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Guerra fredda parte 2, Appunti di Storia Contemporanea

Seconda parte: - Decolonizzazione, Terzo mondo, conferenza di Bandung - Guerra in Vietnam - 1956: destalinizzazione e crisi di Suez - Crisi di Cuba - Distensione in Europa - Seconda crisi di Berlino - Primavera di Praga - Neue Ostpolitik - Anni Settanta - Fine della guerra fredda

Tipologia: Appunti

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mariagiuliae
mariagiuliae 🇮🇹

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Scarica Guerra fredda parte 2 e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! 11 novembre LA DECOLONIZZAZIONE Secondo molti storici, il fenomeno della decolonizzazione ha un ruolo fondante nel cambiamento della storia e nella politica mondiale durante tutto il XX secolo: dall’emancipazione nazionale ad inizio secolo, all’accelerazione rapidissima del secondo dopoguerra, fino al suo culmine del raggiungimento dell’indipendenza negli anni Cinquanta e Sessanta. In questo periodo, il fenomeno si interseca in maniera rilevante con le dinamiche della Guerra Fredda, e la condiziona. Tra la fine degli anni Quaranta fino e la metà degli anni Sessanta, in seguito alla decolonizzazione, il numero dei paesi membri delle Nazioni Unite, che costituiscono la Comunità Internazionale, arrivano a triplicare: da 51 a 150 membri nel giro di pochissimi anni. Un cambiamento così veloce non può che influenzare le dinamiche internazionali. Gli Stati della nuova articolazione internazionale hanno idee diverse rispetto alla comunità internazionale, e giocano le loro carte in maniera (più o meno) congiunta, in particolare negli anni Sessanta. Il gruppo che si costituisce è caratterizzato, se non dall’omogeneità, almeno da obiettivi comuni. In questi anni, è noto con l’espressione di ‘terzo mondo6’ (al giorno d’oggi non è più omogeneo come allora, ma i paesi che lo formano sono comunque accomunati dallo status di ex colonie e dalla non-appartenenza alle sfere Occidentale e Orientale. Il termine che li identifica oggi è Global South, Sud Globale). 6 Terzo mondo (tiers monde): espressione coniata dal demografo francese Alfred Sauvy, in analogia con l’idea di ‘terzo stato’. Sauvy sostiene che il mondo sia ormai dominato da nuove forze che non hanno un peso sul sistema mondiale, ma vogliono guadagnarlo, come il terzo stato durante la Rivoluzione Francese. Nata durante la Guerra Fredda e coniata in relazione alla rivoluzione delle aspettative crescenti, l’espressione si integra subito nel contesto della bipolarità: la terzietà fa riferimento (anche nell’uso che ne fa lo stesso Sauvy) ad un terzo schieramento, numericamente preponderante, che si colloca vicino al primo (Stati Uniti) e al secondo (Unione Sovietica). 45 I primi paesi a ottenere l’indipendenza sono quelli del MENA (Middle-East and North Africa), poi i paesi asiatici a partire da India e Pakistan, per finire con una grande ondata di indipendenze nei paesi subsahariani nel corso degli anni Sessanta. La Guerra Fredda si sovrappone alle questioni di decolonizzazione e le complica, in quanto spesso quest’ultima, assieme alla nascita di nuovi stati nazionali, è interpretata in maniera ideologica (soprattutto dalla Francia, ma anche dalla Gran Bretagna). La liberazione nazionale viene vista come un momento di rischio di ascesa del comunismo nei paesi di recente indipendenza. Per questa ragione, la richiesta dell’impero su invito (cioè la richiesta di aiuti militari agli Stati Uniti per evitare l’insorgere di nuovi gruppi comunisti) è allargata dagli Europei anche ai paesi che aspirano all’indipendenza. La Francia, facendo leva sulla teoria del domino, convince quindi gli Stati Uniti a intervenire in Indocina; anche durante la Crisi di Suez la leadership egiziana, la potenza regionale, minaccia di passare dalla parte sovietica, agitando lo spauracchio per attirare attenzione e finanziamenti. Un altro caso emblematico per la Guerra Fredda è quello del Congo Belga, che raggiunge l’indipendenza nel 1960, e diventa immediatamente un luogo di guerra civile e guerra di secessione nella provincia del Katanga. La zona, ricca di minerali e risorse, è teatro di scontri ideologici che seguono le linee della Guerra Fredda. Tra il 1960 e il 1964 si assiste a un classico caso di Guerra Fredda guerreggiata (come sempre, la guerra guerreggiata ha luogo al di fuori dell’Europa). La coincidenza tra divisione bipolare del mondo e aspirazione alla libertà nazionale, fa sì che al momento dell’indipendenza, le aspiranti élite di governo debbano scegliere con chi schierarsi: un modello economico e di sviluppo in continuità con i legami coloniali (l’Occidente) o un’alternativa rispetto al loro passato recente (l’Oriente). Una questione significativa: questi paesi di fatto ereditano tutto dal loro passato coloniale: confini, capitali, lingua, strutture politiche, economiche, sistemi commerciali, monetari, con cui non è facile né scontato tagliare i ponti, nonostante l’ideologia delle nuove élite prometta un cambio di marcia. I nuovi governi che subentrano a quelli coloniali devono dimostrare che ne vale la pena, che l’indipendenza è un’alternativa migliore alla dipendenza da un altro paese. Questo fenomeno di aspirazione ad un netto miglioramento successivo all’indipendenza viene generalmente descritto come la rivoluzione delle aspettative crescenti. Tuttavia, da una parte ci sono le aspirazioni: nel momento in cui il paese diventa libero, fiorisce a livello economico, sociale, politico, ecc.; dall’altra, la realtà ben diversa contro la quale questi paesi si scontrano. Una delle molte ragioni di questa discrepanza sono i conflitti interni. Per andare incontro a queste aspettative crescenti, gli aspiranti leader hanno bisogno di sostegno politico e soprattutto economico, per mostrare ai loro cittadini che il passaggio all’indipendenza porta al benessere. Per ottenere gli aiuti necessari al processo, i paesi di recente indipendenza non si rivolgono certo alle vecchie potenze coloniali (con le quali molti sono in guerra, anche aperta). Il problema di questi paesi è l’assenza di una struttura amministrativa locale che sia in grado di creare un governo (per esempio in Congo, al momento dell’indipendenza, le persone laureate sono 5), ma naturalmente non tutti sono inclini a creare degli accordi con le vecchie potenze coloniali. Queste ultime diventano spesso, se non un nemico, quanto meno un modello in negativo, poiché nella maggior parte dei casi i negoziati per l’indipendenza non avvengono in grande tranquillità. I nuovi punti di riferimento sono le due superpotenze della Guerra Fredda, entrambe dotate di un certo appeal per le ex colonie. Il comunismo è l’alleato ideologico naturale delle ex colonie: innanzitutto, anche l’Unione Sovietica nasce da una rivoluzione e parte da una situazione di sottosviluppo e parziale servitù della popolazione, ma il comunismo è la chiave della sua rapida trasformazione in grande potenza anche 46 In alto a sinistra, la cartina dell’Indocina sotto l’amministrazione francese. A destra, la suddivisione in paesi indipendenti a partire dalla Conferenza di Ginevra nel 1954. Quest’ultima chiude la prima Guerra d’Indocina, con l’indipendenza di molti territori dal controllo cinese. Nascono il Laos, la Cambogia e il Vietnam, diviso in Nord e Sud. A Ginevra si arriva in seguito alla grande sconfitta della Francia nella guerra coloniale in Indocina, ad opera dei vietnamiti guidati da Ho Chi Minh. Di nascita Nguyễn Sinh Cung, poi autorinominato Ho Chi Minh, è il fondatore del Partito comunista d’Indocina già negli anni Venti da Baku, in giovanissima età. Esiliato in Francia, si nasconde in Cina negli anni Trenta, torna poi in Indocina dopo la guerra, dove si mette alla guida del partito anticoloniale. Rispetto ad altre colonie, l’Indocina rimane a lungo sotto il controllo della Francia (al tempo, la Francia di Petain). A partire dal 1943, le forze vietnamite di Ho Chi Minh ottengono particolare successo: già nella primavera del 1945, Ho Chi Minh dichiara l’indipendenza, citando la Dichiarazione d’Indipendenza Americana. Nonostante fosse a capo del partito comunista, si ispira al documento simbolo dei valori dell’avversario - forse non solo per una condivisione di valori, ma anche per opportunismo politico. Ho Chi Minh si propone quindi come leader dell’Indocina e come possibile interlocutore anche con gli americani (questi ultimi avevano contribuito alla liberazione della zona dal Giappone, che aveva sconfitto la Francia durante la guerra). Tuttavia, l’obiettivo degli Stati Uniti non era quello di sostenere l’indipendenza a tutti i costi: davanti alla prospettiva dell’ascesa di un partito comunista in Indocina, sostenevano infatti il ritorno della Francia per evitarlo. Ho Chi Minh abbandona dunque il progetto di dialogo con gli USA e comincia a trattare con la Francia un futuro passaggio verso l’indipendenza. Da notare: Ho Chi Minh, ancora molto giovane, aveva presenziato anche alla conferenza di Versailles (1919) per avanzare la proposta dell’indipendenza indocinese. Quello che Ho Chi Minh riesce a negoziare con la Francia dopo la Seconda Guerra mondiale, è l’indipendenza in 5 anni, ma nel 1946 in Francia si avvia la Quarta Repubblica con il cattolico Bidault, contrario ad un’indipendenza così rapida. L’idea che prevale durante il periodo della Quarta Repubblica è quella di una Francia in tutto e per tutto coloniale e colonialista (Trois couleurs, un drapeau, un empire). Seguendo l’esempio della guerriglia di Mao, Ho Chi Minh avvia quindi una guerra coloniale, ricostituendo il partito comunista indocinese, ora Vietminh, Partito Comunista del Vietnam (era stato precedentemente sciolto in omaggio alla lotta contro i giapponesi). La Francia vede subito i Vietminh come una pericolosa minaccia comunista nell’Asia sudorientale, e chiede quindi aiuti agli Stati Uniti (in particolare Eisenhower, più bellicoso del suo predecessore) per costruire nuove fortificazioni e finanziare la guerra coloniale. Eisenhower parla della teoria del domino proprio per giustificare i capitali spesi in aiuti alla Francia (finanzia tutta la guerra in Vietnam, coprendo il 70% delle spese militari francesi nel 1953). Se è vero che Eisenhower era favorevole al taglio delle spese, dall’altra parte riteneva indispensabile fermare l’avanzata dei Vietminh, per evitare che un altro paese, dopo la Cina, cadesse in mano ai comunisti e portasse con sé nel baratro tutte le zone attigue. La grande e ‘invincibile’ fortezza di Dien Bien Phu, costruita dai francesi per dominare la zona del Tonkino, doveva essere un esempio della determinazione della Francia a non lasciare il Vietnam e a controllare militarmente la zona. Quando le forze del comandante vietnamita Vo Nguyen Giap assediano Dien Bien Phu (1954), i francesi vi costruiscono attorno una trincea, sullo stampo di quelle della Grande Guerra, ma gli assedianti hanno la meglio. La vittoria dei Vietminh a Dien Bien Phu rappresenta uno shock 49 colossale: la Francia aveva presentato quella fortezza come un vero e proprio simbolo, un baluardo della forza occidentale contro il comunismo; la sua caduta rappresenta all’opposto l’inizio dell’effetto domino. Dall’Unione Sovietica e dalla Cina, la vittoria vietnamita viene invece presa come modello di successo dell’anticolonialismo supportato dal comunismo. Dien Bien Phu entra nelle rappresentazioni di tutti i paesi di recente indipendenza, anche in India, Egitto ed Algeria - che inizia la sua guerra di indipendenza proprio nel 1954. La guerra di indipendenza algerina segna la vera fine dell’Impero Francese e una significativa crisi costituzionale con il passaggio alla Quinta Repubblica. Il conflitto in Indocina viene presentato dai francesi come una questione di Guerra Fredda, in quanto la potenza coloniale si impegna nella lotta contro un movimento di liberazione nazionale comunista. IL TERZO MONDO: BANDUNG Dopo la morte di Stalin (1953), l’Unione Sovietica, guidata dalla Direzione Collegiale, comincia a restaurare un certo interesse per la politica estera: già dal 1953 si erano avviate delle trattative di amicizia tra URSS e paesi vicini in Asia (India, Pakistan e Afghanistan), si riallacciano i rapporti con Tito, Kruscev rende visita alla Cina nel 1955: tutto questo avviene nel segno di una grande e rinnovata attenzione da parte dell’Unione Sovietica verso i paesi emergenti. Questi ultimi si riuniscono nella creazione di una serie di progetti, inizialmente soprattutto di natura economica. Si parla di terzo mondo in riferimento al gruppo - molto ampio e piuttosto disomogeneo - di paesi accomunati in primo luogo dalla causa anticoloniale e dal reclamo di diritti politici ed economici. La presentazione di strategie congiunte per ottenere più spazio nel panorama mondiale accomuna diversi paesi in via di sviluppo e paesi di recente indipendenza. La natura politica del terzo mondo viene elaborata dai leader terzomondisti all’interno della Conferenza di Bandung, in Indonesia, nell’aprile 1955. Qui viene codificato per la prima volta il neutralismo come posizione politica nel contesto della Guerra Fredda. La conferenza viene convocata dal ministro (poi presidente) indonesiano Sukarno, originariamente come conferenza economica dei paesi dell’Asia, per reagire alle iniziative dell’Impero Britannico e del Commonwealth. Nel 1954, durante la Conferenza di Colombo (Sri Lanka), si era parlato di una strategia di aiuti e cooperazioni tra paesi ancora dipendenti e paesi indipendenti ancora legati al Commonwealth (la rete di legami preferenziali con le ex colonie è tipica di tutti gli ex imperi coloniali). Nel Commonwealth esistevano quindi aree di libero scambio, condizioni agevolate per gli investimenti di carattere reciproco, così come nella Communauté (poi Area del Franco). Gli indipendenti esclusi dalla Conferenza di Colombo convocano quella di Bandung: si parla di cooperazione economica, prezzi delle materie prime, ma anche di cooperazione culturale, diritti umani, della questione della segregazione razziale, dell’indipendenza dei popoli non ancora liberati, della posizione del terzo mondo nelle questioni di sicurezza mondiale delle Nazioni Unite. Più in generale, si parla di pace e collaborazione internazionale a livello mondiale. Tra i protagonisti della conferenza spiccano le personalità del capo di Stato indonesiano Sukarno, il Primo Ministro indiano Nehru, il Ministro degli Esteri cinese Zhou en Lai (la Cina era stata esclusa dalle Nazioni Unite), e il primo ministro birmano U Nu. Oltre ai paesi asiatici vengono invitati anche quelli africani, con l’idea che ci siano delle caratteristiche comuni, e che sia opportuno convogliare le forze in senso anticoloniale. Significative presenze dall’Africa sono il Presidente del Ghana, Nkrumah, Sékou Touré, famoso per il suo taglio netto con la Francia e Patrice Lumumba, Primo Ministro Congo. 50 Lo scrittore afroamericano Richard Wright (assieme a diversi altri terzomondisti), cambia il significato della parola ‘cortina’ nel contesto della Guerra Fredda: non si parla più di una cortina di ferro che divide Est e Ovest, ma di una color curtain tra Nord e Sud del mondo, basata sul concetto di razza. I paesi socialisti, in particolare la nuova leadership sovietica, adottano la causa dei paesi di recente indipendenza, accogliendo la possibilità del terzo mondo con un endorsement. Nel 1956, al ventesimo congresso del Partito Comunista sovietico si parla, tra le altre cose, anche della disponibilità di Kruscev a sostenere i paesi di recente indipendenza. Questa decisione inquieta decisamente la controparte americana ed arriva a cambiare le sorti della Guerra Fredda: da qui in poi si passa dalla guerra per l’Europa ad una fase del conflitto caratterizzata dalla competizione per l’influenza nel Sud del mondo. 15 novembre 1956: LA DESTALINIZZAZIONE Il 1956 è spesso descritto come l’anno fatale, un anno particolarmente denso di eventi destinati a fare la storia, in particolare l’avvio della destalinizzazione e le sue conseguenze in Europa, e la crisi di Suez. La destalinizzazione ha un forte impatto sull’Europa: cambia la posizione dell’Unione Sovietica sul piano internazionale, investendo nel cambiamento anche i paesi dell’Europa centro orientale; la crisi di Suez ricade maggiormente sul mondo coloniale, in particolare il Medio Oriente, con notevoli conseguenze nel mondo intero. Il 1956 inizia con il nuovo Segretario Generale del partito comunista dell’Unione Sovietica Nikita Kruscev, uno degli esponenti della direzione collegiale che sale al governo dopo la morte di Stalin. Kruscev è probabilmente il meno titolato sulla carta, ma riesce a negoziare la sua posizione all’interno del partito fino ad arrivare al potere. Rappresentante del mondo contadino, Kruscev porta delle idee diverse rispetto a quelle dei più titolati e temibili concorrenti come Beria (capo del KGB), Molotov (ex ministro degli esteri) e Malenkov (primo ministro dell’Unione Sovietica alla morte di Stalin). Era stato Malenkov a negare l’idea dell’inevitabilità di un conflitto tra est e ovest e ad avviare la fase del disgelo - idee che saranno riprese anche da Kruscev nel XX Congresso del Partito Comunista Sovietico (Mosca, febbraio 1956). Kruscev riprende questi temi: ● Il ripudio della dottrina dell’inevitabilità del conflitto tra Est e Ovest. Kruscev sostiene infatti che il capitalismo non porti necessariamente alla guerra, ma che sia possibile una convivenza pacifica. Questo è il momento in cui emerge la dottrina della coesistenza pacifica, che sarà una caratteristica dell’URSS dal 1956 in poi; ● La negazione dell’infallibilità del sistema sovietico. Kruscev confessa gli errori di Stalin e le falle nel sistema. In particolare, dedica a questa revisione rispetto ai risultati ottenuti nella vita dell’URSS un discorso segreto in cui Kruscev critica Stalin e il culto della personalità, condanna le purghe staliniane e il terrore collettivo e ne incolpa Beria e il KGB; critica inoltre la mancanza di dedizione collegiale nel partito. Questo discorso ‘segreto’ viene in realtà reso pubblico già dal 4 giugno 1956 sul Times; ● La possibilità di raggiungere il comunismo attraverso vie nazionali, deviando cioè dal modello sovietico: questa è probabilmente l’affermazione che genera più ripercussioni a livello pragmatico e che ribalta la politica staliniana di accentramento. I partiti comunisti, secondo Kruscev, devono adattarsi alle condizioni locali. Gli esempi forniti da Kruscev, sono la 51 la riforma agraria all’interno dei paesi dell’Europa socialista. Si tratta di una vera e propria divisione dei compiti dal punto di vista produttivo: ogni paese aveva un ambito privilegiato di produzione con cui contribuire al progresso e all’economia del blocco orientale, anche nei rapporti con l’estero. La Germania dell’Est era specializzata in prodotti ottici, la Cecoslovacchia in calzature ed automobili, la Polonia in legname, eccetera. I paesi più industrializzati, in particolare la DDR e la Cecoslovacchia, sono naturalmente avvantaggiati rispetto ai paesi meno sviluppati, come la Bulgaria e la Romania. Quest’ultima, negli anni Settanta, si pone quasi come avversario di questa spartizione dei compiti. 1956: LA CRISI DI SUEZ La crisi di Suez, o seconda guerra arabo-israeliana, rappresenta il momento di sostituzione delle potenze di riferimento per il Medio Oriente, che non sono più le grandi potenze coloniali europee, Gran Bretagna e Francia, ma le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica. La crisi di Suez è l’apice del colonialismo in un’area già di per sé molto importante, e che lo diventa ancora di più per le sue risorse petrolifere. Se ancora all’inizio della Guerra Fredda la produzione energetica e industriale era basata sul carbone, durante questi anni si sposta sempre di più sul nuovo combustibile fossile più efficiente. L’area medio-orientale era già instabile dall’immediato dopoguerra: la mancata accettazione dello Stato di Israele (1948) da parte degli Stati arabi vicini genera una guerra che cerca di ribaltare le decisioni delle Nazioni Unite (la spartizione della Palestina era una decisione dell’ONU). La prima guerra arabo-israeliana - o guerra di indipendenza - si conclude con armistizi piuttosto instabili, che lasciano una situazione tesa dove la minaccia di un altro conflitto è sempre presente. Le grandi potenze non intervengono in maniera chiara nel conflitto, fino a che la loro attenzione non viene attirata dalla crisi di Suez. Alla guida dell’Egitto nel 1956 si trovava Nasser. Nel 1952 i nazionalisti guidati dagli Ufficiali Liberi avevano attuato un colpo di Stato contro la monarchia, considerata serva dei britannici; i due leader che salgono al potere sono Muhammad Naguib e Gamal Abdel Nasser, ma quest’ultimo prevale presto sull’altro. Nasser diventa la vera e propria figura di riferimento della politica egiziana e non solo: si fa propositore di un ruolo fondamentale dell’Egitto come potenza regionale, e di un progetto di collaborazione e solidarietà tra paesi arabi, che prende il nome di Panarabismo. L’Egitto arriva addirittura ad unirsi, anche se per poco, con la Siria. Il Panarabismo era basato sulla convinzione che i paesi arabi avessero degli interessi comuni in senso anti coloniale (politica internazionale) e di promozione della causa araba nel conflitto con Israele (politica regionale). Ciò si doveva tradurre in un’alleanza con la Palestina. Per i paesi di recente indipendenza, o i paesi guidati da un governo ancora asservito alle ex potenze coloniali, come nel caso dell’Egitto, la priorità per l’aspirante élite è quella di mostrare che il governo nascente è effettivamente migliore del precedente. Nasser promuove quindi in un piano di crescita che avrebbe migliorato la vita dei suoi cittadini. Uno dei progetti principali in ambito è quello della diga di Assuan. Come molti leader del terzo mondo, anche Nasser cerca di ottenere finanziamenti da entrambe le superpotenze. Il sistema di alternanza nei destinatari delle richieste prende il nome di ‘politica dell’altalena’: questa consiste nel dimostrare la propria risoluzione a rivolgersi all’altra superpotenza se non si ottiene ciò che è richiesto. Il suo utilizzo da parte dei leader delle indipendenze è esplicito. Nel 1955, vista l’esitazione degli Occidentali a finanziare i progetti di Nasser, l’Egitto comincia a negoziare con la Cecoslovacchia un accordo per la fornitura di armi. L’accordo con la Cecoslovacchia viene preso al volo dall’Egitto come primo accordo utile, ma tutti, Stati Uniti compresi, immaginano 54 che la Cecoslovacchia non si altro che un ‘prestanome’ per un accordo stipulato in realtà con l’Unione Sovietica. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna si mobilitano quindi per portare avanti il progetto della diga di Assuan, ma il progetto si arena presto. Le due potenze occidentali sono dubbiose: corrono il rischio reale che l’Egitto, grazie a questi finanziamenti, diventi un concorrente nella produzione del cotone (fino ad allora il monopolio era detenuto dall’America e dalle colonie inglesi, ma il cotone egiziano è più pregiato). Per questo motivo l’assenso non è immediato: iniziano le trattative, ma con diverse perplessità e tentennamenti. Nel tentativo di ottenere l’accordo con gli Stati Uniti, Nasser diventa sempre più aggressivo nelle sue richieste: non solo firma l’accordo con la Cecoslovacchia, ma riconosce anche la Cina comunista e non accetta di firmare il Patto di Baghdad, lanciato dalla Gran Bretagna. Il leader egiziano viene identificato come via aperta di comunicazione tra l’Unione Sovietica e il Medio Oriente. Nasser stabilisce che, nel caso non fossero arrivati i fondi promessi dagli Stati Uniti, l’Egitto se li sarebbe presi da sé. Nazionalizza quindi il canale di Suez per finanziare la diga di Assuan - il canale di Suez era fino ad allora gestito da una compagnia mista britannico-francese. Gli Stati Uniti cercano allora di giungere ad un compromesso che prevede l’aggiunta dell’Egitto alla gestione del canale (che in quel periodo non partecipava minimamente). La Gran Bretagna e la Francia sono convinte che la mediazione non sia invece possibile: si mettono quindi d’accordo con Israele per dichiarare guerra all’Egitto e bloccare la politica di Nasser. Gran Bretagna e Francia percepivano Nasser come un nemico mortale, un nuovo Hitler egiziano. In particolare il primo ministro britannico Eden promuove una forte propaganda anti-nasseriana. Il 29 ottobre 1956, seguendo il piano concordato tra Israele, Francia e Gran Bretagna, Israele (ancora in uno stato di continui attacchi di confine) attacca l’Egitto. Pochi giorni dopo intervengono anche le due potenze europee con il lancio di paracadutisti nella penisola del Sinai. Sul campo, la coalizione Israele-Francia-Inghilterra ha la meglio, ma perdono la guerra dal punto di vista diplomatico nel momento in cui le due superpotenze intervengono chiedendo la conclusione del conflitto. Gli Stati Uniti minacciano la Gran Bretagna di tagliare gli aiuti che ancora riceveva a vario titolo; l’Unione Sovietica minaccia l’uso dell’atomica contro le forze impegnate sul terreno. Le minacce fermano il conflitto e il 6 novembre viene firmato l’armistizio. Sarà soprattutto l’Unione Sovietica a prendere il merito per la conclusione della guerra, in quanto l’entità della sua minaccia era nettamente preponderante. In quanto ad immagine, inoltre, i sovietici riguadagnano a Suez ciò che stavano perdendo in Europa. La crisi di Suez attira l’attenzione dell’opinione pubblica, distogliendola dai fatti di Budapest che si stavano svolgendo negli stessi giorni. Dopo il cessate il fuoco viene creata in zona una forza di interposizione, l’UNEF (United Nations Emergency Force), una delle prime ed importanti azioni di peacekeeping delle Nazioni Unite. La gestione della transizione alla pace (anche se non sarà una vera e propria pace regolata da un trattato), sarà un processo gestito a livello internazionale. La crisi di Suez porta i suoi effetti nella regione, ma anche nelle politiche di Guerra Fredda e delle due superpotenze. L’Unione Sovietica vede nel sostegno ai paesi di recente indipendenza e alla causa anticoloniale un proprio punto di forza, poiché ha l’occasione di imporsi con decisione e con un atteggiamento di sfida, che gli Occidentali non hanno. Gli Stati Uniti, che sono stati assolutamente riluttanti durante gli anni Cinquanta, sostenendo in fondo la causa delle potenze coloniali (si veda il caso di Dien Bien Phu), cambiano qui strategia. Da 55 questo momento in poi, gli USA si distaccano dalla politica francese e britannica, creando una politica autonoma rispetto al Mediterraneo e ai paesi arabi e indipendente dalle ex potenze coloniali. Eisenhower parla di una necessità di riempire il vuoto di potere in Medio Oriente, frase per niente apprezzata dai governi locali - gli Stati Uniti ne risentono dal punto di vista dell’immagine. Kruscev ribatte che non c’è nessun vuoto da riempire, e si sostituisce come partner di dialogo con i paesi mediorientali. L’Unione Sovietica comincia subito a finanziare la gigantesca diga di Assuan, opera maestosa e costosissima. Esisteva già una diga sul Nilo, ma Nasser ambiva a costruire la diga più grande del mondo su uno dei fiumi più importanti del mondo. L’operazione di costruzione rende grande lustro all’Unione Sovietica, che però cerca di ridimensionare i progetti di Nasser a causa dei costi così elevati. La creazione del lago Nasser, che convoglia le acque del Nilo prima della diga, inonda la Valle dei Templi in Egitto: i lavori di costruzione vengono affiancati quindi dalla compagnia italiana Impregilo che recupera i monumenti allagati. A fronte della sostituzione di influenza in Medio Oriente a favore dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti lanciano la loro nuova dottrina Eisenhower (5 gennaio 1957), dove si impegnano a sostenere la sovranità e l’integrità territoriale delle nazioni libere del Medio Oriente, appoggiando la loro volontà di resistere a pericoli di attacco esterno o di sovvertimento comunista, con aiuti economici e militari e anche con l’intervento diretto dell’esercito americano. Gli Stati Uniti sono cioè disposti ad aumentare i fondi che già inviavano nell’area, ampliando la loro tutela che prima si fermava al Mediterraneo (il Medio Oriente era invece tutelato da Francia e Gran Bretagna). La disponibilità degli Stati Uniti viene ignorata quasi completamente. Sono solo due i paesi che chiedono il supporto della dottrina Eisenhower: ● Giordania - nel 1957 il re della Transgiordania (la parte della Palestina che ha ottenuto l’indipendenza), Hussein, chiede l’aiuto degli Stati Uniti per sventare possibili rivolte filo-nasseriane; ● Libano - il governo libanese chiede sostegno alla propria politica nel 1958 per pacificare il rapporto tra musulmani e cristiani. Si trattava di un paese multietnico e multireligioso, caratterizzato da equilibri abbastanza precari. I fondi della dottrina Eisenhower non fanno in tempo ad arrivare, che il governo viene rovesciato. Per gli Stati Uniti risulta molto difficile competere con l’anticolonialismo sovietico. Negli anni Sessanta, Eisenhower e, ancora di più, il suo successore Kennedy si sforzeranno per promuovere il modello americano. Dopo la crisi di Suez, Il Cairo diventa un luogo di incontro per gli esponenti nazionalisti vicini all’Unione Sovietica. È qui che nasce nel 1957 l’Organizzazione per la Solidarietà tra i Popoli Afroasiatici, un’iniziativa del Consiglio per la Pace Mondiale sponsorizzata dall’Unione Sovietica. Vi possono partecipare tutti i paesi di recente indipendenza che lo desiderano, i partecipanti di Bandung, l’Unione Sovietica e gli altri paesi dell’Europa centro-orientale. La presenza di questi ultimi non dura a lungo, come accade in tutte le organizzazioni non governative minori di cui entrano a far parte (ad esempio l’organizzazione mondiale delle donne, quella della gioventù, quella dei sindacati). Tutte queste istituzioni transnazionali sono fortemente volute dall’Unione Sovietica e rappresentano la rete per l’influenza ideologica dell’Unione Sovietica, al di là della rete dei partiti comunisti. Questa organizzazione diventa la sede dello scontro tra Cina e URSS. A partire dal 1956, la Cina comincia a scontrarsi in maniera crescente sulla questione dell’influenza del terzo mondo. Presentandosi lei stessa come paese del terzo mondo, la Cina rivendica il suo posto di potenza nuova tra i paesi di recente indipendenza per il fatto di aver subito in passato il colonialismo. 56 A partire dalla fine degli anni Cinquanta, la Guerra Fredda (quando non diventa ‘guerra calda’ nei casi delle guerre di liberazione) si configura come una guerra tra due modelli di modernità, quello capitalista e quello socialista. I due modelli sono caratterizzati da alcuni punti in comune, ma agiscono in maniera differente per conquistare la fedeltà dei paesi in via di sviluppo. Henry Kissinger illustra il nuovo piano sul quale si combatte la Guerra Fredda: non solo l’offerta di uno schieramento politico, ma anche la proposta di due diversi modelli di sviluppo, due diverse strutture socio-economiche del paese. La contrapposizione tra i due modelli diventa molto evidente negli anni Cinquanta, arriva a diventare politica ufficiale negli Stati Uniti con la presidenza Kennedy negli anni Sessanta. Il modello sovietico si propone come esempio di sviluppo: dal punto di vista più ampio, offre il modello di un’economia centralizzata, fondata sullo sviluppo urbano e dell’industria pesante (nel settore pubblico). L’Unione Sovietica non ama la parola ‘aiuti’, perché allude alla necessità di pagare per i danni commessi dal colonialismo (l’Unione Sovietica, non avendo avuto colonie, non è in dovere di aiuti): parla però di solidarietà, crediti, progetti. Si rende disponibile a finanziare accordi commerciali a lungo periodo (che comprendono la fornitura di impianti e macchinari, come quelli per l’estrazione della bauxite in Guinea), offrendo prestiti a tassi estremamente vantaggiosi. Questa strategia è basata quindi sugli aiuti su progetto: grandi progetti infrastrutturali con accordi di contorno, che vengono ripagati dopo un certo periodo di funzionamento dei progetti, oppure con le materie prime del luogo. Il funzionamento degli accordi era simile a quello del Piano Marshall: erano detti ‘accordi di clearing’, fondati sul baratto (macchinari in cambio di materie prime). Per alcuni paesi africani nel corso degli anni Sessanta, questa modalità di scambio diventa problematica: non tutte le zone sono ricche di materie prime da scambiare con i paesi socialisti. La Guinea sprofonda subito nei debiti; un altro esempio è quello del Mali, che produce di fatto solo arachidi. L’Unione Sovietica non guadagna molto da questo genere di scambi, facendo indebitare significativamente i paesi riceventi. Dal punto di vista dell’attrattiva ideologica, gli Stati Uniti sono consapevoli che il modello americano non è all’altezza della prospettiva così apertamente anti colonialista e rivoluzionaria proposta da quello sovietico. Sanno però di poter puntare sulle loro capacità economiche e sul modello di vita. La dottrina di utilizzo sistematico degli aiuti come strumento di politica estera diventa una vera e propria ideologia. La dottrina degli aiuti viene messa per iscritto dal sociologo-economista Walt Whitman Rostow e dal suo collaboratore Max Millikan nel 1957. Il documento A proposal. Key to an Effective Foreign Policy viene approvato dal Senato americano e poi dal Presidente Eisenhower. Gli Stati Uniti, come l’Unione Sovietica, sono anche una potenza industriale, ma non puntano sullo sviluppo industriale dei paesi di recente indipendenza, quanto piuttosto su quello agrario, che in questi paesi è un settore leader per l’esportazione. Secondo la teoria di Rostow, lo sviluppo rurale sarebbe un primo passo verso un processo di crescita progressiva (dalle materie prime ai processi di lavorazione, fino alla società dei consumi). Alla base del progetto sta l’idea che tutti i paesi possono raggiungere una fase di decollo e poi di successo, seguendo il processo di sviluppo ‘all’occidentale’. Questo percorso viene guidato solo fino a un certo punto dagli Stati Uniti o dai loro alleati, perché in realtà la vera modernizzazione prende vita grazie al principio del self-help. Gli aiuti americani devono quindi servire da scintilla per innescare un processo autonomo di crescita, la self-sustained growth. 59 Rostow e alcuni suoi colleghi, con la presidenza Kennedy, diventano personaggi chiave della politica americana: questo è un fattore sintomatico dell’importanza ideologica della teoria dei settori. Modello sovietico Modello americano Modello economico Economia centralizzata, sviluppo urbano, industria pesante (nel settore pubblico) Pochi aiuti possono innescare un processo di crescita autonomo (self sustained growth) Prestiti Prestiti a tassi vantaggiosi per finanziare accordi commerciali di lungo periodo (strategia che ha successo: ONU, trade not aid ,1962) Prima risorse umane (assistenza tecnica), poi capitale per infrastrutture Programma di aiuti Assistenza tecnica complementare a credito concesso per progetti Program aid – consente di agire sull’economia del paese) Crescita Crediti commerciali o governativi, in rubli non convertibili, sistema di pagamento: clearing Teoria dei settori (W.W. Rostow): concentrarsi su settori leader della crescita, effetti di spillover Coordinamento Comecon (commissione permanente per l’assistenza tecnica) OCSE (Development Assistance Committee) Nixon si reca a Mosca e partecipa a una delle grandi fiere per favorire il dialogo Est-Ovest. L’idea di questa fiera è quella di mettere in luce i vantaggi della tecnologia dei due blocchi. Il cosiddetto Kitchen debate (si parla anche di cucine moderne) che si tiene tra Nixon e Kruscev è rappresentativo dei modelli che i due rappresentano: da una parte, la chiave del modello americano sono i beni di consumo (il presidente americano parla della televisione a colori), dall’altra, quella del modello sovietico è la tecnologia aerospaziale (è il periodo del lancio dello Sputnik). Gli anni Sessanta sono un periodo dai segnali contrastanti: la visita di Kruscev negli Stati Uniti e di Nixon nell’Unione Sovietica rappresentano un’apertura tra i due fronti (Nixon auspica anche più scambi di idee tra Est e Ovest); Kruscev d’altra parte è un personaggio molto diretto e provocatorio: pone l’accento sulla lentezza degli Stati Uniti, che hanno impiegato 150 anni per raggiungere un livello che i sovietici hanno raggiunto in qualche decennio. La scena si ripete in diverse occasioni: in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, ad esempio, Kruscev sbatte la scarpa sul palco, urlando ‘Noi vi seppelliremo!’. Da un lato Kruscev afferma di non avere intenzione di usare l’arma atomica contro gli occidentali e di non volersi occupare della gestione di Berlino Est, dall’altro però minaccia costantemente l’Occidente - non solo facendo riferimento al progresso tecnologico (uno dei figli di Kruscev era un ingegnere atomico), ma anche con un atteggiamento di potionkinismo: dare l’impressione che l’Unione Sovietica sia capace di qualsiasi cosa, quando in realtà si tratta solo di una facciata. Kruscev arriverà ad affermare che in Unione Sovietica si producono missili ‘come salsicce’. 60 LA CRISI DI CUBA Con la nuova presidenza statunitense di Kennedy9, che entra alla Casa Bianca nel 1961, la relazione tra le due superpotenze cambia notevolmente. Entrambi i leader - sovietico e americano - sono meno riflessivi e prudenti del generale Eisenhower. Fin da subito, Kennedy vuole dimostrare una certa determinazione in politica estera, per questo Kruscev lo percepisce come più aggressivo. Nei momenti di tensione e crisi internazionale c’è anche uno scontro di personalità tra i due. Kennedy punta molto meno sul riarmo nucleare rispetto al suo predecessore: dalla politica della MAD (Mutual Assured destruction) e della deterrenza, si passa ad una diversa dottrina di utilizzo dell’arma atomica, quella della risposta flessibile. La risposta flessibile, facilitata anche dalle nuove tecnologie militari, consiste in un tipo diverso risposta militare da parte degli Stati Uniti, a seconda dell’entità della minaccia. Gli Stati Uniti non risponderebbero quindi necessariamente con l’arma atomica a qualsiasi tipo di minaccia, rischiando di distruggere, oltre all’Unione Sovietica, anche il mondo. La nuova dottrina di Kennedy fa sorgere tra gli alleati il dubbio, che poi rimarrà fino alla fine della guerra, sulla credibilità degli Stati Uniti per l’impegno nella difesa dell’Europa. Se succede qualcosa in Europa, a Berlino, gli americani sono disposti ad utilizzare l’atomico contro l’Unione Sovietica? La crisi di Cuba è l’esempio macroscopico di questa crisi di credibilità: le due superpotenze sono sull’orlo del conflitto, e per evitarlo si tirano indietro, mostrandosi disposte a sacrificare la sicurezza dei loro alleati (Cuba da una parte e la Turchia dall’altra). Nel 1959, il corrotto dittatore di Cuba, Batista, viene deposto dalla rivoluzione guidata da Fidel Castro con il suo Movimento del 26 Luglio (il movimento prende il nome dalla data di organizzazione delle forze rivoluzionarie, il 26 luglio 1953. In quella data non hanno successo, lo raggiungeranno solo più tardi). Fidel Castro rappresenta inizialmente l’idea di una rivoluzione borghese moderata, ma presto si radicalizza di fronte all’ostilità degli Stati Uniti. Una delle sue prime mosse è la nazionalizzazione delle grandi imprese di produzione di frutta e zucchero di proprietà degli Stati Uniti (o di cittadini e gruppi d’affari statunitensi), nel 1950. Per sostenere l’economia cubana, Castro accetta la proposta per un accordo di collaborazione avanzata dall’Unione Sovietica: zucchero in cambio di materiale tecnologico. La reazione degli Stati Uniti non si limita a delle imposte, di per sé piuttosto ridotte, ma si concretizza in un embargo totale. La rottura delle relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti avviene ufficialmente nel gennaio del 1961. Molti, e soprattutto gli esuli cubani anticastristi emigrati in Florida, ritengono opportuno riprendere in mano la situazione di Cuba attraverso un colpo di Stato. L’operazione viene finanziata dalla CIA: il 17 aprile 1961, gli esuli sbarcano sulla baia dei porci. Come la grande maggioranza delle covert operations attuate dalla CIA (fa eccezione quella in Guatemala), anche questa fallisce. La reazione del regime cubano è immediata e decisa: nel maggio dello stesso anno Cuba viene dichiarata una repubblica socialista e vengono siglati altri accordi di collaborazione economica e militare con l’Unione Sovietica. 9 La presidenza Kennedy è caratterizzata da: ● Determinazione in politica estera; ● Modernizzazione come strategia militare - si fa affiancare da un gruppo di scienziati sociali; ● New Frontier - una nuova frontiera per gli Stati Uniti, che devono essere pronti ed aperti alle novità, ma anche ai pericoli; ● Attenzione per le questioni razziali; ● Alleanza per il Progresso - rilancio dei rapporti con l’America Latina. 61 Quella che copre la seconda metà degli anni Sessanta è nota come ‘prima distensione’, e si concentra particolarmente in Europa, poiché secondo molti storici, in particolare francesi, la distensione è un fenomeno di invenzione francese (si noti il termine utilizzato in inglese per descrivere il periodo: détente). L’inventore del termine e della strategia di dialogo tra paesi europei e Unione Sovietica (anche indipendentemente dal comportamento degli Stati Uniti), sarebbe stato Charles de Gaulle, che già nel 1960 lancia l’idea della necessità di un’intesa con i sovietici, che consenta di risolvere le questioni di sicurezza di carattere europeo, senza dipendere dalla superpotenza occidentale. L’idea di de Gaulle è quella di recuperare l’immagine di un’Europa di Stati nazionali che possiedono un loro ruolo specifico, e che geograficamente si estende dall’Atlantico agli Urali: la priorità nel ravvicinamento con l’Unione Sovietica è quella di ricostituire un’Europa ‘unita’. Diversi paesi sono coinvolti nel piano di de Gaulle sul piano politico, economico e tecnologico. La condivisione est-ovest di innovazioni tecnologiche è inizialmente una delle conseguenze della crisi di credibilità, ma diventa progressivamente più importante (salvo vedere un periodo di stallo nel 1968, legato alla repressione della Primavera di Praga). Uno degli elementi fondanti della strategia di Charles de Gaulle è il punto riguardante la force de frappe, il progetto di creazione di una forza nucleare autonoma, che causa l’uscita della Francia dal comando della NATO nel 1965. La distensione è caratterizzata anche da un cambiamento nell’Unione Sovietica: nel 1964 Kruscev viene esautorato, per ragioni che non riguardano in realtà la crisi di credibilità: anche se le critiche riguardo alla politica estera non mancano, il malcontento verte soprattutto su quella interna, in particolare sul fallimento delle riforme di rilancio dell’economia rurale. In seguito alla disputa al vertice, il nuovo Segretario Generale del Partito Comunista Sovietico diventa Leonid Breznev, che rappresenterà una costante della distensione nell’Unione Sovietica. Il primo ministro che affiancherà Breznev durante il decennio sarà Kosygin, anche lui destinato a rimanere a lungo sulla scena politica sovietica. LA CRISI DI BERLINO Uno dei protagonisti della distensione in Europa, di fianco a de Gaulle, è il Ministro degli Esteri, poi Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, Willy Brandt. Brandt rappresenta il motore della distensione all’europea e del recupero dei rapporti autonomi con l’Unione Sovietica. Da questa sua iniziativa deriva un odio profondo da parte della leadership americana verso lo stesso Brandt, in particolare dal successivo Presidente Nixon e dal suo Segretario di Stato Kissinger. Per capire la Neue Ostpolitik di Brandt è necessario guardare indietro alla costruzione del muro di Berlino, uno dei principali simboli della Guerra Fredda. Dopo la prima crisi di Berlino (1948), nel 1949 vengono create le due repubbliche, la Repubblica Democratica Tedesca (DDR, Germania Est), e la Repubblica Federale Tedesca (BRD, Germania Ovest), che nel 1955 vengono inserite nei rispettivi blocchi difensivi. In questo periodo, la linea difensiva della NATO viene spostata dal Reno all’Elba, e la DDR viene inserita nell’alleanza militare comunista con il Patto di Varsavia. Berlino era ancora divisa in due zone di occupazione, senza che però il confine, fluido com’era, impedisse ai cittadini di muoversi da una parte all’altra della città. Erano soprattutto i cittadini della DDR, berlinesi e non, a muoversi nella Germania Occidentale per poi rimanervi. Chi scappava dalla Germania dell’Est erano soprattutto i cittadini con le migliori qualifiche: alcuni rimanevano a Berlino, altri la usavano come ponte per emigrare in altre zone dell’Ovest. 64 La leadership tedesca orientale, in particolare Walter Ulbricht, lamentava di continuo questa sorta di ‘ferita aperta’ nell’Europa centro-orientale. Siamo nel periodo immediatamente successivo al lancio dello Sputnik, l’Unione Sovietica di Kruscev si sente particolarmente forte e incline all’azione; dopo una serie di incontri con i paesi dell’Europa est, Kruscev si impegna a risolvere la situazione di Berlino. Fino a quel momento, tutto ciò che l’Unione Sovietica aveva ottenuto in Germania era l’accordo che prevedeva che i rappresentanti di Berlino Ovest non potessero sedere al Bundestag, ma di fatto la situazione era del tutto aperta. Kruscev descriveva Berlino Ovest come elemento di debolezza dell’Occidente, paragonandola ai testicoli dell’Occidente. Nel novembre del 1958, Kruscev lancia un ultimatum, chiedendo che Berlino sia trasformata in una città libera entro 6 mesi: è evidente a tutti che nessuno è in realtà disposto alla guerra nucleare per la protezione di Berlino, e la situazione di migrazione da Berlino Est a Berlino Ovest peggiora drasticamente. A fronte di questo vero e proprio salasso della forza lavoro qualificata, la Germania Est chiede aiuti all’Unione Sovietica, che di fatto li concede, assieme ad accordi particolari vantaggiosi. Nel corso del 1961, tuttavia, la situazione peggiora e le pressioni della Germania Est cambiano: è qui che cominciano le trattative per la costruzione di una barriera fisica tra la parte Orientale e quella Occidentale della città. Le due personalità che trattano per la costruzione del muro appartengono a due generazioni diverse: Walter Ulbricht fa parte della generazione di Stalin, è legato ai vecchi valori, e tratta Kruscev come un ragazzo, sfruttando sia l’elemento generazionale che quello caratteriale della ‘leggerezza’ di Kruscev. La tecnica del rapporto di forza di Ulbricht ottiene il risultato sperato, la DDR ottiene il nullaosta per la costruzione del muro e il lavori iniziano nell’agosto 1961. Il 10 agosto, tutti i passaggi tra le due Berlino vengono trasformati prima in barriere di filo spinato, poi in un muro. Anche se l’imposizione viene dalla Germania Est, la costruzione del muro toglie anche agli occidentali l’imbarazzo di dover continuare a tornare sulla questione di Berlino, che periodicamente si riproponeva. Il muro di Berlino diventa subito un simbolo della Guerra Fredda, ma anche di violenza e di oppressione: il simbolo del muro e il muro fisico sono tuttora collegati con ostilità e strategie estreme, mai destinate a durare nel lungo periodo. Anche il muro di Berlino è destinato ad essere superato dagli eventi. Nel 1963, Kennedy visita Berlino, dove tiene il discorso che contiene la celebre frase ich bin ein Berliner. Invitato da Willy Brandt, allora sindaco di Berlino Ovest, Kennedy tiene il suo discorso vicino al muro. In quanto sindaco della città, lo stesso Brandt diventa un simbolo della Guerra Fredda, ricordato per il suo tentativo di risolvere la crisi di Berlino. Alcune date fondamentali nella questione tedesca dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Sessanta: ● 1955 - Dottrina Hallstein: la situazione della Germania viene consolidata con i due schieramenti. Walter Hallstein, Sottosegretario degli Esteri e poi Presidente della Commissione Europea, è una personalità importante non solo nella storia della Germania, ma anche dell’intera Europa. È lui a lanciare questa formalizzazione del diritto della rappresentanza esclusiva di tutti i tedeschi della Germania Ovest. Di fatto, secondo questa dottrina, la Germania dell’Ovest sarebbe l’unica erede legittima del Reich: in quanto tale, se ne assumerebbe tutte le responsabilità e pagherebbe anche le riparazioni per la Shoah. In parallelo alla rappresentanza esclusiva si sviluppa l’ostracismo della DDR; ● 1961 - costruzione del muro di Berlino; 65 ● 1963 - Passierscheinabkommen: primo accordo sui permessi che garantiscono le visite. Nel 1963 si comincia a trattare per i possibili passaggi al di là del muro, volti a riunire le famiglie divise; ● 1966 - Große Koalition: di fronte alla necessità di risolvere la questione tedesca con un approccio nuovo, il cambiamento di Governo in Germania è un elemento di estrema importanza. Dopo la morte di Adenauer (1963), sale al governo il suo ministro dell’economia, Ludwig Erhard, il primo ad avviare una nuova strategia di cooperazione economica. Come de Gaulle, anche Erhard dimostra una certa attenzione verso i paesi dell’Europa centro-orientale; questa strategia di attenzione viene proseguita nel 1966 da una posizione politica diversa, la ‘grande coalizione’ di cristiani democratici e socialdemocratici, rappresentati da Willy Brandt; ● 1969 - coalizione socialliberale (SPD-FDP), W. Brandt, W. Scheel: un nuovo cambiamento al vertice ribalta la politica della Große Koalition. Non si tratta solamente di un cambiamento della leadership tedesca, ma in generale di una nuova fase per le sinistre europee (nello stesso anno, anche Charles de Gaulle viene sostituito). L’esportazione della socialdemocrazia caratterizza la seconda fase della distensione all’europea. La distensione comincia quindi per mano di leader conservatori limitandosi all’ambito dell’economia, per poi allargarsi alle questioni dei diritti e all’attenzione al sociale. Questo accade in tutt’Europa, e in particolare nei due grandi motori della politica europea: Francia e Germania. LA PRIMAVERA DI PRAGA Nel corso degli anni Sessanta l’Europa occidentale tenta un riavvicinamento con i paesi dell’Europa centro-orientale. La politica di attenzione si concretizza soprattutto con dei nuovi accordi di cooperazione economica. Come tutte le fasi di apertura e distensione, anche questa si rispecchia anche in cambiamenti al di là del muro di Berlino. Un esempio di massima autonomia dall’Unione Sovietica è rappresentato dalla Cecoslovacchia. Il problema delle economie pianificate sul modello sovietico è che sono tutte in crisi dopo il boom degli anni Sessanta. La Cecoslovacchia, assieme alla DDR, è il paese più tecnologicamente sviluppato del blocco orientale, ed è qui che viene proposta una riforma dell’economia che prevede un cambiamento di prezzi piuttosto incline verso il modello occidentale. La riforma è appoggiata e incoraggiata dalla nuova stagione di scambi tecnologici con l’Occidente, ed è accompagnata da un desiderio di liberalizzazione anche in ambito culturale. In Cecoslovacchia nascono quindi importanti riviste letterarie che scrivono apertamente di riforme e proposte per un tipo diverso di socialismo. Lo slovacco Aleksander Dubcek, uno dei protagonisti della liberazione dal nazifascimo, torna al potere nel 1968, eletto Segretario Generale del partito comunista cecoslovacco. Il suo essere slovacco (e non ceco) gli aveva permesso, nonostante la sua estromissione con il Colpo di Praga (1939), di nascondersi senza dare troppo nell’occhio e tornare in azione a guerra finita. Nell’aprile del 1968, Dubcek formalizza l’idea del Socialismo dal volto umano: si tratta di programma che investe il piano della politica e delle libertà umane, che risente naturalmente del clima del Sessantotto (anche se ci troviamo prima del maggio 1968, apice delle rivoluzioni). Il programma del Socialismo dal volto umano è un vero proprio modello, un segnale di speranza all’interno del blocco orientale. Gli osservatori esterni plaudono questo successo del piano Dubcek: si ricordi che in questo periodo in occidente sta vincendo quasi ovunque la socialdemocrazia; Dubcek viene considerato quasi alla stessa stregua dei nuovi leader occidentali. 66 Altrettanto conservatore, Honecker comprende tuttavia l’importanza di instaurare dei rapporti con la Germania dell’Ovest, arrivando a firmare il Grundlagenvertrag (21 dicembre 1972): per la prima volta la Repubblica Federale rinuncia alla rappresentanza esclusiva e accetta il principio del rispetto della sovranità e integrità territoriale della DDR. Questo riconoscimento elimina la prospettiva della riunificazione: i due paesi non hanno delle ambasciate, ma solo delle rappresentanze permanenti, ad indicare che la Nazione è una sola e che le relazioni tra i due stati saranno particolari e privilegiate. Nel gennaio 1973, finalmente riconosciute come due Stati, le due Germanie entrano a far parte delle Nazioni Unite, figurando come attori di carattere internazionale nel panorama della Guerra Fredda. 22 novembre L’APICE DELLA DISTENSIONE Gli anni Settanta sono spesso descritti come anni di crisi. Federico Romero considera il decennio come l’inizio del collasso del sistema sovietico, o quantomeno un periodo di velocizzazione del processo. In questo periodo viene percepito un successo, almeno apparente, del blocco orientale, e una crisi dell’Occidente, ma la percezione, in gran parte, è storicamente errata. La percezione della crisi occidentale è sicuramente legata ai cambiamenti strutturali del sistema internazionale, che vengono considerati problematici soprattutto dagli Stati Uniti. La crescita europea e giapponese, l’apertura di nuovi mercati, la nascita di una nuova classe media in America Latina e in Asia orientale, un’interdipendenza destinata a diventare globalizzazione: si tratta di cambiamenti di sistema difficili da gestire per la grande potenza occidentale durante la Guerra Fredda. Gli anni Settanta sono un periodo di cambiamento critico sotto diversi punti di vista. ● La crisi sociale: le proteste del 1968 e la loro trasformazione terrorismo. Il terrorismo può essere considerato come fenomeno interno in alcuni paesi (si pensi all’Italia, con il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, e alla Germania) o come fenomeno internazionale, (l’esempio più famoso è l’attacco del 1972, in occasione delle olimpiadi di Monaco); ● La crisi economica e finanziaria (1971-1973): crolla il sistema economico e l’equilibrio monetario creatosi attorno agli accordi di Bretton Woods, nato nell’immediato dopoguerra per rialzare il sistema economico internazionale. Questo cessa di essere il sistema di riferimento, cambia radicalmente a causa dell’indisponibilità degli USA, colonna portante del sistema, a continuare a gestirlo e finanziarlo nella stessa maniera; ● La crisi petrolifera: la sensazione di scarsità delle risorse verrà resa particolarmente drammatica dallo shock petrolifero (1973-’74 e 1978-’79); ● La crisi demografica: la sensazione di scarsità delle risorse si accompagna alla sensazione di sovraffollamento. Ci si chiede se il pianeta Terra sarà in grado di supportare tutta la popolazione umana, soprattutto in un periodo di sfiducia nei confronti della scienza. L’idea che la popolazione in eccesso sia sul punto di distruggere il pianeta è strettamente collegata con la crisi ambientale, a sua volta legata all’emergere dei grandi temi ambientalistici e alla loro acquisizione di importanza nel corso degli anni Settanta. Gli anni della global disruption, la crisi sociale, si concentrano attorno al 1968. Il fenomeno si riscontra a livello mondiale, e il primo paese in cui la crisi diventa rivoluzione è la Cina: qui la rivoluzione culturale viene gestita dall’alto, con l’intento di controllare poi le proteste che caratterizzeranno la fine degli anni Sessanta. Solo in Cina la rivoluzione viene gestita dalle autorità, e i risultati sono sostanzialmente negativi. 69 In Europa e Nord America, le proteste della fine degli anni Sessanta sono indipendenti dalle autorità, che temono che possano scombinare gli equilibri della Guerra Fredda. Questi movimenti segnalano la delusione alla fine dell’epoca del boom: se è vero che l’Occidente sta uscendo da due decenni di grande successo economico, dall’altra parte è anche vero che la situazione per le masse non è cambiata in meglio come ci si aspettava, soprattutto per alcuni gruppi che sono rimasti ai margini. È la ricchezza mal distribuita a dare origine alle proteste. Alcune delle proteste sociali più importanti ● Cina: rivoluzione culturale (1966-69); ● Praga: rivolta repressa dall’Unione Sovietica (si veda sopra per la Primavera di Praga); ● Vietnam: proteste studentesche in California per la rivendicazione dei diritti civili della popolazione di colore, in particolare a Washington DC; ● Rivoluzione popolare dei costumi che travolge tutta l’Europa, con episodi di guerriglia urbana (per esempio a Parigi nel maggio 1968); ● Rivolte perfino nella restrittiva Unione Sovietica, dove si arriva addirittura ad un attentato contro Breznev, nel 1969. Nella situazione di fermento sociale di questi anni, gran parte della classe dirigente - da entrambe le parti della cortina - ritiene che la distensione possa rappresentare uno strumento per il controllo delle masse, per dare un senso ai loro governi. L’attenzione viene spostata dal disagio sociale alla consapevolezza che ci sono rischi più gravi ed imminenti. Seguendo questa linea di principio, la promozione della pace e della stabilità mondiale legittima la continuità delle varie leadership al governo (cioè la permanenza di una stessa classe di leader al governo di un paese). Ancora prima delle potenze europee, le due superpotenze cominciano a discutere le questioni di pace e stabilità per distrarre l’opinione pubblica dall’insoddisfazione contro cui sono rivolte le proteste. Di seguito si analizzerà la crisi che caratterizza gli Stati Uniti negli anni Settanta, in particolare attraverso l’azione di Henry Kissinger, special assistant del presidente Nixon (1969-1974). Assieme al presidente, Kissinger si occupava della politica estera statunitense (il ministro degli esteri del periodo, Rogers, è una figura di secondo piano). La politica di Nixon e Kissinger è guidata dal ritorno all’interesse nazionale degli Stati Uniti e ispirata dal realismo. Spesso viene definita come una politica internazionale ‘europea’, simile a quella delle vecchie grandi potenze europee; in effetti, Kissinger era recentemente emigrato dall’Europa e aveva studiato le politiche del balance of powers e la diplomazia delle grandi potenze europee. Di fatto, quindi, Kissinger si ispira ad una sorta di Realpolitik bismarckiana. Proprio nell’ambito della Guerra Fredda, che di fatto è un guerra tra ideologie, si colloca questa politica fortemente pragmatica e de-ideologizzata. Il periodo della distensione è caratterizzato proprio dal temporaneo passaggio in secondo piano dell’ideologia, a vantaggio dei risultati di politica attuale nei vari teatri di operazione. La presenza di Henry Kissinger, una sorta di deus ex machina nel panorama internazionale degli anni Settanta, influenza notevolmente le relazioni transatlantiche tra Europa e Stati Uniti (la crisi delle relazioni transatlantiche è percepita su tutti i livelli: militare, finanziario, delle relazioni bilaterali, la questione della CSCE e la Neue Ostpolitik). Allo stesso modo, la politica di Kissinger influisce sulle relazioni con l’Asia, nella fattispecie con il Vietnam e la Cina, e con il Medio Oriente durante la crisi petrolifera. Si noti che le operazioni di Kissinger in ambito mediorientale gli sono valse il Premio Nobel per la Pace. 70 L’elemento di grande crisi della presidenza Nixon è lo scandalo del Watergate12, che porterà alle sue dimissioni, mentre Kissinger continuerà la sua carriera di capo di Stato. CRISI DI CREDIBILITÀ POLITICA E CRISI FINANZIARIA: GLI ANNI SETTANTA A OVEST In seguito alla crisi di credibilità delle superpotenze, due paesi europei spiccano come particolarmente indipendenti: la Francia, dove Charles de Gaulle era uscito dal comando militare della NATO, e la Repubblica Federale Tedesca di Willy Brandt, prima Ministro degli Esteri e poi Cancelliere. L’indipendenza dimostrata da Brandt, a detta degli Stati Uniti e in particolare di Kissinger, risponde a un disegno sovietico. La BRD rappresenterebbe insomma una sorta di quinta colonna in Occidente per l’Unione Sovietica. Nel 1968 viene firmato il trattato di non proliferazione nucleare, che mira a mantenere la preminenza delle potenze cinque nucleari (USA, URSS, Gran Bretagna, Francia e Cina). La Germania, firmando questo importante accordo, conferma la sua fedeltà al sistema. Nixon avverte la necessità di frenare i costi economici della gara nucleare e spaziale - bisogna tenere in considerazione che Nixon, repubblicano, era diventato Presidente con l’intenzione di ristabilire i bilanci e sistemare le questioni finanziarie. Nel luglio del 1969 convoca quindi gli alleati sull’isola di Guam per discutere con loro la strategia nucleare degli Stati Uniti. Il trattato firmato a Guam viene ricordato con il nome di dottrina Nixon: questa limita la disponibilità degli Stati Uniti nell’attivazione della difesa atomica ‘ad ogni costo’ per difendere gli alleati europei. Il passaggio è graduale: dalla MAD, alla dottrina della risposta flessibile di Kennedy, alla dottrina Nixon. Con Nixon, gli Stati Uniti garantiscono il loro intervento nucleare per la protezione di aree strategiche, considerate fondamentali per la sicurezza degli USA stessi, ma negli altri casi di aggressione non nucleare la responsabilità di difesa ricade sul paese aggredito. Questa presa di posizione conferma i dubbi degli europei in merito all’inaffidabilità degli americani. La dottrina Nixon rappresenta il lato militare della crisi dei rapporti reciproci, ma quest’ultima si palesa anche in altri campi. I limiti auto-imposti dagli Stati Uniti sulla loro disponibilità a gestire il sistema internazionale hanno anche un versante più esplicitamente economico. L’economia americana sta avanzando con difficoltà nel periodo di fine del boom: l’amministrazione Nixon si trova ad affrontare non solo l’accumulazione del deficit, ma anche e soprattutto la stagnazione dell’economia. Per rilanciare l’economia, gli Stati Uniti puntano sull’esportazione, svalutando la moneta in modo da rendere i loro prodotti più convenienti sul mercato internazionale. Nixon procede alla svalutazione del dollaro in tempi rapidissimi, cogliendo di sorpresa la comunità internazionale: gli USA si erano infatti impegnati, con gli accordi di Bretton Woods, a fungere da sistema monetario di riferimento internazionale. Ciò significa che le altre valute si basavano sulla parità col dollaro, che si poteva convertire in oro. Con il discorso di Nixon nell’agosto del 1971 viene sospesa la convertibilità in oro del dollaro e ne viene annunciata la svalutazione, causando uno shock e una crisi economica e finanziaria internazionale. In seguito all’abolizione degli accordi di Bretton Woods gli stati europei cominciano a trattare per un nuovo accordo monetario, simile a quello di Bretton Woods ma su scala più ridotta. Questo avrebbe dovuto garantire la parità delle valute a livello europeo, quindi una stabilità finanziaria - questo è il percorso che porterà poi all’unione monetaria e infine alla moneta unica, l’euro. 12 Watergate: alla vigilia della campagna elettorale del 1972 Nixon era in una posizione difficile, tra la crisi economica, la guerra del Vietnam e la dura battaglia con il partito democratico. Per questo creò un’organizzazione elettorale, il Committee for the Reelection of the President (Creep), dotato di un vero e proprio servizio segreto che schedava i rivali politici e compilava dossier riservati. Questo fu colto nel mezzo di un’investigazione illecita e mentre piazzava microfoni nella sede del partito democratico, situata nel complesso edilizio Watergate, a Washington. 71 fattispecie è tipica del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), di cui però l’Unione Sovietica non faceva parte. Si tratta di un accordo vincola i paesi che lo firmano a estendere a tutti i firmatari le condizioni più favorevoli presenti negli accordi commerciali con i singoli paesi. La clausola viene inserita qui per la prima volta in un trattato Est-Ovest. ● Cooperazione in campo culturale e umanitario - cesto particolarmente sentito dalla Comunità Economica Europea per sottolineare l’importanza dei diritti umani. ○ La protezione dei diritti umani a favore dei dissidenti nel sistema sovietico e nei paesi dell’Europa centro-orientale. Questi ultimi firmano a cuor leggero, ma per l’Unione Sovietica e per gli Stati Uniti la questione dei diritti umani diventa un argomento particolarmente importante. La politica di Kissinger nei confronti dell’Europa è considerata sostanzialmente fallimentare e la situazione tra le due potenze peggiora. Ci sono però altri teatri in cui la politica del capo di Stato statunitense è coronata da grandi successi strategici - o da risultati che vengono presentati come tali. Per quanto riguarda la crisi in Vietnam, fino ad allora era percepita come molto critica dagli americani nel corso degli anni Sessanta (si veda la teoria del domino), e l’impegno statunitense in Indocina era incrementato da Kennedy e il progetto Hamlet, alla politica sempre più attiva di Johnson. Sarà la disastrosa offensiva del Tet, nel gennaio 1968, e le 1100 morti americane, a convincere Johnson a fermare l’escalation di impegno in Vietnam e a non ricandidarsi per le elezioni successive. Gran parte del programma di Nixon e Kissinger riguarda necessariamente un cambiamento delle sorti americane in Vietnam. La strategia di Nixon è quella di una progressivo disimpegno che non risulti disonorevole per gli Stati Uniti, un processo che viene identificato con l’espressione di ‘vietnamizzazione’ del conflitto. Il tentativo è quello di mantenere almeno alcuni degli obiettivi della permanenza americana in Vietnam, ma di fatto non ne viene mantenuto nessuno - quella che viene chiamata ‘azione di pacificazione’ è in realtà una ritirata piuttosto precipitosa degli Stati Uniti. Un concetto fondamentale per la politica nixoniana, formulato in relazione alla situazione in Vietnam, è quello di delinkage, ovvero la tendenza ad interpretare separatamente ciò che accade nei vari teatri internazionali. Il disimpegno americano in Vietnam non è perciò sintomo di un disimpegno dalla Guerra Fredda tout court, ma piuttosto andare incontro alle proteste della popolazione insoddisfatta. Secondo il delinkage, non tutti i conflitti che accadono nel panorama internazionale vanno interpretati come espressioni di Guerra Fredda. Insomma, non tanto la ritirata frettolosa dal Vietnam, quanto il concetto generale di delinkage sono interpretati come un successo della politica di Kissinger. Ciò che gli Stati Uniti perdono in Vietnam viene recuperato con una politica nuova nell’area asiatica in generale. Già dalla sua campagna elettorale, Nixon portava avanti l’idea di instaurare un rapporto con la Cina, ritenendo impossibile lasciare la Cina popolare fuori dalle questioni internazionali. Nell’ottobre 1967, Nixon scrive su Foreign Affairs che a lunga scadenza è del tutto impossibile credere di potere lasciare per sempre la Cina al di fuori della comunità delle nazioni … ciò significa recuperare la Cina alla comunità mondiale. Ci troviamo in un periodo di crisi per la Cina: la classe dirigente è in lotta con la classe borghese e intellettuale, che viene per la maggior parte sterminata; sono in crisi anche le relazioni tra la Repubblica Popolare Cinese e l’Unione Sovietica, in seguito all’ammissione, da parte di quest’ultima, di Tito e delle vie nazionali al socialismo. L’ostilità tra le due potenze socialiste era poi cresciuta progressivamente negli anni Sessanta, fino ad arrivare agli scontri armati di confine lungo il fiume 74 Ussuri. Qui si inseriscono gli Stati Uniti con il loro tentativo di creare un legame, approfittando della lontananza dei sovietici. Il piano è quello di recuperare su un altro terreno asiatico ciò che è stato perso in Vietnam. La nuova politica americana viene appoggiata da alcuni paesi occidentali che, a partire dal 1970, riconoscono ufficialmente la Repubblica Popolare Cinese attraverso azioni autonome. La Cina popolare viene anche ammessa come membro delle Nazioni Unite (ottobre 1971) e va a sostituire quella nazionalista di Taiwan al seggio del Consiglio di Sicurezza. Questa apertura è resa evidente con una visita simbolica di Kissinger in Cina nel 1972, e da quella di Nixon a Mao Zedong. Ciò non significa comunque che le relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cina tornino subito alla normalità: per questo bisognerà aspettare fino al 1978, ma si tratta in ogni caso di un cambiamento epocale per la strategia in Asia. Kennedy Incrementalismo: convinzione che la perdita del Vietnam significhi sconfitta nella Guerra Fredda e forse porti perfino a una Terza Guerra mondiale. Invio di consiglieri militari in Indocina. Johnson Escalation: da 16.000 consiglieri a 538.000 truppe di terra. Nel febbraio 1965 viene avviata l’operazione Rolling Thunder. Nel gennaio 1968 l’offensiva del Tet (capodanno lunare) comporta una sconfitta tattica, ma una vittoria politica per il Vietnam del Nord. Di fronte a 1.100 americani morti, gli USA cessano l’escalation. Nixon e Kissinger Delinkage: disimpegno; gli USA tentano un recupero dell’influenza nella regione attraverso nuovi rapporti con la Cina popolare. Gli Stati Uniti abbandonano la teoria delle due Cine, riconoscono la preminenza della Repubblica Popolare Cinese e si accordano per il mantenimento dello status quo in Asia. Vietnamizzazione: pace onorevole capace di mantenere almeno alcuni degli obiettivi originari. Parigi, gennaio 1973: pace con riconciliazione nazionale. Ritiro precipitoso delle truppe statunitensi dal territorio vietnamita. 23 novembre GLI ANNI SETTANTA VISTI DA EST Dal punto di vista degli Stati Uniti, gli anni Settanta sono considerati anni di crisi sotto molti aspetti: la crisi sociale avvia il decennio (si parla di ‘lunghi anni Settanta’ in riferimento agli anni tra il 1968 e il 1979), la crisi finanziaria viene peggiorata dallo shock petrolifero, la crisi delle risorse incrementa la percezione della crisi ambientale e demografica, la crisi strategica si riflette nelle turbolente relazioni transatlantiche. Il tratto distintivo degli anni Settanta è la chiave di lettura della distensione: si è parlato di distensione all’europea, distensione dal punto di vista statunitense, distensione come fenomeno conservativo rispetto alle rivolte sociali. La distensione si estende anche all’ambito nucleare, elemento caratteristico e simbolico di tutta la distensione tra le due superpotenze. La gestione comune del malcontento è stata interpretata da alcune fazioni come una mossa conservatrice: le due superpotenze raggiungono un punto di accordo per offrire una sicurezza controllata, al fine di placare l’opinione pubblica in protesta, distraendola dal malcontento generale. Il trattato di non proliferazione del 1968 è uno dei principali del periodo della distensione, nonché il primo importante trattato che regola la gestione del nucleare nei lunghi anni Settanta. Si tenga a 75 mente che, in questa fase di mantenimento della pace, l’obiettivo non è il disarmo, bensì il contenimento del riarmo. Da questo punto di vista è il presidente Johnson a prendere l’iniziativa, lanciando la proposta di una comunicazione diretta con l’Unione Sovietica. Da questa presa di contatto derivano gli accordi SALT (Strategic Armament Limitation Talks). I negoziati relativi da questi accordi non sono eccessivamente toccati dai fatti di Praga e dalle proteste popolari, e proseguono senza grandi interruzioni fino alla firma del primo accordo, nel 1972 a Mosca. L’accordo SALT I è una sorta di fotografia della situazione dell’equilibrio nucleare tra le due superpotenze. Il preambolo sottolinea l’importanza di una persistenza pacifica di questa nuova atmosfera politica; in seguito si catalogano le varie tipologie di armamenti (missili, bombardieri, armi e sottomarini nucleari, sviluppati grandemente nella seconda metà degli anni Sessanta), ponendo dei limiti al riarmo. La novità tecnologica dei primi anni Settanta sono i missili balistici e i missili che partono da terra per intercettare le testate nucleari e farle scoppiare lungo il tragitto, prima che cadano sul territorio. Questa modalità di difesa è già in possesso delle sue superpotenze (gli Stati Uniti ne hanno due, l’Unione Sovietica ne ha uno): viene posto il limite di due impianti per potenza, lasciando spazio ai sovietici di costruirne un altro. Gli accordi SALT contengono delle clausole (molte delle quali riflettono i baskets della CSCE): alcune sono relative al commercio dei beni fondamentali, dal momento che uno dei problemi fondamentali dell’URSS degli anni Settanta è la scarsità di grano, in particolar modo più tardi, nella seconda metà del decennio. Viene inoltre ribadita la clausola della nazione più favorita, per segnalare un cambiamento e una volontà di inclusione reciproca all’interno dello stesso sistema. Una delle questioni fondamentali è quella della collaborazione scientifica nell’ambito di questioni generali, come la risoluzione dei problemi ambientali - percepiti come una delle questioni per cui deve esistere un dialogo Est-Ovest. Esistevano diversi progetti basati su un asse di dialogo, sempre principalmente relativi a tematiche ambientali (più che alle tecnologie e alle scienze, come la medicina e l’informatica). Quando l’accordo SALT I entra in vigore è praticamente già superato: le superpotenze si accingono quindi a negoziarne un altro aggiornato dal punto di vista tecnologico. Per esempio: una delle questioni regolamentate nel primo accordo era il numero massimo di missili per il trasporto delle testate, ma l’evoluzione tecnologica porta, nel giro di poco tempo, all’invenzione dei missili mirvizzati, cioè singoli missili in grado di portare più testate e farle atterrare in aree diverse. La questione viene trattata negli accordi SALT II, seguendo il principio dell’uguaglianza delle armi strategiche. Il secondo accordo, firmato nel 1974 da Breznev e Ford, non entrerà mai in vigore, perché sarà bloccato negli Stati Uniti dall’emendamento Jackson-Vanik, che condiziona l’entrata in vigore delle clausole economiche correlate all’accordo. Le clausole economiche, legate al grano, erano indispensabili per l’Unione Sovietica, che si trova ad attraversare un periodo di grande difficoltà. Per questo motivo nel 1975 Mosca rinuncerà definitivamente al trattato. Ovunque in questo periodo avviene ovunque l’istituzionalizzazione degli incontri al vertice: incontri diretti tra capi di Stato ed eventuali corrispettivi Ministri degli Esteri e della Difesa, per la discussione di questioni politiche e della loro risoluzione congiunta. Questi incontri caratterizzano la 76 diritti di concessione delle risorse petrolifere. Il cambiamento avviene in maniera progressiva, non senza forti resistenze da parte delle grandi compagnie petrolifere occidentali. Verso la fine degli anni Sessanta la richiesta dei paesi dove si trovano geograficamente le risorse diventa sempre più insistente: molti fanno ricorso a metodi drastici, come la nazionalizzazione degli impianti di estrazione (il primo a prendere questa strada sarà il leader libico Muammar Gheddafi). Il percorso generale seguito dai paesi di recente indipendenza è graduale, ma vede un picco in questo periodo, in cui riescono a acquistare o riconquistare, almeno in parte, la sovranità sulle loro risorse petrolifere. La rinnovata sovranità sugli impianti viene utilizzata da questi paesi come arma politica di ricatto, principalmente nei confronti dell’occidente, nella fattispecie nel contesto del conflitto arabo-israeliano - di cui si trova una breve cronologia in seguito. ● 1948: armistizi separati, 1949 (Egitto, Libano, Transgiordania, Siria, Iraq) ● 1956: Crisi Suez, 29 ottobre - 5 novembre. Qui per la prima volta gli Stati arabi decidono di utilizzare l’embargo petrolifero per condizionare l’appoggio dell’Occidente alla causa di Israele. ● 1967: Guerra dei Sei Giorni, 5 - 10 giugno. L’embargo non fa molto effetto, perché le compagnie petrolifere sono separate tra loro. Territori occupati - West Bank, Alture del Golan – nascita OLP ● 1973: Guerra dello Yom Kippur (o October War), 6 - 25 ottobre. Viene riproposta l’idea dell’embargo petrolifero, e questa volta genera l’effetto sperato, perché le risorse sono effettivamente controllate dai paesi di recente indipendenza. Fondando un’organizzazione altra rispetto all’OPEC, questi paesi mettono in crisi il sistema energetico occidentale (i prezzi aumentano del 70%). Il crescente costo del petrolio si riflette immediatamente sul costo della vita, sia per consumatori che per produttori. Il fenomeno è particolarmente evidente nei paesi che consumano e importano la maggiore quantità di petrolio, che in questo caso sono i paesi occidentali, principalmente l’Europa. L’Europa si distanzia infatti dalla politica statunitense di sostegno pressoché incondizionato ad Israele, perché è messa in ginocchio dall’iperinflazione, dalla crisi politica ed economica. Inflazione nel mondo nel 1974: https://www.inflation.eu/inflation-rates/cpi-inflation-1974.aspx Bisogna tenere a mente che gli avvenimenti del Medio Oriente, così come quelli dell’Asia e dell’Africa qui analizzati, si inseriscono nel contesto della Guerra Fredda sul piano ideologico, nonostante la loro posizione geografica lontana dalle due superpotenze e dall’Europa. L’Unione Sovietica si dichiara paladina della causa anticoloniale (non terzomondista, per una questione di stretto dualismo ideologico), mentre l’Occidente si schiera apertamente contro le rivendicazioni terzomondiste. Gli schieramenti sono chiari: gli Stati Uniti lanciano un attacco aperto ed evidente ai produttori di petrolio, cercando di dividere il terzo mondo sul livello politico in maniera radicale; l’Europa si pone come possibile alleato dei paesi di recente indipendenza, un alleato occidentale ma ‘generoso’; i Paesi socialisti prendono le difese del terzo mondo in funzione antioccidentale. Nel momento delle votazioni, tuttavia, anche gli orientali votano contro il Nuovo Ordine Economico Internazionale, perché in nessun caso doveva esistere una terza via. La soluzione proposta dai socialisti ai paesi del terzo mondo era un passaggio in massa al socialismo, che avrebbe portato alla vittoria nella Guerra Fredda. 79 La visione proposta dall’Unione Sovietica si distanzia naturalmente da quella capitalista, ma anche da quella di ‘correzione’ del sistema economico proposta dal Nuovo Ordine Economico Internazionale. L’obiettivo è il totale abbandono del mercato capitalista e il passaggio al sistema pianificato di stampo socialista sovietico, anche attraverso l’ingresso dei paesi di recente indipendenza nel Comecon. Gli anni Settanta (in particolare dopo il crollo dell’impero portoghese) sono infatti un periodo di transizione per molti di questi paesi, che diventano prima osservatori, poi membri effettivi del Comecon. Alcuni esempi sono il Vietnam, Cuba, il Mozambico, ma nell’ottica dell’Unione Sovietica il Comecon si deve allargare a tutto il terzo mondo. In questo contesto di Guerra Fredda si inserisce un’altra possibilità di realizzazione del comunismo, quella della Cina. Secondo alcuni storici, negli anni Settanta la Guerra Fredda non è più caratterizzata dal dualismo dell’origine, ma è diventata un conflitto a tre. La Cina si propone come partner speciale per i paesi del terzo mondo, offrendo una politica di aiuti diretta in particolar modo verso l’Africa. Secondo l’interpretazione data da Mao Zedong verso la fine della rivoluzione culturale, il mondo si divide chiaramente in tre fazioni, non in due: la Cina è la potenza di riferimento del terzo schieramento, il terzo mondo. Per compiere la suddivisione, Mao prende in considerazione la ricchezza, lo sviluppo e il possesso di armi atomiche da parte delle aree coinvolte: ● Il primo mondo sono le due superpotenze, che secondo la Cina e molti sociologi occidentali (come Raymond Aron) si somigliano sempre di più, anche nelle strategie, negli interessi e nelle politiche internazionali. Si consideri la distensione come fenomeno conservatore; ● Il secondo mondo sono gli alleati stretti delle due superpotenze (Europa, Canada, Australia e Giappone), non altrettanto ricchi, ma tutto sommato benestanti; ● Il terzo mondo è un’entità a parte, di cui la Cina si propone come modello e guida. L’Unione Sovietica diventa un nuovo (e rinnovato) punto di riferimento, non solo per i vecchi leader in difficoltà o in esilio, ma anche per la nuova classe che guida i movimenti di liberazione nazionale delle ex colonie portoghesi. Queste ultime avevano iniziato il processo di liberazione già negli anni Sessanta, ma riescono ad arrivare all’indipendenza solo nella metà degli anni Settanta. Come nel caso dell’Algeria, il fattore determinante non è solo la vittoria sul campo (che avviene grazie all’importante aiuto dei paesi socialisti), ma anche la destabilizzazione del governo portoghese. I costi della guerra di liberazione erano diventati insostenibili per la popolazione e per il governo portoghese, che viene ulteriormente ostracizzato. Il primo ministro portoghese Marcelo Caetano, dalle idee di eco fascista, tenta addirittura di proporsi come via alternativa per ritrovare l’appoggio dei paesi persi nel terzo mondo, proponendo un ritorno verso l’alleanza bianca in Sudafrica. Il tentativo è quello di rilanciare l’idea di un’Africa coloniale sotto il controllo della minoranza bianca, secondo la quale il Sudafrica controllerebbe l’Angola, la Namibia e la Rhodesia del sud. Il progetto viene discusso a lungo e spesso criticato per la questione dell’apartheid sudafricano, delle guerre e delle torture che avvengono nel corso delle guerre coloniali in quesr’area. Non solo i governi e le società internazionali, ma anche la società civile e le organizzazioni attiviste si scagliano contro la proposta di Caetano, che tanto meno viene accettata dai paesi del terzo mondo. A metà degli anni Settanta, le colonie portoghesi Guinea-Bissau, Mozambico e Angola raggiungono l’indipendenza ed optano per un governo socialista. Nel 1974 il vecchio imperatore d'Etiopia, Haile Selassie, viene sostituito da un governo rivoluzionario, la cui radicalizzazione progressiva dà vita, tre anni più tardi, a una vera e propria repubblica socialista di stampo sovietico sotto il leader Mengistu. 80 Sono tanti gli elementi che inducono l’Unione Sovietica alla convinzione che il mondo si stia muovendo dalla sua parte: il successo sotto svariati punti di vista ha dato ai sovietici lo slancio e la confidenza in relazione alle possibilità di un socialismo globale. L’entusiasmo è motivato, o è frutto di un'illusione? È senz’altro vero che l’Unione Sovietica si trova a vivere un periodo positivo, di sicurezza e riconoscimento paritario (con gli accordi SALT), ma è anche vero che gli alleati non godono della stessa posizione di benessere. Con la crisi petrolifera, per esempio, paesi dell’Europa centro-orientale si trovano in condizioni critiche. Nel 1967, l’Unione Sovietica nega addirittura a Germania Orientale e Bulgaria (che godevano di accordi privilegiati per la fornitura di materie prime), dei prezzi sovvenzionati per il petrolio. Per questo i paesi dell’Europa centro-orientale si trovano a stringere accordi con gli alleati socialisti in Medio Oriente, Siria e Iraq, mentre l’Unione Sovietica mette il suo petrolio sul mercato globale a prezzi più alti. Negli anni Settanta, il debito comincia a diventare un problema significativo per i paesi dell’Europa centro-orientale, che ne saranno completamente sopraffatti negli anni Ottanta. È in questo periodo che gli alleati socialisti europei allargano i loro rapporti con l’Europa Occidentale per l’acquisto di materiale tecnologico - fattore che aumenterà il debito in maniera esponenziale. Alla fine degli anni Settanta torna al governo americano un democratico, Jimmy Carter. Una delle caratteristiche fondamentali della politica di Carter è la pressione sulla questione dei diritti umani: già nella CSCE era stato presentato un basket sui diritti umani, fortemente voluto dagli europei a protezione dei dissidenti, ma la questione non riguarda solo l’Unione Sovietica. Alcuni personaggi, come il fisico nucleare Sacharov, vengono utilizzati come arma-simbolo per destabilizzare l’Unione Sovietica. La politica estera di esposizione delle violazioni dei diritti da parte sovietica è considerata da molti e per molti versi controversa, ma riceve comunque degli appoggi (anche tra gli storici a seguire). Questo attacco sarà infatti uno degli elementi (non certamente l’unico) che mettono in crisi l’Unione Sovietica, fino a portarla al crollo. Un’altra questione su cui Carter preme molto è quella ambientale (è uno dei pochi presidenti americani che se ne occupa), ma lo fa in un modo non apprezzato dalla popolazione: viene infatti considerato uno degli elementi che ne determinerà il crollo di consensi. 25 novembre DALLA RINASCITA AL DECLINO: STORIA INTERNAZIONALE DELL’ITALIA REPUBBLICANA Specifichiamo innanzitutto che ciò che segue tratta del ruolo internazionale dell’Italia durante la Guerra Fredda: non parliamo di politica estera, perché il ruolo internazionale è qualcosa di più ampio, che prende in considerazione anche altri fattori, come la questione dell’immagine, la dimensione economica, culturale, lo stretto rapporto tra politica interna e politica estera. Quest’ultimo in alcuni paesi, come l’Italia, è particolarmente marcato: le vicende della Guerra Fredda, sul piano interno, hanno condizionato in maniera rilevante la posizione internazionale dell’Italia, fino alla fine degli anni Ottanta. La classe dirigente italiana di fine Ottocento, uscita dal processo unitario, aveva l’obiettivo di far riconoscere l’Italia come grande potenza europea - questo vale principalmente per i dirigenti liberali e in secondo luogo, con motivi diversi, anche per il fascismo. 81 Nonostante tutti i suoi condizionamenti del passato e le sue debolezze permanenti, l’Italia si inserisce così nel circolo stretto del blocco occidentale. Ma il riconoscimento che le viene dato è sostanziale o puramente formale? Gli altri paesi riconoscono effettivamente all’Italia il ruolo che le è stato formalmente conferito? I rapporti con l’alleato Americano sono talvolta piuttosto complessi: si tratta pur sempre di un rapporto di comunicazione tra una potenza egemone e un attore secondario. L’Italia non è centrale per la politica estera americana di questo periodo. Per esempio, quando la scalatrice sociale e neo convertita al cattolicesimo Clare Boothe Luce viene nominata ambasciatrice a Roma (dopo essersi sposata più volte), i rapporti tra lei e la rappresentanza democristiana in Italia diventano difficili. La Signora Luce era fortemente anticomunista, voleva mettere fuori leggere il PCI, ma i comunisti rappresentavano il 25% dell’elettorato italiano - si trattava di una misura impossibile. Uno dei momenti di svolta per l’Italia è il periodo che va dalla metà degli anni Cinquanta all’inizio degli anni Sessanta (1955-1963), in cui il paese vive il miracolo economico. Per la prima volta l’Italia, in quanto potenza industriale15, possiede una delle caratteristiche effettivamente necessarie per poter essere classificata come una media potenza. Questo cambiamento influenza anche l’immagine dell’Italia agli occhi degli altri paesi: da un quadro pessimista di arretratezza e disgrazia si passa a delle immagini di italiani ottimisti, pronti a cambiare in meglio e impegnati in questo cambiamento. Un film che ha un impatto fortissimo sull’immagine italiana è La dolce vita (Federico Fellini, 1960), che mostra che in Italia, in fondo, si vive bene. Alcune icone del miracolo economico italiano sono la Fiat Seicento, le macchine sportive, la Vespa, l’Olivetti Lettera 22: queste immagini del made in Italy non rappresentano la classe dirigente, ma la società e l’economia che le producono. Ad ogni modo, si tratta anche di anni di grande ambizione della nuova classe dirigente. La politica e l’economia sono guidate dall’idea che ormai l’Italia possa rivendicare il proprio ruolo all’interno del contesto occidentale, della creazione dell’Europa, nel Mediterraneo, nel Medio Oriente. Si prenda ad esempio la questione energetica: l’Eni di Enrico Mattei fa la storia non solo della politica estera italiana, ma anche della distensione, perché uno degli accordi più importanti del periodo è quello con l’Unione Sovietica nel 1960. Non si tratta di un accordo completamente accettato dagli italiani, ma va incontro alle ambizioni della nuova generazione al comando. Una questione diversa è il fatto che poi probabilmente i risultati non abbiano raggiunto le aspettative, ma alcuni risultati comunque ci sono. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, l’Italia aveva anche delle mire sull’Africa Subsahariana: c’era l’idea che l’Italia potesse espandersi grazie alle condizioni favorevoli, date dalla fine degli imperi inglese e francese. Gli anni Sessanta in Italia sono caratterizzati in ambito politico dalla nascita di una nuova posizione, il centro-sinistra, che rappresenta la risposta politica alla svolta economica. Questo cambiamento viene appoggiato dall’amministrazione americana, appoggio sancito dalla visita ufficiale di Kennedy nel 1963. Di fatto però il periodo del governo di centro-sinistra è piuttosto un periodo di ordinaria amministrazione, i risultati non sono quelli ambiti e la grande spinta si affievolisce nel corso degli anni Sessanta. Gli anni Sessanta del centro-sinistra si concludono con le dure contestazioni del ‘68. Le proteste sono particolari per il modo in cui si svolgono: se generalmente era la polizia a impiegare la violenza 15 Potenza industriale: in riferimento all’Italia, si parla di una potenza industriale media, ancora segnata da gravi problematiche e da un forte divario tra nord e sud del paese. Nonostante ciò, la Penisola riesce a diventare una potenza economica sul piano internazionale. 84 contro i protestanti, in questi casi è il contrario, sono gli studenti manifestanti ad attaccare le forze dell’ordine. A sinistra, una foto degli scontri di Valle Giulia a Roma. Nei lunghi anni Settanta, cioè già a partire dal 1968, ha inizio un periodo di crisi in tutti i campi (politica, sociale, economica), che si rapporta in realtà ad una generale difficoltà del mondo occidentale nello stesso periodo. In Italia, però, tutto ciò viene vissuto in maniera più forte, tanto che rischia di passare dallo status di ‘soggetto’ di politica estera a quello di ‘oggetto’ della politica estera degli altri paesi. Durante i primi anni Settanta, le diplomazie europee valutano in maniera prudente e non eccessivamente allarmata la crisi italiana: l’Italia è certamente un paese con problemi di stabilità, ma l’idea generale è che l’economia non vada poi così male e che la società italiana continui a reggere. Insomma, il paese legale non è dei migliori, ma il paese reale ha due grandi capacità: quella di arrangiarsi e quella di sopravvivere (questo il giudizio dell’ambasciatore inglese degli anni Settanta). In fin dei conti, si pensa, la popolazione italiana è più matura di quanto non si possa pensare, è ‘vaccinata’ contro le spinte autoritarie, i sindacati e i partiti di sinistra sono forti. Ci sono alcune voci su possibili colpi di Stato, che però poi non si concludono effettivamente. La valutazione americana è diversa: l’Italia rimane fuori dalle priorità degli Stati Uniti, le valutazioni di Kissinger e Nixon sono spesso rozze ed estremamente semplicistiche. L’influenza americana in Italia è forte per la presenza dall’ambasciatore Graham Martin, reazionario, che si era prefissato il compito di sconfiggere il comunismo. La posizione di Martin non è però favorevole ad un colpo di Stato (lui stesso afferma che la conseguenza di un colpo di Stato in Italia finirebbe col favorire il comunismo stesso), non vuole al potere i militari, ma il ritorno del centro destra. La democrazia cristiana era rimasta come interlocutore italiano degli Stati Uniti. Il carattere delle interferenze statunitensi è principalmente finanziario: si tratta di finanziamenti ai partiti che possono rappresentare un’ipotesi di ritorno al centrismo. Questa è la posizione di Martin - anche di Kissinger e Nixon, ammesso che capissero appieno la situazione italiana. Tra il 1968 e il 1974 esiste la sensazione di uno spostamento della società italiana verso sinistra, che però si accompagna ad una forte reazione conservatrice, forse anche più forte maggiore. Il referendum sul divorzio (1974) è uno spartiacque: la società italiana diventa più moderna, più europea, e non a caso implica la crescita del Partito Comunista Italiano. Il PCI non è più visto come un partito rivoluzionario, ma come un partito riformista: questo cambiamento di percezione viene visto in maniera negativa dagli altri paesi, soprattutto dal momento in cui si colloca nel periodo della crisi dell’Europa mediterranea16. I comunisti italiani sono naturalmente diversi dai comunisti sovietici, ma il PCI al governo metterebbe in discussione un paese importante nell’Alleanza Atlantica e nella Comunità Economica Europea. In questo senso, nel 1975-’76 gli Europei sono forse ancora più attivi degli americani nel cercare di fermare l’avanzata del comunismo in Italia; infatti, la Germania è guidata da un partito socialdemocratico, l’Inghilterra dai laburisti, la Francia dal democratico liberale Giscard d’Estaing. 16 Crisi dell’Europa mediterranea: si tratta del periodo di crisi delle dittature, che cadono in Portogallo, Spagna e Grecia. Al tempo, la situazione era guardata con grande preoccupazione da inglesi, francesi, tedeschi e americani: è la crisi del fronte sud dell’Alleanza Atlantica. L’Italia rientra in questo quadro. 85 Ancora una volta viene utilizzato lo strumento economico, ma non attraverso i finanziamenti segreti tipici degli americani (Kissinger e Ford ritentano questa strada nel 1975), bensì attraverso l’opinione degli Europei. Durante il G7 di Puerto Rico nel 1976 viene posta una condizione: l’Italia riceverà i finanziamenti se i comunisti non salgono al governo. Fino a che punto l’Occidente influenza gli affari italiani? Effettivamente i comunisti non salgono al governo, ma il leader democristiano Andreotti inventa il Governo della non-sfiducia17, che presuppone il consenso dei comunisti. La presidenza Carter in America formula nel frattempo il principio di non interferenza: il fatto che gli americani non interferiscano fisicamente con gli affari interni italiani non significa però che si debbano astenere dal commentare. L’esplicito dissenso degli Stati Uniti verso il Governo della non-sfiducia può essere considerato esso stesso una forma di interferenza? La questione è dibattuta. A destra, un’immagine rappresentativa della situazione italiana: il movimento dei PID (proletari in divisa) durante una manifestazione. Il fatto che i militari possano sfilare in divisa con un fazzoletto rosso durante una manifestazione rivoluzionaria è un chiaro sintomo della problematica situazione delle strutture statali. A sinistra, il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, il 9 maggio 1978. Presidente della Democrazia Cristiana, Moro viene sequestrato dalle brigate rosse il 16 marzo 1978, il giorno della presentazione del nuovo Governo Andreotti. Dopo essere stato tenuto prigioniero 2 mesi, Moro viene ucciso dai suoi rapitori e lasciato nel bagagliaio di una macchina. Gli anni Ottanta rappresentano per l’Italia un apparente ritorno al periodo d’oro degli anni Cinquanta-Sessanta. L’Italia torna infatti ad essere un paese capace di esercitare una certa influenza in ambito internazionale europeo: al Consiglio Europeo di Milano, nel 1985, Andreotti e Craxi mettono in minoranza Margaret Thatcher; fanno partire il processo di integrazione europea; l’Italia è un fedele alleato degli Stati Uniti e sostiene l’estraniazione degli Euromissili, e non essendo sottomessa, Craxi riesce ad opporsi a Reagan. Nell’area mediterranea mediorientale, la politica attuata dall’Italia è effettivamente autonoma; ad esempio, intrattiene degli ottimi rapporti con l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) di Yasser Arafat, che gli Stati Uniti considerano invece come un’organizzazione terroristica. Secondo l’Italia, è importante legittimare l’OLP anche agli occhi degli Stati Uniti per arrivare alla pace in Medio Oriente: gli USA dovrebbero riconoscere l’OLP, la rappresentanza della Palestina, per convincere poi Israele a stringere degli accordi di pace - per raggiungerli sarebbe servita la collaborazione di tutte le parti coinvolte. 17 Governo della non sfiducia o Governo di solidarietà nazionale, chiamato così in quanto superò la votazione di fiducia in parlamento attraverso l'astensione del PCI di Enrico Berlinguer. 86 molto sull’innovazione tecnologica, l’Europa centro-orientale non sperimenta lo stesso percorso, anzi, comincia ad affidarsi all’Occidente per quanto riguarda la fornitura tecnologica. Anche secondo Romero, il momento in cui il blocco orientale comincia ad acquistare tecnologie avanzate, indebitandosi con l’Occidente, è l’inizio della crisi che porterà al collasso; ● Crollo di consenso, accelerato dalla questione del rispetto dei diritti umani. La questione dei diritti umani viene considerata una sfida persa dall’Unione Sovietica, un punto debole che fomenta lo scontento di importanti gruppi di cittadini: si parla in particolare di gruppi nazionali (che sono gruppi di minoranze estese). La questione del rispetto dei diritti umani, delle minoranze e delle nazionalità è uno degli elementi di peso per il mantenimento unitario dell’Unione Sovietica (che, si ricordi, è uno stato federale18 che riunisce nazionalità diverse). ● Collasso dell’URSS dall’interno (in proposito sono interessanti gli studi degli storici sovietologi V. Zubok, S. Kotkin). Questa teoria vede come causa del crollo la politica del Segretario Generale del Partito Comunista Sovietico degli anni inoltrati Ottanta, Mikhail Gorbachev. Gorbachev tenta di riformare un sistema che in realtà non è più riformabile, attraverso una politica caratterizzata dal glasnost (la trasparenza politica): gli si attribuisce il crollo dell’Unione Sovietica e, di conseguenza, la fine della Guerra Fredda. LA SOVRAESPOSIZIONE DELL’URSS Nel Natale del 1979, l’Unione Sovietica invade l’Afghanistan. L’invasione viene giustificata facendo riferimento alla carta delle Nazioni Unite: il governo afghano, a maggioranza comunista, avrebbe richiesto l’intervento sovietico per prevenire le ribellioni finanziate dal Pakistan, dai talebani e dalla Cina. Secondo l’Unione Sovietica, l’invasione non solo è legale - in quanto richiesta dal governo ufficiale del paese invaso - ma rappresenta anche un modo per ripristinare l’equilibrio dei poteri dopo l’ufficializzazione delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cina. La normalizzazione tra Cina e USA aveva infatti messo a soqquadro la strategia sovietica in Asia. Si tratta di un intervento in una zona di confine per l’Unione Sovietica, azione che rientra nella normalità dei fatti, ma si colloca in un periodo critico in quell’area. Il 1979 è considerato un anno di svolta: la rivoluzione islamica, guidata dall’ayatollah Khomeini, porta alla cacciata dello scià Reza Pahlavi e alla creazione della Repubblica Islamica in Iran. La questione diventa un fatto internazionale con il sequestro dell’ambasciata americana (eventi raccontati nel film Argo, 2012). Il fallimento degli americani in Iran rappresenta una nuova crisi per gli Stati Uniti, in particolare per la presidenza Carter, a favore di un nemico ufficiale (il nemico storico, l’Unione Sovietica, e il nemico ‘nuovo’ l’ayatollah Khomeini, che vede negli Stati Uniti il simbolo di un Occidente infedele). Ci troviamo alla fine della seconda crisi petrolifera, un momento in cui il mondo è messo alla prova dall’azione dell’OPEC: la presidenza Carter non accetta un altro evento che stravolga gli equilibri strategici nell’area mediorientale. Per questo il Presidente statunitense reagisce sospendendo l’entrata in vigore degli accordi SALT II e quindi anche la fornitura di grano all’Unione Sovietica. Carter lancia inoltre una campagna mediatica molto forte contro l’Unione Sovietica, che si traduce nel boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca, 1980. 18 Stato federale: l’Unione Sovietica ha una costituzione federale fin dalle origini, questa forma è stata ribadita in tutte le forme costituzionali che hanno caratterizzato lo stato sovietico (l’ultima costituzione sovietica risale al 1977). L’Unione Sovietica come ‘Stato di Nazioni’ è uno degli elementi cardine per l’inizio del declino del consenso per il progetto sovietico. 89 L’Unione Sovietica, così come tutti coloro che intervengono in Afghanistan, finiscono per cadere nella trappola mediatica degli Stati Uniti: la campagna contro l’invasione in Medio Oriente ha un peso decisamente determinante, dato anche dalla sua teatralità. Quando si parla di sovraestensione dell’impegno dell’Unione Sovietica, il finanziamento dell’invasione dell’Afghanistan è uno degli elementi chiave, lungamente discusso dagli anni Ottanta in poi, in particolare dopo la seconda metà del decennio, con Gorbachev. LA SECONDA GUERRA FREDDA Molti storici, soprattutto americani, individuano la causa della fine della Guerra Fredda nella personalità del nuovo presidente americano: Ronald Reagan, detto ‘il grande comunicatore’, resta in carica per due mandati che coprono quasi tutto il decennio, dal 1981 al gennaio del 1989 (prima della caduta del muro di Berlino). Reagan, assieme a Margaret Thatcher in Europa, è l’esponente della rivoluzione neoliberale dell’economia mondiale: porta avanti, assieme a un gruppo di importanti economisti, la necessità di limitare l’intervento dello stato nell’economia, mirando alla conclusione della crisi dei lunghi anni Settanta e del welfare state. Con gli accordi di Washington, anche nelle organizzazioni internazionali (la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale) viene adottato il sistema liberista. Una volta regolati i conti, e dopo una breve e improduttiva fase di politica estera molto aggressiva (1981-1982), Reagan imposta i suoi affari esteri su una ripresa delle tensioni con l’Unione Sovietica. Con sorpresa degli alleati, Reagan definisce la sua presidenza come una ‘lotta contro l’impero del male’ (riferendosi all’Unione Sovietica). L’interpretazione proposta dagli Stati Uniti è univoca e aggressiva: gli americani sono il bene, i sovietici sono il male, e la Guerra Fredda è una lotta tra queste due fazioni. I co-protagonisti della nuova aggressività (almeno verbale) americana sono il Segretario di Stato (ministro degli esteri) George Shultz e il Segretario della Difesa Caspar Weinberger. Questa politica posava sulla convinzione, incoraggiata anche dallo stesso Reagan, che la distensione fosse in realtà un inganno sovietico, e dalla debolezza dell’Unione Sovietica data dalla morte di Breznev, nel 1982. La successione di Breznev risulta problematica e destabilizzante: l’innovatore e già a lungo capo del KGB Jurij Andropov è il primo successore, ma muore dopo poco e viene sostituito con un altro ultraottuagenario, Konstantin Chernenko. L’instabilità della successione sovietica induce negli Stati Uniti un atteggiamento propositivo e in parte contraddittorio: se da una parte l’aggressività nutre la lotta contro l’impero del male, dall’altra si avviano negoziati per la riduzione dell’armamento strategico. Nel maggio del 1982, Reagan lancia i negoziati START (Strategic Arms Reduction Talks), e Breznev, che in questo periodo era appena tenuto in vita dai farmaci, li accetta. L’avvio delle trattative è già a fine giugno dello stesso anno, ma la firma dei primi accordi START sarà solo nel 1991. Gli accordi consistono in una proposta di disarmo europeo, in relazione agli euromissili: gli Stati Uniti rinunciano a schierare nuovi missili a media gittata che siano attivi in Europa, in cambio dello smantellamento degli SS20, simbolo della nuova tecnologia sovietica e del pericolo sovietico in Europa. Con questa soluzione, gli Stati Uniti mirano al risparmio e a dimostrare agli europei che continuano ad occuparsi dell’area (anche se le modalità non sono ben accettate dagli europei). I colloqui Est-Ovest subiscono una frenata quasi immediata con i cambi al vertice sovietico, e nel 1983 vengono lanciate nuove iniziative, frutto di un’ideologia estremamente aggressiva. Il già citato scudo spaziale doveva servire a proteggere gli Stati Uniti, bloccando l’arrivo dei missili prima del loro rientro nell’atmosfera. Lo scudo doveva funzionare secondo lo stesso principio delle barriere regolamentate dagli accordi SALT, coprendo tutta l’area degli Stati Uniti e, eventualmente, 90 anche quella dei paesi alleati. Il lancio di questa idea viene percepita dai sovietici come una violazione della clausola sulla difesa dai missili balistici (ABM). Come lo scudo spaziale, anche altre idee ultimate in questo periodo sono, appunto, idee, progetti non ancora realizzati. Un esempio è il prototipo della bomba N, un ordigno capace di uccidere gli esseri viventi senza distruggere le strutture. L’aggiornamento tecnologico investe inoltre i missili sottomarini, i bombardieri, i missili intercontinentali di nuova generazione. La prospettiva del riarmo è guardata dal punto di vista ideologico dell’innovazione, ancora prima che da quello quantitativo: la strategia in effetti riesce a generare stupore e preoccupazione. Il 1983 è l’anno in cui il mondo arriva più vicino allo scoppio della guerra nucleare (dopo Cuba): questo in realtà lo saprebbero solo le alte sfere, ma l’impressione filtra anche nell’opinione pubblica, riflettendosi sulla cultura popolare. Nel novembre del 1983 avviene un incidente di comunicazione, per cui in una base militare polacca viene trasmesso erroneamente un dato su un lancio di missili statunitensi contro l’Unione Sovietica. L’ufficiale in carica in Polonia non considera la fonte come attendibile, e decide di non far partire immediatamente l’attacco, ma l’elemento dell’errore nelle percezioni reciproche, in un momento di scarsa comunicazione tra le due superpotenze, genera un forte terrore. Due film, entrambi usciti nel 1983, che lasciano intendere la percezione del pericolo imminente sono WarGames, che parla di un errore di comunicazione simile a quello del novembre 1983, e The Day After, che descrive il mondo dopo un attacco nucleare, da tutti considerato impossibile. I film di questo genere sono numerosi, e nascono anche per una maggiore attenzione che gli scienziati e gli studiosi riservano all’opinione pubblica, con un grande riscontro da parte di quest’ultima. Le ampie discussioni di carattere scientifico e ambientalistico che si avviano in questo periodo hanno un riverbero a livello mondiale - si vedano ad esempio le discussioni avviare dall'astronomo americano Carl Sagan a proposito dell’impatto ambientale della guerra atomica: anche se un attacco atomico non avesse distrutto l’umanità, avrebbe comunque creato un inverno nucleare, una cappa di fumo che avrebbe diminuito la temperatura del pianeta, rendendolo invivibile per molte specie animali, tra cui gli umani. Parallelamente a questi studi, si sviluppa e si afferma la teoria dell’estinzione dei dinosauri sostenuta ancora oggi: l’effetto causato dall’asteroide sarebbe stato molto simile a quello causato dalla bomba atomica. Nei film e nei libri degli anni Ottanta si riflette quindi la sensazione di tensione, la paura, l’impressione che l’attacco nucleare e la fine del mondo possano essere causate anche per errore. La ‘normalizzazione’ dell’utilizzo della bomba atomica, ad esempio nei film in cui la singola organizzazione la utilizza causando distruzione, ma non la fine del mondo, avviene solo dopo la fine della Guerra Fredda. DA GORBACHEV AL COLLASSO Lo scoppio della centrale nucleare di Chernobyl, avvenuto il 26 aprile 1986, rappresenta il più grande disastro relativo alla produzione di energia nucleare a fini civili della storia recente, anche più grande di quello di Fukushima. Uno degli effetti importanti di questo disastro, oltre alla pericolosità fisica, è la crisi di legittimità e di 91
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