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Guelfi e Ghibellini nell'Italia del duecento. Una falsa inimicizia, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto del libro di Paolo Grillo

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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Caricato il 26/06/2019

Soniaperuta99
Soniaperuta99 🇮🇹

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Scarica Guelfi e Ghibellini nell'Italia del duecento. Una falsa inimicizia e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! La falsa inimicizia, guelfi e ghibellini nell'Italia del Duecento Introduzione “Guelfi” e “ghibellini” sono 2 termini nati negli anni 40 del 200 in toscana, ma divennero di uso generale diversi anni dopo, prima si parlava di “parte della chiesa” ( pars Ecclesiae) e di “parte dell'impero” (pars Imperii). Probabilmente questi termini richiamano la contesa per il controllo della corona imperiale svoltasi tra il 1212 e il 1215. Ottone IV di Brunswick discendeva dal duca Guelfo (Welf) di Baviera, mentre Federico apparteneva alla casata di Svevia, il cui castello avito era Weiblingen (“Ghibellino”, in italiano) e con il cui nome si indicava tutta la discendenza erroneamente. Lo scontro si ripercosse anche in Italia, qui Milano e le alleate si schierarono con Ottone, mentre Innocenzo III e altri comuni presero le parti di Federico: non risulta però che i due fronti abbiano mai usato questi termini per identificarsi. Per poco più di 20 anni i termini Guelfi e Ghibellini non valicarono i confini della Toscana. Fu il cronista angioino Andrea Ungaro, nella narrazione della battaglia di Benevento composta intorno al 1272, a conferire ai due termini un valore generale valido per l'intera penisola. Il loro uso si diffuse dapprima verso sud, poi nelle regioni centrali e infine, nei primi del 300 , anche nell'Italia padana. L'uso del termine in riferimento agli eventi del XI e XII secolo è fuorviante, in quanto implica già l'esistenza di parti in conflitto organizzate e dotate di un solido retroterra ideologico. Esse invece comparvero solo durante le fasi più aspre dello scontro tra Federico II di Svevia e i papi. Non tutta la vita politica del tempo si organizzava attorno a questa polarizzazione, essa era legata all'interesse di specifici gruppi di potere che manipolavano a loro vantaggio il conflitto. L'emarginazione o l'espulsione degli avversari mirava nella maggior parte dei casi a una loro successiva riammissione contrattata, che riconoscesse l'egemonia di un determinato schieramento. “Guelfismo” e “Ghibellinismo” erano strumenti ideologici, che chi deteneva il potere cercava di manipolare a proprio favore, al fine di legittimare le proprie azioni, ma che poteva abbandonare nel momento in cui ne avessero ostacolato le scelte. 1.La nascita delle parti (1236-1250) 1.Poteri universali a confronto: l'Impero contro la Chiesa Il 20 marzo 1239 papa Gregorio IX scomunicò l'imperatore Federico II, accusato di attentare alla libertà della Chiesa. La cancelleria di Federico II, guidata da Pier delle Vigne, replicò all'atto con grande veemenza, chiamando i sovrani d'Europa alla ribellione, pena il rischio di finire assoggettati alle brame del pontefice. Questi ad aprile accusò Federico di essersi posto al servizio dell'Anticristo. Pier delle Vigne accusò Gregorio di essere un cavaliere dell'Apocalisse. Si era così giunti alla rottura definitiva tra imperatore e papa: nel precedente quarto di secolo i momenti difficili non erano mancati, ma i due poteri si erano sempre riappacificati. Dalla scomunica del 1239 non si sarebbe più tornati indietro. Dopo la morte di Gregorio IX, nell'agosto del 1241, e a seguito del brevissimo pontificato di Celestino IV, nel 1243 venne eletto Innocenzo IV. Vi fu la speranza di riappacificazione, ma andò in breve in fumo, Federico minacciò il papa di farlo imprigionare. Delle navi genovesi riuscirono a portare il papa in Francia, sotto la protezione di re Luigi IX, il Santo. Da Lione, nel luglio del 1245, Innocenzo IV scomunicò Federico, lo dichiarò deposto e lo chiamò eretico e spergiuro. Nel 1246 Federico reagì mobilitando un esercito in Piemonte per marciare su Lione, ma il peggioramento della situazione militare in Lombardia non glielo permise. Il conflitto in Italia centro-settentrionale era iniziato nel 1236 e in 2 anni l'imperatore aveva assoggettato Padova, Treviso, Vicenza e Mantova. La guerra però era destinata a protrarsi fino alla morte dello Svevo nel 1250. 2.Imponendo dall'alto: la parte dell'Impero Una guerra così lunga era destinata a portare profondi mutamenti anche all'interno delle comunità urbane. La neutralità era impossibile: era necessario schierarsi, con tutte le conseguenze che la scelta poteva comportare. E le città erano governate a comune, quindi le scelte venivano prese dai Consigli: l'Impero e la Chiesa cominciarono dunque ad usare tutte le risorse di cui disponevano per condizionare tali decisioni e per assicurarsi che le famiglie dalla loro parte prendessero il potere e lo mantenessero. Che qualcosa stesse cambiando nelle città passate all'impero apparve presto chiaro. Padova nel gennaio del 1237 si consegnò al vicario imperiale. Diversi membri dell'elite cittadina contrari alla decisione lasciarono la città. Nelle città all'epoca si dava per scontato che chi non era fuoriuscito sarebbe rimasto reale al nuovo regime, ma a Padova il vicario imperiale iniziò a perseguire chi era restato, facendo mandare in esilio alcuni cavalieri con la motivazione che questi erano considerati “traditori dell'Impero”. Viene quindi introdotta una novità: opporsi al governo in carica nei centri filoimperiali diventava reato capitale di alto tradimento e di lesa maestà. I prigionieri di guerra erano visti alla pari dei traditori fuoriusciti. Davanti alle mura di Brescia e Parma assediate, Federico faceva quotidianamente uccidere alcuni degli avversar caduti nelle sue mani al fine di esercitare pressione sui difensori e indurli alla resa. L'atteggiamento di Federico nei confronti dei suoi avversari divenne ancora più duro nel 1246, dopo una rivolta aristocratica nel meridione. La congiura fallì, la repressione fu spietata e Federico rimase sospettoso verso tutti. Parma fin dall'inizio della guerra si era schierata con l'Imperatore. Nel 1246 Federico secondo iniziò a temere che nella città stesse crescendo troppo l'influenza politica di alcune famiglie legate al papato, in particolare dei Rossi, imparentati con i Fieschi di Genova, discendenza a cui apparteneva papa Innocenzo IV. L'imperatore in un'assemblea pubblica obbligò Bernardo di Rolando Rossi a dire di aver complottato per far morire Federico. Questi fece distruggere le case dei parmigiani che andarono in esilio. Per quelli che non avevano voluto lasciare la città si aprì un periodo di persecuzioni e discriminazioni, costellato da condanne a morte arbitrarie. L'operazione si estese anche a Reggio, dove vennero bandite molte famiglie sospettate di essere vicino alla Chiesa. Nel 1248 toccò a Firenze, dove Federico impose come podestà per 3 anni il figlio illegittimo, Federico di Antiochia e cacciò dalla città coloro che si opponevano alla sua nomina e le case vennero incendiate e ridotte in rovina. Un tale livello di violenza era allora estraneo alle consuetudini comunali. 3.Operando dal basso: la parte della Chiesa Nel campo della Chiesa l'attacco agli avversari politici avvenne in forme diverse. Se nell'Impero l'iniziativa prese avvio dagli ufficiali imperiali, la Chiesa decise invece di agire dall'interno della società comunale e non dall'alto, persuadendo i governi cittadini ad assumere uno schieramento a lei favorevole. Per far questo essa disponeva di un vastissimo apparato per fare pressione, rappresentato dalla rete dei conventi. I frati predicavano, mentre l'Impero faceva uso delle forma scritta, quindi si rivolgeva alle elitè in grado di comprendere il latino complesso e aulico. La chiesa invece seppe agire su diversi piani. Le strategie messe in campo furono complesse. Innanzitutto, la popolazione delle città veniva messa in guardia su eventuali scelte filoimperiali compiute dai governi urbani. Soprattutto nell'Italia centro-settentrionale erano già attivi da tempo i movimenti “di Popolo”. Oltre alla predicazione potevano affiancarsi provvedimenti più concreti, utili a procurare il favore dei gruppi sociali inferiori: a Milano nel 1240 l'ambasciatore pontificio promosse una riforma fiscale, volta a ripartire più equamente il peso delle tasse, inoltre si diede particolare peso alle donne, assimilate a Maria Vergine, considerata la prima protettrice della Chiesa nella lotta contro l'Impero. Nella predicazione chi aderiva alla parte imperiale veniva dipinto come eretico in quanto seguiva uno scomunicato. La predicazione si rivelò efficace, tanto che nel 1239-1240 Federico II fu costretto a espellere tutti i francescani dal regno di Sicilia. Nelle città del centro nord non era possibile fare altrettanto e l'azione dei frati costituì un fattore di instabilità, tanto che non mancarono casi di religiosi fatti condannare a morte. A Firenze furono proprio i domenicani ad aprire la strada al confronto politico che poi porterà la “parte della Chiesa” ad avere la meglio. Il più clamoroso successo di Gregorio da Montelongo (delegato papale plenipotenziario) fu il cambiamento di fronte del comune di Vercelli nel 1243, dimostra come gli interessi delle chiese locali potevano essere sacrificati per il più ampio interesse della “parte della chiesa”. Agli inizi del secolo Vercelli era una solida alleata di Milano, ma dopo la battaglia di Cortenuova aveva cambiato bandiera. Nel 1242 però il vescovo di Vercelli morì e Gregorio ne assunse le prerogative, impedendo la nomina di un successore. In tal modo potè concludere un accordo con il comune, in base al quale Vercelli avrebbe abbandonato il campo imperiale e in cambio il comune avrebbe potuto incamerare i beni della chiesa a nord della città. Poter condizionare le nomine dei vescovi aveva una grande importanza. Nel 1239 Ferrara era saldamente imperiale, in quell'anno però morì il vescovo e Gregorio IX impose subito il proprio candidato, il quale prese contatto con gli Este, veneto che era stato cacciato dai suoi possedimenti e con i veneziani, sempre desiderosi di di farsi legittimare dal papa. Innocenzo IV però fu contrario ad ogni trattativa e prese le parti del nobile tedesco, il marchese di Hohenburg, così nel regno scoppiò una guerra civile. Il 7 dicembre del 1255 Innocenzo IV morì e gli succedette Alessandro IV. Questi decise di intervenire in meridione e inviò un esercito di combattenti contro Manfredi. La spedizione andò in fumo. Manfredi nei due anni successivi eliminò gli ultimi sacchi di resistenza e agli inizi del 1258 poteva dirsi padrone del regno. Lo schieramento filoimperiale aveva così un nuovo campione, nettamente contrapposto al papa. Gli anni di Manfredi sono quelli a cui più agevolmente si adatta la lettura della politica italiana come confronto tra due blocchi contrapposti, che culminerà con la battaglia di Montaperti. Manfredi allacciò subito rapporti con i fedelissimi del padre restati in Italia settentrionale. Manfredi, va ricordato, possedeva solo il regno di Sicilia, non era imperatore, quindi non avrebbe dovuto avere alcun interesse nell'Italia settentrionale. Interessandosi di quanto avveniva nell'Italia comunale, egli rivendicava l'eredità politica del padre, ma la sua autorità, nello stesso campo ghibellino doveva fare i conti con un gran numero di rivali. 3.L'Italia di Manfredi (1258-1265) 1.La battaglia di Cassano d'Adda Mentre Manfredi si batteva per il trono di Sicilia, la corona imperiale era oggetto di interesse di molti principi europei. Era la natura universale dell'impero, quale erede dell'impero romano che faceva si che il titolare non dovesse per forza essere tedesco. Il papa come proprio candidato scelse l'inglese Riccardo di Cornovaglia, il quale fu eletto nel 1257, il quale però non si affacciò mai a sud delle Alpi. I potenti tedeschi però non volevano che il papa controllasse la carica, così trovarono un altro interessato, il re di Castiglia, Alfonso X, la cui capacità militare era di tutto rispetto. Egli, nella politica italiana, creò divisione nel campo ghibellino. Fra le città italiane la prima fu Pisa a guardare con favore la sua candidatura, per gli interessi commerciali che avevano in Spagna. I pisani lo riconobbero quale legittimo imperatore. L'antico fronte imperiale toscano si divise così in 2 parti: il fronte delle rivali di Firenze si divise, infatti Siena si era schierata con Manfredi. Nel nord della penisola invece Oberto Pelavicino e Ezzelino da Romano, mostravano un'amicizia di facciata, ma si contendevano in realtà la supremazia. Inoltre i due erano anche divisi dalle grandi scelte di politica europea. Oberto era filoimperiale in chiave di continuità con Federico II e guardava quindi a suo figlio Manfredi mentre Ezzelino da Romano guardava ad Alfonso X. La rivalità fra gli antichi vicari di Federico II, che interpretavano in modo assai diverso l'eredità sveva era destinata a trasformarsi rapidamente in scontro aperto. Il casus belli, fu dato da Milano, guelfa, ma divisa in due parti, da un lato le grandi famiglie di mercanti e proprietari fondiari e dall'altro il gruppo degli artigiani. A marzo Milano precipitò nel caos. Alla fine prevalse il Popolo delle corporazioni artigiane, più numeroso e compatto, che si era dato come guida il nobile Martino della Torre. Un gruppo di aristocratici se ne andò da Milano e cercò l'appoggio di Ezzelino da Romano, a cui promisero la signoria della città se fosse intervenuto militarmente. Ezzelino assentì e cominciò a organizzare l'esercito. Di fronte alla minaccia di Ezzelino, Martino, benchè da sempre legato alla fazione papale, chiese aiuto al vicario imperiale Oberto Pelavicino. Questi si affrettò a garantire il suo appoggio e cercò l'amicizia del guelfo Azzo VII d'Este. L'11 giugno 1259 venne concluso l'accordo tra la fazione antiezzeliana, ma esso non si dava solo l'obiettivo di distruggere Ezzelino, ma preparava una complessiva ripartizione dell'Italia nord-orientale fra i contraenti. Questa riorganizzazione avrebbe riguardato l'Italia intera, in quanto gli alleati si impegnavano ad adoperarsi per la riconciliazione fra il papa e Manfredi. La riconciliazione tra i potenti non implicava la riammissione degli avversari politici all'interno delle comunità. Dopo la conclusione del trattato la situazione precipitò rapidamente. Ezzelino oltrepassò l'Adda diretto su Milano, ma venne bloccato nei pressi di Monza dalla rapida reazione del della Torre. Indeciso sul da farsi, fermo sull'Adda, Ezzelino venne raggiunto dall'esercito del Pelavicino e dell'Este: ai primi di ottobre si giunse alla battaglia di Cassano d'Adda, dove Ezzelino fu sconfitto e morì poco dopo la sua cattura. Labattagliadi Cassano d'Adda non fu una vittoria guelfa, bensì il successo di re Manfredi che consolidava le sue posizioni nell'Italia settentrionale. A trasformare un successo ottenuto congiuntamente da guelfi e ghibellini fu proprio papa Alessandro IV, che si dimostrò incapace di sfruttare le fratture della fazione imperiale e l'opera di mediazione promessa da Azzo d'Este. Egli rifiutò la riconciliazione con Manfredi e colpì l'alleanza interpretandola come un avvicinamento di Martino della Torre alla fazione imperiale. Lo scomunicò insieme a tutto il consiglio imperiale di Milano. I della Torre si trovarono spinti nel campo ghibellino. I riferimenti ideologici vennero ancora una volta ribaltati in favore di un pragmatismo diplomatico ispirato dal semplice di cercare l'amicizia di chi era ostile ai propri nemici. Dopo queste vicende gli esuli si riavvicinarono al papato e riuscirono a far nominare come arcivescovo uno dei loro esponenti, Ottone Visconti. Egli assunse rapidamente la leadership militare e politica dei fuoriusciti. 2.La battaglia di Montaperti In Toscana i termini”guelfi” e “ghibellini” si erano ormai affermati in tutta la regione e gli schieramenti sembrano più nitidi che nell'Italia padana. Ma in realtà si produssero movimenti politici complessi e tutt'altro che lineari. Ricordiamo che Pisa sosteneva Alfonso X. Nel luglio del 1259 Manfredi aveva cercato di ribaltare la situazione cercando l'appoggio dei fiorentini in chiave antipisana. Con l'apertura delle trattative i filoimperiali fiorentini si sentirono traditi da Manfredi e cercarono di intercettare e uccidere gli ambasciatori inviati dal re a Firenze. I fiorentini guelfi erano in rotta con il pontefice e i ghibellini diffidavano di Manfredi. Le cui trattative con Firenze non andarono a buon fine, allora egli decise di puntare tutto sull'alleanza con Siena, che gli aveva giurato fedeltà. Nella città non tutti erano favorevoli a questa scelta di campo, infatti i banchieri senesi erano da anni in affari con la Curia romana. Su lo loro pressione al patto con Manfredi fu apposta una clausola che esentava Siena a partecipare a qualsiasi azione volta contro la Chiesa. L'alleanza tra Manfredi e Siena suscitò allarme a Firenze. Visto il perdurare dei cattivi rapporti con Alessandro IV, i guelfi “intrinseci” agli inizi del 1260 decisero di guardare a loro volta ai rivali imperiali di Manfredi. Il 4 settembre del 1260 un contingente di fiorenti, affiancati da contingenti di Lucca, Pistoia, Prato e altri centri minori si era scontrato con le truppe senesi e i cavalieri inviati da Manfredi nella piana di Montaperti. L'esito della battaglia fu favorevole ai secondi. A Firenze restavano pochi uomini validi e la città fu costretta ad aprire le porte ai ghibellini. Questi, guidati da Farinata degli Uberti riuscirono ad evitare che Firenze fosse punita troppo duramente, ma abolirono le principali magistrature popolari e imposero un governo da loro dominato, mentre i guelfi più in vista prendevano la via dell'esilio. Montaperti ricompose e donò nuova chiarezza al quadro delle alleanze. Ora vi è un deciso vincitore, Manfredi, attorno al quale andarono ad allinearsi quasi tutte le potenze toscane sconfitte o neutrali. Il blocco fu formalizzato nel 1261 con un'alleanza che univa Pisa, Siena, Firenze, Pistoia e Volterra, a cui si aggregò poco dopo Arezzo. Tutti si impegnavano a stipendiare dei cavalieri tedeschi per consolidare militarmente l'alleanza. Il 18 novembre 1260 Alessandro IV aveva scomunicato i senesi e i fiorentini, ma senza risultati pratici. Sarà Urbano IV a trovare il grimaldello per forzare la stabilità di uno schieramento radicato sull'unica base del trionfo militare filosvevo a Montaperti. 3.L'Italia di Manfredi (o quasi) Le vittorie a Cassano d'Adda e a Montaperti parvero aprire la strada alla piena affermazione del potere di Manfredi in Italia. Il re cominciò a rivendicare l'autorità paterna su tutta a penisola. Egli divise l'Italia centro-settentrionale in circoscrizioni alla cui testa pose propri familiari in diverse città e nel 1261 decise di scatenare un'offensiva nel territorio delle Marche, ancora di dominio pontificio. In tal modo si precluse ogni possibilità di accordo con il papa. I guelfi erano sconfitti ma tutt'altro che scomparsi. In molte città del centro nord i guelfi si andavano riaffermando. Nel centro Italia le forze filopontifice tenevano saldamente un blocco formato da Roma, Perugia, Spoleto, Orvieto e Viterbo. Nelle Marche 'offensiva fu fermata dalla resistenza dei comuni locai. Il fronte ghibellino inoltre non era compatto, in Toscana le tensioni rimanevano acute. La guerra continuava e con essa anche i tentativi di pace. 4.La pace e i flagelli Durante il periodo della guerra un vulcano in Indonesia eruttò, causando un peggioramento del clima ovunque e pesanti carestie, che andarono a colpire anche l'Italia. Il prezzo dei cereali aumentò un po' dappertutto causando gravi difficoltà alle famiglie più povere. In questo contesto non risulta difficile capire il successo di cosiddetti “battuti” o “flagellanti”. Si trattava di un movimento religioso dai forti contenuti escatologici, che predicava l'imminente abbattersi dell'ira divina sul mondo e invitava gli uomini alla penitenza e alla conversione per evitarlo. Segno visibile di penitenza era l'autoflagellazione pubblica, mentre lo scopo finale era l'adesione a un progetto di pace generalizzata. L'esperienza dei flagellanti ebbe inizio nel 1260 a Perugia. Qui il governo riuscì ad imporre una legislazione innovativa, in cui il comune poteva intervenire per portare la pace tra le grandi famiglie anche senza che esse lo richiedessero. Il nuovo governo cercava legittimità evocando uno stato di concordia perpetua in seno alla comunità urbana. La devozione dei flagellanti tra il 1260 e il 1261 si diffuse in gran parte dell'Italia centro settentrionale. Essi, nei centri colpiti dal fuoriuscitismo, richiedevano un rientro della parte estromessa al fine di instaurare la pace. La devozione dei flagellanti sembra aver avuto un forte connotato popolare. La richiesta di una risoluzione dei conflitti espressa sia dai movimenti popolari, sia dalle elite cittadine tentava di supplire a un'assenza della politica regia in tale direzione. 4.Re guelfi e papi ghibellini (1266-1282) 1.La spedizione di Carlo d'Angiò Dopo le grandi vittorie Manfredi aveva assunto un atteggiamento sempre più ostile nei confronti del pontefice, a cui stava cercando di sottrarre le Marche. Papa Urbano IV cercava dunque un appoggio esterno. Nel 1263 lo trovò in Carlo d'Angiò, fratello minore del re di Francia e conte di Provenza. Egli assentì ad assumere il titolo di “senatore di Roma”, propedeutico a quello di “re di Sicilia” che il papa aveva promesso per indurlo a scendere in campo contro Manfredi. Egli prima di partire volle prepararsi la strada intessendo una rete di alleanze in Lombardia ed Emilia Romagna, in modo da agevolare il transito dell'esercito diretto a sud. Egli trovò un terreno agevole a causa delle divisioni interne ai Ghibellini, tensioni che a Milano avevano causato l'allontanamento del podestà che era stato nominato da Oberto e così si aprirono le tensioni con quest'ultimo. Nel novembre del 1264 il mandato quinquennale di Oberto Pelavicino quale capitano di guerra a Milano scadde e non venne rinnovato. Il 23 gennaio successivo Carlo d'Angiò e i della Torre stipularono una solenne alleanza politica e militare. Nel frattempo l'alleanza si estendeva a Guglielmo VII marchese di Monferrato. Il 24 maggio Carlo d'Angiò arrivava a Roma via mare alla testa di alcune centinaia di uomini, mentre il grosso dell'esercito procedette via terra attraverso la Lombardia, la Romagna e l'Umbria. Il 26 febbraio, davanti alla città di Benevento, l'esercito di Manfredi fu disastrosamente sconfitto e il re di Sicilia morì. Carlo d'Angiò rimaneva padrone del regno di Sicilia. 2.Intermezzo: la pace di Clemente IV La vittoria di Carlo risolveva alcuni problemi per il papato, ma ne poneva altri. Un protettorato da parte di questi su Roma, sarebbe stato comunque sgradito al pontefice. Sin dall'inizio il rapporto tra Clemente IV e Carlo era stato costellato da conflitti. Dopo la vittoria a Benevento, l'esercito angioino si era dato al saccheggio delle campagne e della stessa città che però era un'enclave soggetta al papa all'interno del territorio del regno di Sicilia. Clemente rimproverò Carlo ritenendolo responsabile di tale malefatta. Il papa cercò di temperare il potere di Carlo. Solo la minaccia della discesa di Corradino di Svevia riavvicinò i 2. dopo la battaglia di Benevento Clemente IV cercò di allontanar pacificamente gli ultimi alleati di Manfredi nell'Italia centro settentrionale. Carlo riuscì a sottomettere Firenze e in generale la Toscana. L'offensiva diplomatica di Clemente IV ebbe pieno successo in settentrione, senza dover far ricorso all'intervento di Carlo. Questo ebbe una grandissima importanza nell'impedire il pieno consolidamento del potere angioino su tutta la penisola. 3.La spedizione di Corradino Il consolidamento del potere papale e angioino nella penisola portò i centri ghibellini superstiti a cercare un nuovo punto di riferimento, questi fu Corradino di Svevia, ultimo discendente maschio di Federico II. L'operazione prese il via dalla Toscana, in special modo da Pisa. Gli esuli siciliani della corte di Manfredi chiesero aiuto a Corradino per combattere i guelfi ed egli accettò. Nell'autunno del 126 Corradino valicò il Brennero, la sua marcia rivela ancora una volta quanto fossero fragili i coordinamenti sovralocali nell'Italia del 200, essi infatti nella discesa non trovarono quasi nessuna opposizione. Corradino entrò a Roma il 24 luglio, accolto festosamente da buona parte della popolazione. Papa Clemente IV si rifugiò a Viterbo ma non fu in grado di contrapporgli alcuna efficace opposizione armata. Il 23 agosto 1268 l'esercito di Carlo intercettò quello dello Svevo nella attivamente nella caotica situazione Lombarda, ma la sua azione sembra non essere stata particolarmente coerente. Il valore intrinseco del proclamarsi guelfi o ghibellini che concedeva di accedere alle risorse di più vasti coordinamenti, su scala italiana o internazionale, era venuto meno a seguito della perdita dei punti di riferimento. Le alleanze andarono per tanto disgregandosi. 2.L'arcivescovo e il marchese A seguito della presa al potere a Milano di Ottone Visconti la parte aristocratica si era affrettata a prendere il controllo degli organismi di governo e estromisero dal potere gli organismi di Popolo. Tale atteggiamento portò alla ripresa di una forte opposizione politica attorno al superstite dei della Torre. Questo portò gli aristocratici a cercare alleanza e appoggio militare da parte del marchese di Monferrato. Guglielmo VII di Monferrato era il leader d uno schieramento che comprendeva i maggiori comuni nord-occidentali. Nel 1281 il della Torre venne ucciso in battaglia e questo diede a Guglielmo VII l'occasione di assumere i pieni poteri su Milano. Questo suscitò la reazione dei popolari e delle famiglie aristocratiche moderate che si raccolsero attorno a Ottone Visconti. Preoccupato dalle ambizioni del Monferrato, il Visconti si mise alla testa di un tumultò che scacciò gli ufficiali di Guglielmo dalla città. Guglielmo VII non rinunciò mai alla città e dal 1283 si diede alla contrapposizione ai milanesi, ormai saldamente guidati da Ottone Visconti. Il conflitto causò un generale rimescolamento delle alleanze in Lombardia. Il marchese di Monferrato era però alleato di Como, territorio nel quale erano stati rinchiusi i della Torre. Essi vennero liberati e firmarono un accordo con Guglielmo VII che prevedeva il loro rientro a Milano. Nel 1285 insomma erano pronti a scontrarsi 2 schieramenti formati solo sulla base delle ambizioni di supremazia locale. I due blocchi erano geograficamente compatti, quello a ovest di Milano dalla parte di Guglielmo VII e uno a est che sosteneva il Visconti. La guerra finì perchè i milanesi alla mercè dei due signori, si rifiutarono di prestarsi al loro gioco. 3.Le avventure di un podestà in un'epoca ambigua I podestà si muovevano all'interno delle alleanze preesistenti e con l'affermarsi dei due blocchi si crearono un circuito dei podestà guelfi e uno dei podestà ghibellini. Con il venir meno dei punti di riferimento esterni anche questa divisione saltò. 4.Due battaglie e molte incertezze: la Meloria e Campaldino al contrario che il Lombardia, in Toscana le suddivisioni sembravano nettissime. Le guelfe Lucca, Firenze, Prato, Pistoia e Siena si contrapponevano all'asse ghibellino composto da Pisa e Arezzo. Non appena allarghiamo lo sguardo al quadro delle alleanze nel loro comporsi però, questi contorni così netti finiscono per svanire e lasciare il posto a un panorama più sfaccettato e composito. Pisa e Genova erano entrambe ghibelline, ma rivali tra loro a causa degli scambi commerciali nel Tirreno. I vespri siciliani e la fra Angiò e Aragona avevano sconvolto gli equilibri mediterranei, e portarono allo scatenarsi della guerra aperta tra Pisa e Genova. Inizialmente essa si ebbe solo sul fronte marittimo, ma successivamente la città toscana esasperata accettò la battaglia, che si combattè il 6 agosto 1284 sulle secche della Meloria, vicino a Livorno. I genovesi ottennero una vittoria schiacciante. Pisa non capitolò di fronte alla disfatta. Pur ghibellina Genova aprì trattative con le città guelfe nemiche di Pisa, tra cui Firenze, che si alleò. Allora a Pisa si decise di chiamare come podestà l'Ugolino Guelfo, da lungo tempo amico di Firenze. Quest'ultima si staccò dall'alleanza con Genova. Nel frattempo ad Arezzo il vescovo aveva preso il potere come signore ed era passato da parte ghibellina. Fu così che Firenze portò avanti un due grandi spedizioni contro di essa, da tempo sua rivale, e le fece passare come “spedizioni guelfe”, tanto che la battaglia di Campaldino, combattuta l'11 giugno 1289, venne fatta passare come rivincita rispetto a quella di Montaperti. La battaglia di Campaldino terminò con una schiacciante vittoria dei fiorentini. Fu una grande vittoria ma non concluse la guerra che si prolungò per altri 2 anni. 5.Tentativi di pace e consolidamento delle fazioni Paradossalmente, mentre il ruolo dell'ideologia guelfa e ghibellina come strumenti di coordinamento sovralocale mostrava tutti i suoi limiti, la contrapposizione interna alle città raggiungeva livelli di sistematicità e di esasperazione prima sconosciuti. Una delle ragioni della crisi delle istituzioni comunali a fine 200 fu l'affermarsi, fallimentare, dell'idea che i conflitti, invece di venir di volta in volta moderati e regolati dalle autorità pubbliche, andassero eliminati alla radice, imponendo alla popolazione un assoluto conformismo politico, etico e religioso. La crisi degli schieramenti di dimensione nazionale non portava alla tranquillità interna alle città, dato che la contrapposizione tra chi controllava il governo del comune e chi era stato costretto all'esilio non veniva per questo meno. A parole tutto volevano la pace, ma era la pace del vincitore, legata alla sottomissione degli sconfitti. Il nuovo pontefice Bonifacio VIII avrebbe aderito all'idea affermatasi nella maggior parte dei comuni: l'unica forma di pace attuabile sarebbe stata quella imposta da un vincitore. 6,Il papa e il poeta 1.Bonifacio VIII Papa Martino IV impiegò tutta la sua energia a difendere la causa di Carlo II d'Angiò contro gli aragonesi nelle guerre per il possesso della Sicilia, mentre il successore Celestino V era un mistico eremita non politicamente connotato. Il 13 dicembre 1294 Celestino V abdicò. Il 24 dicembre veniva eletto come nuovo papa Benedetto Caetani che prese il nome di Bonifacio VIII. Su di lui si è creata un'immagine dovuta ai letterati come Dante, che rende difficile distinguere il personaggio storico dal letterario. Dopo essere diventato pontefice mise le risorse dalla Chiesa a disposizione degli interessi privati della sua famiglia. È indubbio però che egli avesse anche grandi doti di governo e la dote di comprendere la complessità del mondo cittadino italiano. Le ambizioni di Bonifacio ne animavano la volontà di ridisegnare complessivamente la mappa politica della penisola, portandole tranquillità e ordine. Si trattava di un progetto egemonico, propedueutico a una più generale pacificazione del mediterraneo cristiano,al fine di organizzare una crociata per la Terrasanta. 2.Vescovi, crociate e fazioni è indubbio che Bonifacio seppe comprendere come la persistente conflittualità civile che tormentava le città italiane gli fornisse un'eccellente giustificazione per intervenire nella loro politica interna e condizionarla a suo favore. Egli decise di sostenere le fazioni a lui fedeli nelle singole città, perchè esse potessero costituire governi stabili. Il papa mirava a costruire una propria rete di sostenitori che solo in minima parte coincideva con gli schieramenti già esistenti. Il nuovo papa si muoveva con grande spregiudicatezza fuori dai campi predefiniti, perseguendo con lucidità il proprio disegno egemonico. Nei territori pontifici Bonifacio seppe costruirsi il consenso ricompensando chi gli era fedele e dando ampio spazio al Popolo, al fine di bloccare la possibile affermazione dei signori locali. Al di fuori delle terre pontificie egli utilizzò a suo favore la possibilità di nominare i vescovi, in tal modo sistemò un gran numero di parenti e alleati consolidando la sua posizione a Roma. 3.Guelfi contro guelfi: la Toscana ? 4.Firenze e “il ghibellin fuggiasco” Dante crebbe in una Firenze solidamente guelfa, e gli Alighieri erano un casato solidamente guelfo dagli anni 30 del 200. Il futuro poeta era saldamente schierato in quel campo. Dante aveva avuto una felice carriera politica che era culminata nel 1300 con il priorato. Una rete di conoscenze spinse Dante a legarsi alla consorteria dei Cerchi, che stavano accrescendo la loro potenza a scapito della stirpe contrapposta, quella dei Donati. Quando dante divenne priore lo scontro tra Cerchi e Donati era arrivato al culmine, i primi avevano ormai di fatto assunto il controllo della nomina dei priori. I seguaci dei Cerchi vennero nominati “bianchi”, i seguaci dei Donati “neri”. I due schieramenti avevano idee politiche diverse su differenti posizioni e in primo luogo sul problema dei rapporti tra la città e Bonifacio VIII. L'arrivo di Carlo di Valois, inviato da Bonifacio nel novembre del 1301, interruppe la prevalenza “bianca” al governo della città. Dopo un crescendo di violenze la maggior parte dei Cerchi e dei loro alleati si decise a lasciare la città, fra questi anche Dante. 5.1302: la Toscana diventa “nera” In un primo momento sembrava possibile ribaltare la situazione dato che il regime “nero” sembrava abbastanza fragile. Ad approfittare del momento di crisi furono le famiglie ghibelline capeggiate dagli Uberti. Sin da gennaio essi colsero importanti successi, suscitando vivo allarme a Firenze. La bilancia militare però cambiò, superata la crisi iniziale il comune di Firenze dispose massicci arruolamenti di fanti e cavalieri mercenari. Lo sgretolarsi della speranza di un rapido cambiamento pose ai “bianchi” il problema di trovare una sede per riorganizzarsi. 6.Rimodellando le fazioni: la Lombardia A Milano alla fine del 200 esercitava la propria egemonia Matteo Visconti grazie all'appoggio del popolo. Il Visconti non aveva risposto all'appello per la crociata contro i Colonna ed era accusato di averli aiutati. Nel 1302 si formò in Lombardia una vasta coalizione per cacciare il Visconti. La grande alleanza coordinata da Bonifacio fu un'altra occasione per la ridefinizione degli schieramenti. Agli inizi di giugno l'esercito coalizzato entrò nel contado di Milano e la popolazione milanese insorse contro Matteo Visconti, rendendo impossibile ogni difesa. La caduta di Milano sembrò segnare il trionfo di Bonifacio VIII. 7.1303: la rapida crisi di un progetto Fra il 1302 e il 1303 la situazione del quadro avverso a Bonifacio migliorò grazie a cambiamenti del quadro internazionale. I rapporti tra il pontefice e Filippo il Bello di Francia andavano peggiorando con la bolla unam sanctum e la scomunica del re nel 1303. si creò un fronte “bianco” emiliano. A primavera il blocco dei “bianchi” aprì le ostilità contro Firenze. Le forze a disposizione degli esuli di Firenze erano notevoli, la spedizione si concluse però in maniera disastrosa. Il 30 maggio l'alleanza tra i guelfi avversi a Bonifacio e i ghibellini divenne esplicita, con la conclusione di un trattato tra Bologna, la “parte dei bianchi” degli esuli fiorentini, gli Ubaldini, Pistoia e i comuni romagnoli di Forlì, Cesena, Imola, Bagnocavallo e Faenza. 8.Papi “bianchi” e guelfi “neri” Pochi mesi dopo il quadro cambiò ancora. Il 7 settembre 1303, il messo del re di Francia Guglielmo da Nogaret piombò di sorpresa su Anagni con un piccolo reparto di armati e catturò il papa. Ma in tre giorni la situazione cambiò, il popolo di Anagni prese le armi e mise in fuga i rapitori. L'11 ottobre il papa morì. Il suo successore, Benedetto XI, in sostanziale continuità con Bonifacio, non ne condivideva appieno le scelte nel quadro della politica italiana. Alla morte del papa si aprì un periodo di grave crisi per il governo di Firenze. Il dominio dei “neri” sembrava destinato a cadere e Dante corse in accorso dei “bianchi” di cui diventò cancelliere. Alla fine viene nominato imperatore Enrico VII, che scenderà in Italia con l'appoggio di papa Clemente V, dei filoimperiali, dei guelfi bianchi esuli e di alcuni dei “neri” che videro una possibilità di vittoria maggiore in lui. Gli si opposero solamente le città ancora radicate all'alleanza con Bonifacio. Guelfi e ghibellini del 400 non avevano più nulla da spartire con quelli del 200. Conclusioni 1.Chi è guelfo? Chi è ghibellino? Gli schieramenti erano da ricondurre alle dinamiche locali e alla percezione soggettiva degli interessati. 2.Intolleranza, conformismo ed esclusione L'adesione a una parte rappresentava una fonte di legittimazione per i gruppi dirigenti in carica nei comuni del 200. dopo il 200 la soluzione più applicata per portare la pace nelle città fu quella di conformarsi a una sola fazione. Al chiudersi del 200 il rifiuto della dialettica politica fra posizioni avverse, la limitazione su base etica o ideologica dei diritti di cittadinanza, i freni posti all'immigrazione e le politiche dell'esclusione erano diventati strumenti fondamentali della lotta per il predominio sulla città e oggetti di spregiudicata manipolazione da parte di chi deteneva il potere e di chi ambiva a conquistarlo. Prescindendo dalla forma istituzionale che assumevano, le città dell'epoca si avviavano ad essere sempre più chiuse, meno libere e meno accoglienti.
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