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La Grande Guerra: Una guerra totale e la nascita del totalitarismo, Dispense di Storia Contemporanea

La prima guerra mondiale, 100 anni fa, non era come sembrava: molti la consideravano positiva per rafforzare una nazione, formare popoli patriottici, nazionalizzare e rinnovare la società. Ma ha avuto ripercussioni globali, contrastando progresso economico e tecnologico con regresso civile, intellettuale e morale. Gli Stati Uniti presero il posto della Gran Bretagna come potenza mondiale, mentre l'Europa ne uscì debilitata. Nacquero regimi totalitari come il comunismo sovietico, il fascismo italiano e il nazionalsocialismo, che avrebbero portato alla seconda guerra mondiale. Il trattato di Versailles causò instabilità futura. La guerra fu lunga e distruttiva, coinvolgendo e influenzando politica, economia, cultura e costume.

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 26/03/2019

Carmi94
Carmi94 🇮🇹

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Scarica La Grande Guerra: Una guerra totale e la nascita del totalitarismo e più Dispense in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! 1 PAOLO BUCHIGNANI, La Grande Guerra e le origini del fascismo (Dispense) La guerra oggi: Dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, oggi, tutti noi, consideriamo la guerra una sciagura da evitare. Nella Costituzione si legge (art.11): “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. E’ significativo il fatto che oggi abbiamo il “ministro della difesa” e non il “ministro della guerra”, come prima del secondo conflitto mondiale. Oggi siamo grati all’Unione europea, che ha garantito settant’anni di pace. In Europa. La guerra cento anni fa Ma cento anni fa, come vedremo, le cose non stavano così: erano in molti (capi di stato e intellettuali, per esempio) a considerare la guerra un evento positivo, uno strumento necessario per rendere forte una nazione, per forgiare patriotticamente il suo popolo, per nazionalizzarlo, per rinnovare la società, addirittura per moralizzarla e purificarla (“moralità della guerra”, “guerra sola igiene del mondo”) Per comprendere queste posizioni dobbiamo entrare nel clima del tempo, nella testa di coloro che vivevano all’inizio del ‘900 (100 anni fa). Lo storico deve fare questo. Intanto partiamo da fatto, incontrovertibile, che la Grande Guerra è un evento di enorme portata, un evento-cesura nella storia del mondo, un evento che è alle origini del ‘900 e lo segna nel profondo: 1) - Si tratta di una guerra mondiale: infatti coinvolge i 5 continenti perché si estende agli imperi coloniali. I due schieramenti: da una parte Austria-Ungheria, Germania, Impero Ottomano, Bulgaria dall’altra Inghilterra, Francia, Russia, Italia, Portogallo, Romania, Grecia, USA, Cina, Brasile e altre repubbliche latino-americane 2) Cambia la carta geografica del mondo (crollano 4 imperi: zarista, austro-ungarico, tedesco e ottomano) 3) E’ un massacro senza precedenti per dimensioni e durata (circa 10 milioni di morti, oltre 20 milioni di feriti gravi e mutilati: un’intera generazione distrutta; l’Italia 680.000 morti e un milione di mutilati e invalidi): è l’apocalisse della modernità, per dirla con Emilio Gentile: è il volto mostruoso della modernità. La modernità trionfante della Belle Epoque si trasforma nella modernità massacrante di una guerra totale. Contrasto fra progresso economico e tecnologico e regresso nei valori civili, intellettuali, morali (crisi della democrazia) 4) Gli Usa sostituiscono la Gran Bretagna nell’egemonia mondiale e l’Europa ne esce dissanguata 5) dalla guerra nascono i regimi totalitari (comunismo sovietico, fascismo italiano e nazismo, e poi tante altre dittature, altre guerre e il genocidio del popolo armeno) che avranno un ruolo fondamentale – specie il nazismo - nel far scoppiare un’altra guerra). 6) il trattato di Versailles pone le basi della futura instabilità che porterà alla II guerra mondiale 7) è una guerra lunga in cui prevale chi ha più risorse economiche (potenze dell’Intesa) e non chi ha più forza militare (tutti pensavano che la guerra fosse breve) 2 8) è un guerra tecnologica (carri armati, mitragliatrici, fucili a ripetizione, cannoni potentissimi, aereo, sottomarino, ma anche il telefono, radiotelegrafo) con conseguenze distruttive inimmaginabili. 9) è una guerra di massa o prima guerra democratica della storia (Furet, Il passato di un’illusione, p.48) perché colpisce l’universalità dei cittadini: grandi eserciti (per coscrizione obbligatoria, accresciute possibilità dei mezzi di trasporto), spostamento di enormi masse di popolazione con fenomeni di sradicamento ma anche di integrazione e nazionalizzazione di queste masse 10) è una guerra totale: la guerra coinvolge e condiziona nel profondo l’intera società: la politica, l’economia, la cultura, il costume sono sottomessi e piegati alle esigenze belliche: . le libertà democratiche sono in gran parte sospese (censura sulla stampa, divieto di manifestare contro la guerra) . l’economia è una economia di guerra rigidamente controllata dallo Stato (sorgono nuove aziende, si stampa carta moneta per acquistare armi e vettovagliamenti, con la conseguenza dell’inflazione) . la propaganda . il fronte interno . le donne entrano in fabbrica . assuefazione alla violenza con ripercussioni nel dopoguerra (vedi squadrismo fascista) . masse di spostati e sradicati con ripercussioni nel dopoguerra Alcune domande: 1) Di chi la responsabilità della guerra? Per lungo tempo si è attribuita questa responsabilità solo alla Germania (Fritz Fischer) Ma tesi contrastata da un altro storico tedesco (Gerhard Ritter) e poi si è successivamente fatta strada l’idea di una responsabilità collettiva, soprattutto per opera degli studiosi delle relazioni internazionali 2) Era inevitabile la guerra? Per la storiografia marxista rifacentesi a Lenin (Imperialismo, fase suprema del capitalismo) la Grande Guerra era la inevitabile conseguenza del capitalismo imperialista. Ma questa tesi della inevitabilità della guerra è stata da tempo contrastata e confutata da molti storici. Certo non mancavano gli attriti tra le nazioni: Francia e Germania per Alsazia e Lorena, Germania e G.B. per il primato economico e il dominio sui mari, Austria e Russia per il dominio sui Balcani, Austria e Serbia ecc.; nazionalismi, imperialismo, colonialismo) Ma eravamo anche nella belle epoque, in un periodo di sviluppo economico, in piena seconda rivoluzione industriale. Anche in Italia età giolittiana e decollo industriale. Insomma c’erano tensioni, c’era una polveriera, ma senza il cerino acceso gettato in mezzo la polveriera poteva non esplodere. Il cerino fu, com’è noto, l’attentato terroristico di Sarajevo: lo studente bosniaco Gavrilo Princip uccide l’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie il 28 giugno 1914. Non possiamo sapere cosa sarebbe successo se l’attentatore avesse fallito il bersaglio o se i servizi segreti austriaci fossero stati più efficienti e l’avessero impedito. 5 Interventisti democratici Coloro che non vogliono una guerra imperialistica ed espansionistica, ma solo completare il Risorgimento con una “quarta guerra d’indipendenza” (per liberare Trento e Trieste) da condurre contro l’Austria (nemico storico del periodo risorgimentale) e contro la Germania, impero autocratico, che ha invaso la Francia (la patria dei diritti, la culla delle rivoluzioni) e il Belgio neutrale. Dunque guerra, ma solo a fianco dell’Intesa. Gli interventisti democratici sono: gli irredentisti (Cesare Battisti), importanti intellettuali (Gaetano Salvemini, Luigi Einaudi, Giovanni Amendola), radicali, repubblicani, socialriformisti di Bissolati (quelli espulsi dal Psi nel 1912) Interventisti rivoluzionari: futuristi (milanesi e fiorentini: Marinetti, Carli e Settimelli, Papini, Soffici, Palazzeschi, “Italia futurista”), sindacalisti rivoluzionari (Alceste De Ambris e Filippo Corridoni), ambiente vociano, a partire dal direttore de “La Voce” Giuseppe Prezzolini (da questi soggetti si origina l’anima rivoluzionaria del fascismo). Tutti costoro interpretano la guerra non solo come un modo per completare il Risorgimento, combattere gli imperi autocratici (Germania e Austria) e appoggiare la Francia, ma anche come un’occasione di rivoluzione, una guerra rivoluzionaria come la intende Sorel. Elemento patriottico ed elemento rivoluzionario, nazione e rivoluzione, stanno assieme. (cit. da Giuseppe Prezzolini, 28 gennaio 1914: “Una civiltà che minaccia di stancarsi ha bisogno d’una guerra o d’una rivolta per riprendere vigore” (vedi i documenti in appendice relativi a Marinetti, Panunzio e Malaparte) MUSSOLINI Direttore de “L’Avanti!” dal 1912, prestigioso leader del Psi, contro la guerra di Libia prima e poi contro l’ingresso nella Grande Guerra quando essa scoppia (nel luglio 1914 Mussolini si pronuncia per la “neutralità assoluta” e incita il proletariato alla lotta contro la guerra. Ma poi, nel giro di qualche mese, Mussolini cambia idea e diviene interventista acceso, anzi il leader dell’interventismo, col suo giornale “Il Popolo d’Italia” (vedi i documenti riportati in appendice) Si tratta di un volgare voltafaccia? Cosa è accaduto nel frattempo? a) la cultura di Mussolini era estranea alla tradizione socialista e al positivismo e fortemente contaminata dalla filosofie irrazionalistiche del primo ‘900 (da Nietzsche, Sorel, Le Bon), era vicina a quella dei sindacalisti rivoluzionari e dell’ambiente vociano. Inoltre Mussolini voleva rinnovare il socialismo italiano proprio su quella base. A questo scopo fonda “Utopia” (1913-14) e fa collaborare a “L’Avanti!” sindacalisti rivoluzionari e vociani, b) il fallimento della “settimana rossa” dimostra che il sovversivismo delle masse (che pure esiste) non può avere sbocchi rivoluzionari. Così i sindacalisti rivoluzionari pensano subito che l’occasione per la rivoluzione sia la guerra. E Mussolini finisce per allinearsi con loro c) l’ingresso in guerra dell’Italia cambia i termini della questione: i partiti socialisti europei si allineano coi rispettivi governi e abbandonano il pacifismo internazionalista. Lo stesso Psi, con la formula “né aderire né sabotare” confessa la sua sconfitta e diviene meno intransigente nel sostenere la neutralità. Inoltre, a guerra scoppiata, può il Psi dirsi indifferente sulla vittoria dell’uno o dell’altro fronte, degli Imperi autocratici o della Francia rivoluzionaria? Può augurarsi la sconfitta della nazione italiana in guerra? Può non sostenere gli irredentisti che vogliono liberare Trento e Trieste? E se il Psi, in quella fase fosse al governo, siamo certi che potrebbe non prendere posizione? E l’interventismo di prestigiosi esponenti del rivoluzionarismo europeo ((Cipriani, Kropotkin, Hervè)? (vedi mio saggio, pp.14, 15, 16, cit.p.15) Questi problemi se li pongono anche Gramsci e Togliatti (dirigenti del Psi) e sono sostanzialmente d’accordo con l’articolo di svolta che Mussolini pubblica su “L’Avanti!” il 18 ottobre 1914: Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante. 6 Ma la direzione del Psi bolla Mussolini come “intellettuale borghese” e “traditore del proletariato” e lo espelle il 29 novembre 1914, dopo che lui ha fondato, il 15 dello stesso mese, “Il Popolo d’Italia”, che diviene l’organo principale di tutto il movimento interventista. Salvemini esulta. Prezzolini e Lombardo Radice, gli inviano un telegramma: (mio saggio, p.17: “Psi ti espelle, Italia ti accoglie”) Intellettuali: escluso Croce, la grande maggioranza degli intellettuali italiani (Gentile, Salvemini, Prezzolini, Einaudi, Giovanni Amendola, Lombardo Radice, D’Annunzio) è interventista per le ragioni sopra esposte (per alcuni si tratta di una guerra risorgimentale e filo-francese; per altri di una guerra rivoluzionaria e/o di una guerra come rigenerazione morale - “moralità della guerra”, “resurrezione dell’Italia”: concetto già presente con la guerra di Libia: Emilio Gentile, mio saggio, p.7 - ; per qualcuno tutto questo messo assieme). E poi si deve aggiungere: - Condizione del ceto medio intellettuale declassato e privo di rappresentanza politica: vuole rovesciare lo Stato liberale e giolittiano e sogna uno Stato nuovo (il mito dello Stato nuovo) che soddisfi le sue aspirazioni. Si pensa che quello stato possa nascere dalla guerra (interpretata in senso morale ed estetico: “guerra sola igiene del mondo”); - élites intellettuali portatrici di una cultura antipositivistica, idealista e irrazionalista, che le induce ad abbandonare il socialismo e a spostarsi sempre di più dalla “classe” alla “nazione”, anche a causa della situazione internazionale che ripropone drammaticamente il problema della “nazione” (guerre del periodo 1896-1908: anglo-boera, greco-turca, ispano-americana, russo-giapponese) Gabriele D’Annunzio: tra questi intellettuali spicca D’Annunzio, fautore della guerra a fianco della Francia (nemico della Germania e dell’Austria), ma di una guerra imperialistica e aggressiva. Fin dal comizio di Quarto (1915) predica la violenza contro i neutralisti: squadrismo che comincia a realizzarsi subito e che verrà ripreso su larga scale dal fascismo (i neutralisti non sono avversari, ma nemici, traditori, vili, da insultare e annientare così come gli antifascisti: vedi gli insulti contro Giolitti). E poi D’Annunzio inaugura il dialogo con la folla poi ripreso da Mussolini. Cit., testo H: Roma, 13 maggio 1915) Interventismo della stampa conservatrice e filo-governativa: in particolare “Il Corriere della sera” di Luigi Albertini. Il Governo Salandra e il Re dal neutralismo si convertono all’interventismo per varie ragioni, alcune sopra esposte: difficoltà di restare neutrali a guerra scoppiata, pressione della piazza interventista, rafforzare con la guerra il prestigio internazionale dell’Italia, del Governo e della Monarchia, bloccare la lotta di classe e nazionalizzare le masse con la guerra. Giovanni Gentile scriverà nel 1927: In guerra bisognava entrare per cementare una volta nel sangue questa nazione [...] Cementare la nazione, come può fare soltanto la guerra, creando a tutti i cittadini un solo pensiero, un solo sentire, una stessa passione e una comune speranza [...] Crearla, dunque davvero questa nazione, come soltanto è possibile che sorga ogni realtà spirituale: con uno sforzo, attraverso il sacrifizio [...] Il punto del dissenso era precisamente questo. I neutralisti stavano per il tornaconto, e gli interventisti per una ragione morale, non palpabile, non pesabile sulla bilancia: almeno su quella che gli altri adoperavano. Rapporti di forza Neutralisti più numerosi (masse e maggioranza parlamentare giolittiana) Interventisti meno numerosi (tante sigle ma poche persone, però mobilitate e molto aggressive) Ma, soprattutto, è DECISIVO L’INTERVENTISMO DEL GOVERNO (Salandra e Sonnino) E DEL RE (Vittorio emanuele III) , PERCHE’ LA GUERRA LA DECIDE IL GOVERNO DEL RE 7 Così Patto di Londra del 26 aprile 1915 con Francia, Inghilterra e Russia. Lo firmano Salandra e Sonnino con l’avallo del Re senza informare né il Parlamento, né gli altri membri del governo. (Comunque non vulnus istituzionale, perché lo Statuto albertino prevedeva che su questa materia decidesse il Re) L’Italia dovrebbe ottenere: Trentino, Sud Tirolo, Venezia Giulia, la penisola istriana esclusa Fiume, una parte della Dalmazia con alcune isole adriatiche 300 deputati solidarizzano con Giolitti, il quale (non informato del patto di Londra) si pronuncia per continuare le trattative con l’Austria Salandra si dimette, ma il Re respinge le dimissioni Il 20 maggio la Camera approva la concessione dei pieni poteri al governo, il quale, il 23 maggio dichiara guerra all’Austria L’interventismo democratico, rivoluzionario e nazionalista è stato definito da Nicola Matteucci, in un saggio del 1970 sul ‘68 (Nicola Matteucci, Sul Sessantotto, pp.65-66), “insorgenza populista” o “rivolta populista” (“idee semplici e passioni elementari”, carica antiliberale e antiistituzionale, antintellettualismo, rivolta contro la ragione critica) Si tratta della prima rivolta populista del ‘900, cui seguiranno il fascismo rivoluzionario e il ’68. Prima di quest’ultimo, secondo Matteucci (cito): L’Italia ha già conosciuto nella sua recente storia altre due insorgenze populiste: la prima si diede con l’interventismo, che coagulò forze di diversa provenienza [...] in una comune condanna per l’Italia liberale, quale si era venuta formando dal 1871 al 1915, e le unì in un comune stato d’animo irrazionalistico, volontaristico, attivistico, dominato dal primato del fare. Il secondo momento populista lo possiamo ritrovare nel fascismo di sinistra o in quella eredità socialista che esso pur conservava, in quell’ideologia tutta incentrata sull’esaltazione dell’Italia, la “nazione proletaria” in lotta contro “le oligarchie finanziarie e colonialiste”, contro le potenze “demo-plutocratiche”. La grande strage (1915-16) Battaglie non risolutive e con uno spaventoso numero di morti sia sul fronte francese che su quello orientale. Per l’Italia: battaglia dell’Isonzo (quasi 250.000 morti) (1915) e poi “Strafexpedition” (1916) e dimissioni di Salandra, sostituito da Boselli. Strategia di Cadorna: stragi pianificate per minimi avanzamenti territoriali. Così diserzioni, autolesionismo e dure repressioni. La svolta del 1917 - Febbraio 1917: Fine del regime zarista e dissoluzione dell’esercito russo. Così trasferimento di forti contingenti tedeschi sul fronte occidentale - Aprile 1917, ingresso in guerra degli Usa a fianco dell’Intesa, ma le ripercussioni in Europa, sul piano militare, non sono immediate. All’inizio, ad incidere, è la fine del regime zarista, che comporta lo spostamento di truppe tedesche sul fronte occidentale. Così: - malessere delle truppe per difficoltà militari dell’Intesa in seguito alla vicenda russa e per ripercussioni degli avvenimenti russi sul morale dei soldati (scioperi e ammutinamenti dei reparti) - Benedetto XV parla di “suicidio dell’Europa” e “inutile strage” 10 Nato con la guerra, il fascismo morirà con la guerra: la guerra lo partorisce e la guerra lo uccide; quella guerra che avrebbe dovuto potenziarlo ed espanderlo lo uccide, perché è perduta. Alla guerra mondiale segue il mondo bipolare che termina nel 1989-91 E qui torniamo al contesto internazionale ed alla questione rimasta in sospeso all’inizio di questo discorso. E con essa concludo: Il ‘900 è un secolo breve o un secolo sterminato? La domanda rischia di essere oziosa e la risposta poco significativa La questione vera è capire se la Grande Guerra ha continuato ad incidere sul periodo successivo al 1991, sull’inizio del terzo millennio e sul nostro presente. La risposta è senz’altro affermativa se consideriamo la incontrovertibile presenza di due fenomeni: 1) il nazionalismo e 2) un terrorismo destabilizzante sul piano internazionale 1) Il nazionalismo, che già nel 1914 si è rivelato più forte del socialismo e determinante nello scoppio della Grande Guerra, è ancora più che mai vivo e forte. Dopo la fine del comunismo, la polveriera balcanica è riesplosa, siamo tornati al 1914 (guerre balcaniche) e nazionalismi nella ex Unione Sovietica, oggi, l’Ucraina 2) Oggi esiste un terrorismo organizzato e con funzione destabilizzante sul piano internazionale (vedi Al-Qaida, l’attentato alle Torri gemelle e la conseguente guerra in Afganistan ecc.). Quel tipo di terrorismo nasce nel 1914: quello di Gavrilo Princip non è un gesto isolato (come altri regicidi dell’800), ma è opera di una potente e spietata organizzazione terroristica, la “Mano Nera”, che mirava, col sostegno del governo serbo, a destabilizzare l’intera area balcanica con finalità nazionaliste slave. E destabilizzò il mondo. A cento anni di distanza, dunque, due fenomeni che certamente hanno avuto un rilevantissimo ruolo nello scatenamento della Grande Guerra sono ancora drammaticamente vivi e presenti. DOCUMENTI Dal Manifesto della Direzione del Partito socialista italiano, 20 ottobre 1914: “Compagni e lavoratori! […] la direzione del Partito, allo scoppiare della guerra orrenda che devasta e imbarbarisce l’Europa […] sente il dovere di rivolgervi la parola per confermare tutte le sue dichiarazioni e tutti i suoi deliberati. Voi stessi, o compagni lavoratori, avete anche adesso manifestato in plebiscito unanime: […] Neutralità non incerta ed ambigua come quella del Governo […] ma neutralità la nostra tersa e adamantina come quella attinge la sua forza alle fonti sempre vive della nostra incrollabile fede socialista. […] Su questa bandiera è scritto: Proletari di tutto il mondo, unitevi! Ed in mezzo al fragore delle armi, innanzi all’orrore della guerra, noi socialisti d’Italia ancora dobbiamo dire: Il Partito socialista è contro la guerra per la neutralità. Contro la guerra per la neutralità perché così vuole il socialismo che per noi vive e per cui l’Internazionale oggi perita [si allude al fatto che gli altri partiti socialisti europei si sono allineati coi rispettivi governi a favore della guerra] dovrà tornare vigorosamente a risorgere” Ma dopo l’intervento in guerra dell’Italia, il Psi ammorbidirà la sua posizione e adotterà la formula “né aderire né sabotare”, una implicita confessione di impotenza 11 Giovanni Giolitti “La gente che è al governo meriterebbe di essere fucilata. Vogliono portare l’Italia in guerra, per gli altri, senza bisogno; quando già sono state fatte concessioni adeguate. E’ un’idea fissa di Sonnino, di fare la guerra per salvare la Monarchia, che non è affatto in pericolo” (Giovanni Giolitti, Intervista a “La Tribuna”, 19 maggio 1915) Il Papa Benedetto XV nel 1917, in piena guerra: “Nel presentare la proposta di pace pertanto a Voi, che reggete in questa tragica ora le sorti dei popoli belligeranti, siamo animati dalla cara e soave speranza di vederle accettate, e di giungere così quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno di più, apparisce inutile strage” (Benedetto XV, Nota ai capi di stato dei paesi belligeranti, 9 agosto 1917) Il fondatore del futurismo Filippo Tommaso Marinetti, già nel 1909: “Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.[…] E’ dall’Italia che noi lanciamo al mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO […]” (F.T.MARINETTI, Il Manifesto del Futurismo, “Le Figaro”, 20 febbraio 1909) Il 18 agosto 1914, il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris afferma: “Se dovessero prevalere il kaiserismo ed il pangermanesimo degli imperi centrali, non vi sarebbe alcuna forza atta a controbilanciarli [...]. la vittoria antitedesca, al contrario, ci lascia sperare in una serie di benefizi di carattere economico, politico e morale che permetterebbe un rigoglioso sviluppo di tutte le forze di progresso dell’umanità [...] Certo, essa non è ancora la «nostra» rivoluzione; ma è forse necessaria per liberare il mondo dai detriti ingombranti del sopravvissuto medioevo”. (A.DE AMBRIS, I sindacalisti e la guerra, in «L’Internazionale», 22 agosto 1914. Cfr. anche G.B.FURIOZZI, Alceste De Ambris e il sindacalismo rivoluzionario, cit., p.73). Un altro sindacalista rivoluzionario, Sergio Panunzio, considera “la guerra inter-europea come unica soluzione catastrofico-rivoluzionaria della Società capitalistica. Altro che gridare: Abbasso la guerra! Chi grida così, è il più feroce conservatore. Da questo punto di vista sembra che nessuno sia più disperatamente attaccato al regime attuale che il Partito Socialista [il quale, anziché] preparare a costo di sangue e di battaglie una «situazione rivoluzionaria» che faccia da «ostetrica» alla nuova Società, si fa pigliare da brividi senili, da rammollimento e da deliqui sentimentali e idillici contro gli orrori della guerra e delle stragi”. (S.PANUNZIO, Il lato teorico e il lato pratico del socialismo, in «Utopia», A.II, n.7-8, 15-31 maggio 1914, pp.203- 205). Gabriele D’Annunzio “Se considerato è come crimine l’incitare alla violenza i cittadini, io mi vanterò di questo crimine, io lo prenderò sopra me solo. Se invece di allarmi io potessi armi gettare ai risoluti, non esiterei; né mi parrebbe di averne rimordi mento. Ogni eccesso della forza è lecito, se vale a impedire che la Patria si perda. Voi dovete impedire che un pugno di ruffiani e di frodatori riesca a imbrattare e a perdere l’Italia. Tutte le azioni necessarie assolve la legge di Roma. Ascoltatemi. Intendetemi. Il tradimento è oggi manifesto. […] Il tradimento si compie a Roma, nella città dell’anima, nella città di vita! Nella Roma vostra si tenta di strangolare la Patria con un capestro prussiano maneggiato da quel vecchio boia labbrone le cui calcagna di fuggiasco sanno la via di Berlino. [D’Annunzio si riferisce a Giolitti ed alle sue trattative con la Germania]. In Roma si compie l’assassinio. […] Udite. Ascoltatemi […] Noi siamo su punto d’essere venduti come una greggia infetta. […] Imponiamo il fato, imponiamo la legge. Le nostre sorti non si misurano con la spanna del merciaio, ma con la spada lunga . Però col bastone e col ceffone, con la pedata e col pugno si misurano i manutengoli e i mezzani, i leccapiatti e i lecca zampe dell’ex cancelliere tedesco […] Codesto servidorame di bassa mano teme i colpi, ha paura delle busse, ha spavento del castigo corporale. Io ve li raccomando. Vorrei poter dire: io ve li consegno. I più maneschi di voi saranno della città e della salute pubblica benemeritissimi. Formatevi in drappelli, formatevi in pattuglie civiche; e fate la ronda, ponetevi alla posta, per pigliarli, per catturarli”. (Gabriele D’Annunzio, Arringa al popolo di Roma in tumulto, 13 maggio 1915, in Per la più grande Italia, Milano, 1920) Lo scrittore Curzio Malaparte ricorda molti anni dopo: 12 “Nell'inverno del 1914, mentre l'Italia era ancora neutrale, io piantavo in asso il liceo Cicognini e, recatomi a Ventimiglia, attraversavo la frontiera a piedi, di notte, per arruolarmi nella Legione Garibaldina che si organizzava ad Avignone e a Montelimar, con la quale presi parte ai combattimenti delle Argonne. La Legione Garibaldina era composta, in grandissima parte, di sindacalisti e di anarchici. Se dovessi giudicarla oggi, con l'esperienza storica e politica di questi ultimi venticinque anni, direi che la Legione Garibaldina era composta di «fascisti»: essa fu per me l'anticamera del fascismo. Vi predominavano tutti quegli elementi politici e sociali che dovevo poi ritrovare nel fascismo. Non si capirebbero le ragioni della mia adesione al fascismo se non si tenesse conto di quella mia esperienza garibaldina”. C.MALAPARTE, Biografia, 1954; cit. in G.PARDINI, Curzio Malaparte. Biografia politica, Milano, Luni, 1998, pp.28-30. Nel 1927, il filosofo del fascismo Giovanni Gentile scrisse: “In guerra bisognava entrare per cementare una volta nel sangue questa nazione [...] Cementare la nazione, come può fare soltanto la guerra, creando a tutti i cittadini un solo pensiero, un solo sentire, una stessa passione e una comune speranza [...] Crearla, dunque davvero questa nazione, come soltanto è possibile che sorga ogni realtà spirituale: con uno sforzo, attraverso il sacrifizio [...] Il punto del dissenso era precisamente questo. I neutralisti stavano per il tornaconto, e gli interventisti per una ragione morale, non palpabile, non pesabile sulla bilancia: almeno su quella che gli altri adoperavano “. (GiovanniGentile, Origini e dottrina del fascismo, Roma, INCF, 1927, pp.8-9). Benito Mussolini, leader socialista e direttore de “L’Avanti!” il 26 luglio 1914: «Anche nel caso di una conflagrazione europea, l’Italia, se non vuole precipitare la sua estrema rovina, ha un solo atteggiamento da tenere: neutralità assoluta. O il governo accetta questa necessità o il proletariato saprà imporgliela con tutti i mezzi. E’ giunta l’ora delle grandi responsabilità. Il proletariato d’Italia permetterà dunque che lo si conduca al macello un’alta volta? Noi non lo pensiamo nemmeno. Ma occorre muoversi, agire, non perdere tempo […] sorga dalle moltitudini profonde del proletariato un grido solo, e sia ripetuto per le piazze e le strade d’Italia: “Abbasso la guerra”. E’ venuto il giorno per il proletariato italiano di tener fede alla vecchia parola d’ordine: “Non un uomo, né un soldo!”. A qualunque costo!» (Benito Mussolini, in “L’Avanti!”, 26 luglio 1914) Benito Mussolini, espulso dal Psi e direttore de “Il Popolo d’Italia”, convertito all’interventismo, l’11 maggio 1915: “Io condivido pienamente la vostra indignazione profonda per le notizie pervenute da Roma. Sembra che, complice Giovanni Giolitti, si mercanteggi nel modo più abbietto l’avvenire d’Italia. Cittadini! Permetteremo noi che il turpe mercato si compia? […] Permetteremo che – secondo le notizie che giungono da Roma, - si riesca a rovesciare il ministero Salandra ed evitare l’intervento, che solo può compiere i destini d’Italia? Cittadini! […] Se l’Italia non avrà la guerra alla frontiera, essa avrà fatalmente la guerra interna! E la guerra civile vuol dire la rivoluzione. Cittadini! Gridiamo ancora una volta qui: Viva la guerra liberatrice!” (Benito Mussolini, in “Il Popolo d’Italia”, 11 maggio 1915) BIBLIOGRAFIA - J.Joll, Cento anni d’Europa 1870-1970, Laterza, Bari, 1975 - G.Mann, Storia della Germania moderna 1789-1958, Garzanti, Milano, 1978 - E.Gentile, L’apocalisse della modernità - E.Gentile, Due colpi di pistola, 10 milioni di morti, Laterza, 2014 - F.Furet, G.Procacci, Controverso Novecento, Donzelli, 1995 - Angelo Ventrone, Piccola Storia della grande guerra - Angelo Ventrone, La seduzione totalitaria - M.Isnenghi, Il mito della grande guerra - M.Isnenghi, La tragedia necessaria - Il trauma dell’intervento 1914-19 (vedi fotocopia) - P.Melograni, Storia politica della grande guerra - E. Hobsbawn, Il secolo breve
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