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Globalizzazione e Antropocene, Dispense di Geografia

Riassunti delle slide dell'esame di Geografia Regionale

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 22/01/2022

Paola.cabras1
Paola.cabras1 🇮🇹

4.7

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Scarica Globalizzazione e Antropocene e più Dispense in PDF di Geografia solo su Docsity! GLOBALIZZAZIONE E ANTROPOCENE: IMPATTI SUL TERRITORIO E SUL PAESAGGIO La geografia del Covid: Gli elementi di diffusione del Covid-19 sono: alta densità di popolazione, climi regionali diversi, livelli più elevati di inquinamento atmosferico in alcune zone. Ciò dipende, nel primo caso, da una urbanizzazione diffusa e quindi una grande mobilità nelle aree caratterizzate da un elevato numero di pendolari intorno alle grandi città che potrebbe aver aiutato la diffusione della malattia. Nel secondo caso, le differenze di temperatura e umidità sembrano incidere sulla diffusione dei problemi respiratori. La combinazione di temperatura e umidità, possono influenzare la vulnerabilità delle mucose nasali consentendo una maggiore penetrazione del virus, anche se nessun paese al mondo sembra essere esente dal contagio. In ultima istanza, i livelli più elevati di inquinamento atmosferico in alcune zone (ad esempio la pianura padana e la Cina) potrebbero altresì aver contribuito alla diffusione. L’inquinamento dell’aria rappresenta un rischio per le malattie respiratorie croniche e le infezioni correlate, in quanto può agire come portatore di microrganismi patogeni. Sembra esserci una correlazione tra i livelli di concentrazione di particolato atmosferico, biossido di azoto, monossido di carbonio e l’epidemia di Covid-19; poiché tali inquinanti atmosferici potrebbero agire da substrato come vettore per il trasporto del virus. Antropocene: [dal greco antropos, uomo, e koinos, recente, da cui deriva il suffisso -cene, frequente in italiano per indicare le ere geologiche] Il termine Antropocene individua una nuova era geologica nella quale l’umanità è in grado di rivaleggiare con i fenomeni climatici e geologici nel plasmare la biosfera terrestre e i suoi processi grazie alla messa a punto di una serie di strumenti, tecnologie e flussi di materia ed energia che vanno ben oltre le dotazioni di qualunque altra specie presente sul pianeta. Segni distintivi sono l’uso intensivo di fertilizzanti di sintesi e di combustibili fossili, deforestazione e diffusione della plastica, urbanizzazione del mondo, consumo irrazionale di acqua e petrolio, aumento rapido dei gas a effetto serra, acidificazione degli oceani e scioglimento dei ghiacci. L’Antropocene è poi strettamente legato alla globalizzazione. Tornando al Covid-19; le questioni territoriali appaiono centrali nell’esplosione del virus SARS-Cov- 2 e nel conseguente sviluppo della malattia Covis-19. Le analisi locali e globali, caratteristiche delle discipline geografiche, si prestano ad analizzare un fenomeno complesso, di difficile interpretazione e comprensione come questo. In un arco di tempo piuttosto breve, la pandemia ha investito tutte le sfere della vita umana sulla terra, divenendo un evento globale con conseguenze sul vivere quotidiano, in modi profondamente geografici. La riconfigurazione spaziale e le nuove limitazioni, negli spostamenti come nell’accesso, hanno prodotto una sostanziale modifica nelle relazioni socio-spaziali alterando le percezioni dei luoghi e anche dei pericoli connessi ai luoghi e agli spostamenti tra luoghi. Che cosa è la geografia regionale? La geografia è quella scienza che ha per oggetto la descrizione della terra e le sue relazioni con gli altri astri, specialmente in quanto serve di abitazione al genere umano. Con regione invece si intende un tratto o estensione di paese, contrada, distretto, rione. Claudio Tolomeo era un geografo, astronomo, astrologo greco antico di epoca imperiale, di lingua e cultura ellenistica, che visse e lavorò ad Alessandria d’Egitto, allora nella prefettura d’Egitto dell’Impero Romano. Considerato uno dei padri della geografia, fu autore di importanti opere scientifiche, la principale delle quali è il trattato astronomico noto come Almagesto. Nella sua Geografia, che contiene un'esposizione delle basi teoriche della geografia matematica e le coordinate di 8000 diverse località, Tolomeo introduce l'utilizzo, per la prima volta, della latitudine e della longitudine per l'identificazione dei luoghi sulla superficie terrestre. Lo scopo dell'opera è insegnare un metodo per disegnare carte di tutto il mondo abitato. La Geografia conteneva 27 mappe: una generale e ventisei di particolari regioni. L'opera fu portata a Firenze dal dotto bizantino Manuele Crisolora quando nel 1397 vi giunse per insegnare il greco allo Studio e tradotta dal greco al latino La sua riscoperta nel XV secolo dette un importante impulso al recupero dei metodi della geografia matematica e della cartografia. «La geografia è imitazione del disegno di tutta la parte conosciuta della terra, con tutte quelle cose che universalmente le son congiunte. Ed è differente dalla corografia, percioché questa, dividendo i luoghi particolari, gli espone separatamente, e ciascuno secondo se stesso; e insieme descrive tutte quasi le cose, ancorché minime, le quali in quelle parti, o in quei luoghi, che ella descrive, son contenuti, sì come sono i porti, le ville, i popoli, i rami che scono da’ primi fiumi, e altre cose simili a queste. Là ove proprio della geografia è di mostrar tutta in uno, e continua, la terra cognita, com’ella stia di natura e di sito, e si stende solamente fino alle cose più principali, sì come sono i golfi, le città grandi, le nazioni, le genti, i fiumi più celebri e tutte quelle cose che in ciascuna specie son più notabili. Il fine della corografia è di rappresentare una sola parte, sì come chi imitasse o dipingesse un’orecchia sola o un occhio. Ma il fine della geografia è di considerare il tutto in universale, alla guisa di coloro, i quali descrivono o dipingono tutto un capo...» L’Italia delle regioni: • Le regioni sono, assieme ai comuni, alle province, alle città metropolitane e allo stato centrale, uno dei cinque elementi costitutivi della Repubblica Italiana. • Ogni regione è un ente territoriale con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione della Repubblica Italiana, come stabilito dall'art. 114, II comma della carta costituzionale. • Le regioni, secondo quanto indicato dall'art. 131 della Costituzione, sono venti. Cinque di queste sono dotate di uno statuto speciale di autonomia ed una di queste (il Trentino- Alto Adige), è costituita dalle uniche due province autonome, dotate cioè di poteri legislativi analoghi a quelli delle regioni, dell'ordinamento italiano (Trento e Bolzano). Nel rispetto delle minoranze linguistiche, il Trentino- Alto Adige e la Valle d'Aosta sono riportati con le denominazioni bilingui Trentino- Alto Adige/Südtirol e Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste all'art. 116, come modificato nel 2001. Le mondializzazioni hanno a che fare con l’articolazione dello spazio terrestre in insieme separati e distinti, esterni gli uni agli altri, e la cui estensione geografica è circoscritta e finita; ciò che coincide in larga misura con le economie-mondo descritte da Fernand Braudel (1979) ed Immanuel Wallerstein (1974). Un’economia-mondo non è l’economia del mondo intero (che chiameremo piuttosto economia-globo), ma solo «un brandello economicamente autonomo del pianeta» (Braudel, 1979, trad. it. 1982, p. 4) che, per quanto vasto possa apparire, costituisce una porzione minima dello spazio terrestre considerato nella sua totalità. Questo vale ovviamente anche per l’economia-mondo europea i cui confini, alla fine del XVI secolo, comprendevano un territorio sterminato che andava dall’Europa nordoccidentale e mediterranea all’Europa centrorientale e alla regione baltica, e dalle isole atlantiche a parti del Nuovo Mondo come Brasile, Perù e Cile. L’interconnessione delle diverse regioni della Terra e il confluire di diverse economie-mondo in una totalità non sono effetti della mondializzazione: presa singolarmente, ciascuna delle economie-mondo rappresenta soltanto una porzione del globo; la vera differenza significativa sta nella loro progressiva unificazione. In altre parole, nello scenario globale non ci sono più, in senso stretto, aree esterne. Mondo: modello di organizzazione dello spazio proposto da Immanuel Wallerstein (“Il sistema mondiale dell’economia moderna”) - Le economie-mondo sono insiemi separati e distinti, esterni gli uni agli altri, e la cui estensione geografica è circoscritta e finita - Oltre ad un centro nel quale si concentra prevalentemente la ricchezza prodotta, l’economia- mondo presenta, di norma, una periferia composta da quei settori la cui produzione riguarda beni di scarso valore e la cui lavorazione è meno remunerata, ma che è parte integrante della divisione del lavoro. L’economia-mondo però, si definisce anche in relazione allo spazio esterno che la limita e delimita. Per questo, oltre questa struttura binaria tutto sommato semplice, imperniata sul dualismo cento-periferia, il modello prevede un terzo modulo, l’area esterna, data dagli altri sistemi economici sufficientemente forti per non perdere la propria autonomia sul piano politico e culturale e dai rapporti commerciali che questi intrattengono co una data economia-mondo - Le Americhe appartenevano alla periferia dell’economia-mondo europea; l’Asia (a sua volta altra economia-mondo) rimase tra le aree esterne ad essa Teoria dell’incorporazione: - Tra il 1733-1817 l’economia-mondo capitalistica abbatte i confini che si era data durante il XVI secolo e comincia ad incorporare vaste zone nuove. Le aree che fino a quel momento rappresentavano delle esternalità (subcontinente indiano, impero ottomano, Africa occidentale, ecc.) cominciarono a far parte della periferia: - L’incorporazione nell’economia-mondo capitalistica non fu mai un’iniziativa di coloro che venivano incorporati. Il processo fu dovuto, piuttosto, alla necessità dell’economia-mondo di espandere i propri confini, necessità che era a sua volta il risultato di pressioni interne all’economia-mondo. - Incorporazione significa, fondamentalmente, che almeno alcuni importanti processi produttivi in un determinato ambito geografico diventano parte integrante delle varie categorie produttive che costituiscono l’incessante divisione del lavoro in atto nell’economia-mondo capitalistica Nel XVIII secolo, Francia e Gran Bretagna rappresentano i due maggiori centri dell’economia-mondo capitalistica del tempo. Dalle mondializzazioni alla globalizzazione: Se il termine globalizzazione è recente, il fenomeno di per sé è vecchio. In effetti per “globalizzazione” si intende il fatto che le economie sono interdipendenti: in un’economia globale non ci sono più, in senso stretto, “aree esterne” (previste dal modello di Wallerstein). Le conseguenze geografiche di questo processo: - L’interdipendenza delle economie dei vari paesi si traduce in una globalizzazione degli scambi (di materie prime, prodotti alimentari, capitali, servizi, ecc.) - L’azione delle organizzazioni internazionali, le strategie planetarie delle multinazionali (Chevron, Philip Morris, Coca-Cola, Nestlé, British Petroleum, Monsanto ecc.) danno forma a nuova geografia economica del mondo attuale. - La propagazione di modelli e di forme esogene di territorializzazione è collaterale alla globalizzazione - Le scale di riferimento cambiano completamente: i partner dei mercati finanziari di Londra sono Francoforte, Tokyo e New York, non il resto della nazione britannica - Qualunque sia la scala di analisi, mondiale, nazionale o locale, le disuguaglianze (di accesso alle risorse, di reddito, istruzione, istruzione, ecc.) persistono e tendono ad allargarsi Questo non significa che non si possano distinguere, all’interno del mondo globalizzato, macroaree geografiche con funzioni e velocità differenti: - alcune, come l’America settentrionale, l’Europa occidentale e l’Asia orientale possono essere definite aree attive, poiché rivestono un ruolo dominante all’interno dei processi di globalizzazione in quanto originano i flussi transnazionali e con le loro scelte economiche sono in grado di orientale il resto del pianeta (> la triade dei paesi più industrializzati del mondo) - altre, come l’America Latina, l’Africa meridionale, l’Europa dell’Est, ecc. sono aree passive che partecipano ai processi di globalizzazione in conseguenza del ruolo attivo di altre realtà economiche, ad esempio dei processi di decentramento produttivo e territoriale prodottosi nelle aree attive (> Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) - altre ancora costituiscono i “sud del mondo”, ossia le aree escluse, situate prevalentemente nella restante parte del continente africano (Burkina Faso, Burundi, Guinea, Kenya, ecc.) o in Asia occidentale e meridionale (Nepal, Yemen, Filippine, ecc.), che partecipano in maniera marginale ai processi produttivi globali, poiché non rivestono alcun ruolo strategico agli occhi delle aree attive Attenzione però, - nessun paese può considerarsi, in senso stretto, escluso o passivo nei confronti della globalizzazione - l’esclusione e la passività di alcune aree sono indotte, prodotte cioè da uno scambio ineguale in cui i paesi economicamente più deboli pagano le merci d’importazione, provenienti dalle economie più forti, a prezzi molto più alti di quelli con i quali i paesi economicamente dominanti acquistano da loro le materie prime. Il risultato è la crescita dell’accumulazione di capitale nelle economie dominanti, e la conservazione- amplificazione dei meccanismi di sviluppo-sottosviluppo. - non va sottovalutata la presenza all’interno delle stesse aree attive di regioni con funzione periferica, caratterizzate da squilibri e carenze infrastrutturali, scarso dinamismo economico, ecc. i cosiddetti “sud del nord” (in Europa regioni mediterranee come il nostro Mezzogiorno, la Spagna meridionale, il Portogallo e la Grecia ma, anche, Irlanda e Danimarca settentrionale), ecc. La nascita della geografia borghese - la scienza non è mai un elemento estraneo o separato di processi sociali e politici - nel XVIII secolo avviene il conflitto tra Ancien régime e borghesia: non solo una lotta sociale e politica ma anche scientifica. Geografi del re e geografi borghesi propongono diverse rappresentazioni del mondo - i “geografi di Stato” (detti anche geografi del re), sono uno “strumento di governo del potere assoluto aristocratico-feudale”: offrono una rappresentazione puramente politica della Terra e della sua superficie nella quale l’ordine geografico rispecchia quello, gerarchico, del potere (disegnano carte politiche, che mostrano bene in evidenza i confini politici e amministrativi dello stato) Per geografo – il nome appare per la prima volta in francese nel 1557, e prima si diceva cosmografo – si intende, dal XVI al XVIII secolo, colui che disegna le carte e, all’occasione, le commenta, piuttosto che colui che descrive la Terra in forma discorsiva. I cartografi Sanson, Delisle, Buache..., sono qualificati geografi del re. Insieme ad essi, anche altri che disegnano carte o levano piante sono detti geografi. Gli ingegneri di campo e d’armata, che hanno questo compito tra le loro mansioni, sono chiamati ingegneri e geografi ordinari del re, come J. de Beins fin dal 1600, Sercamanen dal 1626, Beaulieu... A partire dal 1726, gli ingegneri militari responsabili dei lavori topografici si costituiscono in un corpo autonomo e ricevono il titolo di ingegneri-geografi di campo e d’armata, titolo che conservano fino alla Rivoluzione. Ingegnere-geografo è anche la qualifica dei topografi civili che sotto la direzione di Cassini lavorano alla Carte générale du Royaume. Ancora geografi sono detti gli agrimensori che levano le mappe catastali del Dominio e delle zone di caccia del re: J. Bourgault si firma nel 1695 geografo e agrimensore del Re, e i tre Matis dal 1680 al 1764 hanno l’incarico di agrimensori-geografi del re. La diversità culturale è spiegabile sulla base della diversità geografica ed ecologica: ambienti fisicamente e climaticamente diversi producono uomini diversi. «Il freddo tipico dei paesi del Nord Europa può spiegare la generale attitudine dei loro abitanti alla razionalità, al rigore, alla programmazione e al pragmatismo». «La povertà di un dato territorio dipende strettamente dalla scarsità delle risorse e delle materie prime presenti al suo interno. A questo vanno aggiunti i suoli poco fertili e il clima che inibiscono le pratiche agricole». Il possibilismo: Paul Vidal de la Blache fonda la rivista “Annali di geografia” ed è maestro indiscusso della scuola di geografia francese, la géographie humaine. «La geografia è la scienza dei luoghi e non degli uomini; essa si interessa agli eventi storici nella misura in cui questi producono e mettono in luce, nei paesi in cui hanno luogo, delle proprietà e delle potenzialità che senza di essi sarebbero rimaste irrealizzate. La storia d'Inghilterra è insulare, quello della Francia è divisa tra il mare e la terraferma; la geografia ha un ruolo in ciascuna di esse». - La geografia – l’asse intorno a cui si saldano onore nazionale, prosperità commerciale e interesse scientifico – è pensata come una disciplina militante, al servizio tanto della revanche quanto delle conquiste coloniali che devono dare lustro alla République - Uomini politici, militari, diplomatici, uomini d’affari, pedagoghi si convincono della sua utilità - Al II Congresso internazionale delle Scienze geografiche (1875) l’ammiraglio La Roncière- Le Noury, che Napoleone III aveva posto a guida della flotta francese, dichiara nel suo discorso inaugurale: «Signori, la Provvidenza ci ha imposto l’obbligo di conoscere la terra e di conquistarla. Questo imperativo supremo è uno dei doveri irrinunciabili inscritti nella nostra intelligenza e nel nostro agire. La geografia, questa scienza che ispira tanta magnifica devozione e nel cui nome tante vittime sono state sacrificate, è divenuta la filosofia della terra» Strategie del discorso geografico in Paul Vidal de la Blache 1) Il Tableau de la géographie de la France: racconto autoreferenziale della patria intesa come sfera sociale di produzione e insieme di ricezione della rappresentazione; 2) La France de l’Est: competizione orizzontale tra attori simmetrici in uno spazio europeo, la cui messa in discorso è principalmente rivolta ad una società diversa da quella che produce la rappresentazione; 3) le Notes et correspondances e il cui destinatario finale è, di nuovo, la società stessa da cui questa narrazione procede e incentrate sulle strategie e le relazioni di dominio al di fuori dallo spazio europeo tra attori asimmetrici Concezione di base del possibilismo è quella che vede il rapporto uomo-natura come a-deterministico. Nel determinismo il rapporto natura-uomo era univoco, nel possibilismo le due dialogano. “Il tableau de la géographie de la France” Costituisce il I tomo dell’Histoire de France di Ernest Lavisse, in 28 voll. (1903-1922) ed è considerato il testo fondativo della geografia francese. Esso è un modello di descrizione regionale e di rappresentazione territoriale dell’identità francese. È diviso in 2 parti: la personalità geografica della Francia e la descrizione regionale. - la geografia contribuisce alla costruzione di una rappresentazione territoriale dell’identità nazionale (autoreferenzialità) - «la geografia politica non può accontentarsi di una piccola frazione della superficie terrestre. Il suo campo non è ristretto allo spazio che occupano le società che si trovano ad un grado avanzato di civiltà; essa non può credere che il suo compito si esaurisca nello studio di alcuni Stati, punti luminosi attorno ai quali galleggerebbe in una vaga penombra il resto dell’umanità» - strettissima continuità sussistente tra geografia e storia o, come si esprime lo stesso Vidal, tra suolo e uomo: «I rapporti tra il suolo e l’uomo sono improntati, in Francia, ad un carattere originale di antichità e continuità» “La France. Tableau de la géographie” (1908) - Nel 1908 Vidal ripubblica la sua opera con un nuovo titolo: La France. Tableau géographique con un ricco apparato iconografico commentato: ben 240 foto in bianco e nero, su tavole rilegate fuori testo, fornite all’autore dalla maggior parte dei geografi universitari francesi dell’epoca (Brunhes, Demangeon, Gallois, de Martonne), botanici (Flahaut), geologi (Haug, Kilian) e agronomi (Hitier). - L’introduzione delle fotografie nel testo si giustifica con la loro capacità di «fortificare la descrizione mediante la testimonianza degli occhi». Le foto rendono più preciso l’atto descrittivo, ne completano il dettato, colmando le lacune e i limiti della comunicazione verbale: «Ci sono nella natura, anche trasposta in immagini, più varietà e sfumature di quante una descrizione non saprebbe raggiungere». - «In mancanza della visione diretta delle cose, la fotografia che attinge direttamente dalla natura le forme, in attesa di attingervi anche i colori, è un aiuto prezioso. Bisogna, è vero, che sia praticata con spirito geografico da persone che sappiano spiare la natura. A questa condizione, ha questo merito considerevole di poter cogliere sul fatto le combinazioni più espressive, di afferrare le prospettive seguendo le quali i tratti si compongono meglio». - L’identità della Francia è un’identità oculare, visiva, fotografabile. “La France de l’Est” (1917) - rapporti orizzontali di competizione in uno spazio europeo tra attori simmetrici (competizione con la Germania) - L'ultimo libro di Vidal: un libro di geografia politica che appartiene pienamente alla storiografia dell'idea nazionale in Francia - Scritto durante la Prima guerra mondiale per dimostrare che l’Alsazia e la Lorena – all'epoca in parte tedesche – sono francesi perché la loro «personalità regionale» è profondamente intrisa di francesità - La France de l’Est è il meno vidaliano dei libri di Vidal. Il modello di geograficità che quest’opera propone rappresenta di fatto l’antitesi perfetta e il totale capovolgimento dell’immagine che di lui e della sua opera ha dato la “corporazione” dei geografi accademici. Costoro hanno eletto a canone del ragionamento geografico non l’ultimo lavoro del fondatore della géographie humaine, bensì il Tableau de la géographie de la France (1903) - Il testo viene riscoperto da Yves Lacoste nel 1979 e ripubblicato - Le differenze tra il Tableau e la France de l’Est sono così grandi e talmente stridenti che si sarebbe tentati di pensare che sano opera di due autori molto lontani tra loro nel modo di ragionare e di porre problemi. La France de l’Est è un libro che fonda una geografia molto vicina alla geopolitica e avrebbe potuto determinare un’evoluzione molto diversa da quella che la scuola geografica francese ha conosciuto fino all’indomani della Seconda guerra mondiale - In realtà la concezione ristretta e apolitica della geografia è stata costruita appositamente dagli storici, interessati a consegnarla ad un ruolo modesto, subalterno alla storia e del tutto staccata dai problemi politici. In particolare Lucien Febvre, in “La Terra e l’evoluzione umana”, non dice una parola sull’ultimo libro di Vidal e assegna alla geografia un compito modesto: essere utile per la storia ma senza minare l’egemonia che il discorso storico esercita sul ragionamento che riguarda uomini e Stati. - «La geografia è tuttavia sufficiente per spiegare questo risultato? Si ripete volentieri che la Francia, come la Gallia, si è stabilita da queste parti in virtù dello sviluppo naturale dei suoi destini. La realtà è lungi dall’essere così semplice. I destini di questo paese sono stati attraversati da numerose vicissitudini che potevano benissimo deviarne il corso» (p. 1) - Importanza centrale data alla dimensione economica, finanziaria e tecnologica dei processi di territorializzazione di cui nel Tableau non si faceva menzione: i capp. XI-XVI descrivono le modificazioni introdotte sul paesaggio dai processi produttivi legati all’industria: dalle fabbriche installate lungo i fianchi delle vallate alla concentrazione di colossali stabilimenti metallurgici in pianura, dalla deforestazione alla creazione di ferrovie e canali e all’utilizzo delle vie d’acqua per ricavarne energia idroelettrica - «L’idea regionale è nella sua forma moderna una concezione dell’industria; essa si associa a quella di metropoli industriale» (p. 163) “Notes et correspondances” (1917) - rapporti verticali di dominio in uno spazio extraeuropeo tra attori asimmetrici - indaga sulla Francia e le colonie “DALLE OSSA ALLA CARNE” ovvero cosa succede quando la geografia comincia a interessarsi non più solo alle ossa? Finalmente la geografia inizia a scoprire il cambiamento grazie alle critiche di geografi come Lucio Gambi e altri (Harvey, Castells, Lefebvre, Magnaghi) che riscoprono il pensiero di Marx. Un impulso decisivo in questo senso credo che l’abbia dato la riscoperta e l’attualizzazione del pensiero marxiano che s’accompagnò alle turbolenze degli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Ne derivarono elaborazioni concettuali e motivazioni politico-ideologiche convergenti nel rifiutare una geografia che vedeva i territori come semplici stati di cose. Il concetto di feticismo delle merci e di alienazione su cui Marx aveva fondato la critica dell’economia capitalistica, poteva bene applicarsi a una critica della geografia allora dominante. Infatti anche in essa i rapporti che gli esseri umani intrattenevano nello spazio geografico (tra di loro e con l’ambiente) erano presentati come rapporti tra “cose” e ciò contribuiva a rafforzare – come s’è detto – una ideologia dell’ordine esistente come ordine naturale. Non solo, ma Marx aiutava anche a capire come lo spazio geografico, trasformato in territorio, cioè in una gigantesca macchina insediativa e produttiva, potesse effettivamente diventare qualcosa di naturale, cioè una struttura impersonale, capace di condizionare la vita degli esseri umani, di alienare la loro essenza, di realizzare il dominio della cosa sull’uomo. Era facile poi passare da questo livello teorico a quello politico, indicando nell’organizzazione capitalistica del territorio uno strumento di sfruttamento dei lavoratori da parte di chi possedeva i mezzi di produzione e il potere di decidere gli assetti territoriali più confacenti alla realizzazione delle rendite e del profitto. A questo punto, Dematteis propone una breve deviazione dal percorso, una digressione legata al carattere metaforico della rappresentazione geografica. Questa è: a. selettiva e pertinente b. incentrata sulle relazioni tra le cose, più che sulle cose in sé c. metaforica “LA CARNE DEL MONDO” ovvero cosa succede quando la geografia esplora le potenzialità immanenti e le condizioni di un divenire possibile? La verità della geografia ha a che fare con la carne del mondo, vale a dire con la memoria e l’immaginazione, col paesaggio, e con le conseguenze che la rappresentazione delle cose può produrre. La sua verità è la verità degli aranci di cui parla Saint-Exupéry. La verità geografica riguarda più il futuro che non il passato e il presente, anche se essa non può ignorare i processi in atto, di breve o lunga durata che siano. Questa è la logica che ha fatto scrivere a Saint-Exupéry: “la verità non è affatto ciò che si dimostra. Se in questo terreno, e non in un altro, gli aranci sviluppano delle solide radici e si caricano di frutti, è questo terreno la verità degli aranci”. Partiamo dunque dalla logica elementare degli aranci, tenendo però presente che il problema della geografia umana non è soltanto un problema locale. Esso implica una concezione della Terra, in cui biosfera e sfera socio-culturale (tecnosfera, semiosfera) interagiscono e co-evolvono come componenti di un unico sistema complesso. La complessità deriva dal fatto che il sistema naturale Terra e quello socio-economico-culturale umano, operano ognuno secondo modalità sue proprie, non reciprocamente riducibili, così come non lo sono tra loro i principi organizzativi dei sottosistemi territoriali in cui essi si articolano. Ciò significa che possiamo a tutti i livelli territoriali fare scelte sbagliate, che alterano le condizioni biologiche e sociali del pianeta e che presto o tardi finiranno per ritorcersi sulle condizioni di vita dei sistemi locali che ne sono responsabili. È per questo che credo che i geografi non possano oggi limitarsi a descrivere i territori senza assumersi la responsabilità di contribuire a migliorarli e con essi il sistema planetario. Dallo strutturalismo al paradigma territorialista-sistemico STRUTTURALISMO SISTEMA GENERALE struttura Ci si chiede come sia fatto l’oggetto, da quali elementi sia composto e quali funzioni sviluppi. organizzazione Ci si chiede che cosa faccia l’oggetto, quali attività sviluppi, come si auto-organizzi. evoluzione Ci si chiede quale sia la storia dell’oggetto e quali funzioni abbia svolto nel corso del tempo. cambiamento Ci si chiede quali fasi di cambiamento della propria organizzazione l’oggetto abbia attraversato nel corso del tempo, in quali altre fasi sia andato incontro a semplici adattamenti e in quali sia intervenuto un cambiamento profondo, morfogenetico. ambiente esterno Non è compreso nel paradigma. ambiente esterno Ci si chiede quali impulsi siano stati diretti dall’ambiente esterno nei riguardi dell’organizzazione dell’oggetto e come esso abbia reagito. obiettivo Non è compreso nel paradigma. obiettivo Ci si chiede quale progetto stia sviluppando l’oggetto, cioè verso quali traguardi si diriga. In particolare, ci si chiede se e in quali termini – per effetto del cambiamento – cambia l’obiettivo. LOGICA CARTESIANA VS LOGICA SISTEMICA: FIG. 2.4 Logica cartesiana (disgiuntiva) e logica sistemica (congiuntiva) a confronto. | LOGICACARTESIANA || | ocicasistemica.— || REALTÀ RIFERITA ALL'OSSERVATORE PERTINENZA LULULE CONSIDERARE CAUSALITÀ PREOSRE FINIE ; ‘COMPORTAMENTI RASSEGNA RASSEGNA ESAUSTIVITÀ COMPLETA TA AGGREGATIVITÀ DEGLI ELEMENTI DEGLI ELEMENTI Alberto Magnaghi, “Il territorio dell’abitare” (1990) «il territorio non è il ‘suolo’ e tantomeno lo ‘spazio’ degli economisti, né la ‘terra’ dello ‘spazio vitale’...il territorio è un soggetto vivente che non si dà in natura: esso è esito di lunghi processi di strutturazione dello spazio fisico (che avviene secondo lunghe fasi di territorializzazione); è il risultato dell’azione storica dell’uomo, ma è anche una rete di rapporti, di complessità crescente, che attraversa i diversi sistemi di relazione (concreti e simbolici) specifici di ogni luogo. Il territorio è cioè unico per forma, carattere, storia, paesaggio...» Alberto Magnaghi, “Il progetto locale” (2000) Il territorio è un’opera d’arte: forse la più alta, la più corale che l’umanità abbia espresso. A differenza di molte opere artistiche (in pittura, scultura, architettura) o tecniche che sono prodotte dall’uomo plasmando materia inanimata, il territorio è prodotto attraverso un dialogo, una relazione fra entità viventi, l’uomo stesso e la natura, nel tempo lungo della storia. È l’opera corale, coevolutiva, che cresce nel tempo. Il territorio è generato da un atto d’amore (inclusivo degli atteggiamenti estremi della sottomissione e del dominio), seguito dalla cura della crescita dell’altro da sé. Il territorio nasce dalla fecondazione della natura da parte della cultura. L’essere vivente che nasce da questa fecondazione (in quanto neoecosistema ha un suo ciclo di vita, è accudito, nutrito, ha una sua maturità, una sua vecchiaia, una sua morte, una sua rinascita) ha carattere, personalità, identità, percepibili nei segni del paesaggio. Marina Bertoncin & Andrea Pase, “Il territorio non è un asino” (2006) «Il territorio è inteso spesso come un asino piuttosto che un “soggetto vivente” da riscoprire... Una delle necessità, trattando di territorio, per non perdere di vista gli obiettivi raggiungibili, è comprenderlo. Oltre il saperlo descrivere e rappresentare si tratta di saperlo interpretare. Il territorio risultato di relazioni si presenta come un campo dinamico: particolarmente interessante è l’analisi dei diversi comportamenti territoriali presenti, cioè delle territorialità che vi si animano determinate dalla coesistenza degli attori, dall’interdipendenza del loro agire... Quali sono gli attori? Con quali forme si manifesta il loro agire? Quali strategie intraprendono? Quali strumenti impiegano? Quali sono e che modalità assumono le relazioni di potere? Quali criteri ammettono o vincolano l’entrata in gioco degli attori?». Spazio e territorio non sono termini equivalenti. Per averli utilizzati indifferentemente, i geografi hanno introdotto nelle loro analisi confusioni notevoli, vietandosi con ciò stesso di fare utili e necessarie distinzioni. [...] È essenziale comprendere come lo spazio sia in posizione antecedente rispetto al territorio, perché questo è generato a partire dal primo, oltre ad essere il risultato di un’azione condotta da un attore che realizza un programma a qualsiasi livello. Appropriandosi concretamente o astrattamente (per esempio, mediante la rappresentazione) di uno spazio, l’attore “territorializza” lo spazio. [...] Lo spazio dunque è primo, è preesistente ad ogni azione. Lo spazio è in un certo modo “dato” come materia prima. Esso preesiste ad ogni azione. “Luogo” di possibili, esso è la realtà materiale preesistente ad ogni conoscenza e ad ogni pratica di cui sarà l’oggetto non appena un attore manifesterà una mira intenzionale a suo riguardo. Giuseppe Dematteis la territorialità passiva si rivela tale nella propria incapacità di costruire o arricchire con nuove configurazioni il mondo in cui gli attori vivono ed operano (laddove una territorialità attiva implica invece la capacità di valorizzare e incrementare il capitale territoriale preesistente). Marina Bertoncin & Andrea Pase la territorialità è “stabile” o “instabile” a seconda che sia continua, capace di conservarsi nel tempo senza essere costretta a ridefinire continuamente la propria progettualità e i propri obiettivi oppure no. Incrociando le categorie di Dematteis con quelle di Bertocin e Pase, otteniamo quattro categorie descrittive: (1) territorialità attiva stabile; (2) territorialità attiva instabile, (3) territorialità passiva instabile; (4) territorialità passiva stabile. Angelo Turco, “Configurazioni della territorialità” (2010) «Quando si parla di territorializzazione si intende un processo di trasformazione della natura in un artefatto umano, marcato da una triplice caratterizzazione: 1) In primo luogo, esso è costitutivo della società, nel senso che contribuisce in modo decisivo all'evoluzione del gruppo umano da aggregato generico di soggetti in autentico corpo sociale, entrando nei sistemi che fondano la conoscenza, la percezione, la rappresentazione e la costruzione di una coscienza identitaria della collettività insediata. 2) In secondo luogo, la territorializzazione è un riflesso dell'azione sociale, nel senso che si produce nel seno di una dinamica collettiva da cui trae motivazioni, cadenze, forme. 3) Infine, è una condizione dell'azione sociale, nel senso che consente di ottenere le risorse materiali e simboliche di cui la collettività insediata ha bisogno per vivere e per riprodursi, conformemente alle determinazioni e alle proiezioni storiche che le sono proprie. Il passaggio dall'ambiente naturale al territorio, come ben si comprende, non è dato una volta per tutte, ma contempla trasformazioni continue, segnate da andamenti evolutivi qui e là interrotti da fratture in corrispondenza di grandi mutamenti ecologici, demografici, politici, economici, tecnologici» IL PROCESSO TDR: la storia del territorio passa attraverso tre fasi 1) territorializzazione 2) deterritorializzazione 3) riterritorializzazione GLI ATTI TERRITORIALIZZANTI: la produzione di territorio passa attraverso tre tipologie di atti territorializzanti 1) denominazione (controllo simbolico) 2) reificazione (controllo materiale) 3) strutturazione (controllo sensivo) La Spagna è suddivisa in 17 comunità autonome (comunidades autónomas) che sono ulteriormente divise in 50 province, più due città autonome: Ceuta e Melilla. Gibilterra è poi rivendicata dalla Spagna. PAESAGGIO LUOGO E AMBIENTE Paesaggio, luogo e ambiente sono “configurazioni della territorialità”, cioè manifestazioni empiriche che può assumere il nostro rapporto col territorio. Il territorio si configura come: 1) Posto: se ospita località generiche dove succedono cose che possono succedere anche altrove (per non dire ovunque). Le localizzazioni sono scambiabili a piacimento con qualunque altra. 2) Luogo: se vi succedono cose che possono succedere soltanto lì. Esse non possono accadere altrove senza cambiare il loro significato. Non ogni posto è un luogo, dunque, e un luogo non è dovunque. 3) Natura: se la sua fisicità si accompagna a un sentimento panico che la riconduce a una ideale wilderness sospesa fuori dal tempo e dallo spazio. In questa accezione “natura” è il nome che diamo a un’entità o a una serie di proprietà indefinite (il mare, la montagna ecc.), prive di qualunque connotazione specificamente territoriale. 4) Ambiente: se guardiamo alla natura attraverso il filtro di visioni, progetti, pratiche e sensibilità tipicamente umane, ossia attraverso il filtro della territorialità. A differenza della natura, l’ambiente è ubicato e concreto, dotato di una sua pertinenza cioè di un profilo geografico localizzato. 5) Veduta: se lo sfondo visivo che ci circonda è generico, intercambiabile, privo di consistenza iconemica della morfologia dello spazio circostante non è automaticamente anche una descrizione paesaggistica – semmai, al limite, una sua pre-condizione. 6) Paesaggio: vale a dire qualcosa in più del semplice sfondo visivo che ci circonda: abbiamo ora pertinenza visiva, uno o più iconemi specifici, un profilo riconoscibile dal quale scaturiscono e verso cui convergono eventi, azioni e identità; declinare la territorialità in termini paesaggistici significa dare corpo, figura e visibilità al territorio. LA GLOBALIZZAZIONE: UNA DETERRITORIALIZZAZIONE PERMANENTE? L’interruzione del processo storico di costruzione dei luoghi avviene quando uno dei cicli di civilizzazione (quello contemporaneo) si autonomizza da tutti quelli precedenti: il territorio è trattato come un foglio bianco, un mero supporto su cui disegnare insediamenti secondo regole astratte della natura, della qualità, dell’identità dei luoghi. Qui la deterritorializzazione non si configura come nel passato come una fase di transizione a una nuova territorialità (ovvero a una nuova forma della relazione coevolutiva fra insediamento umano e ambiente): essa infatti è determinata da un sistema socieconomico per sua natura deterritorializzato, organizzato in uno spazio astratto, atemporalizzato, sempre più artificializzato, destrutturante (per forma e velocità del processo) la costruzione storica delle regioni, dei luoghi e dei loro tipi territoriali. Questa interruzione del ciclo territorializzazione-deterritorializzazione-riterritorializzazione si fonda sulla fiducia tecnologica nella possibilità di liberarsi definitivamente della natura e del territorio attraverso la costruzione di un ambiente totalmente artificiale in grado di sanare, con l’innovazione tecnica, le crisi crescenti dei sistemi ambientali e territoriali. La deterritorializzazione contemporanea è dunque la prima nella storia a essere tendenzialmente strutturale, senza via di ritorno. La svolta paesaggistica Il paesaggio è oggetto al giorno d’oggi di un rinnovato interesse in tutti i campi della vita sociale, intellettuale, letteraria e artistica. Il pensée-paysage rappresenta una manifestazione esemplare dei fenomeni umani e sociali, dell’interdipendenza del tempo e dello spazio, e dell’interazione tra la natura e la cultura, l’economico e il simbolico, l’individuo e la società. Esso fornisce un modello per pensare la complessità di una realtà che invita ad articolare gli apporti provenienti dalle diverse scienze umane e sociali. Non si è mai parlato così tanto di paesaggio come nella nostra epoca, non si sono mai avuti così tanti paesaggisti (vale a dire professionisti della pianificazione paesaggistica), non si sono mai pubblicati così tanti libri di riflessione sul paesaggio. La nostra epica è decisamente quella del paesaggio, almeno per quanto riguarda la sua riproduzione verbale e iconica. La parola e il fenomeno sono sotto gli occhi di tutti, nella stampa quotidiana e nelle pubblicazioni specializzate, negli schermi e sui muri, nei progetti e nelle coscienze. Oggi il paesaggio è ostentato e svelato, è discusso e adulato, ed è ugualmente venduto e rivenduto. Appartiene ormai a tutti, mentre nel passato aveva un ruolo di codice sociale e di segno distintivo di un’elite che si riconosceva volentieri nella condivisione comune di luoghi emblematici o di rappresentazioni topiche. Da periferico il paesaggio è divenuto centrale, se non indispensabile per la filosofia e nella geografia, senza dimenticare il suo posto sempre più marcato in seno alle teorie sociologiche, antropologiche e archeologiche. Paesaggio, luogo e ambiente •Il luogo è un dispositivo di individualizzazione spaziale; nasce da un processo di topogenesi e ha a che fare con localizzazioni non-fungibili (cioè non scambiabili a piacimento) • Il paesaggio come “dispositivo iconico”, “operatore mimetico” grazie al quale la territorialità acquista coerenza visiva, unità visiva in virtù dello statuto dello sguardo. • L’ambiente indica invece l’insieme delle qualità e dei contenuti naturali di un territorio e con le pratiche umane che vi si riferiscono; è la natura filtrata dalla territorializzazione. b) fatti psicologici: la forza della tradizione - esempio quella di vivere in villaggi ammassati o in cascinali sparsi - e l’abitudine della imitazione - nelle modalità dei lavori agresti, nello stile di tenere le colture, nella configurazione dell’abitazione, ecc. - che sono notevoli elementi di resistenza e di conservazione per diverse arcaiche forme paesistiche c) rapporti fra individuo e gruppo: come è il caso di una società ove gli individui sono più liberi dei loro atti e delle loro tecniche, e quello ben diverso di una società ove gli individui sono decisamente subordinati a una autorità istituzionale che li supera: a volte la minuscola comunità di villaggio e a volte un organizzatissimo Stato d) costumi giuridici intorno alla proprietà famigliare: quelli ad esempio per cui l’eredità della proprietà va o al primo dei figli – come nel caso della Geschlossener Hof atesina - o a un certo numero fra loro (ad esempio i maschi) o in parti più o meno eguali a ciascuno dei figli. e) la configurazione aziendale così come le forme di conduzione e i rapporti di lavoro: il cosiddetto paesaggio li rivela poco o niente. Forse che qualcuno che esamini studiosamente le fattezze visibili del paesaggio toscano ne trae l’idea, se dianzi la ignora, della struttura aziendale a fattorie? E invero quel paesaggio è una conseguenza e non una causa della fattoria. f) tecniche di coltivazione: forse che le rotazioni, i metodi strumentali di lavorazione, i rendimenti delle colture possono individuarsi iniziando lo studio da un complesso paesistico? Si può ricordare che fra le cause loro – a parte i patrimoni culturali – vi sono le caratteristiche dei mercati, i tenori di vita contadina, la presenza di industrie particolari nella regione, il grado di tecnologia rurale, ecc. CHE COS’È IL PAESAGGIO? 2) Simbolo, traccia, immagine che rimanda a valori culturali e a strutture socio-territoriali e ideologiche immateriali (paesaggio-significante: il senso del paesaggio è in ciò che non vedo) paesaggio-significato (fino agli anni '80) per i geografi delle generazioni precedenti il paesaggio era un artefatto materiale in cui si riassumeva la fisionomia di un paese, dunque la serie delle fattezze visibili riproducibili su una mappa (da Vidal fino all’esperienza olandese del Physiognomic Landscape Mapping). Era cioè fatto sostanzialmente di “cose” materiali, dotate di qualità sensibili e di una loro fisicità. paesaggio-significante (dalla metà degli anni '80) Con Denis Cosgrove, Trevor Barnes e James S. Duncan, e Augustin Berque il paesaggio diventa rappresentazione, testo, idea. IL PAESAGGIO SIMBOLICO «L’idea di paesaggio rappresenta un modo di vedere – un modo in cui alcuni europei hanno rappresentato a se stessi e agli altri il mondo attorno a loro e le loro relazioni con esso, e attraverso cui hanno commentato le relazioni sociali. Il paesaggio è un modo di vedere che possiede una sua storia, ma è una storia che può esser compresa solo come parte della più vasta storia dell’economia e della società; che ha le proprie assunzioni e conseguenze, le cui origini e implicazioni si estendono ben oltre la percezione del territorio; che ha le proprie tecniche di espressione, ma si tratta di tecniche che condivide con altre aree della pratica culturale. L’idea di paesaggio è emersa come una dimensione della coscienza dell’élite europea in un periodo identificabile dell’evoluzione delle società europee». Il paesaggio palladiano: - Integrazione di architettura e paesaggio funzionale - La nobiltà vicentina e veneziana trascorre alcuni mesi dell’anno in campagna per godere la vita rilassata della villeggiatura - Queste ville sono il simbolo della visione della vita e del paesaggio del patriziato veneto: impressione di armonia tra l’uomo e la natura; esprimono l’ideologia aristocratica, conservatrice della proprietà Il paesaggio come testo: - immissione nella metodologia geografica di tecniche di interpretazione derivanti dalla semiotica e dalle teorie letterarie - inversione del rapporto scrittura-mondo «Questo libro esamina che cosa facciamo in quanto geografi quando rappresentiamo paesaggi reali o immaginari attraverso i nostri scritti» «l’unica cosa che riteniamo non sia la scrittura, è l’essere un fedele duplicato di una realtà esterna» «Sono gli esseri umani che decidono come rappresentare le cose, e non le cose stesse» Il paesaggio come idea: - le forme fisiche terrestri non sono di per sé paesaggio; lo studio del paesaggio è qualcosa di estremamente diverso da una mera morfologia dell’ambiente - Il paesaggio è un concetto culturale non-universale che nel corso della storia dell’umanità soltanto alcune civiltà hanno sviluppato (Cina ed Europa dal Rinascimento) - Distinzione tra civiltà paesaggistiche e civiltà non- paesaggistiche (capacità di di rappresentarlo verbalmente, letterariamente, pittoricamente e attraverso l’arte dei giardini) - Concezione esclusivista e culturalista: in assenza di determinate condizioni (comunicative, sociali) non si dà paesaggio: «il paesaggio in generale è limitato dall’orizzonte di una certa visione del mondo, propria di un dato milieu, di una data cultura e di una data epoca» (Les raisons du paysage, 1995, p. 37) Antropocene Il termine Antropocene individua una nuova era geologica nella quale l'umanità è in grado di rivaleggiare con i fenomeni climatici e geologici nel plasmare la biosfera terrestre e i suoi processi grazie alla messa a punto di una serie di strumenti, tecnologie e flussi di materia ed energia che vanno ben oltre le dotazioni di qualunque altra specie presente sul pianeta I segni distintivi sono: l’uso intensivo di fertilizzanti di sintesi e di combustibili fossili, la deforestazione e diffusione della plastica, l’urbanizzazione del mondo, il consumo irrazionale di acqua e petrolio, l’aumento rapido dei gas a effetto serra, l’acidificazione degli oceani e scioglimento dei ghiacci ecc. L’Antropocene è strettamente legato alla globalizzazione Il paesaggio può essere considerato un indicatore sufficientemente attendibile delle trasformazioni innescate negli ecosistemi terrestri dalle pratiche di produzione tipiche del capitalismo più avanzato? Esiste cioè un “paesaggio nell’Antropocene” ossia un paesaggio specifico, inedito, dotato di proprietà non riscontrabili in nessun altro momento della storia, sia di quella naturale che di quella umana? Qualora esistesse, questo paesaggio ci fornirebbe una testimonianza visivamente esemplare delle trasformazioni innescate negli ecosistemi terrestri dalle pratiche di produzione tipiche del capitalismo più avanzato. Chiedere al paesaggio di darci una testimonianza esemplare dell’Antropocene significa sforzarsi di dare forma, visibilità e concretezza alle profonde trasformazioni innescate sugli ecosistemi terrestri dall’attuale, dominante, modo di produzione del mondo. Così facendo trattiamo il paesaggio come un indice capace di tradurre una serie di processi ad alta complessità in un’icona immediatamente riconoscibile. CHE COS’È IL PAESAGGIO? 3) Metafora utile per sintetizzare in un'unica formula al tempo stesso allusiva e concreta un insieme piuttosto variegato di pratiche, azioni, comportamenti irriflessi e processi e questioni di ordine politico, estetico, morale, culturale o tecnologico tra loro difficilmente separabili (paesaggio-metafora)
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