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Guide e consigli
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Gordon Craig - riteatralizzatore del 900, Sbobinature di Storia del Teatro e dello Spettacolo

• GORDON CRAIG VITA • L’attore e la scena nel pensiero di Craig • IL TEATRO PER CRAIG - analisi del testo teorico “Sull’arte del teatro” del 1911 e riassunti dettagliati de: - Gli artisti del teatro dell’avvenire - L’Attore e la Supermarionetta - Primo dialogo tra un uomo del mestiere - il regista e un frequentatore di teatro - lo spettatore.

Tipologia: Sbobinature

2020/2021

Caricato il 14/09/2021

CarmenPacifico
CarmenPacifico 🇮🇹

4.5

(99)

36 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Gordon Craig - riteatralizzatore del 900 e più Sbobinature in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! I riteatralizzatori: Gordon Craig Con la parola riteatralizzatori si indica una coppia di artisti: Adolphe Appia e Gordon Craig. In maniera più ampia per riteatralizzatori si intende una figura che ha modificato radicalmente l’assetto del teatro del 900, partendo da un’elaborazione teorica per poi tradurla in una serie di proposte di cui alcune sono riuscite a realizzarsi, altre invece sono rimaste solo sotto forma di provocazione e hanno cambiato definitivamente l’andamento del teatro per tutto il 900. Appia indicò una serie di proposte nella sostituzione di elementi naturalistici e vincolanti sul piano del significato con una serie di volumi, con una stilizzazione della scena che ha tradotto il palcoscenico in ritmo. Appia dimostra questa sua intuizione a partire dall’osservazione delle opere di Wagner rendendosi conto che la grandezza di quest'ultime non corrisponde ad un’efficacia rappresentativa perché vincolata da un sistema 800esco che appare inadeguato e sminuisce la forza della riforma wagneriana. Wagner colui che aveva sostenuto che il teatro era la fusione di tutte le arti. Su questa linea agisce anche Edward Gordon Craig. Gordon Craig dà un contributo più decisivo rispetto ad Appia grazie alla nascita della regia. Come Appia apporta una riforma sostanziale nella concezione dello spazio scenico e dell’attore in particolare, quello che Craig fa, è fondare con delle linee precise la nuova figura dell’artista dell’avvenire> il Regista. Craig ha una formazione molto eclettica, nasce attore poi diventerà scenografo, regista e teorico. La gran parte della forza di Craig si è espressa attraverso le opere teoriche, molte delle sue proposte sono rimaste teoria. Come la maggior parte dei giganti del 900, Craig ha avuto una vita difficile al suo tempo. La sua accettazione non è stata immediata. Come per Appia anche per Craig la cosa fondamentale diventa il disegno, l'attività da incisore, attività che apprende poco dopo aver lasciato l’arte della recitazione. e GORDONCRAIG VITA Craig è nato in Inghilterra nel 1872 ed è figlio di una famosa attrice vittoriana, Ellen Terry che faceva parte dei circoli intellettuali artistici di nuovi pittori, incisori e musicisti e soprattutto nella compagnia di Henry Irving (suo compagno)> un famoso attore vittoriano, capocomico e fondatore della Compagnia del Lyceum di Londra. Irving è un attore importante che all’interno del generale sistema del capocomicato della metà dell’800, in Inghilterra, si distingue per una particolare attenzione all’allestimento che non è generico ma che tiene conto del principio dell’armonia, dell’organicità di tutte le componenti della rappresentazione. Nonostante la fortuna della sua compagnia fosse incentrata sul suo carisma e la sua bravura, dà particolare rilievo anche all’allestimento scenico come atto costruttivo della rappresentazione e un’attenzione particolare alla recitazione+ nel rapporto tra attore e personaggio. La recitazione di Irving nonostante tenga molto conto del rapporto empatico ed emotivo con il personaggio, diventa un punto di riferimento per l’elaborazione teorica di Craig sull’attore. Craig nel 1897 lascia l’attività di attore perché si rende conto che il teatro è arrivato ad un punto sterile. Perché lascia l’attività di attore? Perché si rende conto che l’appartenenza ad una compagnia significa anche aderire ad un sistema produttivo, di tipo commerciale che è piuttosto irretito in una serie di passaggi obbligati, un teatro borghese con un pubblico che ha un’aspettativa di un repertorio che diventa per le sue esigenze espressive, inadeguato. Quando lascia la recitazione si immerge nel mondo artistico londinese che era fatto di artisti che recuperano una serie di arti minori e ne facevano oggetti preziosi come la ceramica, le stoviglie che diventavano pezzi di arredo ricercati e importanti e apprese sul piano pratico la tecnica dell’incisione e del disegno. Questo è un dato importante perché gli consente di acquisire una competenza tecnica che restituisce sul foglio quelle che sono le sue proposte, le sue immagini mentali, il sogno di un teatro dell’avvenire. Lontano dall’arte recitativa ma in una posizione sempre critica rispetto al teatro, Craig compie i suoi primi approcci registici. La sua prima presenza professionale come regista accade con la musica. Tra 800 e 900 elabora progetti per la realizzazione di spettacoli musicali che colpiscono molto l’ambiente intellettuale inglese. Lui prima di definirsi regista era un collaboratore progettuale, entrò in queste produzioni come una figura che partecipava, proponeva e realizzava quello che era l’impianto di base _ della rappresentazione. Le due grandi produzioni di Gordon Craig sul piano pratico dello spettacolo: 1908: Amleto per Stanislavskij 1927: I pretendenti alla corona di Ibsen per il teatro reale danese. Il vero debutto avviene come stage-director, come regista, assistente progettista e scenografo presso la Purcell Operatic Society un'associazione diretta da un suo caro amico Martin Fallas Shaw, che è fondata sulla messa in scena delle opere di Henry Purcell> autore inglese 600esco che presenta nelle sue opere, delle particolarità tali che motivano una serie di musicisti a creare un gruppo di studio. Secondo loro le opere di Purcell non erano mai state rappresentate in maniera adeguata. Lavorare con questo gruppo, per Craig, significava avere un confronto con una serie di artisti e intellettuali che avevano in comune l’obiettivo del rinnovamento. Però il teatro musicale subisce nel tempo lo stesso destino del teatro borghese e i balletti che il pubblico borghese voleva vedere, erano sempre gli stessi, avevano un impianto garantito sia sul piano della messa in scena che sul piano della tecnica vocale. Nel 1900 viene presentata “Didone ed Enea” di Purcell con la prima vera e propria regia di Craig. In quest'occasione Craig rinnova la scena proponendo una svolta stilistica che sarà poi il segno distintivo del suo teatro. Lui introduce delle soluzioni diverse rispetto alla scena cupa inglese che caratterizzava il teatro musicale del tempo, Craig utilizza il colore e la luce in maniera diversa. Il colore diventa quasi simbolista, con colori non puri: porpora, blu, ottanio, scarlatto; colori che si ottengono mischiando dei toni dominanti e che sul piano della percezione e dell’impatto visivo trasmettono emozioni, sensazioni, effetti diversi. Un uso appropriato della luce rende gli elementi di scena, che non sono di tipo naturalisti, più stilizzati, dando un effetto armonioso e unitario. Scena, colore e corpo del cantante diventano gli elementi e le componenti di un quadro che pretende di essere armonioso. Lo spazio scenico è neutro perché non sono presenti oggetti immediatamente connotabili (palazzi, sedie, troni, cespugli, laghi, la scenografia ottocentesca realista). In “Didone ed Enea” il trono è stilizzato, il trono suggerisce qualche caratteristica del personaggio alla quale vuole alludere ma che non dà una connotazione di tipo spazio- temporale. Il I colori dei costumi diventano tinta su tinta, si confondono con la scenografia e diventano parte di questo di disegno di insieme: il principio armonioso regna sovrano in disegni, di dichiarazioni che sono quasi delle dichiarazioni di guerra, strumenti di comunicazione che si inseriscono e affiancano l'elaborazione teorica di Craig e anche tutta la sua produzione, poi, grafica che è composta di bozzetti, progetti scenografici e di disegni. ® L’attore e la scena nel pensiero di Craig Craig muove la sua critica nei confronti di: l’attore e la scena. Su questi due punti Gordon Craig concentrerà tutta la sua attenzione. <<Dopo la pratica la teoria.>> è un assunto di base di Craig che sovverte proprio l’ordine della progettazione. Lui non scrive prima i manifesti e poi provare ad applicarli. Craig traduce quella che è un’esigenza dei padri del ‘900, cioè quella di proporre prima la soluzione e poi risalire al metodo; quindi, creare una scuola teatrale nella quale formare gli attori secondo una nuova modalità di concepire il teatro. Del resto, lo stesso Gordon Craig ha cominciato come attore, attraverso un’attività che era pratica, per continuare poi come incisore e disegnatore. La domanda di base che si pone Craig è questa: <<Se il teatro è un’arte, a che condizione è un’arte?>>. Questo interrogativo pone l'esigenza di una struttura linguistica nuova. L’operazione di Craig è un’operazione sulle componenti linguistiche del teatro. Rivedere la struttura linguistica del teatro significa rivedere anche il ruolo tradizionale dell’attore, perché l’attore è una figura che in questo momento deve relazionarsi con un’altra importante figura del teatro che è il regista. Siamo di fronte ad una riformulazione di categoria: l’attore deve rivedere la sua posizione perché non è più libero di interpretare e di ritagliare lo spettacolo su sé stesso (riferimento al grande attore dell’800), ma deve confrontarsi con la figura del regista, questa nuova figura di organizzatore, demiurgo, costruttore del teatro al quale Craig dà responsabilità piena e assoluta. Cosa era successo prima? Questa cosa accade agli inizi del ‘900 in un momento in cui la funzione del teatro, a cavallo dei due secoli, è totalmente cambiata. Verso la seconda metà dell’800 nasce il teatro borghese e si allontana lentamente dai soggetti mitico-eroici perché i protagonisti del teatro borghese e della scena borghese sono personaggi contemporanei. I generi di base della seconda metà dell’800 che hanno soddisfatto il pubblico borghese erano essenzialmente tre: la Pièce bien faite, il dramma a tesi e il vaudeville. La Pièce bien faite è una pièce ben costruita, una sorta di formula che garantisce la riuscita. È la costruzione di un modello spettacolare capace di reggere qualsiasi tipo di storia, accoglie gli intrecci, i ruoli fissi; è una macchina perfetta che attualizza temi che in realtà avevano già caratterizzato il Romanticismo: la passione, l’amore, la patria, l’onore, però vengono trasformati secondo il nuovo pubblico e con nuovi protagonisti borghesi. Il dramma a tesi ha una struttura come la pièce ben faite, nel senso che è una macchina spettacolare, però si concentra su temi sociali sempre riferiti al mondo borghese. Il vaudeville è uno spettacolo leggero, di intrattenimento, comico, con una struttura polisemantica fatta di musica, balletti, una sorta di varietà come si svilupperà anni dopo. A tutto questo bisogna aggiungere il fenomeno del grande attore, fenomeno italiano e francese, nel quale l’attore mette sé stesso davanti il personaggio. La costruzione della scena ruota è condizionata dal carisma e dal proprio tornaconto del grande attore. Ci troviamo di fronte ai grandi attori come Adelaide Ristori che si fanno scrivere dei pezzi a parte e le inseriscono in opere preesistenti per esaltare le proprie doti; I testi che i grandi attori recitano sono essenzialmente costruiti sul profilo specifico di sé stessi, cioè sono dei personaggi fatti su misura, quindi anche nell’adozione tra l’altro massiccia dei personaggi shakespeariani, la costruzione, la trasformazione, la limatura, l’adattamento delle grandi figure shakespeariane sul profilo degli attori è una pratica assolutamente consolidata. Il teatro borghese, sia esso teatro di grande attore, sia dramma a tesi, sia vaudeville, sia pièce bien faite, è un teatro che oramai ha abbandonato totalmente la sua natura rituale. Quindi l'adattamento del teatro borghese è un adattamento totale a fini spettacolari, Quello che il teatro borghese ha ricercato con forza è stato il consenso del pubblico, un consenso che ha viaggiato su canoni garantiti, su principi fissi, convenzionali e soprattutto che obbedivano alle aspettative del pubblico. Questa situazione, nella riflessione di Craig, ha rovinato la funzione sacrale del teatro. Secondo Craig la scrittura letteraria è più finalizzata alla rappresentazione, nel senso che nel teatro c’è una diminuzione del rapporto scrittore-attore, secondo lui è necessario per spostare l’attenzione sulla scena. Craig non guarda tanto alla bellezza delle opere teatrali ma riscopre una bellezza nella narrazione nei testi letterari. Secondo lui i testi letterari possono avere una teatralità maggiore perché sono meno vincolati ai personaggi, sono più vincolati ad un’ipotetica scena che si scatena nell’immaginazione del lettore. Lo spostamento dell’asse teatrale deve seguire un po’ quello che accade ad un lettore quando legge: davanti ai suoi occhi si manifesta uno spazio più che un attore in carne ed ossa; si ha una proiezione mentale e immaginaria secondo Craig molto più evocativa e nel momento in cui questa immaginazione si trasferisce sulla scena si compie una rivoluzione che parte direttamente dall’esperienza, perché agisco direttamente sulla scena, sede dello spettacolo. Secondo lui bisogna accentuare la linea di demarcazione che c’è tra il teatro dell’invisibile e il teatro materiale. C’è una incompatibilità di base, secondo Craig, tra chi pensa il teatro e chi lo attua, tra chi vede il mondo attraverso il teatro e chi rappresenta questa visione. Questa è una linea comune a tutti gli sperimentatori del ‘900, cioè rimettere l’attenzione del teatro sulla messa in scena perché il testo fino a quel momento si era troppo cristallizzato su una serie di parametri, di personaggi e di attori ben conosciuti e su una pratica che ripercorreva sempre le stesse tappe. Craig, riprendendo la lezione dei simbolisti, sostiene che il teatro per poter rinascere deve azzerare la sua materialità, la scena deve essere allusiva e non rappresentativa e al posto degli oggetti devono esserci dei volumi (linea parallela a quella di Appia). e Propone delle soluzioni: 1906, Set designs, una possibilità di volumi che possono essere messi sulla scena. Sono parallelepipedi, colonne che possono essere adattate in maniera metaforica a qualsiasi tipo di rappresentazione. Scala a spirale con al velatura e un’altra delle elemento interessante è la degli angoli di cornici centro una maxi-colonna, tra una colonnine ci sono delle persone. Altro J } profondità, a destra vi è un angolo con i concentriche, a sinistra ci sono le stesse cornici però con gli angoli smussati. A destra in basso vi è un arco in profondità e in basso a sinistra, vicino alla scala, c'è una scaletta. Spazi ritmici: variabilità delle forme, delle dimensioni e anche una collocazione di scena. (Set designs, 1913) Gordon Craig pensa di poter alleggerire ancora di più la scena, perché la trova monumentale e pesante; pensa così a dei pannelli mobili (screens) molto sottili e di tela, con delle cormici di legno leggerissime che, con un opportuno gioco di luci, potevano sembrare evanescenti, mutevoli. In questo modo si creavano delle suggestioni capaci di coinvolgere emotivamente gli spettatori. Gli screens erano in grado di mostrare “mille scene in una”, una scena tridimensionale dalle infinite possibilità di movimento: visioni di rigorose strutture monolitiche mutevoli, un continuo misurato movimento di forme verticali e di luci, immagini astratte di stati d’animo, ricordi, miti; in questo scenario irreale si muoveva l’utopia dell’attore perfetto, disincantano, la Supermarionetta. Nel 1906 Craig progetta la scenografia per Rosmersholms di Ibsen, su commissione dell’attrice italiana Eleonora Duse che verrà poi rappresentata al teatro della Pergola di Firenze. Craig crea una scenografia unica, di tinta uniforme, color indaco, molto alta, con solo due quinte laterali e due enormi aperture sul fondo che vengono chiuse da tendaggi. Abolite le luci della ribalta, l'illuminazione cade dall'alto in modo discreta; la scena e rappresentazione di uno stato d'animo che però diventa architettonica. Dal 1907 Craig intensifica la sua attività teorica e sperimentale e si trasferisce a Firenze dove affitta L’Arena Goldoni che diventa il palcoscenico dove sperimenta i suoi screens anche se il più delle volte non confluiranno in spettacoli se non in rarissimi casi. All’ Arena Goldoni, Craig ha potuto sperimentare la funzione allusiva degli screens: ha sperimentato come il geometrismo della forma, che veniva illuminata dall’alto, conferisse a questi elementi così leggeri una dimensione quasi eterea, evanescente, su una scena che essenzialmente è concepita senza attore. Nel 1908 nasce il progetto dell'Amleto da rappresentare al Teatro D'arte di Mosca affidato alla sua interpretazione registica. Del dramma di Shakespeare, Craig offre una lettura profonda e simbolica, rifiutando l'approccio realistico psicologico. Amleto per lui è una sorta di superuomo che si contrappone alla Corte e va oltre i confini della vita quotidiana. Per Craig, Amleto era il migliore degli uomini che passava come un capro espiatorio attraverso il mondo. Amleto, diceva Craig, “è riuscito semplicemente a portare a termine in due mesi un’impresa che si è tentato di realizzare per secoli in tutte le corti d’Europa: ha deciso di purificare la vita sociale e pubblica dall’oscurità morale e dalla degenerazione. Si è messo al lavoro con un fine preciso e con l’entusiasmo di un uomo giovane, virile, crudelmente ferito. Le sue idee sono logiche, egli ha ragionato e meditato ogni movimento e ogni atto, in quel breve momento di tempesta e di tensione che finisce nella tragedia. Questa è la mia idea di Amleto”. Tutta la messa in scena è focalizzata sulla dicotomia tra il mondo di Amleto e quello corrotto e falso della Corte. Molto emblematica è la seconda scena in cui Amleto, in primo piano, è vestito di nero ed è disteso su due cuscini grigi, neri; sembrano quasi una tomba aperta. Un velo enorme, trasparente, ampio quanto il palcoscenico, lo separa dal mondo della corte. Il mondo della tirannia e dello splendore è tutto d’oro, con degli sprazzi di colori violenti. È una scala, una piramide che ha al vertice il re e la regina. Un enorme mantello d’oro e di porpora scende dalle spalle del re, dell’usurpatore, e copre tutta la scena, formando tante onde dorate. Dalle creste delle onde emergeranno le teste dei cortigiani rivolte in su, verso il trono. drammatico non è poesia è movimento, il drammaturgo non è poeta è movimento perché il drammaturgo scrive per il movimento con il linguaggio della scena. Quindi anche tutto quello che sembra non essere movimento, come la parola, il suono, la luce, in realtà appartiene ad un'enorme e continuo flusso energia energetico che è il movimento sulla Gli artisti del teatro dell’avvenire Il saggio “Gli artisti del teatro dell’avvenire” del 1907 è contenuto nel testo teorico “Sull’arte del teatro” del 1911. La dedica iniziale “alla giovane stirpe di atleti lavoratori” viene subito modificata con “a chi con coraggio e personalità si impadronirà del mondo teatrale e lo modificherà. Il motivo di questo mutamento è dovuto al fatto che secondo Craig non esiste una giovane stirpe di atleti lavoratori poiché il teatro moderno è completamente degenerato e colmo di persone che dicono che “tutto va per il meglio e che il teatro è al vertice dello sviluppo.” Proprio perché il teatro versa in una condizione miserevole è necessario che ci siano persone, come Craig, che parlino allo stesso modo. Nonostante tutto però Craig vede “schiere di lavoratori senza nerbo”: risiede proprio in questo il motivo del cambiamento della sua dedica. Craig in questo saggio parla direttamente ad un allievo, all’unico che avrà coraggio di seguire i suoi consigli e di dare una svolta al teatro moderno. Tutti coloro che vogliono fare l’attore sbagliano a dire “voglio darmi al teatro/Voglio fare l’attore”, il modo corretto è dire “Voglio Volare”. L’unica aspirazione non deve essere quella di diventare attore ma c’è bisogno di un apprendistato che dura tutta la vita o quasi che ti faccia entrare con perfezione nel funzionamento dell’intera macchina teatrale. Quando il direttore del teatro ti scrittura, dice, devi servirlo fedelmente: devi obbedire alle sue parole e alle sue intenzioni ma ricorda di non perdere mai te stesso. Craig consiglia di imparare dal direttore del teatro il lavoro ma di non perdere di vista la propria personalità. Successivamente elogia l’arte di Henry Irving, un attore che studiò tutta la natura per trovare simboli adatti a esprimere i suoi pensieri. L’esperienza di attore è necessaria, anche se non è quella l’aspirazione della propria vita. E se dopo cinque o sei anni di lavoro come attore si è convinti che è quello il proprio percorso allora “considerati pure perduto”. L’attore L’attore è un uomo di grande classe, generoso e pieno di spirito di cameratismo. Ma parlare di natura quando si parla di teatro è errato perché la natura non ci può mai fornire uno spunto per dar vita ad un’opera d’arte. Questo potere appartiene all’uomo soltanto. Craig prende in esame l’Otello, dice a differenza dei miei colleghi che pensano che Shakespeare abbia scritto il dramma di getto in uno scatto d’ira e gelosia sbagliano. Perché quelle parole sono passare prima dalla testa dell’autore e grazie alla sua immaginazione ha plasmato il tutto e ha dato vita all’Otello. Allo stesso modo, l’attore che vuole portare in scena l’ Otello non può servirsi soltanto delle risorse naturali, ma ha bisogno anche dell’immaginazione e di una grande intelligenza. Per quanto riguarda le risorse naturali non c’è bisogno di dire niente in più perché loro contengono già in se ogni cosa. Per quanto riguarda l’intelligenza si può dire che quanto più è fine più potrà sentirsi libera, tenendo sempre presente che dipende dalla sua amica l’Emozione. L’intelligenza deve riuscire a portare sé stessa e le proprie emozioni a un punto di equilibrio, di razionalità tale da non giungere mai all’abolizione. Cioè non deve mai prevalere l’intelligenza sull’ Emozione e viceversa. Quindi l'attore perfetto/ideale è colui che con la mente riesce ad immaginare e mostrare i perfetti simboli di tutto ciò che contiene la sua natura. Henry Irving è l’attore che si avvicina di più al modello ideale di attore perché ha un perfetto dominio della mente sulla natura, ed è l’unico che è riuscito (grazie alla sua intelligenza) a domare le Emozioni e portare in scena un qualcosa di perfetto. Conclude rivolgendosi al suo ipotetico allievo “continua a fare l’attore, non fermarti, continua anche quando ti renderai conto che alla fine non riuscirai mai a giungere ad un controllo totale”. Il direttore di scena Dopo il tirocinio di attore potrai passare a fare il direttore di scena. Anche se, suggerisce Craig, non è corretto parlare di direttore di scena ma sarebbe meglio parlare di direttore della scienza della scena. Anche se nel teatro moderno questa figura, a suo parere, non esiste. “quanto sarai felice quando ti diranno che il direttore ti ha promosso a direttore di scena?” ma in realtà poi il lavoro che pensi di dover fare non è quello perché il direttore di scena ha grandi responsabilità, poco tempo e deve fare tantissime altre cose oltre alla scena: deve coordinare il movimento degli attori, modificare il copione, concordare con gli attori le modifiche, controllare gli oggetti di scena, gli abiti, collaborare con il regista e molto altro. Ma nonostante risulta un lavoro molto stressante è comunque una buona esperienza perché insegna, a chi si assume queste terribili responsabilità, quanto sia importante studiare la scienza della scena. La scena e il movimento Per Craig, chi vuole mettere in scena tragedie shakespeariane, deve dedicare almeno due anni di studio a tragedia. Prendiamo in esame il Macbeth. Per prima cosa c’è la scena. Gli elementi importanti sono due: una rupe alta e scoscesa e la nube che li avvolge. Dice, se in un bozzetto su carta di Scm riesci a dare l’idea di una rupe alta kilometri, figurati quando poi la porterai in scena. Poi ci sono i colori. Dice, di colori ne devi usare due uno per la roccia, l’uomo; un altro per la nube, lo spirito. Non bisogna usare nessun altro colore. L’utilizzo dei due soli colori ti permette di creare in scena una sensazione di linea che divide i due mondi, in questo modo lo spettatore si convincerà che sono due cose realmente distinte. Solo dopo aver bene in mente la scenografia e i colori da utilizzare puoi guardare ai movimenti degli attori, i quali, insieme agli abiti, alla scenografia e alle luci, devono creare un’armonia tale da sembrare che tutto sia incastrato perfettamente. Mentre prepari questo lavoro, dice, non bisogna aver fretta di portarlo in scena. Lavori alla scenografia, lascia a metà e passa al lavoro sui costumi, lascia a metà e passa al lavoro sui colori, poi al movimento degli attori poi alle luci e poi ricomincia di nuovo. Fino a quando non penserai che tutto il lavoro che hai fatto rispecchia perfettamente ciò che Shakespeare ti ha fatto immaginare quando per la prima volta hai letto il dramma. Solo in questo momento puoi portare in scena la tua opera. Costumi: si deve essere in grado di disegnare dei costumi che siano in grado di far percepire al pubblico chi è e quale è la caratteristica di quel personaggio; e bisogna lasciare dietro tutte le caratteristiche legate al periodo storico e al luogo. Movimenti collettivi: Craig non consiglia le scene di massa come quelle presenti nel Giulio Cesare dei Meininger perché vedere un collettivo di persone che sembra che recitino un’autentica parte è un qualcosa di banale. “Se questa è la tua massima aspirazione non continuare a lavorare nell’ambito teatrale, fai altro.” Evita il naturalismo, sia nel movimento, sia nella scena che nei costumi. Non si può parlare di azioni naturali o innaturali, ma piuttosto di azioni necessarie e inutili. Se un’azione necessaria a un certo punto diventa naturale, allora va bene parlare di azione naturale. Concetto di bello: il bello non è necessariamente tutto ciò che è grazioso o semplice ma racchiude in sé ogni cosa. Racchiude perfino il brutto, il rozzo ma tutte le cose belle non saranno mai incomplete. Per quanto riguarda la critica, invece Craig dice che non bisogna darci molto peso perché nel caso di una critica negativa l’attore tenderà verso la scena ad effetto come tutti gli altri attori del teatro moderno. Ma non è così che si deve fare, laddove l’attore riceve delle critiche negative non deve dargli importanza e continuare a proseguire per la sua strada e a lavorare allo stesso modo in cui ha lavorato per la prima rappresentazione. Per fare questo, dice, c’è bisogno di molto coraggio. “pensavo di dirti qualcosa anche riguardo le luci artificiali ma in realtà il meccanismo è lo stesso della scena e dei costumi”, la cosa importante è che nel lavoro teatrale per qualsiasi tipo di dubbio chiedi a chi è esperto nel settore, anche se è costumista, ma non chiedere mai e poi mai ai dilettanti ti creeranno solo ulteriori dubbi e nient'altro. Non ti dico come faccio le scene perché l’arte non è imitare ma indagare e cogliere il bello. Il movimento è indipendente dalla scena e lo devi immaginare [= immaginazione prima della scena, simile a Stanislavskij). Fai l’attore fino a che non ti stanchi, poi fai il direttore di scena, non c’è una tradizione così forte così si troverà qualcosa su cui fare affidamento (consapevolezza). L’avvenire — una speranza In questa ultima parte del saggio dice che l’artista è colui che con la sua opera parla della Natura Teatro definendolo regno. Il re è colui che ha calma e temperamento, è quella parte delicata della bilancia che gli antichi artigiani facevano in oro e a volte adornavano di gemme preziose. Però, dice Craig, c'è una cosa che l’uomo non ha ancora appreso a padroneggiare: il movimento. Così come dal suono è derivata quella meraviglia delle meraviglie che è la Musica (che è il vero amore, tollera ogni cosa, sempre gentile, non è vana e non assume atteggiamenti indecorosi) allo stesso modo è il Movimento. Ogni cosa scaturisce dal Movimento e anche dalla Musica. I teatri di tutto il mondo (orientali e occidentali) si sono evoluti proprio dal movimento. Nei primissimi tempi il danzatore era un sacerdote o una sacerdotessa: ben presto degenera in qualcosa di più simile all’acrobata, e si è giunti infine alla distinzione danzatore-ballerino. Il danzatore ideale, uomo o donna che sia, è in grado di esprimere con la forza o la grazia del corpo molta della forza e della grazia che è nella natura umana, ma non la può esprimere tutta, e neanche la millesima parte. Perché al danzatore si applica la stessa verità valida per tutti coloro che usano la propria persona come strumento. Poi ribadisce che la forma umana non è in grado di usare il proprio corpo come strumento per il Movimento. Successivamente individua due tipi distinti di Movimento: L’artista del teatro dell’avvenire è ad un livello alto di superamento del testo, della scena e del corpo. E così entriamo nell’ultima grande utopia di Craig sull’attore. Lui dice che il teatro dell'avvenire al momento è irrealizzabile perché appartiene al futuro, però oggi posso creare almeno le possibilità e le condizioni per poter realizzare il teatro dell’avvenire. Problema dell’attore: l’attore è il primo elemento del teatro che deve essere superato. L’attore per sua natura non può essere un elemento artistico poiché ha una componente emotiva che lo caratterizza e che lo rende ingombrante. L’emozione, per sua natura, è incompatibile con quella dimensione di calcolo, con quella dimensione di razionalità che rappresenterebbe la perfezione del teatro. L’arte è espressione di raffinato calcolo ma se io ho un elemento come l’attore che non posso costringere in una serie di leggi, allora tutto questo è fallito. C’è un’impossibilità congenita del corpo umano di aderire alla bellezza, se per bellezza intendo il decoro raffinato. Allora il corpo dell’attore deve essere assolutamente eliminato dal teatro, anche perché l’attore non può in nessun modo obbedire totalmente alla volontà del regista. Il corpo dell’attore non può giungere alla perfezione. C'è un riferimento nel testo “Paradosso dell’attore” 1770-80 di Diderot e alle teorie sull’efficacia dell’emozione. Diderot dice che l’attore non deve in alcun modo emozionarsi perché l’emozione dell’attore non corrisponde a quella del personaggio e altera assolutamente, il profilo di questo personaggio. C’è la necessità di una composizione “a freddo”, se l’attore si emoziona durante un’esibizione farà una recitazione in preda all’istinto che non ha nulla a che vedere con l’equilibrio e la bellezza. L'emozione non può essere al servizio della recitazione se non quando è stata metabolizzata, tradotta in gesto. studiata a tavolino, studiata. Craig ripensa a questa cosa della composizione “a freddo” e si rende conto che l’attore è inadeguato rispetto ai tempi e deve trasformarsi in artista del teatro, quando l’attore avrà governato la sua emozione potrà raggiungere equilibrio, armonia e perfezione. Il rapporto spazio-attore è un rapporto organico, quindi mediante il movimento e il rapporto con l’ambiente circostante, l’attore può trasmettere le passioni però solo in una dimensione che deve essere controllata. Secondo Craig l’artista che è stato attore può imparare tutti i mestieri del teatro e diventare regista, ma se l’attore decide di fare solo l’attore allora ci sarà sempre un problema dato dalla sua fisicità e dalla sua incommensurabile volontà espressiva. Paradossalmente la maschera può essere l’elemento che esprime meglio l’attore. La maschera può essere posta come un diaframma tra la scena e l'espressività incontrollata dell’attore che soprattutto sul viso è tradita. La maschera è l’immagine di espressioni assolute, qualifica istanze assolute, non incarna personaggi psicologici. Però, di fatto, rimane il corpo ed è qui che esplode la più grande utopia del teatro del ‘900: la possibilità di sostituire un attore con una marionetta, la Super marionetta perché si tratta di un uomo. Il teatro dell’avvenire per poter essere veramente dichiarato tale non può essere occupato da attori ma deve essere occupato da figure che possano obbedire nella maniera più cieca possibile alla volontà del regista, esattamente come fanno le marionette (anche se quelle vengono gestite da dei fili mosse da uomini). Craig invece le chiama “Super marionette” perché devono essere capaci di muoversi senza fili seguendo le intenzioni del regista. La Supermarionetta sarebbe il modello ideale che offre la possibilità di evitare le incursioni dell’emozione, la volontà dell’attore, evitare le incursioni dell’attore all’interno del testo. della scena, un’alternativa esemplare e simbolica al corpo dell’attore, perché il corpo dell'attore sarà sempre vittima delle sue emozioni irrefrenabili. Ovviamente si chiama utopia perché sarebbe impossibile realizzare tutto ciò. Perché mettere questa utopia in mezzo? la Supermarionetta metterebbe insieme tutto ciò che lui ha teorizzato: - recupera la plasticità antica del danzatore, perché la Supermarionetta si muove con dei movimenti calibrati, con dei movimenti particolarmente precisi; - ristabilisce la sacralità iconica della sua figura, la marionetta è il simbolo dell’uomo e concentra la sua efficacia nel movimento. Gli artisti del teatro dell'avvenire Gli artisti del teatro dell'avvenire trova nella sua impostazione narrativa la possibilità di rivolgersi ad un ipotetico artista, un ipotetico attore che poi diventa direttore di scena. Craig cerca di incitare questo artista del teatro esattamente come si può incitare un giovane ad osare nella vita. Gordon Craig paragona questa necessità di cambiamento del teatro all'esigenza di volare, quindi a compiere un'azione assolutamente irrazionale. Il problema di base è l'obbedienza al direttore del teatro. In questo saggio non sembra essere molto chiaro chi sia questa figura chiamata direttore del teatro. In realtà, sta parlando di una figura gestionale perché si fa riferimento al fatto che non si può dire di no gl direttore del icatrs perché è lui che scrittura gli attori ed è la persona che da lavoro agli attori. Gordon Craig ci dice che il pericolo più grande per un artista, ma in questo caso per un attore, è quello di perdere se stessi cioè perdere la fiamma quell'idea per la quale un attore decide di fare teatro. Gordon Craig ci dice che in qualche modo, per il teatro del tempo, ci si scontra con una figura oramsi obegleta di direttore del teatro che oramai è diventata una figura di mestiere. Il direttore del teatro è una figura che senz'altro va ascoltata perché sul piano del mestiere è una figura depositaria di un bagaglio di conoscenze di tipo tecniche che però deve essere presa con una dovuta distanza perché rischia di far spegnere quella fiamma che muove invece la volontà e il talento di un artista. Craig fa riferimento alla figura di Irving, noto direttore di teatro e attore vittoriano. La recitazione di Irving era esattamente uno studio a tavolino dove l’emozione e l’intelletto erano privi di verosimiglianza, era una costruzione molto precisa di una espressione verbale, mimica, corporea. Irving studiava molto il suo personaggio e la sua recitazione giungendo ad un equilibrio tra emozione e intelletto che non avevano nulla a che fare con la verosimiglianza, era un riflesso del reale però con la consapevolezza di essere finto. La recitazione di Irving è il frutto di uno studio; invece, una recitazione d’istinto si abbandona all'estro del momento, spera nello stato di grazia e quando non c'è ricorre al mestiere cioè ad una tecnica che mediamente funziona ma gli occhi degli esperti appare non interessante. Secondo Craig, Irving era stato il primo ad avere il dominio dell’intelletto sull’emozione. Irving aveva capito che l'emozione era messa al servizio dello studio razionale delle forme espressive più adeguate e quindi questo è interessante perché paradossalmente Craig parte dall'osservazione di un teatro lontanissimo da lui e che anzi lui combatteva con tutte le sue forze ma che tutto sommato gli aveva gli aveva dato uno spunto di riflessione proprio sulla recitazione dell'attore e quindi sulla impossibilità di pensare ad un attore dell’avvenire che potesse essere una argilla nelle mani del regista. Per Craig non significava che il pubblico trovava in Irving una figura fredda e stilizzata, il pubblico riusciva a trovare un attore la cui altissima espressione non significava necessariamente un constante e incontrollabile coinvolgimento psicologico ma era la versione studiata e professionale dell’esercizio di un mestiere che presentava in maniera magnificata l’emozione senza esserne vittima. Il pericolo che si insinua all’interno dei direttori è che questi hanno creato una tradizione che è sfociata in abitudine. Craig mette in guardia l’attore giovane che si affaccia per la prima volta sul mondo del teatro da questo, il che riguardavano la costruzione dello spettacolo e la messa in scena. La stessa degenerazione poteva riguardare proprio l’attore, Craig nel paragrafo successivo “l'attore”, scrive che per esaltare il testo l’artista non deve partire da sé ma deve partire dalla scena, si deve partire da una visione fisica dell’attore. Craig ha in mente, per la costruzione della scena, un’ambiente che possa armonizzarsi coni pensieri del poeta. Fa l’esempio del Macbeth, e ci dice che se si vuole entrare veramente nelle intenzioni di Shakespeare attraverso i personaggi, farsi portavoce attraverso l’anima nera di Lady Macbeth o di Macbeth stesso, si deve entrare nel dramma del poeta non nella natura, non ci si deve sforzare a creare un’ambientazione realistica e l’attore non deve sforzarsi ad utilizzare una cifra recitativa molto quotidiana. Per fare questo l’attore deve andare per sottrazione non concentrandosi sul testo ma sulla scena. C’è un esercizio della luce, del colore, della costruzione scenica stilizzata che paradossalmente contribuisce a questa costruzione del personaggio che si mantiene lontano dalla natura istintiva e che dalla natura prende soltanto la forza per creare una formulazione molto più stilizzata. Craig dice che la scena non deve riprodurre fedelmente il reale (attacco al Naturalismo evidente), invece, c’è bisogno di costruire qualcosa di più immateriale e di molto più eloquente: la suggestione. Portando all’estreme conseguenze l'atmosfera dichiarata dai simbolisti alla fine dell’800. Lui scrive: “Per mezzo della suggestione puoi rendere sulla scena il senso di ogni cosa, la pioggia, il sole, il vento, la neve, la grandine, il caldo canicolare, ma non cercherai di farlo lottando con la natura per impadronirti dei suoi tesori e deporli dinanzi agli occhi del pubblico, ma lo farai mediante il movimento. Mediante il movimento puoi restituire il senso delle passioni e i pensieri di un gran numero di persone e aiutare anche l’attore a esprimere le idee e le emozioni del personaggio che interpreta. Il realismo, la precisione dei dettagli sono inutili in scena.” Il linguaggio di Craig è assolutamente inequivocabile: è chiaro che per lui la suggestione rende il senso di ogni cosa, il movimento restituisce il senso delle passioni, il realismo è inutile. Quindi, questa è una dichiarazione molto forte per i suoi tempi (1905). Lungo tutto il corso di questo primo intervento, Craig ribadisce l’importanza del movimento come unità di misura. Eppure, ad un certo punto ci si trova dinanzi ad una contraddizione: Craig dice che tanto più vale l’artista, tanto più è scadente l’attore. Quando Craig indica all’attore la necessità di riformularsi in base ad una concezione del movimento, ad una rinnovata attenzione e contatto con la natura per la quale non deve riprodurre la forma ma soltanto l’atmosfera, la sensazione, la suggestione, etc., in realtà sta piano piano smontando la dignità dell’arte di un attore. Craig dice che di fatto quando l’attore comprende che non può essere interprete della profondità del testo supera la soglia per la quale diventa poi direttore di Comincia la commedia dell’autore e dell’attore. Il giovane attore mostrandosi alla folla, declamando i versi, fa una magnifica pubblicità all’arte delle lettere; ma poco dopo l’applauso, il giovane sarà presto dimenticato perché ciò che ha spinto l’uomo di cultura a scrivere quei versi declamati e all’uomo di temperamento nel pronunciali è stata la vanità. Quindi il corpo umano, per le ragioni detto finora, è per sua natura assolutamente inutilizzabile come materiale artistico. Lui si rende conto pienamente del carattere generico di questa sua affermazione però così facendo il teatro continuerà a svilupparsi e gli attori continueranno per alcuni anni a intralciare la sua evoluzione. L’unico spiraglio di salvezza che vede Craig sta nel fatto che gli attori devono creare per sé stessi una nuova forma di recitazione, consistente essenzialmente in gesti simbolici. “Se oggi essi impersonano e interpretano; domani dovranno rappresentare e interpretare, e dopodomani dovranno creare”. In questo modo potrà aversi nuovamente uno stile. Per Craig, l’errore che l’attore sta facendo è guardare alla vita attraverso una macchina fotografica per farne un ritratto che poi competa con una fotografia. Ma lui non immagina neppure che la sua arte sia simile, ad esempio, all’arte della musica. Lui si sforza di riprodurre la natura e non aspira mai a creala. Ma così facendo non potrà mai offrire al pubblico lo spirito, l’essenza di un’idea, se è in grado soltanto di esibire una copia priva d’arte. Questo si chiama essere un imitatore, non un artista. Di solito, viene detto che l’attore “entra nella pelle del suo personaggio”, ma sarebbe meglio dire che “esce del tutto fuori della pelle del suo personaggio”. Ad un certo punto del saggio Craig prevede un discorso tra un attore, musicista e un pittore. il discorso verte sulla Natura. Inizia il pittore dicendo che intorno a noi scorrono le innumerevoli e delicate voci della Natura, della Vita e come sia bella la sensazione che tutto questo ci procura. A queste parole segue l’impossibile sogno di portare integralmente sulla tela il valore materiale e spirituale di quello che lo circonda; allora, il pittore e il musicista vogliano sapere dall’attore in che cosa consiste il suo lavoro, e se e per quale motivo egli lo consideri un’arte. Il pittore gli chiede: “è vero che prima di poter recitare bene una parte devi sentire le emozioni del personaggio che rappresenti?” e l’attore risponde che in un primo momento loro attori devono essere in grado di sentire le emozioni di un personaggio, di entrare in empatia con esse e perfino di criticarle; osservano il personaggio da una certa distanza, prima di identificarci con lui:, utilizzando quanto più possibile il testo, cercano di richiamare alla mente tutte le forme di emozioni atte ad esser evidenziate in questo personaggio. E solo dopo aver più volte riordinate e selezionate le emozioni che ritengono più importanti, l’attore si esercita a riprodurle dinanzi al pubblico. Questa risposta non convince molto l’artista che gli chiede se mai c’è stato un attore che abbia educato il suo corpo nell’ottenere una totale sottomissione al lavoro della mente senza il benché minimo intervento delle emozioni. Ma l’attore risponde che non c’è mai stato un attore che abbia raggiunto un tale stato di perfezione meccanica da rendere il suo corpo schiavo assoluto della mente perché è irrealizzabile raggiungere questo stato di perfezionamento. Quindi, l’attore chiede all’artista se esista un dipinto, o un pezzo di architettura, o un brano di musica che si possa chiamare perfetto. Sia l’artista che il musicista rispondono positivamente perché “le leggi che governano le nostre arti consentono una tale possibilità”. “Un quadro, per esempio”, continua l’artista, “può consistere di quattro linee, o di quattrocento linee, tirate in certe direzioni; può essere elementare, ma è possibile farlo perfetto. La linea può essere diritta od ondulata; 0, se voglio, può essere curva, e non c’è rischio che se l’intenzione è fare una linea retta mi riesca curva, e se è di farne una curva, mi venga piena di angoli. E quando tutto è finito non è suscettibile di cambiamenti. L’artista sostiene la differenza fra un’affermazione intelligente e una accidentale;_ L’affermazione intelligente è un’opera d’arte mentre quella accidentale è opera del caso. Quando le affermazioni intelligenti giungono alle forme più elevate divengono opera d’arte superiore. L'artista dice: “Quel che immaginate col pensiero, il corpo non riesce a realizzarlo a causa della Natura. Praticamente, il corpo, prendendo il sopravvento sull’intelligenza ne ha completamente travisato gli intenti. Se si potessi fare del corpo dell’attore una macchina o un pezzo di materia inerte come l’argilla, e se esso potesse obbedire in ogni movimento, saresti in grado di creare un’opera d’arte, con quel che è dentro di te. Perché non avresti sognato soltanto; avresti eseguito alla perfezione, e avresti potuto ripetere la tua esecuzione infinite volte, senza variazioni maggiori di quelle che differenziano due monetine”. L’ultima affermazione dell’artista è la seguente: Se sei in grado di trovare in Natura un materiale nuovo, che non sia mai stato usato dall’uomo per dar forma ai suoi pensieri, allora puoi dire che sei sulla strada buona per creare una nuova arte. Perché hai trovato ciò con cui la puoi creare. Poi non ti rimane altro che cominciare. Il teatro, come io lo vedo, deve ancora scoprire questo materiale”. E qui finisce la conversazione. Questo dialogo serve a Craig per far capire al suo lettore che bisognerebbe bandire dal teatro uest’idea dalla personificazione, quest'idea ossessiva di riprodurre la Natura; poiché, fin quando quest'idea rimarrà nel teatro, esso non potrà mai diventare libero. Gli attori dovrebbero evitare quel folle desiderio di immettere vita nel loro lavoro, perché questo vuol dire portare sulla scena gesti eccessivi, discorsi altisonanti e una scenografia abbagliante, nella vana e sfrenata illusione che con un sistema del genere si possa, magicamente, evocare la vitalità. Craig è d’accordo con Eleonora Duse quando disse: “Per salvare il Teatro, bisogna distruggere il Teatro, gli attori e le attrici devono tutti morire di peste, essi rendono l’arte impossibile” Per Craig, superare le debolezze e i tremiti della carne e l’unico modo per farlo è erché al suo posto deve intervenire la figura inanimata - possiamo chiamarla la Supermarionetta. “L’attore deve andarsene e al suo posto deve intervenire la figura inanimata, possiamo chiamarla la supermarionetta, in attesa di un termine adeguato. Molto è stato scritto sul burattino, sulla marionetta sono stati dedicati loro degli ottimi volumi e hanno pure ispirato parecchie opere d’arte. Oggi, che la marionetta attraversa il suo periodo meno felice, molta gente la considera come una bambola, di tipo un po’ superiore, pensa che sia una derivazione di quest’ultima, il che è inesatto, la marionetta discende dalle immagini di pietra di tempi antichi e attualmente è la figura di un Dio alquanto degenerata. Anche se resta sempre la più cara amica dei bambini, sa ancora come scegliere ed attrarre i suoi sostenitori.” La marionetta discende dalle immagini di pietra dei templi antichi - e attualmente è una figura di un Dio alquanto degenerata. Anche se resta sempre la più cara amica dei bambini, sa ancora come scegliere ed attrarre i suoi sostenitori. Per Craig, in questa figura, c’è qualcosa di più che un lampo di genio. La marionetta gli appare come l’ultima eco dell’arte nobile e bella di una civiltà passata. Ma, come avviene con tutte le arti che son cadute in mani rozze e volgari, anche il burattino è diventato una cosa indegna. Craig ci dice che è stato un antico Viaggiatore greco (probabilmente Erodoto) dell’ 800 a.C. che, descrivendo una visita al tempio-teatro di Tebe, ci racconta come fosse soggiogato dalla bellezza dei burattini grazie alla loro “nobile artificialità”. “Entrando nella sala delle Visioni io vidi in lontananza la bella bruna Regina seduta sul trono - sulla sua tomba - mi sembrò infatti che fosse l’una e l’altra cosa. Caddi a sedere e mi misi a osservare i suoi movimenti simbolici. Ogni ritmo mutava in lei con tanta dolcezza trasmettendosi insieme al movimento da un membro all’altro, con tanta evidente serenità discioglieva i pensieri della sua anima; con tale gravità e bellezza indugiava nell’affermare il suo dolore, che mi dette l’impressione di essere insensibile a qualsiasi sofferenza; non un tremito nelle membra o nell’atteggiamento tradiva il sopravvento delle passioni: queste erano di continuo riafferrate dalle sue mani che ella muoveva soavemente e mirava con tranquillità. Le braccia e le mani sembrarono ad un tratto simili a un sottile caldo getto d’acqua, che s’innalzi, poi frantumandosi cada con dolci pallidi rivi simili a dita come pioggia nel suo grembo”. Per questo dobbiamo cercare di ricostruire quelle immagini - e non accontentarci più del burattino: dobbiamo creare la Supermarionetta. La Supermarionetta non competerà con la vita - ma piuttosto andrà oltre. Il suo ideale non sarà la carne e il sangue ma piuttosto il corpo in catalessi: aspirerà a vestire di una bellezza simile alla morte, pur emanando uno spirito di vita. Craig ci dice ancora che nelle città di oggi ci sono uomini che si fanno chiamare “artisti”, scelti per il loro più alto potere di percezione. Perché questo è il significato di “artista”: un uomo che percepisce più dei suoi simili, e afferra più di quanto ha veduto. E non ultimo fra quegli artisti, c’era il maestro delle cerimonie, il suscitatore delle visioni, il ministro il cui dovere era di celebrare lo spirito che li guidava - lo spirito del Movimento. Purtroppo, dopo molti secoli, gli artisti hanno finito col cedere, e ci hanno dato ciò che chiedevamo. Ma quando l’ignoranza degli uomini allontanò il chiaro spirito che un tempo aveva governato la mente e la mano dell’artista, ci fu uno spirito oscuro che prese il suo posto. Di conseguenza, i pittori, i musicisti, gli scultori, gli architetti gareggiavano senza sosta l’uno contro l’altro per soddisfare le richieste della società. (riferimento al Rinascimento). La situazione peggiorò con il realismo, una cosa lontanissima dal fine dell’arte, che non è quello di riflettere i fatti quotidiani di questa vita; perché non è proprio dell’artista camminare dietro le cose, avendo al contrario conquistato il privilegio di precederle - di guidarle. Piuttosto la vita dovrebbe riflettere la traccia dello spirito, poiché fu lo spirito, che primo scelse l’artista perché narrasse la sua bellezza. E per una tale pittura, anche prendendo la forma dalla vita per la sua bellezza e fragilità, il colore dev’esser cercato nella sconosciuta terra dell’immaginazione. Craig ci dice che parlare di burattini suscita in molti, uomini e donne, un riso insensato. Pensano subito ai fili, pensano alle mani rigide e ai movimenti irregolari, ma non è così perché in realtà i fantocci sono i discendenti di una grande e nobile famiglia d’Immagini, immagini che erano davvero “fatte a somiglianza di Dio”; e che per molti secoli queste figure avevano un movimento ritmico. Non avevano bisogno di fili metallici che li sostenessero. “E ora lasciatevi dire chi fu la marionetta e che venne a turbare l’aria tranquilla che circondava questa singolare cosa perfetta. Si racconta, che molto tempo dopo, egli prese dimora sulle coste dell’Estremo Oriente e qui vennero due donne a guardarlo — il danzatore-marionetta (una marionetta danza non grazie ai fili ma grazie ad un’energia infusa ; Craig sta parlando di una figura che in realtà mette insieme movimento non è danza in quanto tale ma è presenza, è “esserci” ecco perché l'unità di misura della scena di Craig è il movimento possibilità fisica di esserci. Il testo drammatico è movimento, il drammaturgo è movimento perché il drammaturgo scrive per il movimento con il linguaggio della scena. Quindi anche tutto quello che sembra non essere movimento, come la parola, il suono, la luce, in realtà appartiene ad un'enorme e continuo flusso energetico che è il movimento sulla scena. Il drammaturgo è la figura auspicabile per il futuro. Il drammaturgo è colui che si occupa di scrivere opere teatrali, organizza il materiale e scrive il movimento sulla scena. Secondo Craig occorreva liberarsi della figura del poeta drammatico perché il poeta drammatico scrive un testo indipendente dal movimento. Il drammaturgo invece è finalizzato al movimento perché il teatro è azione, perché il teatro è movimento e allora paradossalmente non è la parola essere l'unità di misura ma è sempre il movimento perché è in base a quello che io scrivo. IL DIALOGO In apertura, il regista spiega allo spettatore che l’ Arte del Teatro non può identificarsi esclusivamente con la recitazione o con il testo, con la scenografia o con la danza ma è sintesi di azione, che è lo spirito della recitazione, di parole, che formano il corpo del testo, di linea e colore, che sono il cuore della scenografia e di ritmo, che è l’essenza della danza. Nessun elemento prevale sull’altro ma è probabile che l’azione abbia la priorità. Essa, infatti, è per l’Arte del Teatro ciò che il disegno è per la pittura e la melodia per la musica. L’Arte del Teatro, quindi, nasce dall’azione, dal movimento, dalla danza — e non dal testo, come comunemente ed erroneamente si pensa. In seguito, il regista distingue il poema drammatico dal dramma sostenendo che il Di conseguenza, il mentre il . Ciononostante, i drammaturghi moderni non hanno nulla a che fare coni primi drammaturghi, i quali avevano intuito ciò che i moderni ancora non hanno compreso. La verità è che gli spettatori si recano a teatro per vedere più che per ascoltare. Per questo motivo, essi si rivolgono al pubblico in versi o in prosa, ma guardano sempre all’azione. Nello specifico, l’azione poetica fa riferimento alla danza, quella in prosa al gesto. Il regista afferma, inoltre, che nel corso del tempo le intenzioni dello spettatore non sono cambiate. Sono mutati, invece, gli autori drammatici e i drammi, che non rappresentano più una sintesi armoniosa di recitazione, testo, scenografia e danza ma o sono tutti parole o tutti scena. A tal proposito, l'esempio più eloquente è quello su Shakespeare. L’Amleto, ma in generale tutti i drammi shakespeariani, presentano una forma perfetta, sono finiti e completi. Un’eventuale messa in scena, quindi, comporterebbe l’aggiunta di gesti, costumi, scena e danza, elementi che rischierebbero di rendere l’opera incompleta e, di conseguenza, perfezionabile/modificabile. I drammi sorti appositamente per il teatro sono i Misteri medievali, le Mascherate e i Cortei. A un certo punto, lo spettatore sostiene di essere rimasto soddisfatto da alcuni spettacoli teatrali moderni. A queste parole, il regista inizia a pensare che l’arte stia degenerando e con essa una parte del pubblico. Crede, inoltre, che se lo spettatore vedesse almeno una vera e propria opera teatrale cambierebbe idea e si rifiuterebbe di assistere nuovamente a un dramma moderno. Tuttavia, ciò non è possibile, non perché lo spettatore non lo desideri o perché il teatro non disponga di uomini eccellenti che possano eseguirlo, ma perché manca l’artista che lo crei, o per meglio dire, manca il regista. Craig sostiene che quando quest’ultimo approderà sulla scena teatrale, nulla sarà più come prima poiché richiamerà a sé i lavoratori più bravi e darà nuova vita all’ Arte del Teatro. Craig, quindi, antepone il ruolo del regista a quello dell’attore. Egli, tuttavia. nel momento in cui decide di interpretare il dramma di un autore e di collaborare con attori, sceneggiatori e altri artigiani del settore, è considerato egli stesso un operaio, un capo artigiano. Diventerà un artista quando avrà un’approfondita conoscenza delle azioni, delle parole, della linea, del colore e del ritmo. Un regista che decide di mettere in scena il dramma di un autore promette di interpretare fedelmente il testo e dopo la prima lettura comincia a immaginare come sarà impostata la scena. Dopo la prima lettura, il regista lascia da parte il testo per un po’ e cerca di capire quali reazioni gli ha suscitato. Con la seconda lettura, invece, ciò che risultava chiaro appare molto più evidente, ciò che era vago sparisce del tutto. A_ partire da questo momento, il regista può iniziare a realizzare la scena e le idee che ha in testa. Nonostante ciò, per poterne essere convinto, dovrà leggere il testo almeno un’altra dozzina di volte. e Il regista, quindi, ricopre un ruolo di grande responsabilità poiché svolge innumerevoli compiti. Si preoccupa innanzitutto di allestire la scena e di scegliere i costumi. Affida, poi, le parti agli attori — che dovranno impararle a memoria prima dell’inizio delle prove — e studia lo schema di illuminazione delle figure e della scena. L’illuminazione non deve affatto riprodurre le luci della natura ma limitarsi a suggerire i suoi aspetti più belli e vivi. La natura, infatti, non potrà mai essere imprigionata o copiata. Sempre a proposito dell’illuminazione, i registi odiano le luci della ribalta nate, secondo Craig, all’interno dei teatri popolari, che non potevano permettersi dei candelieri, posti generalmente in alto, sulla testa degli attori. Si servivano, quindi, di candele di sego, che venivano posizionate sul davanti del palcoscenico della scena. Il regista valuta anche la recitazione degli attori, ciò che dicono e fanno. Un attore è bravo e intelligente se si lascia controllare. Gli altri, invece, si sentono feriti e insultati perché hanno l’impressione di essere manovrati da fili. Un teatro in cui lavorano centinaia di persone è simile a una nave che ha bisogno di essere comandata perché anche il più piccolo segno di disobbedienza potrebbe risultare fatale. Di conseguenza, Il regista è sicuramente la persona più qualificata per dirigere un teatro perché ha studiato ed è preparato su ogni mestiere a esso legato. È, quindi, necessaria una riforma radicale e non parziale. In ultima analisi, il regista spiega allo spettatore che il testo non è necessario per mettere in scena un dramma poiché è possibile elaborare e dare forma anche a un’idea. L’opera d’arte teatrale, quindi, viene creata dall’azione, dalla scena e dalla voce. Per azione si intende il gesto e la danza, o per meglio dire, l’azione in prosa e azione poetica. Per scena si intende, invece, tutto ciò che è visibile, dall’illuminazione ai costumi, passando per la scenografia. Per voce si intendono, infine, le parole recitate o cantate, in opposizione al testo scritto.
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