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Ruolo Attivo del Ricercatore nella Ricerca Psicosociale: Modelli e Strumenti, Sintesi del corso di Psicologia Sociale

psicologia socialeMetodologia della ricercaRicerca qualitativa

Il rapporto tra modelli di conoscenza e strumenti utilizzati nella ricerca psicosociale, enfatizzando il ruolo attivo e interveniente del ricercatore nella raccolta e interpretazione dei dati. Anche del problema ideologia/scienza, della rilevanza del linguaggio formale e della formulazione delle affermazioni/domande, e delle forme di distorsione dei dati. Il testo conclude con una discussione sulle caratteristiche delle scale di misura e sulle esigenze di validità e attendibilità.

Cosa imparerai

  • Come il linguaggio formale utilizzato nella ricerca psicosociale influenza i dati ottenuti?
  • Che cos'è la distorsione dei dati e come si verifica nella ricerca psicosociale?
  • Che cos'è il problema ideologia/scienza e come influisce sulla ricerca psicosociale?
  • Come le scale di misura possono aiutare nella raccolta e interpretazione dei dati nella ricerca psicosociale?

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 30/03/2019

simona_romeo
simona_romeo 🇮🇹

4.4

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Scarica Ruolo Attivo del Ricercatore nella Ricerca Psicosociale: Modelli e Strumenti e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Sociale solo su Docsity! O. Licciardello RIASSUNTO GLI STRUMENTI PSICOSOCIALI NELLA RICERCA E NELL’INTERVENTO Premesse epistemologiche e dimensioni applicative I PARTE PREMESSE EPISTEMOLOGICHE CAPITOLO 1 L’USO DEI MODELLI ED IL RAPPORTO CON IL “REALE” 1.PREMESSA L’analisi degli strumenti psicosociali relativi alla ricerca ed all’intervento rimanda sia ai modelli di riferimento del ricercatore, sia al ruolo delle dinamiche comunicazionali (di cui egli è un protagonista importante, anche se non l’unico) che nei contesti specifici di intervento vengono realizzandosi. Gli uni e gli altri costituiscono, infatti, aspetti fondamentali della ricerca e dell’intervento applicativo. La rilevanza della riflessone epistemologica in ambito psicologico è diventata sempre più evidente in relazione sia all’affermarsi della professione specifica, sia alla crescente consapevolezza che lo psicologo può assolvere nei processi e nelle dinamiche sociali dell’individuo. 1 2.INDISPENSABILITÀ E LIMITI DEI MODELLI NELLA CONOSCENZA TEORICA E NELL’INTERVENTO SUL CAMPO Il nostro rapporto conoscitivo nei confronti del reale rimanda sempre ai modelli di riferimento utilizzati, dei quali possiamo non essere consapevoli ma che, di fatto, costituiscono parte essenziale della struttura del nostro conoscere. Cosa si intende con il termine modello? E il termine teoria? Il termine modello, nell’ambito della psicologia sperimentale, indica un insieme di ipotesi o asserzioni all’interno di una teoria o più teoria fondamentali che rappresentano solo parzialmente o sommariamente gli eventi o processi ( il modello è selettivo rispetto alla teoria). Il modello è più localizzato e i principi o i presupposti da cui parte sono più specifici e più immediatamente rivedibili in funzione dei risultati sperimentali. Il vantaggio del modello è di essere preciso e chiaro nella sua implicazione da verificare. La sua funzione, infatti, è quella di garantire il collegamento fra teorie da una parte ed ipotesi specifiche della ricerca dall’altra. Il termine teoria invece indica qualcosa di più esaustivo, che riproduce e vuole riprodurre completamente e analiticamente, fin nei minimi dettagli la realtà ( la teoria è più esaustiva rispetto al modello). Una teoria può essere considerata soltanto un modello più ampio e più ambizioso. Inoltre, può accadere, anche nell’ambito della psicologia sperimentale, che la teoria si trasformi in modello o viceversa. L’uso dei modelli risulta indispensabile perché ci consente di schematizzare i fenomeni della realtà quotidiana, sia essi concreti o immaginari, nel cercare di attribuire loro un senso e di ordinarli e su questi modelli il soggetto basa poi le sue azioni successive. È questo il motivo, per cui, in ogni momento l’uomo si fabbrica dei modelli della realtà quotidiana in cui vive e su questi modelli basa poi le sue azioni. Proprio per tale ragione i tipi e i livelli di conoscenza risultano strettamente legati ai modelli utilizzati, dei quali sono in gran parte funzione. L’uso dei modelli infatti risulta indispensabile da un lato ma dall’altra parte bisogna riconoscerne i limiti dei modelli nella conoscenza teoria e nell’intervento sul campo poiché esso consente una rappresentazione dei fenomeni solamente in maniera astratta e artefatta. 3.MODELLI DIVERSI PER UNO STESSO FENOMENO Un problema di rilievo riguarda sia la possibilità di usare modelli diversi in riferimento allo stesso fenomeno, sia le conseguenza implicite nella diversa rappresentazione del medesimo. Secondo Devereux un fenomeno che ammette una spiegazione ne ammette un certo numero di altre spiegazioni, tutte egualmente in grado di spiegare la natura del fenomeno in questione. È possibile quindi utilizzare modelli diversi per uno stesso fenomeno: è proprio la possibilità di spiegare “esaurientemente” un fenomeno umano almeno in due modi (complementari) a dimostrare da un lato che il fenomeno in questo è spiegabile, dall’altro che ognuna delle spiegazioni è “esauriente”, e dunque valida nel sistema di riferimento che le è proprio. La riflessione proposta da Devereux appare di tutta rilevanza nell’ambito delle scienze sociali e in particolare di quelle psicologiche. In merito basta riflettere sull’esistenza di una molteplicità di approcci teorici nell’ambito della psicologia, nonché sulla possibilità di affrontare talune situazioni problematiche attraverso dei modelli maggiormente funzionali al conseguimento degli scopi perseguiti: approcci psicoterapeutici, tecnica di ricerca sul campo, metodologie relative ai processi educativi etc. Nell’ambito della ricerca psicosociale peraltro è assolutamente necessario che il ricercatore sia consapevole dei riferimenti teorici che utilizza, poiché da orientamenti diversi possono discendere indicazioni del tutto divergenti sia relativamente al “cosa” che relativamente al “come” e “dove” osservare. Esempio: immaginiamo di voler studiare il comportamento aggressivo in bambini da 5 a 10 anni, come si proteggerà la nostra indagine? Che cosa osserviamo in concreto? Prima di tutto dobbiamo definire quale comportamento è aggressivo e quale invece non lo è, dobbiamo avere, cioè una definizione esplicita della variabile da osserva. In secondo luogo, se vogliamo dare una spiegazione del tipo di comportamento che abbiamo definito aggressivo dobbiamo avere un’idea dei possibili fattori che influenzano tale tipo di comportamento, cioè quali potrebbero essere le cause. 2 compito, diventa discutibile, poco attendibile, inutilizzabile e infine viene svalorizzata come superstizione. I costruttivisti intendono la conoscenza come l’intelligenza che organizza il mondo mentre si auto-organizza. La teoria costruttivista sottolinea il ruolo attivo che la conoscenza assume nella nostra azione sul mondo e aiuta a distinguere tra conoscenza e superstizione sulla base del parametro dell’utilità della stessa nell’organizzazione dell’esperienza. 2.LA COSTRUZIONE DEL FENOMENO: LA PROFEZIA CHE SI AUTOADEMPIE, LA PRE-OCCUPAZIONE, LA PROEZIONE SEMPLICE • Una profezia o supposizione che, per il solo fatto di esser stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità trova una potente esemplificazione nel fenomeno della profezia che si auto adempie. Una delle più famose prove sulla rilevanza del fenomeno ci è stata fornita dagli studi sull’effetto pigmalione, che dimostrano come le aspettative degli insegnanti nei confronti dei loro allievi costituivano una componente importantissima nel processo relazionale che determina il rendimento scolastico. Si tratta di un fenomeno che mentre accade crea i presupposti per riprodursi ulteriormente e determina quindi il verificarsi di quanto previsto (che può riguardare sia eventi negativi che eventi positivi, che può essere subito ma anche provocato). In termini negativi ad esempio:chi suppone ( per un qualsiasi motivo) di essere disprezzato, assumerà nei confronti degli altri un comportamento permaloso che finirà per suscitare proprio quel disprezzo che a sua volta diventerà la prova della fondatezza della sua convinzione. In termini positivi ad esempio può risultare esemplificativo il procedimento cui ricorrevano i sensale di matrimonio per suscitare l’interesse dei due giovani promessi, a loro insaputa. Spesso il sensale si incontrava con il giovani chiedendoli se aveva già notato che la ragazza di nascosto l’osservava in continuazione. Analogamente diceva alla ragazza che il ragazzo la guardava di continuo non appena lei voltava gli occhi. Questa profezia non tardava a verificarsi. Perché la profezia possa avverarsi è necessario un contesto interpersonale adeguato con l’assunzione di quell’atteggiamento per cui si comporta come se ciò che si prevede sia in qualche modo vero, come qualcosa di già accaduto. • Franco Fornari ha rilevato come la pre-occupazione non è altro che una occupazione preventiva, un occuparsi prima di qualcosa, l’occupare prima qualcosa. L’occuparsi e l’occupare prima possono riguardare due aspetti differenti: -sia la realtà da sperimentare in relazione al proprio ruolo, immaginato nella specifica situazione, con una preventiva rappresentazione che può essere fortemente caricata di vissuti prevalentemente negativi o positivi. -sia problemi personali che finiscono per pervadere lo spazio esperienziale, riverberando sullo stesso i vissuti emozionali assumendo significati di segno negativo che l’interlocutore ritiene essere riferiti a se stesso. • Bellack parla del meccanismo della proiezione semplice, considerata come processo psicodinamico che non ha necessariamente rilevanza clinica ed è di uso corrente (leggere esempio a pag 39) 3.DA SPETTATORI IMPOTENTI AD ATTORI COMPETENTI La rilevanza dei modelli riguarda anche il tipo di spiegazione concernenti il comportamento degli intervistati, relativamente sia al tipo di collaborazione che gli stessi offrono nei processi di raccolta dei dati, sia al tipo di limiti che, possono rendere scarsamente utilizzabili i dati ottenuti. 5 Al riguardo, circa la possibilità, di incidere sui fenomeni e sulle dinamiche sociali, è interessante quanto osserva Moscovici, nelle sue ricerche sul ruolo delle minoranze attive. L’autore analizzando il possibile ruolo delle minoranze attive nella diffusioni di alternative convincenti, rispetto a quelle prevalenti e fondate sul consenso sociale, oppone al modello dominante dell’influenza sociale, che egli ritiene possa essere considerato funzionalista, un modello che egli definisce genetico. A. Secondo il modello funzionalista: i sistemi sociali formali o non formali da un lato,ed i fattori ambientali dall’altro, vengono considerati come dati predeterminati per l’individuo o per il gruppo. Essi forniscono, prima dell’interazione sociale, un ruolo,uno stato e delle risorse psicologiche. Il comportamento dell’individuo o del gruppo ha per funzione di assicurare il suo inserimento nel sistema o nell’ambiente. Di conseguenza, poiché le condizioni alle quali deve adattarsi l’individuo o il gruppo sono predeterminate, la realtà viene descritta come uniforme e le norme da osservare vengono applicate ugualmente ad ognuno. B. Secondo il modello genetico: il sistema sociale formale o non formale e l’ambiente vengono definiti e prodotti da coloro che vi partecipano e chi vi si trovano di fronte. I ruoli, gli stati sociali e le risorse psicologiche vengono attivati e ricevano un significato unicamente nell’interazione sociale. Le norme non fanno pressione su ogni individuo o gruppo allo stesso modo o nella stessa misura. Di conseguenza, il normale o il deviante vengono definiti in relazione al tempo, allo spazio e alla loro particolare situazione nella società. La devianza non è un semplice incidente che capita a un’organizzazione sociale, essa è una manifestazione di patologia sociale. Per chiunque assolva ad un ruolo di operatore sociale la consapevolezza di quanto nella propria operatività possa incidere il riferimento, più o meno esplicito, ai due modelli sopra elencati, può risultare decisamente importante con riguardo sia al successo, che alla spiegazione relativa al mancato conseguimento dello stesso, nonché delle opportune misure da intraprendere per evitare di sentirsi spettatore impotente di una realtà, alla cui dinamica, viceversa, si finisce inevitabilmente con il contribuire attivamente. CAPITOLO 3 I CONTESTI E LE IPOTESI DI LAVORO 1.CONTESTI ESPERIENZIALI E PUNTO DI VISTA La riflessione epistemologica contemporanea ha sottolineato l’ impossibilità che l’osservatore abbia un ruolo esterno al sistema dell’osservazione, che si limita ad osservare ciò che accade indipendentemente da lui. Ciò comporta l’esigenza di riconoscere, insieme all’impossibilità di un punto di vista dell’osservatore esterno, anche l’esistenza di una molteplicità di punti di vista, cioè di criteri d’osservazione, ciascuno dei quali rimanda ad uno specifico contesto esperienziale di riferimento. Per un operatore che voglia finalizzare la propria attività all’esplorazione di determinati fenomeni sociali, come ad esempio quelli cosiddetti “a rischio”, comporta l’esigenza di superare la concezione per la quale il proprio “punto di vista”(o comunque quello dell’istituzione che rappresenta) va considerato come l’unico possibile o l’unico giusto. L’assunzione da parte dello studioso di una posizione aprioristicamente impermeabile a qualunque punto di vista diverso dal proprio, quindi rende impossibile sia la comprensione del fenomeno studiato. Non appare neanche corretto e utile che la posizione del ricercatore venga generalmente considerata come “oggettivamente” giusta, poiché essa è sempre e comunque subordinata alle situazione entro cui agisce. È in riferimento alle consolidate modalità di leggere le proprie situazione di vita che vengono interpretati i fenomeni che intere sanno, è sulla base della personale valenza che gli stess assumono che si viene declinando la significatività della quotidiana esperienza di ognuno. In tal senso, la quotidianità attiva e consapevole di ciascuno, la significatività e le valenza dei fenomeni che la caratterizzano, rimandano alle modalità di lettura del reale consolidate nel proprio “mondo 6 della vita”. Tutto questo comporta l’adozione di un punto di vista diverso, nella lettura di ciò che riguarda il proprio mondo esperienziale. 2.SCELTA DEL METODO E PUNTO DI VISTA DELL’INTERLOCUTORE Nell’attività di ricerca che in quella riguardante l’intervento, assumono particolare rilevanza alcuni aspetti di natura metodologica, i cui effetti se non controllati possono redere sterile si l’una quanto l’altra attività. È necessaria la consapevolezza del punto di vista dell’osservazione di chi opera nell’ambito del sociale (educatore scolastico, dei servizi etc), nonché anche dei limiti e delle conseguenze che ne derivano. Tale consapevolezza è necessaria sia da parte dell’operatore (ricercatore, consulente professionale) sia da parte degli altri che con lo stesso coordinano il proprio operare finalizzato (insegnanti, assistenti sociali, etc). L’assenza della medesima consapevolezza può facilmente coniugarsi con un atteggiamento di tipo riduzionista che, ignorando la complessa ricchezza del sociale nei processi interattivi e pretendendo di definirli in un modello rigido e valido per sempre, rischia di provocare le negative conseguenze. Inoltre vi è anche l’esigenza di considerare come rilevante il punto di vista dell’interlocutore (utenza etc),anche quando questo non può coincidere con il nostro. Ciò per evitare il rischio di incorrere in atti scorretti sul piano metodologico. Il punto di vista dell’interlocutore anche quando risulti diverso da quello dell’operatore, deve essere comunque considerato indispensabile base di partenza su cui fondare un più adeguato disegno di ricerca e un possibile programma di intervento sociale. In relazione alle diversificazione delle caratteristiche (livelli di scolarizzazione, costumi sociali etc) dei vari soggetti di interlocuzione si possono avere anche tanti altri punti di vista, diversi. Vi è anche il timore e il rischio di una “sterilità a priori” determinato dall’inefficacia di tentativi di innovazione tra la fonte e il ricevente, in cui in questi tentativi di innovazione e cambiamento non si tiene conto delle differenze tra il punto di vista della fonte e quello del ricevente.La rilevanza di un punto di vista diverso da parte dell’interlocutore non può essere sottovalutato per le conseguenze che ne possono discendere relativamente al significato che acquistala ricerca e il modo in cui questa viene condotta. Riquadro 1: il punto di vista dell’ “utente” nel fenomeno dell’evasione scolastica Il decentramento di prospettiva(punto di vista scolastico - punto di vista utenza) appare indispensabile per: -analizzare il problema cosi come si costituisce per l’utenza allo scopo di individuare quali siano gli elementi cui si ancora le resistenze alla scolarizzazione. -operare per il cambiamento, attraverso degli interventi sul sociale che si configurano nei termini della prevenzione prima e in funzione della diversità di istituiti, rispetto ai quali assumono significato l’esperienza (diretta o mediata) della scolarizzazione e dello stare a scuola. In questi termini, verrebbe adotta una prospettiva, da parte degli operatori e delle istituzioni interessante: per giungere a dei cambiamenti innovati è necessario dover interloquire attraverso l’adozione di punti di vista ed interventi adeguati. 3.SOGGETTI “MARGINALI” E CODICI LINGUISTICO-CATEGORIALE Tra i problemi fondamentali della ricerca psicosociale, soprattutto di quella sul campo, una particolare attenzione meritano gli aspetti relativi al linguaggio formale utilizzato, sia scritto che parlato ed hai diversi livelli di significato che sono attribuibili allo stesso linguaggio. In merito, al di là dei possibili sforzi del ricercatore volti ad individuare terminologie e forme linguistiche adatta e veicolare significati condivisi, va rilevato come non possa essere data per scontato l’esistenza di significati primari e inoltre anche le incomprensioni in termini di deficit. La centralità del linguaggio, infatti, appare contemporaneamente rilevante sia relativamente alla conclusioni a cui si giunge, sia ai fini della qualità del rapporto che si instaura con l’interlocutore. Alcuni autori hanno rivelato come la ricchezza del linguaggio dell’interlocutore e la difficoltà di comprenderne le articolazioni e i riferimenti esperienziali, piuttosto che costituire oggetto di studio e analisi, vengono spesso interpretati in termini di deficit. Per esempio quando tutti trovandosi di 7 due persone si inscrive. Gli obiettivi del colloquio, di contro, si situazione nell’organizzazione partecipando delle connotazioni che caratterizzano questo livello di analisi cui è possibile sottoporre la dinamica relazione. L’intervista, in tal senso, diventa un tipo particolare di colloquio psicologico, caratterizzato dal fatto che l’iniziativa per la realizzazione dello stesso, le finalità, il controllo dei risultati, riguardano l’intervistato soprattutto come oggetto della ricerca, piuttosto che come soggetto complessivamente consapevole. Ciò non significa ovviamente che risultino limitati i dati ottenuti, poiché i limiti impliciti nell’uso dello strumento risultano strettamente relazioni alle caratteristiche professionali del ricercatore. 2.1.INTERVISTA IN PROFONDITÀ O NON DIRETTIVA ED I DATI ANALOGICI L’intervista in profondità (o non direttiva), viene cosi definita perché lo scopo è quello di andare oltre la dimensione di superficie, ma le modalità relazionali che il ricercatore assume sono il meno possibile intrusive. Egli ha infatti il compito di tirar fuori delle riflessioni libere nell’intervistato, rispetto ad una determinata tematica. In questo tipo di intervista l’intervistatore si sforza di rispettare i tempi di risposta e cerca anche di intervenire il meno possibile. L’intervista può costituire un potente mezzo per l’esplorazione di vissuti, opinioni, atteggiamenti etc perché l’intervistatore può realizzare come preziosa fonte di informazione l’insieme delle comunicazione analogiche. Questo tipo di linguaggio, infatti, costituisce una fonte estremamente significativa e rivelatrice circa il reale sentire delle persone: la mimica, la gestualità, le pause, il rossore, i movimenti, le posture, costituiscono tutte informazioni difficilmente controllabile da parte dell’individuo ed estremamente rivelatore circa il significato che ciò che egli, o non dice, assume per lui. Se l’analisi della comunicazione analogica, amplia l’orizzonte delle possibilità nella raccolta di dati, questi possono,però anche risultare di segno diverso, implicando problemi e criteri nella scelta e/o nel privilegiamento tra gli uni e gli altri che possono rendere problematico l’uso dello strumento. È possibile ad esempio che le emozioni manifestate attraverso i codici analogici siano rivelatrici del significato che per il soggetto può assumere anche inconsapevolmente ciò che gli viene detto o di cui si parla insieme a lui. Può anche darsi il caso in cui, però, ciò non corrisponde a quanto il soggetto ritiene in buona fede e consapevolmente, essere la sua posizione in merito. In tale situazione, quale scelta occorre operare ai fini dei dati da considerare per la ricerca? 2.2.L’INTERVISTA SEMI-STRUTTURATA L’intervista semi-strutturata viene condotta sulla base di una lista di tematiche pre-deteminate che il ricercatore può adottare alle caratteristiche degli intervistati, alle esigenze della situazione etc cambiando sia l’ordine dei quesiti proposti sia la formulazione dei medesimi, fermo restando, però l’obiettivo di raccogliere tutte le informazioni previste dalla ricerca. La flessibilità del metodo, secondo alcuni autori, lo rende più adatto rispetto agli strumenti strutturati sia perché consente di alleggerire la tensione nell’intervistato, in caso di oggetti di indagine particolarmente delicati o imbarazzanti, sia perché consente di evitare il rischio di rivelazioni di atteggiamenti ed opinioni laddove in realtà l’intervistato non aveva nulla da dire in merito. Rispetto all’intervista in profondità presenta maggiori ancoraggi sia per il ricercatore che per l’intervistato. 3.IL SETTING FACE TO FACE E LA RILEVANZE DELLE DINAMICHE INTERPERSONALI L’aspetto fondamentale dei rapporti e delle dinamiche interpersonali è che essi siano caratterizzati dall’interdipendenza psicologica. Nel nostro rapporto con un oggetto, la percezione e il sentimento si trovano da una sola parte, mentre nei rapporti tra le persone questi processi sono da ambo due le parti ed il rapporto di dipendenza gli uni con gli altri. Noi ci influenziamo l’un l’altro a mezzo di emozioni e pensieri che si pongono in correlazione con le emozioni ed i pensieri degli altri. 10 L’intervista diretta, cosi come tutte le situazioni di rapporto face to face, si colloca come evento all’interno di un contesto significante a strutturare il quale concorrono processi che rimandano, alla storia pregressa di ognuno degli attori coinvolti e alle dinamiche interpersonali. È questo il problema rilevante poiché gli effetti delle dinamiche di reciprocità possono riflettersi sia sul tipo di qualità dei dati che sullo stesso determinarsi dei medesimi. Notevole rilevanza rivestano le caratteristiche strutturali degli attori e le sue caratteristiche personali (come età, sesso etc) cosi come risultano anche importanti il modo d’ “essere in relazione”dell’intervistatore, il modo di porsi che caratterizzano il rapporto io-altro. 3.1 L’INTERFERENZA INEVITABILE E I POSSIBILI EFFETTI DELLA RECIPROCITÀ Gli studi sulla dinamica della comunicazione rilevano come qualunque comportamento costituisce, in termini di linguaggio analogico ed anche indipendentemente dalla volontà,un possibile messaggio per l’interlocutore. Gli studi in merito anzi tendono a sottolineare, in maniera abbastanza concorde, la prevalenza del linguaggio analogico rispetto al linguaggio verbale. Il linguaggio non verbale è il canale meno controllabile dalla censura sia conscia che inconscia, lascia trapelare molto informazioni che non verrebbero espresse attraverso il linguaggio verbale ed è proprio per questo che, in caso di conflitto tra messaggi non verbali e messaggi verbali l’interlocutore risponde ai primi, trascurando quasi del tutto i secondi. La presenza di un livello non verbale di comunicazione, livello che come si è visto è il larga misura inconsapevole, rende impossibile ad intervistato ed intervistatore, nell’ambito di un colloquio face to face, sfuggire ai processi di reciproco influenzamento. L’intervistatore comunque attraverso la mimica facciale, le posizione ed i movimento del corpo fornisce continui feedbak al suo interlocutore,esercitando un’influenza ininterrotta sull’intervistato ed a sua volta oggetto di un’analoga influenza da parte di quest’ultimo. La situazione complessiva dell’intervista ed il comportamento dell’intervistatore costituisce una possibile fonte di interferenza sul significato di ciò che viene chiesto all’intervistato e sul tipo di risposte che egli fornisce. Inoltre, si pone il rischio che l’intervistatore, per il fatto di avere punti di vista completamente diversi a quelli dell’intervistato, assuma inconsapevolmente dei comportamenti che riflettono il suo sentire. Esiste ciò il rischio che anche inconsapevolmente l’intervistatore operi con il suo comportamento, attraverso i significati analogici del suo modo di essere, verso la realizzazione della profezia che si auto adempie. 3.2 LE MODALITÀ “DI ESSERE IN RELAZIONE” DELL’INTERVISTATORE Il problema centrale è la consapevolezza di come si è in situazione, ovvero la consapevolezza di quali significati gli altri attribuiscono solitamente a certi comportamenti ricorrenti, di quali siano le reazioni degli altri al nostro comportamento e le nostre reazioni a certi comportamenti degli altri. Riquadro 2: La finestra di Johary In merito ai fenomeni relativi alla consapevolezza di sé, possiamo far riferimento alla cosiddetta “finestra di Johary” il modello grafico del comportamento interpersonale, proposto per descrivere la personalità dell’individuo inteso come essere in relazione del soggetto in riferimento ai diversi livelli di consapevolezza, e che risulta molto utile per analizzare i problemi fondamentali dell’interazione umana. Il modello rappresenta graficamente la personalità come suddivisa in quattro quadranti. I confini tra i quadranti sono flessibili e permeabili. ■ Il quadrante uno rappresenta l’area aperta, costituita da tutto ciò che, sono noti al soggetto ed ai suoi interlocutori ( comportamenti, sentimenti etc). è questa la finestra aperta sul mondo: tanto maggiore è la finestra sul mondo tanto maggiore risulta la consapevolezza di sé. ■ Il quadrante due rappresenta l’area cieca, relativa ai comportamenti, ai sentimenti, ai modi di essere non accessibili alla persona ma visibili, invece, dagli altri. Può sembrare una contraddizione in termini che gli altri sappiano di noi, ciò che noi in realtà ignoriamo. Ciò 11 che conta in questo quadrante, è la percezione che gli altri hanno del nostro comportamento, poiché è in riferimento alla stessa che si comportano nei nostri confronti in un determinato modo, piuttosto che in un altro. È di fondamentale importanza l’attribuzione di significato al nostro comportamento. È per quanto le regole della buona educazione, solitamente, impediscono che gli altri ci dicono direttamente cosa pensano di noi, ciò non significa che in termini di codice non verbale(mimico, gestuale, prossemica) non finiscano con il comunicarci, anche inconsapevolmente, che la loro percezione del nostro comportamento è molto diversa da quella che noi immaginiamo. ■ Il quadrante tre rappresenta l’area nascosta, l’aria relativa al privato, a tutto ciò che noi sappiamo di noi che preferiamo che gli altri non sappiano. Inconsapevolmente comunichiamo agli altri che abbiamo qualcosa da nascondere: si ci riferisce all’atteggiamento di chi, avendo qualcosa da nascondere, finisce inconsapevolmente con il fornire, con il suo particolare comportamento, indicazioni relative a ciò che vorrebbe non si sapesse. ■ Il quadrante quattro rappresenta l’area ignota. (eventualmente leggerlo anche dal libro, perché è carino fatto) 3.3 I BISOGNI DELL’INTERVISTATORE Vengono individuati 3 tipi di bisogno dell’intervistatore: • Bisogno di potere/supremazia (need for Power), si esprime mediante comportamenti atti a fare delle relazioni sociali un occasione di influenzamento, un modo di strumentalizzare il rapporto per provare a se stessi ed agli altri la propria supremazie e confermare il proprio status, un bisogno che si traduce in comportamenti prevalentemente aggressivi, ironici, sostanzialmente autoritari e che rimanda alla dinamica della controdipendenza. • Bisogno di affiliazione/approvazione(need for affiliation),si esprime mediante la ricerca della benevolenza e dell’affetto, un modo di usare la relazione per soddisfare il proprio bisogno di essere accettato dall’altro, un bisogno che si traduce in comportamenti prevalentemente “benevoli”e che rimanda alla dinamica della seduttività. • Bisogno di successo (need for achievement),si esprime mediante il perseguimento degli obiettivi al massimo livello qualitativo possibile, un modo di usare le relazioni per provare l’elevata qualità della propria competenza professionale, un bisogno che rimanda alla dinamica dell’efficienza. La prevalenza dell’uno o dell’altro di tali tipi di bisogni può interferire nella dinamica intervistare/ intervistato incidendo sul tipo di risultati ottenibili e influenzando lo stesso setting. 3.4 LA COMUNICAZIONE PATOLOGICA E I SUOI POSSIBILI EFFETTI Uno degli aspetti maggiormente rilevanti della dinamica relazionale riguarda la cosiddetta “comunicazione patologica”. Con tale espressione ci riferiamo si riferiamo soprattutto al fenomeno per cui il modo di rapportarsi all’interlocutore, i comportamenti assunti in sua presenza concorrono a determinare, in termini di comunicazione analogica il significato relativo alla considerazione che si ha di ciò che egli dice o anche dalla sua stessa persona; significato che, nel caso specifico, è di segno negativo e si caratterizza, rispettivamente come squalifica o come disconferma. ■ LA SQUALIFICA DELL’INTERLOCUTORE La squalifica appare rivolta prevalentemente a ciò che l’altro dice e concerne soprattutto un atteggiamento di scarsa considerazione circa le opinioni che egli esprime, il tipo di informazioni che fornisce etc. i suoi effetti pero si riversano anche sulla considerazione che ha si di lui. La mimica, la gestualità, la postura, il modo di guardarlo, i gesti di insofferenza, e i molteplici e vari segnali analogici traducano il nostro di modo di sentire nei confronti di ciò che egli dice( per il quale ad esempio non riteniamo che sia il caso che egli continui a parlare)concorrano a qualificare 12 GLI STRUMENTI STRUTTURATI: IL QUESTIONARIO 1. PREMESSE Gli strumenti strutturati vengono molto utilizzati nella ricerca e nella professione psicosociale. Generalmente gli strumenti strutturati vengono indicati con il termine questionario, ma sarà importante comunque distinguere tra questionario e scale poiché se è vero che i due strumenti presentano molte similarità esistono però delle differenze che non ne consentono l’assimilazione e rendono necessaria una trattazione separata degli stessi. 2.DEFINZIONI GENERALI DI QUESTIONARIO Il questionario è uno strumento che per quanto apparentemente semplice, comporta dei notevoli limiti (come ad esempio per la costruzione, per la somministrazione, per l’interpretazione dei dati etc) e comporta anche dei vincoli che è indispensabile individuare per cercare di limitare il rischio risultano privi di fondamenta e di utilità. I primi problemi riguardano la formulazione della definizioni di questionario. Ecco che sarà importante in merito sottolineare la differenza tra questionario e modulo che riguarda non la struttura dello strumento ma il tipo di somministrazione. Sostanzialmente diversa invece la guida, strumento tipico delle cosiddette “interviste semi-strutturate”. La parola questionario si riferisce ad un espediente per assicurare le risposte a determinate domande per mezzo di un formulario che l’intervistato stesso riempie. Il modulo (o scheda) è il nome generalmente usato per un complesso di domande che sono poste da un intervistatore, il quale scrive anche le risposte avendo la persona interrogata. Capiamo da qui come questionario e modulo hanno molto in comune, in particolare il fatto che in entrambi i casi le domande sono formulate con le stesse parole per tutti i rispondenti. Una guida per l’intervista è costituita invece da una lista di punti o tempi che un intervistatore deve toccare durante l’intervista. In questo caso può essere consentita una notevole flessibilità per quanto concerne il modo, l’ordine e il linguaggio con cui l’intervistatore fa le domande. Ciascuno di questi 3 elementi di ricerca contiene un complesso di domande logicamente collegate con un problema centrale. 3.UN QUESTIONARIO CHIUSO: I LIMITI E I VANTAGGI Il questionario chiuso presenta dei limiti cosi come dei vantaggi. Uno dei maggiori limiti riguarda il fatto che lo strumento completamente strutturato non stimola l’intervistato a riflettere e non consente perciò la raccolta di altri dati che non siano già quelli previsti. L’uso di tale strumento non contempla possibili visioni degli intervistati che siano altre rispetto a quanto esprimibile rispetto agli items che lo compongono. Tale limite potrebbe costituire motivo di frustrazione soprattutto in quei soggetti che sono particolarmente interessati all’argomento, ma non possono esprimere il loro punto di vista laddove lo stesso non sia previsto tra le categorie prefissate. Una caratterista implicita in ogni strumento standardizzato di misurazione è l’artificiosità. Inoltre usare uno strumento con domande definite per esplorare un certo fenomeno comporta inevitabilmente presumere di conoscere a priori il fenomeno cosi come se lo rappresentano coloro che vengono intervistati. Scegliendo di esaminare un problema per mezzo di domande chiuse, l’intervistatore afferma di essere in possesso delle informazioni interno al grado di conoscenza dell’intervistato. Molte persone difficilmente riescono a verbalizzare i diversi aspetti del loro atteggiamento, anche se desiderano dire esattamente quello che pensano. È spesso molto più facile esprimere una propria posizione quando ci si trova di fronte a una serie di affermazioni con cui si può indicare il proprio accordo o il proprio disaccordo. Trovare già espresse delle affermazioni molto radicali su un certo argomento può consentire anche alle persone con gli atteggiamenti più estremi di esprimere apertamente la propria posizione . Può accadere che un soggetto, pur avvertendo confusamente un problema non abbia mai avuto occasione di porselo negli stessi termini con i quali gli viene proposto. La situazione strutturata, 15 costituisce una sorta di ancoraggio che consente all’intervistato di aver chiaro ciò che prima non lo era, favorendone l’articolazione del proprio sentire, di rispondere in maniera adeguata , secondo gli interessi del ricercatore ed evitare inoltre le risposte irrilevanti. I quesiti chiusi suggeriscono una risposta anche a coloro che sull’argomento non avevano nulla da dire in realtà 4.LA COSTRUZIONE DEL QUESTIONARIO E L’ARTICOLAZIONE DELL’IPOTESI La strutturazione di un questionario chiuso va sempre preceduta da un attento lavoro di analisi, per esplorare la tematica oggetto di interesse, in relazioni ai vissuti, alle rappresentazioni, al mondo esperienziale della popolazione che si intende utilizzare come per la ricerca. Tale procedura comporta una preliminare attività esplorativa con campioni rappresentativi della popolazione di studio. 4.1 LO STUDIO PRELIMINARE E L’UNIVERSO DEGLI INDICATORI Il lavoro preliminare può essere condotto attraverso le interviste in profondità per esplorare la relazione che c’è tra il mondo mentale dei soggetti e il modello concettuale che sottende l’ipotesi di ricerca. Un altro metodo utilizzato è il cosiddetto pre-test (strumento utilizzato per lo studio preliminare) che rispetto all’intervista in profondità viene considerata più superficiale e più mirata perché ha solo la funzione di verificare il funzionamento delle definizioni operative dei concetti. L’opportunità di privilegiare l’uno o l’altro metodo, in realtà, può essere ricondotta al tipo di ricerca e alle condizioni nelle quali la stessa si inscrive. Si tratta di un passaggio importante nel processo di costruzione di uno strumento con riferimento sia alla scelta delle aree tematiche da esplorare che alla loro definizione operazionale, in funzione della loro articolazione in items. Tali scelte devono risultare funzionali agli obiettivi del ricercatore e congruenti rispetto alle caratteristiche del campo di ricerca e dei soggetti utilizzati per l’indagine. La formulazione dell’ipotesi di ricerca risulta strettamente connessa all’universo degli indicatori. Gli indicatori possono essere considerati come dimensioni ritenute specifiche di un concetto più generale. Ad esempio il modo di vestire, il linguaggio usato, il tipo di consumi privilegiati possono essere usati come indicatori e gli stessi dati, però, possono essere considerati anche indicativi dell’aspirazione ad essere considerati appartenenti ad uno status sociale, oppure alla concezione della vita, della visione del mondo che si ha etc. Alla stessa maniera la punizione come metodo educativo, la continua vigilanza esercitata da un genitore nei confronti dei propri figli, possono essere considerati come indicativi del suo rigore morale e della sua consapevole importanza che egli ha del suo ruolo di educatore. Gli stessi comportamenti però sono anche indicativi del livello di autoritarismo/conformismo. Sarà importante costruire la definizione operativa del fenomeno che si intende studiare. 4.2 LA SCELTA DEGLI ITEMS E LA STRUTTURA DEL QUESTIONARIO: IL CRITERIO DELLA RILEVANZA La scelta degli items costituisce una delle operazioni più delicate nella costruzione di un questionario. Si tratta di un operazione che può essere condotta utilizzando il criterio della rilevanza: gli items scelti devono essere rappresentativi dell’ipotesi a cui la ricerca si ispira. Il tipo di items scelti, inoltre, implica il livello di elaborazione dei dati e delle procedure statistiche possibili. Gli items vengono scelti sulla base delle informazioni che possono realisticamente esser vere. Questo aspetto della rilevanza oltre ad incidere sulla qualità dei dati ottenibili può risultare importante anche sul fatto se l’intervistato fornisca i dati o meno e comunque sull’atteggiamento che egli assume nei confronti della collaborazione richiestagli. Anche la struttura del questionario utilizzato può risultare importante in ordine al criterio di rivelanza: va curato, infatti, l’ordine di presentazione dei temi proposti, evitando, inoltre, l’inserimento di items che, per quanto al ricercatore possono sembrare interessanti, risultano poco 16 attinenti con il quadro concettuale della ricerca ed appesantiscono inutilmente lo strumento, allungando i tempi della prova e provocando possibili reazioni negative da parte dell’intervistato. La sistemazione delle domande deve avere uno sviluppo logico tale che colui che è interrogato sia: 1) preso dall’intervista, in quanto il suo interesse è risvegliato; 2) condotto con facilità da domande semplici a domande più complesse; 3) non sottoposta ad una troppa richiesta di informazioni personali; 4) non richiesto di dare una risposta che potrebbe imbarazzarlo senza una possibilità di spiegarsi. Un problema rilevante riguarda i dati relativi alle caratteristiche dell’intervistato(sesso, età, studi, abitudini, luoghi si socializzazione etc)che si ritiene utile acquisire ai fini della ricerca. Secondo alcuni autori, tali informazioni vanno chieste non subito ma quando l’intervistato si è ambiento e adeguato o anche alla fine della somministrazione dello strumento, in modo da raccogliere comunque i dati utili per la ricerca, laddove il soggetto si rifiuti di continuare. La richiesta dei dai personali in fase iniziale costituisce un corretto modo di impostare il rapporto, utile anche a chiarire che l’anonimato viene garantito poiché, tranne che in particolari tipo di indagini, il ricercatore non è interessato a conoscere i dati personali in senso stretto ma solo alcuni di carattere generale. In assenza di tale chiarificazione iniziale esiste il concreto rischio che il fantasma dell’anonimato attraversi per intero l’intervista e che i dati ne risultano offuscati. Chiedere i dati personali ritenuti necessari serva a facilitare l’inizio del compito con risposte a quesiti familiari, prima di passare ad altri che richiedono uno sforzo di concentrazione e l’instaurarsi di un clima adeguato, quale in genere si verifica quando, appena conclusa la fase iniziale, si entra nel vivo degli argomenti. 5.ALCUNE QUESTIONI RILEVANTI IN TEMA DI QUESTIONARIO Alcune delle questioni rilevanti in tema di questionario riguardano la natura del questionario, il linguaggio usato nel questionario e il setting della somministrazione. 5.1 QUESTIONARI DI TIPO SOCIOLOGICO E QUESTIONARIO DI TIPO PSICOLOGICO È opportuno fare una distinzione di massima tra questionario sociologico (di tipo oggettivo) e questionario psicologico (di tipo soggettivo). La differenza tra gli uni e gli altri non è costituita né dall’intervistatore, né dall’intervistato né dall’oggetto di misura, bensi dal tipo di particolare approccio utilizzato. Sono di tipo sociologico i questionari che riguardano i dati oggettivi e precisi relativi al lavoro di un individuo: quante ore al giorno tu lavori, quanto guadagni, da quanto tempo fai questo mestiere etc. e ancora possono rientrare: il sesso, l’età, il titolo di studio, residenza, professione svolta, , la residenza,l’uso dei mezzi di trasporto, tipo di mass media seguiti, stato civile. Sono invece di tipo psicologico i questionari che riguardano i dati soggettivi come i vissuti, i sentimenti, gli atteggiamenti etc.. cosa pensi del lavoro che fai? Quanto ti piace? Quanto sei soddisfatto del guadagno o del ruolo che svolgi? Etc È necessaria molta attenzione sia nella fase della strutturazione del questionario che nella somministrazione dello stesso per evitare che vengono considerati come dati sociologi dati che in realtà sono soggettivi, quindi psicologici ( PENSO come esempio l’appartenenza etnica). 5.2 IL CIRCOLO ERMENEUTICO, L’ORIENTAMENTO DI VALORE, LA CATEGORIZZAZIONE SOCIALE Un altro dei problemi fondamentali concerne la diversità di significato dei vari termini, cosi come gli items nella loro formulazione, che si verifica tra chi ha costruito il questionario e a chi viene somministrato. Si tratta di un problema ermeneutico che investe il complesso delle pre-assunzioni e delle attese di significato. Quando si ascolta l’altro non si devono dimenticare tutte le pre- assunzioni sull’argomento di cui si tratta e tutte le proprie opinioni in proposito, ciò che comunque è importante e che sia aperto alle opinioni dell’altro: una coscienza ermeneuticamente educata deve essere preliminarmente sensibile alla presa di coscienza delle proprie pre-assunzioni. 17 La definizione di Allport è stata oggetto di numerose critiche fin da quando è stata pronunciata, perché considerata troppo varia e onnicomprensiva. Tra le molteplici altre definizioni attribuite al termine atteggiamento, si ricorda anche quella condivisa dagli studiosi Krech, Crutchfield e Ballachey: “poiché l’uomo, nel suo mondo limitato, è più volte costretto ad affrontare lo stesso oggetto, le stesse conoscenze, gli stessi sentimenti etc, questi si organizzano in un sistema unitario e duraturo. L’uomo, infatti, è un animale che organizza e che conserva. Questo insieme di credenze, sentimenti e risposte particolari è sempre presente nell’uomo, pronto a essere utilizzato quando l’individuo si trova ad affrontare quel determinato oggetto. Da quel momento in poi, quindi, l’individuo sarà in possesso di un atteggiamento nei confronti di quell’oggetto. Di conseguenza, pian piano che l’individuo acquisisce un numero sempre maggiore di atteggiamenti (quindi che conosce un numero sempre maggiore di oggetti), le sue capacità di improvvisazione, riesaminazione e interpretazione dei quegli stessi oggetti diminuisce sempre di più. Le sue azioni diventano stereotipate e prevedibili, perché il soggetto risponderà sempre allo stesso modo dinnanzi allo stesso oggetto che gli si presenta dinnanzi gli occhi (proprio perché ha già costruito un atteggiamento su quel determinato oggetto e, quindi, non lo reinterpreterà nuovamente). È per questo che l’uomo riesce ad andare avanti giorno dopo giorno; infatti, se bisognasse valutare lo stesso oggetto ogni volta che si presenta, la vita sociale sarebbe impossibile e complicatissima. Secondo questi autori, per analizzare il concetto di atteggiamento, di fondamentale importanza è anche analizzare il collegamento tra aspetti cognitivi, affettivi e conativi. Analizziamoli. • aspetti cognitivi fanno riferimento ai pensieri e alle conoscenze che si hanno su quel determinato oggetto; • aspetti affettivi fanno riferimento ai sentimenti collegati a quel determinato oggetto; • aspetti conativi (o comportamentali) fanno riferimento alla capacità e alla forza con cui l’atteggiamento è capace di influenzare e di indirizzare le scelte dei singoli soggetti, parlando quindi di predisposizione all’agire. Oltre a tali aspetti appena delineati, importanti sono anche: -la direzione dell’atteggiamento (se si tratta quindi di atteggiamento positivo o negativo); -la valenza dell’atteggiamento (intesa come l’intensità, il livello, il grado dell’atteggiamento. Essa risponde alla domanda: quanto?). Alcuni problemi però riguardano sia l’origine (genetica VS esperienziale) e la stabilità degli atteggiamenti e sia il tipo di articolazione e di complessità del costrutto. Lo studioso McGuire, ad esempio, sottolinea la grande importanza che le condizioni naturali e fisiologiche (quali invecchiamento, malattia, effetto di farmaci etc) assumono nei confronti dell’atteggiamento. Al contrario lo studioso Newcomb, pur concordando sull’origine fisiologica dell’atteggiamento, sostiene come spesso gli atteggiamenti persistano per tutta la vita del soggetto, allo stesso modo in cui sono stati fissati durante la sua infanzia, ma si modificano quando nuovi atteggiamenti vengono acquisiti. 3. COSA SIGNIFICA MISURARE GLI ATTEGGIAMENTI Essendo difficile riuscire ad analizzare TUTTI gli aspetti dell’atteggiamento, si è cominciato a ridurre notevolmente la sua complessità, analizzando soltanto la sua componente affettiva, cioè la reazione emotiva che un oggetto suscita nel soggetto. Uno dei principali interrogativi relativi al concetto di atteggiamento, riguarda il fatto se esso possa essere misurato o meno. Ma come è possibile misurare qualcosa di così astratto come gli atteggiamenti? Gli atteggiamenti possono essere misurati tramite specifici strumenti che prendono il nome di scale. In realtà, ciò che è possibile misurare, NON è tanto l’atteggiamento in sé, quanto piuttosto ciò che gli individui sono disposti a dichiarare in riferimento al concetto analizzato e, dunque, soltanto una minima parte del loro atteggiamento. A tale proposito, sorge spontaneo porsi un interrogativo quale “è corretto utilizzare l’opinione del soggetto, per conoscere il suo atteggiamento?” Possono insorgere dei dubbi circa l’opportunità di utilizzare l’opinione del soggetto come indicatore del suo atteggiamento, poiché la persona che esprime quell’opinione potrebbe affermare delle cose false, nascondere il proprio reale atteggiamento, compiacere l’intervistatore, rispondere in un modo piuttosto che in un altro perché tutti fanno così etc. Ecco infatti come si sostiene che al riguardo della corrispondenza 20 tra stato interiore ed espressione verbale si apre un grande dibattito in cui si sostiene come NON SEMPRE l’opinione è il riflesso diretto dell’atteggiamento: infatti, non sempre i ricercatori sono capaci di accertare se, durante l’intervista, si otterranno risultati fedeli o meno relativi allo stato interiore dei singoli soggetti intervistati. Proprio per questo, bisogna limitarsi a considerare le opinioni dei soggetti soltanto ed esclusivamente come INDICI di un atteggiamento. Ma come si misura questo indice di atteggiamento? Per poterlo misurare, si postula l’esistenza di un continuum astratto, ideale, al cui centro si colloca l’oggetto e agli estremi un valore minimo dell’atteggiamento (opinione più negativa) e un valore massimo dell’atteggiamento (opinione più positiva). Lungo l’asta immaginaria di questo continuum vi sono uno o più indici consistenti tra di loro. La misura degli atteggiamenti viene espressa dalle opinioni della persona relativi a un insieme di domande che gli vengono poste. È infatti impossibile rilevare un atteggiamento mediante la risposta a UNA singola domanda, poiché questa può non esprimere affatto l’opinione o l’intero atteggiamento del soggetto intervistato, ma soltanto la risposta all’aspetto che in un quel momento è accessibile alla mente dell’individuo; bisognerà quindi utilizzare un certo numero di frasi, per cui la posizione dei singoli soggetti è determinata dalla scelta tra le alternative di risposta a ogni singola frase. Può esservi tuttavia discordanza tra ciò che il soggetto afferma e come egli si comporta ma, ciononostante, ciò che a noi interessa conoscere per misurarne l’atteggiamento, è ciò che la persona (almeno pubblicamente) esprimerebbe. Ricorriamo a un esempio: è stata effettuata una ricerca per misurare l’atteggiamento di accettazione/rifiuto nei confronti dei neri da parte degli albergatori. Il loro comportamento, infatti, cambiava in relazione al fatto se la richiesta di alloggio dei neri avveniva per via indiretta o diretta: se la richiesta di prenotazione di una camera avveniva mediante telefono o email, infatti, gli albergatori ricorrevano spesso a scuse per non dar loro la camera; al contrario, se i turisti neri andavano direttamente in hotel a chiedere una stanza, la ottenevano facilmente (probabilmente per evitare scenate in pubblico). È questo un tipico esempio in cui ciò che viene espresso a parole (sostenere di accettare i neri) non è conforme al tipo di comportamento adottato (inventare scuse per non fargli alloggiare lì). 4. COSA SONO LE SCALE DI ATTEGGIAMENTO Abbiamo detto come strumento per poter misurare l’atteggiamento è la scala. Ma cos’è la scala? Le scale di atteggiamento sono state originariamente elaborate dallo studioso Thurstone agli inizi degli anni ’20. Si tratta di strumenti psicometrici costituiti da una serie di affermazioni relative a un determinato concetto. I soggetti sottoposti a una scala di atteggiamento sono invitati a esprimere il loro accordo o disaccordo con ciascuna delle affermazioni loro proposte. Queste risposte possono assumere forme differenti: dalla semplice accettazione o rifiuto (si/no) al livello di accordo o disaccordo (poco d’accordo/abbastanza d’accordo/pienamente d’accordo etc). L’insieme delle possibili alternative previste per la reazione del soggetto a ogni singola domanda o affermazione costituisce la scala di atteggiamento. Oggi abbiamo vari tipi di scale, diverse tra loro in relazione alla costruzione, al tipo di risposte previste, ai principi utilizzati nell’interpretazione dei punteggi etc. Comune a tutte vi è l’esigenza di utilizzare, nella costruzione, degli items che siano in adeguata relazione psicologica con l’atteggiamento che si intende misurare e che siano capaci di stabilire delle differenze tra persone che si trovano in diversi punti del continuum. 4.1.LA SCALA DI DISTANZA SOCIALE DI BOGARDUS (es. scala pag 113) È una scala costruita dallo studioso Bogardus negli anni ’30. La “distanza sociale” che da il nome a questa scala riguarda la tipologia e l’intensità dei vissuti che ispirano il relazionarsi delle persone, con riguardo sia al modo di percepire gli altri e sia al modo di sentirsi percepiti. Tale strumento è stato spesso utilizzato per misurare i rapporti interetnici. Questa scala è stata costruita con un insieme di items che indicano in maniera gerarchica i diversi livelli di intimità e di contatto sociale tra i soggetti, a partire dal più stretto vincolo di parentela (distanza minima) per finire con il più totale rifiuto (distanza massima). 21 4.2.LE SCALE LIKERT (es. scala pag 116) Sono scale elaborate dallo studioso Likert agli inizi degli anni ’30 e rappresentano lo strumento più conosciuto, più facile da costruire e più utilizzato dai ricercatori nelle scienze sociali per la rilevazione di atteggiamenti e di valori. Ma quali sono le caratteristiche delle scale Likert (o scale a punteggi sommati)? Queste scale sono costruite in maniera tale da consentire una serie di misurazioni parziali che possono essere sintetizzate in un unico valore complessivo. Esistono vari tipi di scale Likert che, nonostante siano fondate su principi simili, si differenziano tra di loro sia nella forma e sia per il tipo e l’accuratezza delle misurazioni che sono capaci di effettuare. In generale comunque, nella scala Likert, il ricercatore dovrà scegliere un determinato numero di frasi (detti item) da lui ritenute semanticamente collegate alla proprietà da rilevare, tra le quali dovranno essere individuate quelle più idonee a essere somministrate. Per ogni affermazione sono previste alternative di risposta che formano una scala di accordo/disaccordo e che possono essere in un numero di 5 categorie (completamente in disaccordo, abbastanza in disaccordo, incerto, abbastanza d’accordo e completamente d’accordo) o di 7 categorie (completamente in disaccordo, abbastanza in disaccordo, un po’ in disaccordo, incerto, un po’ d’accordo, abbastanza d’accordo e completamente d’accordo). Solitamente, tra le due, è più utilizzata la scala a 5 categorie e ai soggetti si chiede di indicare il grado del loro accordo o disaccordo verso la frase. Alcuni studiosi sostengono posizioni diverse in riferimento: -all’ampiezza della gamma da utilizzare secondo alcuni, un maggior numero di punti incide positivamente sul grado di fedeltà della scala, altre ricerche invece sostengono l’opposto; -all’utilizzo del punto di indifferenza espressioni come “non so” risultano molto ambigue, perché non indicano la direzione dell’atteggiamento e possono costituire un modo per non prendere posizione e per non schierarsi. D’altra parte però, scelte forzate possono non risultare aderenti al modo di sentire del soggetto e alle reali difficoltà che gli rendono difficile fare una scelta tra diverse alternative; -all’uguaglianza delle differenze tra le diverse categorie di risposta quanto alle uguaglianze delle risposte utilizzate per differenziare le categorie di risposta, i risultati di ricerche specifiche sembrano indicare che il polo estremo è meglio rappresentato da “assolutamente d’accordo/ assolutamente contrario”, piuttosto che da “molto d’accordo/molto contrario”; -all’utilizzo del supporto grafico da una parte esso è importante per rendere più efficace la comunicazione tra ricercatore e intervistato e per rendere più semplice la scala ma, dall’altra parte, la rappresentazione grafica non fa ben comprendere la distanza che vi è tra una posizione e l’altra perché, graficamente, tutte sembrano avere un intervallo uguale tra di loro e quindi tra una posizione e l’altra (soprattutto tra le posizioni centrali) non sembra esservi così tanta differenza. 4.2.2 LE SCALE DI “GIUDIZIO” Un tipo di scale oggi molto utilizzate sono le cosiddette “scale di giudizio”, nelle quali ciascun item viene trattato come una Likert. Nella presentazione grafica dello strumento, accanto a ogni item, viene riportata la scala di valutazione utilizzara, che può essere costituita da numeri oppure rappresentata da altri simboli (es. ---/+++). Il ricorso a tali scale può comportare complessità nell’interpretazione dei dati ma, al tempo stesso, permette di ottenere un maggior numero di informazioni, relativamente alle variabili. 5. ALCUNI PROBLEMI METOLOGICI “APERTI” Attraverso l’utilizzo delle scale Likert, nonostante siano di grande successo, NON si ottiene la rappresentazione fedele di ciò che l’intervistato pensa o di ciò che egli intende realmente esprimere. Le varie ricerche condotte nel tempo, infatti, hanno rilevato numerosi fenomeni di distorsione dei dati che dipendono dalle caratteristiche dei singoli intervistati o dalla struttura delle scale da parte degli intervistatori. Con il termine “distorsione” si intende un’alterazione dello stato effettivo dei soggetti, che interviene durante il processo di rilevazione e/o di registrazione. Conoscere tutte le possibili forme di distorsione aiuta il ricercatore a ridurle o quantomeno a essere consapevole della loro esistenza. Si parla di distorsione ogni qualvolta che: 22 • le varie frasi devono avere UN SOLO oggetto cognitivo. Es: “lo Stato deve assistere i disoccupati e gli inabili” è una frase che NON deve essere utilizzata, perché potrebbe creare difficoltà agli intervistati che potrebbero approvare una parte della frase, ma disapprovare l’altra (ad es: essere a favore dei disoccupati, ma non a favore degli inabili o viceversa) e lo costringerebbero, dunque, ad approvare i disapprovare l’intera affermazione. In questo caso, infatti, il soggetto dovrebbe preferire non rispondere; • bisogna evitare le frasi con doppia negazione (es: “NON è giusto negare l’assistenza gratuita a chi NON ha un reddito alto”); • evitare le frasi che esprimono dati di fatto e preferire frasi che si riferiscono a credenze, opinioni e pensieri personali al fine di evitare che persone con atteggiamenti opposti diano la stessa risposta; • evitare le affermazioni che esprimono atteggiamenti troppo estremi che possono quindi essere accettati o rifiutati da quasi tutti i soggetti (es: “tutti i neonati devono essere uccisi” è una frase che la maggior parte dei soggetti disapproverà; “occorre tutelare la salute di tutti” è una frase che la maggior parte dei soggetti approverà); • evitare frasi in cui i concetti sono espressi in maniera confusa; • limitare il numero di item che gli intervistati devono prendere contemporaneamente in considerazione; • limitare la chiusura degli item in termini di “si/no/non so”, soprattutto l’espressione non so potrebbe essere utilizzata dai soggetti che non vogliono esprimere la loro vera opinione o non hanno il tempo per farlo; • essere informati sull’argomento trattato; • tenere in considerazione alcune particolari caratteristiche del campione di popolazione scelto (es: età, titolo di studio etc); • nella scala si devono inserire frasi formulate metà in maniera favorevole e metà in maniera sfavorevole in modo tale che, mescolandole tra di loro, si possano evitare le tendenze a dare risposte stereotipate. Esempio: chi è d’accordo con la frase “trovo naturale che mia figlia si sposi con un immigrato” si dimostra favorevole e dunque positivo al fenomeno dell’immigrazione e NON dovrebbe dunque essere d’accordo anche con la frase “il matrimonio tra una donna Italiana e un immigrato è destinato a finire”). 4.4.IL PROBLEMA DELLA “VALIDITÀ” E DELL’”ATTENDIBILITÀ” Gli elementi di validità e di attendibilità rappresentano importanti forme di controllo dei dati, al fine di limitare le cause di possibili distorsioni. È attraverso questi due elementi, inoltre, che è possibile Con il termine “validità” si intende l’esigenza che lo strumento misuri realmente ciò che si pretende misuri, con il minimo possibile di errore. La validità fa quindi riferimento all’idea che vi sia il massimo grado di corrispondenza tra l’atteggiamento reale delle persone intervistate nei confronti di un determinato oggetto e ciò che si misura tramite la somministrazione delle scale. La validità NON può essere misurata, ma soltanto stimata attraverso i tre differenti criteri di contenuto, criterio e costrutto. • VALIDITÀ DI CONTENUTO riguarda la specificazione dell’oggetto di studio, la definizione precisa delle aree prese in considerazione, la decisione relativa agli item da utilizzare etc. Si tratta di un metodo in cui è il ricercatore a decidere la validità o meno dello strumento utilizzato, sulla base dell’idea di corrispondenza che egli si fa tra la definizione del concetto che viene misurato e la pertinenza o meno dello strumento che viene utilizzato. In questo metodo sono importanti: -ottenere preliminarmente tutte le informazioni utili e possibili; -pensare a tutti gli item relativi al concetto in maniera esaustiva e dettagliata; -verificare il livello di omogeneità degli item con il concetto da analizzare. • validità esteriore riguarda il fatto che lo strumento sembri valido agli occhi dei soggetti che hanno a che fare con esso. • VALIDITÀ ATTRAVERSO IL CRITERIO riguarda l’individuazione di criteri utili per confermare o meno la validità della scala. I criteri possono essere: 25 -di tipo predittivo: riguardano la capacità dello strumento di prevedere i comportamenti; -di tipo concorrente: si basano sul confronto tra i dati forniti da strumenti diversi. • VALIDITÀ RELATIVA AL COSTRUTTO riguarda la determinazione del grado in cui il costrutto teorico spiega i risultati ottenuti attraverso la somministrazione della scala. Dunque, questa forma di validità non è altro che un giudizio sul grado in cui un test è effettivamente capace di misurare un costrutto psicologico. Si tratta cioè di adottare procedure che siano capaci di verificare o smentire l’ipotesi teorica relativa all’oggetto che lo strumento deve misurare. 5.2.2 L’ATTENDIBILITÀ: CONCETTO E METODI DI MISURA Il concetto di attendibilità riguarda la stabilità dei risultati ottenibili con la riapplicazione dello strumento, cioè che lo strumento dia gli stessi risultati a distanza di tempo. I criteri utilizzati per la misura dell’attendibilità dello strumento sono: • IL TEST – RETEST Fa riferimento alla somministrazione ripetuta dello strumento, comportando tre problemi metodologici. Il primo problema riguarda il rischio di sovrastima: laddove la scala venga riapplicata dopo un arco temporale breve, esiste la possibilità che il soggetto, ricordandosi del modo in cui ha già risposto in precedenza agli items, tenda a rispondere alla stessa maniera. Il secondo problema, viceversa, riguarda il rischio di sottostima: se tra la prima e la seconda scala è trascorso un arco temporale troppo lungo, è possibile che il soggetto abbia modificato, in tutto o in parte, il proprio atteggiamento. Il terzo problema, infine, fa riferimento alla cosiddetta “isteresi”: la possibilità che a provocare il cambiamento nell’atteggiamento del soggetto sia stato proprio l’intervento di ricerca. Soprattutto quando la ricerca ha per oggetto tematiche particolarmente rilevanti sul piano sociale, ideologico etc, o di particolare significato per gli appartenenti a determinati gruppi sociali, può accadere che l’intervista costituisca per il soggetto l’occasione perché emergano particolari reazioni verso una problematica sino ad allora rimasta non considerata. • IL METODO DELLE FORME PARALLELE (o forma multipla) Comporta la costruzione di due forme dello stesso strumento, simili per i contenuti e la quantità di items, ma diversi nella formulazione degli item stessi: si tratta dello stesso strumento che si presenta in forme differenti. Il problema fondamentale di tale metodo consiste nella formulazione del numero si item e nel rischio che le due scale siano in parte costruite con item deboli, ovvero che abbiano un debole rapporto semantico con il resto della scala. • LO SPLIT HALF È una forma semplificata del metodo precedente (il metodo delle forme parallele). La procedura prevede, dopo che la scala è stata costruita e applicata a un gruppo di soggetti, la correlazione di due serie di punteggi, ottenute dividendo la scala a metà sulla base di un criterio di alternanza degli item: una serie relativa ai punteggi degli item dispari e una relativa ai punteggi degli item pari. A tale metodo viene obiettato che la correlazione rappresenta, nel caso specifico, soltanto un livello di attendibilità parziale, relativa cioè a metà della scala. • IL METODO DELL’OMOGENEITÀ DEGLI ITEMS È fondato sulla considerazione dei singoli item di una scala, come altrettante scala parallele. I calcoli effettuati riguardano l’insieme simultaneo della varianza dei singoli item e della varianza totale, e la scelta cade sugli item che mostrano elevata correlazione con il totale. La conclusione è che la valutazione dell’attendibilità, ancora oggi, è un’operazione dai risultati poco verosimili e quindi poco attendibile. Vi sono state infatti alcune critiche nei confronti del concetto di validità e di attendibilità. Tra queste, si sostiene ad esempio come l’intervistatore, lungi 26 dall’essere solamente un osservatore neutrale, costituisce una variabile interveniente sui processi osservati; inoltre, risulta notevolmente importante la possibile incidenza delle dinamiche relative al contesto (in senso sia culturale e sia psicologico), anche sulla base della qualità della relazione che si instaura tra intervistatore e intervistato. 4.5.UNA GUIDA UTILE: IL CONCETTO DI “AFFIDABILITÀ” Una guida utile può derivare, secondo lo studioso Marradi, dall’adozione del concetto di affidabilità, articolato in “a priori” e “a posteriori”. Analizziamo i due concetti. ▲ affidabilità a priori essa risulta connessa alla specifica definizione operativa utilizzata dal ricercatore per una determinata indagine e rimanda a tutte le operazioni, analisi, valutazioni etc relative all’impiego dello strumento in indagini precedenti, all’utilizzo di definizioni operative simili etc; ▲ affidabilità a posteriori essa riguarda, invece, la valutazione della validità, l’utilità etc di uno strumento (e della relativa definizione operativa) dopo l’effettuazione della ricerca, le informazioni sull’andamento della ricerca nelle varie fasi, l’analisi relativa ai dati ottenuti etc. In questo senso, l’affidabilità costituirebbe un insieme ampio e dinamico di procedure che recuperano la dimensione epistemologica e vanno oltre quelle modalità che basano la verifica dell’attendibilità su calcoli di tipo strettamente matematico/strumentale. Come sostiene Marradi, infatti, l’attendibilità calcolata nel modo tradizionale (cioè attraverso formule applicate ai coefficienti di correlazione tra vettori) è soltanto ed esclusivamente una componente dell’affidabilità a posteriori e limitatamente ad alcune variabili (quali gli item utilizzati in batteria). In questi termini, il concetto di affidabilità, che appare per molti versi simile alla validazione del costrutto, considera gli aspetti metodologici relativi alle caratteristiche scientifiche dello strumento, non come oggetto di una fase della ricerca, bensì come una costante della ricerca stessa. CAPITOLO 5 GLI STRUMENTI STRUTTURATI: IL DIFFERENZIALE SEMANTICO 1. PREMESSA Il differenziale semantico (D.S.) è uno strumento che si basa sull’analisi delle “risonanze affettive” implicite nella qualificazione semantica dei concetti. Questo strumento è stato introdotto da Osgood all’inizio della seconda metà di questo secolo e viene utilizzato nella misura degli atteggiamenti verso un oggetto, sulla base del fatto che questi oggetti possono essere considerati come una reazione emozionale suscitata dall’oggetto stesso. 2. QUALIFICATORI METAFORICI E RISONANZE AFFETTIVE Ogni differenziale semantico è costruito utilizzando un certo numero di coppie di aggettivi polari, scelti in base alla pertinenza con lo scopo della ricerca e utilizzati come “qualificatori metaforici”. Secondo vari studi, la loro struttura semantica è data dalla presenza di due importanti elementi: • un elemento DESCRITTIVO riguarda particolari caratteristiche e qualità dell’oggetto preso in esame; • un elemento EMOTIVO riguarda l’esperienza emozionale nei confronti degli oggetti. L’elemento emotivo è dato dal rapporto tra la reazione emotiva immediata che suscita l’oggetto nel soggetto e la reazione emotiva che suscita il concetto analizzato sul soggetto. 3. STRUTTURA DEL D.S. E FATTORI MISURATI Le coppie di aggettivi polari cui abbiamo fatto prima riferimento vengono scelti in modo tale che lo strumento sia strutturato in tre gruppi di coppie che misurano tre dimensioni: -fattore di valutazione è inteso come un giudizio di valore e ha la funzione di distinguere ciò che il soggetto rifiuta da ciò per cui ha un atteggiamento positivo; -fattore di potenza esprime la forza dei concetti giudicati; 27 corrispondenza tra risposta fornita in ogni vignetta del test e il livello di comportamento, insieme a eventuali colloqui di approfondimento tra intervistatore e intervistato. 4. LE FRASI DA COMPLETARE E LE STORIE STIMOLO Ai metodi di tipo proiettivo possono essere ricondotte anche tecniche di ricerca consistenti in frasi da completare, storie stimolo etc, tecniche sviluppate a partire dagli anni ’40. Il metodo delle storie stimolo (detto anche delle vignette) consiste nella descrizione di episodi rilevanti della vita sociale rispetto ai quali si chiede all’intervistato di esprimere una precisa valutazione. Questo metodo: • richiede che i soggetti della ricerca esprimano sia un giudizio di gravità (come giudichi la situazione?) e sia una previsione di comportamento atteso (cosa faresti in questa situazione? ) specificando in entrambi i casi la motivazione (perché dici questo?); • esplora i possibili ancoraggi culturali degli atteggiamenti e dei comportamenti attesi, attraverso delle scale di giudizio; • verifica la possibile incidenza della categorizzazione sociale, con riguardo sia alle dimensioni economiche (es. grave/lieve; ricco/povero) e sia a quelle affettivo – relazionali (es. amico). CAPITOLO 7 DALLA MISURA DEGLI ATTEGGIAMENTI ALL’ESPLORAZIONE DELLE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI Da quando, agli inizi degli anni 60, lo studioso Moscovici ha introdotto il concetto di “rappresentazione sociale”, si è da solito paragonato questo nuovo concetto a quello di atteggiamento. Si è iniziato così a sostenere come gli atteggiamenti sociali comprendessero una parte importante delle nostre rappresentazioni sociali. La rappresentazione sociale costituisce una forma di conoscenza sociale pratica che ha origine dall’insieme sia delle nostre esperienze e sia dalle tradizioni culturali nelle quali siamo immersi quotidianamente e attraverso cui interpretiamo la realtà di ogni giorno, pensiamo i fenomeni che riscontriamo e agiamo nei confronti degli altri. La rappresentazione sociale che abbiamo di qualcosa non è connessa al nostro modo di pensare ma, viceversa, è il nostro modo di pensare che dipende dalle rappresentazioni sociali che noi ci facciamo del mondo esterno. In relazione al modo in cui le rappresentazioni sociali agiscono e ai ruoli che esse svolgono nei processi relazionali tra il pensiero e il sociale, Moscovici individua due caratteristiche/ruoli delle rappresentazioni sociali: • le rappresentazioni sociali sono convenzionali esse rendono convenzionali gli oggetti, le persone e gli eventi in cui ci imbattiamo quotidianamente, attribuendo loro un determinato significato, una precisa forma e inserendoli in una determinata categoria. Ogni nuovo oggetto subisce questa procedura, inserendolo in una categoria piuttosto che in un’altra (anche se non è del tutto compatibile con gli altri elementi della categoria). Talvolta finiamo perfino per forzare tali assumere ad assumere una specifica forma, anche a rischio di non capirli, né decodificarli. • le rappresentazioni sociali sono prescrittive sono prescrittive perché si impongono a noi con una tale forza da condizionare ciò che dobbiamo pensare e cosa non. Le rappresentazioni sociali, quindi, costituiscono una sorta di “guida individuale/sociale” che orienta il nostro modo di porci nei confronti degli altri e le nostre aspettative relativamente al loro modo di porsi nei nostri confronti. Ovviamente, tali rappresentazioni sociali si inseriscono nell’ambito di una precisa cultura in cui il soggetto vive. 30 Il concetto di rappresentazione sociale assume quindi, in questo senso, lo stesso ruolo assunto dal concetto di atteggiamento. Mentre però l’atteggiamento appare come un fenomeno soprattutto individuale e connesso all’esperienza personale dell’individuo (anche se la condivisione sociale appare comunque indispensabile per il vivere sociale), la rappresentazione sociale appare come un fenomeno contemporaneamente di natura sociale e psicologica. Ecco allora che l’atteggiamento viene considerato come lo strato più superficiale che attiene alla dimensione della soggettività manifesta, mentre la rappresentazione sociale viene considerata come lo strato più profondo che attiene alle dinamiche della condivisione con il gruppo sociale di appartenenza. In effetti, i confini tra atteggiamenti e rappresentazioni sociali possono risultare sfumati e a loro connessione più o meno funzionali o incompatibili. Tuttavia, nell’ambito della ricerca psicosociale, è evidente l’esigenza di esplorare entrambi gli aspetti. III PARTE STRUMENTI UTILIZZATI E LIVELLI DI MISURA CAPITOLO 1 LA CONGRUENZA NECESSARIA TRA STRUMENTI E LIVELLI DI MISURA 1.PREMESSA 31 Una delle più importanti relativa agli strumenti di ricerca, riguarda la congruenza tra strumenti scelti e livelli di misura ipotizzati. La questione della misura fa riferimento alla necessità/possibilità di utilizzare strumenti di natura quantitativa contro strumenti di natura qualitativa. In genere, nell’ambito delle scienze sociali, si tende a privilegiare gli strumenti di natura quantitativa SE i contenuti vengono considerati in quanto DATI (che cosa il soggetto dice); di natura qualitativa SE l’attenzione si focalizza maggiormente sui PROCESSI relazionali, interpersonali, gruppali etc (come il soggetto lo dice). Qualsiasi tipo di intervista – colloquio implica sia dei contenuti e sia di processi, un scambio di informazioni e uno scambio relazionale, un aspetto cognitivo e un aspetto emozionale – affettivo. 2.MISURA E SCALE DI MISURA L’utilizzo di uno strumento quantitativo comporta sempre il problema della misura e del livello di misura possibile. In merito al concetto di misura, lo studioso Russel lo definisce come qualsiasi metodo con cui si stabilisca un corrispondenza reciproca tra tutte o tra alcune grandezze di un determinato genere e tutti o alcuni numeri (interi, razionali o reali secondo il caso). Questa definizione tuttavia presenta un limite: essa, infatti, include nella misurazione soltanto ed esclusivamente numeri, escludendo il livello in cui gli stati della variabile sono rappresentati attraverso simboli, nomi, aggettivi etc in cui l’unica relazione possibile è quella di uguale/diverso. Poiché nelle scienze sociali il livello nominale costituisce la base di partenza, è preferibile la definizione dello studioso Stevens che considera misura come qualsiasi attribuzione di aggettivi numerali a oggetti o eventi secondo una qualsiasi regola: è questa la definizione maggiormente utilizzata nell’ambito della psicologia sociale. Per effettuare delle misura vengono utilizzate delle scale distinte in nominali, ordinali, a intervalli, di rapporti. La caratteristica comune a tutte queste scale riguarda il fatto che ciascuna di livello superiore possiede cumulativamente (=in aggiunta) tutte le caratteristiche di quelle di livello inferiore: ad esempio, la scala ordinale possiede anche le caratteristiche della scala nominale, la scala a intervalli possiede anche le caratteristiche della scala ordinale etc. Ciò è molto importante perché permette (dove le esigenze di calcolo lo richiedono) di ridurre i dati da una scala di livello superiore a una di livello inferiore, ma NON viceversa. Nella ricerca psicologica NON è possibile utilizzare la scala di rapporti, mentre le altre tre vengono normalmente utilizzate. 3.STRUMENTI D’ANALISI, RICERCA, SCALE DI MISURA (qst pezzo secondo me è stupido da fare) Ogni strumento di misura presenta determinate caratteristiche che permettono un certo livello di misura piuttosto che un altro. Scegliere uno strumento, quindi, significa implicitamente anche scegliere un tipo di scala di misura entro la quale trattare i dati. Le opzioni sono due: -le interviste libere o con guide, i questionari aperti, i questionari chiusi con risposta binaria (si/no) o multipla, implicano l’utilizzo di scale di livello nominale oppure ordinale; -i questionari strutturati secondo il metodo Likert (es. scale di atteggiamento, differenziale semantico etc) consentono l’utilizzo di scale a intervalli. CAPITOLO 2 LIVELLI DI MISURA E TECNICHE DI ELABORAZIONE DATI 2.CON INTERVISTE LIBERE O GUIDATE E QUESTIONARI APERTI Il materiale ottenuto attraverso e interviste va organizzato in categorie concettuali, in relazione all’ipotesi che guida l’attività del ricercatore e la specificità dell’oggetto di indagine, con le sue particolari caratteristiche, al setting di indagine, alle caratteristiche del campione etc. Ma come 32 -è contemporaneamente uno strumento conoscitivo e trasformativo; -l’oggetto conosciuto, sul quale si interviene, è funzione dell’insieme di dinamiche cognitivo/ emozionali e socio/relazionali che costituiscono la trama dei processi conoscitivi. È sempre indispensabile tenere in attenta considerazione le osservazioni relative alla ricerca, con particolare riguardo a quegli ambiti che maggiormente possono risentire del modo di essere del ricercatore e delle specificità delle situazioni in relazione alle quali la ricerca stessa viene effettuata. Tra queste, vanno considerate le ricerche che si ripetono lungo un arco temporale con gli stessi soggetti. 2.LA RICERCA/INTERVENTO NEI CONTESTI ORGANIZZATIVI ED IL RUOLO DELLE DINAMICHE PREGRESSE Le organizzazioni possono essere considerate, oltre che per gli aspetti formali che le caratterizzano, anche per le dinamiche relative alle risorse umane che utilizzano e sulle quali fondano il loro successo. È proprio quest’ultima dimensione che viene maggiormente valorizzata a tal punto che l’idea di organizzazione come costrutto psicosociale ha pian piano sostituito l’idea di organizzazione come struttura obiettiva. Il passaggio dall’obiettività alla soggettività, dal dover essere all’essere consente di organizzare il cambiamento e di progettare psicologicamente l’organizzazione. Tale passaggio, inoltre, comporta l’esigenza di utilizzare modelli teorici congruenti nell’effettuazione di una ricerca/intervento. Importanza a tale proposito assume il significato che l’attività può assumere per gli interlocutori. Ciò per due motivi: -per il tipo di rapporto che si instaura con l’interlocutore non sempre l’utente coincide con il committente e, dunque, l’attività assumerà significati differenti per i diversi interlocutori; -per il significato che il tipo di ricerca può assumere all’interno dell’organizzazione l’effettuazione di una ricerca all’interno di un’organizzazione costituisce una sorta di comunicazione analogica che si relaziona al tipo di storia che l’organizzazione stessa ha prodotto (in termini di codici, valori, ruoli e status etc). Il significato di tale comunicazione, peraltro, può essere diversamente declinato sulla base delle complesse dinamiche che attraversano la vita dell’istituzione, le tipologie di rapporti, i climi esistenti tra i gruppi etc. Qualunque ricerca abbia degli obiettivi che comportino la misurazione di ciò che accade all’interno delle organizzazioni, soprattutto quando vengano considerati i vissuti dei componenti, finisce inevitabilmente con l’inscriversi all’interno di tale storia, assumendo certi significati piuttosto che altri. Di fatto, quindi, l’effettuazione di una ricerca concorre a una certa storia relazionale anche sulla base, ad esempio, delle convergenze e/o delle divergenze che esistono all’interno dei gruppi specifici dell’organizzazione e che finiscono con il coinvolgere sia il ricercatore e sia la ricerca stessa. Può accadere ad esempio che alcuni siano a favore della ricerca e altri, invece, la ostacolino non tanto per la ricerca in sé, ma perché i primi l’hanno appoggiata e quindi, per un sentimento di contro-dipendenza, i secondi tenderanno a ostacolarla e a criticarla. In tale dinamica può accadere che il ricercatore venga considerato come un alleato di coloro che hanno appoggiato la ricerca ed è questo un importante elemento da controllare. Tutto questo per quanto riguarda le organizzazioni. Ancora più complesso rispetto alle organizzazioni, è l’insieme delle condizioni che possono verificarsi nel caso delle istituzioni, che rappresentano il pendant pubblico delle organizzazioni. Mentre non sempre le organizzazioni possono definirsi come tali, TUTTE le istituzioni sono anche delle organizzazioni, seppure con delle caratteristiche particolari. Le istituzioni pubbliche come ad esempio quelle sanitarie e scolastiche, pur essendo delle organizzazioni, hanno però delle caratteristiche che ne rendono differente la dinamica rispetto a quelle che operano in regime di mercato, relativamente ai vincoli, alle dinamiche organizzative, ai parametri di efficacia/efficienza etc. Caratteristiche che non permettono di assimilare per intero le istituzioni alle organizzazioni produttive e comportano dinamiche spesso diverse. Anche nell’ambito delle stesse istituzioni esistono situazioni notevolmente differenziate: mentre, ad esempio, le istituzioni sanitarie presentano un discreto livello di articolazione organizzativa, non altrettanto è possibile riscontrare nel mondo della scuola. Ciò che caratterizza il sistema scolastico è che: -non deve spendere elevati costi umani e sociali per sopravvivere, poiché ha flussi di clienti stabili e assicurati; 35 -presenta una sostanziale ambiguità di scopi (ad es. garantire l’educazione a tutti, la possibilità di sbocchi lavorativi ai laureati, la possibilità di fare tirocinio etc); -vi è disomogeneità tra i fini istituzionali e quelli degli insegnanti; -presenta carenze di interdipendenza tra i membri che la compongono; -è socialmente rilevante e, quindi, istituzionalmente garantita, indipendentemente dalla qualità delle prestazioni. Altre istituzioni particolari sono le istituzioni carcerarie in cui la ricerca potrebbe riguardare la gestione organizzativa dei singoli istituti oppure la formazione del personale e gli effetti delle condizioni esperenziali sul modo di “essere sociale” dei detenuti. Nel caso del personale, le possibili difficoltà riscontrate riguardano la cultura istituzionale di riferimento, connotata da una concezione stereotipa del detenuto e dall’ambivalenza e l’ambivalenza nei confronti degli operatori vissuti come portatori di un modello culturale alternativo; le condizioni di rigidità di ruolo che, in relazione alla quotidiana convivenza con i detenuti e alla situazione di rischio potenziale, risulta facilmente caratterizzato dal “livello di adattamento” e da costante attivazione dell’ansia. Nel caso dei detenuti, la rilevazione dei dati è possibile soltanto ed esclusivamente a determinate condizioni quali, ad esempio, la controcultura carceraria, i conflitti tra clan, i conflitti con la direzione etc. Basilari risultano comunque sia la condizione di marginalità culturale e sia le dinamiche dell’acquiescenza, connessa al possibile ottenimento di benefici. 3.LA RICERCA/INTERVENTO SUL TERRITORIO Caratteristiche particolari assumono le ricerche psicosociali sul territorio. Questo tipo di ricerche differiscono anche in riferimento sia alla specificità delle situazioni e sia alla modalità di essere in relazione da parte del ricercatore. Può talvolta capitare che il ricercatore viene spesso vissuto come una sorta di mandato dell’istituzione, del potere, per cui la sua attività assume un significato completamente differente da quello dichiarato o che potrebbe risultare dagli strumenti utilizzati. Pensiamo, ad esempio, alla gente che individua nel ricercatore un individuo che, avendo un certo potere, può avere anche quello di incidere sulle tasse, facendole aumentare oppure diminuire. Ecco infatti che tanto meno difficoltà si incontrano nella comunicazione con gli interlocutori , tanto maggiori saranno le possibilità per la ricerca di raggiungere in maniera soddisfacente i risultati che si era prefissata di raggiungere. Viceversa, maggiori saranno le difficoltà incontrate nello stabilire adeguati canali di comunicazione con gli interlocutori, tanto più diminuiscono le possibilità di conoscere il fenomeno studiato nelle sue varie articolazioni. Un altro problema fondamentale riguarda il tipo di strumenti utilizzati che devono essere specifici e congruenti con gli obiettivi, ma devono soddisfare anche i requisiti di comprensibilità, rapidità di somministrazione, multidimensionalità etc. In definitiva, le caratteristiche della ricerca/intervento fondano le possibilità sia di successo e sia di scientificità della ricerca stessa, sul livello di professionalità del ricercatore. (LEGGERE LE CONSIDERAZIONI FINALI, ALLA FINE DEL LIBRO) 36
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