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Guerra fredda, Schemi e mappe concettuali di Storia

Riassunto sulla guerra fredda comprensivo di paragrafi quali : LE CONSEGUENZE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE; LE NAZIONI UNITE E IL NUOVO ORDINE ECONOMICO; LA FINE DELLA GRANDE ALLEANZA ; LA DIVISIONE DELL’EUROPA ; L’UNIONE SOVIETICA E LE DEMOCRAZIE POPOLARI; GUERRA FREDDA E COESISTENZA PACIFICA; IL 1956: LA DESTALINIZZAZIONE E LA CRISI UNGHERESE ; KENNEDY, KRUSCEV E LA CRISI DEI MISSILI

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2015/2016
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Caricato il 06/06/2016

Francesca13596
Francesca13596 🇮🇹

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Scarica Guerra fredda e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! GUERRA FREDDA: LE CONSEGUENZE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE Pochi avvenimenti come la seconda guerra mondiale hanno avuto conseguenze così vaste e profonde sugli assetti internazionali,sulla vita dei singoli paesi, sulla stessa psicologia di massa. La guerra segnò il trionfo delle democrazie, cambiò la carta territoriale del vecchio continente e portò al drammatico epilogo della crisi dell' Europa delle grandi potenze. La Germania era stata sconfitta, ma anche la Francia e la stessa Gran Bretagna vittoriosa uscivano dalla guerra gravemente indebolite, incapaci di mantenere i loro imperi coloniali e di conservare il loro ruolo di potenze mondiali. Due soli Stati potevano aspirare a quel ruolo: gli Stati Uniti, forti di una superiorità economica e di una netta supremazia militare; e l’Unione Sovietica, che usciva dalla guerra dissanguata sul piano economico e demografico, ma restava potenzialmente fortissima. Le due superpotenze erano entrambe dotate di immense risorse naturali e di un massiccio apparato industriale; entrambe avevano interessi di dimensione mondiale e ciascuna era portatrice di una propria cultura, di un proprio messaggio globale, contrapposto a quello dell’altra. Il messaggio americano era quello dell’espansione della democrazia liberale, di concorrenza economico e di ampia libertà personale. Il messaggio sovietico era invece quello della trasformazione dei vecchi assetti politico-sociali in nome del modello collettivistico, fondato sul partito unico e su un’etica anti- individualista della disciplina e del sacrificio. Per effetto di questa contrapposizione globale fra Usa e Urss si giunse a un nuovo sistema mondiale bipolare. Il secondo conflitto mondiale conferì una nuova dimensione all’orrore della guerra, non solo per l’entità del massacro, ma anche per la sua “qualità”. I bombardamenti sulle città, le carestie, lo sviluppo dei mezzi di distruzione di massa. A ciò si aggiunse un duplice trauma morale: da un lato quello derivante dalle rivelazioni sui crimini nazisti e sul genocidio degli ebrei; dall’altro quello provocato dall’apparizione della bomba atomica. Questa lezione produsse un desiderio di rifondare su base più stabili il sistema delle relazioni internazionali e di mutarne le regole. La gestione della pace da parte americana fu più generosa di quella messa in atto dall’Intesa nel primo dopoguerra. Si intraprese infine un’opera di aggiornamento del diritto internazionale, includendovi un vero e proprio settore “penale” applicato nel processo di Norimberga contro i capi nazisti. Il processo, che si concluse con la condanna a morte di alcuni fra i principali collaboratori di Hitler, destò scalpore in tutto il mondo. A farsi promotori e garanti del progetto di un nuovo sistema mondiale furono soprattutto gli Stati Uniti. Gli Usa diventarono per l’Europa occidentale il principale punto di riferimento non solo materiale, ma anche ideale e culturale. Con il mito americano che prese forma in quegli anni, l’egemonia materiale degli Usa sembrò assumere i connotati di un primato ideale: gli Stati Uniti apparivano come l’unico paese in grado di diffondere speranze e gioia di vivere. LE NAZIONI UNITE E IL NUOVO ORDINE ECONOMICO Di matrice americana fu l’ispirazione di base dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) creata nella conferenza di San Francisco al posto della Società delle Nazioni. Ispirato ai principi della Carta atlantica, lo statuto dell’Onu reca l’impronta di due diverse concezioni: da un lato quella dell’utopia democratica di Wilson; dall’altro quella della necessità di un “direttorio” delle grandi potenze come unico strumento di governo degli affari mondiali. I principi dell’universalità e dell’uguaglianza sono rispecchiati nell’Assemblea generale degli Stati membri , che si riunisce annualmente e ha il potere di adottare risoluzioni che però non sono vincolanti. Il meccanismo del “direttorio” è riflesso nel Consiglio di sicurezza, organo permanente che, in caso di crisi internazionale, ha il potere di prendere decisioni vincolanti per gli Stati e di adottare misure che possono giungere fino all’intervento armato. Il Consiglio si compone di 15 membri: le cinque maggiori potenze vincitrici (Usa, Urss, Gran Bretagna, Francia e Cina) sono membri permanenti di diritto, mentre gli altri dieci vengono eletti a turno fra tutti gli Stati. Ciascuno dei membri permanenti gode di un diritto di veto col quale può paralizzare l’azione del Consiglio quando la ritenga contraria ai propri interessi. Altri organi dell’Onu sono il Consiglio economico e sociale, da cui dipendono le “agenzie specializzate” per la cooperazione nei vari campi (come l’Unesco per l’istruzione e la cultura e la Fao per l’alimentazione), e la Corte internazionale di giustizia, cui spetta di mettere fine alle controversie fra gli Stati che vi si rimettono volontariamente. L’Onu ha spesso finito per essere inadempiente al suo compito principale: quello di prevenire e contenere le crisi. Anche la rifondazione dei rapporti economici internazionali si attuò sotto la guida degli Stati Uniti. Vennero ridimensionati i vincoli protezionistici e le aree preferenziali di commercio. Con gli accordi di Bretton Woods del 1944, fu creato il Fondo monetario internazionale, con lo scopo di costituire un ammontare di riserve valutarie mondiali e di assicurare la stabilità dei cambi fra le monete. Si venne a consolidare il primato della moneta americana come valuta internazionale per gli scambi e come valuta di riserva per le banche centrali di tutto il mondo. Al Fondo monetario fu affiancata la Banca mondiale, col compito di concedere prestiti a medio e lungo termine ai singoli Stati per favorirne lo sviluppo. Sul piano commerciale, un sistema liberoscambista fu instaurato dall’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio, che prevedeva un abbassamento dei dazi doganali. LA FINE DELLA GRANDE ALLEANZA Le ostilità non erano ancora cessate in Europa e in Asia e già si delineavano i contrasti fra le due maggiori potenze vincitrici nel diverso approccio ai problemi della pace. Gli Stati Uniti puntavano più alla ricostruzione e alla ricerca di uno stabile ordine mondiale che non alla punizione dei vinti. Per l’Unione Sovietica si trattava di esigere il prezzo della vittoria in termini politici, economici e di sicurezza. Ciò implicava il bisogno di veder legittimato il suo ruolo di grande potenza, l’esigenza di non avere nazioni ostili ai confini. Tuttavia Roosevelt si era convinto della possibilità di mantenere aperto il dialogo con l’Urss. Visto che la presenza sovietica nei paesi danubiani e balcanici non poteva essere scalzata a meno di scatenare un’altra guerra, tanto valeva rinunciare ad aprire un conflitto con l’Urss nella sua “sfera di influenza” e cercare di giungere a un compromesso. Si trattava di creare un ordine europeo in cui anche l’Urss avrebbe avuto un ruolo importante. Questo “grande disegno” di cooperazione fra Occidente e Unione Sovietica morì con Roosevelt. L’avvento di Truman alla presidenza degli Stati Uniti coincise con un cambiamento del clima e con un irrigidimento americano nei confronti dei sovietici. Il rifiuto opposto dagli Stati alla richiesta di un nuovo prestito da parte dell’Urss e il lancio delle bombe atomiche contro il Giappone, che confermavano la superiorità militare americana, insospettirono Stalin. Già alla conferenza di Potsdam emerso i nodi del contrasto. Per imporre la propria egemonia, l’Urss non trovò altro mezzo che imporre al potere i partiti comunisti locali, con l’appoggio dell’esercito sovietico. Ciò non lasciò indifferenti le potenze occidentali. Nel marzo 1946, Churchill pronunciò, negli Stati Uniti, un discorso in cui denunciava il comportamento dei sovietici in Europa orientale: “Da Stettino, sul Baltico, a Trieste, sull’Adriatico, una cortina di ferro è calata sul continente. Questa non è certo l’Europa liberata per costruire la quale abbiamo combattuto.” Stalin replicò paragonando Churchill a Hitler. La grande alleanza era in frantumi. Alla conferenza di Parigi si giunse a un accordo tra i vincitori solo ai trattati con l’Italia, la Bulgaria, la Romania, l’Ungheria e la Finlandia. Furono ratificati i nuovi confini fra Urss, Polonia e Germania: l’Unione Sovietica incamerava le ex repubbliche baltiche, parte della Polonia dell’Est e della Prussia orientale; la riforme agrarie a cui seguì la collettivizzazione dell’agricoltura. Il ceto contadino si ridusse in parallelo all’espansione di quello operario. Furono nazionalizzate le miniere, le industrie meccaniche, le banche e il settore commerciale. Furono lanciati i primi piani di sviluppo basati sul modello sovietico che assegnava la priorità all’industria pesante mettendo l’agricoltura in una posizione subalterna. La crescita produttiva fu notevole. Questo sviluppo fu condizionato dalla subordinazione fu però condizionato dalla subordinazione delle economie dei paesi satelliti a quella dello Stato-guida. Gli obiettivi di produzione furono scelti in modo da risultare complementari a quelli dell’Urss. I tassi di cambio “dell’area del rublo”, la quantità e i prezzi dei beni scambiati furono regolati attraverso il Comecon (Consiglio di mutua assistenza economica). Le caratteristiche del modello di sviluppo imposto ai paesi dell’Europa dell’Est comportavano una forte compressione dei consumi e del tenore di vita della popolazione. tutto questo non avrebbe certo giovato alla popolarità dei regimi comunisti e avrebbe contribuito a far nascere agitazioni sociali e moti di rivolta antisovietica. Per conservare il suo impero, l’Urss avrebbe dovuto esercitare un controllo stretto sui paesi satelliti. L’unico fra i regimi dell’Est europeo che cercò con successo di sottrarsi all’egemonia sovietico fu quello jugoslavo. La rottura si consumò nel 1948: in seguito alle resistenze di Tito ai piani staliniani di divisione del lavoro all’interno del blocco orientale, l’Urss sospese ogni collaborazione economica e condannò i comunisti jugoslavi accusandoli di deviazionismo e di collusone con l’imperialismo ed escludendoli dal Cominform. Completamente isolata dal mondo comunista, la dirigenza jugoslava resistette alle pressioni sovietiche e cominciò a sperimentare una linea autonoma in politica estera, basata sull’equidistanza fra i due blocchi e un nuovo corso in politica interna volto alla ricerca di un equilibrio fra statalizzazione ed economia di mercato. Sul piano dell’organizzazione politica, il modello jugoslavo non si differenziava da quello delle altre democrazie popolari basta sulla ferrea dittatura del Partito comunista. Sul piano economico, il sistema basto sull’autogestione delle imprese da parte delle direzioni aziendali e dei consigli di fabbrica avrebbe preso corpo dolo negli anni 60 senza consentire lo sviluppo di una vera economia di mercato. L’esperienza jugoslava suscitò interesse in Occidente, sia perché rappresentò l’unica seria dissidenza all’interno del mondo comunista sia perché il modello di Tito riuscì a bloccare i conflitti etnici che avevano insanguinato il paese. Lo scisma jugoslavo provocò una stretta repressiva estesa a tutto il mondo comunista. Per evitare che l’eresia di Tito trovasse adesioni furono attuate massicce purghe nei confronti dei dirigenti comunisti dell’Est europeo sospettati di velleità autonomistiche. LA RIVOLUZIONE COMUNISTA IN CINA E LA GUERRA DI COREA Un punto di svolta nel confronto tra mondo socialista e mondo capitalistico si ebbe nel 1949 con l’avvento al potere dei comunisti in Cina: evento che alterò i rapporti di forza complessi e diede una nuova dimensione al confronto fra i due sistemi. Se per questo aspetto la rivoluzione cinese si colloca nell’ambito della guerra fredda, segna anche il punto di raccordo con il processo della decolonizzazione. La rivoluzione segnò la definitiva affermazione della Cina come stato indipendente e grande potenza ma anche il progressivo emergere di un modello di società comunista diverso da quello russo. L’alleanza che i comunisti di Mao Tse-Tung e i nazionalisti di Chang Kai-shek avevano stretto nel 37 contro l’aggressione giapponese entrò in crisi con lo scoppio della guerra del Pacifico. Dal 41 il governo di Chang cominciò a trascurare la lotta contro gli occupanti stranieri per prepararsi alla resa dei conti coi comunisti che occupavano e amministravano ampie zone. Tutto questo però non faceva che aumentare il discredito di un regime che aveva perso il contatto con gli stati dinamici della società e si era ridotto a espressione dei proprietari terrieri; un regime che concentrava le sue risorse nella repressione del dissenso interno. Nei territori controllati dai comunisti, questi ultimi non solo combatterono una guerriglia contro i giapponesi ma seppero rafforzare i loro legami con le masse contadine e con gli stessi ceti medi. A guerra terminata, gli Stati Uniti cercarono di promuovere un nuovo accordo fra comunisti e Kuomintang. Ma Chang Kai-shek rifiutò ogni compromesso e lanciò contro i comunisti una campagna militare utilizzando gli aiuti ricevuti dagli alleati. In un primo tempo(1946-47), i nazionalisti ebbero il sopravvento occupando vaste zone già controllate dagli avversari. Ma i comunisti riuscirono a riorganizzarsi e a contrattaccare, contando sull’appoggio della popolazione contadina. Nel corso del 48, le sorti della guerra si rovesciarono. Le forze di Chang Kai-shek prive di sostegno popolare e disperse su un territorio vasto, cominciarono a sbandarsi o a disertare, mentre l’esercito di Mao si rafforzava sul piano militare. Nel 49, i comunisti entrarono a Pechino. Chang Kai-shek, con quanto restava del governo e dell’esercito nazionalista riparò sotto la protezione della flotta americana nell’isola di Taiwan. Il 1 ottobre 1949 fu proclamata a Pechino la nascita della Repubblica popolare cinese, riconosciuta dall’Urss e GB ma non da USA. La nuova repubblica a guida comunista procedette a radicali misure di socializzazione per lasciando un limitato spazio al settore privato. La Cina nel febbraio del 1950 stipulò con l’URSS un trattato di amicizia e di mutua assistenza. La sfida al mondo capitalistico diventava più ampia. La prova più drammatica delle nuove dimensioni mondiali del confronto fra i due blocchi si ebbe nel 1950 in Corea. In base agli accordi interalleati, quel paese era diviso in due zone, delimitate dal 38° parallelo. Una delle due zone(Corea del Nord) era governata da un regime comunista guidato da Kim Il Sung mentre in Corea del Sud si era insediato un governo nazionalista appoggiato da americani. Dopo una serie di incidenti di frontiera nel giugno del 1950 le forze nordcoreane, armate dai sovietici, invasero il Sud. Di front a ciò, gli USA inviarono in Corea un forte contingente di truppe. Gli americani respinsero i nordcoreani e in ottobre oltrepassarono a loro volta il 38° parallelo. A questo punto fu la Cina di Mao a intervenire in divisa dei comunisti con un invio di volontari che respinsero in poche settimane gli americani. Nell’aprile del 51 Truman accettò di aprire trattative con la Corea del Nord. I negoziati si trascinarono per altri due anni per concludersi nel 1953 con il ritorno alla situazione precedente. Le conseguenze della crisi furono di ampia portata: un vasto riarmo americano, un’accresciuta sensibilità degli USA alla minaccia comunista nel Pacifico, un rafforzamento dei legami militari fra USA e alleati asiatici ed europei. GUERRA FREDDA E COESISTENZA PACIFICA Con la fine della presidenza Truman (52) e con la morte di Stalin, la guerra fredda perse i suoi maggiori protagonisti e il confronto fra blocco occidentale e sovietico cominciò ad assumere nuove forme. La direzione collegiale succeduta a Stalin alla guida dell’Urss non fece alcun gesto di apertura verso l’Occidente, né allentò il controllo sui paesi satelliti: quando, nel giugno del 53, gli operai di Berlino Est scesero in piazza per protestare contro le dure condizioni di vita imposte dal regime comunista, le truppe sovietiche repressero la rivolta. Negli USA, la nuova amministrazione repubblicana guidata da Eisenhower sembrava accentuare l’atteggiamento di sfida globale nei confronti dell’Urss. Gli anni 53-54 segnarono uno dei periodi di più acuta tensione internazionale dall’inizio della guerra fredda. In questi anni di tensione venne maturando all’interno delle due superpotenze un nuovo atteggiamento di accettazione reciproca che pur non comportando alcuna tregua nel confronto ideologico costituiva la premessa per una coesistenza pacifica tra di due blocchi. Se i sovietici avevano lo spettacolo di stabilità e di crescente prosperità offerto dagli occidentali, gli USA erano costretti a prendere atto del consolidamento dell’Urss, della sua capacità di controllare il proprio impero: nell’agosto del 53 l’esplosione della bomba all’idrogeno sovietica, a un anno dal primo esperimento americano, mostrava che il divario tecnologico tra le due potenze stava scomparendo. Nel corso del 1955 da entrambi le parte si ebbero gesti di distensione. In marzo i sovietici decisero di ritirare le proprie truppe di occupazione dall’Austria in cambio dell’impegno occidentale a garantire la neutralità del paese, impegno sancito con la firma del trattato di Vienna. Nella conferenza di Ginevra non furono raggiunti accordi; ma Eisenhower affermò di non voler rimettere in discussione lo status quo europeo. I drammatici avvenimenti del 56 confermarono questa situazione. La crisi di Suez dell’estate vide USA e URSS unite nel contrastare l’imperialismo franco-inglese. L’intervento sovietico in Ungheria non provocò reazioni militari degli occidentali e ribadì l’accettazione da parte americana della situazione di fatto nell’Europa dell’est. IL 1956: LA DESTALINIZZAZIONE E LA CRISI UNGHERESE In Unione Sovietica la direzione collegiale che aveva raccolto l’eredità di Stalin durò pochi anni. Dopo una serie di duri scontri, il segretario del Pcus, Kruscev, si impose come il leader indiscusso del paese, giungendo a cumulare le cariche di segretario del partito e primo ministro. Personaggio vivace ed estroverso, il nuovo leader si fece promotore di alcune aperture sia in politica estera che interna. Sotto il primo aspetto vanno ricordati il trattato di Vienna e l’incontro con i capi occidentali a Ginevra e lo scioglimento del Cominform. In politica interna la svolta krusceviana non introdusse mutamenti sostanziali nella struttura autoritaria del potere sovietico e nella gestione centralizzata dell’economia, ma segnò la fine delle grandi purghe e comportò un rilancio dell’agricoltura e una maggiore attenzione alle condizioni di vita dei cittadini. Per rendere irreversibile la svolta, Kruscev non esitò a compiere la demolizione della figura di Stalin attraverso una denuncia degli errori e dei crimini commessi in Unione Sovietica. in un rapporto al XX congresso del Pcus, Kruscev pronunciò una durissima requisitoria contro il leader scomparso, rievocando gli arresti in massa e le deportazioni, le torture e riabilitando le vittime del terrore staliniano. Il rapporto Kruscev non metteva in discussione la validità del modello sovietico e della dottrina leniniana. Gli errori e le deviazioni erano attribuiti alle scelti di Stalin, al culto della personalità che lo avevano circondato, all’eccessivo potere della burocrazia. La denuncia ebbe effetti traumatizzanti. I partiti comunisti occidentali si allinearono al nuovo corso non senza imbarazzi e riserve. Resistenze e proteste si manifestarono in Urss dove il contenuto del documento divenne noto. Ma le conseguenze più esplosive della destalinizzazione si ebbero nell’Europa dell’Est, in Polonia ed Ungheria. In questi paesi, il rapporto Kruscev fece nascere l’illusione che l’egemonia dell’Urss sugli stati satelliti potesse assumere forme più blande o essere cancellata del tutto. In Polonia furono gli operai a rendersi interpreti delle aspirazioni al cambiamento dando vita a una serie di agitazioni culminate nel 56 nel grande sciopero di Poznan. Lo sciopero fu stroncato con l’intervento di truppe sovietiche. Ma le agitazioni continuarono durante l’estate per poi sfociare in un moto di protesta (ottobre polacco), in cui le istanze di democratizzazione si mescolavano al risentimento antisovietico. I dirigenti dell’Urss preferirono puntare su un ricambio ai vertici del partito e del governo, favorendo l’ascesa al potere di Wladyslaw Gomulka. Gomulka promosse una politica di liberalizzazione e di riconciliazione con la Chiesa, impegnandosi per contro a non mettere in discussione l’alleanza con l’Urss e l’appartenenza della Polonia al campo socialista. In Ungheria gli avvenimenti del 56 seguirono all’inizio un corso analogo. Vi furono agitazioni e proteste animate da intellettuali e studenti. In ottobre le proteste sfociarono in una vera e propria insurrezione con ampia partecipazione dei lavoratori. In tutte le fabbriche si formarono consigli operai, autonomi. A capo del governo fu chiamato Imre Nagy, comunista dell’ala liberale. Le truppe sovietiche si ritirarono
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