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Grammatica italiana con nozioni di linguistica, Sintesi del corso di Grammatica e Composizione

Riassunto dei capitoli chiesti dalla professoressa: 3, 4, 5, 6, 7, 9, 11, 17

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 06/10/2020

GigliolaFF
GigliolaFF 🇮🇹

4.4

(11)

19 documenti

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Anteprima parziale del testo

Scarica Grammatica italiana con nozioni di linguistica e più Sintesi del corso in PDF di Grammatica e Composizione solo su Docsity! “GRAMMATICA ITALIANA CON NOZIONI DI LINGUISTICA” CAP 3: LA FRASE SEMPLICE Vi sono tre tipi di analisi che ci forniscono indicazioni per lo studio della lingua italiana; queste sono: 1) L’ANALISI LOGICA: consiste nell’identificare il soggetto, il predicato, i complementi, l’attributo e l’opposizione 2) L’ANALISI GRAMMATICALE: consiste nell’identificare le diverse categorie grammaticali che sono nove (l’articolo, il nome, l’aggettivo, il pronome, il verbo, l’avverbio, la preposizione, la coniugazione, l’interiezione) e nel descriverle in modo accurato. Tra tutte queste categorie, cinque sono variabili (articolo, nome, aggettivo, pronome, verbo) ovvero che possono cambiare le loro terminazioni; quattro sono invariabili (avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione) ovvero che non possono mutare le loro terminazioni. La parte immutabile è la radice, quella mutabile è la desinenza 3) L’ANALISI SINTATTICA: consiste nell’identificare le varie proposizioni: principale, coordinata e subordinata. Nella sua realtà la lingua non si presenta in parti isolate (cioè in frasi, proposizioni, parole); una lingua si presenta in testi. Con il termine TESTO si intende un atto comunicativo che possiede una finalità chiaramente definita. Il testo può essere di varia estensione e di vario carattere; può essere scritto oppure orale. Nel testo si distinguono le frasi che sono unità di senso compiuto. Una frase può essere formata da più proposizioni (frase complessa) oppure da una sola proposizione (frase semplice). Un ulteriore distinzione si fa tra la frase contenente il verbo (frase verbale) e quella priva del verbo (frase nominale). A parte vanno considerate le frasi ellittiche, ovvero quelle frasi in cui uno dei componenti della frase viene sottinteso. L’ellissi è presente particolarmente nelle strutture coordinate, in cui si può fare a meno di ripetere il soggetto (Laura era proprio bella, ma odiava quando la gente le faceva troppi complimenti), il verbo (Marco ha giocato tutta la partita, io solo il primo quarto), il complemento oggetto (la pioggia ha bagnato, il sole ha asciugato i nostri abiti). LA STRUTTURA DELLA FRASE SEMPLICE La frase semplice è quella frase caratterizzata dal soggetto e dal predicato. Il soggetto è ciò di cui parla il predicato, il predicato è l’elemento che dice qualcosa del soggetto. Il soggetto è costituito da un nome (o da un gruppo nominale), il predicato da un verbo (o da un gruppo verbale); è definito come il centro della frase. Alcuni linguisti hanno individuato nella frase semplice due elementi fondamentali: gli elementi nucleari e quelli extranucleari. I primi sono obbligatori per dare un senso compiuto alla frase, i secondi invece sono facoltativi. Es) Giorgio ieri sera ha mangiato la pasta al pomodoro. Se togliessimo, ieri sera e al pomodoro, la frase avrebbe ugualmente un senso compiuto; quindi, ieri sera ed al pomodoro possono definirsi come elementi extranucleari. IL SOGGETTO È un componente fondamentale della frase, il quale completa il significato del predicato. Concorda con il predicato nel numero, nella persona e nel genere con il predicato. Es) il ragazzo canta = concordanza del soggetto con il predicato nel numero e nella persona \ l’operaio è tornato a casa = concordanza del soggetto con il predicato nel genere. Attenzione: qualunque parte del discorso può fare da soggetto – il nome, l’aggettivo, il pronome, il verbo, l’articolo, la preposizione, la congiunzione, l’avverbio. Non sempre occupa il primo posto – es) finalmente arrivò la maestra. Può essere anche sottinteso: - quando risulta chiaro dal contesto precedente – arrivò alle cinque e si trattenne con noi - in una serie di proposizioni che hanno tutte lo stesso soggetto – Mario si svegliò alle sette, fece colazione, si vestì ed andò a scuola - nella risposta ad una frase che ha già il verbo – Luca viene? Viene. IL PREDICATO È ciò che viene detto a proposito del soggetto. Vi sono due tipi di predicati: 1) il predicato nominale: costituito dal verbo essere + un aggettivo o un nome. Il verbo essere si dice copula (ovvero legame), l’aggettivo o il nome, unito al verbo essere si dice parte nominale del predicato oppure nome del predicato. 2) Il predicato verbale: è formato da un verbo predicativo, ovvero quel verbo che ha un significato compiuto e che può anche essere usato da solo. Costituiscono il PV: il verbo essere con significato di stare, abitare, vivere, trovarsi \ i verbi passivi (è stato letto) \ i verbi servili come dovere, potere, volere e i verbi fraseologici come cominciare a , stare per, smettere di \ i verbi copulativi come parere, sembrare, stare, rimanere, riuscire, diventare. IL SINTAGMA Per sintagma si intende l’insieme degli elementi linguistici che formano un’unità in una frase. Esistono diversi tipi di sintagmi:  Sintagma nominale: nome + uno o più determinanti: articolo\aggettivo\ complemento (es. il celebre tenore)  Sintagma verbale: verbo + altri elementi (es. canta una canzone)  Sintagma preposizionale: preposizione + nome (dell’Opera)  Sintagma aggettivale: aggettivo + altri elementi (molto bella).  moto a luogo: indica il luogo verso cui ci si muove. Risponde alle domande: dove? Verso dove? È introdotto dalle preposizioni: in, su, a, da, di, sopra, sotto, tra o dalle locuzioni: nei pressi di, dalle parti di..  moto da luogo: indica il luogo da cui ci di muove. Risponde alle domande: da dove? Da quale luogo? È introdotto dalle preposizioni: da e di  moto per luogo: indica il luogo attraverso cui ci si muove. Risponde alle domande: per dove? Attraverso quale luogo? È introdotto dalle preposizioni: per, da, di, tra, attraverso IL COMPLEMENTO DI TEMPO Esprime le circostanze di tempo dell’azione. Vi sono due complementi di tempo: 1) complemento di tempo determinato: indica il momento in cui si verifica l’azione. Risponde alle domande: quando? In quale momento o periodo? 2) Complemento di tempo continuato: indica per quanto tempo dura l’azione. Risponde alle domande: per quanto tempo? Da quanto tempo? IL COMPLEMENTO DI MEZZO O STRUMENTO Indica l’essere o la cosa per mezzo di cui si fa o avviene qualcosa. Risponde alle domande : per mezzo di chi? Per mezzo di che cosa? È introdotto dalle preposizioni: per, a, di e dalle locuzioni: per mezzo di, per opera di, grazie a IL COMPLEMENTO DI MODO O MANIERA Indica il modo o la maniera in cui si fa o avviene qualcosa. Risponde alle domande: come? In che modo? In che maniera? È introdotto dalle preposizioni: a, in, per, di e dalle locuzioni: alla maniera di, a guisa di IL COMPLEMENTO DI CAUSA Indica il motivo o la causa per cui si fa o avviene qualcosa. Risponde alle domande: per quale motivo? Per quale causa? È introdotto dalle preposizioni: per, di, da, a e dalle locuzioni: per motivo di, in conseguenza di.. IL COMPLEMENTO DI COMPAGNIA E UNIONE Indicano l’essere animato (compagnia) o inanimato (unione) con cui si è o con cui si fa qualcosa. Il complemento di compagnia risponde alle domande: con chi? In compagnia di chi? Il complemento di unione risponde alle domande: con che cosa? Entrambi i complementi sono retti dalle preposizioni: con, tra o dalle locuzioni: in compagnia di, insieme a\ con IL COMPLEMENTO DI AGENTE O DI CAUSA EFFICIENTE Indicano l’essere animato (agente) o inanimato (causa efficiente) da cui è compiuta un’azione espressa da un verbo passivo. Il complemento d’agente risponde alla domanda: da chi? Quello di causa efficiente: da che cosa? Sia il complemento d’agente che quello di causa efficiente sono introdotti dalla preposizione: da ALTRI COMPLEMENTI  ABBONDANZA E PRIVAZIONE: indicano ciò che si ha in abbondanza o ciò di cui si è privi. Retti dalla preposizione DI. Rispondono alla domanda: di chi\ di che cosa?  ALLONTANAMENTO O SEPARAZIONE, ORIGINE O PROVENIENZA: indicano ciò da cui qualcuno si allontana, si separa, ha origine, proviene. Retti dalle preposizioni: DA, DI. Rispondono alle domande: da chi? Da che cosa? Da dove?  ARGOMENTO: indica ciò di cui qualcuno o qualcosa parla. Retto dalle preposizioni: DI, SU e dalle locuzioni: A PROPOSITO DI. Risponde alle domande: di chi? Di che cosa? Intorno a chi? Intorno a che cosa?  DENOMINAZIONE: è simile a quello di specificazione, in quanto specifica il nome proprio del nome generico che lo precede. Retto dalla preposizione: DI. Risponde alle domande: di chi? Di che cosa? Di quale nome?  ETA’: indica l’età. Retto dalle preposizioni: DI, A. Risponde alle domande: a quanti anni? Di quanti anni?  MATERIA: indica la materia di cui è fatto qualcosa. Retto dalle preposizioni: DI, IN. Risponde alle domande: di quale materia? Fatto di che cosa?  QUALITA’: indica una qualità. Retto dalle preposizioni: DI, DA, A, CON. Risponde alle domande: di che qualità? Come?  QUANTITA’: indica la quantità, una misura. Retto dalle preposizioni DI, PER, A. Risponde alle domande: quanto? Di quanto? Per quanto?  VOCAZIONE: serve per invocare, chiamare. Si può trovare anche da solo “Andrea!” oppure può essere preceduto dalla particella vocativa O “O Andrea!”. TIPI DI FRASE SEMPLICE Ve ne sono quattro tipi: le enunciative, le volitive, le interrogative e le esclamative. LE ENUNCIATIVE Contengono una semplice enunciazione ovvero una dichiarazione, una descrizione di qualcosa. Si dividono in: - Enunciative affermative (questo albergo è caro) - Enunciative negative (questo albergo non è caro). Le negative a loro volta si suddividono in: negative totali (nessun albergo è caro) e negative parziali (non tutti gli alberghi sono cari) LE VOLITIVE Esprimono un comando, un desiderio, una concessione, un’esortazione. Es) andate via da qui! (comando) LE INTERROGATIVE Pongono una domanda; sono caratterizzate dall’intonazione ascendente della pronuncia nel parlato e dal punto interrogativo nella scrittura. Le interrogative si suddividono in: - Interrogative totali: quando la domanda riguarda tutto l’insieme della frase (venite domani?) - Interrogative parziali: quando la domanda riguarda solo uno degli elementi della frase (chi\dove\quando…) es) chi viene con me domani? - Interrogative disgiuntive: quando la domanda pone un’alternativa. Es) preferisci il latte o il caffè? LE ESCLAMATIVE Sono caratterizzate da un’intonazione discendente della pronuncia nel parlato e dal punto esclamativo nella scrittura. FRASE SEMPLICE E FRASE COMPLESSA: LE PROPOSIZIONI Una frase può considerarsi semplice quando è formata da un solo predicato e di conseguenza da una sola proposizione, complessa quando ha due o più predicati e di conseguenza da due o più proposizioni, che precisamente sono queste:  Proposizioni principali: sono proposizioni indipendenti, dotate di autonomia  Proposizioni coordinate: sono proposizioni collegate tra loro in modo tale che ciascuna rimanga autonoma dall’altra  Proposizioni subordinate: proposizioni che dipendono da un’altra proposizione; a seconda che il verbo in esse contenuto sia di modo finito (indicativo, congiuntivo..) o indefinito (infinito, participio, gerundio), si distinguono in subordinate esplicite ed implicite. CAP 4: L’ARTICOLO (3 tipologie: determinativo, indeterminativo e partitivo) L’articolo si considera come la categoria grammaticale più semplice. Serve a determinare in vario modo il nome a cui è associato, col quale concorda in genere e numero. Tra l’articolo e il sostantivo vi è un legame strettissimo; in determinate condizioni il sostantivo può fare a meno dell’articolo, mentre l’articolo è sempre seguìto da un sostantivo. Lo stretto legame tra articolo e sostantivo può essere spezzato, mediante l’inserimento: - di un aggettivo: la nuova costruzione - del relativo cui: il direttore, la cui lettera mi è appena giunta, mi informa sui nuovi sviluppi dell’azienda - di alcuni avverbi: il già menzionato autore - di un participio passato: il suddetto autore L’articolo presenta due opposizioni: Esempio: chiamerò un medico ci riferiamo a un medico qualsiasi, non ancora definito. Questo articolo può intensificare il significato di un termine (era ridotto in uno stato di ebrezza) + lo si usa per esprimere ammirazione (ho conosciuto una ragazza!) o senso assoluto (ho avuto una paura). FORME DELL’ARTICOLO INDETERMINATIVO (non ha forme plurali; con funzione di plurale si possono usare gli articoli partitivi) 1) UN UN si usa con i nomi maschili che iniziano con consonante, esclusi quelli che iniziano con s impura, x, z, pn, ps, gn, sc. Esempio: un bambino, un uccellino, un tovagliolo Si usa anche con i nomi maschili inizianti per vocale – un uomo, un uccellino, un elmo…. 2) UNO Si usa con i nomi maschili inizianti con s impura, x, z, pn, ps, gn, sc. Esempi: uno specchio, uno xilofono, uno zio, uno (o anche un) pneumatico, uno pseudonimo, uno gnocco, uno sciatore. 3) UNA, UN’ UNA si usa con i nomi femminili (una bestia, una mamma). UN’ forma elisa di UNA usata davanti ad una vocale, ma non davanti alla i semiconsonantica. Esempi: un’elica, un’isola. USI PARTICOLARI DELL’ARTICOLO 1) Nomi geografici  I nomi di città e di piccole isole non hanno generalmente l’articolo: Bologna, Firenze, Venezia,Milano (ma Il Giglio, La Mecca, Il Cairo, La Spezia…). Assumono invece l’articolo quando sono accompagnati da un attributo: la nebbiosa Milano, la fredda Genova…  Nomi di quartieri di città: alcuni con l’articolo, altri senza. Esempio: Il Vomero, Margellina.  Richiedono l’articolo: i nomi di isole grandi (la Sicilia, la Sardegna), i nomi dei fiumi (il Po), i nomi dei laghi (il Garda), i nomi dei monti (il Monte Bianco), i nomi di regioni (la Lombardia, il Veneto), i nomi di stati (l’Italia, la Francia), i nomi dei continenti (l’Europa, l’America). 2) Nomi propri di persona  I nomi propri di persona generalmente rifiutano l’articolo (Marco è il papà di Giovanni).  I cognomi propri di donne richiedono l’articolo (la Duse, la Deledda), ma oggi questa usanza la si sta tralasciando.  I cognomi al plurale vogliono l’articolo (i Malatesta, i Malavoglia)  Alcuni soprannomi di personaggi celebri possono avere o no l’articolo (il) Botticelli. 3) Aggettivo possessivo  Articolo omesso davanti ai nomi di parentela preceduti da un aggettivo possessivo – mio padre, mia madre, mio fratello.  Alcuni nomi di parentela ammettono l’articolo quali: nonna, nonno.  Articolo concesso con nomi di parentela al plurale: le mie sorelle. 4) Omissione dell'articolo L’ ARTICOLO PARTITIVO Le forma articolata della preposizione di (e cioè del, dello, della, dei, degli, delle) si usano con valore di articolo partitivo. In questo caso indicano una quantità indeterminata. Al singolare questo articolo equivale ad UN PO’ – dammi dell’acqua = dammi un po’ di acqua. Al plurale equivale a QUALCHE, ALCUNI, ALCUNE – sento dei rumori = sento alcuni rumori. CAP 5: IL NOME – parte variabile del discorso che indica le persone (scolaro, medico, zio) gli animali (pesce, balena, gatto) le cose (sigaro, suole, sedia), le idee ( arte, scienza, pittura) e i sentimenti (amore, dolore, gioia). Risale ai grammatici dell’antichità l’opposizione tra il nome\sostantivo, che indica una sostanza e il verbo, che indica un processo. Sul piano morfologico il nome varia:  nel genere (bambino\bambina)  nel numero (bambino\bambini)  in molte lingue, nel caso (lat. PUER, ‘il bambino’, caso nominativo; PUERI ‘del bambino’, caso genitivo) il verbo invece varia:  nel tempo (sono, presente; ero, imperfetto…)  nel modo (sono, indicativo; sia, congiuntivo; sarei, condizionale…)  nella persona (sono, io; sei, tu; è, egli..) CLASSIFICAZIONE DEI NOMI I nomi vengono suddivisi in varie classi: o nomi primitivi: nomi che non derivano da nessun altro nome. Essi sono formati da una radice (dà significato al nome) e da una desinenza (indica il genere: maschile, femminile e il numero: singolare, plurale) . Esempi: tavol-o gatt-i o nomi derivati: nomi che derivano da quelli primitivi, togliendo ad essi la desinenza ed aggiungendo o un prefisso o un suffisso. Esempio: carta (nome primitivo) – cartolaio (nome derivato) pane (nome primitivo) – panificio (nome derivato) o nomi composti: nomi formati da due parole Esempi: cavolfiore – cavolo + fiore cassaforte – cassa + forte o nomi alterati: derivano dai nomi primitivi, aggiungendo particolari suffissi che indicano piccolezza, bellezza, grandezza, bruttezza. Questi nomi possono essere: diminutivi (ragazzino), vezzeggiativi (ragazzetto, ragazzuccio), dispregiativo (ragazzaccio) e accrescitivo (ragazzone). o nomi propri: designano un particolare “individuo” di una specie o categoria: un essere umano (Carlo), una nazione (Italia), una città (Brescia). Tali nomi NON hanno bisogno dell’articolo. o nomi comuni: designano genericamente ogni possibile “individuo” di una specie o categoria: essere umano (bambino), animale (elefante), oggetto (sedia). o nomi collettivi: designano un gruppo di individui: un gruppo di esseri umani (popolo), di animali (mandria), di oggetti (mobilia) che hanno un tratto distintivo tra loro; esempio – sciame (insieme di api) o nomi concreti: designano realtà materiali percepibili dai sensi (tavolo, albero) e nomi astratti: designano concetti che può raffigurare solo la mente: amore, gioia, pace… tale distinzione però non è sempre chiara; per esempio sarebbe difficile collocare tra i nomi astratti e i nomi concreti parole come sonno, malessere, corsa, salto che indicano fatti percepibili dai sensi, ma privi di consistenza materiale. Molti nomi possono essere ora concreti ora astratti, secondo l’uso che ne facciamo: Esempi – la giraffa, il delfino, la volpe, la iena, lo scorpione, il ghepardo, il serpente. Per distinguerli si aggiunge “maschio” o “femmina”, oppure “il maschio della…”, “ la femmina della”…. Esempi: la giraffa femmina, il delfino maschio, la volpe maschio, la iena femmina, la femmina dello scorpione, il maschio del ghepardo, la femmina del serpente. IL NUMERO DEL NOME Rispetto al numero, i nomi hanno due forme:  Singolare: serve ad indicare un solo essere animato o una sola cosa  Plurale: serve ad indicare più esseri animati o più cose. FORMAZIONE DEL PLURALE Rispetto alla formazione del plurale i nomi possono essere:  Variabili: se cambiano la desinenza  Invariabili: se non cambiano la desinenza  Sovrabbondanti: hanno due forme per il plurale e con una diventano femminili  Difettivi: mancano o del singolare o del plurale  Composti: formano il plurale modificando il primo elemento, il secondo elemento, entrambi gli elementi oppure lasciandoli invariati tutti e due. Il plurale dei nomi variabili si forma mutandone la desinenza: i nomi femminili in A prendono la desinenza E; i nomi maschili in A, i nomi in O e in E, sia maschili sia femminili prendono la desinenza in I. NOMI IN “A” - I nomi maschili che al singolare terminano in A formano il plurale in I, i nomi femminili che al singolare terminano in A formano il plurale in E. Esempi: il problema – i problemi la casa – le case Attenzione: ala e arma che sono femminili prendono al plurale la I, invece della E; quindi le ali, le armi. - I nomi in ISTA e CIDA, al plurale cambiano la desinenza in I se sono maschili, in E se sono femminili. Esempi: il giornalista – i giornalisti la suicida – le suicide la pediatra – le pediatre. - I nomi in CA e GA escono in CHI e GHI se sono maschili e in CHE e GHE se sono femminili. Esempi: il monarca – i monarchi il patriarca – i patriarchi la barca – le barche la basilica – le basiliche. - I nomi in CIA e GIA (con i tonica) formano in plurale in CìE e Gìe. Esempi: la farmacìa – le farmacìe la bugìa – le bugìe. - I nomi in CIA e GIA (con i atona) mantengono la I se le consonanti C e G sono precedute da vocale, la perdono se sono precedute da un’altra consonante. Esempi: camicia – camicie ciliegia – ciliegie boccia – bocce NOMI IN “O” - I nomi che al singolare terminano in O al plurale prendono la desinenza I Esempi: il libro – i libri Il bambino – i bambini Uomo – uomini (anche questo nome forma il plurale in I, ma cambia proprio il tema) Mano – mani (nome femminile che termina in O e che forma il plurale con la I Eco – echi (nome che al singolare è di preferenza femminile, il plurale invece è sempre al maschile – gli echi). - I nomi in CO e GO se sono piani (accento sulla penultima sillaba), formano il plurale in CHI e in GHI, se sono sdruccioli (accento terzultima sillaba) assumono i suoni palatali CI e GI. Esempi: buco – buchi (piani) Baco – bachi (piani) Medico – medici (sdruccioli) Sindaco – sindaci (sdruccioli) Alcuni nomi si presentano in entrambe le forme: chirurgo – chirurgi \ chirurgi farmaco – farmaci \ farmachi manico – manici \ manichi stomaco – stomaci \ stomachi sarcofago – sarcofagi \ sarcofaghi intonaco – intonaci \ intonachi - I nomi in ìO (con ì tonica) formano il plurale in ìi. Esempi: zìo – zìi Pendìo – pendìi Invece, i nomi in io (con i atona) perdono la I del tema ed escono in I Esempi: viaggio – viaggi Figlio – figli Raggio – raggi - Alcuni nomi in O che al singolare sono di genere maschile, al plurale diventano di genere femminile e prendono la desinenza A. Esempio: il centinaio – le centinaia Il miglio – le miglia. NOMI IN “E” - I nomi che al singolare finiscono per E, al plurale cambiano la desinenza in I, sia se sono maschili, sia se sono femminili. Esempi: il giudice – i giudici Il padre – i padri Il leone – i leoni - I nomi in IE sono invariabili; soltanto i seguenti non conservano al plurale la stessa forma del singolare. Esempi: la moglie – le mogli La superficie – le superfici NOMI INVARIABILI: i nomi che conservano al plurale la stessa forma del singolare. Appartengono a questa categoria:  Alcuni nomi maschili in A (il cinema – i cinema \ il boa – i boa)  Alcuni nomi femminili in O (la radio – le radio \ l’auto – le auto)  Alcuni nomi in IE, tutti di genere femminile (la serie – le serie \ la specie – le specie)  I nomi in I (il brindisi – i brindisi \ la metropoli – le metropoli)  I nomi monosillabici (il re – i re \ la gru – le gru)  I nomi terminanti in consonante, generalmente di origine straniera (il film – i film \ lo sport – gli sport)  I nomi terminanti in vocale tonica (la virtù – le virtù \ il caffè – i caffè) NOMI PRIVI DI SINGOLARE O DI PLURALE Vi sono nomi che si usano soltanto al singolare o soltanto al plurale; per questo essi vengono definiti DIFETTIVI. Hanno per lo più solo il singolare:  Nomi astratti quali: il coraggio, la virtù, la pazienza  Nomi di malattia: il tifo, la rosolia, il vaiolo  Nomi di elementi chimici e di metalli: l’ossigeno, l’argento, l’oro  Nomi di feste: il Natale, la Pasqua, la Pentecoste  Nomi di prodotti alimentari: il latte, il grano, il pepe  Nomi come il sangue, la sete, la fame Hanno solo il plurale:  Nomi che indicano oggetti in cui si possono distinguere due o più parti: gli occhiali, le manette, le redini, i calzoni.  Nomi dotti che già in latino mancavano del singolare: le nozze, le ferie, le tenebre. NOMI DI DOPPIA FORMA SINGOLARE: fanno parte di questa categoria nomi maschili con terminazioni in IERO o IERE Esempi: sparviero o sparviere \ forestiero o forestiere \ nocchiero o nocchiere \ destriero o destriere NOMI CON DOPPIA FORMA PLURALE: nomi maschili terminanti in O, oltre al plurale normale in I, hanno anche quello in A, di genere femminile. Tali nomi sono chiamati SOVRABBONDANTI, proprio perché hanno un plurale in più degli altri. In realtà una distinzione così rigida tra il significato qualificativo e quello determinativo non è sempre possibile: in frasi come “vada all’ultimo sportello, si faccia aiutare dal figlio grande”, gli aggettivi ultimo e grande valgono non solo a qualificare lo sportello, il figlio, ma anche e soprattutto a determinarli rispetto agli altri sportelli, agli altri figli. GLI AGGETTIVI QUALIFICATIVI (sono innumerevoli) GENERE E NUMERO DELL’AGGETTIVO QUALIFICATIVO Riguardante il genere e il numero, abbiamo tre classi di aggettivi qualificativi:  Prima classe – a questa classe appartengono gli aggettivi che presentano forme distinte per i due generi e i due numeri: O per il maschile singolare A per il femminile singolare I per il maschile plurale E per il femminile plurale.  Seconda classe – appartengono gli aggettivi che non hanno forma diverse per il maschile e per il femminile, ma possiedono solo la distinzione di numero: E per il singolare di entrambi i generi I per il plurale di entrambi i generi. Esempi: un bambino buono, una bambina buona, bambini buoni, bambine buone.  Terza classe – a questa classe appartengono gli aggettivi che al singolare escono in A (sia al maschile che al femminile) e al plurale escono in I per il maschile e in E per il femminile. In questa categoria rientrano gli aggettivi terminanti in: ISTA: un atteggiamento vittimista, una pittrice surrealista CIDA: un istinto suicida, una volontà omicida ITA: sia con i tonica – una tradizione sciita, un ebreo sefardita \ sia con i atona – un comportamento ipocrita, una relazione ipocrita. Aggettivi composti – aggettivi formati dall’unione di due aggettivi e che mutano al plurale soltanto la desinenza del secondo elemento. Esempi: ragazzi sordomuti, leggi sacrosante, leggi socioeconomiche. Come si può osservare in quest’ultimo esempio, il primo elemento della composizione, oltre ad essere invariabile, può comparire in forma abbreviata; al posto che scrivere leggi sociali ed economiche, scriviamo leggi socioeconomiche o socio- economiche. Tale fenomeno si verifica in particolare: o Con gli aggettivi etnici: africano – afro-americano \ inglese (anglo) – anglo- americani. o Con gli aggettivi che appartengono alla terminologia scientifica: corticale ‘relativo’ alla corteccia – cortico: ormone corticosurrenale. o Con alcuni termini del linguaggio politico: socialista – social: socialdemocratico. L’aggettivo pari e i suoi derivati impari, dispari hanno un’unica forma per entrambi i generi e i numeri: solo dal contesto potremo capire se vengono usati al maschile o al femminile, al singolare o al plurale. Esempi – numero pari, numeri pari, cifra pari, cifre pari. Sono inoltre invariabili:  Le locuzioni avverbiali: dopotutto, dabbene, perbene usate come aggettivi (persona dappoco, persone dappoco)  Alcuni sostantivi indicanti colore usati anch’essi in funzione di aggettivo (abito blu, gonne rosa, pantaloni lilla)  Coppie di aggettivi indicanti gradazioni di colore (una gonna rosa cupo, delle camicie verde pallido)  L’aggettivo arrosto: carne arrosto, salsicce arrosto. ACCORDO DELL’AGGETTIVO QUALIFICATIVO L’aggettivo qualificativo concorda nel genere e nel numero con il sostantivo cui si riferisce: un ragazzo studioso, una ragazza studiosa, Maria è studiosa. Quando si riferisce a più nomi dello stesso genere, tutti singolari, tutti plurali o alcuni singolari e altri plurali, l’aggettivo prende il genere dei nomi e va di solito al plurale. Esempi – la carta e la penna sono pronte, ho la faccia e le mani sporche. POSIZIONE DELL’AGGETTIVO QUALIFICATIVO In italiano l’aggettivo qualificativo può essere collocato sia prima del sostantivo (funzione accessoria, descrittiva) sia dopo (funzione distintiva o restrittiva); molto spesso cambia di significato col variare della sua posizione. Esempio: prendi la strada vecchia, è più breve della nuova (funzione distintiva o restrittiva) La vecchia strada si arrampicava per la montagna (funzione accessoria, descrittiva). NOMINAZIONE DELL'AGGETTIVO QUALIFICATIVO GRADI DELL’AGGETTIVO QUALIFICATIVO Con l’aggettivo qualificativo possiamo esprimere non soltanto la qualità, ma anche la misura (grado) in cui tale qualità è posseduta. Esempi – bello, più bello, bellissimo \ brutto, più brutto, bruttissimo. Bello e brutto – grado positivo perché esprimono la qualità senza indicarne le misura. Più bello e più brutto – grado comparativo perché esprimono una qualità stabilendone il confronto. Bellissimo e bruttissimo – grado superlativo perché esprimono una qualità in misura molto alta. 1) GRADO COMPARATIVO – stabilisce un confronto tra due termini rispetto a una stessa qualità (Mario è più intelligente di Paolo), oppure tra due qualità rispetto ad uno stesso termine (Mario è più intelligente che studioso). Vi sono differenti comparativi:  Comparativo di maggioranza: si ottiene facendo precedere l’aggettivo da più, mentre davanti al secondo termine di paragone possono andare che o di. Esempio: è più giovane di Franco. Correva più veloce di me.  Comparativo di minoranza: stessa costruzione del comparativo di maggioranza, ma al posto di “più” si mette il “meno”. Esempio: è un inverno meno freddo che umido La Francia è meno grande del Belgio.  Comparativo di uguaglianza: si ottiene introducendo il secondo termine con l’avverbio quanto o come, mentre il primo termine può essere usato da solo. Esempio: sono stanco quanto (o come) te. Il comparativo di uguaglianza può essere preceduto anche da tanto o così, ma oggi tale costrutto non viene utilizzato molto. 2) GRADO SUPERLATIVO Il superlativo può essere di due tipi.  Superlativo relativo: esprime il grado massimo o minimo di una qualità. Si differenzia dal comparativo di maggioranza o di minoranza per la presenza dell’articolo determinativo davanti all’aggettivo o al nome. Esempio – è il più bel romanzo che io abbia letto. Se invece è espresso con termine di confronto collettivo plurale, questo è introdotto da di o, meno spesso, tra o fra. Esempio – l’uomo più ricco di tutti\ fra tutti.  Superlativo assoluto (in issimo) indica la qualità al massimo grado, senza relazioni con altri concetti. Esempio – un amico carissimo, pochissimi soldi. Non hanno gradazione alcuni aggettivi che contengono già in sé l’idea del superlativo. Essi sono definiti “aggettivi non graduabili”. Tra questi vi sono: divino, eccezionale, enorme, eterno, immenso, infinito, straordinario, magnifico. 1. AGGETTIVI POSSESSIVI – concordano con il nome cui si riferiscono, non con la persona del possessore). Indicano la persona cui appartiene una determinata cosa; hanno una duplice funzione: da un lato specificano l’oggetto posseduto, dall’altro precisano la persona del possessore. Dato che le persone sono tre al singolare (io, tu, egli) e tre al plurale (noi, voi, essi), anche gli aggettivi possessivi, saranno tre per le persone singolari e tre per le persone plurali. Essi sono:  Mio, mia, miei, mie  Tuo, tua, tuoi, tue  Suo, sua, suoi, sue  Nostro, nostra, nostri, nostre  Vostro, vostra, vostri, vostre  Loro, loro, loro, loro – è invariabile  Proprio – può sostituire il possessivo di terza persona singolare e plurale, solo quando si riferisce al soggetto della frase (ha sperperato il proprio denaro; hanno fatto il proprio dovere). Esso è obbligatorio nelle costruzioni impersonali (difendere le proprie idee…) + rafforza l’aggettivo possessivo (l’ho visto con i miei propri occhi).  Altrui: indica un possessore indefinito e corrisponde alle espressioni “di altri, degli altri”; è invariabile. VALORI DELL’AGGETTIVO POSSESSIVO – equivale ad un complemento di specificazione (di chi, di che cosa?). Oltre ad esprimere l’idea della proprietà e del possesso, questo aggettivo viene usato anche per indicare le relazioni di parentela (mio padre, tua madre), o rapporti di amicizia, di lavoro, di affari, di clientela (i miei compagni, il tuo capoufficio. Viene usato anche per rapporti interpersonali: la mia scuola (appartenenza, ma non possesso), devi fare il tuo dovere (pertinenza, ciò che ti compete). USO DELL’AGGETTIVO POSSESSIVO Viene usato:  Nelle frasi vocative ed esclamative: signori miei, così non va; figlio mio!  Quando si vuole accentuare l’idea di possesso (questa casa è la mia)  In varie locuzioni con preposizioni (di testa mia, per colpa sua). In tutti questi casi NO ARTICOLO. SI ARTICOLO:  Quando il nome di parentela è al plurale (i suoi fratelli, i nostri zii)  Con i nomi composti o alterati (il mio bisnonno, la mia zietta)  Con loro e proprio (la loro sorella)  Con i nomi affettivi (papà, babbo, mamma, figliola, figliolo).  Con il nome nonna e nonno (si può mettere l’articolo oppure fare senza) – il mio nonno o mio nonno. 2. AGGETTIVI DIMOSTRATIVI – determinano una persona o una cosa secondo il rapporto di vicinanza o di lontananza nello spazio, nel tempo o nel discorso. Hanno diverse funzioni:  Funzione deittica: mostrare, come se si facesse un gesto di indicazione; infatti, nella lingua parlata, è spesso accompagnato dall’indice teso.  Funzione anaforica: consiste nel riprendere un termine già anticipato  Funzione cataforica: consiste nell’anticipare un elemento che viene spiegato successivamente. Esempio: la ragione per cui ti ho scritto è questa: volevo dirti apertamente la mia opinione. Tra gli aggettivi dimostrativi vi sono: - QUESTO: indica una persona o una cosa vicina a chi parla. Esempio: questa bambina cresce a vista d’occhio (vicinanza nello spazio) - CODESTO: indica una persona o una cosa vicina a chi ascolta. Il suo uso è limitato alla Toscana e al linguaggio letterario. Esempio: chi è codesto ragazzo? - QUELLO: indica una persona o una cosa lontana da chi parla e da chi ascolta. Esempio: conosci quel signore? - STESSO E MEDESIMO: indicano identità fra due elementi. Esempio: siamo dello stesso segno zodiacale \ sono due malattie che si manifestano con i medesimi sintomi. - TALE: ha quasi esclusivamente una funzione anaforica (dette tali parole, se ne andò). È anche un aggettivo indefinito. 3. AGGETTIVI INDEFINITI – a differenza di quelli dimostrativi che danno un’indicazione precisa, gli indefiniti forniscono un’indicazione generica ed approssimata. Tra di essi emergono:  OGNI: indica una totalità di persone o cose considerate singolarmente (ogni uomo è mortale). Può anche avere un valore distributivo (ogni tre mesi devi fare una visita di controllo).  CIASCUNO: ha il femminile, ma non il plurale; nel significato equivale a ‘ogni’. Esempio: ciascuna copia è stata firmata. Al maschile subisce il troncamento in ‘ciascun’ davanti a una consonante semplice o a una vocale (ciascun cittadino\ciascun uomo). Al femminile si può elidere davanti a una vocale (ciascun’amica).  QUALUNQUE: è invariabile e significa ‘quale che sia’. Può essere preceduto dall’articolo (una qualunque risposta bisognerà dargliela) e può anche seguire il sostantivo (passami un giornale qualunque). Ha anche un senso spregiativo: è un uomo qualunque.  QUALSIASI O QUALSIVOGLIA: sono entrambi invariabili e si accompagnano a sostantivi singolari; quando si riferiscono al plurale, si pospongono al nome (sono piatti di porcellana, non piatti qualsiasi). Il loro significato coincide con quello di ‘qualunque’.  NESSUNO: ha un valore negativo e significa ‘non uno’, ‘neppure uno’. Si comporta come ciascuno, per quanto riguarda l’elisione e il troncamento. Esempio: nessun pericolo lo spaventa \ nessuna impresa (nessun’impresa) è priva di ostacoli. Si usa anche in frasi che hanno già una negazione (non c’è più nessun dubbio).  QUALCHE: indica una pluralità indefinita ma limitata  ALCUNO: si usa al singolare solo nelle frasi negative (non posso darti alcun aiuto). Nelle frasi positive è sostituito da ‘qualche’ (mi occorre qualche foglio, non alcun foglio).  CERTO: è di solito accompagnato al singolare dall’articolo UN. Esempio: ha telefonato un certo Rossi.  POCO: indica una quantità scarsa.  MOLTO: indica una quantità notevole, in opposizione a poco.  ALQUANTO: ha un significato intermedio fra poco e molto, indica una quantità discreta.  PARECCHIO: indica una quantità inferiore rispetto a molto.  TANTO: equivale a molto. Esempio: ho tanto sonno.  TROPPO: indica eccesso, sovrabbondanza.  ALTRETTANTO: esprime uguaglianza nella quantità. Esempio: domani dovrò fare altrettanti compiti (cioè tanti compiti quanto oggi).  TUTTO: indica totalità. Può avere anche un valore avverbiale – Marta tremava tutta.  ALTRO: indica una quantità aggiunta in maniera imprecisata. Esempio: occorre altro sale. Indica anche la diversità (erano altri tempi). 4. AGGETTIVI INTERROGATIVI – servono a domandare la qualità, l’identità, la quantità del sostantivo cui si riferiscono. Essi sono: CHE, QUALE, QUANTO. CHE: è invariabile Esempio: mettetevi in fila due a due Procedete uno ad uno  AGGETTIVI NUMERALI COLLETTIVI Indicano un insieme numerico di persone o di cose. Fanno parte di essi aggettivi come: coppia, paio, dozzina, ventina, trentina… Fanno parte anche di questa categoria i termini usati nel gioco del lotto o della tombola (ambo, terno, quaterna, cinquina) e i sostantivi che indicano un periodo di due, tre o sei mesi (bimestre, trimestre, semestre). CAP 7: IL PRONOME (dal latino PRONOMEN, che sta al posto (pro) di un nome (nomen); quindi i pronomi dovrebbero essere i sostituti del nome. È la parte variabile del discorso che permette di designare qualcuno o qualcosa senza nominarli direttamente e di precisarne caratteristiche di quantità, di qualità e di spazio. Esso svolge diverse funzioni:  Funzione stilistica – evitando le ripetizioni, il pronome contribuisce all’economia del discorso  Funzione deittica – il pronome serve ad indicare, a mostrare qualcosa che è presente nell’atto della comunicazione. Es) dammi questo, non quello.  Funzione sintattica – il pronome può essere un elemento della costruzione della frase. Oltre alle diverse funzioni, esistono anche diversi tipi di pronomi: - I pronomi personali e relativi (hanno una funzione pronominale) - I pronomi possessivi, dimostrativi, indefiniti, interrogativi (hanno anche una funzione aggettivale). I PRONOMI PERSONALI La definizione dei pronomi personali varia a secondo delle persone: i pronomi di prima e seconda persona rappresentano chi parla e chi ascolta; quello di terza persona indica colui del quale si parla. PRONOMI PERSONALI SOGGETTO Il pronome personale soggetto di prima persona è IO per il singolare, NOI per il plurale; quello di seconda persona è TU per il singolare, VOI per il plurale. Quello di terza persona dispone di una maggiore varietà di forme: tre coppie per il singolare (EGLI-ELLA, LUI-LEI, ESSO- ESSA); per il plurale, la coppia essi-esse e la forma LORO, che ha valore sia di maschile sia di femminile. Egli e lui si usano con riferimento alle persone; esso è usato per animali e cose. La stessa differenza non si riscontra tra lei ed essa, poiché essa è riferita anche a persone, ma il suo uso è sempre meno comune e ha un carattere letterario. Lei invece si riferisce anche agli animali e alle cose. La forma ella è caduta in disuso; è sentita come letteraria e solenne. Le forme del plurale essi-esse servono per indicare tanto le persone quanto gli animali e le cose. Loro è usato con riferimento alle persone. SONO OBBLIGATORIE le forme lui, lei, loro anziché egli, essa, ella, essi, esse:  Quando si vuole mettere in rilievo il soggetto  Dopo come e quanto, cioè in complimenti di paragone (sei bravo come lui)  Tra ecco e che (ecco lui che non ci crede mai a niente)  Nelle contrapposizioni: lui dice sì, lei dice no PRONOMI PERSONALI COMPLEMENTO Svolgono due funzioni:  Tonica o forte che dà al pronome un particolare rilievo  Atona o debole che nel discorso si appoggia al verbo. Forma tonica – alla prima persona singolare io corrisponde a ME, tu a TE, NOI e VOI sono comuni al soggetto e ai complementi, LUI si usa per il singolare maschile, LEI per il singolare femminile, LORO per il plurale maschile e femminile. ESSO, ESSA, ESSI ed ESSE si riferiscono soltanto agli animali e alle cose. Forma atona – si usano soltanto per il complemento oggetto e per quello di termine. MI vale ‘me’ e ‘a me’ – pronome di prima persona singolare TI vale ‘te’ e ‘a te’ – pronome di seconda persona singolare CI vale ‘noi’ e ‘a noi’ – pronome di prima persona plurale. Oltre alla funzione del complemento oggetto e di termine di termine CI svolge anche la funzione di: avverbio di luogo (in due ci stiamo stretti) e del complemento dimostrativo (non ci fare caso) – ci = a ciò. VI vale ‘voi’ e ‘a voi’ – pronome di seconda persona plurale. Anche VI svolge le funzioni di CI, ma meno comunemente. La forma atona del pronome di terza persona è SI (sé e a sé) nell’uso riflessivo, cioè quando si riferisce allo stesso oggetto. Alla terza persona singolare e plurale, quando non si riferisce al soggetto della proposizione, il pronome presenta differenti forme. Per il complemento oggetto emergono: LO (singolare maschile) LA (singolare femminile) LI (plurale maschile) LE (plurale femminile) Per il complemento di termine vi sono: GLI (singolare maschile) NB: è bene mantenere la distinzione tra gli e le. LE (singolare femminile) LORO (plurale maschile e femminile) – viene collocato dopo il verbo. Es) comunicai loro la notizia. La forma in cui loro viene prima del verbo, oggi è rara. Oggi loro, viene spesso sostituito da gli. Es) li invitai a casa e gli offrii un aperitivo (al posto di offrii loro). FORME ACCOPPIATE DI PRONOMI ATONI – i pronomi atoni me, te, se, ce, ve, come forme variate dei pronomi mi, ti, si, ci, vi, possono essere usati solo in coppia con i pronomi: lo, la, li, le, ne. Facendo così emergono le forme accoppiate: me lo, te la, se li, ce le, ve ne. Il pronome che occupa il primo posto è un complemento di termine, quello che occupa il secondo posto è un complemento oggetto (o un complemento di specificazione, oppure un altro complemento, se si tratta di NE). Il pronome atono GLI, seguito da lo, la, li, le, ne diventa glie, dando così luogo alle forme glielo, gliela, glieli, gliele, gliene, usate per qualsiasi genere e numero. Es) glielo mostrai (lo riferii a lui, a lei o a loro). COLLOCAZIONE DEI PRONOMI ATONI Le forme atone dei pronomi personali spesso precedono il verbo, appoggiando su di esso il loro accento, e si dice che sono proclitiche. Succede anche che alcune volte seguono il verbo (enclitiche) e si incorporano ad esso formando una sola parola. Ciò accade:  Con un infinito, che perde la vocale finale. Es) sei venuto per parlarmi?  Con un gerundio (conoscendolo meglio)  Con un imperativo (fatemi il favore di stare zitti!)  Con l’avverbio ecco (eccomi pronto). PRONOMI ALLOCUTIVI Quando nel parlare ci si rivolge a un interlocutore di riguardo o a una persona con cui non si è in confidenza, si usano i pronomi allocutivi di rispetto e di cortesia. LEI (letterario ella) e VOI per il singolare, LORO per il plurale. Il più diffuso pronome allocutivo è LEI. Al plurale, invece del pronome di cortesia loro, si usa più comunemente voi. Es) come sapete voi \ se, voi signori …. Nelle lettere i pronomi allocutivi vengono scritti con l’iniziale maiuscola, anche se si trovano dopo il verbo. Es) nel ringraziarLa Nel rivolgersi a persone con cui abbiamo rapporti di amicizia, di familiarità o di confidenza, si usa il tu per il singolare e il voi per il plurale.  Un nome: es) la quasi totalità  Un complemento  Un’intera frase: es) certamente, Mario abita in questa casa. FORMAZIONE DELL’AVVERBIO Gli avverbi si distinguono in: - Semplici: quegli avverbi che hanno una forma autonoma, non derivata da altre parole; per esempio: mai, forse, bene, dove, più - Composti: quegli avverbi che risultano dalla fusione di due o più parole; per esempio: almeno (al+meno), perfino (per+fino) - Derivati: quegli avverbi che hanno origine da un’altra parola, trasformata in avverbio attraverso l’aggiunta del suffisso MENTE. Es) allegro – allegramente - Locuzioni avverbiali: sequenze fisse di elementi che per il loro significato e per la loro funzione corrispondono ad avverbi. Es) all’improvviso, di frequente, poco fa, press’a poco, d’ora in poi… Una locuzione avverbiale, spesso, può essere sostituita con un avverbio: all’improvviso – improvvisamente \ di frequente – frequentemente AVVERBI DERIVATI La maggior parte degli avverbi si ottiene aggiungendo il suffisso MENTE. Es) certamente\stupidamente\allegramente… Altri avverbi invece aggiungono il suffisso ONI. Tali avverbi indicano soprattutto una particolare posizione del corpo. Es) bocca – bocconi \ ginocchio – ginocchioni \ ciondolare – ciondoloni TIPI DI AVVERBI Secondo il loro significato, gli avverbi si distinguono in:  Avverbi di modo  Avverbi di luogo  Avverbi di tempo  Avverbi di giudizio  Avverbi di quantità  Avverbi interrogativi AVVERBI DI MODO Indicano il modo in cui si svolge un evento. Appartengono a questo tipo:  Gli avverbi in MENTE: calorosamente, allegramente  Gli avverbi in ONI: penzoloni, cavalcioni  Alcuni avverbi: bene, male Locuzioni avverbiali di modo – di corsa, di solito, di fretta, di sicuro, in un batter d’occhio AVVERBI DI LUOGO Specificano la collocazione di un oggetto nello spazio, la sua posizione rispetto agli interlocutori, il luogo in cui si svolge l’azione. Fanno parte di essi: qui, qua, quaggiù, là, lassù , lì, sopra, sotto, vicino, lontano… Si può notare che: - QUI, QUA e i composti QUA SOTTO, QUA SOPRA, QUAGGIù indicano un luogo vicino a chi parla, ma lontano da chi ascolta - Lì, LA’ e i composti LAGGIU’, LASSU’ indicano un luogo lontano sia da chi parla, sia da chi ascolta - COSTì, COSTA’ (rari nell’uso parlato), indicano un luogo distante da chi parla, ma vicino a chi ascolta. Locuzioni avverbiali di luogo – di qua, di là, di sopra, di sotto, in su…. AVVERBI DI TEMPO Servono a determinare il tempo di svolgimento di un’azione. Es) ora, adesso, allora, prima, dopo, ieri, domani, presto, ancora… L’avverbio MAI è usato nel significato di “qualche volta” (l’hai visto mai?). spesso si usa anche per rafforzare la negazione (non obbedisce mai). Locuzioni avverbiali di tempo – un giorno, per tempo, in tempo, di quando in quando, di botto, in un batter d’occhio…. AVVERBI DI GIUDIZIO Servono per affermare, negare o mettere in dubbio un evento. Sono perciò chiamati anche: - Avverbi di affermazione: certo, certamente, sicuro, sicuramente - Avverbi di negazione: non, neanche, nemmeno, neppure - Avverbi di dubbio: forse, quasi, probabilmente SI e NO – sono classificati solitamente tra gli avverbi di affermazione e di negazione; in realtà hanno una funzione analoga a quella dei pronomi. Recentemente si usano le forme esatto ed esattamente in luogo di “sì certo”, per rispondere positivamente ad una domanda. Locuzioni avverbiali di giudizio – di sicuro, di certo, senza dubbio… AVVERBI DI QUANTITA’ Indicano in modo preciso una quantità. Es) molto, poco, tanto, troppo, parecchio, abbastanza, più, meno, nulla… Gli avverbi tanto e quanto sono usati come correlativi (es: non s’impegna tanto quanto potrebbe). Locuzioni avverbiali di quantità: all’incirca, press’a poco, né più, né meno… AVVERBI INTERROGATIVI Introducono una domanda che può riguardare:  Il modo: come?  Il luogo: dove?  Il tempo: quando?  La misura: quanto?  La causa: perché? Gli avverbi dove, ove, donde e onde, oltre ad avere la funzione interrogativa, hanno anche quella relativa. Es: quella è la casa dove (=in cui) abito. GRADI E ALTERAZIONI DELL’AVVERBIO Come gli aggettivi anche numerosi avverbi hanno il comparativo ed il superlativo. Es) fortemente – più fortemente – fortissimamente Tardi – più tardi – tardissimo Lontano – più lontano – lontanissimo Vi sono anche avverbi che hanno pure le forme alterate. Es) bene – benino \ benone Male – maluccio \ malaccio Poco – pochino \ pochetto POSIZIONE DELL’AVVERBIO L’avverbio di solito si colloca prima dell’aggettivo (sono troppo stanco) e dopo il verbo (abita lontano). Gli avverbi di modo però hanno una posizione libera. Es) improvvisamente scoppiò il temporale\ scoppiò improvvisamente il temporale\ scoppiò il temporale, improvvisamente.  Moto da luogo: vengo da Milano  Moto a luogo: arrivo da te  Stato in luogo: ti aspetto dall’avvocato  Moto per luogo: sono fuggiti dalla finestra  Agente e causa efficiente: è stimato da tutti  Causa: piansi dalla gioia  Separazione: i Pirenei dividono la Spagna dalla Francia  Origine, provenienza: la lingua italiana deriva dal latino  Fine: carte da gioco, sala da pranzo  Qualità: una ragazza dagli occhi azzurri  Stima, prezzo: un’automobile da 15 mila euro Tale preposizione introduce le proposizioni: - Consecutive: ho una fame da lupi - Finale: dammi un libro da leggere. LA PREPOSIZIONE “IN” Il valore della preposizione IN è quello di collocazione nello spazio e nel tempo. Essa regge i seguenti complementi:  Stato in luogo: sto in casa  Moto a luogo: domani vado in Francia  Moto per luogo: corro nei campi  Modo: stare in ansia  Mezzo: andare in macchina  Materia: una statua in pietra  Tempo determinato: sono nata nel 1996  Tempo continuato: finirò il lavoro in due settimane LA PREPOSIZIONE “CON” Il valore di CON è quello di addizione. Essa regge i seguenti complementi:  Compagnia: vado con lui  Relazione: mi sposo con Giovanni  Mezzo: arriverò con l’aereo  Qualità: una maglietta con le righe  Tempo: i fiori sbocciano con l’arrivo del primo sole LA PREPOSIZIONE “SU” Indica una posizione superiore. Regge i seguenti complementi:  Stato in luogo: il libro è sul tavolo  Moto a luogo: andiamo sul terrazzo  Età: è una donna sui 50 anni  Stima, prezzo: questa maglietta l’ho pagata sui 40€  Quantità, misura: peso sui 70 kg  Tempo determinato: tornerò sul tardi  Tempo continuato: ho lavorato sulle 17 ore LA PREPOSIZIONE “PER” Il valore è quello di tramite. Regge i seguenti complementi:  Moto per luogo: passare per Milano  Moto a luogo: partirò per l’America  Stato in luogo: era seduto per terra  Mezzo: comunicare per telefono  Causa: tremare per il freddo  Vantaggio, svantaggio: è meglio per loro  Distributivo: mettetevi in fila per due LE PREPOSIZIONI TRA E FRA Indicano una posizione intermedia tra due elementi (per questo sono spesso correlate dalla congiunzione E). Esempio: un ponte tra una riva e l’altra Tra e Fra reggono i seguenti complementi:  Stato in luogo: tra i due monti vi è una vallata  Moto a luogo: torna il prima possibile tra noi  Relazione: una discussione tra amici  Compagnia: ama stare fra gli altri  Partitivo: sei il migliore tra i miei amici ALTRE PREPOSIZIONI DI, A, DA, IN, CON, SU, PER, TRA (FRA) – proposizioni proprie ovvero che hanno la sola funzione proposizionale. DAVANTI, DIETRO, CONTRO, ECCETTO, ESCLUSO, DENTRO, FUORI, SECONDO ecc – proposizioni improprie (forme che sono anche avverbi, aggettivi e verbi). Il gruppo più presente è quello delle preposizioni-avverbi (davanti, dietro, dopo, prima, sopra, sotto). Seguono anche le preposizioni-aggettivi (lungo, vicino, lontano) ed infine vi sono alcuni verbi che funzionano esclusivamente come preposizioni (durante, mediante, escluso, eccetto…) Alcune di queste preposizioni possono associarsi ad altre preposizioni (soprattutto ad a e di), formando così le locuzioni preposizionali. Tra queste vi sono: vicino a, accanto a, davanti a, dietro a, prima di, dopo di, fuori di, insieme con… Queste locuzioni preposizionali hanno la stessa funzione delle preposizioni. Es) l’ha uccisa per mezzo di un pugnale = l’ha uccisa con un pugnale. CAP 11: LA CONGIUNZIONE E L’INTERIEZIONE Le congiunzioni sono parole che uniscono due o più parole in una proposizione o due o più proposizioni in una frase. Esse svolgono un ruolo fondamentale per l’organizzazione del discorso. Es) la frase: devo andare a Parigi e a Londra per lavoro ha lo stesso significato di: devo andare a Parigi per lavoro e devo andare a Londra per lavoro. Le congiunzioni si distinguono in:  Coordinative: uniscono proposizioni o parti di proposizione sintatticamente equivalente  Subordinative: uniscono proposizioni sintatticamente non equivalenti  Semplici: formate da una sola parola; es) e, o, ma come, che, né  Composte: formate da due o più parole unite insieme; es) oppure, neanche, sebbene, nondimeno  Locuzioni congiuntive: formate da più parole scritte separatamente; es) per il fatto che, di modo che, dal momento che… CONGIUNZIONI COORDINATIVE Possono essere:  Copulative: segnalano un collegamento puro e semplice. Tra esse vi sono: e, anche, neanche, pure, né, neppure - Posizione aperta: l’aria passa attraverso la zona libera compresa tra le corde vocali, dando così luogo ad una consonante sorda come la p, la t, la k. - Posizione accostata: le corde vocali entrano in vibrazione producendo un’onda sonora; in tal modo hanno origine le consonanti sonore (b\d\g) e le vocali (a\e\i) Dopo aver superato le corde vocali l’aria esce attraverso la cavità nasale ed orale. Si determina a questo punto un’altra distinzione: quella tra articolazioni orali e nasali. Nel primo caso il velo palatino (la parte posteriore mobile del palato che termina con l’ugola) si solleva e si appoggia alla parte posteriore della faringe, chiudendo così l’accesso alla cavità nasale, in modo che l’aria può uscire solo attraverso la bocca. Nel secondo caso, il velo palatino è abbassato e l’aria penetra anche nella cavità nasale. LE VOCALI – costituiscono il nucleo centrale della sillaba; sono alla base della pronuncia. La differenza più comune è quella tra vocali e consonanti. VOCALE: se l’aria può uscire dalla cavità orale, o dalla cavità orale e nasale insieme, senza che si frapponga alcun ostacolo. CONSONANTE: se il canale orale è chiuso o semichiuso in un certo punto. I fonemi vocalici in italiano sono 7: 4) /a/: la lingua si abbassa sul fondo della bocca, dando luogo al massimo grado di apertura del canale orale 5) / /: e aperta di bene, testa, zero… la lingua si solleva e si avvicina al palato 6) /e/: e chiusa di metto, rete, sera… la lingua si accosta al palato in un punto ancora più anteriore 7) /i/: sollevamento della lingua 8) / /: o aperta di forte, nove… le labbra si restringono, la lingua si solleva 9) /o/: o chiusa di dove, sono… avanzamento delle labbra, mentre la lingua retrocede 10)/u/: si raggiunge il massimo avanzamento delle labbra Sulla base di queste descrizioni, possiamo raggruppare le vocali nel cosiddetto triangolo vocativo, nel quale si distinguono tre vocali anteriori (o palatali): /i/, /e/, / /, una vocale centrale: /a/ e tre vocali posteriori (o velari): / /, /o/, /u/. Inoltre si distinguono tre vocali aperte: / /, /a/, / /; quattro vocali chiuse: /i/, /e/, /o/, /u/. LE CONSONANTI Ci sono tre modalità per definire i suoni consonantici: 4) Modo dell’articolazione – cambia l’entità del restringimento del canale fonatorio 5) Luogo dell’articolazione – punto del canale fonatorio in cui il suono si articola 6) Grado di vibrazione – dato dal movimento o dal non movimento delle corde vocali. Secondo il modo dell’articolazione le consonanti si distinguono in:  Occlusive: determinano un’occlusione, una chiusura del canale. Pronunciando una p o una b chiuderemo un attimo le labbra; nel caso di t e d, la chiusura avviene a livello dei denti  Continue: no chiusura del canale, ma solo restringimento. Esse si dividono in:  Costrittive – chiamate anche spiranti per il fruscio che producono. Es) s ed f  Vibranti – l’apice della lingua entra in vibrazione. Es) r  Laterali: l’aria passa ai lati della lingua. Es) l  Affricate: posizione intermedia tra quelle occlusive e quelle continue. Foneticamente possono dirsi costituite da un’occlusiva e da una continua, fuse tra loro. Secondo il luogo d’articolazione le consonanti si distinguono in:  Bilabiali (p oppure b) – accostamento delle labbra  Labiodentali (f oppure v) – il labbro inferiore si accosta agli incisivi superiori  Dentali alveolari  Prepalatali  Palatali  Velari Oltre che dal luogo e dl modo di articolazione, le consonanti vengono individuate anche dalla presenza o dall’assenza di vibrazione delle corde vocali. LE SEMICONSONANTI E I DITTONGHI Per semiconsonanti si intendono quei foni che, per essere prodotti, prevedono un maggiore restringimento del canale orale, rispetto alle vocali chiuse; ne risulta un suono intermedio tra quello delle vocali e quello delle consonanti. L’italiano possiede la semiconsonante palatale (J) detta “jod” e la semiconsonante velare o labiovelare (W) detta “uau”. Le semiconsonanti compaiono esclusivamente nei dittonghi. I dittonghi (pronunciati con una solo emissione di voce) sono unità sillabiche formate da una I o da una U senza accento e da una vocale con o senza accento. Es) cuore, quindici, pioggia, aiuto La I e la U del dittongo hanno una funzione semiconsonantica se sono collocate all’inizio del dittongo. Hanno invece una funzione semivocalica se sono posizionate alla fine. I dittonghi ia, ie, io, iu e ua, ue, uo, ui, nei quali la semiconsonante precede la vocale sono dittonghi ASCENDENTI (si chiamano così perché la sonorità aumenta passando dal primo al secondo elemento. Si parla invece di dittonghi DISCENDENTI quando è la vocale a precedere la i o la u, come nei gruppi ai (fai), ei (sei), oi (poi) , au (Mauro), ed eu (pneumatico), in cui la sonorità diminuisce passando dal primo al secondo elemento. L’unione della i, della u (senza accento) e di qualsiasi altra vocale, generalmente accentata, dà luogo al trittongo. Es) suoi, tuoi, guai Quando invece due vocali, non formano un dittongo si parla di iato. C’è lo iato:  Quando non ci sono né la i, né la u: pa-ese  Quando la i e la u sono accentate: spi-a  Dopo il prefisso ri: ri-unione\ ri-avere  Nei prefissi bi e tri: bi-ennale\ tri-angolo I DITTONGHI MOBILI I dittonghi mobili sono due:  Uò  Iè Si chiamano così perché perdono le semiconsonanti U e I e si riducono a O ed E. Es) muovere \ piede \ scuola \ suola Conservano spesso il dittongo mobile:  Le parole composte e gli avverbi in mente. Es) buongiorno \ lievemente….  I verbi nuotare \ suonare \ vuotare… L’ALFABETO L’insieme dei segni grafici (grafemi), con i quali si indicano i fonemi di una determinata lingua si chiama alfabeto. Le lettere dell’alfabeto italiano sono 21 = 5 vocali, 15 consonanti, l’H (suono diacritico, ovvero priva di suono). Esse si possono scrivere sia con caratteri minuscoli, sia con quelli maiuscoli. Es) A \ a Alle ventuno lettere dell’alfabeto italiano se ne devono aggiungere altre cinque: J, K W, X, Y. Queste lettere possono trovarsi in scritture del passato o, più spesso nelle parole straniere. Es) jogging, Jung, Wilde. LE PRONUNCE REGIONALI LA SILLABA Per sillaba si intende un fonema o un gruppo di fonemi che si articola in modo distinto, con una sola emissione di voce. Tra le combinazioni fonetiche, la sillaba è quella più piccola. Le sillabe che terminano in vocale si dicono aperte (per esempio le quattro sillaba di te-le- fo-no); invece, quelle che terminano in una consonante, si dicono chiuse (per esempio le prime tre di im-por-tan-za). Le parole formate da un’unica sillaba, che può essere anche una vocale si dicono monosillabi; quelle formate da più sillabe sono i polisillabi. I polisillabi a loro volta si dividono in bisillabi, trisillabi, quadrisillabi. LA DIVISIONE IN SILLABE Alcune regole:  Una vocale iniziale di parola, fa sillaba a sé. Es) amare: a-ma-re  Le consonanti doppie si dividono. Es) ossessione: os-ses-sio-ne  I dittonghi e i trittonghi sono indivisibili. Es) pio-ve  I digrammi e i trigrammi non si dividono mai. Es) se-gno\ pe-gno\fa-scia L’ACCENTO Quando pronunciamo una parola (per esempio: finestra) la voce si ferma con maggiore intensità su una sillaba (finestra) e in particolare sulla vocale in essa contenuta (finestra); su tale sillaba e su tale vocale cade l’accento. La sillaba e la vocale accentata si chiamano toniche, quelle non accentate atone. Nella lingua italiana, la maggioranza delle parole sono piane ovvero che l’accento cade sulla penultima sillaba. Es) pas-sa-re L’accento, oltre che sulla penultima sillaba, cade anche sull’ultima – parole tronche (vir- tù\ bon-tà), sulla terzultima sillaba – parole sdrucciole (mo-bi-le) e raramente sulla quartultima sillaba – parole bisdrucciole (sci-vo-la-no). L’accento è obbligatorio:  Sulle parole tronche di due o più sillabe: sarò\virtù\caffè  In alcuni monosillabi: giù\già\più Esistono tre tipi di accenti:  accento acuto che si mette sulla o e sulla e chiuse  accento grave che si mette sulla o e sulla e aperte e anche sulle altre vocali  accento circonflesso (^). Oggi è poco usato; si può trovare soprattutto nel plurale dei nomi e aggettivi in io (vario). L’accento è molto importante soprattutto nelle parole omografe ovvero quelle parole che si scrivono uguali ma, con l’accento cambiano di significato. Es) tendìne\tèndine. LE MAIUSCOLE Nella scrittura di usano normalmente le lettere minuscole. Le maiuscole si usano soprattutto all’inizio di parola, solo in alcuni casi:  quando si comincia a scrivere e dopo un punto fermo  all’inizio di un discorso diretto – “Dove vai?”  dopo il punto interrogativo e quello esclamativo; se le domande o le esclamazioni sono più di una o comunque se sono collegate a quella che segue, si può usare anche la lettera minuscola  in tutti i nomi proprio di persona, nei cognomi, nei soprannomi, nei nomi geografici, di vie, di piazze  nei nomi di enti, società (Alitalia…)  nei titoli (I Promessi Sposi)  nei nomi di feste (Natale, Pasqua)  nei nomi di secoli o di periodi storici (Cinquecento)  nelle personificazioni (Amore, Libertà…)  nei nomi che indicano gli abitanti di una città o di un paese (gli Orceani, gli Irlandesi..) NB: i nomi dei mesi e dei giorni della settimana, generalmente, si scrivono con la lettera minuscola. LA PUNTEGGIATURA Essa serve ad indicare le pause tra le frasi o tra le parti che compongono una stessa frase, ad esprimere rapporti di coordinazione, di subordinazione, a suggerire il tono del discorso. Un uso appropriato della punteggiatura è importante non solo dal punto di vista sintattico, ma anche dal punto di vista estetico e stilistico. I segni di punteggiatura sono:  il punto: indica una pausa lunga e si mette generalmente alla fine di una frase. Se tra due frasi c’è uno stacco molto netto, dopo il punto si va a capo e si comincia un nuovo capoverso.  la virgola: indica una pausa breve. Si usa spesso nelle enumerazioni (Claudio, Luca, Emma), si usa anche per separare le proposizioni coordinate introdotte da ma, però, tuttavia e si usa tra la proposizione principale e i vari tipi di subordinate.  il punto e virgola: indica una pausa intermedia tra quella del punto e quella breve della virgola. Può dividere due o più frasi collegate tra loro, ma troppo estese per essere delimitate da una semplice virgola.  i due punti: indicano una pausa intermedia tra il punto e la virgola. Essi si usano per introdurre un elenco (alla mamma servono: le uova, le mele, l’olio, le pere…), per introdurre una spiegazione e in una combinazione con le virgolette (gli chiese: “come ti chiami?”.)  il punto interrogativo: si usa alla fine di una domanda  il punto esclamativo: si usa nelle frasi che esprimono meraviglia, stupore, gioia e dolore. Es) che paura, mi sono proprio spaventata!  i puntini di sospensione: indicano il tono sospeso, il discorso lasciato a metà  le virgolette: delimitano un discorso diretto – mi disse: “cerca di aiutarlo”  il trattino: unisce due parole tra loro collegate. Es) dizionario inglese- italiano  l’asterisco: spesso rinvia ad una nota in fondo alla pagina  la sbarretta: si usa per indicare alternanza tra due possibilità. Es) materie umanistiche e\o scientifiche  le parentesi tonde: delimitano le parole che si vogliono isolare dal discorso  le parentesi quadre: usate per racchiudere le parole che non fanno parte del testo, ma sono inserite per far maggiore chiarezza. LA FONETICA SINTATTICA Quando parliamo, non pronunciamo le varie parole che compongono il nostro discorso separate le une dalle altre, ma le uniamo più o meno fra loro. Facendo così si producono quei fenomeni chiamati: fonetica sintattica. Tra tutti questi fenomeni, quelli più importanti sono: l’elisione: consiste nella caduta della vocale finale di una parola di fronte alla vocale iniziale della parola successiva; nella scrittura si indica con l’apostrofo. L’elisione è normale con gli articoli una, lo, la, con gli aggettivi quello e bello. Es) un’asta, l’erba, l’oste, bell’immagine, quell’uomo. Si ha spesso l’elisione con di (d’inverno, d’estate), ma mai di da (da udire, da oggi in poi…) il troncamento: è la caduta della parte finale di una parola. Il troncamento può essere:  vocalico – può cadere la sola vocale finale (es. cuor di leone)
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