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Storia di Roma: dalla fase arcaica alla fine della repubblica, Sintesi del corso di Storia Romana

La storia di Roma dalla fase arcaica alla fine della repubblica, con particolare attenzione alle guerre e alle conseguenze sociali ed economiche. Si parla anche dell'impiego di ausiliari extra italici e della nascita dell'impero con la dinastia dei Severi.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 13/11/2023

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Scarica Storia di Roma: dalla fase arcaica alla fine della repubblica e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! CAPITOLO 5 ROMANA MINIMA 1. L’età arcaica La fase arcaica della storia romana può dividersi in due momenti: nel primo Roma unifica il versante tirrenico grazie ai rapporti con le aristocrazie, il secondo è una lunga lotta di Roma contro Galli, Volsci, Equi e altre genti appenniniche e i sanniti. Infatti dal V secolo Roma deve respingere le spinte di queste popolazioni fino però all’assorbimento del mondo tirrenico che le si affidò per esserne protetto consentendo a Roma di rafforzare la sua posizione egemonica. Gli etruschi si unirono solo molto tardi alla causa dei Sanniti ma presto vennero meno quando venne eletto al consolato per il 296 L. Volumnio Flamma Violens: originario di Perugia, la sua posizione ai limiti dell’Etruria e i suoi rapporti famigliari con la città minarono la volontà politica degli etruschi che alla vigilia dello scontro decisivo abbandonarono il fronte sannitico insieme a Umbri e Sabini. La vittoria di Roma fu fondamentale per l’unificazione della penisola. Intanto insorgeva una prima tendenza imperialistica dei nascenti gruppi mercantili che portarono a uno scontro con Cartagine per il controllo della Sicilia: Roma si aprì così al mediterraneo e poco dopo anche Sardegna e Corsica passarono nella sfera d’influenza romana. 2. Da Annibale a Spartaco La successiva e maggiore invasione dell’Italia fu durante la seconda guerra punica che portò svolte soprattutto etiche: era infatti stato l’uomo comune ad avere un peso determinante sull’esito della lotta contro Annibale. Intanto, quando Roma rifiutò di usare la strategia di Fabio Massimo, e rifiutò ai cartaginesi la battaglia campale, Roma contravvenne alle sue stesse regole e per la prima volta fece ricorso alla guerriglia, inoltre la città rifiutò sempre a Cartagine qualsiasi trattativa, come il rifiuto di riscattare i propri prigionieri. Conseguenza maggiore di questa guerra fu il metus, la paura che portò alla sfiducia verso gli italici e a considerare i latini gli unici socii fedeli: oltre alle spese enormi, il peso maggiore del dopoguerra fu il trauma delle distruzione e dei danni subiti dalla penisola durante la presenza cartaginese. Inoltre il costo della guerra era stato alto soprattutto in termini di vite umane, soprattutto tra la popolazione maschile con la conseguenza della rovina della società romana ancora essenzialmente agricola: sugli uomini si basava infatti sia la componente militare che quella dei processi produttivi. Era quindi la paura a mantenere viva l’aggressività dell’Urbe, infatti Roma combatte e vince tre guerre di cui due preventive: una contro la macedonia 200-196, una contro la Siria 192-188. Internamente il conflitto aveva consentito ai nemici del mondo appenninico di rialzare la testa e ribellarsi coinvolgendo così Galli, Osco Sabellici, greci italioti, genti di meridione e isole. Secondo una teoria le distruzioni subite dall’Italia, la lontananza da campi e fattorie dei contadini-soldati, la concorrenza con la manodopera servile avrebbero portato alla fuga dei contadini italici dalla terra e quindi la crisi della piccola proprietà agraria via via assorbita nel latifondo, e infine questo avrebbe portato alla fine di Roma o almeno alle guerre civili. A fine scontro annibalico, le comunità italiche che avevano sostenute Annibale vennero private di parte del loro territorio incorporato nell’ager publicus romano: queste terre inizialmente rimasero indivise e non assegnate, poi suscitarono l’interesse dei grandi proprietari che se ne appropriarono nel dopoguerra. Dal 200 inoltre Roma mostra difficoltà nel reclutare soldati per l’impegno oltremare, per questo il senato abbassò i livelli minimo di censo richiesto per l’arruolamento e ricorse anche agli italici, ma progressivamente decadevano i valori della repubblica. La colonizzazione in questo periodo fu minore, e in caso solo a scopi strategici e difensivi e non colonie di popolamento: per esempio gli impianti ai piedi dell’appennino che uniti alla via Emilia creavano una linea di difesa tra la cisalpina dei galli e l’Italia, inoltre i romani si protessero anche da un lato con la benevolenza dei cisalpini e dall’altro grazie alla struttura della via Emilia. Verso le genti italiche il processo di integrazione venne chiuso, invece verso il mediterraneo non venne neanche iniziato: la nobilitas continuò a cercare il sostegno delle oligarchie oltremare senza però stringere intimi rapporti, e il consolato divenne prerogativa di poche gentes. Le legioni romani trovarono difficoltà contro la guerriglia, in particolare pagarono a caro prezzo le conquiste in Spagna e contro le orde germaniche di Cimbri e Teutoni sconfitti solo con Caio Mario. In tutto questo gli alleati italici non avevano ricevuto il perdono da roma per la defezione di età annibalica: i loro diritti erano limitati, l’apertura alla civitas era divenuta più difficile, subivano penalizzazioni economiche -> decisero quindi gli italici di riprendersi questi diritti con la forza: prima con una guerra sociale 90-87, poi con la guerra civile sillana 83-82, fino all’avventura di Spartaco 73-72, e solo con l’unificazione della penisola ad opera di Augusto venne trovata finalmente la pace. In tutto questo divenne importante l’impiego di ausiliari extra italici che da fine II a.C. divenne un fenomeno di portata sempre maggiore, soprattutto con la guerra sociale, e per un periodo questi alleati transmarini vennero impiegati contro gli antichi socii. 3. Dalla fine della repubblica ai severi L’ultima sequenza di guerre civili in Italia portò alla nascita dell’impero e all’avvento della dinastia dei Severi. Negli ultimi anni della repubblica vede le vittoria di Cesare in Gallia, e a inizio impero l’allargamento dei domini di Roma con nuove province. Dopo Cesare, Augusto doveva i suoi poteri al fatto di aver posto fine alle guerre civili e concetto base della sua politica era la pax fondamentale in politica interna ed estera. Quindi Augusto, nel condurre le guerre, rispondeva a tre considerazioni: imporre il prestigio dell’urbe ai sudditi riottosi, rendere agevoli le comunicazioni per terra, attestarsi su linee stabili e sicure; si spinse quindi verso una spirale di guerre giuste. Ai nemici rimaneva solo la risposta con la guerriglia a Roma, guerriglia che viene divisa da Gastone Breccia in guerriglia di estinzione e di interdizione: fu quest’ultima ad essere usata dalle popolazioni contro Roma che venne obbligata a proteggere continuamente i suoi confini da continue piccole incursioni localizzate. Le armate imperiali però possedeva la capacità di sentirsi a loro agio in qualsiasi campo di scontro, inoltre i barbari erano tribù non nazioni e Roma riusciva a sovrapporre la sua forte identità nazionale. Malgrado questo, tra le ultime guerre contro i nemici esterni roma venne battuta: contro i Parti a Carre nel 53 a.C. e a Teutoburgo contro i Germani nel 9 d.C. -> i parti inoltre potevano affidare sull’appoggio degli ebrei che dal 66 al 166 d.C. miravano all’indipendenza, e la loro ostinazione condusse alle 4 guerre più sanguinose di inizio impero: queste ostilità cominciarono con una lunga fase di guerriglia che poteva contare sull’appoggio dei Parti, nemici di Roma, però alla fine l’impero riuscì a reprimere queste ribellioni che però riarsero per 3 volte in Palestina e nelle terre della Diaspora dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. Per i romani era fondamentale la disciplina, ma non negava ai nemici di usare la guerriglia ma era inflessibile contro i rebelles, inoltre le armate imperiale erano considerate potenti, variegate e versatili tanto che le due sconfitte sopra citate ebbero un peso importante nelle scelte politiche di Roma. la monarchia appariva l’unica soluzione per evitare si riaccendessero conflitti intestini e fu in nome della pace civile che si ritenne di dover rinunciare alla libertà, inoltre le future guerre si sarebbero dovute tenere fuori dalla penisola: si affianca quindi al concetto di pax quello di securitas -> con la nascita dell’impero però la libertas venne scambiata con la nozione di securitas. Il primo degli ordines privilegiati, la classe senatoria, compartecipe di un potere che non era più suo ma che continuava a rivendicare, aveva accettato di continuare a impegnarsi nella difesa dello stato e aveva accettato di sottomettersi a un servizio militare che obbligava ogni suo membro a cominciare il cursus honorum con il tribunato militare laticlavio, entrando nell’esercito, quindi questo latus clavus era il solo rango senatorio tra i sei ufficiali che componevano gli alti gradi delle legioni. Era però nota la loro riluttanza verso le reali incombenze belliche, infatti Cesare si appoggiò ai centurioni, professionisti, che guidavano l’esercito assai meglio dei legati senatori. Inoltre al tribunato laticlavio erano spesso assegnati compiti meramente amministrativi o gestionali, quindi il senato andava sempre più rinunciando al compito più gravoso e nobile cioè mettere a rischio la propria vita per il bene comune e dello stato, però a questo senato restava comunque affidata la guida delle legioni e il governo delle province armate imperiali. Era quindi necessario intervenire facendo ricorso agli equestri: questi uomini avrebbero potuto poi accedere alla catena di comando riservata all’ordine dei cavalieri -> cresceva così di fianco al senato un’aristocrazia parallela, gli homins novi, e fu questa aristocrazia ad emergere durante il regno di Marco Aurelio al tempo della grande cospirazione barbarica. Il reclutamento in Italia comunque si riduceva sempre più, sia tra l’aristocrazia che tra i livelli più umili della popolazione, quindi la coscrizione si spostò sempre più oltralpe. sistema si legava la nuova partizione territoriale -> Diocleziano pose fine alla divisione tra province imperiali e senatorie. I comandanti dell’esercito assunsero il titolo di duces e il rango di perfectissimi, assunsero quindi il controllo delle province finora rette dai governatori di rango senatorio; le legioni sopravvissero e vennero innalzate a 60 agli ordini di tribuni, e cominciarono a essere reclutati maggiori contingenti barbarici. la corte che accompagnava l’imperatore venne affiancata da una legione di Ioviani, truppe danubiane, e anche una guardia armati i lanciarii, quindi nacque una forza scelta agli ordini dell’imperatore. la struttura tetrarchica inizialmente funzionava e l’impero era in ripresa, nonostante varie difficoltà soprattutto la rivolta in Egitto della Persia che attaccò l’impero, repressa da Galerio. Diocleziano rafforzò i limes, soprattutto in oriente. ma la tetrarchia fallì alla successione: diocleziano e Massimiano si ritirarono, ma nel 306 muore uno dei due augusti, Costanzo Cloro, quindi iniziò la contesa tra il figlio di Massimiano, Massenzio, e il figlio di Costanzo Cloro, Costantino -> scomparsi anche Massimiano e Galerio i due si contesero l’occidente fino alla vittoria nel 312 di Costantino nella battaglia di Ponte Milvio. Costantino riunificò l’impero e fondò la nuova capitale di Costantinopoli con il suo nome. Nel 313 Costantino aveva già emanato l’editto di Milano con cui dava tolleranza ai cristiani. A costantino viene attribuita la riforma che trasformò l’esercito in età tardo antica ma molto era già stato fatto prima di lui, quindi forse concluse solo un processo già iniziato. A lui è attribuibile lo scioglimento delle coorti pretorie e la trasformazione della prefettura del pretorio in una carica senza rilevanza militare ma solo amministrativa, nacquero quindi le scholae palatinae, reggimenti di cavalleria scelta che sostituirono i pretoriani. Crebbe con lui l’afflusso di contingenti barbarici iniziato con Diocleziano, e circa l’origine dei comitatus probabilmente già esistevano con Galerio o Licino ma fu Costantino a definirne la forma e l’impiego infatti li mantenne presso di se anche se queste truppe dovevano sempre rimanere disponibili per la difesa dell’impero. Il Codice Teodosiano riporta una legge del 325 che per la prima volta avrebbe contrapposto comitatenses e ripenses cioè truppe di periferia che controllavano i confini, e forse fu questa legge a creare la prima dicotomia tra le due e quindi i futuri scontri. Costantino riorganizzò inoltre l’alta gerarchia militare: il comando dei comitatenses venne dato a due alti ufficiali, i magistri militum detti praesentales. Inoltre nel 325 il concilio di Nicea aveva stabilito i canoni del cristianesimo, nel 337 Costantino morì e prese il potere Costanzo II tra 337-361. Nel 361 prese il potere Giuliano che tentò di riportare il paganesimo come religione dominante e ripristinare l’egemonia culturale ellenica. Impero ed esercito: motivi e tappe di una trasformazione Giuliano scomparve rapidamente mentre era impegnato nella campagna in Oriente il 26 giugno del 363: durante la campagna l’esercito era stato condotto in modo eccellente, ma la scomparsa del capo accentuò dei fattori di disgregazione già presenti da tempo all’interno dell’armata imperiale: contrasto tra cristiani e pagani, difficoltà di approvvigionamento, e infine la morte di Giuliano a cui seguì la rinuncia a continuare la guerra persiana. Spesso si è affermato che il successivo prevalere della cavalleria rispetto alla fanteria sia legata a motivi tattici, strategici e di movimento, ma ancora con Giuliano la fanteria era la regina della battaglia infatti l’esercito di Giuliano era costituito principalmente da reparti di fanteria occidentale, però dopo la morte di Giuliano riemerse la riluttanza delle truppe nel lasciare la proprie sedi e questo porterà al frazionamento dell’impero. Dato che fu probabilmente la composizione dell’armata di Giuliano a garantire grandi successi in oriente, si può supporre che l’adozione di nuovi criteri e modalità di combattimento non rispondesse a ragioni militari ma a necessità di adeguamento a trasformazioni politiche, culturale e sociali in atto nel mondo romano -> tenderà quindi a cambiare tra cavalieri e fanti, prima il rapporto gerarchico e di rango e poi il rapporto funzionale e numerico: questi due corpi infatti non mutano solo per necessità tattiche e strategiche, ma anche per le coordinate della società di cui l’esercito è espressione. L’armamento della fanteria torna ad essere vario, come non era più stato, dall’organizzazione della polis in poi; dal secondo quarto del III secolo lo stesso corpo ospita spesso soldati senza armatura o protetti dalla lorica segmentata e uomini con ogni tipo di equipaggiamento. 50 circa dopo l’avvento dei severi, scompare una componente essenziale del vestiario dei fanti: la corazza a partire dalla lorica a fasce metalliche che venne sostituita inizialmente da armature leggere destinate anche queste ad essere abbandonate, cala inoltre la qualità degli elmi -> quindi scompare l’equipaggiamento delle fanterie che per tempo era stato elemento distintivo del civis in armi e da qui partono alcune considerazioni: il differenziarsi degli armamenti sottolinea la fine del concetto stesso di stato come insieme di cives, uno stato che aveva imposto un modello unificato di armamento perché in esso si rispecchiava un ordinamento civile, inoltre la corazza era stata modello di patientia e disciplina e quindi il suo venir meno significa il venir meno di questa componente sociale, inoltre il fatto che gli elementi difensivi della panoplia siano riservati a cavalieri e reparti dell’elite connota che l’esercito non è più nei suoi fanti la somma dei cives in armi ma è un elite ricca e spettacolare che si identifica nelle cavallerie. Spesso per spiegare la perdita di identità del soldato tardo antico si ricorre al tema dell’introduzione di contingenti esterni all’impero nei ranghi dell’esercito, riluttanti a usare protezioni in battaglia e a norme disciplinari. furono sia Severo che Diocleziano ad aumentare la consistenza numerica delle truppe e in particolare Diocleziano inserì sempre più contingenti extra fines imperii, e poi anche Costantino in principio aumentò le truppe e aggiunse la pratica del servizio militare ereditario -> tutti e tre diedero quindi un contributo alla “barbarizzazione” dell’esercito, anche se la parte numerica preponderante dell’esercito veniva dalle regioni interne all’impero. Ma comunque, l’introduzione nell’esercito di elementi esterni all’impero, è solo una spiegazione parziale di un problema più grande cioè un senso civico già da tempo diminuito, la disaffezione verso il mestiere delle armi e quindi lo spostamento della coscrizione verso aree periferiche come il Danubio. Quindi con i severi inizia il tracollo che però continuerà. Le prime truppe a soffrire furono quelle lasciate a se stesse in oriente, penalizzate dalle mollezze del costume come l’abitudine dei soldati di soggiornare in città durante il servizio, e le carenze di disciplina -> da qui venne favorita quindi l’imporsi delle cavallerie nelle province del levante mediterraneo. A questo si deve aggiungere il reclutamento di elementi barbarici che snaturava le fanterie legionarie anche in occidente. Secondo una storiografia, almeno da Polibio, ogni esercito è emanazione dello stato che lo esprime, quindi la struttura militare tardo antica è figlia di un impero che sta adottando la teocrazia simile al modello orientale e che vede da un lato i cives cedere il loro posto ai sudditi e dall’altro è tentato a seguire i modelli del mondo iranico. Problema in oriente fu anche il rifiuto da parte delle truppe occidentali di spostarsi durante l’ultima spedizione persiana: questo portò l’oriente, da sempre riluttante al modello legionario, a distaccarsene e sostituirlo con un sistema nazionale di difesa, e qui si affermò la fortuna della cavalleria in primo luogo. Ancora per qualche tempo le fanterie di roma sopravvissero ma alla lunga il corpo si snaturò, e l’esercito oplitico di fanti cittadini su cui poggiava la tradizione romana fu condannato a sparire. Quindi nella sempre minore importanza della cavalleria bisogna vedere non tanto motivi di tattiche e strategie, ma il decadere delle strutture cittadine dell’impero e quindi l’esigenza di nuova vita e cultura. Verso la fine La ripresa della lotta alle frontiere anticipa il disastro militare di Adrianopoli nel 378 che vide la distruzione dell’esercito orientale a opera dei visigoti e si aprì l’ultima età di una crisi che travolse l’occidente fino alla sua dissoluzione nel 476. Morti Giuliano, Valentiniano I nel 375 e il fratello Valente ucciso ad Adrianopoli, il cristianesimo si affermò anche in occidente. Dopo la morte di Graziano, lo spagnolo Teodosio vinse su Magno Massino nel 388 e su Flavio Eugenio nel 388, e fu l’ultimo a regnare su un impero riunito: cui lui il cristianesimo era affermato soprattutto con la riaffermazione dei canoni niceni nel 380 con l’editto di Tessalonica, e con una serie di costituzioni che vietavano il paganesimo tra 390-392 rendendo il cristianesimo religione di stato. Teodosio muore nel 395, l’impero affidato ai figli Arcadio l’oriente e Onorio l’occidente e da qui si realizza la vera separazione delle due parti di cui ne risentì solo l’occidente: nel 402 capitale spostata a Ravenna, nel 406 il Reno viene varcato da vandali, alani e svevi, e nel 410 il sacco di Roma dai visigoti di Alarico. Non mancarono figure che tentarono di salvare l’urbe come il vandalo Stilicone e il romano Mesico Flavio Aezio: quest’ultimo inflisse due sconfitte ad Attila, capo degli unni, portando alla fine dell’impero unno, e questa duplice sconfitta determinò il destino dell’occidente che nel caso della vittoria di Attila sarebbe divenuto suo. Con la morte di Aezio però la fine dell’impero d’occidente divenne inevitabile, l’anno dopo a causa del vandalo Genserico, ci fu il secondo sacco di Roma da cui l’urbe non si risollevò per secoli. Civis e munus, virtus e aristocrazia: una fine senza resurrezione? Dal momento dell’ascesa del primo imperatore provinciale, Ulpio Traiano, e in seguito, almeno al metà dei senatori continuava a venire dall’Italia. Altri riscontri offre invece la lista di Augusti e Cesari che parte da Traiano fino all’affermazione del cristianesimo con la morte di Giuliano l’Apostata: 39 tra le 106 figure ricordate dalle fonti in un arco di 263 anni, tra inizio II e IV, ne ignoriamo l’origine, dei rimanenti 67 la quantità di italici è di soli 15, segno che il potere aveva cambiato sede. Se la maggior parte della nobilitas tradizionale continua a provenire dall’Italia, questa terra è sempre più lontana dalle insegne e cresce intanto un’aristocrazia parallela, di virtus e non di sangue, che proviene da tutto l’impero ed è formata dai viri militares che si impegnano nella difesa dell’impero, e questa seconda aristocrazia di merito e non di sangue che esprimerà molte figure destinate al trono. La forza di Roma risiede nell’aver creato un forte vincolo che unisce oltre i confini delle città i membri delle diverse classi dirigenti, e questo viene rafforzato dall’idea di potersi intendere in nome della fides cioè di un rispetto delle regole anche e soprattutto in caso di guerra. L’aristocrazia si fonda su un’etica del merito che porta quindi a un periodico cambiamento e rinnovamento, e questa classe trae nuova linfa dall’affermarsi a roma della filosofia greca, quella stoica in particolare. Il rinnovamento inoltre riprendere grazie all’opera degli equites: la chiusura a fine repubblica- inizio impero di alcuni sbocchi economici importanti, ha obbligato i cavalieri a mutare di natura e li ha portati a una vocazione e un’identità politica prima sconosciute: da Augusto erano calati nei ranghi della pubblica amministrazione e della burocrazia, però è soprattutto nell’esercito che finirono per identificare lo spirito di servizio e il dovere di rendersi alla repubblica, per questo dai loro ranghi emergerà la seconda aristocrazia cui componente fondamentale è quella dei viri militares che darà numerosi candidati al trono imperiale. Tra i motivi della caduta dell’impero romano d’occidente ci sono vari fattori, tra cui la violenza delle invasioni barbariche. Inoltre l’economia mostrava già sintomi di instabilità generati dal commercio, in particolare l’impatto del drenaggio dei metalli preziosi destinati a pagare molti generi rari e costosi provenienti dalle terre extra fines imperii, portando così il sistema monetario a una crisi senza rimedio e risultando tra le cause principali della dissoluzione dell’impero. Importante fu anche il massacro o allontanamento dei mercanti romani e italici dall’asia ad opera di Mitridate durante i vespri efesini: questi infatti conservarono solo parte degli affari della zona così che invece i levantini riuscirono da soli a gestire i traffici della Siria e zone limitrofe. Le province orientali, in particolare Siria ed Egitto, costruirono economie differenti, separate dal resto dell’impero, di cui fagocitarono buona parte delle risorse: la smisurata concentrazione di capitali in queste regioni potrebbe essere stata una delle cause dello squilibrio tra occidente e oriente e il loro diverso destino. I mercanti del levante riuscirono a gestire questo commercio e organizzarono in quasi ogni località di occidente agenzie commerciali e comunità di residenti che divennero centri di diffusione della loro cultura -> questo processo fu quindi importante a livello economico ma anche culturale, minando i presupposti stessi della società occidentale. L’unica costante che sembra riconoscibile nell’arco della storia romana è la presenza di una forma politica e di un’etica del potere: l’aristocrazia, però il sistema su cui questa si reggeva entrò in crisi -> per comprenderne i motivi si può partire dal testo Commentario a Daniele di Ippolito di inizio III secolo: egli aveva previsto come la struttura aristocratica della società romano-ellenistica, non avrebbe potuto soddisfare per sempre la base democratica di proletari contadini nazionali e quindi il prevalere delle radici delle singole popolazioni avrebbe portato al collasso dello stato romano. quello che ancora permetteva all’impero di reggere in questa vastità di entità culturali, erano i vincoli tra le classi dirigenti legate tra loro dall’etica di devozione verso una res publica che sentivano propria, quindi ciò che reggeva questo pericolante edificio ancora erano le diverse aristocrazie -> senatori e famiglie erano il vincolo più forte che teneva unito l’impero, però parte di questa elite aveva abdicato al dovere di servire con le armi lo stato, e quindi si era formata quella nuova nobiltà di merito che delle vicende successive e del primo scontro con i sanniti non abbiamo info attendibili. Nel 354 roma finì il conflitto con gli etruschi, vinse contro una città latina di incerta identità, stipulò un trattato con i sanniti: infatti la repubblica aveva appena stipulato una tregua con gli etruschi quando salì al potere di Siracusa Ipparino, intanto si rinnovava il contrasto con i latini quindi roma aveva bisogno un nuovo alleato non etrusco: la lega sannitica -> grazie a questa intesa l’Urbe volva opporsi a una nuova azione congiunta di Latini, Galli e siracusani e cercava un’alternativa all’alleanza con il mondo etrusco. Nel 348 roma strinse il secondo trattato con Cartagine, nel 345 il console Furio Camillo vinse contro i galli nei colli Albani eliminando il pericolo terrestre e poco dopo Cartagine intervenne contro la minaccia navale siracusana che fu costretta a ritirarsi. Rimasti soli, i latini si rivolsero ai campani che volevano intraprendere una nuova azione contro i sanniti che però vennero soccorsi dalle legioni romane: il successo romano venne anche agevolato dall’appoggio di alcuni equites campani che non scesero in campo contro l’urbe -> a fine guerra roma sciolse la lega latina, soppresse i vincoli tra le città latine e si assunse il ruolo centrale nel sistema di relazioni e scambi tra loro, i volsci vennero privati di parte del territorio, i campani cedettero il fertile agro del Falerno ma conservarono molti diritti e furono integrati con il potere egemone. Il successivo scontro con i sanniti venne causato dalla loro pressione verso la costa minacciando i nuovi socii della repubblica: all’origine della guerra, 332-330, fu l’azione dei sanniti contro i Sidicini di Teano e poi contro i Campani appena entrati nell’orbita di Roma. dopo una prima sconfitta campale dei sanniti, i romani li inseguirono tra le loro montagne nel cuore del Sannio, 331 a.C., e i romani furono costretti a territori difficili e ad adattarsi a nuove modalità di lotta come la guerriglia -> i sanniti non conobbero un processo di urbanizzazione vero e proprio fino al I a.C. dopo essere entrati nella federazione romana dopo la guerra sociale 90-88, i sanniti avevano quindi strutturato il loro territorio diversamente disseminando la parte montuosa del Sannio di punti fortificati e opere difensive diverse, spesso non coincidenti con centri abitati, poiché la difesa era indirizzata alla regione nell’insieme. Quindi la capacità dei sanniti va cercata nell’insieme delle sue difese e non nei singoli impianti cintati, questo insieme si caratterizzava di oppida che controllavano il territorio, spesso con più ordini concentrici di mura e avevano funzione di punti di raccolta di difensori o di profughi, quindi l’intero territorio si componeva di fortificazioni collegate tra loro. Grazie a percorsi nascosti i sanniti spesso fuggivano al nemico romano, e questo condizionò a lungo la guerra del Sannio cui popolo prediligeva un armamento leggere soprattutto basato sull’uso del giavellotto quindi erano meno votati alla battaglia campale: durante lo scontro con roma infatti questa rimase rara, le operazioni erano soprattutto attacchi, finte, ritirate, offensive. I romani vinsero la resistenza del Sannio ma non a risolvere completamente questo problema, quindi circondarono la regione di colonie e recise ogni contatto tra sanniti e galli e altri popolazioni appenniniche. Tornando alla prima guerra sannitica in cui i romani vennero sconfitti: i contingenti sannitici erano tornati a difendere il fronte settentrionale e poco oltre Calazia, oltre 20 mila romani nella struttura della falange, vennero bloccati e costretti alla resa, quindi Roma dovette rinunciare alla difesa dei Sidicini e le colonie di Fregelle e Cales. Il secondo conflitto con i sanniti comincia nel 323 quando i romani chiesero una riparazione alla greca Neapolis che aveva attaccato i coloni dell’agro Falerno, e i sanniti avevamo ripreso a spingere verso le coste e la penetrazione in Neapolis sembrava una mossa diversiva: furono i notabili locali a permettere un primo successo di roma infatti i due demarchi di Neapolis convinsero i concittadini ad arrendersi questo permise alla polis di conservare la sua autonomia, l’integrità territoriale e l’exilium cioè il diritto di accogliere gli esuli romani solitamente aristocratici creando un rapporto tra le classi dirigenti, 323. La pressione dei sanniti era intollerabile per gli Osci della Campania e per gli Apuli che quindi offrirono l’alleanza a roma per accerchiare il Sannio. La seconda guerra fu comunque dura e lunga per roma, importante fu l’ordine manipolare che si affermò descritto da Polibio: 1200 velites armati alla leggera avevano il compito di fare schermo alle truppe di linea, gli hastati e i principes erano la forza d’accatto pesantemente protetti e dotati di spada non più di lancia ritornando a una forma di combattimento individuale, inoltre i 10 manipoli erano disposti sul campo a scacchiera e tra i varchi lasciati da queste file si disponevano le file degli scaglioni successivi, l’ultimo scaglione erano quelli dei triarii divisi in 10 manipoli che intervenivano se l’attacco dei primi scaglioni falliva. Roma riuscì quindi a raggiungere Apulia e il Sannio appariva circondato, e con i sanniti rimaneva solo Taranto, ma la diplomazia dei sanniti provocò la diserzione di Apuli e Lucani da Roma e inoltre a roma venne sconfitto Lautulae nel 313: i sanniti ripresero quindi la guerra ma il console Sulpicio Longo nel 312 vinse a Terracina ristabilendo la situazione, inoltre la formazione manipolare di roma era ora più adatta a operare tra le montagne. La guerra contro il sannio quindi volgeva al termine con le legioni che riportarono due vittorie decisive e i sanniti vennero costretti alla pace: la confederazione sannitica mantenne il suo territorio ma accerchiato da colonie di roma, gli altri popoli appenninici costretti a stipulare singoli trattati con roma. questa guerra è la conclusione dello scontro tra le due italie: quella appenninca composta da diverse realtà e quella tirrenica con l’egemonia di roma. inoltre la repubblica avevano ormai consolidato la sua posizione nell’italia centrale, sconfitto gli equi, fondato colonie ad Alba Fucens nel 303 e a Carseoli, nata la tribù Aniensis, e nel 300 rientrò anche la Sabina nella sfera d’influenza di roma, a cui si collegarono nel 299 anche i piceni. Di questi sviluppi ne erano interessati gli Etruschi, avversari pericolosi perché potevano contare su forze come Umbri, Celti in particolare la tribù dei Senoni -> i rapporti tra etruschi e celti erano mutati: dal V a.C. la fascia tra medio e alto corso del Tevere aveva visto l’infiltrazione dei galli e anche il mondo umbro aveva accettato questa infiltrazione, mentre per l’Etruria padana era il settore pedemontano orientale dell’Appennino a vedere la presenza gallica da inizio IV quindi i celti si erano inseriti nella società etrusca creando un’area di popoli e culture diverse. Questo creò un gruppo di celti, umbri, e parte degli etruschi che si mossero contro roma: nacque una forza antiromana forse caldeggiata dai sanniti, compiuta del tutto nel 296. La repubblica aveva però orientato la sua forza verso l’Etruria per fermare la minaccia così questa non si unì a questa alleanza anti romana, incerti a entrare nell’alleanza soprattutto quando venne eletto al consolato per il 296 L. Volumnio Flamma Violens -> alla vigilia dello scontro infatti gli etruschi abbandonarono i coalizzati insieme agli umbri indebolendo il fronte antiromano. I consoli varcarono l’Appennino fino al cuore del paese dei Senoni e fronteggiarono l’armata a Sentino: l’esercito romano contava quindi su un’armata consolare doppia, invece sappiamo poco del modo di combattere degli italici abilissimi nella guerra in montagna però questa volta i sanniti dovevano confrontarsi con l’altra componente dell’esercito, i galli, che usavano tattiche primitive quindi sembra difficile che galli e sanniti abbiano combattuto nello stesso schieramento ed è possibile che a Sentino vennero combattute contemporaneamente due battaglie: una contro i galli, una contro i sanniti. Roma vinse e costrinse i nemici a rendere le armi: i galli non potevano continuare la lotta quindi una parte del loro territorio sottratta per fondare la colonia di Sena Gallica 290-288, più a lungo resistettero gli etruschi ma ottennero una tregua con il pagamento di un’ammenda, gli umbri si arresero diventando socii di Roma, solo i sanniti continuarono lo scontro -> la vittoria di roma avvenne dopo 5 anni con i consoli Dentato e Rufino nel 290: la federazione mantenne il territorio integro ma perse la possibilità di competere per l’egemonia in Italia, e il Sannio venne circondato. I senoni provarono ancora a insorgere che riuscirono a vincere il console Metello ma non Dentato che vinse, e anche il tentativo del 283 dei galli Boi venne respinto, quindi i galli nel 282 costretti a chiedere pace che durò per 45 anni. La definitiva vittoria di roma sui sanniti le aveva permetto il dominio dei territorio tra Lucania ed Etruria centrale, era entrata in contatto con le popolazioni italiche del meridione come Lucani e Apuli, Messapi, Iapigi, Bruzzii e il resto del mondo italiota. Le altre città greche d’Italia avevano fondato la lega di Zeus Homarius di matrice achea e poi la lega italiota a cui si aggiunsero Turi, Reggio ed Elea, invece Taranto aderì solo a fine del contrasto con Siracusa a metà IV a.C. però neanche Taranto riusciva a difendere gli Italioti dalla pressione di Bruzzii e Lucani quindi chiese aiuto alla sponda adriatica, in particolare intervenne Sparta nel 342 prima con Archidamo III, poi Alessandro il Molosso, Cleonimo, Agatocle signore di Siracusa nel 298. Intanto roma aveva ratificato un contratto che le impediva di spingere le navi nel golfo di Taranto. Quindi mentre i Bruzzii attaccavano Ipponio, i Lucani contro Turi, i turini chiesero aiuto a Roma: la città venne liberata nel 282, e roma intervenne anche per Locri e Reggio, mentre Crotone stipulò un trattato di alleanza con roma. divenne inevitabile lo scontro tra roma e Taranto soprattutto quando roma nel 282-281 violò il trattato navale che portò Taranto ad attaccare le navi romane e invadere Turi che chiese aiuto a Roma. nel 280 Taranto invocò Pirro, re dell’Epiro che sbarcò in Italia con 25 mila uomini e 20 elefanti: i romani erano impegnati a nord in una rivolta in Etruria quindi poterono opporgli solo una armata consolare, quindi i romani persero ma anche Pirro in battagli aveva perso molti uomini. Alla notizia della vittoria si rinsaldò l’intesa tra greci e italici, si sollevarono sanniti, bruzzii, lucani e Crotone e Locri abbandonavano l’alleanza con roma. Pirro dovette però ritirarsi quando roma conclusa la rivolta etrusca spostò entrambe le armate consolare contro di lui: Pirro si scontrò con entrambi i consoli, ebbe la meglio ma non fu un successo decisivo, e in questo momento i greci di Sicilia chiesero il suo aiuto contro la minaccia di Cartagine a Siracusa -> Pirro cercò dunque la pace con roma, a cui si oppose Appio Claudio Cieco, e decisivo per la battaglia fu la preoccupazione di Cartagine per l’arrivo di Pirro in Sicilia infatti Cartagine siglò con roma un trattato di mutuo soccorso. Pirro però tra 278-275 fallì in Sicilia quindi tornò in Italia, il suo esercito era debole e non in grado di affrontare le armate consolari riunite quindi abbandonò l’Italia lasciando a Taranto un presidio con l’intento di tornare: però egli era già morto quando il comandante di questa guarnigione consegnò la città ai romani. Taranto dovette accogliere una guarnigione romana, consegnare ostaggi, rinunciare a battere moneta, e fornire alla repubblica un contingente navale, nel 272 si piegarono anche lucani, bruzzii, sanniti, e tra le città greche si legarono a roma Velia, Locri, Turi, Metaponto e Reggio, e anche a nord Roma completò l’assetto della penisola fondando nel 268 la colonia latina di Ariminum, Rimini. Della guerra per la sicilia tra Roma e Cartagine, 264-241 l’arte militare romana mostrò sviluppi come una tecnologia navale efficiente e il sistema a doppio vallo, forse importante fu il contributo dell’arte militare greca. CAPITOLO 7 LA GUERRE IN ITALIA DA ANNIBALE A SPARTACO 1. La calata annibalica e la rivoluzione militare romana Fino al 219 a.C. roma aveva conservato gli antichi valori aristocratici alla base della concezione della guerra e dei rapporti con le altre entità statali: il fondamento dell’etica aristocratica romano, la fides, era infatti ancora a fondamento di tutte le relazioni che l’Urbe teneva con il mondo esterno -> se con le genti tirreniche garantiva alle classi dirigenti delle città latine e dei municipia sine suffragio l’accesso a cittadinanza e carriera politica a roma, sul concetto di fides poggiavano anche i foedera cioè i trattati bilaterali stipulati con le comunità più lontane. Anche in guerra veniva mantenuta la fides e quindi il rifiuto di inganni e astuzie contro il nemico e lo scontro era frontale in cui avrebbe prevalso chi più dotato di virtus e dell’appoggio degli dei. Questo sistema di valori entrò in crisi durante il secondo conflitto contro Cartagine, 219-201 a.C., quando roma dovette confrontarsi con Annibale: le sue truppe nel 219 infatti avevano eccellenti forze come la cavalleria numidica ma fanti libici, iberici e gallici abituati allo scontro individuale di spada e quindi non era possibile costituire il blocco monolitico al centro sul quale immobilizzare il nemico che attaccava di fronte permettendo ai cavalieri di prenderlo di fianco, e il problema fu evidente nella battaglia di Trebbia nel 218 cioè il primo scontro campale della seconda guerra punica. Quindi Annibale rimediò a Cenna, 216 quando roma sferrò ad Annibale un colpo mortale: Annibale voleva evitare il cedimento del fronte a causa della superiorità numerica romana, quindi mescolò fanti iberici e gallici per ottenere una maggiore resistenza, abbandonò la concezione di centro rigido prevedendo una disposizione a mezzaluna convessa che retrocedendo sotto la spinta delle legioni le risucchiasse e circondasse a tenaglia -> la battaglia si svolse secondo le sue previsioni. Dopo Canne, roma perse vite umane e vide enormi danni all’agricoltura causati da Annibale, inoltre vide un parziale sfaldamento della federazione che aveva creato nella penisola, defezionarono infatti la genti appenniniche dell’Italia meridionale, greci italioti e sicilioti, e i campani di Capua, Calazia e Atella -> questi furono il colpo più duro per roma dato che i maggiorenti campani, da un secolo, facevano parte della classe dirigente dell’Urbe quindi era visto come alto tradimento. Quindi la res publica dovette abbandonare la sue abitudini belliche e premunirsi contro gli stratagemmi di Annibale: Fabio Massimo impose infatti una guerra difensiva di logoramento fondata sul rifiuto della battaglia campale e tesa ad erodere i territori occupati dal nemico furono indotti all’arresa, inoltre con la lex pompeia de transpadanis veniva data la cittadinanza alle colonie latine. Rimasero quindi in armi solo sanniti, irpini, lucani e campani contro cui si oppose Lucio Cornelio Silla. La guerra si concluse quindi, ma le autorità romane per evitare che i nuovi cittadini avessero troppo peso politico li iscrissero soltanto in 8 delle 35 tribù destinate a votare per ultime: questo generò malcontento a cui si sommò lo scoppio tra 89 e 88 della prima guerra mitridatica: il comando spettava a Silla eletto console per l’88 ma Mario voleva sostituirlo e per questo si appoggiò al tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo: questo approfittando del malcontento degli italici propose una legge che ne garantisse la distribuzione in tutte le tribù, senato e plebe urbana si opposero e la città indusse i consoli a decretare uno iustitium cioè la sospensione temporanea delle attività politiche e giudiziarie -> Mario e Sulpicio scatenarono bande armate contro gli oppositori, destituirono il console Quinto Pompeo Rufo e catturarono Silla costringendolo alla revoca del provvedimento. Sulpicio aggiunse alla sua proposta la clausola di trasferire il comando in oriente a Mario col titolo di proconsole, Silla non si arrese e marciò su Roma occupandola, abrogò le leggi di Sulpicio e riordinò la situazione politica condannando a morte i nemici -> un gesto rivoluzionario di Silla perché era entrato nel pomerium di roma in armi. Silla console per l’anno successivo quindi partì per l’oriente ma a roma ricominciarono i problemi: il console Cinna riprese i progetti di Sulpicio in rapporto agli italici ma venne presto sostituito da Merula, intanto il malcontento degli italici cresceva e Cinna potè contare su di loro e su Mario tornato dall’esilio. Intanto Metello aveva intavolato trattative coi Sanniti ma il senato ne aveva respinto le richieste. Si può dedurre che molti campani e lucani fossero schierati con roma, mentre i sanniti appoggiati dai dissidenti e dai plebei rurali appenninici -> Mario propose ai sanniti di assecondare le loro richieste e grazie a loro riuscì a rientrare a roma con Cinna scatenando stradi e imponendo sé e il suo alleato come consoli per l’86 senza elezioni regolari, però Mario morì lo stesso anno sostituito da Carbone. Cinna pose un freno alle violente tra 86-85, intanto Silla aveva occupato Atene e sconfitto le forze pontiche a Cheronea e Orcomeno, e nell’85 stipulò la pace con Mitridate e si accinse a tornare in Italia. Cinna e Carbone, consoli per 85 e 84, si opposero alle trattative con Silla, e si rifiutarono anche i consoli dell’83 Scipione Asiativo e Norbano quando Silla sbarcò a Brindisi, quindi Silla dovette prepararsi a una guerra civile. Silla, nonostante l’appoggio di calabri e apuli, era afflitto da inferiorità numerica, quindi doveva trovare nuovi alleati attirando dalla sua parte i membri delle aristocrazie italiche, però i mariani non avevano generali validi al pari di Silla e dei suoi legati. Silla sconfisse Norbano e tentò ancora di negoziare riuscendo a trattare con Scipione e stabilire una tregua, ma quando il console inviò il suo legato per le trattative questo in realtà occupò Suessa, quindi le truppe di Scipione infastidite dalla sua insipienza e dal tradimento del legato passarono dalla parte di Silla. Silla tentò ancora trattative di pace con Norbano ma senza risultati, abbandonò quindi la speranza però aveva accresciuto il suo prestigio e si era guadagnato l’appoggio di campani e lucani costieri. Intanto erano diventati consoli Carbone e il giovane Gaio Mario, Silla intanto aveva deciso di marciare su roma lungo la via latina: inizialmente Silla aveva tentato di abbattere le trincee del nemico ma ordinò di sospendere l’attacco per una fitta pioggia e di erigere l’accampamento e indurre l’avversario ad assalirlo: lo stratagemma funzionò infatti Silla respinse l’esercito di Mario infliggendogli gravi perdite, e i superstiti si schierarono con silla costringendo Mario a rifugiarsi a Preneste. Silla quindi circondò la città, entrò a roma senza opposizione accampandosi fuori dal pomerium, intanto Carbone tentò di liberare Preneste accorrendo a sud, ma Silla assunse il controllo di via Cassia, Clodia e Aurelia per proteggere l’urbe da un attacco dall’Etruria e cercando di congiungersi con Pompeo separando i due consoli. Carbone si attestò a Chiusi dove venne assalito da Silla che si unì a Pompeo in Umbria, intanto al nord Silla aveva ottenuto l’appoggio della maggior parte delle genti italiche stipulando un foedus che garantiva la ridistribuzione dei nuovi cittadini in tutte le tribù. Quando Silla sembrava aver vinto, Ponzio Telesino con Lamponio e Gutta riunirono un’armata in direzione di Preneste per liberare Mario ma non riuscirono a forzare il blocco, quindi Ponzio marciò su roma lungo la via Latina accampandosi vicino al lago Albano avvicinandosi la mattina dopo alla città -> per Velleio Patercolo, Ponzio voleva distruggere roma per sugellare la definitiva indipendenza del Sannio, ma in realtà questo è poco credibile perché avrebbe rovinato anche i sanniti, forse invece l’obiettivo era indurre Silla a togliere l’assedio a Preneste e costringere i mariani, avendo in mano la città, a rispettare i patti e non tradire i sanniti, inoltre voleva presentarsi come il vincitore di Silla e avere Roma in suo potere. Informato della manovra di Ponzio, Silla lasciò Preneste col grosso delle sue forze senza levare l’assedio, e con una rapida marcia raggiunse roma parandosi tra i nemici e la città deciso a una battaglia definitiva -> Silla applicò il principio di concentrazione delle forze di Gaio Mario: schierò il nerbo del suo esercito agli ordini di Crasso contro la sinistra avversaria, e dispose la sua più debole sinistra di fronte ai sanniti, voleva quindi mandare subito in rotta la sinistra avversaria resistendo invece coi suoi all’assalto dei sanniti, e poi Crasso avrebbe assalito ai fianchi e alle spalle i nemici annientandoli. Però la manovra non andò a buon fine e la sua sinistra cedette davanti ai sanniti. Appiano però ci dice che le forze del proconsole combatterono tutta la notte uccidendo i nemici tra cui Ponzio e impadronendosi del loro accampamento, quindi l’esercito di Ponzio venne annientato segnando la fine della prima guerra civile romana. il giorno successivo Silla ordinò di giustiziare i prigionieri sanniti, ottenne la resa di Preneste e Mario si uccide per non cadere in mano al nemico, poco dopo anche Nola si consegnò a Silla. Silla, per riordinare la situa, propose al senato la nomina di un dittatore, Lucio Valerio Flacco. La legislazione sillana: sistemò i veterani requisendo terre ai nemici vinti e ai popoli italici schierati con sanniti ed etruschi, e ridistribuendo l’ager publicus; estese il pomerium a tutta l’Italia peninsulare a sud dell’Arno e del Rubicone così da identificarla sacramente con roma e impose a consoli e pretori di non uscire da questo limite per l’anno di carica, così separò il potere militare da quello civile. La situa in Italia però non era pacificata: dittatura e consolato furono troppo brevi per permettere a Silla di sviluppare un’ampia legislazione economica e sociale, e negli anni successivi quindi masse italiche di proletari e diseredati appoggiarono quei proconsoli o propretori che avessero minacciato l’autorità del senatore per raggiungere un potere personale. Silla raccomandò ai successori di fare il censimento ma questi non lo realizzarono suscitando ancora malcontenti tra le genti italiche, soprattutto appenniniche, quindi la situazione si aggravava e bastò nel 73 a.C. la fuga dalla scuola di Gneo Cornelio Lentulo Batiato a Capua di 74 gladiatori con a capo Spartaco il trace e Crisso il Gallo per scatenare una rivolta generale -> Spartaco raccolse intorno a se schiavi fuggitivi dalle ville campane, schiavi e braccianti salariati, aprendosi la via verso Sannio e Lucania dove si unirono a lui montanari e pastori transumanti e riuscì così ad occupare Turi e Metaponto. Il senato mandò contro di lui i due consoli con due legioni ciascuno -> Spartaco lasciò Cirsso in Apulia con 10 mila uomini e lui mosse verso il Sannio con 30 mila puntando verso a nord per far sollevare contro roma Piceno, Etruria, Gallia Cisalpina. Il console Gennio intanto uccise Crisso mente Lentulo inseguiva Spartaco che riuscì a battere entrambi i consoli, invase la cisalpina e uccise il proconsole Longino. Non marciò però sull’urbe facendo ritorno all’appennino centro meridionale perché non aveva soldati abbastanza preparato, intanto a roma venne tolto il comando ai consoli sconfitti, e venne dato l’incarico a Crasso con uno speciale imperium proconsulare, poteva contare su 6 legioni di ottima qualità. Mentre Spartaco organizzava nuove leve nell’appennino meridionale, nel 72 a.C. Crasso mosse contro di lui e lo costrinse a ritirarsi nel Bruzio: Crasso fece costruire un muro con fossato tra costa tirrenica e ionica del Bruccio, mentre il senato chiedeva a Pompeo il ritorno in Italia per aiutare Crasso. Spartaco cercò quindi di pattuire con Crasso ma questi rifiutò così nel febbraio del 71 di notte a fuggire e dirigersi verso Brindisi e poi in Lucania contro Crasso: nella primavera del 71 i due eserciti si scontrarono alle sorgenti del fiume Sele e Spartaco e le sue forze vennero annientate e venne stroncata ogni velleità di ribellione degli italici. L’unica soluzione definitiva era comunque registrare i nuovi cittadini in tutte le tribù, quindi Crasso si candidò al consolato con Pompeo per il 70, e eseguirono il censimento. Finalmente l’Italia peninsulare era unificata dal punto di vista politico e amministrativo, e i contrasti tra Italia tirrenica e appenninica erano sopiti per sempre. CAPITOLO 8 L’ITALIA DELLE GUERRE CIVILI. DALLA TARDA REPUBBLICA AI SEVERI Dall’avvento di Mario al principato di Augusto l’Italia si caratterizza di guerre intestine, guerre civili che ripresero dopo la parentesi della dinastia giulio-claudia, gli ultimi mesi del regno di Nerone e l’anno successivo -> “civile” usato in senso negativo per indicare l’azione di offesa tra individui della stessa condizione, tra concittadini. L’esercito fu protagonista degli eventi che portarono alla fine della repubblica, mosso da interessi di natura economica e di miglioramento delle proprie condizioni di vita subordinate alle decisioni del generale, al quale le truppe erano legate da un rapporto di fedeltà e fiducia reciproco. Fu questa una delle chiavi del successo di Cesare: a differenza di Pompeo, non assecondò l’avidità dei suoi eserciti ma ne elevò la dignità aumentando il soldo e creando uno spirito di coesione e appartenenza, e i soldati lo ricambiavano con la sua devozione. Ottaviano fu capace di usare a proprio vantaggio l’eredità del padre adottivo, ma dovette fare i conti con un esercito in trasformazione nel quale la cavalleria aveva acquistato importanza tattica cruciale, e c’era sempre maggiore presenza di stranieri in qualità di ausiliari e di truppe specializzate che da una parte rendeva la macchina più efficiente ma dall’altra snaturava la sua componente civica -> Ottaviano riuscì a presidiare questi processi con provvedimenti che assicurarono all’impero una fase di stabilità e pace interna, risultato favorito anche dall’accentramento nelle mani del princeps il potere militare, infatti Augusto aveva fondato il suo potere sul comando dell’esercito. 1. Come muove un sovversivo: la guerra civile di Catilina La battaglia di Pistoia del gennaio del 62 tenuta da Lucio Sergio Catilina, è il punto finale di una vicenda iniziata nel 66 a.C. Catilina inizia la carriera militare e politica come ufficiale di Gneo Pompeo Strabone, padre di Pompeo Magno, e poi con Silla, nel 78 questore, nel 71 edile, nel 68 pretore e nel 67-66 propretore in Africa e in quest’anno si candidò al consolato per il 65 ma venne rifiutato. Seguì a questo la prima congiura di Catilina: il progetto era uccidere i candidati nelle elezioni insieme ai senatori avversari per permettere l’elezione di Autronio e Silla che avrebbero poi favorito la sua elezione per il 64, ma venne ancora sconfitto e si candidò per il 62. Qui, contro Cicerone, perse ancora le elezioni e da qui si aprì la contesa: cominciò a reclutare forze come anche un ex ufficiale di Silla, Lucio Manlio, ma il piano venne scoperto da Cicerone che riferì la vicenda in senato: questo il 21 ottobre proclamò il senatus consultum ultimum, un provvedimento di emergenza che autorizzava i consoli a usare ogni mezzo per difendere lo stato. Per alienare da sé ogni sospetto, Catilina si offrì in custodia cioè in stato di arresto volontario presso un cittadino, ma in realtà si stata riunendo con i complici per un nuovo piano di sommosse a roma e insurrezioni nelle campagne italiche -> Cicerone esortò Catilina di allontanarsi da Roma, quindi lui chiese di ritirarsi in privato ma il giorno dopo si dirigeva in Etruria per raggiungere Manlio e organizzare la lotta armata, intanto i suoi complici con a capo Cornelio Lentulo appiccavano incendi a roma e cercavano di reclutare nuove forze. Nel novembre del 63 però Lentulo venne inchiodato e il 3 dicembre vennero arrestati i complici di Catilina che perse così la possibilità di tornare a Roma in testa al movimento sovversivo. Catilina non poteva neanche più fuggire in Gallia, non aveva altra scelta che lo scontro in armi, ma la sua situazione precipitò con la notizia da roma della pena capitale per i complici a cui quindi seguirono molte diserzioni. Contro Catilina Antonio, che malato di gotta si sottrasse allo scontro per evitare di combattere con l’antico alleato, quindi il comando passò a Marco Petreio: lo scontro avvenne senza esclusione di colpi e Catilina dimostrò di combattere in prima fila coi suoi uomini, e quando ogni speranza di vincere era persa si buttò nella mischia e perse la vita in battaglia. Lo spettacolo che però si offrì ai vincitori fu devastante: i soldati si resero conto di aver combattuto una guerra civile. 2. Il dado di Cesare Cesare con un esercito romano, l’11 gennaio del 49 superò il fiume Rubicone che divideva la provincia di Gallia cisalpina e Italia, senza autorizzazione del senato, questo significava dichiarare guerra a roma scatenando una nuova guerra civile. Cosa portò a questo: il proconsole il 26 dicembre del 50 aveva mandato richiesta da Ravenna per candidarsi al consolato per il 48, ma venne respinto dal senato approvando invece la proposta di Quinto Cecilio Metello Pio Scipione, suocero di Pompeo, e cesare venne invitato a depositare l’esercito o sarebbe stato ritenuto nemico dello stato -> a un suo rifiuto, i tribuni si affrettarono quindi a raggiungerlo ma lui già aveva passato il Rubicone e si diresse verso Rimini conquistandola. La notizia di questa occupazione arrivò a roma il 14 gennaio senza creare preoccupazioni Perugia: l’assedio della città durò alcuni mesi fino a inizi del 40 quando la città cadde: Ottaviano risparmiò i responsabili ma la città venne punita. Cominciò quindi a vacillare il rapporto con Antonio: aveva riorganizzato l’oriente e incontrato in Cilicia la regina d’Egitto, Cleopatra VII, e affidò a Ventidio le operazioni contro i Parti mentre lui tornava in Italia per arruolare nuove legioni, quindi nel luglio del 40 arrivò a Brindisi ma venne bloccato dalle legioni di Ottaviano che erano a lui fedeli e non vedevano bene la politica di Antonio che aveva accolto l’ammiraglio dei cesaricidi, Gneo Domizio Enobarbo e forse trattava di nascosto con Sesto Pompeo. Quest’ultimo era una minaccia per i triumviri perché aveva il controllo di mari, costa, isole e quindi l’approvvigionamento di grano di cui la Sicilia era la principale fornitrice. La campagna di Antonio non ebbe esito positivo, quindi si giunse a un nuovo accordo con Ottaviano: Lepido perdeva le province occidentali tranne l’africa, Antonio restava triumviro d’oriente, ottaviano controllava l’occidente dalla Spagna all’Illirico. Ottaviano aveva però il problema di Sesto Pompeo e della sua glotta e quindi riunì i triumviri a Miseno, nell’estate del 39 per un accordo: a Sesto vennero attribuite Sicilia, Sardegna, Corsica, Acaia, in cambio liberava le coste dal suo presidio e non intralciava più i traffici commerciali e l’approvvigionamento di grano. Seguì un periodo di pace in cui Ottaviano mandò Agrippa in Gallia, ma Sesto Pompeo non tenne fede agli accordi e a inizio 38 Ottaviano decise di muovergli guerra convergendo nello stretto di Messina due flotte, ma dopo una prima sconfitta chiese l’aiuto di Agrippa e Gaio Cilnio Mecenate: per il 37 Agrippa allestì una flotta e fece costruire un porto militare presso Pozzuoli, Mecenate invece chiese ad Antonio di fornire le navi e in cambio avrebbe avuto soldati per la guerra contro i Parti. Nell’autunno del 37 nuovo accordo tra i triumviri a Taranto: Ottaviano consegnava ad Antonio 20 mila fanti, in cambio Antonio dava 130 navi, e Lepido sarebbe intervenuto in Africa con Ottaviano contro Sesto, vennero ritirate le concessioni fatte a Sesto. Le operazioni iniziarono nel luglio del 36 fino allo scontro in una battaglia navale in cui vinse la flotta di Ottaviano, comandata da Agrippa -> la battaglia di Nauloco segnò le sorti della repubblica: Sesto Pompeo definitivamente sconfitto, Ottaviano neutralizzò Lepido impossessandosi delle sue truppe quindi rimasero Antonio a combattere in Oriente e Ottaviano che prese il contro dell’occidente dalla Sogna all’Adriatico. La partita definitiva con Marco Antonio fu chiusa in Oriente prima presso Azio poi presso Alessandria d’Egitto dove Antonio si suicidò e Ottaviano potè così celebrare la fine delle guerre civili. 4. Il lungo anno I mesi tra la morte di Nerone, giugno 68, e la proclamazione di Vespasiano imperatore, dicembre 69. L’ultimo periodo di Nerone vedeva difficili questioni: il dissenso di senato e popolo, problemi causati dai pretoriani (corpo speciale creato da Augusto suddiviso in 9 coorti deputate a vegliare sull’imperatore e sull’ordine pubblico: 3 stanziate a roma, le altre nella penisola), le popolazioni locali delle province sempre più vessate dall’impostazione di tributi, i soldati riconoscevano solo l’autorità del loro comandante. Il primo focolaio di rivolta scoppiò nell’inverno 67-68 dal propretore della Gallia Lugdunense, Gaio Giulio Vindice, la rivolta si estese poi all’impero e le province occidentali si unirono al governatore della Terraconense, Galba. Mentre Galba marciava su roma per prenderne possesso e il titolo di imperatore, Nerone incapace di reclutare forze valide da opporgli venne abbandonato dai pretoriani, dichiarato nemico pubblico dal senato quindi si uccise. La nomina di Galba a imperatore voluta dal senato fu mal tollerata dai soldati e legioni della Germania che proclamarono imperatore Aulo Vitellio, quindi le truppe di stanza della Germania partirono alla volta dell'Italia: una al comando Fabio Valente, l’altra Aulo Cecina Alieno. Alla notizia Galba nominò il successore seguendo la volontà dei soldati che acclamarono imperatore Marco Salvio Otone, Galba poi venne ucciso e la guerra civile continuava. La situa sembrava favorevole a Otone, appoggiato dagli eserciti di Dalmazia e Pannonia, marciava verso Roma sottoponendo però l’Italia a razzie e devastazioni. Contro di loro Valente mandò un contingente di fanteria cui si aggiunsero i liguri, ma lo scontro vide prevalere gli otoniani senza però una vittoria definitiva: i vitelliani si ritirarono ad Antibes e gli otoniani ad Albenga. In primavera le truppe germaniche con Cecina giunsero nella pianura padana ma i suoi tentativi di assedio andarono a vuoto, e quindi in una località vicino alla via Postumia Cecina tentò un’imboscata ai soldati di Otone che si ritirarono presso Bedriaco: qui si sarebbero congiunti con le legioni di rinforzo dalla Mesia e il resto dell’esercito di Otone -> egli voleva affrontare l’avversario il prima possibile ma non volle intraprendere personalmente la guerra e si fermò a Brescello: questa inerzia insieme ai dissidi tra i capi dell’esercito fu determinante nelle sorti della battaglia campale avvenuta il 14 aprile a Bedriaco. Prevalsero quindi le truppe di Vitellio, anche grazie all’intervento dei suoi ausiliari i soldati batavi, i capi delle truppe otoniane desistettero dal resistere e alcuni erano pronti a defezionare per passare nelle file avversarie. A Otone rimase solo il suicidio. Vitellio riuscì ad entrare a Roma, prese il soprannome di Germanico, ma la presenza di uomini in armi a roma veniva vista con sospetto. Intanto le truppe di Vitellio erano indebolite, e contro di lui si diffondeva il malcontento: dagli italici, dai senatori, dalle legioni del Danubio, dagli abitanti delle province e dai soldati qui stanziati -> in oriente venne stretto un accordo tra i governatori di Siria e Giudea, Muciano e Vespasiano, che portò alla proclamazione di Vespasiano imperatore: questi lasciò il comando della Giudea al figlio Tito e marciò verso Roma e a lui si unirono le legioni della Mesia, Dalmazia e Pannonia, soprattutto sotto impulso di Antonio Primo. Vitellio tentò di recuperare consenso presso provinciali e senatori da cui ricevette l’epiteto di Cesare e Augusto, ma era tardi: le truppe di Antonio Primo entrarono in Italia, contro di loro Vitellio schierò Cecina e Valente -> ancora Bedriaco fu teatro di uno scontro sanguinoso tra 24-25 ottobre: le due parti si scontrarono, Antonio prese in mano la situa che si concluse con il più grande massacro della guerra civile del 69 in cui morirono 50 mila individui e Cremona venne rasa al suolo in 4 giorni. Valente venne ucciso, Vitellio lasciò la difesa di Roma al fratello Tito Flavio Sabino e accorse in aiuto all’esercito dove diede prova della sua incapacità di comandante. Intanto Sabino cercava di mediare, ma i pretoriani del fratello cinsero il Campidoglio: Sabino catturato e massacrato dalla plebe, le truppe flaviane intanto giunsero a roma da 3 parti diverse e l’ultimo scontro avvenne in campo Marzio. Il 20 dicembre Vitellio catturato e seviziato e questo pose una tregua alla guerra civile, e Vespasiano divenne imperatore di Roma. 5. I barbari alle porte Sotto la dinastia dei flavi l’Italia visse un periodo tranquillo, e le uniche sfide militari da fronteggiare riguardavano l’integrità dei confini dell’impero che erano stati ulteriormente ampliati da Traiano. Egli in Italia aveva promosso misure economiche favorevole e potenziato infrastrutture militari come strade e porti. Malgrado le misure imperiali adottate per integrare i barbari, la loro pressione alle frontiere aumentava ma finchè ci furono abbastanza legioni per sorvegliare i confini la situa rimase stazionaria, però durante il regno di Marco Aurelio il fronte danubiano venne parzialmente sguarnito per dislocare le truppe in oriente contro i parti, e quindi iniziò un vero attacco dei barbari ai confini settentrionali. Inizialmente i romani condussero un’azione di tamponamento, e dopo aver vinto sui Parti, gli imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero si impegnarono ad arginare il pericolo proveniente da nord: la loro marcia diede esiti positivi, ci fu un solo episodio di minaccia diretta dell’Italia da Quadi e Marcomanni che assediarono Aquileia e distrussero Opitergium attraverso la penetrazione delle Alpi Giulie -> l’intervento di Marco Aurelio evitò che la situa precipitasse ma non fu un vero e proprio successo, non si trattò di una vittoria ma di una difesa in extremis. Dal III secolo le spinte migratorie dei popoli del nord, insieme all’attacco dei persiani d’oriente, cominciarono a travolgere l’Italia: roma e il senato non erano più il centro del potere che era diventato invece l’esercito: l’ascesa al potere di Settimio Severo ne è la dimostrazione -> egli conquistò l’impero dopo 4 anni di guerre civili fuori dall’Italia e dopo l’impegno contro i parti, entrò a Roma scortato dai soldati armati, salì sul Campidoglio ed entrò in senato. Severo fece costante affidamento sull’esercito che riformò con una serie di provvedimenti: introdusse 3 nuove legioni, due inviate in Mesopotamia, una ad Albano in Lazio; ammissione dei provinciali nelle coorti; abolizione del divieto di matrimonio per i soldati in servizio; aumentò la paga dei soldati. Alla morte lasciò il regno ai figli Caracalle e Geta. CAPITOLO 9 IL III SECOLO D.C.: GLI IMPERATORI DELL’ANARCHIA MILITARE E LE GUERRE IN ITALIA 1. Verso la costruzione di una storia sociale del soldato Dopo la morte di Alessandro Severo, Massimino fu il primo dei corpo dei militari ad essere eletto imperatore senza essere prima stato senatore e senza la decisione del senato. Massimino il trace, imperatore 235-238 d.C., successore dell’ultimo dei severi Alessandro Severo, primo imperatore ad essere eletto tra i militari: da qui inizia il periodo di “anarchia militare” in cui si succedono imperatori eletti dai soldati e tra i soldati. Sono gli anni della crisi del III secolo che vanno dal 211, morte di Settimio Severo, al 260-278 preludio della tetrarchia, sono anni di presa di coscienza sociale: era necessario decentrare la difesa dell’impero dato che non potevano più essere difese tutte le province di confine dalle calate dei barbari e dagli usurpatori, e cominciano inoltre ad essere riconosciute delle personalità che grazie alle loro qualità militari sono giunte al consolato e a posti di responsabilità vicino all’imperatore -> nonostante l’abbandonamento delle virtù militari dall’aristocrazia senatoria, al vertice dell’impero rimase sempre l’attività bellica come elemento primario. Massimino apparteneva a una famiglia di cittadinanza romana, forse famiglia di veterani, è il primo a raggiungere l’autorità imperiale dalla bassa forza, quindi era privo di competenze politiche e amministrative: la sua scalata sociale era quindi iniziata grazie alla carriera militare che gli consentì l’accesso nei ranghi dell’ordine equestre. La possibilità di arruolarsi fu ai tempi dell’imperatore Settimio Severo, ma non è chiaro il conferimento del titolo di imperatore dai soldati, e se avvenne prima o dopo la morte di Ale Severo: per Erodiano Massimino diede l’ordine ai soldati di uccidere Ale Severo, per Zosimo Ale Severo era a roma quando nel 235 si suicidò a seguito della ribellione dei soldati, per l’Historia Augusta Ale Severo aveva messo a capo della sua armata Massimino che aveva riportato tutti i soldati alla sua disciplina militare -> comunque probabilmente l’ordine di uccidere Ale venne dal suo corpo militare di cui Massimino faceva parte. Non è neanche chiara la carica ricoperta da Massimino nell’esercito quando venne proclamato: in generale si pensa fosse un prefetto tironibus cioè destinato ad arruolamento e addestramento delle truppe. È probabile che abbia conquistato il potere grazie all’intervento di alti ufficiali dell’esercito che orchestrarono l’uccisione di Ale Severo. Nel periodo finale del regno di Massimino a inizio 238, nella provincia d’Africa avvenne una rivolta che, per Erodiano, sarebbe stata causata da una malversazione da parte del procuratore imperiale della provincia, che avrebbe portato i proprietari terrieri ad armare i clienti e contadini uccidendo prima il funzionario corrotto, e poi presero Tisdrus e proclamarono imperatore il governatore della provincia d’Africa, Gordiano I. questo accettò il titolo di augusto insieme al figlio Gordiano II, e inviò alcuni ambasciatori tra cui il futuro imperatore Valeriano, a roma per trovare consensi e dispose di occupare Cartagine -> poco dopo a roma venne ucciso il prefetto del pretorio di Massimino, suoi amici, il praefectus urbi Sabino. Per questo il senato riconobbe i due nuovi imperatori come augusti, e dichiarò Massimino nemico dello stato e gli vennero tolte le sue onorificenze militari -> Massimino quindi decise di marciare verso l’Italia con il suo esercito e contingenti mauri, galli e germani: era convinto della marcia e promise ai soldati una distribuzione della proprietà riconquistate. Massimino marciava con macchine d’assedio, quindi mandò avanti le legioni pannoniche per occupare le prime postazioni in Italia, intanto il senato continuava a confermare di volersi liberare di Massimino e invocava alla guerra contro di lui in nome della salvezza dello stato. Il legato della Numidia Capeliano, fedele a Massimino, eliminò Gordiano II e il padre Gordiano I, risultando quindi vincitore in nome di Massimino e mise a morte tutti coloro che avevano poggiato Gordiano in Africa e si preparava ad assumere il potere imperiale nel caso in cui Massimino fosse morto. Intanto Massimino decise di marciare su roma con le legioni pannoniche: i senatori decisero di continuare la resistenza eleggendo co-imperatori e augusti Pupieno e Balbino ma una fazione di Roma preferì Gordiano III che venne proclamato cesare. Massimino giunse in prossimità di Emona dove trovò gli abitanti o rifugiati nella città o abbandonatola ma senza lasciare vettovagliamento per i soldati di Massimino tra cui si diffuse il malcontento; anche quando giunse ad Aquileia la città gli chiuse le porte e Massimino prese la decisione a lui fatale di guidare di persona un assedio alla città permettendo ai suoi avversari di organizzarsi -> il lungo assedio, i pochi viveri, la disciplina imposta dall’imperatore, causarono l’ostilità delle truppe verso l’imperatore, intanto il senato aveva mandato ex pretori e ex questori nelle città intorno ad Aquileia così che Massimino si trovò assediato -> i Massenzio voleva conquistare Dalmazia e Illiria, territori di Licinio, ma è difficile che Massenzio abbia ora queste intenzioni anzi forse la scelta viene dettata da motivi di difesa da possibili attacchi di Licinio dall’Illirico e da Costantino dalla Gallia. Quando Costantino nel 312 quindi scende in Italia, Massenzio e i suoi ufficiali vengono colti alla sprovvista: si erano preparati infatti a un attacco di Licinio ma non di Costantino, infatti Licinio venne nel 308 nominato da Galerio con il compito di distruggere Massenzio. Quindi nel 312 Costantino attacca i massenziani impreparati, e la presa della città di Susa fu un importante successo che aprì l’accesso alla pianura Padana, quindi le unità di Massenzio tentarono di intercettare Costantino e un altro scontro avvenne a Torino. Dopo le vittorie di Verona e Torino, Costantino quindi converse verso roma e si accampò presso Prima Porta a poca distanza da Ponte Milvio, alle spalle delle truppe di Massenzio: dopo un lungo combattimento, le sue truppe subirono una completa disfatta e lo stesso Massenzio annegò nel Tevere. Costantino venne accolto trionfalmente a Roma e venne proclamato unico imperatore d’occidente, l’impero e roma vennero così liberati e si potè avere un periodo di stabilità. Anche le città del nord, come Milano, Torino e Verona, accolsero positivamente Costantino, per esempio Torino chiuse le porte ai fuggiaschi delle truppe vinte di Massenzio -> infatti questi centri del nord Italia videro con Massenzio riconcentrare il regime a Roma come centro simbolico, politico ed economico e capitale d’Italia, quindi queste città erano tornate a sottomettere la loro economia e prosperità ai bisogno di roma. le guerre intraprese da Costantino e la sua ascesa, dimostrano il fallimento del sistema tetrarchico a causa del riemergere degli interessi privati: il sistema di cooptazione in base alla scelta dell’optimus era stato abbandonato a favore di un ritorno al principio dinastico. 3. Costanzo, Giuliano, Magnenzio. Ancora guerra in Italia Costantino muore nel 337, gli succede Costanzo II con il potere sulla parte orientale dell’impero, lasciando i fratelli a spartirsi l’occidente ma: Costantino II muore nel 340 mentre cercava di rovesciare Costante e Costanzo guadagnò i Balcani, nel 350 Costante fu rovesciato dall’usurpatore Magnenzio e Costanzo divenne unico imperatore anche in occidente. Tra 350-353 conflitto tra l’imperatore Costanzo e l’usurpatore Magnenzio che si concluse con la sua morte durante la battaglia di Mursa: la violenza di questo scontro e le perdite subite dall’esercito romano aprirono la strada a una serie di invasioni barbariche respinte solo con la campagne galliche dell’imperatore Giuliano. Magnenzio aveva fatto carriera nell’esercito e congiurò contro Costante, augusto d’occidente che venne ucciso, così Magnenzio prese la porpora imperiale nel 350 e venne riconosciuto come imperatore in Gallia, Italia e Spagna, mentre resistette l’Illirico forse grazie all’intervento di Costantina, sorella di Costanzo II, che mandò il generale Vetranione contro di lui e lo convinse ad autoproclamarsi imperatore in funzione anti Magnenzio. Terzo usurpatore a roma fu Giulio Nepoziano, proclamato augusto dai nemici di Magnenzio, ma fu ucciso poco dopo da Marcellino inviato da Magnenzio. Rimanevano così Vetranione, Costanzo II e Magnenzio: le truppe del primo però riconobbero Costanzo come unico sovrano passando dalla usa parte quindi Vetranione dovette cedere le insegne. La prima fase della guerra contro Magnenzio si svolse in Dalmazia poi passò in Italia: comincia con Costanzo che manda 10 mila uomini verso la Dalmazia ma Magnenzio sbaraglia l’armata alle Alpi Giulie, quindi Costanzo radunati 60 mila uomini stringe un patto con gli Alemanni per fargli invadere la Gallia e le basi di rifornimento galliche di Magnenzio. Questo quindi occupò Sirmio: la tattica di Costanzo fu però vincente, attaccò Nicopoli e Filippopoli e poi marciò verso Sirmio che attaccò costringendo gli uomini di Magnenzio a marciare verso Mursa. Quindi il conflitto si sposta in Italia: Magnenzio si spostò verso Aquileia infatti pensava di partire da qui per conquistare la Pannonia ed era forse convinto che questa città bastasse a salvarlo, ma il sistema alpino non bastò sia per le capacità di Costanzo di aggirare i valichi sia perché per la prima volta furono congiunti l’attacco terrestre e quello marittimo, quindi Magnenzio venne accerchiato via terra e via mare senza aver la possibilità di rifugiarsi presso l'Illirico o verso altre città italiche o africane, per questo nel 352 dovette lasciare Aquileia per spostarsi in Gallia. Comunque, ad Aquileia, Magnenzio occupò le basi italiche da cui aveva mosso l’offensiva per impedire un attacco all’Illirico e si preoccupava di fortificare le Alpo Giulie e la strada tra Aquileia e Emona: sia restaurando postazioni esistenti sia creandone di nuove per sbarrare l’accesso all’Italia da oriente, e a questo periodo risale il complesso di Claustra Alpium Iuliarum cioè fortificazioni con guarnigioni e un vallo murato a cui spalle una serie di castella a difesa della zona. Nel 351 Costanzo scende in Italia dalle Alpi Giulie e rastrella i sostenitori di Magnenzio, e a fine 351 tutta l’Italia del nord era nelle sue mani, quindi discese verso Roma. intanto Magnenzio riparava in Gallia dove vinse sugli Alemanni a Lione, ma nel 353 venne sconfitto presso il monte Seleuco, e fuggito a Lugdunum si suicidò. La guerra civile però aveva dissanguato l’esercito romano e le truppe romane in Gallia, permettendo ai barbari di invadere la regione, solo il Cesare Giuliano riuscì a sconfiggere gli invasori Alamanni ma l’esercito romano era ridotto ormai allo stremo. 4. Alarico, Genserico e Attila Nel 410 roma viene saccheggiata dal visigoto Alarico, i motivi non si sanno: forse Alarico e i visigoti sarebbero stati spinti all'invasione dai diplomatici di Arcadio con il fine di danneggiare Silicone e liberarsi della sua presenza, ma in realtà è stato dimostrato che i rapporti tra i due erano migliorati nel 401-403 per poi peggiorare nel 404 nuovamente. Comunque Stilicone fronteggiò Alarico quando varcò le Alpi marciando su Milano: i visigoti vennero sconfitti nel 402 a Pollenzo e nel 403 a Verona quindi ripiegarono sull’Illirico, intanto Stilicone garantiva un contributo ad Alarico nel tentativo di tenerlo sotto controllo. Il pericolo di questa invasione aveva dimostrato la debolezza della frontiera sud orientale e quindi Onorio aveva trasferito la capitale da Roma a Ravenna nel 402. Alarico continuò comunque l’invasione di molte città d’Italia fino al sacco di Roma nel 410, e negli anni successivi questa venne saccheggiata anche da Attila e Genserico. Contro gli Unni sarà Aezio a difendere Roma: nel 435 gli unni ricevettero un’ambasceria da Aezio in cui i romani gli chiedevano sostegno militare contro le minacce in Gallia cioè Burgundi, Bagaudi e Visigoti, in cambio gli Unni avrebbero ottenuto le province di Pannonia e Valeria -> gli Unni accettarono e nel 436- 437 distrussero il regno dei Burgundi, nel 437 sconfissero i visigoti. Nel 439 Litorio con gli Unni era arrivato a Tolosa per sottomettere definitivamente i visigoti però gli unni persero e costretti alla fuga. Questa sconfitta spinse Aezio a una pace con i visigoti, intanto gli unni stipulavano un accordo con Teodosio II d’oriente che venne firmato da Attila e Bleda con l’oriente nell’inverno del 439 e prevedeva che i romani riconsegnassero i fuggitivi, raddoppiassero il tributo in oro, aprissero i mercati ai commercianti unni, e pagassero per il riscatto dei romani prigionieri -> a fine accordo gli Unni tolsero gli accampamenti dall’impero e i romani d’oriente speravano di aver rimosso il pericolo di un attacco unno dai balcani per poter togliere le truppe sul Danubio e mandarle in Africa contro i vandali che avevano occupato Cartagine. Però nel 440 Genserico invase l’Italia sbarcando in Sicilia, e Valentiniano III spinse Teodosio II a inviare nel 441 una flotta in Sicilia in aiuto -> Attila, forse su consiglio del re vandalo Genserico, approfittò della liberazione del limes Danubiano per rompere gli accordi con i romani d’oriente e nel 444 ritornare sui confini dell’impero e minacciare di una nuova guerra. Nel 450 Attila aveva proclamato di voler attaccare i Visigoti a Tolosa. Intanto era morto Teodosio II, il successo Marciano aveva annullato il contributo agli Unni provocando devastazioni unne e di altre popolazioni nei Balcani. Inoltre la morte del re dei franchi e la lotta tra i due figli per la successione, riaprì il conflitto tra Attila e Aezio: l’unno riprese la marcia verso occidente, e Aezio avrebbe chiesto aiuto al re dei visigoti Teodorico I di aiutarlo, ma lo convinse solo l’aiuto di Avito futuro imperatore che gli garantì l'appoggio di Teodorico e di altri barbari della Gallia -> questo esercito misto quindi si diresse verso Aurelianum e Attila vedendo il loro arrivo da lontano tentò una ritirata verso nord est: venne inseguito da Aezio e Teodorico e i due eserciti si scontrarono nella battaglia dei Campi Catalaunici il 20 giugno 451 -> gli unni vennero respinti e di dispersero e Aezio rinunciò all’inseguimento degli unni in ritirata. attila però tornò il Italia nel 452 prendendo Aquileia e radendola al suolo, saccheggiò Padova, conquisto Milano, e intanto Valentiniano fuggì da Ravenna per rifugiarsi a Roma. attila si fermò sul Po dove incontrò un’ambasciata formata dal prefetto Trigezio, il console Avieno e papa Leone I e da qui, senza sapere il motivo, si ritirò con le sue truppe senza pretese tornando al suo palazzo attraverso il Danubio, e da li pianificò un attacco a Costantinopoli e la reclamazione del tributo tolto da Marciano ma non si recò più in occidente. 5. Roma capta e Aquileia fracta: brevi considerazioni conclusive Aquileia era uno dei luoghi in cui erano concentrati i viveri per le truppe che difendevano la pianura padana dalle incursioni dall’arco alpino. Secondo Erodiano questo ruolo di Aquileia viene meno in seguito all’evento catastrofico del 452 quando la città venne invasa e cadde sotto Attila. In realtà parte della documentazione e l’archeologia non confermano che fosse stata rasa al suolo, sicuramente subì saccheggio e devastazioni ma non venne distrutta. Perse però da questo momento la sua funzione e il suo ruolo centrale, però non dobbiamo attribuire la sua caduta solo al sacco di Attila perché in realtà la devastazione degli unni arrivò in un momento di trasformazioni epocali che compresero anche Aquileia, e i sacchi di Roma di 455 e 472 e in più in generale la fine dell’impero romano d’occidente. CAPITOLO 10 ITALIANI E NO: IDENTITA E INTEGRAZIONE NELL’ESERCITO ROMANO 1. “i siri si facciano da parte” In un periodo imprecisato sicuramente successivo al 106 d.C. un anonimo scrisse un messaggio in latino sulle rocce dello Wadi Mukattb nella penisola del Sinai: “i siri si facciano da parte quando ci sono i romani latini” -> i “siri” messi in guardia dall’autore sarebbero i soldati romani arruolati in oriente che per tradizione erano poco apprezzati per disciplina e rendimento e per l’identità non latina. Questa osservazione si lega a un topos etnocentrico più antico legato all’idea che le popolazioni ellenizzate, caratterizzate dalla luxuria, fossero meno combattive e con la loro influenza danneggiassero anche le popolazioni guerriere. L’annessione di truppe non latine era conseguenza della provincializzazione dell’esercito, fenomeno che parte da metà I d.C.: da inizio età imperiale la maggior parte dei legionari era di origine italiana, eccezione erano le legioni formate da provinciali o peregrini che si erano costituite durante le guerre civili. 2. Lontano dalla patria Per i legionari dell’età imperiale vivere lontano dalla patria era la regola: già i loro antenati repubblicani cominciarono a vivere questa esperienza con la seconda guerra punica che aveva obbligato a un ripensamento dell’esperienza militare dovuta all’esigenza di tenere i soldati per vari anni in teatri di operazione molto lontani. Però lasciare la patria per fare la guerra veniva sentito come una pratica consueta ma eccezionale. Inoltre i contadini che non potevano permettersi sufficiente manodopera servile, spesso lasciavano questa vita per la guerra che risultava un’esperienza altrettanto faticosa ma più avventurosa e vantaggiosa, i veterani avevano molto da guadagnare: i bottini, prestigio sociale, e le ricchezze delle campagne orientali. 3. “lost in translation”? Come si esprimevano i militari romani lontani dalla patria? Durante la guerra gallica, Cesare ricorreva spesso a interpreti indigeni impiegati nell’esercito, ma per i negoziati più importanti il ruolo di interprete era affidato a cittadini romani di origine indigenza. In mancanza di questo servizio di traduzioni, comandanti e governatori si affidavano a personale bilingue reclutato sul posto, infatti le truppe ausiliarie conoscevano abbastanza il latino, e la presenza di truppe romane nelle legioni di frontiera favoriva scambi linguistici reciproci. Però non per forza i romani erano sprovvisti del bagaglio linguistico per comunicare in terra straniera: in oriente bastava conoscere il greco, più difficile invece era in occidente. Tuttavia la conoscenza di lingue esotiche non era una qualità particolarmente apprezzata a roma. 4. Pompeo, comandante cosmopolita A inizio terzo libro della “guerra civile”, Cesare descrive l’esercito del nemico Pompeo tra 49-48 a.C. che aveva formato mentre Cesare era occupato a combattere i legati pompeiani in Spagna. Cesare enumera le aree di provenienza dell’esercito nemico mostrando come Pompeo, grazie al denaro raccolte tra province e
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