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Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Sintesi del corso di Grammatica e Composizione

Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica. Capitoli per l'esame della Prof. Bisi. Tutta analisi logica, grammaticale, del periodo + capitoli 15,16,17.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 16/01/2022

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Scarica Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica e più Sintesi del corso in PDF di Grammatica e Composizione solo su Docsity! GRAMMATICA E LINGUA ITALIANA Y Prof: Monica Bisi La lingua è un sistema del quale fanno parte 3 sottosistemi: quello fonologico relativo ai suoni, quello morfosintattico relativo ai rapporti tra le frasi e quello lessicale-semantico, relativo ai significati delle parole. La lingua non è una, ma sono tante e ogni lingua è una manifestazione di un linguaggio, dove per linguaggio si intende non solo quello verbale ma anche quello non verbale. Oltre ad essere una facoltà che ci appartiene, la lingua è anche l’insieme di fenomeni di comunicazione. Lo scambio comunicativo rappresenta infatti la funzione primaria di ogni lingua. All’interno di uno scambio comunicativo, non sono importanti solo gli aspetti linguistici (la scelta delle parole, l'intonazione, la costruzione sintattica), ma anche gli aspetti paralinguistici (gesti, sguardi, posizione del corpo); bisogna infine tenere conto anche della situazione in cui si svolge il dialogo. Il linguaggio umano (che si manifesta mediante la lingua) è costituito da un insieme di segni di natura convenzionale che devono essere appresi. Il segno è un “qualcosa” che sta al posto di un “altro qualcosa” + pensiamo alla luce rossa del semaforo che indica alt. Più segni combinati insieme danno vita ad un codice, ovvero ad un sistema di segni. Un esempio di codice è il semaforo che, normalmente, comprende tre segni (luce verde = avanti; luce gialla = attenzione; luce rossa = alt). Un codice per poter funzionare deve essere sempre costituito dalle stesse regole. La scienza che studia i segni è la SEMIOLOGIA. Il linguaggio è dunque un prodotto della cultura, non della natura; è qualcosa che deve essere imparato. Un bambino nato a Milano e uno nato a Tokyo cammineranno e masticheranno nello stesso modo, ma il primo parlerà italiano, il secondo giapponese. Ciascun segno linguistico, che costituisce un linguaggio, possiede due facce: l’immagine acustica, cioè la successione di suoni linguistici che lo compongono, e il concetto che esso esprime. A queste due facce del segno linguistico si dà rispettivamente il nome di SIGNIFICANTE e SIGNIFICATO. Il legame tra suono linguistico e concetto espresso e dunque tra significante e significato, è del tutto arbitrario: non vi è nessun motivo logico per il quale il concetto/significato “canzone” debba unirsi a quel determinato significante, ovvero al suono della parola “canzone”. Il legame tra significato e significante ha infatti un’origine storica (cioè si trova nella storia della lingua) e può essere inteso come convenzione sociale. La SEMANTICA è quella parte della linguistica che studia il significato delle parole, dell’insieme delle parole, delle frasi e dei testi. Questa disciplina si trova a dover dialogare con la psicologia, la logica, la teoria delle comunicazioni, la stilistica, la critica letteraria e la semiologia (ovvero la scienza che studia i segni). Il tentativo di dare un fondamento certo alla semantica è stato compiuto da più parti e in più direzioni. Alcuni studiosi si sono serviti di concetti filosofici per definire il SIGNIFICATO. Nel cosiddetto TRIANGOLO SEMIOTICO di Ogden e Richards (anni ’20) la linea tratteggiata in basso vuole dire che il rapporto tra il significante (come per esempio la parola “tavolo”) e il referente, cioè l'elemento non linguistico (l'oggetto “tavolo”), non è diretto ma è mediato dal significato (la nozione di tavolo). Il significato è dunque l’immagine che a noi perviene del referente (sia esso reale o immaginario) attraverso la cultura e l'ideologia del tempo. SIGNIFICATO SIGNIFICANTE REFERENTE Due termini della logica, DENOTAZIONE e CONNOTAZIONE sono entrati nello studio del significato per esprimere due concetti di fondamentale importanza. La denotazione è il rapporto che si stabilisce tra la parola e il referente. La denotazione può dunque essere rappresentata graficamente come il triangolo sopra riportato; essa è il nucleo fondamentale di una parola, la sua visione oggettiva. La connotazione è invece l'insieme dei valori affettivi che circondano la parola; valori che possono mutare nel passaggio da un parlante all’altro, da una situazione ad un’altra. Per esempio le connotazioni della parola “dicembre” comprendono, a seconda delle persone, ‘cattivo tempo’, ‘temperatura fredda’, ‘regali’, ‘serate in famiglia’. Nella concezione dello STRUTTURALISMO, i segni linguistici si definiscono non tanto per le loro qualità positive, quanto per le loro qualità negative, cioè per le differenze e i rapporti che intercorrono tra i vari segni. Queste differenze e questi rapporti possono essere analizzati secondo due dimensioni: 1. DIMENSIONE LINEARE O SINTAGMATICA: per la quale ogni segno linguistico di una frase è in rapporto con i segni che gli sono vicini. Esempio: nella frase «Mangio una mela matura» questi quattro termini sono tutti in relazione tra di loro. 2. DIMENSIONE ASSOCIATIVA O PARADIGMATICA: la quale riguarda i rapporti tra ciascun segno linguistico della frase e i segni che potrebbero essere al suo posto. Esempio: nella frase «Mangio una mela matura», “una” potrebbe essere sostituita da “questa” o “la”; come anche “matura” potrebbe essere sostituita da “acerba” o “gialla” o “rossa”... Lo strutturalista e filosofo svizzero De Saussure distingue tra “langue” e “parole”. La “langue” corrisponde alla lingua intesa come segni e come prodotto sociale convenzionale esterno ad ogni singolo parlante, la “parole” è l'esecuzione personale di colui che parla che può anche aggiungere qualcosa di personale alla langue. Negli anni ’50 il linguista americano Chomsky ha fondato la cosiddetta GRAMMATICA GENERATIVO-TRASFORMAZIONALE. Egli critica lo strutturalismo ritenendo che esso non abbia tenuto conto del perché l’uomo riesca a produrre e comprendere un numero indefinito di frasi che non ha mai udito prima. Egli ritiene che ciò sia possibile solo perché l’uomo è dotato, fin dalla nascita, di una creatività governata da regole, applicando le quali si possono creare un numero illimitato di frasi. Con Chomsky si passa da un approccio induttivo tipico dello strutturalismo, ad uno deduttivo. La capacità del parlante di produrre e capire un numero infinito di frasi è definita COMPETENZA. Lo studio della lingua secondo i metodi dello strutturalismo e della grammatica generativo- trasformazionale è stato in anni recenti oggetto di critiche. Agli strutturalisti e ai generativisti è stato rimproverato il difetto di studiare per lo più fenomeni isolati e astratti. Essi infatti LE PARTI DEL DISCORSO E L’ANALISI GRAMMATICALE La morfologia è quella branca della grammatica che descrive e analizza le parti del discorso, cioè le parole. Le parole però non sono tutte dello stesso tipo. Esse si differenziano per FORMA, SIGNIFICATO e FUNZIONE. Per classificarle si possono suddividere in NOVE categorie grammaticali, dette, appunto, PARTI DEL DISCORSO. Le (nove) parti del discorso Fare L'ANALISI GRAMMATICALE significa VARIABILI: INVARTABILI classificare le varie parole di un testo specificando a * Articolo * Avverbio quale categoria delle nove parti del discorso e Nome * Congiunzione appartengono. Inoltre significa anche specificare * Aggettivo * Prepasizione tutte le informazioni relative ad ognuna di esse. * Pronome * Interiezione * Verbo Bozza - 20101100 PARTI VARIABILI DEL DISCORSO GLI ARTICOLI La prima funzione dell'articolo è quella di rendere la parola più corposa, meglio definita, meglio specificata. L'articolo può specificare il nome a cui è unito in due modi diversi: in modo più particolare e preciso, oppure in modo generico. Quando diciamo “la casa”, indichiamo una casa in particolare, quella casa e non un’altra: cioè la consideriamo distinta da tutte le altre case, la precisiamo, la determiniamo, e in questo caso l'articolo si chiama ARTICOLO DETERMINATIVO. Quando invece diciamo “una casa”, la indichiamo in modo generico, una casa qualsiasi; la consideriamo non più come distinta da tutte le altre case, ma confusa con esse; in questo caso l'articolo si chiama ARTICOLO INDETERMINATIVO. Spesso manca nel nome un segno distintivo del genere e del numero. Per esempio lepre, farmacista, cenere sono nomi maschili o femminili? Barbarie, boia, frutta, serie, caffè sono di numero singolare o plurale? In questi casi, è chiara l'utilità che riesce ad avere l'articolo per indicare a tutti, il genere e il numero del nome. L'articolo è così strettamente connesso col nome, che la sua presenza o anche la sola possibilità di questa presenza davanti a una parola indica che questa parola è un nome, anche se non ne ha l'aspetto, anche se originariamente apparteneva a tutt'altra categoria. Per esempio bere, dormire sono verbi; ricco povero, bello, brutto sono aggettivi, si, no, perché, quando sono avverbi e congiunzioni, ma se troviamo davanti a queste parole l'articolo vuol dire in tal caso che esse sono considerate come nomi: il bere, il dormire, il ricco, il povero, il bello, il brutto, il si, il no, il perché, il quando. ARTICOLI i i DETERMINATIVI | MASCHILE FEMMINILE Come possiamo notare dalla tabella il plurale degli articoli indeterminativi non SINGOLARE Lo LA . 3 iui hi . esiste. È così che si ricorre all'aiuto di un PLURALE ! Gu LE altro tipo di articoli, gli ARTICOLI si PARTITIVI. Essi indicano una parte INDETERMINATIVI| - MASCHILE FEMMINILE imprecisata di un tutto. Questi articoli SINGOLARE UN. UNO UNA sono: PLURALE / , - Maschile, singolare: DEL, DELLO, DELL - Maschile, plurale: DEI, DEGLI, - Femminile, singolare: DELLA, DELL’ - Femminile, plurale: DELLE Normalmente queste particelle sarebbero preposizioni articolate, ma in questo caso assumono la funzione di articolo. Usi particolari dell'articolo: Y_Inomidicittà e di piccole isole non hanno generalmente l'articolo. Assumono invece l’articolo quando sono accompagnati da un attributo o da un complemento. Esempio: «La nebbiosa Milano». Y Richiedono l'articolo i nomi dei monti (gli Appennini), dei fiumi (l'Arno) e dei laghi (il Garda), delle grandi isole (la Corsica), le regioni (la Lombardia), gli Stati (la Francia) e i continenti (l'Europa). I nomi propri di persona non hanno generalmente l’articolo. Assumono l’articolo quando sono accompagnati da un aggettivo. Esempio: «L’astuto Ulisse». vl cognomi di donna chiedono sempre l’articolo (la Deledda), come anche quelli plurali (gli Sforza). Nei cognomi di uomini l’uso dell'articolo non è costante e viene utilizzato soprattutto in ambito burocratico e giornalistico. IL NOME Analizzare grammaticalmente un nome (o sostantivo) significa saperlo classificare secondo ogni sua caratteristica. In particolare, possiamo dare vita ad una classificazione secondo il significato, che vede il nome poter essere: > Comune: Indica ogni possibile individuo nella specie. Si scrive con la lettera minuscola e può essere di persona (commessa, nonno, fiorista), di animale (formica, gallo, leone...) e di cosa (sedia, treno, mare, pace, gioia, pioggia, stagione...). 3 NB: sono nomi comuni anche i nomi dei giorni della settimana, dei mesi e delle stagioni. » Proprio: Indica un individuo in particolate. Si scrive con la lettera maiuscola e può essere di persona (Angela, Matteo, Pietro...), di animale (Fido, Bobo, Sansone...) e di cosa (Biancopiù, Collapink ...). ®NB: sono propri anche i nomi di popolo (gli Italiani, i Romani, gli Spagnoli...). ndica un insieme di persone, animali, cose della stessa specie (stormo, flotta, popolo...) >» Concreto: indica realtà percepibili: esseri viventi, oggetti, cose reali che percepiamo attraverso i sensi (acqua, cane, cielo...) >» Astratto: indica esseri o cose che non percepiamo attraverso i sensi, ma che esprimono idee e sentimenti della nostra mente (libertà, amore, coraggio, odio...). Possiamo ottenere anche una classificazione secondo la delimitabilità del referente. Dunque il nome può essere anche: > Numerabile: indica entità delimitabili. > Nonnumerabile o nome massa: indica sostanze o materiali considerati genericamente (farina, zucchero, acqua, legno...). Questi nomi non possiedono il ”»a ”»a plurale e sono talvolta preceduti da “abbastanza”, “molto”, “poco”... Il nome può essere classificato anche in base al genere. Può dunque essere: >» Maschile: (albero, Marco, Gran Sasso...) > Femminile: (carta, Anna, sedia...) N.B. 3 Molti nomi possono essere volti sia al maschile che al femminile. Esempio: poeta/poetessa; maestra/maestro; padrone/padrona; scrittore/scrittrice; possessore/posseditrice. La radice rimane sempre quella: cambia la desinenza. 3 Alcuni nomi invece sono detti indipendenti poiché nel passaggio tra maschile e femminile mutano non solo la desinenza ma anche la radice del nome. Esempio: madre/padre; fratello/sorella; marito/moglie; genero/nuora... Alcuni nomi sono detti di genere comune poiché presentano un’unica forma per maschile e femminile. Sono distinti solo dall’articolo. Esempio: la nipote/il nipote; la cantante/il cantante; il collega/la collega; il pediatra; la pediatra... > Non sempre il genere naturale e il genere grammaticale coincidono. Abbiamo alcuni nomi di persona e nomi di animali che sono infatti di genere promiscuo poiché presentano un'unica forma (maschile/femminile) per indicare un animale maschio e un animale femmina o un soggetto maschio e un soggetto femmina. Esempio: “La sentinella” potrebbe essere un uomo; “la persona” potrebbe essere un uomo. Riguardo i nomi degli animali, quelli promiscui sono, ad esempio: l’aquila; la giraffa; la pantera, la rondine, il falco, il corvo, il delfino... (NO>il cane/la cagna; gatto/gatta). Articolo e aggettivo concordano con il genere grammaticale e non con il genere naturale. è Alcuni nomi inoltre hanno significati diversi a seconda che siano espressi al maschile o al femminile. Esempio: masso/massa; pezzo/pezza; porto/porta. > Alcuni nomi invece conservano la medesima forma al maschile e al femminile e anche in questo caso i significati sono diversi. Esempio: il pianeta/la pianeta; il cenere/la cenere; v Il grado comparativo nel momento in cui paragono due cose, persone, animali; esso può essere di maggioranza nel momento in cui affermo che qualcosa è più... di qualcosa d'altro (Luca è più alto di Marco), di minoranza nel momento in cui affermo che qualcosa è meno di qualcosa d'altro (Luca è meno alto di Marco), di uguaglianza nel momento in cui affermo che qualcosa è uguale a qualcosa d’altro (Luca è alto come Marco). v Il grado superlativo che può essere assoluto (grandissimo, molto grande, assai grande, arcigrande, estremamente grande, grande grande); relativo (il più grande). N.B.: alcuni aggettivi qualificativi, detti organici, hanno due forme di superlativo relativo e di superlativo assoluto: = BUONO>S.R: il più buono/il migliore 3S.A: buonissimo/ottimo = CATTIVO>S.R: più cattivo/peggiore 3S.A: il più cattivo/pessimo = ALTO+S.R: il più alto/il superiore 3S.A: altissimo/sommo-supremo = BASSO>S.R: il più basso/l’inferiore 3S.A: bassissimo/infimo = PICCOLO+S.R: il più piccolo/il minore 3S.A: piccolissimo/minimo = GRANDE>S.R: il più grande/il maggiore 3S.A: grandissimo/massimo L'aggettivo e il pronome possessivo Indicano il possesso. Persona singolare plurale maschile femminile maschile femminile 1° sing..io | mio mia miei mie 2° sing.|\tu |tuo tua |tuoi tue 3° sing.|egli suo sua suoi sue 1° plur. \noi \nostro |nostra |nostri nostre 2° plur. |voi |vostro |vostra vostri vostre 3° plur. |essi loro loro loro loro N.B. AGGETTIVO: “Il mio gelato è buono” > “mio” è un aggettivo. PRONOME: “Il mio gelato è più grande del tuo”. + “mio” è un aggettivo, ma “tuo” è un pronome. > “PROPRIO” sostituisce il possessivo di terza persona singolare quando si riferisce al soggetto della frase (soprattutto se si rischia l'equivoco). Esempio: “Paolo ha accompagnato Maria a casa sua” (di Maria); “Paolo ha accompagnato Maria a casa propria” (di Paolo). + “ALTRUI” indica un possesso indefinito; è invariabile e va posto dopo il nome, corrisponde a “degli altri”. Gli aggettivi e i pronomi dimostrativi PRONOMI E AGGETTIVI DIMOSTRATIVI N.B. VESTO - CODESTO - QUELLO - STESSO - MEDESIMO iui e ° QUESTO= vicino al parlante CODESTO= vicino all'intelocutore MASCHILE FEMMINILE QUELLO= lontano da entrambi SING. PLUR. SING. PLUSR. questo QUESTI | QUESTA | QUESTE CODESTO | copesti | CODESTA | coneste QUELLO QUELLI QUELLA | QUELLE STESSO STESSI STESSA STESSE MEDESIMO | MEDESIMI | mepesimA | mepzsime ‘Sono PRONOMI se sostituiscono un nome Sono AGGETTIVI se sostituiscono un nome Gli aggettivi e i pronomi numerali Possono essere cardinali o ordinali. Cardinali se indicano una quantità precisa (uno, due, tre, mille, centod sono tutti invariabili tranne uno e mille); ordinali se indicano l’ordine di una serie (primo, secondo, decimo tutti variabili nel genere e nel numero). Possiamo individuare anche gli aggettivi numerali moltiplicativi, quando indicano una qualità maggiore di un’altra (doppio, triplo...); ma anche gli aggettivi frazionari, distributivi e collettivi. Quelli frazionari sono formati dall’unione di un numero cardinale, che indica la parte, e un numero ordinale, che indica il tutto (esempio: “due terzi”); quelli distributivi sono locuzioni che indicano come più persone o cose sono ripartite (esempio: “ad uno ad uno”; “in fila per due”); quelli collettivi che indicano un insieme numerico di persone, (esempio: “coppia”; “dozzina”; “centinaio”...) Esempio: “Due bambini giocano”+ “due” è un aggettivo. Esempio: “Guarda quei bambini! Due giocano. + “due” è un pronome. Gli aggettivi e i pronomi interrogativi ed esclamativi Domandano qualità, quantità, identità del nome a cui si riferiscono: v Aggettivi e pronomi interrogativi: Che? Quale? Qual? Quali? Quanto? Quanti? Y Solo pronomi interrogativi: Che cosa? Chi? Gli interrogativi, se usati in una frase esclamativa, diventano esclamativi. Esempio: “che fai stasera?”> “Che meraviglia!”. Gli aggettivi e i pronomi indefiniti Offrono informazioni generiche sui nomi. v Aggettivi e pronomi indefiniti: alcuno, taluno, ciascuno, nessuno, tanto, poco, troppo, parecchio, molto, tutto, quanto, altro, alquanto, certo. Y Solo aggettivi indefiniti: ogni, qualche, qualsiasi, qualunque. Y Solo pronomi indefiniti: qualcuno, ognuno, chiunque, qualcosa, niente, nulla. IL PRONOME < Il pronome è una parte variabile del discorso che si usa al posto di un altro elemento della frase, di solito il nome; esempio: “Federica arriverà in stazione domani mattina e la dovremo andare a prendere”. Il pronome svolge una serie di funzioni: v STILISTICA: quando evita ripetizioni v DEITTICA: quando mostra qualcosa v SINATTICA: quando serve a costruire una frase. I pronome si può trovare anche al posto di altri elementi della frase: - di un >predicato verbale “Danzava da un'ora e lo avrebbe fatto per tutta la notte” - un 3aggettivo “Avresti dovuto essere comprensiva e invece non lo sei stata” - un’intera proposizione “Dov'è tuo fratello? Non me lo hai detto” Oltre ai pronomi POSSESSIVI, DIMOSTRATIVI, NUMERALI, INTERROGATIVI, ESCLAMATIVI E INDEFINITI possiamo avere altri tipi di pronomi: PRONOMI RELATIVI: che, chi, cui, il quale, la quale, i quali, le quali PRONOMI PERSONALI Riguardo i pronomi personali essi si possono distinguere in pronomi personali soggetto e pronomi personali complemento. POSTERIORITÀ, nel caso in cui si parli del TEMPO FUTURO. Ogni modo presenta determinati tempi verbali che rispondono al presente, passato e futuro: modo PRESENTE PASSATO FUTURO INDICATIVO presente imperfetto futuro semplice passato prossimo futuro anteriore passato remoto trapassato prossimo îrapossato remoto CONGIUNTIVO | presente imperfetto passato trapassato CONDIZIONALE | presente passato IMPERATIVO presente futuro INFINITO presente passato PARTICIPIO presente passato GERUNDIO presente passato Possiamo inoltre distinguere tra tempi composti e tempi semplici: i tempi semplici sono tempi costituiti da un solo termine (“amo”, “temevo”, “arrivò”...); quelli composti sono quei verbi costituiti dall'unione del participio passato del verbo con una voce del verbo essere o avere (“ho amato”, “avevo temuto”, “fu arrivato”, “sarà partito”. Sono tempi semplici: * INDICATIVO: presente, imperfetto, passato remoto, futuro. * CONGIUNTIVO: presente, imperfetto *. CONDIZIONALE: presente ® IMPERATIVO: presente, futuro * INFINITO: presente *PARTICIPIO: presente, passato * GERUNDIO: presente Sono tempi composti: * INDICATIVO: passato prossimo, trapassato prossimo, trapassato remoto, futuro anteriore * CONGIUNTIVO: passato, trapassato ®*. CONDIZIONALE: passato ® INFINITO: passato ® GERUNDIO: passato Riguardo il tempo è importante tenere conto anche dell’aspetto verbale, ovvero il modo con cui il parlante considera l’azione espressa dal verbo. Esso può essere: O Aspetto perfettivo: quando l’azione è considerata compiuta. O Aspetto imperfettivo: quando l’azione è considerata nel suo svolgersi. O Aspetto compiuto: quando l’azione è considerata nei suoi effetti che perdurano. LA PERSONA E IL NUMERO: che specifica a quale/i e quanti individuo/i, tra quelli coinvolti direttamente o indirettamente nel discorso, il verbo fa riferimento. v LA TRANSITIVITÀ/INTRANSITIVITÀ: in base al fatto che il verbo possa avere o no un complemento oggetto. Si chiamano transitivi quei verbi che rispondono alla domanda CHI? CHE COSA? Reggono dunque un complemento oggetto (“Marco legge un libro” 3 “un libro”= complemento oggetto); i verbi intransitivi sono quei verbi che non rispondono alla domanda CHI? CHE COSA? e non possono dunque reggere un complemento oggetto. Reggono un complemento indiretto (“L'uomo impallidì”; “Giovanni è partito”; “Siamo finalmente arrivati” ; “lo esco”; “Teresa dorme”). Alcuni verbi possono essere transitivi oppure intransitivi, cambiando di significato: “Aspirare il fumo” (transitivo)> “Aspirare ad una carriera” (intransitivo); “Attendere un amico” (transitivo)> “Attendere a un lavoro” (intransitivo). > LA FORMA ATTIVA/PASSIVA: in base al fatto che l’agente del verbo sia o non sia il soggetto della frase. Nella forma attiva il soggetto è l'agente della frase. Esempio: “Il bambino lancia un sasso” (forma attiva perché l’agente del verbo è il bambino, soggetto della frase). Nella forma passiva il vero agente della frase non è il soggetto ma il complemento, che si chiama complemento d’agente. “Un sasso è lanciato dal bambino” (forma passiva perché l’agente del verbo non è il soggetto “un sasso”, ma il complemento “dal bambino”). N.B. + Possono avere la forma passiva solo dei verbi transitivi. Sarà infatti proprio il complemento oggetto tipico dei verbi transitivi che, nella forma passiva, diviene il soggetto. Il soggetto della frase attiva diviene invece, nella frase passiva, un complemento introdotto dalla preposizione “da”: il complemento d’agente (quando l’agente è inanimato, questo complemento prende il nome di complemento di causa efficiente). FORMA la polizia insegue i ladri ATRVA SOGGETTO VERBO c.OGGETO FORMA i ladri sono inseguiti dalla polizia PASSIVA SOGGETTO VERBO C. D'AGENTE * FORMA RIFLESSIVA: alcuni verbi transitivi presentano una forma riflessiva, nel momento in cui il soggetto coincide con l’oggetto; il fatto espresso dal verbo riflessivo “si riflette”, appunto, sul soggetto stesso. Esempi: “Io mi lavo”; “tu ti pettini”; “Luciano si veste”. Il verbo riflessivo è sempre accompagnato dai pronomi personali “mi”, “ti”, si”, “ci”, “vi” che svolgono la funzione di complemento oggetto. > Si parla di FORMA RIFLESSIVA PROPRIA. In particolari condizioni, il verbo riflessivo può esprimere una reciprocità d'azione; si parla, in tal caso, di FORMA RIFLESSIVA RECIPROCA. Esempio: “Mario e Paolo si odiano”; “I due amici si abbracciano” ; “Si amano alla follia”. ATTENZIONE: nella frase “Io mi lavo le mani” (che potrebbe sembrare molto simile alla frase “lo mi lavo”) possiamo notare come il soggetto (“io”) non coincida con il complemento oggetto (“le mani”); inoltre la particella “mi” non significa “me” (come nella frase “Io mi lavo”), ma significa “a me”: dunque “mi” non coincide con il complemento oggetto ma con il complemento di termine. 3 si parla dunque di FORMA RIFLESSIVA APPARENTE (o transitiva pronominale). Esempi: “Io mi pettinavo i capelli”; “Carlo si preparava la cena” ; “Lei si tagliava le unghie”. Possiamo inoltre individuare una serie di verbi: Y VERBI PREDICATIVI: hanno un significato compiuto e possono essere usati anche da soli. Esempio: “piove”, “Alice corre”... v VERBI COPULATIVI: servono a collegare il soggetto a un nome o un aggettivo e hanno quindi una funzione analoga a quella del verbo essere. Esempio: “Il cielo diventa nuvoloso”; “La situazione sembra tranquilla”. v VERBI AUSILIARI: coincidono con i verbi “essere” e “avere”, nel momento in cui essi accompagnano un altro verbo posto nella forma del participio. Essi sono necessari alla creazione dei tempi complessi Esempio: “Mi sono lavato”; “Ho mangiato”. Y VERBI SERVILI: Sono i verbi dovere, potere e volere nel caso in cui essi non vengano considerati come verbi a sé stanti ma come verbi che accompagnano un altro verbo posto all'infinito. Esempio: “Sono dovuto tornare”; “Non l’ho potuto aiutare”; “Rita vuole dormire”. Y VERBI FRASEOLOGICI: Sono verbi come stare, cominciare, iniziare, continuare, finire, smettere, nel caso in cui vengano usati davanti ad un altro verbo all’infinito o al gerundio, per indicarne un particolare aspetto. Esempio: “Sto parlando”; “Sto per parlare”; “Cominciai a parlare”; “Continuai a parlare”; “Smisi di parlare”... Nei verbi possiamo distinguere inoltre tre diverse CONIUGAZIONI VERBALI che coincidono con sistemi complessi di forme per esprimere modo, tempo, persona e numero: 1. Comprendono i verbi che terminano con “ARE” (mangiare, pensare...) 2. Comprendono i verbi che terminano con “-ERE” (credere, leggere...) 3. Comprendono i verbi che terminano con “IRE” (agire, ferire...) Le congiunzioni sono parti del discorso invariabili e uniscono, congiungono due o più nomi, verbi, aggettivi, frasi. Possono essere di due tipologie: A. CONGIUNZIONI COORDINATIVE: che uniscono proposizioni o parti una proposizione sintatticamente equivalenti. Esempio: “Devo andare a Parigi e a Londra per lavoro” B. CONGIUNZIONI SUBORDINATIVE: che uniscono proposizioni sintatticamente non equivalenti; uniscono una proposizione principale ad una subordinata. Esempio: “Non esco perché piove” Rispetto alla forma inoltre possiamo distinguere le congiunzioni in: ® SEMPLICI: e, o, ma, come... ® COMPOSTE: oppure, neanche, sebbene... ®* CONGIUNTIVE: per il fatto che, di modo che, dal momento che... Tra le congiunzioni coordinative possiamo distinguere: LE CONGIUNZIONI COPULATIVE: che segnalano un collegamento puro e semplice (e, anche, pure, né, neppure, neanche, nemmeno, nonché... LE CONGIUNZIONI DISGIUNTIVE: che segnalano separazione tra i termini collegati, ed esclusione di uno tra essi (o, oppure...) LE CONGIUNZIONI AVVERSATIVE: che segnalano contrapposizione (ma, però, tuttavia, nondimeno, eppure, anzi, piuttosto...) LE CONGIUNZIONI DICHIARATIVE O ESPLICATIVE: che segnalano una dichiarazione, una spiegazione (cioè, vale a dire, infatti, ossia...). LE CONGIUNZIONI CONCLUSIVE: che segnalano una conclusione, una conseguenza (dunque, quindi, ebbene, perciò, pertanto, allora...). LE CONGIUNZIONI CORRELATIVE: che stabiliscono una corrispondenza o una relazione tra due o più elementi (e...e, 0...0, né....né, sia...sia, non solo...ma anche). Tra le congiunzioni subordinate possiamo distinguere: v LE CONGIUNZIONI DICHIARATIVE: che introducono una dichiarazione (che, come). Esempio: “Afferma che non ha visto niente”. LE CONGIUNZIONI CONDIZIONALI: che indicano una condizione, senza la quale il fatto espresso nella principale non potrebbe realizzarsi (se, purché, qualora, a condizione che, a patto che, nel caso che...). LE CONGIUNZIONI CAUSALI: che indicano una causa, una ragione, un motivo (perché, poiché, giacché, siccome, visto che, dal momento che, dato che, per il fatto che...) LE CONGIUNZIONI FINALI: che indicano il fine per il quale un fatto si realizza o tende a realizzarsi (affinché, perché...) LE CONGIUNZIONI CONCESSIVE: che indicano una concessione, negando allo stesso tempo la conseguenza che se ne può trarre (benché, seppure, sebbene, ancorché, per quanto, malgrado che, nonostante che, anche se) LE CONGIUNZIONI CONSECUTIVE: che indicano la conseguenza di quello che è stato detto nella principale (così...che, tanto...che, a tal punto che, talmente che...) LE CONGIUNZIONI TEMPORALI: che indicano una circostanza di tempo (quando, come, appena che, dopo che, allorché, prima che, mentre, finché, ogni volta che...) LE CONGIUNZIONI COMPARATIVE: che stabiliscono una comparazione (come, più che, meno che, meglio che, peggio che, tanto quanto, tanto più...quanto meno). LE CONGIUNZIONI MODALI: che indicano una circostanza di modo (come, come se, quasi, nel modo che...) LE CONGIUNZIONI INTERROGATIVE INDIRETTE: che introducono una domanda o un dubbio (se, come, quando, perché, quanto...) LE CONGIUNZIONI AVVERSATIVE: che introducono una contrapposizione (quando, mentre, laddove...). v LE CONGIUNZIONI ECCETTUATIVE, ESCLUSIVE, LIMITATIVE: che esprimono un’eccezione, un’esclusione o una limitazione a quanto è affermato nella principale (fuorché, tranne che, eccetto che, salvo che, a meno che, senza che, per quanto, per quello che...) LE ESCLAMAZIONI (INTERIEZIONI) Le interiezioni servono per esprimere sensazioni o stati d'animo. Possono essere suoni, parole o gruppi di parole. Si distinguono in: «<* INTERIEZIONI PROPRIE (parole/suoni): Ah! Eh! Oh! Ahi! Uh! Ohi! Bah! Mah! Ehm! Boh! Beh! Ehi! Ehilà! Uffa! Wow! Ahimè! Toh! Puah! <> INTERIEZIONI IMPROPRIE (altre parti del discorso: aggettivi, nomi, forme verbali, avverbi...): Bene! Bravo! Accidenti! Via! Coraggio! Certo! Avanti! Peccato! Ciao! Ecco! Maledizione! Forza! Mitico! Dai! Evviva! Orsù! Suvvia! «* LOCUZIONI ESCLAMATIVE O INTERIETTIVE (gruppi di parole o frasi brevi): Santo cielo! Per amore di Dio! AI ladro! Poveri noi! Mamma mia! Che peccato! AI fuoco! Va’ al diavolo! Dio mio! LA FRASE SEMPLICE E L'ANALISI LOGICA: L'ANALISI LOGICA: consiste nell’identificare le categorie sintattiche presenti nella frase semplice (cioè il soggetto, il predicato, i complementi, l'attributo e l'apposizione). La frase semplice (o proposizione), nella sua forma base, prende il nome di frase minima, ed è formata dal soggetto, ossia ciò di cui si parla e il predicato, cioè quello che si dice del soggetto: Il telefono (soggetto) squilla (predicato). Il cane (soggetto) corre (predicato) Paola (soggetto) legge (predicato) 1-IL SOGGETTO è colui sul quale il predicato ci dà le indicazioni. Il soggetto concorda in numero e genere con il predicato e ne completa il significato. Il soggetto è spesso un nome o un pronome ma talvolta può essere anche un: = Verbo (Ballare è divertente) = Aggettivo (Il cattivo perde sempre) = Avverbio (Il meglio deve ancora venire) = Preposizione (Fra noi è finita) = Congiunzione (Il perché non mi è chiaro) = Articolo (Lo si usa con i nomi maschili) = Esclamazione (Un “Ehi!” mi bloccò) Solitamente il soggetto si trova all’inizio della frase, prima del predicato, ma può avere anche altre posizioni nella frase. Per questo, nell’analisi logica, occorre sempre cercare prima il verbo per risalire a chi (soggetto) compie l’azione. Il soggetto può anche essere sottointeso (si parla di ellissi del soggetto) + Esempio: “Siamo usciti” 3 Chi? Noi. Il soggetto può inoltre non esserci, nel caso in cui si parli di verbi impersonali + Esempio: “Lì si parla troppo!” ; o nel caso di verbi che indicano fenomeni atmosferici+ Esempio: “Tuonò forte”. La linguistica moderna cerca di definire il soggetto sulla base di criteri formali, evitando il più possibile definizioni nozionali come: “il soggetto è l'elemento della frase che compie l’azione”. Questa definizione, si rivela in molti casi errata. Infatti, se essa può avere una sua validità nel caso di frasi come: «Mario colpisce Giovanni» o «Il cane corre», appare priva di fondamento nel caso I COMPLEMENTI AI soggetto e al predicato (frase minima), si possono aggiungere altri elementi che servono a fornire informazioni e precisazioni relative al soggetto o al predicato o a entrambi, oppure che precisano meglio il rapporto che esiste tra soggetto e predicato. Il telefono squilla in cucina Il cane corre ogni mattina Paola legge una storia di una principessa I gruppi di parole che possono essere aggiunti alla frase minima si chiamano complementi perché completano il significato di uno degli elementi essenziali della frase, si chiamano anche espansioni perché espandono tale significato. Aggiungendo questi elementi la comunicazione risulta più chiara e precisa. Il complemento può essere DIRETTO (o oggetto) o INDIRETTO. IL COMPLEMENTO OGGETTO/DIRETTO: completa il predicato specificando chi o cosa ha a che fare con l’azione. È unito direttamente ad un verbo transitivo attivo e non presenta una preposizione. Risponde alle domande CHI? CHE COSA? > Esempio: “Silvia mangia un gelato”; “Io mangio una mela”; “Maria ama la pizza”. N.B. * Peraiutarci a distinguere il complemento oggetto dal soggetto possiamo fare riferimento all’ordine delle parole. Il soggetto è però solitamente posto prima del complemento oggetto. * Il complemento oggetto del verbo transitivo attivo può diventare il soggetto dello stesso verbo al passivo. Esempio: «Luisa ama Paolo»» + «Paolo è amato da Luisa»». * Siè dettoche il complemento oggetto si trova soltanto con i verbi transitivi attivi; tuttavia alcuni verbi intransitivi possono avere complemento oggetto rappresentato da un sostantivo che presenta la stessa base del verbo o ha un significato affine a quello del verbo. In tal caso si parla di complemento dell'oggetto interno. Esempio: ««Vivere una vita felice»; «Piangere lacrime amare»... * Il complemento oggetto, oltre che da un sostantivo, può essere rappresentato da qualsiasi altra parte del discorso (pronome, verbo, avverbio, congiunzione...). Esempio: «Tu lodi questo»; «Maria ama leggere»»; «Non capisco il perchè»... IL COMPLEMENTO INDIRETTO: aggiunge informazioni più precise sul luogo, sul tempo e sui modi dell’azione. È sempre introdotto da una preposizione. Risponde alle domande DOVE? COME? A CHI? CON CHI? QUANDO? DA CHI?... > Esempio: “Milli è nata a Roma”. % % % * % v è * < DI SPECIFICAZIONE: Risponde alla domanda DI CHI? DI CHE COSA? ed è retto dalla preposizione did “Bevo dalla tazza di Luca” DI LUOGO: risponde alla domanda DOVE? Vi sono 4 tipologie di complemento di luogo: 1. STATO IN LUOGO: Indica un luogo in cui ci si trova o avviene l’azione. Risponde alla domanda DOVE? IN QUALE LUOGO? Ed è retto dalle preposizioni: in, su, a, da, tra, per, di, sopra, sotto, dentro, fuori, e dalle locuzioni preposizionali: accanto a, vicino a...d “Sara vive a Milano”; “Resto in casa”; “Stava sdraiato per terra”; “Ho fiducia in te” (in questo ultimo caso “in te” rappresenta uno STATO IN LUOGO FIGURATO). 2. MOTO A LUOGO: Indica un luogo verso cui ci si muove o è diretta l’azione. Risponde alla domanda DOVE? VERSO DOVE? Ed è retto dalle preposizioni a, da, in, su, per, di, tra, verso, sopra, sotto, vicino, dentro; o dalle locuzioni preposizionali: dalle parti di, nei pressi di...> “Vado a Palermo”; “Vengo in città”; “Sali sulla scala”. 3. MOTO DA LUOGO: Indica il luogo da cui ci si muove. Risponde alla domanda DA DOVE? DA QUALE LUOGO? Ed è retto dalle preposizioni da e di.d “Vengo da Napoli”; “Sono uscito di casa alle nove”. 4. MOTO PER LUOGO: Indica il luogo attraverso cui ci si muove o si effettua un'azione. Risponde alla domanda PER DOVE? ATTRAVERSO QUALE LUOGO? Ed è retto dalle preposizioni per, da, di, tra, attraverso, in o dalla locuzione preposizionale in mezzo a.> “Non passare per quella strada”; “Passammo attraverso i campi”. DI COMPAGNIA/UNIONE: Indicano rispettivamente l'essere animato (compagnia) o inanimato (unione) con cui si è o con cui si fa qualcosa; risponde alla domanda CON CHI? (compagnia) CON CHE COSA? (unione)> “è partita con i nonni”; “Sono uscito con l'ombrello”. DI MEZZO/STRUMENTO: indica la persona o la cosa per mezzo di cui si fa o avviene qualcosa. Risponde alla domanda CON QUALE MEZZO?/PER MEZZO DI CHI?/DI CHE COSA? > “è partita con il treno”; “Con il tuo aiuto risolverò la situazione”; “Si nutrono di erbe”. DI TEMPO: risponde alla domanda QUANDO? Vi sono due tipologie di complemento di tempo: 1. TEMPO DETERMINATO: Indica il momento in cui si verifica l’azione. Risponde alla domanda QUANDO? A QUANDO? IN QUALE MOMENTO? > “Torno alle sei”; “ci vediamo questa sera”. 2. TEMPO CONTINUATO: Indica per quanto tempo dura l’azione. Risponde alla domanda QUANTO? PER QUANTO? IN QUANTO TEMPO? DA QUANTO TEMPO? > “Sto qui per due settimane”; “Ti aspetto fino alle dieci”; “Piovve tutto il giorno”; “Tornerà tra un mese”. “+ DI TERMINE: indica la persona o la cosa su cui termina l’azione. Risponde alla domanda A CHI? A CHE COSA? ed è retto dalla preposizione a, oppure è espresso direttamente dai pronomi mi, ti, ci, gli, cui...> “Ho riferito a tua sorella”. Attenzione a non confondere le particelle pronominali mi, ti... complemento oggetto e complemento di termine. Esempio «Ti ho visto»» (ti= “te”= complemento oggetto); «Ti ho scritto»» (ti= “a te”= complemento di termine). * DI MODO/MANIERA: Indica il modo o la maniera in cui si fa o avviene qualcosa; risponde alla domanda COME? IN CHE MODO? IN CHE MANIERA? > “Rifletti con calma”; “Il vento soffiava con forza”; “un lavoro eseguito alla perfezione”. * DI CAUSA: Indica il motivo, la causa per cui si fa o avviene qualcosa; risponde alla domanda A CAUSA DI CHI? PER QUALE MOTIVO? PER QUALE CAUSA? + “Sono chiusi per sciopero”; “Non esco per il maltempo”; “sto morendo di fame”; “Piangeva dalla gioia”. è» D’AGENTE/CAUSA EFFICIENTE: indicano rispettivamente l’essere animato (agente) o inanimato (causa efficiente) da cui è compiuta un’azione espressa da un verbo passivo; risponde alla domanda DA CHI? (agente) DA CHE COSA? (causa efficiente) > “è stato sorpreso dal padre”; “I cartaginesi furono sconfitti dai romani”; “I pesci furono uccisi dall’inquinamento”. N.B. Trasformando la frase passiva in attiva, i complementi di agente o causa efficiente diventano soggetti, mentre il soggetto diventa complemento oggetto. Esempio: “I romani sconfissero i cartaginesi”. ALTRI COMPLEMENTI: v D'ABBONDANZA/PRIVAZIONE: indicano ciò che si ha in abbondanza o di cui si è privi. Esempio: “Un articolo privo di spunti critici” Y_ D'ARGOMENTO: indica ciò di cui qualcuno parla. Esempio: “Discutere della situazione politica”. v DI COLPA/PENA: indicano rispettivamente la colpa di cui qualcuno è accusato e la pena cui qualcuno è condannato. Esempio: “Fu condannato all'ergastolo” v CONCESSIVO: indica qualcuno o qualcosa nonostante cui avviene un fatto. Esempio: “Nonostante la sua promessa andò via” v DENOMINAZIONE: è un tipo di specificazione in quanto indica il nome proprio del nome generico che lo precede. Esempio: “La città di Bari”; “Il nome di Carlo”. DISTANZA: indica la distanza da un punto di riferimento. Esempio: “Si mise a pochi passi da me”. DISTRIBUTIVO: indica la proporzione o la distribuzione di qualcuno o qualcosa. Esempio: “Camminate in fila per tre”; “Costa 5000 lire al metro”. v ESCLUSIONE: indica ciò che rimane escluso. Esempio: “Ci sono tutti tranne Maria” ETA”: indica l'età. Esempio: “Un uomo di circa 30 anni”. v_ FINE/SCOPO: indica il fine per cui si fa o avviene qualcosa. Esempio: “Lottiamo per la vittoria”; “Un cane da guardia”. LIMITAZIONE: indica il limite, l'ambito entro cui vale ciò che si dice. Esempio: “Quanto a bellezza, non ho rivali”. MATERIA: indica la materia di cui è fatta una cosa. Esempio: “Un vaso di coccio” 1. “Il celebre tenore dell'Opera” = sintagma nominale 2. “Canta una romanza molto bella” = sintagma verbale Oltre al sintagma nominale e a quello verbale, vi sono altri tipi di sintagmi, come il SINTAGMA PREPOSIZIONALE, che è costituito da una preposizione seguita da un nome (o da un sintagma nominale), e il SINTAGMA AGGETTIVALE, che è costituito da un aggettivo accompagnato da altri elementi. Nella frase sopra citata troviamo sia un sintagma preposizionale (“dell'Opera”), sia un sintagma aggettivale (“molto bella”). Appare dunque come un sintagma possa comprenderne altri. Esempio: “Il celebre tenore dell'Opera” comprende sia un sintagma nominale che uno preposizionale. Ciascun sintagma è composto secondo un ordinamento gerarchico: l'elemento che dà il nome al sintagma (il nome nel caso di sintagma nominale, il verbo nel caso di sintagma verbale, la preposizione nel caso di sintagma verbale, l’aggettivo nel caso di sintagma aggettivale) ne costituisce la parte fondamentale (detta testa del sintagma). Ogni frase quindi è costituita da sintagmi, i quali a loro volta sono costituiti da parole. Si viene in tal modo delineando l’immagine di un discorso strutturato secondo vari livelli successivi, gerarchicamente subordinati gli uni agli altri: il livello della frase è superiore a quello del sintagma; il livello del sintagma è superiore a quello della parola. Il sintagma è perciò un’unità linguistica di livello intermedio. LA GRAMMATICA VALENZIALE Abbiamo dunque detto che soggetto e predicato sono considerati i due componenti indispensabili della frase, ai quali poi si aggiungono gli altri componenti (complementi/apposizioni/attributi). Solitamente per riconoscere il soggetto e il predicato, così come gli altri componenti della frase, si fa uso dell’analisi logica. Esistono però anche altri criteri di analisi. Alcuni linguisti hanno proposto la cosiddetta grammatica valenziale. In particolare essi hanno individuato nella frase semplice due componenti fondamentali: gli ELEMENTI NUCLEARI e gli ELEMENTI EXTRA-NUCLEARI (o circostanziali). | primi sono obbligatori, in quanto la loro presenza è necessaria per dare un senso compiuto alla frase. | secondi sono invece facoltativi. Nella frase «Giorgio ha conosciuto Manuela l’anno scorso a Ferrara»: le determinazioni l’anno scorso e a Ferrara sono extra-nucleari: esse possono infatti essere soppresse senza danneggiare il senso fondamentale della frase. Se invece omettiamo uno degli elementi nucleari (Giorgio, ha conosciuto o Manuela) otteniamo una frase priva di senso compiuto. Cerchiamo ora di fissare un criterio più rigoroso per distinguere gli elementi nucleari da quelli extra-nucleari. Con una metafora presa in prestito dalla chimica si parla di VALENZA DEL VERBO. Gli elementi costitutivi della frase sono paragonati ad atomi, che possono legarsi in vario numero al verbo, considerato vero e proprio fulcro della frase. Gli elementi necessari per completare il significato della frase sono detti ARGOMENTI DEL VERBO. Esistono verbi con valenza zero, che da soli possono formare una frase compiuta (esempio: piovere), verbi monovalenti, che richiedono la presenza di un solo argomento (di norma il soggetto), verbi bivalenti, che richiedono due argomenti, verbi trivalenti, che richiedono la presenza di tre argomenti. Non si può determinare in assoluto se un verbo è mono/bi/tri valente poiché dipende dal contesto in cui il verbo è inserito. Nei seguenti esempi il verbo “ricevere” è, rispettivamente, monovalente, bivalente e trivalente: 1. Questa radio non riceve bene 2. Paolo ha ricevuto un pacco postale 3. Ilmare riceve le acque dai fiumi Secondo tale criterio di analisi la frase semplice è pertanto composta dal verbo, da un numero variabile di elementi obbligatori governati dal verbo e da un numero facoltativo di elementi accessori. La struttura generale della frase semplice può essere allora rappresentata dal seguente schema: ELEMENTI EXTRA-NUCLEARI SOGGETTO SINTAGMA VERBALE ELEMENTI AVVERBIALI VERBO ARGOMENTI DEL VERBO (DIVERSI DAL SOGGETTO) TIPI DI FRASE SEMPLICE Abbiamo fin qui considerato la struttura della frase semplice, soffermandoci sulla natura e sulle funzioni dei suoi elementi costitutivi. Abbiamo anche detto che la frase semplice è costituita da una sola proposizione; questa proposizione è chiamata INDIPENDENTE perché ha una propria autonomia, cioè non dipende da nessun'altra proposizione. Vi sono però 4 tipi di frasi semplici (o proposizioni indipendenti): v LE ENUNCIATIVE: queste frasi contengono una semplice enunciazione, cioè una dichiarazione, una descrizione di qualcosa. Si suddividono in: O affermative (o positive) come per esempio: “Piove”; “Questo albergo è caro”; “Tutti si addormentarono”. O negative, come per esempio: “Non piove”; “Questo albergo non è caro”; “Nessuno si addormentò”. LE VOLITIVE: queste frasi esprimono un comando (imperative), un desiderio (desiderative), un’esortazione (esortative), una concessione (concessive). Per esempio: “Andate via di qui!” (ordine); “Che Dio te ne renda merito!” (desiderio); “Ci pensino bene prima di agire” (esortazione); “Parli pure” (concessione). v LE INTERROGATIVE: queste frasi pongono una domanda e sono caratterizzate dal punto esclamativo. Abbiamo diversi tipi di frasi interrogative dirette: degli elementi della frase (Chi? Dove? Quando? 3Esempio: “Chi è?”; “Dove vai?”; “Quando venite?”); elementi della frase 3 Esempio: “è Giuseppe?”; “Vai a Brescia?”; “Venite domani?”; O quelle disgiuntive, quando la domanda pone un'alternativa 3 Esempio: “Preferisci un caffè o un amaro?”; O quellerei risposta implicita. iche, quando la domanda contiene una LE ESCLAMATIVE: queste frasi sono caratterizzate da una particolare intonazione e dal punto esclamativo nella scrittura. Possono essere: O Verbali. Esempio: “Oh quanto mi dispiace!” ; “Com'è bello!”; “Proprio adesso doveva arrivare!”. O Nominali. Esempio: “Che peccato!”; “Ottima idea!”; “Quante chiacchiere!” PROPOSIZIONI COMPLETIVE: svolgono la funzione di soggetto o di complemento oggetto; vi appartengono le proposizioni soggettive, oggettive, dichiarative e interrogative indirette. PROPOSIZIONI ATTRIBUTIVE: svolgono la funzione dell’attributo o dell’apposizione; vi appartengono le proposizioni relative. PROPOSIZIONI CIRCOSTANZIALI: svolgono la funzione di quei complementi che indicano le circostanze (tempo, causa, fine ecc...) in cui è realizzata un’azione. Vi appartengono le proposizioni temporali, causali, finali... 2) Parzialmente diversa è la classificazione della grammatica valenziale secondo la quale le subordinate possono essere distinte in ARGOMENTALI e AVVERBIALI. Le argomentali costituiscono l'espansione di uno degli argomenti del verbo della frase principale e coincidono con le preposizioni soggettive, oggettive e le interrogative indirette. Le avverbiali costituiscono invece delle aggiunte non strettamente richieste dal verbo della frase semplice; esse coincidono con le temporali, causali, finali... A parte devono essere considerate invece le relative, poiché non costituiscono un’espansione del verbo, ma di un sostantivo della frase principale. 3) Se invece adottiamo criteri formali di classificazione possiamo individuare: v v v v v v PROPOSIZIONI CONGIUNTIVE: introdotte da una congiunzione subordinativa (che, quando, come, se, perché, affinchè, dopo che...) PROPOSIZIONI INTERROGATIVE: sono introdotte da pronomi e congiunzioni interrogativi (che, quale, che cosa, quanto, quando, dove, perché, come, se...) PROPOSIZIONI RELATIVE: sono introdotte da pronomi relativi PROPOSIZIONI PARTICIPIALI: hanno alla loro base un participio. PROPOSIZIONI GERUNDIVE: hanno alla loro base un gerundio. PROPOSIZIONI INFINITIVE: hanno alla loro base un infinito. Indipendentemente dalla classificazione esistono diverse tipologie di proposizioni subordinate: v OGGETTIVE: svolgono la funzione di complemento oggetto della proposizione reggente. Esempio: “Ti dico che è la verità”; “Pensano che io abbia torto”; “Spero che non si preoccupi”. Le subordinate oggettive possono dipendere da verbi di significato affermativo, dichiarativo (dire, affermare, dichiarare, informare...); da verbi che indicano una percezione o un ricordo (vedere, udire, ascoltare, sentire, ricordare, percepire...); da verbi che esprimono un giudizio, un'opinione, un dubbio (pensare, credere, stimare, ritenere, giudicare, sostenere, reputare, ipotizzare, dubitare...); da. verbi che esprimono volontà, desiderio, impedimento, timore (volere, desiderare, sperare, preferire, vietare, impedire, temere, proibire...); da verbi che indicano un sentimento (godere, rallegrarsi, meravigliarsi, lamentarsi, sdegnarsi) o da locuzioni avverbiali come essere lieto, avere piacere... Possiamo inoltre distinguere tra proposizioni oggettive ESPLICITE e IMPLICITE. Quelle esplicite sono introdotte dalla congiunzione “che” e hanno il verbo al modo congiuntivo se il verbo indica volontà, desiderio, aspettativa, opinione, timore... al modo indicativo se il verbo indica un giudizio o una percezione; al modo condizionale se l’azione espressa dall’oggettiva indica un’ipotesi, una condizione. L’oggettiva implicita invece è introdotta dalla preposizione “di” e ha il verbo all'infinito, con lo stesso soggetto della reggente. Esempio: “Ritengo di aver agito correttamente”. Y SOGGETTIVE: svolgono la funzione di soggetto della proposizione reggente. Esempi: “Conviene che io vada”; “è meglio che ci rassegniamo”; “mi sembra di aver capito”; “è ora di muoversi”... La proposizione soggettiva può dipendere da verbi impersonali (accade, avviene, bisogna, capita, conviene, risulta, sembra...), da verbi usati impersonalmente (si dice, si crede, si narra, si spera) e da espressioni impersonali (è ora, è tempo, è giusto, è opportuno...). Y DICHIARATIVE: servono a dichiarare, a spiegare un pronome dimostrativo, completando il senso della principale. Sono introdotte dalla congiunzione “che” con il verbo all’indicativo o al congiuntivo, oppure da “di” con il verbo all’infinito. Esempio: “Su questo punto ti sbagli, che io fossi presente”; “Il fatto che siamo tutti qui ricorda che non mi fido di te”. Le dichiarative possono considerarsi una variante delle oggettive e delle soggettive; tant'è vero che questi tre tipi di proposizioni vengono spesso riuniti sotto la comune denominazione di proposizioni completive. v_ CAUSALI: indicano la causa per cui avviene quanto è espresso nella principale. Esempio: “Non l’ho comprato perché non mi piaceva”; “visto che non c’è, vado via”. Le proposizioni CAUSALI ESPLICITE sono introdotte principalmente da perché, poiché, giacchè, siccome, che; ma anche da locuzioni congiuntive come: per il fatto che, per il motivo che, dal momento che, dato che, visto che... Il modo del verbo nelle causali esplicite è l’indicativo, anche se talvolta viene utilizzato il condizionale per esprimere una possibilità o un’ipotesi (esempio: “Smettila, perché potrei stancarmi”) e il congiuntivo per esprimere una causa possibile ma negata (esempio: “faccio ciò non perché mi piaccia contraddirti”). Nella forma IMPLICITA la proposizione causale può essere introdotta da “per”, “a”, “per il fatto di” e l’infinto (esempio: “Si prese un raffreddore per aver viaggiato col finestrino aperto”; “Sei sciocca a prendertela tanto per quella storia”; “Sono felice per il fatto di aver ottenuto la promozione”) o dal gerundio o dal participio passato (esempio: n_ a “facendo caldo, mi tolsi la giacca”; “offeso dal suo atteggiamento, non lo salutai”). v_ FINALI: indicano con quale fine viene compiuta e verso quale obiettivo tende l’azione espressa nella proposizione reggente. Esempio: “Sottrasse il documento, affinchè non si potesse divulgarlo”. Nelle FINALI ESPLICITE le congiunzioni maggiormente utilizzate sono: “affinchè” e “perché” e il modo è sempre il congiuntivo. Nelle FINALI IMPLICITE le preposizioni maggiormente utilizzate sono “per”, “a”, “di”, “da”, “allo scopo di”, “al fine di”, “in modo di” con verbo all'infinito (esempio: “Sono venuto per parlarti”; “preparatevi a partire”; “L'ho fatto allo scopo di esserti amico”). v CONSECUTIVE: indicano la conseguenza di quanto espresso nella proposizione reggente. Esempio: “Parlava così piano che non riuscivo a sentirlo”; “era tale la mia stanchezza che mi addormentai subito”. La CONSECUTIVA ESPLICITA è introdotta da “che”. Il modo del verbo è generalmente l’indicativo, talvolta si usa il congiuntivo quando la conseguenza è solo ipotetica (esempio: “gli parlerò in modo che non si faccia troppe illusioni”) e il condizionale quando sottende una condizione o si vuole esprimere una conseguenza non certa (esempio: “è così buono che non farebbe male neanche ad una mosca”). La CONSECUTIVA IMPLICITA presenta l’infinito retto dalle preposizioni « ”»o a per”, “da” o da espressioni quali “degno di”, “atto a” (esempio: “ho una fame da morire”; “è abbastanza intelligente da capire”; “è uno spunto degno di essere approfondito”). Y TEMPORALI: esprimono una relazione di tempo tra la subordinata e la reggente. Possono essere introdotte da una congiunzione (quando, mentre, come, prima che, dopo che) o da locuzioni come “nel momento che”. È possibile distinguere tra tre tipologie di rapporti temporali, sulla base della collocazione cronologica dell’azione espressa dalla reggente rispetto a quella espressa dalla subordinata. Possiamo dunque individuare i rapporti di CONTEMPORANEITA’, POSTERIORITA’, ANTERIORITA’. Riguardo la contemporaneità l’azione della subordinata è contemporanea a quella della reggente e si usano “quando”, “allorchè”, “come”, “mentre”, “nel momento in cui”, “al tempo in cui” retti dal modo indicativo (si parla della temporale esplicita della contemporaneità). Esempio: “quando c'è il sole, mi piace passeggiare”; “mentre lo ascoltavo prendevo appunti”; “questi fatti accaddero al tempo in cui non ci conoscevamo”. Possiamo avere rapporto di contemporaneità anche mediante il gerundio (esempio: “passeggiando discutevamo”) oppure con l’utilizzo di “in”, “a”, “su” con l’infinito (si parla di temporale implicita della posteriorità). Esempio: “nell’andar via ci abbraccio tutti”; “partimmo sul sorgere del sole”). Riguardo la posteriorità l’azione della reggente è posteriore rispetto a quella della subordinata e si usano le espressioni “dopo che”, “quando”, “come”, “non appena”, “dal momento” rette dall’indicativo (si parla di temporale esplicita della posteriorità). Esempio: “dopo che l’ebbi visto, mi ricordai di lui”; “quando cominciò a parlare, tutti fecero silenzio”; “come lo vidi corsi da lui”; “dal momento che diventerai maggiorenne, acquisirai il diritto di voto”; “non appena cominciò a parlare, tutti fecero silenzio”. Ma possiamo avere la posteriorità anche con “dopo” retto dall’infinito o da “una volta” retto dal participio passato (in entrambi i casi si parlare di temporale implicita della posteriorità). Esempio: “dopo aver finito i compiti potrai uscire”; “Una volta superato questo problema, tutto si aggiusterà”. Riguardo l’anteriorità l’azione espressa dalla reggente è anteriore rispetto a quella espressa dalla subordinata ed è introdotta da “prima che”, “finchè”, “fino a che”, “quando” retto dal congiuntivo (si parla di temporale esplicita dell’anteriorità). Esempio: “andiamo via prima che torni”; “lo aspetterò finchè non venga”. Ma può essere anche introdotta da “prima di” e “fino a” retti dall’infinito (si parla di temporale v_ RELATIVE: La proposizione relativa ha la funzione di determinare o modificare, completando così il significato della proposizione principale (o antecedente). Esempio: “Ho visto un film (proposizione principale> “un film” = antecedente) che mi è piaciuto”. Si distinguono due tipi di relative: la relativa determinativa che serve a precisare o limitare il senso dell'antecedente, che risulterebbe altrimenti incompiuto. Esempio: "prendo l'autobus che sta arrivando" equivale a > "prendo questo autobus" (non un altro); e la relativa appositiva che fornisce invece un'aggiunta di per sè non indispensabile alla compiutezza dell'antecedente e, per questo, è spesso posto tra due virgole o viene separata dall’antecedente per mezzo di una virgola. Esempio: "prendo sempre l'autobus, che è il mezzo di trasporto più economico". La proposizione relativa può indicare varie circostanze dell'azione espressa dalla principale, acquistando frequentemente un valore: * temporale (esempio: “è già un mese che sono arrivato”) * finale (esempio: “cercavo qualcuno che mi indicasse la strada”), * consecutivo (esempio: “mi raccomando a te, che sei più grande”), * condizionale (esempio: “chi vuole, può restare”), * concessivo (esempio: “tu, che avresti tanto da dire, non parli”). Il modo del verbo è l'indicativo quando il fatto espresso dalla relativa viene presentato come reale, certo; è il congiuntivo o il condizionale quando viene presentato come possibile, ipotetico, desiderato. Esempio: indicativo "cerco un libro che tratta di urbanistica" (so che esiste); congiuntivo "cerco un libro che tratti di urbanistica" (è un qualsiasi libro di urbanistica, non so precisamente che libro sia); condizionale: "è un piacere che ti farei volentieri" (ma forse non potrò, o non posso farlo). La relativa ha anche una forma implicita, dalla struttura: preposizione + “cui” (o “quale”) + infinito. Esempio: “non riesco a trovare una persona con cui dividere l'appartamento”. v. MODALI: Le proposizioni modali indicano il "modo" in cui si svolge l'azione. na na Nella forma esplicita sono introdotte da “come”, “secondo che”, “nel modo che”, “quasi che”, “come se” ecc. Il verbo ha l'indicativo quando la modale esprime un fatto certo, reale; ha invece il congiuntivo quando esprime un fatto ipotetico o irreale. Esempi: indicativo "comportati nel modo che ritieni più opportuno"; congiuntivo "fai come se niente fosse". La proposizione modale può essere espressa anche in forma implicita, con il gerundio: es. "scappo via correndo". v_AVVERSATIVE: Le proposizioni avversative indicano una situazione o una condizione opposta a quella espressa dalla principale. Sono introdotte da “quando”, “mentre”, “laddove”, e il verbo ha l'indicativo o il condizionale. Esempio: “lo aspettavamo oggi, mentre invece arriverà domani”. Nella no forma implicita sono invece introdotte da “invece di”, “in luogo di”, “anziché” + il verbo all'infinito. Esempio: “Invece di ringraziarmi, fa l’offeso”. v_ ESCLUSIVE: Le proposizioni esclusive esprimono un'esclusione rispetto a ciò che è detto nella principale. Nella forma esplicita sono introdotte da “senza che”, e hanno il verbo al congiuntivo. Esempio: "abbiamo fatto tardi senza che ce ne rendessimo conto". La costruzione implicita costruita con “senza” e l'infinito. Esempio: "abbiamo fatto tardi, senza rendercene conto". v_ ECCETTUATIVE: Le proposizioni eccettuative avanzano un'eccezione, esprimono cioè una circostanza che limita il significato della principale. Sono introdotte da “tranne che”, “eccetto che”, “salvo che”, “a meno che non”; il verbo può avere l'indicativo o il congiuntivo. Esempio: "ci conosciamo da molti anni, se non che ci vediamo raramente". Nella forma implicita hanno l’infinito preceduto da “tranne che”, “eccetto che”, “salvo che” + l'infinito. Esempio: “Non dirò niente, tranne che non sia costretto”. v_ LIMITATIVE: Le proposizioni limitative esprimono una limitazione rispetto a ciò che viene affermato nella principale. Sono introdotte da locuzioni come “per quanto”, “per quello che”, e hanno il verbo all'indicativo. Esempio: "per quanto ne so, stanno tutti bene". Nella forma implicita sono introdotte da “in quanto a” + l’infinito. Esempio: “In quanto a venirti incontro, mi sembra di averlo già fatto abbastanza”. Y INCIDENTALI: Le proposizioni incidentali si trovano inserite nella frase tra due virgole (o tra due lineette o tra parentesi), senza che abbiano alcun legame significativo con le altre proposizioni. LA CONCORDANZA DEI TEMPI Anche l'italiano ha, come il latino, una sua consecutio temporum: un insieme di norme che regolano l’uso dei tempi nelle proposizioni subordinate. Mentre il tempo della principale ci informa sulla CRONOLOGIA ASSOLUTA di un certo fatto, il tempo della subordinata definisce la CRONOLOGIA RELATIVA di un fatto rispetto a un altro: non esprime quindi un valore temporale compiuto in sé, ma solo una relazione temporale tra il tempo della subordinata e quello della reggente. Rispetto al latino, in italiano le norme che regolano la consecutio temporum sono più elastiche. DISCORSO DIRETTO E DISCORSO INDIRETTO v Il discorso diretto coincide con una frase preceduta dai due puntini e racchiusa tra due virgolette (o due trattini). Esso riporta direttamente, come furono pronunciate, le parole di una determinata persona. v Il discorso indiretto coincide con una proposizione dipendente dal verbo “dire”. Oltre al verbo “dire” però, introducono sia il discorso diretto che indiretto, verbi come ”»a “domandare”, “chiedere”, “rispondere” e, in generale, tutti quelli con valore dichiarativo. Esempio: -Cristina mi disse: “Vengo subito”. > discorso diretto -Cristina mi disse che veniva subito. > discorso indiretto Nelle trasformazioni di frasi dal discorso diretto al discorso indiretto, spesso si assiste ad un cambiamento del modo o del tempo del verbo della subordinata. Esempio: v Gli chiese: “Dove vai?” > Gli chiese dove andasse (da indicativo a congiuntivo) v Disse: “Me ne vado” + Disse che se ne andava (da indicativo presente a indicativo imperfetto) Il cambiamento non avviene quando nella reggente abbiamo un verbo al presente o al futuro. Esempio: Y Dice: “Me ne vado” > Dice che se ne va Y Dirà: “Me ne vado” +Dirà che se ne va CAPITOLO 15: LA FORMAZIONE DELLE PAROLE La FORMAZIONE PAROLE è quel complesso di trasformazioni per il quale si può passare da parole di base a: - suffissati (orologio > orologiaio) - prefissati (campionato + precampionato) - composti (fermare e carte 3fermacarte). In generale possiamo affermare che, le nuove parole createsi tramite suffissazione, prefissazione e composizione, sono chiamate NEOFORMAZIONI. LA SUFFISSAZIONE La suffissazione consiste nell’aggiungere un affisso dopo la base. Esempio: Forma è Formale Formale > Formalizzare Formalizzare > Formalizzazione 2. Mentre il suffisso non è mai autonomo, il prefisso può esserlo, fungendo in tal caso da preposizione o da avverbio: avanti, contro, sopra, con... Tipi di prefissati ® PREFISSATI NOMINALI ® PREFISSATI AGGETTIVALI ® PREFISSATI VERBALI Nell'ambito dei prefissati nominali e aggettivali si distinguono tre generi di prefissi: 1) prefissi provenienti da preposizioni e avverbi (ante-, avanti-, pre-, post-, circum-, contro, trans-, fuori-, inter-, ...) 2) Prefissi intensivi servono ad esprimere il grado di una base nominale o aggettivale (extra-, super-, star-, iper-, mal-, ...) 3) Prefissi negativi> settore che riguarda in primo luogo gli aggettivi. Questi prefissi hanno un valore negativo (in-, senza-, dis-, non-, a-...) Nell'ambito dei prefissati verbali si distinguono due generi di prefissi: 1) Prefissi intensivi: hanno valore intensivo (s-, stra-, r-); esempio: beffeggiare> sbeffeggiare; cuocere > stracuocere 2) Prefissi con valore di aspetto e di modo (r-, de-, dis-, contro-, inter- ...); esempio: colorare>decolorare; fare>rifare; battere® controbattere LA COMPOSIZIONE La composizione consiste nell’unire almeno due parole in modo da formare una parola nuova. Il nuovo termine prende il nome di composto. | costituenti di un composto possono essere: - due o più forme libere (asciuga + mano = asciugamano) - Due o più forme non libere (antropo- + -fago = antropofago) Inoltre i composti possono essere: 1) con base verbale (asciugamano, accendisigari, lanciafiamme, bibliografia...) 2) Con base nominale (cassaforte, terraferma, filospinato, cartamoneta) LCONGLOMERATI sono veri e propri spezzoni di frase, i quali, per l’uso costante e ripetuto che se ne fa, si sono fissati fino a divenire unita a sé stanti (un nonsoché, un tira e molla, fuggifuggi, dormiveglia, saliscendi...). CAPITOLO 16: IL LESSICO Il lessico è l'insieme delle parole per mezzo delle quali i membri di una comunità linguistica comunicano tra loro. Il termine vocabolario non indica il libro che raccoglie tutti i vocaboli di una lingua (quello è il dizionario); il vocabolario è invece un settore determinato del lessico (pensiamo al vocabolario di uno scienziato, di un musicista, di un poeta...). Quali sono i confini del lessico di una lingua? + non si può rispondere a questa domanda con precisione. Il lessico è una quantità di parole soggetta a mutare secondo la prospettiva e il punto di vista che assume chi si pone quella domanda. Anche i dizionari più completi, si rivelano alla fine incompleti. Ciò accade per due motivi: - la creatività lessicale è pressoché infinita: la possibilità di arricchire una lingua mediante neoformazioni ricavate da parole che già esistono o mediante la ripresa di parole straniere sono fenomeni ben frequenti. - quali limiti porre alla raccolta di parole che devono essere inserite in un dizionario? | confini del lessico di una lingua sono incerti, fluttuanti. IL LESSICO E LAGRAMMATICA Nel rapporto fra grammatica e lessico si verifica l'opposizione tra segni lessicali (di numero indefinito) e segni grammaticali (numero limitato). Le strutture fonologiche, morfologiche e sintattiche di una lingua sono infatti sistemi chiusi, mentre il lessico è un sistema aperto. LESSICALIZZAZIONE E GRAMMATICALIZZAZIONE Tra il lessico e la grammatica di una lingua non c’è tuttavia una barriera invalicabile. Il lessico possiede infatti un’organizzazione grammaticale dei suoi elementi, i quali si distinguono in nomi, aggettivi, avverbi ... Si possono dunque usare elementi del lessico per un fine grammaticale e viceversa. Il termine LESSICALIZZAZIONE coincide con un processo per il quale un insieme di elementi retti da rapporti grammaticali diventa un’unità, un qualcosa che equivale ad una sola parola (ora come ora = momentaneamente) Il termine GRAMMATICALIZZAZIONE invece è quel processo contrario in cui una parola diviene, nel corso dell'evoluzione linguistica, uno strumento grammaticale (l’attuale preposizione mediante un tempo era il participio presente del verbo mediare). LIVELLI E VARIETÀ DEL LESSICO Nel lessico di una lingua si distinguono vari livelli: Y Parole che si usano ogni giorno / parole che si usano in argomenti specialistici Y Parole della lingua parlata / parole della lingua scritta Y Parole di uso corrente / parole che appaiono invecchiate (arcaismi) o nuove (neologismi). Esistono inoltre diverse varietà d’uso del nostro lessico che si possono ordinare in 3 classi: 1) varietà funzionali-contestuali> sono i cosiddetti linguaggi settoriali che corrispondono ad ambiti specialistici; 2) Varietà geografiche > sono le differenze nell’uso di vocaboli le quali si riscontrano nei vari tipi di italiano regionale. 3) Varietà sociali 3 sono le differenze nell’uso di vocaboli le quali distinguono tra le varie classi sociali di parlanti. I LUNGUAGGI SETTORIALI, sono linguaggi specifici, per esempio il linguaggio politico, della pubblicità, il linguaggio sportivo quello tecnico-scientifico. Nelle discipline tecnico-scientifiche possiamo distinguere tra: - tecnicismi veri e propri ovvero parole con un preciso significato tecnico, insostituibili con parole del linguaggio comune (esempio:pubalgia) - Tecnicismi collaterali, ovvero parole ed espressioni stereotipate dal cui uso non risulta una maggiore chiarezza dell’enunciato (esempio: provare un dolore diventa accusare un dolore) Come si forma un vocabolo tecnico-scientifico? 1) si può ricorrere al prestito linguistico, le lingue a cui si ricorre più frequentemente sono l'inglese, il latino e il greco. 2) Si può ricorrere a vari procedimenti di formazione delle parole. Si può dare un significato nuovo e specifico a parole che già esistono nel lessico della lingua comune o in un vocabolario tecnico già costituito. | REGIONALISMI I regionalismi coincidono con le mutazioni del lessico e del linguaggio su base geografica. Si parla dunque di geosinonimi, ovvero sinonimi geografici che presentano nomi differenti per indicare la stessa cosa (per esempio in Lombardia si parla di castagne, mentre a nel Lazio di caldarroste). Possiamo individuare 4 varietà di italiano regionale: 1) varietà lombarda (barbone = mendicante, bigino = traduttore, sberla = schiaffo) 2) Varietà toscana (figliola = giovane donna nubile, balocchi = giocattoli) vocaboli che riguardano il commercio (paragone), nomi di piante (anguria), termini legati alla vita militare e all’amministrazione (duca). Ma dobbiamo fare riferimento anche ai prestiti di origine araba che sono principalmente nomi di piante (carciofo, melanzana), vocaboli relativi al commercio (dogana), alla navigazione (scirocco), alla matematica (algebra, algoritmo), all’astronomia (zenit), all’industria e alle tecniche (alchimia). INFLUSSO DELLA FRANCIA, DELLA PROVENZA E DELLA SPAGNA | prestiti francesi e provenzali sono chiamati gallicismi e fanno riferimento principalmente alla vita cavalleresca (cavaliere), alla guerra (arnese), all’abbagliamento (fermaglio), alla caccia (levriere) | prestiti spagnoli e portoghesi sono invece chiamati iberismi e sono termini come baciamano, complimento, etichetta... e termini marinareschi (cala, flotta), di guerra (guerriglia, parata), fanfarone, vigliacco, lazzarone). LATINISMI È innanzi tutto necessario distinguere tra due tipologie di prestito proveniente dal latino: - Le parole popolari provenienti dal latino volgare: il lungo uso ne ha più o meno modificato l'aspetto esteriore ma il loro utilizzo è stato ininterrotto. - Le parole dotte (o latinismi) che ricompaiono invece nella nostra lingua dopo secoli di silenzio: alcune persone colte le hanno recuperate direttamente dalle opere scritte in latino A differenza delle parole popolari i latinismi conservano più fedelmente la forma originaria latina (es. latino = circulum, parola popolare = cerchio, latinismo = circolo). LINGUA FRANCESE NEL SETTECENTO Il lessico intellettuale europeo nasce soprattutto durante la diffusione della cultura illuministica. Il centro culturale d'Europa è la Francia e il francese è la lingua con cui sono espresse nuove idee. Le parole chiave di questo periodo sono: filosofo, spregiudicati, cosmopoliti, filantropi, sensibilità; vocaboli riguardanti la politica (patriota, comitato), l'economia (monopolio, concorrenza), la moda (flanella), i cibi (cotoletta, bignè). LE PAROLE INGLESI Durante il settecento e l’Ottocento l'influsso dell’inglese sul nostro lessico è per lo più mediato dal francese. Questo influsso si accresce nel 900, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, quando l’Italia è invasa da prodotti, tecniche e mode provenienti dagli Stati Uniti > baby-sitter, bitter, okay, slogan, pop, rock, relax, smog, tram, sport, tunnel, killer, radar... IL PRESTITO INTERNO | nostri dialetti hanno contribuito alla formazione dell’italiano fin dai primi tempi (arsenale e lido vengono da Venezia - scoglio e prua da Genova - portolano da Palermo). Per entrare nel lessico italiano i dialettalismi devono italianizzarsi nella forma (è così che, per esempio, il termine settentrionale imbranà è divenuto imbranato). In quali settori si attinge al lessico dei dialetti? Due sono le categorie principali: - termini tecnici (prodotti regionali tipici, agricoltura, allevamento...) - Parole espressive relative a situazioni, a costumi, ad atti che si prestano alla rappresentazione parodistica e allo scherzo. USO DEL DIZIONARIO Il dizionario è uno strumento che, oltre a darci tante informazioni sulla lingua, sviluppa le nostre capacità logiche, stimola la fantasia e la creativi è opportuno dunque imparare a usare al meglio il dizionario, sfruttando tutte le informazioni, le risorse e gli insegnamenti che sono racchiusi nelle sue pagine. VOCI E LEMMI Esistono vari tipi di dizionari: monolingue, bilingue, dell'uso, storici... Facciamo qui riferimento al dizionario di lingua italiana di oggi. Il dizionario presenta alcune particolarità: 1) le parole sono disposte in ordine alfabetico in modo tale che possano essere trovare facilmente 2) le parole sono registrate nella loro forma di base (esempio: infinito per i verbi, il singolare e maschile per il sostantivo e per l’aggettivo...) 3) esistono varie convenzioni grafiche particolari a cui corrispondono particolari informazioni. Si definisce VOCE o ARTICOLO l’insieme delle informazioni che il dizionario dà di un vocabolo posto in ordine alfabetico. Si definisce ENTRATA o ESPONENTE o LEMMA il vocabolo che è all’inizio della voce. Si definisce LEMMARIO la lista dei lemmi di un dizionario. Un dizionario moderno presenta inoltre illustrazioni, NOMENCLATURE (ovvero insieme di nomi attribuiti in modo sistematico a particolari attività, discipline), repertori di sigle o di locuzioni. ORTOGRAFIA, ORTOEPIA, ETIMOLOGIA Il dizionario dà tutte le informazioni necessarie per scrivere e pronunciare correttamente le parole. Per quanto riguarda ortografia > il dizionario rappresenta lo strumento più efficace per correggere gli errori ortografici più frequenti. Riguardo l’ortoepia (ovvero la pronuncia corretta) > è rappresentata in un dizionario moderno con la trascrizione ci ciascun lemma mediante l'alfabeto fonetico internazionale, in tal modo sono risolti i problemi di pronuncia che riguardano e chiusa, e aperta, s sorda, s sonora... Riguardo l’etimologia dè quella parte della linguistica che studia l'origine delle parole. In un dizionario moderno si trovano rapide indicazioni etimologiche. (es pane [lat. pane(m)] vuol dire che la parola italiana deriva dall’accusativo latino). MORFOLOGIA E FORMAZIONE DELLE PAROLE Il dizionario indica la classe grammaticale alla quale appartiene ciascun vocabolo (verbo, aggettivo, nome...). Inoltre informa sull’uso regolato delle varie parti del discorso: per esempio dei nome dà la forma al femminile, le forme particolari o irregolari del plurale... Una cura particolare è dedicata ai verbi: oltre alla distinzione tra i diversi tipi (riflessivi, intransitivi, transitivi...) s'indica l’ausiliare da usare nei tempi composti, si riportano le forme dei verbi irregolari. Per i verbi composti si rinvia ai verbi di base (es. ricadere > cadere). LA SINTASSI Dopo aver illustrato il significato della parola, il dizionario riporta altre costruzioni o proposizioni o frasi intere contenenti la parola in questione, per fornirci indicazioni sia sul contesto sintattico della parola, sia sul significato e le modalità d’uso di essa. ASPETTO SINTATTICO il dizionario ci può inoltre dare informazioni sull’organizzazione delle parole nella proposizione. SEMANTICA E DIZIONARI Il dizionario ci dà informazioni riguardo tutte le parole, da quelle più facili a quella che non conosciamo. Riguardo a ciò possiamo proporre 2 osservazioni: - Le voci “facili” sono spesso molto estese nel dizionario - es. verbo fare + ha vari significati, entra in molte frasi, espressioni, modi di dire, proverbi: questa è la FRASEOLOGIA, la vera ricchezza della nostra lingua. - Le voci “facili” sono spesso le più “difficili” per il lessicografo, nel senso che più di altre lo obbligano a pianificare con attenzione la voce del dizionario dè più facile definire nomi tecnici piuttosto che un vocabolo molto generale come il verbo fare. Che cosa ci può insegnare il dizionario circa il significato delle parole? «Che una parola può avere più significati, a seconda del diverso campo di significato o secondo l’abito d’uso in cui cade. «Che esistono gli omonimi (ovvero le parole che hanno lo stesso significante ma diverso significato), i sinonimi (parole con lo stesso significato) e i contrari (o antonimi) «* Che le parole, oltre al loro significato proprio, possiedono spesso un significato figurativo (es. Mario è un leone = Mario è coraggioso come un leone). L’uso figurato di una parola è segnalato nel dizionario da “figlurato]. «* Che le parole possono presentare anche un uso per estensione: la gamba del tavolo = uso per estensione della gamba umana. L’uso per estensione di un vocabolo è segnalato nel dizionario da “est”. MODI DI DEFINIRE LE PAROLE Le definizioni di un dizionario moderno possiedono 3 qualità: chiarezza - concisione - oggettività. Le definizioni possono essere di diversi tipi: una delle più usate è la PARAFRASI che esprime un significato equivalente (es. bianchezza = l’essere, l'apparire bianco). FORESTIERISMI E ARCAISMI Forestierismi+ vocaboli stranieri che sono entrati per lo più in tempi recenti nella nostra lingua e che si sono affermati in essa con vari gradi di stabilità; coincidono con prestiti non integrati, infatti conservano la grafia e la pronuncia della lingua straniera; essi sono presenti nel dizionario italiano. - posizione aperta: l’aria passa attraverso la glottide (zona libera compresa tra le corde) dando luogo a cuna consonante sorda (p-t-k ecc.) - posizione accostata: le corde, per l’azione meccanica dell’aria in uscita, entrano in vibrazione e producono un'onda sonora, dando origine alla consonante sonora (b-d-g ecc.) e alle vocali. Dopo aver superato le corde vocali, l’aria esce attraverso la cavità orale e nasale e si determina un’altra distinzione, quella tra articolazioni orali e nasali: - articolazioni orali 3 in questo caso il velo palatino (ovvero la parte posteriore, mobile, del palato, che termina con l’ugola) si solleva e si appoggia alla parte posteriore della faringe, chiudendo l’accesso alla cavità nasale. In questo modo l’aria può uscire solo attraverso la bocca. - articolazioni nasali in questo caso il velo palatino si abbassa e l’aria penetra anche nella cavità nasale. LE VOCALI E LE CONSONANTI La divisione più comune dei suoni linguistici, secondo il modo d’articolazione, è quella tra VOCALI e CONSONANTI. Se l’aria può uscire dalla cavità orale, o orale e nasale insieme, senza che si frapponga tra loro alcun ostacolo, abbiamo una vocale; se invece il canale orale è chiuso o semichiuso in un certo punto da uno o più dei seguenti organi: lingua, labbra, denti, palato, velo palatino, si ha una consonante. Vocali I fonemi vocalici dell’italiano sono 7: A E aperta (di leggo) 3 £ E chiusa (di vela) I O aperta (di forte) 3 3 O chiusa di (dove) U Sulla base di queste indicazioni, possiamo raggruppare le vocali nel cosiddetto triangolo vocalico, nel quale si distinguono tre vocali anteriori (o palatali): /i/, /e/, //; una vocale centrale /a/; tre vocali posteriori (o velari): /2/, /0/, /U/. Si distinguono inoltre tre vocali aperte: /2/, /£/, /a/; quattro vocali chiuse: /i/, /e/, /0/, /u/. Consonanti Secondo il luogo d’articolazione le consonanti si distinguono in: Y bilabiali labiodentali dentali alveolari prepalatali palatali velari NESS Secondo il modo d’articolazione le consonanti di distinguono in: = occlusive+ determinano un’occlusione, una chiusura del canale (per esempio:/p/-/b/-/t/-/d/): pronunciando una /p/ o una /b/, chiuderemo per un attimo le labbra; nel caso di /t/ e /d/ la chiusura avviene a livello dei denti = continue>comportano un flusso continuo dell’aria che viene dai polmoni; in questo caso non abbiamo una chiusura ma un restringimento del canale. Esse a loro volta si dividono in: Y costrittive (/f/-/s/): producono un fruscio v vibranti (/r/): l'apice della lingua entra in vibrazione Y laterali (/1/): l’aria passa ai lati della lingua = affricate> sono articolazioni intermedie tra le occlusive e le continue e, sebbene vengano percepite dall'orecchio umano come un unico suono, foneticamente possono disrsi costituite da un’occlusiva e da una continua strettamente fuse tra loro: la z sorda di zio, per esempio, è il risultato di /t/+/5/) SEMICONSONANTI E DITTONGHI Prendono il nome di SEMICONSONANTI quei foni per produrre i quali il canale orale si stringe più che per le vocali chiuse. Ne risulta un suono intermedio tra quello delle vocali e delle consonanti. L’italiano possiede la semiconsonante palatale /j/ detta jod e la semiconsonante velare /w/ detta uau. Le semiconsonanti appaiono esclusivamente nei dittonghi. o i” o da una “u” I DITTONGHI sono unità sillabiche formate da una con o senza accento. Possiamo distinguere tra: senza accento e da una vocale » dittonghi ascendenti (ia-ie-io-iu-ua-ue-uo-ui): la semiconsonante precede la vocale. Esempio: piano, ieri, piove, chiudi, guado, guerra, uomo, guida. >» dittonghi discendenti (ai, ei, oi, au, eu): la vocale precede la i o la u. Esempio: fai, sei, poi, Mauro, pneumatico. L’unione della “i”, della “u” e di qualsiasi altra vocale, generalmente accentata, dà luogo ad un trittongo. Ad esempio: suoi, guai, aiuole. Quando due vocali, pur essendo contigue, non formano un dittongo, si parla di IATO. Abbiamo uno iato quando: i» uu v Noncisono né la “i”, né la “u”. Esempio: pa-ese, corte-o Y La “i” e la “u” sono accentate. Esempio: spi-a, pa-ura. V È presente il prefisso “ri”. Esempio: ri-unione; ri-avere. DITTONGHI MOBILI I dittonghi mobili sono due: uò /w d/ e iè /j &/ e si chiamano in questo modo perché perdono le semiconsonanti “u” /w/ e “”/j/ quando l'accento di sposta su un’altra sillaba e si riducono quindi ad “e” e “0”. Uuò: muovere, suono, scuola, buono, muore o: movimento, sonoro, scolaro, bontà, morivano. lè: piede, lieve, pietra, Siena, siedede: pedestre, levità, petroso, senese, sedevano. L'ALFABETO L'alfabeto è l'insieme dei segni grafici (grafemi) con i quali si indicano i fonemi di una determinata lingua >il termine deriva da alfa e beta (prime due lettere dell'alfabeto greco)- LE LETTERE DELL'ALFABETO ITALIANO Sono 21 e possono essere scritte con caratteri minuscoli e maiuscoli. | nomi delle lettere dell'alfabeto sono di solito di genere femminile (“dalla A alla Z”). GRAFEMI E FONEMI In teoria tra grafemi e fonemi ci dovrebbe essere una perfetta corrispondenza biunivoca (=per ogni segno un solo suono e viceversa), ma le cose non stanno proprio in questo modo. Le frequenti incoerenze tra pronuncia e scrittura si spiegano con la rapida evoluzione della lingua, soprattutto della pronuncia, mentre la scrittura resiste in forme più o meno cristallizzate, per forza dell'abitudine o per rispetto della tradizione. LDUE SUONI, APERTO E CHIUSO, DELLE VOCALI E - O Quando non sono accentate E e O hanno suono chiuso, quando ci cade l’accento hanno ora il suono chiuso, ora quello aperto. Nella scrittura il suono acuto si può contrassegnare con un accento acuto (‘), il suono grave da un accento grave (°). Up» UL» La pronuncia aperta o chiusa della “e” e della “0” assume importanza nei casi in cui costituisce l’unico elemento distintivo tra parole di significato diverso ma uguali nella scrittura: i cosiddetti OMOGRAFI (legge = leggere o norma; venti = 20 o plurale di vento; colto = raccolto o dotto — volto= volgere o viso). Non esistono regole che stabiliscono quando la “e” e la hanno suono aperto o chiuso. Nei casi di dubbio è necessario ricorrere al dizionario. “o” v TRISDRUCCIOLE, cioè accentate sulla quintultima sillaba (recitamelo). Solo in alcune forme verbali. L’accento delle sillabe/vocali toniche può essere acuto (’) o grave (°). - piane = parole accentate sulla penultima sillaba - tronche = accento sull’ultima sillaba - sdrucciole = accento sulla terzultima +accento tonico —> proprio di ogni parola +accento grafico —> solo in certi casi nella scrittura in corrispondenza dev’accento tonico. È obbligatorio segnare l’accento: *sulle parole tronche di due o più sillabe *in alcuni monosillabi (già, può) LE MAIUSCOLE Nella scrittura si usano le maiuscole solo in alcuni casi: - quando si comincia a scrivere e dopo un punto fermo - all’inizio del discorso diretto - dopo ? e! - nei nomi propri - nei nomi di enti, società, istituzioni - nei titoli - nei nomi di feste (Natale, Pasqua...) - nei nomi di secoli e periodo storici (il Cinquecento, nel Medioevo...) - nei nomi di alcune alte cariche (il Presidente della Repubblica) N.B.: I nomi dei giorni della settimana e dei mesi generalmente di scrivono in minuscolo. LA PUNTEGGIATURA La punteggiatura serve a indicare le pause tra le frasi o tra le parti che compongono una stessa frase, a esprimere rapporti di coordinazione e di subordinazione, a suggerire il tono del discorso. La punteggiatura è chiamata anche interpunzione. | segni di punteggiatura sono: + indica una pausa lunga: viene utilizzato alla fine di una frase o nelle abbreviazioni. 3 3 coincide con una pausa breve: viene utilizzata nelle enumerazioni (bianco, rosso, verde, giallo), negli incisivi (Si tratta, lasciatemelo dire, di un ottimo lavoro), nei vocativi (Marco, sei sicuro di aver chiuso la finestra?), per separare proposizioni coordinate introdotte dalle congiunzioni anzi, ma, però... (è sinceramente pentito, ma non lo vuole ammettere), tra la proposizione principale e vari tipi di subordinate (Se viene lui, non vengo io). Di norma la virgola non va inserita tra soggetto e predicato e tra predicato e complemento oggetto; tuttavia, se si vuole conferire una certa enfasi, questa norma può venire meno. 3 3coincidono con una pausa intermedia: viene utilizzata per dividere due frasi collegate tra loro ma troppo estese per essere separate da una sola virgola. Può essere inoltre utilizzato nelle enumerazioni complesse. 2 > coincidono con una pausa intermedia; hanno una funzione sintattica precisa: segnalano che ciò che segue è una spiegazione, una conseguenza, un’illustrazione. ? + indica il tono ascendente dell’interrogazione diretta; viene posto alla fine di una domanda ! > indica il tono delle esclamazioni +++ 3 indicano il tono sospeso, il discorso lasciato a metà u» Li . è sposi PT > delimitano un discorso diretto o una citazione ma possono anche mettere in rilievo una parola strana o mettere in evidenza una parola = 3 unisce due parole che vengono occasionalmente collegate; in fin di riga viene adoperato quando è necessario andare a capo dividendo una parola (si può usare anche =). Due trattini lunghi (detti anche lineette) sono talvolta impiegati per racchiudere una proposizione incidentale oppure, con una funzione analoga a quella delle virgolette, per delimitare il discorso diretto. + può indicare un’omissione o può rinviare a una nota in fondo alla pagina. / > può indicare l'alternanza tra due possibilità; può sostituire il capoverso nelle citazioni di poesia; viene utilizzata in linguistica nelle trascrizioni fonetiche. () > delimitano parole che si vogliono isolare in un discorso [] > racchiudono parole o frasi che sono inserite nel testo solo per maggior chiarezza, ma non ne fanno parte. LA FONETICA SINTATTICA Quando parliamo, non pronunciamo le varie parole che compongono il nostro discorso separate le une dalle altre, ma le uniamo più o meno strettamente fra loro, seguendo un’intonazione e un certo ritmo. Si producono così fenomeni che i linguisti chiamano di fonetica sintattica. | più importanti di questi fenomeni sono: 1) ELISIONE > coincide con la caduta della vocale atona finale di una parola di fronte alla vocale iniziale della parola successiva: nella scrittura si indica con l'apostrofo. L’elisione è normale con alcuni articoli, alcune preposizioni semplici e articolate e alcuni aggettivi (un’asta, l’oste, sull’uscio, dell'esemplare, d’inverno, d’estate...). 2) TRONCAMENTO > coincide con la caduta della parte finale di una parola (suor Teresa, fra Cristoforo, buon ragazzo, un abito, nessun amico). Si differenzia dall’elisione in quanto quest’ultima può avvenire solo se la parola successiva inizia per vocale, mentre il troncamento può avvenire anche se la parola successiva inizia per consonante. Inoltre l’elisione viene segnalata dall’apostrofo, il troncamento no (fatta eccezione per: po’ e forme imperativa dei verbi dare, fare, stare (da’, fa’, sta’...). 3) ENCLITICHE E PROCLITICHE: alcuni monosillabi tendono ad appoggiarsi nella pronuncia alla parola che precede (enclitiche) o che segue (proclitiche). Sono particelle proclitiche gli articoli, le preposizioni, alcuni pronomi e avverbi. Sono particelle enclitiche sapendolo, vedendoci, amandoti... 4) RAFFORZAMENTO (o raddoppiamento) FONOSINTATTICO: fenomeno per cui determinate consonanti iniziali di parola, quando nella frase vengono a trovarsi di seguito a determinate parole uscenti in vocale, si pronunciano come se fossero scritte doppie. Esempio: a casa; tra loro. Abbiamo il rafforzamento: - dopo i monosillabi con accento grafico (è, già, dà, né, può...) - dopo numerosi monosillabi non accentati (a, che, chi, e, fa...) - dopo tutti i polisillabi tronchi (mangiò, portò, città, perché...) - dopo le seguenti parole piane: come, dove, qualche, sopra, ogni - dopo i nomi delle lettere dell’alfabeto (a, bi, ci) - dopo i nomi delle note musicali (mi, la, re). A livello ortografico però viene considerato corretto il raddoppiamento fonosintattico solo quando le due parole si scrivono unite. Esempio: cosiddetto, soprattutto, sopravvento, contraccolpo, davvero...
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