisponibilità che ha la finalità di interrompere il compimento di un reato o di impedire il compimento di nuovi reati. L’unico soggetto legittimato a chiedere al giudice il sequestro preventivo è il p.m. Il codice prevede tre ipotesi di sequestro preventivo: 1) quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso; 2) quando vi è il pericolo che la cosa possa agevolare la commissione di altri reati; 3) quando la cosa è pericolosa in sé, poiché di essa è consentita od imposta la confisca. Procedimento: il sequestro preventivo è disposto (su richiesta del p.m.), dal giudice il quale valuta l’esistenza dei presupposti senza sentire il possessore della cosa (che può essere l’imputato, la persona offesa o un altro soggetto).
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