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La Fenomenologia dello Spirito di Hegel: Il Cammino dello Spirito e la Logica, Sintesi del corso di Filosofia

Filosofia tedescaFilosofia della StoriaFilosofia della menteFilosofia della coscienza

Nella sua opera 'La Fenomenologia dello Spirito', Hegel esplora il cammino dello Spirito nella coscienza umana, partendo dal livello già avanzato in cui ogni aspetto della realtà è manifestazione dello Spirito. La Logica, come 'scienza dell'idea pura', prende in considerazione la struttura originaria del mondo. Hegel contrappone la tesi secondo cui il piccolo evento naturale non fa conoscere la verità e Dio a quella secondo cui il piccolo evento dello Spirito ci fa conoscere la verità e Dio in modo superiore. La filosofia dello Spirito è lo studio dell'Idea che, dopo essersi estraniata da sé, sparisce come natura per farsi puro spirito, autocoscienza e libertà. Lo Spirito è l'idea che ritorna a sé dalla sua alterità.

Cosa imparerai

  • Che cosa significa Hegel con il concetto di 'cammino dello Spirito'?
  • Come Hegel contrappone due tesi sulla conoscenza della verità e Dio?
  • Come lo Spirito ritorna a sé dalla sua alterità secondo Hegel?

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 27/11/2021

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Scarica La Fenomenologia dello Spirito di Hegel: Il Cammino dello Spirito e la Logica e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia solo su Docsity! Hegel: la fenomenologia dello spirito In questa opera Hegel si occupa del cammino dello Spirito nella coscienza umana, quindi un livello già abbastanza avanzato in quanto ogni aspetto della realtà è manifestazione dello Spirito. Poiché la coscienza è una manifestazione dello Spirito interno all'essere umano, vengono escluse tutte quelle manifestazioni riscontrabili nella realtà esterna, che saranno comunque trattate nella seconda opera: infatti nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche la fenomenologia è una delle tre manifestazioni dello spirito soggettivo. La manifestazione dello spirito nell'uomo avviene attraverso 6 tappe o momenti, divise in due gruppi: di fatto i concetti più originali sono espressi da Hegel nelle prime 3 tappe, ossia coscienza, autocoscienza e ragione, mentre lo spirito, la religione ed il sapere assoluto saranno trattati ampiamente nell’altra opera. La coscienza e l’autocoscienza sono a loro volta suddivise in altre 3 tappe: la ricorrenza del numero 3 in Hegel è dato dal fatto che la dialettica si sviluppa in 3 momenti ed essa è dinamica. COSCIENZA La prima figura che Hegel prende in esame è la semplice coscienza, ovvero il momento in cui il soggetto crede che l'oggetto sia altro rispetto a se. Essa si esprime inzialmente nella sua forma più immediata, ovvero la certezza sensibile. - Certezza sensibile: lo spirito (o coscienza) si illude che la realtà sia qualcosa di esterno e in se e percepisce che essa è piena di dati. Inizia a ragionare e interrogarsi su cosa siano gli oggetti percepiti. La coscienza inizia allora a chiamare gli oggetti come “questo” e che può inserire gli oggetti in un tempo e in uno spazio: “qui” e “ora”. Tuttavia, essi sono labili, poiché non sono delle condizioni permanenti e vengono smentiti. Quello che rimane alla coscienza è il concetto astratto di qui e ora. (riprende gli Epicurei, per i quali percezione = conoscenza) Percezione: la coscienza poi compie un ulteriore passo avanti. Capisce in fatti che gli oggetti hanno un nome e che vi sono molteplici forme di uno stesso oggetto, percependo così che oggetti simili hanno un'essenza in comune. Compie una generalizzazione definita percezione Intelletto: la coscienza realizza che ciò che conferisce molteplicità all'oggetto è l'oggetto stesso, ovvero è un fenomeno che viene ricondotto a categorie a priori dell’intelletto della coscienza (come Kant): quindi la coscienza capisce che la conoscenza dei fenomeni con categorie che ha in se. In tal modo la coscienza ha compiuto una prima tappa del percorso, prendendo coscienza di se, ma a livello solo teorico, ovvero solo a livello di come avviene la conoscenza. AUTOCOSCIENZA Signoria e servitù: La coscienza si è dunque scoperta protagonista della conoscenza e diventa autocoscienza, ma nel momento in cui ciò accade si scopre anche povera, poiché ha dei bisogni (begierde = appetito) e scopre che la necessità di soddisfare tali bisogni la rendono vincolata alla natura, che quindi è sovrana. Quando appaga tale desiderio, si libera dalla dipendenza dalla natura, ma tali appetiti possono essere appagati solo temporaneamente e quindi la dipendenza dalla natura è costante. Sente allora il bisogno di dominare la natura, realizzando la propria indipendenza. A questo punto Hegel riprende Hobbes e la lotta tra uomini per i propri bisogni, prima che essi si affidassero al Leviatano e dice che per affermare la sua superiorità e indipendenza della natura, lo spirito deve fare in modo che l’appagamento dei bisogni sia stabile, attraverso la mediazione di un'altra autocoscienza, che viene sottomessa. Ovviamente, anche l’altra tenta di fare la stessa cosa e si genera quindi una lotta di autocoscienza per la supremazia, definita lotta per il riconoscimento. Nel conflitto subentra la paura della morte e una ha più coraggio e vince, mentre una alla fine è costretta a cedere, diventando “il servo”, mentre l’altra “il padrone”. A questo punto il servo media il rapporto tra il padrone e la natura, fornendo al padrone i mezzi attraverso cui può essere sempre appagato il suo appetito. Quella servile perde anche contro la natura e si aliena, esistendo quindi solo in relazione a padrone. Tuttavia, in seguito avviene il riscatto del servo, che prende coscienza del sue essere al servizio del padrone, ma compie un passo successivo: invece che fornire solo i beni naturali al padrone, li elabora creando altre cose non naturali. Il servo quindi lavora, mentre il padrone si impigrisce. Il servo trasmette nella natura, attraverso il lavoro, la sua essenza e quindi si oggettiva in esse. Così facendo il servo si rende conto delle sue capacità e cosa è in grado di fare. Il padrone, nel frattempo finisce a dipendere dal lavoro del servo e il servo, riappropriandosi di se stesso, capisce questa dipendenza da parte del padrone e diventa libera (poi sottometterà un’altra coscienza e ricomincia il ciclo, secondo dialettica) Stoicismo e scetticismo: A questo punto, la coscienza servile ha ottenuto la libertà, ma è una libertà puramente interiore, ovvero, è solo consapevolezza del proprio valore e corrisponde alla duplice figura stoicismo-scetticismo. Infatti, l'atteggiamento stoico sta nella valorizzazione della libertà e del logos, libertà che appartiene a tutti e ci porta dunque a dire che non vi è una differenza sostanziale tra servo e padrone. L'atteggiamento però puramente interiore dell’affermazione di tale libertà, risulta in un ritiro dal mondo che si risolve in una negazione del mondo stesso. Arriviamo quindi allo scetticismo, ovvero al momento in cui lo spirito, la coscienza, entra in conflitto con il mondo stesso, sospendendo il giudizio. Lo spirito entra però in contraddizione, poiché negare che esista una verità assoluta, vuol dire allo stesso tempo affermarne una. Coscienza infelice: Il risultato della contraddizione scettica è che la coscienza stessa, insieme a tutto ilresto, perde valore e fiducia in se stessa ed Hegel nomina questo momento come coscienza infelice, momento di massima scissione e alienazione. La coscienza infatti risulta profondamente scissa in due realtà, l'una positiva, l'altra negativa, in un divenire. La coscienza crede che la dimensione positiva sia qualcosa al di fuori di se, perfetto, che identifica con Dio, mentre identifica se stessa come la parte negativa, ovvero il cristiano che non riesce a elevarsi a Dio e si mortifica per il suo essere mortale e carnale, raggiungendo il momento più drammatico, quello dell’ascetismo, in quanto esso si fa del male perché rifiuta di essere carnale, ma così facendo perpetua il suo essere carnale. E’ una momento angosciato dello spirito, in quanto prima di comprendere l’identità tra razionale e reale e che quindi esso è tutto, cerca la trascendenza, Dio, la meta a cui tende quando si identifica nell'uomo che si mortifica, credendo di essere inessenziale. RAGIONE L’autocoscienza era il momento in cui la coscienza aveva preso se stessa come oggetto, ma il suo culmine nella coscienza infelice mostra l'impossibilità di comprendere se stessa restando entro i limiti di sé. La Ragione nasce nel momento in cui la Coscienza, abbandonato il vano sforzo di unificarsi con Dio, si rende conto di essere lei stessa Dio, il Soggetto assoluto, in altri termini acquisisce “la certezza di essere ogni realtà”. E’ questa la posizione propria dell’idealismo: l’unità di pensiero ed essere. Questa “certezza di essere ogni realtà” sorge nel Rinascimento, si sviluppa durante l’età moderna e ha il suo culmine nell’Idealismo. Il “cammino”della Ragione si conclude con il superamento del punto di vista individuale: la coscienza comprende che ogni atto della vita individuale si situa dentro una realtà storico-sociale che lo fonda e lo rende possibile, e quindi la ragione si realizza concretamente nelle istituzioni storico-politiche di un popolo e dello Stato; ma con questo entriamo nel mondo dello Spirito, per il quale, come abbiamo già detto, rimandiamo alla Filosofia dello Spirito esposta nelle opere successive. La Logica In quanto “scienza dell’idea pura, cioè dell’Idea nell’elemento astratto del pensiero”, la Logica (alla quale Hegel ha dedicato l’opera Scienza della logica e la prima parte della Enciclopedia delle scienze filosofiche) prende in considerazione la struttura programmatica o l’impalcatura originaria del mondo. Tale “impalcatura” si specifica in un organismo dinamico di concetti o di categorie i quali, in virtù della identità fra pensiero ed essere, costituiscono altrettante determinazioni della realtà. La logica di Hegel quindi è molto diversa dalla logica tradizionale, di derivazione aristotelica: infatti quest’ultima veniva presentata come “organon”, puro strumento o metodo del pensiero, a cui era giustapposta la realtà esterna; la logica di Hegel invece esprime la realtà stessa nella sua essenza. Pertanto risulta evidente come la logica (= lo studio del pensiero) e la metafisica (= lo studio dell’essere) siano per Hegel la stessa cosa (la posizione antimetafisica dell'Illuminismo e di Kant viene quindi respinta da Hegel) . Hegel afferma anche che la logica é «l'esposizione di Dio, com’egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura»; i termini Dio e creazione vanno però intesi diversamente rispetto a ciò che essi significano nel contesto della dottrina cristiana: infatti la creazione per Hegel è il processo in cui Dio stesso si trasforma e si arricchisce, e il “Dio dopo la creazione” (di all'uomo come dotate di caratteri che sfuggono alla volontà del singolo: hanno letteralmente leggi oggettive, indipendenti dalla volontà dei soggetti, benché siano costituite da soggetti. Hegel distingue tre momenti della Filosofia dello Spirito oggettivo, il diritto, la moralità e l’eticità. IL DIRITTO Il soggetto trova dinanzi a sé la legge, come istituzione esteriore che regola attraverso norme di comportamento le sue relazioni con il mondo. La legge definisce ciò che è legittimo fare da ciò che non lo è, e dunque inevitabilmente limita l’assolutezza della volontà del singolo. Tuttavia nel concreto della vita il diritto permette di fatto una maggiore libertà all'uomo, rendendo possibile la vita di relazione e dunque concretamente fattibili cose che, altrimenti, sarebbero sì teoricamente possibili, ma nei fatti del tutto irrealizzabili (si pensi alla vita quotidiana in assenza di regole: un caos, non un'effettiva libertà). Il momento del diritto, tuttavia, permette solo una forma esteriore di libertà (una libertà nei comportamenti, non nella coscienza dell’uomo), e la legge è sempre vissuta come qualcosa che dall'esterno si impone al singolo, sebbene ciò accada per garantirgli una concreta libertà d'azione. L'uomo non può infatti pienamente identificarsi con la legge, perché essa è pur sempre esteriore alla sua coscienza. Alla legge manca qualcosa, manca cioè la possibilità che l’uomo vi si identifichi: ciò equivale a dire che la legge è esteriore, le manca l’interiorità, le manca la moralità. LA MORALITA’ La moralità collega l’azione esteriore dell’uomo alla sua interiorità. Nel momento della moralità Hegel studia il complesso delle leggi interiori della coscienza. L'ambito della moralità è del tutto diverso da quello del diritto, perché la fonte di quest’ultimo è un’autorità istituzionale che regola solo l'aspetto esteriore dell’azione degli uomini senza occuparsi del loro mondo interiore. Per la moralità invece è essenziale l'intenzione con cui un’azione viene compiuta e il bene come valore morale è il suo fine. La moralità di Hegel quindi corrisponde all’etica kantiana, che è “formale”, perché dà importanza solo all’intenzione della volontà, non al contenuto, non alla realizzazione effettiva. Tuttavia Hegel considera ancora insufficiente la moralità e critica l'etica kantiana, rimproverandole di essere vuota e unilaterale, di “chiudere l’uomo nel suo interno”. | termini della questione sono questi. Moralità e diritto si contrappongono dialetticamente come legge esteriore e legge interiore. Né l’uno né l’altro dei due momenti, da solo, permette che nell’azione si esprima l’unità della persona, cioè lo Spirito nella sua integrità e concretezza. Perché questo accada è necessario il momento di sintesi tra diritto e moralità, cioè l’eticità. L’ETICITA’ Nell’eticità la volontà buona si realizza concretamente, diventa qualcosa di esistente. Le norme esteriori del diritto e le norme interiori della moralità sono conciliate nell’azione etica. Si tenga presente che la distinzione tra moralità ed eticità non è tradizionale, viene introdotta solo da Hegel. Col termine eticità Hegel intende riferirsi a tutte quelle istituzioni che permettono tanto una libertà esteriore quanto una libertà interiore, istituzioni dunque nelle quali l’uomo può trovare piena soddisfazione alle sue esigenze di realizzazione e di libertà, perché in esse può identificarsi: può viverle come proprie, pur mantenendo esse il loro rigoroso carattere di oggettività. Le istituzioni dell’eticità cui si riferisce Hegel sono la famiglia, la società civile e lo Stato. LO STATO La famiglia e la società civile sono entrambe istituzioni parziali, che permettono la soddisfazione del bisogno etico dell’uomo solo in ambiti particolari (nella sfera privata la famiglia, nella sfera pubblica, ma conflittuale, la società civile). Entrambe non possono tuttavia sussistere come istituzioni se non all’interno dello Stato, che per Hegel è la sintesi globale dell’eticità. Lo Stato infatti è una specie di “famiglia in grande” in cui l’uomo può realizzare pienamente la sua libertà. Lo Stato infatti non si limita a coordinare gli interessi particolaristici (come avveniva nella società civile) ma pone un principio di unità e di appartenenza superiore, e perciò convoglia tutti i particolarismi verso un bene collettivo; in altri termini possiamo dire che lo Stato è l’istituzione in cui la libertà dell’uomo viene realizzata non perché l’uomo vi trova il soddisfacimento dei propri bisogni individuali ma perché vi riconosce un valore superiore (l’ethos del popolo), e condivide il riconoscimento di questo valore superiore con tutti i suoi concittadini. Questa concezione etica dello Stato, visto come incarnazione suprema della moralità sociale e del bene comune, si differenzia nettamente dalla teoria liberale dello Stato (vedi Locke) come strumento indirizzato a garantire la sicurezza e i diritti degli individui. Infatti per Hegel una teoria di questo tipo comporterebbe una confusione tra società civile e Stato, ovvero una riduzione dello Stato a semplice tutore degli interessi particolaristici della società civile. Lo Stato di Hegel si differenzia anche dal modello democratico, vale a dire dalla teoria della sovranità popolare (vedi Rousseau), in quanto il popolo, al di fuori dello Stato, è soltanto una moltitudine informe. A simili “astrazioni”, Hegel contrappone la teoria secondo cui la sovranità dello Stato deriva dallo Stato medesimo, perché lo Stato non è fondato sugli individui, ma sull'idea di Stato, ossia sul concetto di un bene universale: pertanto non sono gli individui a fondare lo Stato, ma lo Stato a fondare gli individui, sia dal punto di vista storico-temporale (lo Stato è “prima” degli individui, che nascono nell’ambito di uno Stato già esistente), sia dal punto di vista ideale, in quanto lo Stato è superiore agli individui (così come il tutto è superiore alle parti che lo compongono; in termini hegeliani lo Stato è una realtà “concreta” e la persona singola è una realtà “astratta”). Detto questo, risulta chiaro perché Hegel rifiuta anche la teoria contrattualistica (secondo cui la Stato deriverebbe da un contratto scaturito dalla volontà degli individui), e la teoria giusnaturalistica (secondo cui i diritti naturali esisterebbero prima e oltre lo Stato: per Hegel il diritto esiste solo nello Stato e grazie allo Stato). Lo Stato hegeliano è assolutamente sovrano, ma non per questo è dispotico: infatti Hegel ritiene che lo Stato debba operare solo per mezzo delle leggi, debba essere, quindi, uno Stato di diritto; inoltre identifica la “costituzione razionale” dello Stato con la monarchia costituzionale moderna. Tuttavia Hegel non intende costruire un modello politico di Stato, quanto piuttosto rendere ragione della natura profonda dello Stato, che resta tale indipendentemente dalle realizzazioni concrete degli Stati e dalle loro eventuali imperfezioni e inadempienze. Emerge dall'idea hegeliana una esplicita divinizzazione dello Stato; come vita divina che si realizza nel mondo, lo Stato non può trovare nelle leggi della morale un limite o un impedimento alla sua azione; inoltre non può esistere un organismo superiore allo Stato che possa giudicare le pretese degli Stati e regolare i rapporti tra gli Stati. Il solo giudice o arbitro fra gli Stati è lo Spirito universale, cioé la Storia, la quale ha come suo momento strutturale la guerra. Muovendosi in un orizzonte di pensiero completamente diverso dal cosmopolitismo pacifista dell'Illuminismo, Hegel attribuisce alla guerra non solo un carattere di necessità e inevitabilità, ma anche un alto valore morale. Infatti come «il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole», così la guerra preserva i popoli dalla fossilizzazione alla quale li ridurrebbe una pace perpetua. LA FILOSOFIA DELLA STORIA Se lo Stato è la Ragione che fa il suo ingresso nel mondo, la Storia, che nasce dalla dialettica degli Stati, è il dispiegarsi di questa stessa Ragione nel tempo; nella storia si realizza la coincidenza fra reale e razionale: tutto va come deve andare. Certo dal punto di vista degli individui le cose spesso non vanno come dovrebbero, ma la filosofia della storia non va pensata dal punto di vista degli individui bensì dell’assoluto, e allora si capisce che la storia si svolge secondo un disegno razionale. Hegel dice che la razionalità della storia coincide con il concetto cristiano di Provvidenza, cioè di un governo divino del mondo. Tuttavia la Provvidenza cristiana ha un'origine trascendente e non può essere completamente decifrata e compresa dall'uomo. Invece la razionalità dello storia hegeliana è immanente e la ragione filosofica può comprenderne il fine e i mezzi. Il fine della storia del mondo è che «lo spirito giunga al sapere di ciò che esso è veramente, e oggettivi questo sapere, lo realizzi facendone un mondo esistente, manifesti oggettivamente se stesso». Questo spirito che si manifesta e realizza in un mondo esistente, cioè nella realtà storica, è lo spirito del mondo che si incarna, si particolarizza negli spiriti dei popoli (e quindi negli Stati) che si succedono all’avanguardia della storia. Infatti nella competizione fra i popoli ottiene la vittoria quel popolo (e quello Stato) che ha concepito il più alto concetto dello Spirito (come abbiamo detto sopra, il solo giudice o arbitro fra gli Stati è lo Spirito universale, cioé la Storia, la quale ha come suo momento strutturale la guerra). Abbiamo detto che lo Spirito oggettivo è la progressiva realizzazione della libertà. Questa libertà si realizza nello Stato: quindi il fine supremo della storia è una realizzazione sempre più perfetta della libertà per mezzo dello Stato, realizzazione che avviene in tre momenti: 1) il mondo orientale, nel quale uno solo è libero, 2) il mondo greco-romano, nel quale alcuni sono liberi, 3) il mondo cristiano-germanico, nel quale tutti gli uomini sono liberi . I mezzi della storia sono gli individui con le loro passioni: Hegel ammette l’esistenza di individui cosmico-storici o eroi, come Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone, capaci di “fare la storia”, tuttavia questi uomini agiscono per fini particolari, ma c’è un’ astuzia della ragione che si serve delle loro passioni irrazionali e particolari per realizzare un progresso universale: non loro hanno fatto la storia, in realtà, ma in essi è vissuto lo Spirito e ha utilizzato la loro azione per il proprio obiettivo universale (e quando essi hanno realizzato il loro compito, vengono “scartati” dalla storia: Giulio Cesare ucciso, Napoleone esiliato a Sant'Elena ecc.) Commento: Lo storicismo perfetto di Hegel intende il divenire come un progresso continuo in cui la forma successiva è per forza migliore di quella precedente. E’ evidente che la storia così concepita diventa un “tribunale” in cui chi prevale ha sempre ragione; col risultato di giustificare ogni cosa: il male è cancellato, così come è cancellata la responsabilità individuale. E le lacrime e il sangue dei vinti? Finiscono, per usare un’espressione di Lenin, nella “pattumiera della storia”, come un momento dialettico necessario ma destinato ad essere superato dal potere vincente. E il criterio di giudizio storico non sarà il bene o il male, ma l'essere “contro la storia” o “nel senso della storia”, cioè essere ultimamente dalla parte del vincitore. LO SPIRITO ASSOLUTO Lo Stato è “l'ingresso di Dio nel mondo”, il culmine dello Spirito oggettivo, ma esso rimane pur sempre un elemento parziale, finito, del Tutto. Occorre ancora giungere alla comprensione dello Spirito come Totalità. Lo spirito assoluto è il momento il cui l’Idea giunge alla piena coscienza della propria infinità o assolutezza (cioè del fatto che tutto è Spirito e che non vi è nulla al di fuori dello Spirito). Ma questo auto-sapersi dello Spirito non è un’intuizione mistica, ma un processo dialettico rappresentato dall’arte, dalla religione e dalla filosofia. Queste sono, dunque, tre attività attraverso le quali noi conosciamo l’Assoluto e l'Assoluto conosce se stesso. Sono però tre attività poste su livelli diversi. Infatti soltanto la filosofia può ambire al sapere assoluto, perché essa sola utilizza lo strumento adeguato all’oggetto da conoscere: la razionalità dialettica. L'arte e la religione hanno lo stesso contenuto della filosofia, lo Spirito assoluto, ma lo presentano in forma inadeguate: l’arte nella forma dell’intuizione sensibile e la religione nella forma della rappresentazione. L’ARTE Hegel attribuisce all’arte una funzione conoscitiva (come i Romantici), l’arte permette infatti di arrivare, attraverso le forme sensibili, all’intuizione dell’Assoluto. Infatti l’esperienza estetica è l’esperienza di un’unità profonda tra soggetto e oggetto; pertanto l’arte, attraverso la mediazione di un elemento sensibile (qualcosa di materiale, come una statua, un quadro, un suono) coglie intuitivamente quell’identità tra Spirito e Natura che la filosofia idealistica afferma concettualmente. Il limite dell’arte consiste nel fatto che la forma dell’intuizione sensibile non è in grado di render conto del dispiegarsi dialettico dell’Assoluto. Hegel dialettizza la storia dell’arte in tre momenti: arte simbolica, arte classica e arte romantica. L’arte simbolica (tipica dei popoli orientali) è caratterizzata dallo squilibrio tra contenuto e forma, nel senso che la forma prevale sul contenuto. L’arte classica è caratterizzata da un armonico equilibrio tra contenuto spirituale e forme sensibili. L’arte romantica è caratterizzata da un nuovo squilibrio tra forma e contenuto, nel senso che il contenuto prevale sulla forma, qualsiasi forma spirituale viene ormai avvertita come insufficiente a esprimere la ricchezza dello Spirito. Per questo l’arte romantica prelude alla Morte dell’arte, cioè all'abbandono dell’arte per trovare una più adeguata espressione della spiritualità nella religione e nella filosofia; la “morte dell’arte” non significa l'estinzione di qualsiasi attività artistica, ma il fatto che per l’uomo moderno l’arte non costituisce più il vertice della vita spirituale, non è più (come invece era per gli antichi) il bisogno supremo dello spirito. LA RELIGIONE La religione è la seconda forma dello spirito assoluto, quella in cui l'assoluto si manifesta nella forma della rappresentazione interiore, che è il modo tipicamente religioso di pensare Dio, e che sta a metà strada fra l'intuizione sensibile dell’arte e il concetto razionale della filosofia (rappresentazione è, per esempio, l’immagine di un Dio creatore, con cui la coscienza religiosa esprime l'Assoluto). Anche la religione ha uno sviluppo storico, dalle antiche religioni naturali, in cui Dio è visto come forza naturale, alle religioni dell’individualità spirituale (giudaica, greca e romana), in cui Dio appare in sembianze umane, al Cristianesimo, in cui Dio appare come “puro spirito”. Per Hegel la religione cristiana è la “religione assoluta”, perché essa esprime attraverso i suoi dogmi le stesse verità della filosofia: per esempio la Trinità esprime la triade dialettica di Idea, Natura e Spirito, Gesù Cristo uomo-Dio esprime l’identità di finito e infinito, ecc. Tuttavia anche il cristianesimo presenta i limiti di ogni religione, cioè l'incapacità della forma rappresentativa di esprimere adeguatamente l'Assoluto. Il limite della rappresentazione religiosa consiste nel fatto che essa intende le sue determinazioni come giustapposte, cioè slegate, sconnesse. Per esempio non c’è un nesso logico (secondo
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