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HANS BELTING, ARTHUR DANTO, Appunti di Estetica

Appunti su: -dopo la fine dell'arte, A.Danto -la destituzione filosofica dell'arte, A.Danto -la fine della storia dell'arte, H.Belting -antropologia delle immagini, H.Belting .

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 29/06/2018

so-fia1212
so-fia1212 🇮🇹

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2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica HANS BELTING, ARTHUR DANTO e più Appunti in PDF di Estetica solo su Docsity! LUCA MARCHETTI III LEZIONE Di Hegel trattiamo ciò che prende a modello Belting Modello di sviluppo dell’arte ciclico e lineare; Vasari modello ciclico, è un vero e proprio cerchio che dove si chiude ricomincia nello stesso modo del giro precedente; con il Rinascimento il giro è ricominciato; l’arte greca non è una vetta a cui non possiamo avvicinarci, ma anzi la storia dell’arte ci permette di arrivare alla stessa altezza; periodo di decadenza e poi di nuovo di splendore; Winckelmann idealizzazione forte dell’arte greca; ancora modello circolare, ma un cerchio che non è in grado di arrivare allo stesso livello dell’arte greca, quindi sarebbe più una sorta di spirale; la classicità greca è un punto asintotico al quale non possiamo mai arrivare; Con Hegel modello di sviluppo lineare; Pag.10 la storia dell’arte che viene inserita all’interno di una storia (quella dello spirito); l’arte è il momento in cui il sensibile e non sensibile corrispondono perfettamente; perfetta rispondenza di sensibile e di non sensibile (lo spirito); con Hegel la storia dell’arte diventa la storia dell’arte di tutti i tempi e di tutti i popoli; prima la storia dell’arte era la storia dell’arte greca e dell’arte che arriva fino a noi; la storia dell’arte è finita perché l’arte è finita; l’arte ha compiuto la sua funzione e viene superata da qualcosa di successivo; ora non è più il momento essenziale dello spirito, questo è passato alla religione e alla filosofia; l’arte, dal punto di vista della sua suprema funzione, è qualcosa di terminato; Pag.11 L’arte diventa autonoma, l’opera d’arte diventa qualcosa di assoluto, la sua ragione di esistere è tutta interna a se stessa; autonomia dell’arte e funzione estetica vanno insieme; viene privilegiata la sua funzione estetica, le opere d’arte vanno valutate solo esteticamente; quella che noi chiamiamo arte è un concetto moderno, sarebbe l’arte bella; abbiamo unito due concetti, l’arte non è più soltanto la techne; in questo modo dimentichiamo però la dimensione del contenuto e della sua funzione, l’arte è soprattutto qualcosa che non ha la sua funzione, non deve servire a niente; quello che è stato fatto è stato costruire una storia dell’arte che si riduce soltanto ad una storia dello stile, ad una storia delle evoluzioni della forma delle opere; questa è però una visione parziale che depotenzia l’arte; 4. Storici dell’arte e avanguardia L’avanguardia deve sempre aprire il futuro dell’arte, e della società; movimento, progresso interno all’arte; pag.12 L’avanguardia dischiude delle possibilità; le avanguardie sembrano, all’atto della loro costituzione, tenere insieme il momento artistico/estetico e quello politico dell’impegno nei confronti della società, della realtà sociale; è come se volessero tenere insieme autonomia ed eteronomia; questo, che potrebbe sembrare qualcosa di auspicabile, nasconde diversi problemi; l’avanguardia sconfina il mondo dell’arte per prendere posizione nei confronti della vita e della realtà; riesce davvero a scardinare questa dimensione dell’arte? O questa rimane sempre un’azione interna all’arte stessa? Nel momento in cui l’impegno politico diventa autentico impegno politico, allora non è più arte; se vuole essere arte deve rimanere al massimo sul confine, senza superarlo, se decide di superarlo smette di essere arte; negli anni ’60 questione se l’arte debba essere o no impegnata; impegnata dal punto di vista del contenuto o della forma? Se è impegnata dal punto di vista del contenuto non è più arte, se lo è dal punto di vista della forma conferma l’autonomia; Beckett, se il mondo è insensato l’opera d’arte deve essere insensata; per Belting un’arte totalmente autonoma è da rifiutare; a che serve? Pag.13 Il modello evoluzionistico è il modello della storia dell’arte, e dove c’è storia c’è progresso; storia non è cronologia, è un andare avanti, un progresso; l’avanguardia si oppone alla storia dell’arte tradizionale, mantenendone però i cardini, cioè l’arte come continuo movimento in avanti; siamo sicuri che l’arte sia un continuum, che sia eterna? L’avanguardia ha introdotto una frattura, e una discontinuità; Pag.14 5. I metodi contemporanei della storia dell’arte Belting analizza modelli storico-artistici contemporanei a quando scrive (anni ’80); il compito interpretativo veniva inteso come ordinamento delle opere d’arte nel “museo immaginario”, in una sequenza determinata dal legittimo sviluppo della forma. L’idea del museo immaginario è quella di un archivio fotografico immaginario universale di tutte le opere d’arte; la conseguenza di quest’idea è che l’opera d’arte è solo la sua forma; l’esclusiva concentrazione sulla forma artistica, in quanto opposta al contenuto o alla funzione venne favorita dall’estetica tradizionale filosofica lo stile nella sua forma più pura bandì di conseguenza tutti quei fattori e condizioni che non erano originariamente artistici. Quello dell’archivio è un concetto contemporaneo, che si fonda sulla riduzione in piccole dimensioni; l’opera non è l’idea dell’opera, né ancor meno la sua forma, la sua foto non rende, l’opera è kantianamente singolare; l’opera è pensata per essere singolare, l’unico esempio di una certa regola, e non l’esempio di un insieme; l’opera è un individuo; La storia dell’arte è sempre stata morfologica; per Belting il fat to che l’arte abbia una funzione significa che di volta in volta nei vari contesti ha avuto una funzione; non scriviamo una storia delle opere d’arte, ma una storia dell’arte, dell’idea di arte; le opere sono soltanto degli esempi di queste evoluzioni; è la storia di un’idea, di una norma; se un’artista vuole entrare nella storia deve fare seguendo il paradigma della storia, se fa altro viene dimenticato dalla storia, la storia predispone il cammino, è diversa da una storia a posteriori; Gombrich localizza il problema nelle convenzioni e trasformazioni della mimesis. L’arte è una forma di mimesis, in “Art and Illusion” sostiene che di fronte all'opera dovremmo avere la stessa reazione percettiva che abbiamo davanti alla realtà; la storia dell’arte è vista come storia dello sviluppo dei modelli che riproducono la realtà; il concetto di storia comprende quello di progresso, un’artista deve produrre opere più verosimili di quello precedente; la storia dell’arte è la storia delle invenzioni finalizzate a restituire in modo sempre più verosimile la realtà; tutto ciò funziona se effettivamente si parla di una riproduzione dei fenomeni; l’imitazione è misurabile solo laddove l’arte imita la natura, ma quando l’arte imita la realtà svaniscono le costanti su cui misurarne il risultato, essendo la realtà sempre mutevole. Pag.21 6. Arte e realtà La realtà si materializza dapprima nella mente dell’individuo che la interpreta (nel nostro caso l’artista) e poi di nuovo nella mente dell’individuo che comprende tale interpretazione e la accetta o la respinge (l’osservatore). Così la mimesis artistica esprime sempre un’esperienza della realtà. Un quadro o un romanzo ci parlano di qualcosa aldilà di ciò che è raffigurato e delle parole stampate? È noto che alcune teorie dell’arte negano che essa abbia una relazione con la realtà. La cornice segna il confine tra l’opera e la realtà; con le avanguardie saltano le cornici, l'opera sconfina per entrare in contatto con la realtà; ciò di cui l’opera ci parla non deve restare lì, ma toccare la realtà, la cornice deve saltare; le tele vengono esposte così come sono, spesso non più ad altezza d'uomo; Anche l’arte utopica parla della realtà, anche se di una realtà solo possibile; il contenuto di un'opera non è un racconto, un resoconto, una sintesi, una trama, non è in sostanza il dicibile dell'opera; è la forma ciò che ci affascina nell’arte, è il come il cosa si configura; la trama dei film è spesso banale, ciò che ci fa restare incollati allo schermo è il modo in cui viene raccontata; Cos’è la realtà? Non è né il fenomenico, né l'attuale; può essere anche il possibile, anche se una realtà possibile sembra una contraddizione; l'arte dovrebbe dischiudere il possibile, dovrebbe mostrarci ciò che non è, come la realtà può cambiare; l’arte secondo Klee non riproduce il visibile, ma deve rendere visibile l’invisibile, lasciandolo però invisibile; La realtà è l'altro rispetto all'immagine, è ciò a cui l'immagine rimanda; questa può essere un'immagine visiva; l’immagine è l'opera d'arte; la realtà è tutto ciò che è aldilà dell'immagine, che però si dà nell'immagine; Pag.23 L'immagine non è solamente quella visiva, anche la musica è un'immagine e non perché riproduce i suoni della natura, ma perché configura qualcosa; l’immagine è dare forma, dare una qualche unità, che conosciamo ma non possiamo definire, non possiamo definire il motivo per cui quell’unità è proprio un’unità e non sono segni a casaccio; nel momento in cui pensiamo che siano delle opere è perché noi ci accorgiamo che così come stanno vanno bene, sono tali nonostante il caos; la forma non è la configurazione visiva di un’opera, ma la sua unità interna, ciò che tiene insieme gli elementi; ce ne accorgiamo guardando i quadri di Pollock; il puro caos non è nemmeno riconoscibile, perché nel riconoscerlo lo si definisce; l'opera stessa deve mostrare ciò di cui parla; 7. Arte o opera d’arte? La forma artistica come forma storica “L’arte non esiste solo in una storia della forma, in un particolare genere e mezzo espressivo”: se pensiamo alla storia dell'arte solo in questo modo perdiamo un aspetto fondamentale; la forma rimane centrale, ma viene affiancata da altri elementi; la forma è ciò che consente all’opera di sopravvivere, l’opera d’arte non è solo qualcosa di chiuso all’interno del suo contesto storico, ma continua a parlare ai contemporanei che ogni volta trova; per Belting le immagini hanno una sorta di doppia natura, sono allo stesso tempo temporali, connotate storicamente, ma sono anche extratemporali, cioè fuori dal tempo; nell’Antropologia delle immagini è l’immagine il vero centro, l’opera d’arte è una delle modalità dell’immagine; l’extratemporale è qualcosa che sopravvive, ci riguarda in quanto essere umani, veniamo toccati da qualcosa che ci riguarda; Pag.24 Il comune denominatore della storiografia artistica è sempre consistito, in primo luogo, in una nozione ideale dell'arte che successivamente si traduce in storia dell’arte. Belting segnala già la sua posizione che emergerà nei suoi scritti successivi, è l’opera che deve essere il vero oggetto di una storiografia artistica, non l’arte, perché solo l’opera in sé è risultata in grado di resistere alla pressione dei nuovi interrogativi; l’opera testimonia non all’arte ma all’uomo, e l’uomo, nell’appropriarsi del mondo in qualità di artista, non deve perdere contatto con esso ma darne testimonianza. Egli rivela la sua storicità nella limitatezza della visione del mondo e dei mezzi d’espressione: in questo senso l’opera è un documento storico. Belting vuole ribaltare il nostro sguardo, non più una storia dell’idea di arte, ma una storia delle opere d’arte; per Belting le opere d'arte hanno una consistenza non solo materiale, ma anche storica, che è in grado di resistere e che ci permette la costruzione di storie al plurale; è il paradigma a decidere cosa siano le opere; nel cambiare il paradigma possiamo misurare quanto questo paradigma abbia presa; l’oggetto è limitato e configurato dal paradigma adottato; la resistenza, che è resistenza ad una teoria, passa nell’Antropologia delle immagini dalla dimensione dell’opera alla dimensione del corpo; La forma artistica è una forma storica perché abbiamo sempre (dalla modernità in poi) pensato l’arte insieme alla sua storia; se l’opera è come l’individuo, la capiamo insieme alla sua storia; nel momento in cui la storia dell’arte viene meno, fatichiamo anche ad individuare, a capire cosa è dell’arte stessa; Danto introduce il problema: togliere la storia all’arte vuol dire togliere all’arte il suo compito; L’arte non è più sottoposta al giogo della filosofia che ha imposto all'arte ciò che doveva fare; ma allora che deve fare? È un semplice gioco delle forme? Ha perduto il suo valore? È un'arte fortemente depotenziata; non viene più interrogata, diviene un gioco; Pag.26 8. Campi possibili per la ricerca storico-artistica Il modello di storia dell’arte incentrato sulla forma artistica non funziona più, ma non abbiamo un modello altrettanto potente che possa sostituirlo; non è semplice ristrutturare un pensiero che si è strutturato nei secoli fondendo prima arte e bellezza e poi arte e storia; Belting delinea dei punti che una nuova trattazione storiografica dovrebbe tenere in considerazione: 1. Interdisciplinarietà: l'arte deve dialogare con altre discipline; 2. Non dobbiamo guardare l’arte come in passato solo come forma o come nel presente solo come contenuto sociale, la storia dello stile non può essere sostituita dalla storia sociale dell'arte (Hauser), che àncora la produzione all’interno del contesto storico (come nel modello marxiano: struttura e sovrastruttura); in questo caso ci si dirigerebbe verso un altro riduzionismo; non si può rinunciare alla forma, l’arte non è solo forma ma è forma; 3. Occorre considerare anche la funzione e la ricezione, essenziale per legare l'opera agli uomini; per il circolo di Jena assoluta autonomia: l’opera è l’assoluto che si rivela, che si autodetermina; il rapporto con l'assoluto è interno all'opera; per Belting l'autonomia schiaccia il rapporto con l'umano, bisogna rimettere in gioco la dimensione dell’umano che l’autonomia fa svanire; nel momento in cui viene considerato uno spettatore l’opera esce da una determinata situazione storica e si rapporta con le diverse epoche; il modo in cui si guarda l'opera cambia nel tempo; 4. Nell'arte contemporanea si ritrovano i frammenti di quell’esplosione avvenuta nell’arte moderna: l'autonomia dell’arte non fa più presa, alcune categorie non tengono più; se continuiamo ad utilizzare determinate categorie è perché non riusciamo a sostituirle con nuove; 5. Una grande trasformazione che avviene nella modernità ed esplode nella contemporaneità è lo sviluppo dei media: performances, installazioni, ecc.; c'è un'ibridazione delle arti; si necessita comunque di una storia che leghi i rapporti V LEZIONE 6. La storia dell’arte non costituisce più (per Belting non lo ha mai fatto) qualcosa di unitario; questo problema genera quella che lui chiama continuità e discontinuità (un esempio è il passaggio da medioevo a premoderno); . linee di continuità, ma questo non ci deve far cancellare le differenze, anzi le deve far emergere con chiarezza, laddove la prospettiva post-moderna le vuole cancellare; il post- moderno utilizza tutto, tutto è utilizzabile da questo punto di vista, qualunque forma; Nel momento in cui l’arte perde la sua funzione pubblica, l’eteronomia che ha sempre avuto, viene accentuata, o addirittura ci si concentra soltanto, sulla sua dimensione autonoma, che sembra quasi diventare assoluta; è in particolare il modernismo a fare ciò; questo sposta la questione perché ora l’arte diventa sempre più auto-riflessiva, cioè è un’arte che deve, nel suo fare arte, riflettere su che cosa significa fare arte; questo avviene dall’interno dell’arte, perché che lo facciano i critici, gli storici e i teorici non è una novità, non è questo il punto, la connotazione è quando l’opera d’arte stessa si interroga su che cosa significa essere opera arte, e sempre più l’arte di questa dimensione della modernità, è un’opera auto-riflessiva, ogni opera è un’interrogazione su che cosa significa essere opera d’arte, e ogni opera a suo modo sta rispondendo alla domanda “che cosa significa essere un’opera d’arte?”; questa non è altro che la tesi forte di Grimberg, storico dell’arte che sarà uno dei modelli che Danto analizzerà con attenzione; Grimberg è uno degli ultimi teorici che ancora riesce a strutturare in modo forte una storia dell’arte ad ampio raggio; non è un teorico di un solo movimento, ma, seguendo il paradigma di una forma di autoconoscenza, di autoriflessione dell’arte su se stessa, riesce a snodare tutta l’arte, fino alla pop art, con la quale secondo lui la storia dell’arte finisce; Nel momento in cui l’arte perde la sua funzione pubblica, la sua risposta a un’esigenza della società, viene accentuata la sua dimensione autonoma, che si caratterizza come una riflessione sui propri mezzi, perché è questo il modo in cui l’arte risponde alla sua domanda “perché fare arte?”; l’arte dall’interno del suo stesso fare arte risponde alla domanda “perché c’è bisogno di arte?”; l’arte si deve autofondare, questa dimensione autoriflessiva è un’autofondazione; riflettendo sui propri mezzi attraverso la sua stessa produzione, ci sta spiegando il perché c’è bisogno di arte, dunque perché l’arte deve ancora esistere; in questo modo viene potenziata la dimensione autonoma dell’arte, l’arte interroga se stessa e diventa il suo stesso contenuto; Pag.37 C’è però una sfasatura, perché per un verso sembra che l’arte si muova in questo modo, per un altro verso si introduce una storia dell’arte che vuole guardare l’arte in un certo modo, per un altro verso però l’arte sta decanonizzando, sta smantellando le categorie della storia dell’arte per muoversi in altro modo, mentre la storia dell’arte sta ancora utilizzando queste categorie perché sono quelle che ha ereditato dal passato e sta applicando all’arte contemporanea; tra pratica artistica e pratica storiografica c’è uno scollamento, gli artisti si muovono in un modo, la storiografia si muove in un altro; “Il compito di colmare... storiografia”: tra la pratica e la storia si inserisce la critica, la critica d’arte non è qualcosa che c’è sempre stato; si crea una triangolazione tra artisti critici e storici, con un debordare dei compiti dall’uno all’altro, di artisti che diventano critici, cioè descrivono e interpretano loro stessi, e di critici che in qualche modo attraverso la loro critica istituiscono l’opera stessa, facendosi in qualche modo artisti; ma allo stesso tempo la critica si fa storia, c’è una continua ibridazione tra queste categorie; un’opera d’arte è autosufficiente? O se non c’è qualcuno che ci spiega che cos’è non siamo neppure in grado di vederla, individuarla? Se qualcuno in una galleria non ci dice “quella è l’opera d’arte”, dicendoci anche perché, noi non sappiamo neanche dove guardare; ma questo non è il critico, non importa chi lo fa, è piuttosto la dimensione della critica, dell’interpretazione, che però non interpreta nel senso di decifrare l’opera, piuttosto la sta costruendo, il suo sguardo ci costruisce quello che dobbiamo vedere, quindi l’opera è l’esito o è anche l’esito di questa costruzione; sull’essere anche si giocano ad esempio le partite tra le teorie dell’arte; per Danto l’interpretazione è la costruzione dell’opera, l’opera è costruita dall’interpretazione, senza di essa non c’è proprio l’opera; per altri, come nel caso di Belting, l’opera non si riduce alla sua interpretazione, sennò svanisce quella consistenza alla quale Belting tiene, perché senza una consistenza non abbiamo un oggetto storico; l’oggetto della storiografia deve avere una sua autonomia, altrimenti svanisce, diventa teoria e basta; Pag.39 Questa contrapposizione tra un moderno che è un moderno frammentario, che si frammenta in tutti i vari -ismi, che costellano il ‘900 e che ce lo fanno apparire frammentario, un arcipelago di una produzione che non ha niente a che vedere con lo sviluppo unitario che si pensava la storia dell’arte; qui sono tutte schegge talmente lontane una dall’altra che non si riesce a capire che rapporto c’è; Belting dice che questa idea non è che non sia corretta, ma è un’idea vera soltanto nel momento in cui noi stiamo guardando alla forma, ci stiamo dimenticando del problema della funzione, se guardiamo la funzione, le funzioni erano diverse anche prima, e quindi costituivano costellazioni anche prima, quello che prima ci sembrava così compatto e unitario, non lo era affatto, noi siamo affascinati da questo progresso lineare di una storia omogenea, Belting ci sta dicendo che la storia dell’arte premoderna non è mai stata davvero compatta; quello che si faceva in Olanda non era quello che si faceva in Francia e non era quello che si faceva in Italia negli stessi anni, perché rispondeva ad esigenze diverse; se noi quando guardiamo un’opera non prendiamo in considerazione questo, l’opera la perdiamo, ci rimane la sua forma visibile, cioè la sua morfologia; solo se facciamo una storia su questo ci sembra tutto abbastanza compatto; ciò che Belting vuole dire è che l’oggetto opera d’arte ce lo perdiamo nel momento in cui lo riduciamo alla nostra idea di opera d’arte e poi facciamo una storia di un’idea; mentre l’oggetto, o l’evento, è proprio questa cosa, ha una sua consistenza, è il punto d’incontro di tante sollecitazioni, delle sue funzioni, della sua risposta, e della sua relazione con il pubblico (la funzione di un affresco di un palazzo è diversa da quello di una chiesa); quando prendiamo un’opera, la togliamo da un contesto e la mettiamo in un altro contesto, per certi versi neutro, quello del museo, l’abbiamo decontestualizzata, e quindi la guardiamo diversamente, una pala d’altare messa in un museo è un’altra cosa, dobbiamo artificialmente ricostruire nella nostra testa la sua funzione, perché nel museo non riusciamo a vederla; far perdere all’opera d’arte la sua consistenza ci fa perdere il che cosa di quell’opera, che cosa ci sta dicendo quell’opera, il perché, cioè tutta la sua complessità, la schiaccia soltanto sul suo lato più o meno visibile, la forma, la dimensione stilistico-formale; questo è un punto cardine su cui Belting ha da sempre condotto la sua battaglia, questa dimensione è centrale, se la togliamo ci perdiamo l’essenziale; MARCHETTI PARTE 2 VI LEZIONE Pag.49 . Nel momento in cui l’arte acquisisce questa libertà, Belting dice che forse dietro alla libertà si nasconde un livellamento; livellamento perché una certa forma è una risposta o un tentativo di rispondere a un certo problema e quel problema era quel problema all’interno di un certo contesto, la forma non è una forma pura, perciò possiamo utilizzarla come ci pare, ma quella forma aveva una sua finzione particolare; se la prendiamo solo come forma stiamo rimuovendo tutta questa dimensione, non la stiamo facendo valere come una risposta specifica in un certo contesto; continuiamo a guardare l’arte solo dal punto di vista della forma; nel momento in cui ci perdiamo la dimensione della funzione ci perdiamo l’opera come tale, quell’oggetto, quel prodotto lì; le opere non sono soltanto delle opere che devono confermare una teoria; . Pag.50 Belting non ha un nuovo modello di storia dell’arte, per questo bisogna convivere col fatto che c’è un pluralismo, ci sono più sequenze storiche da descrivere; Non vuole essere affiancato a coloro che sostengono che l’arte è finita, l’arte non è finita; sicuramente il modello storiografico della storia dell’arte è finito, ma perché non è mai funzionato; . La storia dell’arte è un concetto ottocentesco, è un modo di tenere insieme un certo concetto di storia e un certo concetto di arte; Belting sta ancora nella fase della sua riflessione in cui ritiene in cui sia un dovere provare a riformulare una storia dell’arte, negli anni 2000, con l’Antropologia delle immagini, la storia dell’arte non sarà più il suo problema centrale; La forma per Belting è centrale, ma non è l’unica dimensione dell’opera; Pag.51 . Immettere il gotico all’interno di questo percorso, significa che non c’è più solo la classicità greca; è un guardare alla classicità in modo diverso; l’antichità non è più un’ideale formale, ma è un modello di valori (in questo senso spirituale), e in quanto spirituale può essere riproposto a pari altezze dal gotico; Pag.91 L’opera in qualche modo è sia storicamente condizionata che storicamente condizionante; l’arte è un prodotto storico, non solo dal punto di vista della forma, ma ha anche una funzione che la lega in modo forte alla sua condizione storica; se puntiamo soltanto sulla forma, allora possiamo costruire una storia dell’arte che si muove su leggi interne, qualsiasi cosa accada al di fuori del mondo dell’arte, l’arte procede secondo le sue leggi; le opere d’arte sono sempre per Belting legate al loro contesto storico; le forme artistiche sono delle risposte ad un certo contesto; l’opera d’arte non è solamente condizionata, ma riesce anche a trascendere la sua storicità, a superarla, innanzitutto perché condiziona le opere a venire, e lo fa nel momento storico in cui viene fatta, non perché noi retrospettivamente costruiamo dei rapporti: l’opera apre delle possibilità che l’arte può prendere o non prendere; ma è condizionante nel senso che trascende soprattutto perché non è tutta riconducibile al suo contesto storico, parla anche ai fruitori che non sono quelli per cui è stata pensata, come possiamo essere noi; se noi possiamo fruire le opere è perché ci parlano, possono anche non dirci nulla, ma l’opera d’arte riesce a dire qualcosa che vale ancora oggi e che non corrisponde più a quello che diceva nel suo contesto; nel momento in cui nel contesto viene meno l’opera perde il suo valore, e tanto più ci allontaniamo dal suo contesto tanto più l’opera diventa muta; Pag.92 Non c’è più una storia dell’arte, significa che abbiamo più narrazioni, più storie dell’arte, ma ciò è un punto di partenza, non è l’esito; queste sequenze, successioni o narrazioni, hanno dei rapporti tra loro o no? Ci sono successioni contigue? C’è un qualche rapporto tra le narrazioni? E questo rapporto come riusciamo a pensarlo? Se riusciamo a pensarlo in modo forte abbiamo di nuovo una storia dell’arte; questo problema viene lasciato come problema da Belting; Ogni sequenza/narrazione, è tenuta insieme da qualche problema, gli artisti rispondono a un qualche problema, nel momento in cui ci si concentra su un altro problema si inaugura un’altra narrazione; Pag.93 La possibilità che ci sia un singolo processo unidirezionale è completamente negata da Belting; è un modello finzionale che poteva funzionare solo tagliando via tanti aspetti dell’opera d’arte che per Belting sono centrali e non possono essere messi da parte; era una finzione narrativa, un modo di raccontare la storia che riusciva a essere così potentemente lineare perché si concentrava solo sull’aspetto morfologico; mettendo in luce gli altri aspetti questo modello non può funzionare; passaggio da una storia dell’arte a una storia delle opere, una storia di peculiari oggetti che hanno una propria dimensione complessa, che fin dall’inizio non permetterebbe questo modello unidirezionale; le opere d’arte sono qualcosa di compiuto in sé, come isole in un arcipelago che possono intessere una rete di relazioni tra loro, ma non possono costituire una storia; negare l’unità (unità di tutte le opere in una storia) non vuol dire avere una molteplicità senza relazione; il molteplice senza l’uno non è pensabile, il problema è come pensare l’unità e il rapporto tra l’uno e il molteplice; la storia dell’arte contro cui Belting si sta muovendo è una storia che prefissa, che prestabilisce la direzione, prima ancora che un’opera venga fatta, sappiamo già che l’artista se vuole entrare nella storia si deve muovere in una direzione; Conclude con un’indicazione forte, perché introduce questo spostamento antropologico, la produzione artistica è un modo dell’operare umano; . ANTROPOLOGIA DELLE IMMAGINI Pag.10 Già qui c’è uno spostamento forte, tra le righe sta dicendo che la storia dell’arte non è in grado di esaurire il problema dell’immagine; il vero problema è capire che cos’è un’immagine, le opere d’arte sono immagini; . Il quadro non è l’opera, è un modo attraverso cui l’artista sta comunicando l’opera; la vera opera è nella testa dell’artista; . L’immagine non è soltanto la dimensione del film, del quadro, della fotografia, c’è tutta la dimensione delle immagini mentali, sogni e ricordi sono immagini, non hanno un sostrato fenomenico spazio-temporale in senso proprio; sono immagini tanto quanto sono le opere d’arte o le fotografie; quando parliamo di immagine parliamo di qualcosa che ha una dimensione sia fisica che mentale; ha una dimensione fenomenica, che è quella del medium attraverso cui si dà, e una non fisica, non sensibile; nel momento in cui diciamo che l’immagine non va identificata col suo mezzo stiamo mirando contro la non riduzione dell’arte all’opera d’arte; nell’opera d’arte c’è una forte riduzione tra immagine e mezzo attraverso cui si dà; Pag.11 . La contemporaneità più che contemporaneità andrebbe chiamata iper-modernità perché non abbiamo ancora nuove categorie per pensare la modernità, e ci serviamo ancora delle categorie della modernità; abbiamo un contesto che è cambiato, e tuttavia non abbiamo le nuove categorie per pensarlo; Pag.12 Tre elementi: immagine, corpo e mezzo; questa è la triade costitutiva dell’immagine nella sua interezza; Belting vuole mostrare che le normali coppie (immagine-mezzo e immagine-corpo) con cui abbiamo sempre pensato le immagini sono insufficienti a comprendere la complessità delle immagini; immagine-mezzo, abbiamo un artefatto artistico e l’immagine più o meno incorporata; immagine-corpo è quella che normalmente viene privilegiata dalla filosofia e dalla psicologia, laddove l’immagine è sempre qualcosa di insostanziale, immagine come immagine mentale; una prospettiva sull’immagine deve tenere insieme tutti e tre questi elementi; la dimensione del nostro corpo e la dimensione del medium attraverso cui le immagini vengono veicolate; Il corpo può essere inteso come un corpo artificiale; il corpo artificiale è il medium, il supporto tecnologico, è un corpo artificiale; abbiamo un corpo come corpo virtuale, dell’immagine; e poi c’è il corpo naturale, che è il nostro corpo; il defunto è un corpo assente, la maschera funeraria non ci deve dare il corpo del cadavere, deve tenere in vita il corpo del vivo che non c’è più; la maschera deve tenere presente un corpo assente, tiene ancora in mezzo a noi quell’uomo che nel frattempo è morto; per questo tiene presente il corpo dell’uomo vivo, di cui ci è rimasto il cadavere; l’immagine non è la realtà, è immagine della realtà; . Pag.14 . . VIII LEZIONE Le coppie teoriche che hanno affrontato le immagini, la coppia immagine-corpo e immagine-mezzo sono inadeguate per lo studio delle immagini; solo una triade immagine-corpo-mezzo, dove mezzo è il supporto, è adeguata; Pag.14 Il mezzo funziona come supporto e strumento delle immagini; Belting imputa alla storia dell’arte l’aver identificato l’immagine con il mezzo stesso e aver studiato poi il mezzo stesso; siamo ormai in una prospettiva in cui le immagini artistiche sono soltanto una delle possibilità dell’immagine, laddove l’immagine è l’immagine comunque si dispieghi; le immagini hanno una dimensione nomade, cioè attraversano nel tempo supporti diversi, media diversi; il rapporto immagine-mezzo deve essere allentato rispetto a un modo troppo schiacciante attraverso cui la storia dell’arte lo ha sempre guardato; Che le immagini transitano tra mezzi diversi è un’idea Walburghiana; l’immagine si deve dare attraverso un mezzo altrimenti non la possiamo vedere, ma è un’immagine che si offre attraverso un mezzo e che non è identificata con il mezzo stesso; l’immagine è immagine di qualche cosa che nell’immagine è assente, perché si sta offrendo come immagine, in immagine; l’immagine rende presente qualcosa di realmente assente; assente non perché non esiste più, ma assente nell’immagine, l’immagine non è la realtà, è immagine della realtà; il nostro corpo è un mezzo naturale e va distinto da un mezzo artificiale, che è il quadro; ma il quadro non è immagine finché non è compreso, perché solo se si comprende questo è immagine in un corpo; l’immagine è come se fosse un’ombra, non ha alcuna natura sostanziale, può vivere soltanto incarnandosi in un certo corpo, artificiale, come il quadro, o nel nostro; Pag.15 Sta introducendo un’altra dimensione che abbiamo in parte già visto, questa dimensione anacronica, che abbiamo chiamato extra-temporale; le immagini hanno in qualche modo una doppia natura, c’è una dimensione temporale, perché l’immagine si dà sempre in un mezzo ed è quindi sempre storicamente connotata, ma anche una anacronica, senza tempo, una dimensione in cui non c’è il tempo, appunto extra-temporale (Didi-Huberman), ed è questa dimensione extra-temporale che è a fondamento del fatto che le immagini continuano a sopravvivere in mezzi diversi; ogni volta che si danno risentono dei mezzi, i mezzi condizionano l’immagine, perché ce la offrono, e allo stesso tempo l’immagine preme sul mezzo perché si vuole offrire in un certo modo; questo rapporto temporale e extra temporale fa sì che non possa funzionare una storia dell’arte, una visione progressiva, non c’è quella evoluzione progressiva, che invece può esserci nell’evoluzione tecnica, dei mezzi; Le forme di iconoclastia distruggono il supporto, non l’immagine, perché l’immagine non ha una natura reale, sostanziale, non può essere distrutta in questo senso; possiamo distruggere i mezzi, distruggendo i mezzi impediamo alle immagini di offrirsi, ma non le distruggiamo in quanto tali, e quindi possono trovare altri mezzi per rendersi nuovamente visibili; Il rapporto tra presenza e assenza è a fondamento dell’enigma dell’immagine; doppio significato di presenza-assenza, il problema non ha un solo livello; Pag.16 Le immagini, dal momento che l’immagine non ha una natura sostanziale, per diventare visibili (in senso lato, percepibili), per poterle cogliere (vale per la letteratura, come per la musica, come per le arti performative), ha bisogno di un mezzo senza il quale non si danno; senza mezzo non hanno alcuna presenza, alcuna realtà; le immagini non sono fenomeni, sono i mezzi ad essere spazio-temporalmente connotati, ad essere “cose”; Tv-Buddha: abbiamo due mezzi diversi che ci stanno trasmettendo la stessa immagine; l’immagine non è il mezzo, la statua sta presentando l’immagine del Buddha, ma la stessa cosa la sta facendo la telecamera, e sta mettendo in scena proprio il mezzo; Confondere l’immagine con il mezzo impedisce di capire la natura dell’immagine; CAPITOLO SECONDO Pag.19 Mezzo-immagine-corpo sono gli elementi che non possiamo separare, li separiamo se guardiamo all’interno della questione, ma in questo libro son trattati come inseparabili; se consideriamo il problema dell’immagine e lo guardiamo sempre a partire dalla storia dell’arte, abbiamo delle difficoltà, perché l’opera d’arte non studia le opere profane, quelle che non sono al museo; il museo è qualcosa di forte per Belting perché è dove viene esposta la storia dell’arte stessa, perché dà una visibilità spaziale alla storia dell’arte stessa; il museo per Belting è l’altra faccia della storia dell’arte, nasce per accogliere soltanto le opere d’arte, ha una dimensione normativa fortissima, ciò che è dentro il museo è un’opera d’arte, ciò che il museo in linea di principio non accoglie, non è un’opera d’arte; il museo rivela che ciò che non entra nella storia dell’arte non è arte; i musei sono i nuovi templi perché danno lo statuto, riconosco ciò che è opera d’arte e cosa non lo è; cosa bisogna allora guardare per capire cos’è un’immagine? Tradizionalmente se vogliamo Nel momento in cui l’arte, nel senso moderno del termine, arte che diventa arte bella, il nostro concetto di arte, si consolida, esclude ciò che non ha un valore artistico, non gli interessa; Nel XIX secolo la storia dell’arte è una storia legata a un sistema dell’arte, a dei sistemi artistici che escludono i nuovi media, ad esempio la fotografia, che ha dovuto lottare per “diventare arte”; il sistema mediale è talmente esploso che ormai la questione è saltata in linea di principio, ma nel momento in cui la storia dell’arte era la voce più forte escludeva altri mezzi, come la fotografia; Pag.28 Crisi della rappresentazione è qui crisi dell’immagine, che immagine sia l’immagine di qualcosa; per Belting la nozione di immagine è la nozione di immagine di, c’è un altro dall’immagine a cui l’immagine rimanda per essere immagine; il problema sorge nel momento in cui sembra che certe cose, che sembrano immagini, non rimandino ad altro, è il caso dei simulacri; il simulacro è un’immagine che non rimanda a nulla, un modo di strutturarsi di un segno che non rimanda a niente, è un po’ come un ornamento, che ci può sembrare un segno, ma non fa segno a niente, è solamente un segno che si ripete, perché un segno è sempre segno di qualcosa; “assassina del reale” perché se l’immagine non rimanda più ad altro, allora il reale scompare, viene assassinato dall’immagine; l’immagine si chiude in se stessa, è talmente autoreferente (e non autoreferenziale) che non c’è niente oltre all’immagine; l’errore logico, volgendosi rispetto alla crisi della rappresentazione, è pensare che ci sia una realtà talmente forte che le immagini si limiterebbero ad imitare; Qui la crisi della rappresentazione è crisi della referenza, che le immagini siano immagini del mondo; la crisi della rappresentazione è un dubbio, e in questo caso una certezza, sulla capacità delle immagini di potersi riferire, non vediamo più una analogia tra l’immagine e ciò di cui l’immagine è immagine; la crisi della referenza nasce soprattutto con la nascita del digitale; per immagini digitali normalmente Belting intende di un sistema di ripresa della realtà che però avviene tramite tecnologia digitale, c’è un apparato digitale che sta riprendendo la realtà senza che ci sia una pellicola chimica, attraverso un sensore digitale; per immagine sintetica si intende un’immagine che viene interamente prodotta in maniera digitale a livello numerico, non c’è nessuna presa della realtà; le immagini sintetiche in quanto tali fanno sorgere in modo più forte il problema “ma immagini di che?”, sarebbero dei veri e propri simulacri; il problema si installa però nella fotografia digitale; nella fotografia analogica, chimica, abbiamo un oggetto reale, una lastra chimica che viene impressionata dalla luce, se la luce impressione la pellicola, c’è qualcosa che viene impressionato che c’è, è reale; non c’è somiglianza invece tra la realtà e i numeri che compongono l’immagine digitale; la mediazione sembra far saltare la connessione con la realtà; nell’immagine analogica c’è il problema dell’analogo e dell’attestazione di realtà, che c’è davvero quella realtà, nell’immagine digitale SEMBRA venire a saltare questa dimensione, perché l’immagine potrebbe non essere mai esistita, se ritocchiamo con Photoshop quella cosa l’abbiamo inventata noi, potremmo riprodurla da zero; la nostra realtà è talmente potentemente mediata che nasce il problema se la realtà ci sia davvero, quand’è che possiamo dire che ciò di cui ci stanno parlando esiste? Il simulacro per Baudrillard è un’immagine che non può attestare la realtà, e quindi per Belting non è un’immagine; la maggior parte delle immagini digitali per Belting sono però ancora immagini; Pag.29 Le immagini si arricchiscono di dimensioni percettive e sensibili tali che sembrano immagini sempre più vive; una volta che un’immagine si carica di questa potenza, perché a livello multimediale si libera di un suo fondamento dalla realtà, incomincia a produrre un mondo virtuale, una realtà che imita la realtà stessa ma è una seconda realtà; la realtà virtuale è totalmente altro rispetto alla nostra realtà o in qualche modo mantiene un rapporto con essa? Una realtà virtuale, se fosse davvero totalmente sganciata dalla nostra realtà, sarebbe come un salvaschermo del computer, una volta perduto ogni aggancio sarebbe soltanto un gioco di linee, un gioco di sensazioni che non parlano più di nulla; se riescono invece a parlare di qualcosa è perché secondo Belting questo rapporto con la realtà non lo perdono; la virtualità necessita del feedback della realtà, senza questo rapporto di ritorno non ci sarebbe nemmeno la realtà virtuale; L’utopia è un presentare delle possibilità della nostra realtà, che in quanto sono possibilità non sono reali, sono qualcosa che riteniamo valga la pena realizzare, in questo senso utopiche; il mondo utopico in questo senso è qualche cosa di interno alla nostra realtà, che noi pensiamo debba realizzarsi, e ciò non le fa essere delle finzioni che falsificano la realtà; i film spesso ci parlando di mondi talmente fantastici che non parlano di noi, il nostro mondo rimane così com’è e ci inventiamo queste vie di fuga; l’utopia è invece il far emergere le possibilità di un mondo che noi dovremmo far emergere, l’utopia non è una menzogna in questo senso; Le immagini non sono soltanto un gioco di colori, un gioco nel senso di qualcosa che non rimanda a niente, perché in segreto alle immagini crediamo ancora, ci parlano ancora in modo forte di qualcosa, senza le immagini questo qualche cosa di cui le immagini ci parlano non troverebbe mai voce; Non c’è qui una sorta di svuotamento delle immagini? Sempre più stiamo depotenziando le immagini; il senso più forte delle immagini oggi è quello commerciale; tutte le immagini pubblicitarie hanno lo scopo di farci acquistare, con tutte le strategie possibili; Pag.30 Sviluppo potentissimo delle immagini, le immagini restano potentissime per Belting nel modo in cui mediano la nostra realtà, il mondo è quello che vediamo attraverso le immagini; stiamo guardando alle immagini soltanto dal punto di vista tecnologico e ci siamo dimenticati della dimensione antropologica fondamentale senza la quale incontriamo questi problemi; il nostro corpo si fa garante di una relazione; 2.4 Produzione figurativa fisica e mentale Sta introducendo una indicazione tale per cui le immagini sono immagini che si caricano di un significato simbolico che le distingue dal normale procedimento percettivo; Questo è uno degli elementi centrali; il mezzo dà una esteriorità, rende visibile l’immagine stessa, però gli dà un significato attuale, storicamente connotato; questo è importante perché le immagini hanno una dimensione extra- temporale e allo stesso tempo ne hanno una storica; le immagini nel momento in cui si danno acquisiscono un significato attuale, la giustizia, la forza, il coraggio di volta in volta storicamente vengono rappresentati in modi diversi, parlano di cose che nel tempo assumono sembianze storicamente connotate, in questo senso c’è questa doppia dimensione; il significato attuale è il significato che assumono di volta in volta quando vengono prodotte in un determinato contesto; l’immagine è come un sogno, dove stanno i sogni? Esistono i sogni? Si danno quando noi li sogniamo, siamo noi il mezzo, quando non li sogniamo non stanno da nessuna parte, perché non hanno il predicato dell’esistenza, non gli può essere attribuito come si fa’ agli oggetti; le immagini si devono incarnare ma non vanno confuse con il mezzo in cui si incarnano, che è un errore che imputa alla storia dell’arte; Il digitale cambia certi modi di guardare, ma non cambia la natura delle immagini, Belting pensa che l’avvento del digitale non abbia messo in crisi l’”era dell’immagine”, anzi; Pag.31 Per un verso vengono trattate le immagini come non fossero mediali, come le immagini mentali, come fossero incorporee, come fossero puri concetti, qualche cosa per le quali non dobbiamo occuparci dei mezzi attraverso i quali si danno; oppure vengono confuse con le tecniche figurative; nella storia dell’arte abbiamo un dualismo, immagine- mezzo, l’altro dualismo è quello filosofico immagine-corpo, in questo senso l’immagine diventa astratta, non si incarna in un mezzo, non prende corpo, è un rapporto soltanto interno tra immagine e corpo; Pag.32 Nel momento in cui noi cogliamo un’immagine, anche se c’è una dimensione atemporale dell’immagine, le immagini si trasformano, assumono una dimensione temporale, legata al contesto storico e alla dimensione mediale in cui l’immagine si sta offrendo; il mezzo è sempre storicamente connotato, le immagini sopravvivono trasformandosi; Sottolinea che le immagini digitali rientrano in questo funzionamento, non aprono una nuova epoca dell’immagine o della non-immagine, del simulacro, è ancora l’epoca dell’immagine; le immagini digitali non mettono in crisi la rappresentazione, la crisi è data dallo sguardo con cui noi guardiamo le immagini digitali; dobbiamo scorporare le immagini dai mezzi, per incorporarle in un altro mezzo, il nostro; le facciamo passare da un mezzo artificiale a un mezzo naturale; questo avviene anche per le immagini digitali; Il nostro apparato sensoriale è sempre lo stesso, ma la nostra percezione cambia storicamente; la percezione entra nel significato attuale che assumono le immagini di volta in volta; Distinzione che forse non dovrebbe tenere così tanto, cioè da un punto di vista banale possiamo anche intenderla in questo modo: quando noi guardiamo tavoli, alberi, sedie, continuiamo a vedere tavoli, alberi, sedie, quando guardiamo le immagini configurate in un certo modo, lì si caricano di un significato che un normale albero, una normale tavola non hanno; però è una distinzione che se noi andiamo a spingere fino in fondo sul funzionamento percettivo non tiene, in realtà; però Belting sta facendo un altro tipo di operazione, ovviamente; “I mezzi figurativi non sono esterni all’immagine”, ci sta dicendo che il medium non è qualche cosa che poi si aggiunge a un’immagine, cioè c’è un’immagine in qualche modo già figurata, prefigurata, conformata, indipendente, che ha una struttura del tutto autonoma rispetto ai media, e poi noi la mettiamo, la veicoliamo attraverso un mezzo, che è quel modo di intendere una certa teoria della comunicazione per cui il mezzo è solo un veicolo di qualche cosa di già configurato, e che in quanto già configurato il mezzo non va a intaccare, cioè ha un modo di trasmettere qualche cosa che rimane tale comunque lo trasmettiamo; Belting ci sta dicendo che il mezzo non è esterno, vuol dire che il mezzo va a trasformare il modo in cui si dà l’immagine, non lo trasforma del tutto, perché l’immagine ha una dimensione in qualche modo fortemente autonoma, che è la sua dimensione atemporale, però allo stesso tempo ha una dimensione che risente del mezzo attraverso cui si dà, perché il mezzo la fa apparire in un certo modo, nelle modalità in cui quel mezzo ad esempio è configurato, un mezzo fatto in un certo modo rende l’immagine secondo il mezzo stesso; per esempio prendiamo la lingua, la lingua è un mezzo, se noi vogliamo dire qualche cosa, quello che stiamo cercando di dire risente del modo di funzionare della lingua, ce ne accorgiamo quando facciamo le traduzioni; tradurre la poesia è complicatissimo, qualcosa viene perduto, quella cosa che viene detta in quella lingua è resa in quel modo dalla lingua stessa, il mezzo non è esterno a ciò che viene detto, ma lo rende quel qualche cosa, e se noi lo trasportiamo in un altro mezzo, e in questo caso in un’altra lingua, stiamo anche cambiando quel qualche cosa che viene detto, certamente non in tutto, altrimenti la traduzione non ha funzionato, però ci sono casi in cui, come nella poesia, la resa non funziona; il traduttore di fatto incontra sempre questo problema, quanto deve tenere della dimensione semantica? Quanto di quella fonetica? Quanto di quella ritmica? Ogni volta deve decidere qual è secondo lui la soluzione che funziona di più; Pag.33 “Quanto più prestiamo attenzione a un’immagine attraverso un mezzo”, cioè quanto più siamo consapevoli che il mezzo trasmettendo, ma nel senso di Belting, cioè configurandolo secondo la sua dimensione mediale, che è una dimensione storico-tecnologica, tanto più ci rendiamo conto di qual è questa sua funzione guida, cioè il fatto che sta veicolando qualche cosa e quindi siamo in grado per certi versi di ripercorrere all’incontrario questo percorso, cioè possiamo compiere quel processo di scorporamento, che possiamo compiere se abbiamo capito come quel mezzo l’ha incorporata, noi non apriamo una scatola e prendiamo un’immagine così com’è, non è un trasferimento di questo tipo, noi l’immagine la scorporiamo se capiamo in che modo è stata incorporata in quel mezzo, altrimenti non scorporiamo niente, magari non riusciamo nemmeno a vederla lì l’immagine, se non capiamo in che modo si è incarnata in quel mezzo; incarnata proprio nel senso che ha preso corpo, ontologicamente qualcosa che non ha corpo prende corpo; Per ogni singolo caso si crea questo rapporto tra immagine e mezzo, non prestabilito e quindi non codificabile, non c’è un algoritmo che possiamo per convenzione indicare che ci permetta di compiere questi scorporamenti, perché di volta in volta lì l’immagine si incorpora in un certo modo, e quindi di volta in volta dobbiamo capire in che modo si è incorporata per poter fare questa transizione, questo scorporamento; Quando Belting parla di potere figurativo non sta parlando di una figura così come normalmente la intendiamo nel linguaggio ordinario, il potere figurativo è il potere che hanno le immagini; Con il mezzo si pubblicizza l’immagine, cioè la si rende qualcosa di pubblico, cioè qualche cosa che noi possiamo cogliere, perché finché non si incorpora in un mezzo non è qualche cosa di comunicabile, di pubblico nel senso di intersoggettivo; I mezzi hanno questo potere di fascinazione, che è il potere seduttivo delle immagini; le immagini pubblicitarie giocano su questa potenza seduttiva, tanto forte da farci aprire il portafogli; lo fanno non perché ci costringono, ma perché ci seducono, è una fascinazione vera e propria, ci stanno dicendo: “se non lo compri, secondo me ti manca qualcosa”, “non vedi che c’è qualcosa che tu proprio desideri? Vallo a prendere”; noi siamo messi in gioco con tutta la nostra sensibilità; Benjamin: la moda serve a farci comprare merce; nessuno ci costringe, veniamo sedotti, è in gioco I mezzi figurativi, e qui intende quelli visuali, presentano una differenza rispetto al linguaggio, che ha una doppia dimensione, quella parlata strettamente legata al corpo, e quella scritta legata al rapporto immagine-corpo-mezzo; nella lingua scritta quello che veicoliamo si stacca dal nostro corpo, per entrare nel mezzo con cui la esprimiamo; Pag.40 Nel caso delle immagini, quelle visive in particolare, si comportano Il “linguaggio delle immagini” è un modo di dire, non c’è una strutturazione come c’è nella linguistica, si intende il mezzo con cui le immagini vengono veicolate; La diagnostica delle immagini è quella che conosciamo quando andiamo a fare una visita medica (radiografia, tac, ecc.), è essenziale perché ci permette di conoscere il nostro corpo, sono una sorta di protesi sensoriale; abbiamo un accesso mediato da un mezzo tecnico, non ne abbiamo una visione immediata, il che vuol dire che quello che i mezzi ci fanno vedere è ciò che noi vediamo, qui sorge il problema dell’affidabilità; da qui le difficoltà del vedere ciò che questi mezzi ci fanno vedere, se non sappiamo leggere una radiografia non vediamo quello che c’è; un bravo radiologo deve distinguere una macchia da una malattia; quello che vediamo è mediato dal mezzo, non abbiamo altro modo se non la visione diretta aprendo fisicamente il corpo; questo rapporto con la realtà è sempre più mediato dagli apparati tecnici; questo è importante perché quel problema della deissi, della testimonianza della realtà, è una testimonianza di cui il nostro corpo si fa garante; quanto più il rapporto con il reale è mediato, tanto più si allontana il rapporto tra noi e la realtà; si parla per questo di crisi della rappresentazione, come se questo rapporto non ci fosse più tanto è mediato; Nei mezzi figurativi è in gioco un’astrazione analoga a quella che avviene nella diagnostica per immagini; la tradizionale esperienza delle immagini, naturale, quella delle percezioni, quando in questa percezione si inserisce qualcos’altro, allora ci accorgiamo di quanto sia complicata quella naturale; il mezzo è un ponte, perché veicola e trasmette l’immagine, ma sempre più la potenza di questi mezzi sembra non farli comportare come un ponte di cui noi possiamo garantire l’affidabilità, ma più come un’auto-espressione del mezzo; il ponte si allunga sempre più, trasformando questo rapporto in un rapporto astratto; Nel rapporto immagine-mezzo-corpo Psicologia e Filosofia privilegiano solo due momenti, e la dimensione mediale sembra non essere un elemento centrale; ancora di più le Scienze Naturali si concentrano sugli esseri viventi senza guardare gli artefatti; la Storia dell’Arte dimentica il nostro corpo, come se il mezzo fosse auto-evidente, mentre senza il corpo quel segno che è l’immagine non dice nulla; la triade immagine-mezzo-corpo è fondante, non può essere scissa; Pag.41 Il nostro corpo è l’anello mancante della nozione dell’immagine 2.6 La differenza tra immagine e mezzo Se ci interroghiamo sull’immagine e sul chiarimento dell’immagine qualcosa di interessante lo troviamo nel culto funerario, perché qui c’è un modo per mantenere in vita e tra i viventi il corpo morto, non soltanto il corpo ma la persona che si presentava con quel corpo; lo rende ancora presente, presente in immagine ovviamente; l’immagine ha il potere di rendere presente qualcosa di assente, questo è il fondamento stesso dell’immagine in quanto immagine; Belting non ci sta dicendo che le immagini hanno origine temporalmente e storicamente con il culto dei morti, ma se vogliamo capire la posta in gioco, qui possiamo comprendere il meccanismo del rapporto tra presenza e assenza, che come vedremo è doppio; avviene uno scambio simbolico, l’elemento centrale del funzionamento dell’immagine non è tanto la mimesi tra l’immagine e ciò di cui l’immagine è immagine, ma è lo scambio simbolico che avviene tra la persona e l’immagine; è in gioco anche la questione della verosimiglianza, ma la cosa più importante è se riesce ad avvenire lo scambio simbolico, se questa immagine riesce davvero a valere come quella cosa che non c’è più; allora emergono due aspetti, immagine come rappresentazione e immagine come ripresentazione; ripresentare di nuovo la cosa assente, rappresentazione come mettere in immagine qualcosa che non c’è più; l’immagine è come se avesse questa doppia natura, l’immagine non è la realtà di cui è immagine (sarebbe un’allucinazione, una psicosi), tuttavia le immagini per un verso hanno una somiglianza complessa con ciò di cui sono immagine, e per un altro verso lo stanno ripresentando, come se fosse davvero in mezzo a noi, guardiamo la foto di una persona cara ed è come se rispondesse al nostro sguardo; lo sguardo è sempre una risposta, altrimenti non è uno sguardo, diventa un oggetto di fronte a un soggetto; lo scambio è simbolico, non ontologico, non sta resuscitando, l’altro è ancora vivo, ma in immagine; lo scambio simbolico è la dimensione da sottolineare nell’immagine e nel culto dei morti mostra la sua esemplare potenza; Pag.42 Il rapporto tra presenza e assenza è fondativo dell’immagine stessa; l’immagine è presente nel mezzo, e a sua volta rende presente ciò di cui parla, che è assente; ma l’immagine è presente in modo differente rispetto al proprio mezzo; Doppio significato o livello di presenza e assenza: l’immagine rende presente qualcosa che è assente, è come se il “contenuto dell’immagine” rendesse presente ciò che non c’è, ma l’immagine non è presente nel mezzo come il mezzo è presente a noi, lo percepiamo nello spazio e nel tempo perché ha una presenza in senso forte; l’immagine diventa presente soltanto attraverso un nostro atto di animazione, che avviene quando noi la comprendiamo; prima di ciò è assente, comprendendo il mezzo facciamo emergere l’immagine che sta veicolando, se non lo facciamo è semplicemente una cosa, un oggetto del mondo; quando incontriamo una poesia in lingua araba, questa non è segno, potrebbe essere un ornamento, diventa una lingua quando iniziamo a comprenderla, quando si carica di un significato trasmesso dai segni; se per noi è illeggibile allora non è mezzo perché non sta veicolando nulla; nel momento in cui la comprendiamo, l’immagine che sta lì come se fosse assente diventa presente; Il mezzo lasciando trasparire l’immagine ce la trasmette, questa passa dal mezzo artificiale a quello naturale; nell’atto di animazione rendiamo presente nel mezzo l’immagine, la quale finché non viene compresa è assente; l’immagine a sua volta ci rende presente quella cosa che è assente; Senza mezzo la veicolazione delle immagini sarebbe puramente intellettiva, e quindi impossibile per l’essere umano; è come se ci fosse questa migrazione dal mezzo al nostro corpo senziente e percipiente, che è il luogo naturale dell’immagine, perché senza di questo non potrebbe esistere; questa è la doppia dimensione di presenza e assenza che produce l’osservatore; il nostro corpo non è il signore delle immagini, perché non le padroneggiamo, per lo più le accogliamo, perché queste si danno in noi; non possiamo sognare a nostro piacimento, quello che sogniamo è deciso da come siamo e dalle varie contingenze, siamo dei ricettacoli, mezzi naturali, attraverso cui le immagini emergono e non emergerebbero senza; Pag.43 L’immagine non si può dare senza mezzo, ma l’immagine non è il mezzo; i sogni si danno sempre attraverso un corpo che riesce a sognarli, ma stanno altrove; Belting confessa la sua prospettiva, quando dice “crediamo testardamente” è lui che parla; l’immagine è immagine perché ci parla di qualcosa al di là dell’immagine stessa; il simulacro entra in gioco nel momento in cui si parla di immagini che parlano soltanto di loro stesse; mentre per Belting le immagini lo sono sempre in senso forte, nel senso che riescono sempre a parlare di qualcos’altro; La grande fiducia nella fotografia analogica era data dalla non mediazione, era impressa direttamente dalla realtà e da nient’altro; l’immagine digitale è talmente manipolabile che potrebbe essere costruita punto per punto; se bit per bit la costruissimo, sarebbe ancora immagine della realtà? Oppure non sarebbe immagine di nulla? I mezzi sono sempre storicamente caratterizzati, e lo sono tanto da essere anche diretti ad un certo pubblico contemporaneo, sono fatti per parlare ai contemporanei; allora se questa dimensione è così storicamente connotata, come facciamo a risintonizzarci con quelle immagini appartenenti a quel contesto così lontano dal nostro? Noi invece continuiamo a leggerle perché continuano a trasmetterci qualcosa grazie alla loro dimensione atemporale; in qualche modo assumono sempre un significato attuale e allo stesso tempo sopravvivono in quanto posseggono una dimensione non richiudibile in una situazione storica che noi possiamo cogliere anche al di fuori del contesto; Pag.44 Le immagini sopravvivono al mutamento storico, non si dissolvono col cambiare della società e delle culture, ma anzi sopravvivono adattandosi ai mezzi che di volta in volta incontrano; la nozione di sopravvivenza Belting la prende da Wahrbourg, qualche cosa che continua a vivere nel tempo, perché è qualche cosa che sembra non avere tempo, in questo senso Belting parla di una sorta di extra-temporalità; quello che ci sta dicendo è che però questa sopravvivenza non le lascia incontaminate, ma sopravvivono di volta in volta adattandosi, trasformandosi, non rimanendo integralmente intoccate; le immagini hanno una dimensione di sopravvivenza, che è in qualche modo il loro vero significato, cioè la loro dimensione extra-temporale, ma è una sopravvivenza che viene con la trasformazione, che determina il significato attuale, che di volta in volta le immagini assumono, cioè qualche cosa di storico, perché storici sono i mezzi attraverso i quali le immagini si danno; il significato attuale è quello che di volta in volta assumono; questo ancora una volta ci porta all’affermazione per cui non c’è una piena identità tra immagine e mezzo, anzi, contrariamente a una concezione che spesso è più facile incontrare all’interno di certe teorie dell’arte, Belting allenta questo rapporto tra immagine e mezzo, fa emergere la loro differenza; abbiamo sempre insistito troppo sulla loro identità, Belting non lo vuole sciogliere, ma lo vuole allentare; questo rapporto tra immagine e mezzo è fondamentale, pensiamo alla citazione di Wittgenstein “disegnami un sorriso”, e disegnando un volto che sorride risponderebbe “non ti ho chiesto di disegnare un volto che sorride, ma un sorriso”; come si fa a rendere visibile un sorriso senza il volto? Il gatto di Alice scompare lasciando solo il suo sorriso, c’è un rapporto paradossale tra presenza e assenza; qualche cosa si offre e non si può non offrire se non attraverso il suo mezzo, e tuttavia non è il mezzo stesso; Belting vuole far emergere il momento della differenza tra immagine e mezzo forse perché la storia dell’arte ha insistito sempre in modo forte sull’identità mezzo-immagine; Il rischio insito nel ripetere il già fatto è quello del consegnarsi all’industria culturale, al mercato e al kitsch, per questo deve sempre muoversi in avanti; allora tenta di fare qualsiasi cosa purché non sia già stata fatta; Belting vuole far emergere questo momento della non identità tra immagine e mezzo perché lo vede sempre come troppo implicito; Pag.45 Qui il nostro corpo è una piece de resistance alla fuga dei media e nei media delle immagini; nell’altro volume ci aveva proposto un ribaltamento della prospettiva, invece di fare come è sempre stato fatto, una storia dell’arte, dovremmo fare una storia delle opere d’arte, perché le opere hanno una consistenza tale che permette loro di resistere alle varie costruzioni teoriche; questo momento che resiste alle trasformazioni e alla fuga centripeta delle immagini nei sistemi mediali, è assegnata al corpo inteso antropologicamente, non è più l’opera perché lo sguardo qui è cambiato, perché il corpo si fa garante delle immagini, proprio in quella dimensione più critica delle immagini come in quelle digitali; è grazie al corpo che le immagini digitali sono ancora immagini, l’immagine vive e non si dissolve nel simulacro, che Belting non interpreta come immagine perché non rimanda ad altro rispetto al segno stesso; Pag.46 Nell’ambito artistico il rapporto strettissimo tra immagine e mezzo si assottiglia in modo sempre più stretto; Il problema dell’arte è questo sottilissimo gioco, che è un rapporto problematico importante; uno dei problemi di Kandinsky e dell’astrattismo era “ma quello che stiamo facendo, non è soltanto mera decorazione?”, i suoi astrattismi non parlavano di nulla? Erano un semplice gioco dei sensi? Kandinsky cercò di rispondere dicendo che c’è qualcosa di altro oltre a quei segni, un al di là; questo problema salta se identifichiamo l’immagine con il mezzo, e l’immagine è l’immagine di qualcos’altro; C’è una resistenza della teoria dell’arte perché questa prospettiva allarga così tanto la visuale che l’arte non è più la grande protagonista nello studio dell’immagine; Per Danto Greenberg è stato forse l’ultimo a fornire un modello storiografico così potente da abbracciare tutta la storia dell’arte; questo per Belting avviene però a un prezzo altissimo, perché quella di Greenberg è una forma di iconoclastia; secondo Greenberg compito dell’arte è quello di interrogarsi sui propri mezzi artistici, non dal punto di vista della teoria ma da quello delle opere d’arte; ogni opera d’arte è una domanda e una risposta su quali sono i mezzi propri dell’arte; è una forma di autocoscienza, il riferimento qua è Hegel, il vero oggetto di una opera d’arte, o soggetto, non è qualcosa d’altro rispetto ai mezzi dell’arte ma sono proprio i mezzi stessi, perché devono sempre essere una forma di autocritica dei propri mezzi, e la storia segue un processo di purificazione dei propri mezzi artistici, ogni opera deve purificare i propri mezzi; fino agli anni ’50 con Pollock abbiamo le tele, una tela che ha due dimensioni, una verticale e una orizzontale, allora la pittura non dovrebbe mostrare una terza dimensione, perché non è propria del proprio mezzo artistico; questo è un processo che da Manet in poi si avvia come processo, una pittura che si schiaccia sempre più sulla tela; l’arte purificando i propri mezzi conosce se stessa, è una riflessione che l’opera d’arte fa su se stessa, per questo si dice autoriflessione e autocritica; Belting ci dice che l’arte non può parlare dei propri mezzi e non parlarci di Pag.53 . Pag.54 L’argomentazione di Belting è: le immagini non sono mai degli assoluti isolati l’uno dall’altro, ma l’immagine è sempre qualcosa che rimanda a immagini a lei antecedenti, ogni immagine rimanda a immagini che l’hanno preceduta, sia per quanto gli assomiglia, sia per quanto sia diversa; . Pag.55 La prima distinzione è che il momento dell’analisi è quello più propriamente legato al medium, questa immagine è una scomposizione di elementi; il momento della sintesi è il momento della percezione; quello che noi vediamo è una sintesi, un mettere insieme, un configurare elementi; . Il momento dell’analisi è il momento del medium tecnologico, ogni medium scompone nei suoi dati quello che vuole offrire in immagine; il momento della sintesi è quello in cui l’osservatore compone questi elementi; . Pag.56 Qui Belting riprende il problema della fotografia analogica, confrontata con il dipinto, e le categorie che mette in gioco richiama il mezzo del corpo e il mezzo dello sguardo, cioè sta parlando della questione della mediatezza o della non mediatezza del rapporto del mezzo con la realtà; Sta distinguendo tra tecniche della modernità, come la fotografia, e manufatti tradizionali, come i dipinti; Il problema di una fedeltà della mimesi, di una attestazione della realtà, viene spostato da quella che è una mediazione umana su delle tecniche, o tecnologie, le quali dovevano proprio in quanto automatiche garantire il dato reale che rappresentavano; un disegno è sempre mediato dall’occhio di colui che sta disegnando e dalla sua abilità, è il problema del testimone, non basta che qualcuno affermi di aver visto qualcosa, questo di per sé non è affidabile, va corroborata l’affidabilità; . Quanto più noi togliamo la dimensione di mediatezza rispetto al reale, tanto più il reale sembrerebbe darsi per così com’è; . . LEZIONE IMPORTANTE VA RECUPERATA XII LEZIONE Pag.60 Problema del montaggio nell’immagine cinematografica, Belting vuole far emergere il rapporto non scindibile tra immagini interiori e immagini esteriori; le immagini interiori sono quelle che noi produciamo coi nostri corpi, le immagini esteriori sono le immagini che vengono veicolate dai media, e in questo caso dalla macchina da presa; Belting vuole far vedere come, attraverso la dimensione del montaggio, emerge il rapporto tra immagine interiore ed esteriore; C’è una dimensione di montaggio che è quella generata dal mezzo stesso, cioè dall’accostare i fotogrammi, che genera un certo tipo di immagini, che a loro volta non sono, . le immagini che noi percepiamo sono quelle generate dal montaggio e che interagiscono con i nostri ricordi, l’immagine che si genera da questo scambio simbolico tra queste due dimensioni mediali produce l’immagine che è quella che noi cogliamo quando vediamo un film; lì non possiamo separare quanto c’è di nostro e quanto noi riceviamo; il nostro corpo entra nella costituzione dell’immagine; ciò permette alle immagini sintetiche di non ridursi a meri simulacri, perché nella misura in cui si relazionano ancora con il nostro archivio di immagini, noi le riconosciamo come immagini; le immagini non si sganciano mai dalla realtà finché vengono mediate e “riconosciute” dal nostro corpo; Per immagini silenziose intende le immagini fotografiche, sono immagini che non si muovono, che rimangono bloccate e quindi silenziose; Se noi guardiamo al problema dell’immagine fissa e quella mobile, ci stiamo concentrando solo sulla dimensione propriamente mediale dell’immagine, e ci stiamo dimenticando la dimensione interiore dell’immagine, sul modo in cui noi scansioniamo l’immagine; La percezione è sempre un processo di sintesi di un materiale che ci viene offerto, la percezione non è qualche cosa di già strutturato, ma è qualcosa che noi strutturiamo; c’è una sintesi che compie il mezzo in quanto mezzo, cioè il fatto che un certo mezzo scompone e ricompone le immagini secondo la sua tecnologia, e poi c’è la nostra sintesi, se conosciamo il funzionamento di un mezzo riconosciamo il modo in cui esso ha sintetizzato; secondo Belting i dati sensibili non sono neutri, sono sempre costruiti e sostiene che non si possono trattare le immagini solo dal punto di vista psicologico, perché c’è anche una dimensione mediale dell’immagine che è costitutiva dell’immagine stessa; Pag.62 L’immagine in qualche modo è frutto di più mezzi che possono coesistere o essere in contrasto; intermediale nel senso che quest’immagine si offre tra medium diversi; Qui preannuncia quello che dirà più avanti, cioè il problema di una produzione di nuove immagini nel senso però di una sopravvivenza; la nozione di sopravvivenza è una nozione forte che prende da Warbour, esse sopravvivono in nuovi mezzi; Pag.63 Nella produzione di nuove immagini ci sono due possibilità: una è che la generazione di un nuovo mezzo produce una nuova immagine, un modo nuovo di articolare un’immagine, ma può essere anche che un nuovo modo cerca un nuovo mezzo per potersi manifestare; possiamo avere tutte e due le possibilità, che un nuovo mezzo produce una nuova immagine, oppure che una nuova immagine cerca ed esige un nuovo mezzo; Pag.64 Nella pratica artistica contemporanea c’è un’accentuazione di questa dimensione intermediale, da non confondere con multimediale, non è un aggiungersi di diversi mezzi a completare un’immagine, non si aggiunge ad esempio la dimensione acustica a quella visiva; conflitto di mezzi dello stesso genere, visivo-visivo, acustico-acustico; l’immagine è come se stesse nel luogo di produzione di questi mezzi diversi, e fosse il frutto dello scontro di questi diversi mezzi; questa dimensione dell’intermedialità non è una novità contemporanea, è ad esempio molto utilizzata dall’arte barocca; Pag.65 Qui l’intermedialità è una modalità di interrelazione tra immagine e mezzo, . Un esempio sono i sogni, il sogno soltanto nel momento in cui lo sogniamo si manifesta come immagine, quando non sogniamo dove sta? Non sta da nessuna parte, quindi il suo status è nel momento in cui appare; . Sta parlando del rapporto tra apparire ed essere; . Le immagini non sono indipendenti dai mezzi e dal corpo attraverso cui appaiono; non hanno una natura sostanziale che le rende indipendenti dai mezzi e dai corpi; . . 2.11 Questioni interculturali Sta mettendo in gioco questo rapporto tra una dimensione interculturale di un’immagine o di un concetto generale di immagine, e invece una dimensione dell’immagine come qualcosa di culturalmente determinato; quello che ci sta dicendo è che in quanto dimensione antropologicamente fondata, c’è una dimensione che è allo stesso tempo interculturale, perché siamo tutti uomini, e però allo stesso tempo stiamo cancellando ... . Belting ci sta dicendo che ci sta una dimensione interculturale che però non cancella e si rapporta con una dimensione culturale, consegnata alla dimensione storica di volta in volta delle varie culture; Pag.66 Queste maschere venivano guardate soltanto da un punto di vista estetico; qui Belting fa un uso del termine “estetico” nel senso di “formale”; . . Pag.67 Ancora una volta cita Warburg, . Pag.70 Sta criticando un certo modo di fare antropologia; c’è una possibilità di tagliare fuori certe immagini, immagini di altre culture, oppure vengono riconosciute come ad uno stadio iniziale, o comunque precedente rispetto al nostro più avanzato; . Dobbiamo cercare di guardare le immagini con gli occhi di quella cultura per capire cosa vogliono dire; 2.12 Un bilancio provvisorio Si sta riferendo qui alla Madonna di Guadalupe, prima simbolo coloniale e poi simbolo del Messico; è la stessa immagine che diventa immagine forte di due realtà, ma non è la stessa immagine, perché viene reinterpretata ed animata collettivamente in maniera diversa, diventando una “nuova” immagine; . Pag.71 Sempre più il mondo è mediato in immagine, il mondo che noi mediamo attraverso le immagini è molto più grande di quello che noi esperiamo; . Noi abbiamo ancora abbastanza esperienza di luoghi da poter leggere quei luoghi finzionali ancora come luoghi; . Pag.82 Qui sta introducendo la nozione di luogo eterotropo; l’utopia è il non-luogo, l’eterotropia è un luogo altro, diverso, antitetico, in cui viene sospeso o invertito il mondo in cui noi viviamo; nel caso di Foucault c’è un riferimento preciso, ma se noi pensiamo alle cliniche ... . Il museo è un luogo molto particolare per Belting, perché rende visibile quella che è la storia dell’arte, quello che è il concetto di arte nel corso del tempo, ma è anche un luogo eterotropo perché ... Pag.83 Esempio del giardino; il giardino è un luogo eterotropo, perché non è la campagna in cui viviamo, è un luogo di sospensione; . La realtà virtuale crea un luogo nel quale noi non possiamo vivere, nel quale possiamo solo vederci, da questo punto di vista la realtà virtuale è un po’ come uno specchio, noi ci vediamo allo specchio, ma l’immagine che vediamo non siamo propriamente noi, noi lì ci vediamo e riconosciamo, ma non possiamo vivere lì, non è propriamente un luogo esistenziale come lo è uno reale; l’immagine virtuale si comporta allo stesso modo, è un luogo in cui possiamo vederci ma in cui non possiamo vivere; XIII LEZIONE (Individuazione dei punti cardine del primo libro di Belting) Con Antropologia delle immagini Belting mette in rilievo il fatto che dobbiamo parlare di un’epoca delle immagini prima dell’epoca dell’arte, l’immagine è sempre stata considerata in un certo modo, prima che alcuni oggetti particolare ottenessero una valenza specifica e venissero considerati opere d’arte; con l’epoca dell’arte avviene una sorta di contrazione, nel senso che le immagini diventano oggetto di interesse solo se sono immagini artisticamente connotate, vengono studiate quasi esclusivamente se sono opere d’arte, l’opera d’arte diventa qualcosa di centrale; l’opera d’arte nella contemporaneità entra all’interno di una produzione mediale, i sistemi mediali si sono talmente articolati che l’opera d’arte sembra soltanto una delle tante possibilità dell’offerta mediale; Belting ci sta indicando che l’arte si stia depotenziando, diventando uno dei modi dell’immagine, stiamo tornando a un’epoca dell’immagine dopo l’epoca dell’arte, ci siamo “accorti” che l’immagine è il vero oggetto di interesse, e l’opera d’arte non si identifica né esaurisce la totalità delle immagini; nell’epoca dell’arte il luogo privilegiato per comprendere l’immagine era l’opera d’arte; Belting non sta più demolendo dall’interno della disciplina della storia dell’arte ma dall’esterno la continuità degli studi artistici; se noi studiamo l’immagine nel suo rapporto immagine-mezzo ci perdiamo una parte fondamentale, non possiamo pensare che si costituisca in questo rapporto e poi arrivi un osservatore esterno; non possiamo fare neppure quello che fa tradizionalmente la filosofia e ridurre tutto al rapporto immagine-corpo, perché ci perdiamo la dimensione mediale; Con Danto abbiamo a che fare con una fine della storia dell’arte intesa come oggetto d’indagine; il corso storico delle opere d’arte è terminato, e la disciplina ne risente, ma l’oggetto che interessa a Danto non è la disciplina quanto la storia dell’arte come processo storico; Il corpo è un luogo nel senso che è ciò che produce le immagini, e allo stesso tempo è ciò per cui le immagini hanno un certo valore e un certo senso; una telecamera non riconosce delle immagini, ma solo dei dati fisici senza valore; Le immagini hanno ancora un valore collettivo e comunitario? O hanno solo un valore soggettivo? Se è così, come sosteneva Hegel, l’arte ha svolto il suo compito e non può più continuare ad avere la sua funzione storica; L’immagine è ancora testimonianza dell’essere? O è soltanto un gioco delle forme che non parla di niente? Hegelianamente, l’opera d’arte è il luogo dove si manifesta la verità? O è un gioco delle apparenze dove il rapporto con l’essere non c’è più? La tesi di Belting è che le immagini siano ancora immagini in questo senso, sostiene che le immagini abbiano ancora la capacità di far emergere qualcosa d’altro rispetto alle immagini stesse, che può essere colto solo grazie ad esse; Pag.86 Il museo non è il luogo originario dell’opera d’arte, nessuna opera, neanche moderna, è stata fatta in un museo; il museo fa rivivere in modo nuovo l’opera, non è il suo luogo originario, questa perde la funzione che la caratterizzava acquisendone soltanto una estetica; il museo ha un valore normativo fortissimo, non fa una proposta, ciò che entra viene già considerato arte, ha già acquisito uno status artistico; CONFERENZA VELOTTI E PROFESSORESSA DA PADOVA L’argomento sarà il ruolo mimetico delle immagini nella rappresentazione artistica; Somiglianza immateriale e vedere-come; La mimesis è il fenomeno originario di ogni attività artistica (W. Benjamin); Il titolo dell’intervento è L’IMMAGINE TRA POIESIS ED EKTASIS, e si articola in tre tappe: 1. L’immagine come stato nascente dell’apparizione 2. L’immagine come somiglianza immateriale 3. L’immagine tra apparizione e sparizione 1. Con Mallarmé possiamo dire che musica poesia pittura si corrispondono nella non-cosa; egli parla del fiore assente da tutti i mazzi, la parola fiore è assente da tutti i mazzi in quanto parola sonora e grafica; da questa metafora emerge che la parola poetica si assenta dalla realtà per far emergere un orizzonte che dà un significato all’esistenza; la parola poetica emerge musicalmente da un’assenza, appare mentre scompare la cosa, la poesia è quell’atto significante in cui la mimesi della cosa viene trasfigurata simbolicamente in quello a cui M. allude attraverso delle espressioni particolari che hanno a che fare con il lampeggiare; il gesto poetico trasfigura la natura nella vibrazione del suono nel momento i cui la natura scompare; per Verlaine la forza immaginativa di musica e poesia suggerisce una cosa che s’invola, che sparisce come una manciata di polvere; Rapporto tra apparizione artistica e scomparire della realtà sullo sfondo; Agosti cita una lettera di M. in cui parla della nuova lingua che sta inventando per il poema Erodiad; la sua lingua doveva dipingere non la cosa, ma l’effetto che produce, il verso doveva evocare la qualità della cosa in una scintilla significante; Il tema dell’apparizione si ritrova in modo specifico in Francis Bacon, e in quello che dice della sua stessa pittura; Bacon vuole tirare fuori un’apparizione, l’immagine deve apparire su uno sfondo segreto (che lui chiama inconscio) che si ritrae di cui l’immagine è un commento di carattere pittorico; vorrebbe che le immagini venissero fuori da una manciata di colore lanciata su una tela, in modo casuale e necessario; 2. Il tema della somiglianza immateriale proviene da un testo di tre pagine del 1933 di Benjamin; B. parla della capacità dell’uomo di produrre delle somiglianze, questa capacità è originaria in senso filogenetico (nella specie) e in senso ontogenetico (nell’individuo); dal punto di vista filogenetico l’uomo acquisisce la capacità di vedere somiglianze a partire dall’esperienza della corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo; in senso ontogenetico, nel gioco il bambino non imita semplicemente qualcuno che è come lui (il maestro o il dottore), ma imita anche il mulino e il treno, produce una somiglianza immateriale, attraverso il proprio corpo, che non somiglia a una locomotiva, imita una locomotiva, diventa capace di vedere somiglianze che B. definisce immateriali; B. sostiene che la capacità mimetica si evolve fino a linguaggio e scrittura, nel linguaggio il mimetico e il significante si fondono, e in un baleno si accende la somiglianza; la lingua è il canone delle somiglianze non riconducibili a dati sensibili; l’onomatopea (somiglianza parola-cosa) per B. non è il livello sensibile nella scala che va verso una progressiva astrazione, ma ne parla come caso della sostanza immateriale, per B. l’immateriale fa comprendere il materiale, l’onomatopea capiamo che cos’è nel linguaggio sviluppato; ogni lingua imita l’inteso come il bambino imita la locomotiva, seguendo un rapporto non sensibile ma di somiglianza immateriale; Wittgenstein nel Tractatus ricorre al concetto di figuratività; tutte le similitudini, dai geroglifici , alla notazione musicale, alla scrittura alfabetica sono tutti casi della figuratività, non si somigliano ma si corrispondono; ciò che conta nella somiglianza materiale è la sua forma estetica, la sua immaterialità; dunque è l’immaterialità che dà significato all’elemento sensibile; la lingua assomiglia al mondo di cui parla come il bambino nel suo gioco somiglia al treno; in W. c’è il concetto del vedere-come, che per W. è la capacità di riconoscere rapporti formali e quindi estetici tra oggetti; 3. L’immagine tra apparizione e sparizione; in B. abbiamo visto che l’immaterialità delle immagini è il risultato di un processo inteso non come una progressione verso l’astrazione, ma come una dinamica del mondo della vita che ci libera dalle immagini prime, ma allo stesso tempo ci lega ad esse; l’immagine traduce, facilita il nostro muoverci all’interno dei simboli, tra i sensi sensibili e il senso ideale, il nascosto e il manifesto, l’inorganico e l’organico; XIV LEZIONE XV LEZIONE Pag.102 Due modi di intendere l’immagine, come apparenza e come apparizione; l’immagine come apparenza è l’immagine come duplicazione della realtà, quindi l’immagine non è la realtà, ma è il suo doppio che tenta di somigliare il più possibile alla realtà; l’altra dimensione è l’immagine come apparizione, cioè come qualcosa che appare, che mostra, esibisce la realtà stessa; . Il problema della finzionalizzazione è il problema della produzione di queste finzioni, le quali in qualche modo tendono a scansare quelle che sono delle immagini “autentiche”, che noi serbiamo nella memoria; noi archiviamo le immagini della realtà e le immagini finzionali; la sovrapproduzione delle immagini finzionali tende a sovrapporsi alle immagini della realtà; basti pensare a quanto noi sappiamo dell’America grazie ai film senza esserci mai stati; . Queste immagini ci parlano ancora di qualche cosa di realmente nostro? O non lo fanno più, essendo delle immagini sostanzialmente fittizie? La realtà virtuale in realtà non si stacca dalla dimensione referenziale, sembra istituire un mondo altro, al di là del mondo reale, in realtà non andrebbe chiamata così, perché non apre nessun varco al di là delle immagini, semplicemente ampia il mondo delle immagini, lo rende più complesso e sofisticato; . Le immagini non si danno mai in termini assoluti, slegate l’una dall’altra, ma sono sempre in una rete di relazioni tra di loro, e questo vale anche per le immagini virtuali; noi siamo in grado di comprenderle perché le mettiamo in relazione con le immagini che abbiamo immagazzinato nel nostro corpo; . . La teoria, la dimensione teorica non trasforma, ma trasfigura, per questo è più proprio il termine incarnazione, . L’immagine non è la realtà, differisce sempre dalla realtà per poterla mettere in immagine; . . Il segno se è segno di non è la cosa stessa, . . XVI LEZIONE LA DESTITUZIONE FILOSOFICA DELL’ARTE 2 – APPREZZAMENTO E INTERPRETAZIONE DELLE OPERE D’ARTE Introduce la teoria della trasparenza e la teoria della realtà; problema del medium dell’opera d’arte; Danto si occupa delle opere d’arte, quindi il medium è sempre riferito alle opere d’arte; In Belting, nell’Antropologia delle immagini, il medium è esteso a tutte le modalità dell’immagine, non solo alle immagini artistiche; Pag.61-62 La teoria della trasparenza era rivolta a una concezione semplificata, a una teoria dell’arte come mimesi; se scopo dell’opera d’arte è darci una rappresentazione più verosimile possibile, tendente a una qualche sorta di identità, il vero fine dei mezzi dell’opera d’arte sarà il diventare più trasparenti possibile; i mezzi diventano trasparenti tanto più lasciano trasparire il loro contenuto; . Questa idea, vuole dirci Danto, comporta che la nostra reazione estetica non sia possibile, è in realtà una reazione al contenuto dell’opera; un conto è parlare di una bella rappresentazione di una cosa e un conto è parlare di una rappresentazione di una cosa bella; avviene uno spostamento logico che porta alla nascita di diversi problemi; . Pag.63 Fa riferimento alle tre pale di Duchamp, che differenza c’è tra le pale di Duchamp e le pale che usano gli americani ogni giorno per spalare la neve? Sta lasciando passare uno dei problemi cruciali della teoria di Danto, cioè la reazione estetica, la dimensione estetica, Danto a seconda di dove sta argomentando la schiaccia, la riduce alla dimensione percettiva stricto sensu, l’estetico È la reazione sensoriale; ma questo non è mai stato l’estetico per tutti quelli che hanno una prospettiva estetica; questo è uno dei punti critici della filosofia dell’arte di Danto; se percettivamente non siamo in grado di distinguere due oggetti che in linea di principio sono indiscernibili, allora ci deve essere un rimando alla dimensione teorico-riflessiva, che fa sì che un oggetto non sia più soltanto un oggetto, pur rimanendo sempre l’oggetto che è; . Ciò che rende qualcosa un’opera d’arte non sta dentro di esso, altrimenti lo trasformerebbe, invece lo trasfigura, ce lo fa fruire in modo diverso; . Cosa rende l’opera d’arte qualche cosa che noi chiamiamo opera d’arte? . La storia dell’arte a partire dalla pop art ci continua a presentare questo problema, . È un problema di indiscernibilità percettiva e basta? . Gli oggetti non parlando di nulla, sono e basta, esistono; gli oggetti sono e basta, le opere d’arte parlano di qualcosa, sono about; Se noi prendiamo sul serio una teoria mimetica la quale porta a questa dimensione di trasparenza, lì sta muovendo esattamente in direzione contraria di una direzione estetica, perché il medium lo annulliamo e non possiamo avere una reazione estetica, possiamo averla solo per il contenuto; . Il corrispettivo logico della teoria della trasparenza è la teoria della realtà; Pag.64 È come se dicessimo di un’opera: è un rapporto tra forma e contenuto, dove la forma deve sparire per lasciare solo il contenuto; . La teoria della realtà elimina tutto tranne la dimensione reale, tela e colori, marmo o ceramica che sia; Se la teoria della trasparenza fosse corretta dire una bella raffigurazione di fiori significherebbe dire una raffigurazione di fiori belli; . La cosa rimane bella, ma la rappresentazione rimane ingiudicata; avviene uno spostamento del momento della predicazione, . Una bella rappresentazione di una crocifissione è bella a prescindere dall’orrore della crocifissione; . Noi giudichiamo un’opera d’arte, non la realtà; . Gombrich: di fronte a un’opera d’arte dovremmo avere le stesse reazioni percettive che avremmo di fronte all’oggetto reale raffigurato; . L’opera d’arte sta sempre a una qualche distanza (categoriale) rispetto al ciò che sta mostrando o rappresentando, il contenuto; questo è vero sempre anche quando l’opera è identica all’oggetto stesso che è; nel ready-made l’opera è opera in quanto non si riduce all’oggetto stesso, . La teoria della realtà non dice però di prendere un oggetto bello e metterlo direttamente in un museo; Duchamp prelevava degli oggetti “esteticamente indifferenti”, perché il punto non era la reazione estetica all’oggetto, ma quello che l’oggetto metteva in moto; . Danto solleva problemi concreti, veri, ci dice “quand’è che qualcosa è un’opera d’arte?”, . A cosa diamo priorità, e quindi che cos’è che va a costituire una cosa come arte? Qui si incontrano due prospettive che si scontrano . Pag.65 Danto inanella tre momenti che sono diversi, percettivo non è sensoriale e sensoriale non è estetico; dal punto di vista sensoriale non vedremo mai che qualcosa è un’opera d’arte, l’occhio vede solo colori; Il problema di fondo è che sempre più l’arte del ‘900 va facendo emergere la dimensione teorica; se noi prendiamo la storia dell’arte, fino a un certo punto del ‘900 è un arte pittorica, poi sempre più l’opera diventa l’oggetto stesso, e allora quanto più l’arte diventa l’oggetto stesso tanto più la sua dimensione di arte è quella che innesca . La dimensione teorica non è visibile; . Dove sta l’opera nelle performance? Danto dice, allora è la dimensione teorica che la rende un’opera . Tra la vita autentica e la vita inautentica di Heidegger c’è una differenza percettiva? Niente affatto; . Ma che intendiamo con percezione? . Pag.66 . Le reazioni estetiche non costituiscono l’essenza dell’arte; ciò che costituisce l’opera d’arte non rimanda all’estetica . L’essenza dell’arte sono l’embodiment e l’aboutness, le uniche due condizioni che Danto fornisce come condizioni necessarie; . Pag.68 . Pag.115 Uno dei cardini della teoria di Gombrich è il paradigma del fare-confrontare, cioè produrre una rappresentazione e metterla a confronto con la realtà; quelle che più si avvicinano vengono conservate, le altre vengono fatte cadere; la prospettiva è una delle modalità più efficaci di verosimiglianza della realtà; la prospettiva è un modo come altri di costruire una rappresentazione; Pag.116 Il rappresentare, il configurare dei segni, ha una storia, che può essere progressiva, il vedere invece no, è sempre lo stesso; anche il nostro apparato sensoriale si evolve, ma su una scala di milioni di anni; il nostro modo di raffigurare invece cambia, e lo fa con una rapidità incredibile; dietro c’è una critica a Gombrich, che qui emerge poco, perché per G. sia il nostro vedere che il nostro rappresentare cambiano, si sviluppano, perché il modo in cui rappresentiamo cambia il nostro modo di guardare la realtà; l’arte cambia il modo in cui guardiamo alla realtà; per Danto la misurazione del progresso può avvenire soltanto se manteniamo uno dei due punti fermi, se la realtà cambia insieme alla rappresentazione, come facciamo a misurare un progresso? Gombrich conosceva questa problematica, ma aveva l’intenzione di costruire una storia anche in termini percettivi; Pag.117 Un contro è parlare di uno sviluppo all’interno del medium (passaggio al chiaroscuro), un altro è parlare di un cambiamento del medium stesso (passare dalla pittura alla fotografia); Finché parliamo di equivalenza percettiva, come fa Gombrich, è difficile parlare di tutta l’arte; Possiamo costruire una storia dell’arte di tipo progressivo per la letteratura così come Gombrich fa della pittura imitativa? Il francese di Proust è più avanzato del linguaggio di Omero? Si può parlare di un progresso misurabile? Nel linguaggio non funziona; questo paradigma funziona, ma solo in alcune dimensioni dell’arte; Pag.125 Qui emerge una questione che si innesta con lo sviluppo storico-artistico; La discrepanza può essere letta come un difetto della rappresentazione, o come qualcosa che ci segnala che quel segno sta esprimendo qualche cosa, è il momento della discrepanza che lascia emergere qualche cosa che altrimenti non emergerebbe; quando l’arte comincia a fare deliberatamente uso di queste discrepanze però non siamo più in grado di leggerle come discrepanze, perché cade completamente il paradigma mimetico; La discrepanza non è più un limite, una diminutio rispetto a un paradigma illustrativo o illusionistico, non segnalano qualche cosa che va superato attraverso una tecnica più avanzata, ma sono esteriorizzazione delle emozioni o espressioni che deve trasmettere l’artista attraverso la sua opera; Pag.126 Finché la discrepanza era all’interno della teoria rappresentativa era un errore da correggere, nel momento di passaggio (linea verde di Matisse) possiamo ancora riferirci al paradigma della mimesi, ma quando vediamo solo tracce di colore la discrepanza non c’è più, discrepanza rispetto a che? Non c’è una storia, una progressione, se ci affidiamo a un paradigma di espressione; le opere d’arte non formano più una storia ma un arcipelago, non c’è più un fiume che si muove in direzione di un telos, ogni opera manifesta qualche cosa, ma le opere che vengono fatte adesso non esprimono meglio qualche cosa che veniva espresso peggio 100 anni fa, come si fa a misurare la capacità di espressione? La storia dell’arte è discontinua perché non c’è una vera e propria storia, è un arcipelago in cui possiamo immaginare le sequenze nel modo che vogliamo, e quindi possiamo non immaginarle affatto; Pag.129 Soltanto se l’arte ha una storia può avere un futuro; non si può porre la domanda sul futuro dell’arte se essa non si muove storicamente; il futuro di cui si parla è un futuro storico, non cronologico; Non riusciamo a pensare l’arte senza una sua storia; Non è più una storia che va pensata come lo sviluppo di una tecnica (in senso lato), ma è un progresso di tipo conoscitivo, nel modello hegeliano dello spirito che conosce se stesso, l’arte è una tappa dell’autoconoscenza dello spirito; Danto non inserisce l’arte all’interno di questo sviluppo, non è un hegeliano, la fine della storia dell’arte per un verso porta l’arte ad essere pienamente libera, per un altro non porta l’arte a diventare la sua filosofia, perché non è uno dei momenti dello spirito; semplicemente, soltanto con la fine della storia dell’arte l’arte si libera della filosofia (ciò si evince dagli altri capitoli de La destituzione filosofica); la filosofia da Platone in poi non ha fatto altro che depotenziare l’arte, e soltanto quando l’arte si libera dalla teoria filosofica può essere pienamente se stessa; ciò avviene quando finisce la storia, simbolicamente con la Pop Art; non la Pop Art in sé, quanto la questione degli indiscernibili; . Quando la storia dell’arte arriva a questo punto, abbiamo raggiunto questo limite, è come se l’arte ci avesse portato a comprendere qual è la sua vera domanda, a quel punto passa il testimone alla filosofia; l’arte non risponde alla domanda “qual è l’essenza dell’arte”, perché questa è una domanda filosofica . La filosofia ha sempre depotenziato l’arte, come diminutio rispetto alla conoscenza, l’ha trattata come un qualcosa di effimero; . Il vero raggiungimento della fine della storia dell’arte è questo pluralismo artistico; non si capisce più nulla perché non possiamo ricostruire nessuna storia, non c’è nessun rapporto tra le opere, prima la storia ci permetteva di leggerle, ci permetteva di orientarci e capire il valore stesso dell’arte; In questo libro afferma che la storia dell’arte è finita, ma sente che senza la storia dell’arte ci manca qualcosa, nell’altro saggio il tono è più positivo, perché di questa fine della storia salterà la dimensione della libertà dell’arte; se c’è uno spazio in cui siamo veramente liberi questo è quello dell’arte post storica; . Pag.132 Rende possibile la filosofia dell’arte perché soltanto quando l’arte attraverso la produzione delle opere La storia dell’arte è la storia di produzioni che sempre più ci hanno reso chiara la domanda giusta da porre per comprendere che cosa sia arte; . È la teoria che ci permette di guardare certi oggetti e considerarli in modo diverso dai semplici oggetti; L’oggetto non può svanire nemmeno per Danto, i mezzi e la materia non devono venir meno, altrimenti l’arte si riduce ad un’idea, e non è questa la prospettiva di Danto; Siamo arrivati a un punto in cui la storia dell’arte è giunta alla fine, e finisce anche il modo in cui abbiamo sempre guardato e considerato l’arte, non possiamo più porre la domanda sul compito dell’arte; in ambito post storico non si può più parlare di telos, non c’è più storia, non c’è nessun dover essere, ma solo ciò che l’arte è; l’arte è totalmente libera ma non serve a niente, altrimenti sarebbe immettibile in una storia; . Pag.134 Danto non è un hegeliano, l’arte non è uno dei momenti dello spirito, la scansione hegeliana non è quella di Danto; Danto è un realista, solo nel campo dell’arte si mostra idealista; Non si può più fare arte senza che la vera domanda sia “ma che cos’è fare arte?”; ogni opera d’arte è una domanda su che cos’è essere arte e su che cos’è essere un’opera d’arte; se capiamo quell’opera capiamo cos’è l’arte, la riflessione è interna all’opera d’arte stessa, per questo quanto più questa riflessione diventa esplicita, la domanda diventa una domanda che può essere posta in termini strettamente filosofici; quando capiamo che questa è la vera domanda stiamo facendo teoria, stiamo facendo filosofia; l’arte si libera da questo compito e lo passa alla filosofia; . DOPO LA FINE DELL’ARTE 1. INTRODUZIONE: MODERNO, POSTMODERNO E CONTEMPORANEO Pag.2 Per Belting quello che andava a finire erano tutti i modelli storiografici in attesa di trovare un modello più adeguato; per Danto finisce la storia del soggetto stesso; L’arte così come noi la intendiamo inizia a un certo punto della storia, nell’Europa moderna si configura il senso moderno di arte; c’è una produzione di immagini prima che si formi il concetto di arte bella, e qualche cosa che si produce dopo che questa categoria si pone al centro della nostra produzione e fruizione; se l’arte inizia ad un certo punto, possiamo anche pensare che finisca; la storia dell’arte non è qualcosa di eterno, inizia storicamente, e come inizia può finire; C’è una discontinuità netta al contrario di Belting, per cui nell’arte contemporanea le categorie del moderno non fanno più presa, e tuttavia non abbiamo altre categorie; per Danto lo scarto è netto tra un’arte che continua storicamente e un’arte che non ha più storia; Prima del modernismo lo scopo dell’arte era rappresentare il mondo, nel modernismo il vero oggetto dell’arte è l’arte stessa, l’arte deve rappresentare i suoi mezzi di rappresentazione; è un’arte che si interroga, che riflette su stessa, la cui vera domanda è “che cosa è arte?”; è un’arte non più rivolta al di là del medium, ma che guarda e rappresenta il mezzo stesso; per questo Danto legge in Greenberg il modello hegeliano di autoconoscenza; Pag.6 Il passaggio da premoderno a moderno non è quello da figurativo ad astratto, ma consiste nel mutamento dell’oggetto, che venga rappresentato in modo figurativo o astratto non fa differenza; Pag.8 Qualunque modello di storia dell’arte implica che ci sia qualche cosa che ricade al di fuori della storia; la storia impone dei limiti; il surrealismo è il caso più emblematico, Greenberg lo esclude dal suo modello di purezza; Pag.9 Moderno e contemporaneo non sono categorie cronologiche, la cronologia funziona ma il problema è che moderno non lo indichiamo in questo senso, così come contemporaneo; Che il post moderno, termine utilizzato ampiamente negli anni ’60,sia una cifra stilistica riconoscibile non è importante quanto il fatto che indica un superamento del moderno; il post storico invece accoglie tutto, l’artista post storico può rifarsi al moderno come al post moderno; Definire questa fase come post moderna significherebbe escludere tutta una serie di produzioni; Pag.12 Per Belting la storia dell’arte è la storia dello sviluppo dello stile, e da questo paradigma già sappiamo quale può essere il futuro, mentre qua salta ogni prescrizione di paradigmi o stili; vengono me . Pag.34 Ogni manifesto artistico va ad indicare qual è per quegli artisti l’arte; isola un tipo di stile e di arte rispetto ad altri; l’essenza dell’arte per Danto non deve essere ristretta a una qualche modalità; l’essenza dell’arte deve valere per ogni stile; in questo senso tutta l’arte è indifferentemente arte; non dobbiamo costruire un’arte in funzione di qualche paradigma; se procediamo in questo modo qualunque descrizione della storia dell’arte che andremo a proporre verrà falsificata dalla storia; qualunque paradigma che privilegi un aspetto contingente dell’arte è necessariamente soggetto a una falsificazione da parte della storia, perché sempre si potrà dare un genere artistico che confuterà questo modello; dobbiamo trovare una definizioen dell’arte che sia talmente ampia e talmente universale da abbracciare non soltanto le opere d’arte che abbiamo davanti agli occhi ma tutte quelle possibili che si potranno dare in futuro; deve essere una definizione con un massimo di generalità; la definizione di Danto ha una tale generalità che non cattura niente; Pag.35 La difformità percettiva deve valere in linea di principio, può anche non esserci; la scatola di Warhol è in realtà diversa dalla brillo box originale, è fatta in compensato, possiamo distinguerle, ma non è opera d’arte per questo motivo, per questa differenza; Dalla prospettiva di Danto il punto è come spiegare la differenza tra arte e realtà, se da un punto di vista percettivo e fenomenico sono la stessa cosa; se non c’è alcuna differenza non c’è l’arte, quella che chiamiamo arte non è chiaro perché la stiamo chiamando così; gli indiscernibili sono delle eccezioni, ma sono il cuore, il motore teorico di ogni riflessione filosofica; come distinguiamo il sonno dalla veglia? Qual è la differenza tra una azione morale e una interessata? Il gesto è lo stesso, l’imperativo morale kantiano non è un dato fenomenico; come si distingue un movimento volontario da uno involontario? La volontà non è un fenomeno; Pag.36 La filosofia dell’arte è ostaggio della storia dell’arte, perché la giusta domanda sull’essenza dell’arte deriva dalla produzione artistica; . Nel momento in cui abbiamo capito che arte è un concetto talmente ampio che deve abbracciare ogni modalità dell’arte, l’arte come produzione perde ogni indirizzo, ogni storia, l’arte non deve scegliere, può fare quello che vuole; la fine della storia significa che ora tutte le possibilità sono disponibili, legittime; finché c’è storia c’è un avanzamento ma c’è anche la possibilità di ricadere al di fuori della storia; se invece il concetto di arte prevede tutte le possibilità la storia non c’è più; questa è quella che Danto chiama la libertà dell’arte, o la pluralità dell’arte; l’arte non deve più seguire il dettato del paradigma della storia; Pag.38 Che la modalità dei metodi sia libera non significa che qualsiasi cosa si faccia sia valida, un giudizio di valore rimane; La storia pone dei confini, esclude gli artisti, è violenta nei confronti di chi sta dentro e fuori, Danto la paragona alla pulizia etnica; Il tono, diversamente dall’altro libro, è positivo: magari nel mondo ci fosse la stessa libertà che vive adesso l’arte, finalmente libera di fare quello che vuole; l’essenza dell’arte è stata scoperta, e abbraccia tutto, niente deve dire all’arte cosa deve fare; 3. GRANDI NARRAZIONI E PRINCIPI CRITICI . Pag.41 . Pag.42 . Pag.43 Non tutto è possibile in tutti i tempi, una ragione è prettamente tecnica, non possiamo fare un’opera cinematografica prima di aver inventato la macchina da presa, un’altra è stilistica; certe cose non possono essere fatte per ragioni extra- artistiche, questo non è in gioco dal punto di vista della scansione di Danto, sono questioni esterne all’arte stessa; Pag.45 L’arte tradizionale viene schiacciata sul paradigma mimetico, si presuppone un’omogeneità dell’arte tradizionale, perché il punto di Danto è capire in che senso la storia dell’arte finisce, quello che c’era prima in questo senso non ci interessa; L’arte moderna è l’arte dei manifesti, quando esplodono i manifesti il figurativo è una delle tante modalità; Pag.46 Tutto può essere un’opera d’arte, non è una professione di relativismo per cui tutto è arte, ma vuol dire che qualunque stile, modello, forma o genere che l’artista decide di usare è già fin da ora lecito; qualche cosa deve essere storicamente possibile perché possa accadere, per questo si parla di genio incompreso, anticipa talmente i tempi che non si riesce a comprendere; con la fase post storica ciò viene meno, perché tutto è dispiegato e possibile, tutto è legittimo; poi si dovrà valutare se un’opera sia interessante o meno, rimane il giudizio; Filosofia e arte hanno imboccato due strade separate, l’arte passa il testimone della definizione alla filosofia, e fa quello che vuole; la filosofia si sgancia perché non dice più all’arte che cosa deve fare; viaggiano su due binari paralleli, non c’è più nulla del modello hegeliano; Pag.48 La percezione non cambia, altrimenti non potremmo mai verificare il progresso, l’avanzamento del nostre capacità rappresentative; in Gombrich la percezione cambia insieme alla nostra rappresentazione; Pag.49 . Pag.53 Lo scopo di Roger Fry era di dar conto del post impressionismo, non spiegabile in termini mimetici; il modello Gombrich comincia ad entrare in crisi con la produzione artistica stessa, l’astrattismo fa saltare il modello mimetico; non c’è rappresentazione della realtà ma c’è il problema del rimando, ad esempio problema del decorativismo di Kandinskij, i segni devono rimandare a qualcosa altrimenti sono solo decorazioni; . Fry utilizza un paradigma stretto, non può accogliere tutta l’arte moderna; Pag.55 Lo stesso vale per Kahnweiler; . Pag.58 Abbiamo uno schema narrativo (quello mimetico) che non fa più presa, non riesce più a inserire nella narrazione la produzione artistica, e i nuovi modelli sono troppo schiacciati su paradigmi stilistici; solo Greenberg riesce a fornire un paradigma tanto forte da abbracciare tutta l’arte da Manet alla Pop Art, con l’eccezione del Surrealismo e del Dada;
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